ISTITUTO ISTRUZIONE SUPERIORE “G. FALCONE” – ASOLA (MN)

VIAGGIO DI ISTRUZIONE 11 GENNAIO 2012 - CLASSI: 4 A B C LS - 4 A LSS

VICENZA e IL PALLADIO - VISITA MOSTRA “RAFFAELLO VERSO PICASSO”

A.S. 2012-2013

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BREVE STORIA DI

Le origini di Vicenza

La città di Vicenza ha origini remote nel tempo. Le testimonianze della presenza dell'antico popolo dei Veneti, successivi agli Euganei, sono conservate nel Museo di Santa Corona e sono riconducibili ad alcuni secoli avanti Cristo: la fondazione della città infatti si situa tra l'XI e il VII secolo a.C. quando gli Euganei ne posero le fondamenta.

In seguito i Veneti si allearono con i Romani e la città divenne Municipium Romano, denominato Vicetia, sviluppandosi lungo la Via Postumia. In questo periodo Vicetia si arricchì di Templi, Ville, un grande teatro (il Teatro Berga), ed un acquedotto (Lobia). Vicetia fu organizzata secondo lo schema del "Castrum". Il decumano massimo, che attraversava la città nel senso Ovest Est, potrebbe identificarsi con l'attuale Corso Palladio ed era intersecato in corrispondenza alle attuali Contrà Porti e Contrà del Monte.

Nel luogo in cui ora sorgono piazze Erbe e Biade sono stati ritrovati numerosi resti e si presume che lì sorgesse il Foro della città. A sud di esso, lungo Via SS. Apostoli, Piazzetta S. Giuseppe e Via del Guanto è ben visibile il perimetro di quello che fu il Teatro Berga, e nei sotterranei dei palazzi, si notano gli antichi archi dello stesso, alcuni dei quali accessibili dall'interno di proprietà private.

In piazza Duomo si trova, in ottimo stato di conservazione, il Criptoportico Romano, parte di una "Domus Patrizia". Sotto al Duomo sono conservati e visitabili i resti di antiche abitazioni e strade. A nord di Vicenza in zona Lobbia sono visibili i resti degli archi dell'antico acquedotto. Con il diffondersi del Cristianesimo vennero costruite delle grandi chiese, la chiesa dei SS. Felice e Fortunato, S. Giorgio e l'Abbazia di S. Agostino.

Vicenza medioevale

Dopo la caduta dell'Impero, Vicetia fu devastata e semidistrutta dai barbari, tra i quali Attila. Si riprese e fu sede di un ducato Longobardo, divenne poi contea sotto i Franchi. Anche Carlo Magno fu tra i visitatori del convento di S. Felice. In corrispondenza del governo dei Vescovi imperiali, che indusse i vicentini a dar vita nel 1164 al Libero Comune, un grande fervore edilizio caratterizzò la città, ed è di quel periodo la costruzione della prima cerchia di mura per la difesa del centro urbano.

La città divenne centro della Signoria di Ezzelino III° di Romano detto il Tiranno, alla sua morte (1259) fu conquistata da Padova fino all'arrivo (1311) degli Scaligeri. E' di allora l'ampliamento delle mura cittadine così come sono ancora ben visibili in molti angoli della città. Nel 1404, dopo un breve dominio dei Visconti, Vicenza entrò nella Serenissima Repubblica di San Marco e vi rimase fino a quando Napoleone non decretò la fine della Repubblica (1797).

Il periodo della Repubblica Veneta fu per la città il periodo della pace e della trasformazione: durante quattro secoli di prosperità operarono a Vicenza alcuni dei più grandi artisti del tempo (Palladio, Trissino, Scamozzi, Muttoni, Tiepolo) e la città si arrichì di monumenti che la rendono tutt'ora preziosa agli occhi del mondo intero, con alcune"gemme" uniche, come la stupenda Basilica Palladiana, nello splendido salotto di Piazza dei Signori. Al termine del dominio veneziano, Vicenza passò dapprima agli Austriaci, dopo la caduta di Napoleone Bonaparte (1814), e successivamente al regno Lombardo .

Il Rinascimento

La profonda trasformazione vissuta da Vicenza ebbe cause ben precise. Una ristretta cerchia di nobili famiglie di grandi mezzi e cultura, fedeli alla Serenissima e desiderose di rendere la città degna vicina della Grande Venezia, portarono ad una fioritura delle arti e delle idee che di lì a poco avrebbe dato copiosi e magnifici frutti.

Superata la fase antica delle signorie gotiche e delle rendite terriere, la nuova aristocrazia favorì un grande rinnovo delle forme architettoniche, con la costruzione di edifici sempre più maestosi e rinnovati, che fecero di Vicenza dapprima una sede del Rinascimento artistico e poi, finalmente, del magnifico classicismo Palladiano.

Già verso la metà del '400 si poteva vedere il graduale abbandono dello stile tardo-gotico con la costruzione sulla piazza principale del Palazzo della Ragione, in seguito inglobato dalle logge della splendida Basilica Palladiana. In quegli anni arrivano a Vicenza importanti personaggi artistici, come l'architetto Lorenzo da Bologna, Bernardino da Milano e il grande pittore di origine bresciana Bartolomeo Montagna, che a Vicenza trascorse quasi tutta la sua vita.

All'inizio del '500 la guerra tra Venezia e la Lega Santa coinvolse anche Vicenza. Nel 1516 ci fu il trattato di Noyon e nel 1523 l'accordo tra lo stato Veneto e Carlo V, che riportò tranquillità e fece addirittura arrivare l'Imperatore d'Asburgo a Vicenza nel 1532, ospite di alcune famiglie nobili locali. I loro nomi ancora oggi suonano familiari ai vicentini: Thiene, Angaran, Porto, Valmarana, Capra, Chiericati, che si legarono alla costruzione di splendidi Palazzi e bellissime Ville.

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L'era del Palladio

Nel 1537 Giangiorgio Trissino, noto intellettuale e letterato vicentino che amava lo studio dell'antichità volle progettare la propria Villa, e per questo assunse una squadra di lavoranti e scalpellini dediti agli elementi decorativi. Tra di essi ne notò uno in particolare, certo Andrea di Pietro della Gondola, nato a Padova nel 1508, e, come parse subito evidente, dotato di un notevole talento.

Trissino lo prese subito sotto la sua ala protettrice, dandogli il soprannome classico di "Palladio" e portandolo con sé in numerosi viaggi, incontri e convegni che lo resero ben presto uomo di mondo e profondo conoscitore delle arti e della cultura. iniziò così la fulgida carriera del grande architetto che ha legato il proprio nome a quello di Vicenza, in maniera così chiara e indelebile

Qui preme solo ricordarne l'importanza anche storica, che diede a Vicenza lo slancio socio-culturale per divenire polo di attrazione non solo in Italia, ma in tutta Europa, come testimoniano le visite in città di grandi studiosi e viaggiatori da varie nazioni, in particolare dall'Inghilterra, dove il palladianesimo ebbe grande fortuna e numerosi fautori. Successivamente alla sua morte, avvenuta nel 1580, fu l'architetto Vincenzo Scamozzi che ne completò l'opera rimasta incompiuta, specialmente quella del , uno dei simboli immortali dell'arte vicentina

Il ' 600 e il '700

Non solo per la città di Vicenza, ma per tutto il Veneto e il nord Italia il XVII secolo fu un periodo di appannamento. Come testimoniò magistralmente il Manzoni ne "I Promessi sposi", i confini italiani furono attraversati a più riprese da schiere di soldati stranieri che portarono il germe della pestilenza. Terribile fu, dopo quella del 1576, l'epidemia dell'anno 1630, che decimò la popolazione, portando con sé ristrettezze e disperazione.

Vicenza subì un brusco rallentamento nelle attività economiche e sociali. anche le arti ne risentirono e per decenni il panorama cittadino non fu particolarmente attraente. Nel secolo successivo tuttavia, un rinnovato fervore percorse la vita vicentina: furono costruite nuove chiese, importanti Palazzi e splendide Ville. Verso la metà del 1700 nel vicentino si impose l'immenso talento pittorico di Giovan Battista Tiepolo, il quale proprio nelle signorili dimore beriche trovò terreno fertile per esprimere appieno tutto il suo valore.

Del 1757 è il ciclo di affreschi di Villa Valmarana ai Nani, considerato uno dei più importanti della sua opera, e vanno certamente ricordati anche quelli delle ville Cordellina di Montecchio maggiore e Loschi Zileri di Vicenza. La fine del secolo segna un'altra importante svolta storica per la città. Nel 1797 viene occupata dalle truppe di Napoleone. Ceduta agli Austriaci, dopo la caduta di Bonaparte (1814) si ribella alla nuova dominazione nel marzo del 1848.

Conquistata a caro prezzo una brevissima indipendenza, Vicenza viene riconquistata dalle truppe del Maresciallo Raddetzky il 10 giugno del 1848, nel corso di un sanguinoso assedio che rimane negli annali come una delle pagine più tristi della storia vicentina. Asserragliati sulle alture di Monte Berico a difesa dell'onore, i vicentini dovettero cedere alla soverchiante superiorità del nemico, che concesse loro soltanto l'onore delle armi.

Vicenza moderna

Vicenza fu sottomessa all'Impero Asburgico fino al 1866 quando, al compimento della prima parte del Risorgimento Italiano, entro' a far parte del Regno d'Italia. Quello stesso anno fu il Generale Cialdini a liberare la città, che ricevette l'importante onore di essere insignita con la medaglia d'oro al valor militare. Il nuovo secolo che si apriva, foriero di grandi rivoluzioni in campo economico e produttivo, portava però in sè anche i germi di grandi sconvolgimenti sociali e culturali, ingigantiti dall'onda del progresso nascente.

Tra il 1915 e il 1918, durante la Prima Guerra Mondiale, detta anche Grande Guerra, Vicenza fu in prima linea contro gli eserciti degli Imperi Centrali. La città non fu toccata dai combattimenti, ma la provincia fu terreno di battaglie aspre e sanguinose. Sulle montagne vicentine sono state combattute battaglie fondamentali e tristemente note per l'esito finale della guerra, con grande sacrificio di uomini di entrambi i fronti. Sul Grappa, sull'Ortigara, e sull'Altopiano i giovani soldati italiani, lontani da casa e dal calore delle loro famiglie, immolarono le loro vite sull'altare della Patria, per respingere l'invasore.

iniziò allora la grande tradizione alpina italiana, che trova a Vicenza e nella sua provincia un fortissimo baluardo, costruito su valori nobili e duraturi, nonostante il passare dei decenni. Ad Asiago, a Tonezza e sul Pasubio, immensi Monumenti, tributo indelebile alla memoria, che raccolti formano lo stemma della provincia, testimoniano nei secoli l'importanza di quegli avvenimenti e sono meta di folle di pellegrini che ogni anno li visitano.

Se trenta anni prima la città rimase pressochè intatta, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Vicenza fu invece colpita duramente con terribili bombardamenti, che causarono la morte di molti civili e la distruzione di molti monumenti. Due di queste incursioni, in particolare, furono disastrose per la città: quella del 14 maggio 1944 e quella del 18 marzo 1945, con ingentissimi danni al patrimonio artistico. Fu il Duomo a subire i danni maggiori, ma lunghissimo era l'elenco di tutte le strutture colpite.

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Andrea di Pietro della Gondola detto Palladio

Andrea nacque a Padova nel 1508 e morì a Vicenza nel 1580. Figlio del mugnaio Pietro della Gondola, Andrea si trasferì giovanissimo a Vicenza (1523), dove lavorò come scalpellino e lapicida, per più di dieci anni, nell'operosa bottega dei Pedemuro. Risale probabilmente al 1537 l'incontro col letterato umanista Giangiorgio Trissino, che lo impiegò nella costruzione della sua villa a Cricoli presso Vicenza e lo portò con sé in viaggi a Padova e Verona, fondamentali per la cultura del giovane artista, introdotto così nei circoli umanistici locali (importantissimo il contatto con Alvise Cornaro a Padova), prima ancora dell'esaltante scoperta del mondo classico avvenuta durante il viaggio a Roma del 1541 sempre col Trissino. In questo breve arco di anni si compì non solo la formazione di Andrea, ma il suo trapasso dal ruolo di artigiano a quello di architetto, col nome classicheggiante di Palladio, datogli-dal-Trissino. E già le prime opere, antecedenti al viaggio romano (palazzo Civena a Vicenza, villa Marcello a Bertesina; la già compiutamente originale villa Godi a Lonedo), dimostrano l'intelligenza e la facilità con cui egli aveva assimilato la lezione degli architetti veneti (Falconetto, Sansovino, Sanmicheli) sulla base di scelte personali poi arricchite, nei successivi viaggi a Roma (1545, 1547, 1549), non solo dall'appassionato e scientifico studio delle antichità, ma dalla conoscenza dei fatti più notevoli della cultura architettonica contemporanea. La notorietà, e quindi l'inizio di un'attività sistematica, che col tempo si fece imponente, venne comunque all'architetto con l'incarico, affidatogli dal Consiglio della città di Vicenza nel 1549, della ricostruzione delle logge del Palazzo della Ragione, la cosiddetta Basilica, impresa su cui avevano dato pareri Sansovino, Serlio, Sanmicheli, Giulio Romano: P. risolse il problema rivestendo le vecchie strutture di un superbo involucro classicheggiante, basato sull'uso plastico e fortemente chiaroscurale dello schema "a-serliana".

Da quel momento egli divenne l'architetto prediletto dall'aristocrazia di Vicenza, caratterizzando il volto della città con episodi di grande rilievo, come il Palazzo Iseppo da Porto(1552), libera e originale elaborazione di schemi vitruviani e spunti bramanteschi uniti alla ricerca di funzionalità distributiva (tema costante del linguaggio palladiano) e come il Palazzo Chiericati(1551-52), di linee purissime, esempio tra i più alti dell'attenzione posta da P. alla creazione di rapporti armonici tra architettura e spazio esterno. E così proseguendo nel computo di capolavori eccelsi, quali Villa Capra, detta La Rotonda (1550 - 51) opera tra le più celebri, in cui si inaugura lo schema della villa tempio e Palazzo Thiene (1556 - 58), esplicito omaggio ai modi di Giulio Romano. Nel frattempo, morto il Trissino (1550), si accostò al prelato umanista veneziano Daniele Barbaro, studioso di Vitruvio (con lui fece l'ultimo viaggio a Roma nel 1554), iniziando con lui una stretta collaborazione, che diede come frutto la bellissima edizione di Vitruvio curata dal Barbaro e illustrata dal Palladio, pubblicata a Venezia nel 1556.

Fu attraverso il Barbaro che l'architetto trovò nel patriziato veneziano, sempre più incline a rafforzare il proprio potere economico con la rendita fondiaria nell'entroterra, una fascia privilegiata di committenti, e ottenne prestigiosi incarichi a Venezia, divenendo nel 1570, alla morte del Sansovino, architetto ufficiale della Serenissima. Posteriormente al 1558 si svolse l'attività veneziana iniziata col contemplamento del refettorio del convento di S. Giorgio Maggiore (1560), e proseguita negli anni successivi col convento della Carità (1560 - 61) e con le due uniche fabbriche chiesastiche palladiane, la chiesa di S. Giorgio Maggiore (1566) e quella del Redentore (1576).

La tarda attività palladiana in Vicenza, già antecedente al Redentore, è caratterizzata da una ricerca più inquieta, che pone il problema critico dei rapporti col manierismo: opere come palazzo Valmarana (1566) o palazzo Thiene Bonin Longare (dopo il 1571), che indicano una complessa riflessione su temi michelangioleschi, o come l'incompiuta Loggia del Capitaniato (1571), col suo vistoso scarto di ritmo tra prospetto e fianco, portano a risultati che non rientrano nel codice classicista. Testimonianza, ancora una volta, della continua carica espressiva e dell'ininterrotta volontà di ricerca dell'arte palladiana, presenti anche nell'ultimo capolavoro, il Teatro Olimpico di Vicenza (portato a termine da Scamozzi), che va oltre l'esplicito riferimento archeologico a un tema che aveva affascinato l'architetto fin dai primi viaggi Romani.

Il '500 fu per Vicenza il secolo di e segnò un'epoca di grande fervore per la vita sociale, artistica, culturale ed economica. La città si trovava da circa un secolo sotto l'ala politica della Serenissima, alla quale si assoggettò nel 1404, e da quel momento in poi seguirono quattro secoli di relativa pace e prosperità che si rivelarono assai fecondi per lo sviluppo della cultura. Nel 1509, le truppe veneziane subirono una grave sconfitta da parte degli avversari confederati della Lega di Cambrai, alla quale partecipavano anche le forze papali.

Papa Giulio II infatti, in accordo con gli Asburgo, la Spagna e Luigi XII, decise di combattere Venezia a causa della disputa su alcuni territori della Romagna, che la Serenissima si rifiutava di restituire. Quando la situazione per la Repubblica veneta sembrava ormai sull'orlo del precipizio, ecco che un'improvvisa e decisiva resistenza del popolo, unita all'abile arte diplomatica veneziana, riuscì a risollevarne le sorti, scongiurando il peggio.

Proprio nell'anno della Lega di Cambrai, il 1508, nasceva a Padova Andrea di Pietro della Gondola, meglio noto come il Palladio. Era un momento socio-culturale assai propizio per un giovane artista, che poteva formarsi alla scuola dei grandi architetti italiani, che avevano fatto della penisola la culla artistica del mondo. Brunelleschi, Bramante e Michelangelo furono i primi modelli, altissimi, sui quali il giovane Andrea, che aveva iniziato a lavorare a Vicenza nella bottega dei tagliapietre Giovanni da Pedemuro e Girolamo Pittoni, formò la prima parte della sua

4 vita. Ma il vero mentore di colui che era destinato a diventare un Maestro nel mondo fu l'uomo di maggior spicco nella-cultura-vicentina-di-quel-tempo:-Giangiorgio-Trissino.

Egli ne intuì le enormi potenzialità, lo prese con sé a lavorare, trasformandolo da semplice scalpellino a sommo architetto. Nel 1537 il Conte Trissino commissionò ad Andrea il suo primo importante lavoro, che gli avrebbe aperto le porte per le successive opere. Si trattava di Villa Cricoli, alle porte della città, immersa in un'oasi di pace e di verde, un sito ideale per sviluppare quei talenti, fino ad allora in embrione, che sarebbero di li a poco divenuti celebri.

Il buon esito dei lavori nella villa impressionò a tal punto il nobiluomo vicentino, che egli decise di prendere il Palladio come ospite fisso nella propria dimora, per educarlo alle lettere e alle arti dei classici. Ma Trissino fece molto di più: portò con sè Andrea nei suoi frequenti viaggi, in Veneto e fuori e fu lui ad attribuirgli quell'epiteto con il quale fu poi universalmente ricordato. A Padova Palladio conobbe Alvise Cornaro, altro personaggio celebre della cultura veneta, e per lui eseguì una loggia ed un odeo nel palazzo di famiglia, nei pressi della basilica di Sant'Antonio.

Negli anni '40 Palladio fu molto colpito dalle opere di Giulio Romano, un architetto allievo del grande Raffaello, che viveva a Mantova, e che rappresentò senza dubbio una delle fonti principali dell'ispirazione del Maestro vicentino. Le altre Andrea le trovò certamente nei suoi numerosi viaggi a Roma: al cospetto delle immortali creazioni della capitale, Palladio affinò ulteriormente il suo già poderoso talento e ricavò il definitivo lasciapassare per l'Olimpo dell'arte. Contemporaneamente, il Veneto vedeva nascere altre realtà di grande valore, quelle pittoriche dei maestri del colore: Tintoretto, Tiziano, Veronese, Jacopo Palladio, Zelotti.

È l'Italia del Rinascimento, e il Veneto ne visse un importante capitolo, ricco di paesaggi pastorali e di vividi colori della natura, di Madonne e di adorazioni dei Magi. In questo periodo di fervide creazioni, fiorivano anche numerose congregazioni di uomini dotti e amanti delle lettere, Accademie che nascevano in ogni città con lo scopo di diffondere la cultura. Una di queste trovò spazio a Vicenza, l'Accademia Olimpica fondata nel 1555 da ventuno personaggi illustri della città berica, tra i quali anche Andrea Palladio. Tale fu il seguito di questo consesso, che pochi anni dopo si pensò di creare una sede stabile per i ritrovi e le rappresentazioni, quella che ancor oggi comprende il celebre Teatro Olimpico,-tempio-dell'arte-vicentina.

All'apice della sua fama, nel 1570 Palladio si trasferì a Venezia, dove scrisse "I Quattro libri dell'Architettura", un'opera che conteneva i principi cardine delle sue idee sull'architettura, e che fu preso a modello da molti, sia in Europa che fuori. Pur vivendo in laguna, Palladio non dimenticò Vicenza: vi tornava infatti frequentemente e in particolare, sul finire della sua vita, per iniziare una delle sue opere maggiori, quel Teatro Olimpico che non riuscì a completare, perché la morte lo raggiunse nell'agosto del 1580. Il Teatro Olimpico fu portato a termine dal suo allievo, Vincenzo Scamozzi.

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Innumerevoli e di enorme valore artistico sono, come noto, le opere del sommo architetto Andrea di Pietro della Gondola detto il Palladio, universalmente riconosciuto come uno dei più alti talenti mai espressi nella storia dell'Umanità. A giusta conferma di ciò, valga da solo il prestigioso riconoscimento ottenuto da Vicenza, Città del Palladio che, nel dicembre del 1994, è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Unesco in considerazione del fatto che i beni architettonici palladiani sono considerati d'interesse e di valore universale. Le Opere del Palladio hanno esercitato una grande influenza sulla cultura mondiale. Grazie al suo genio creativo e alle sue idee innovative egli ideò imponenti e stupendi edifici, che mutarono l'aspetto architettonico di Vicenza. Qui viene eseguita una breve e semplice lista delle Opere palladiane, elencate per categoria e tipologia.

Ville nel vicentino Villa Pisani Ferri (Bagnolo di Lonigo) - Villa Porto Thiene (Molina di Malo) - Villa Arnaldi (Meledo di Sarego) - Villa Piovene Porto Godi (attribuita - Lonedo di Lugo) - Villa Almerico Capra La Rotonda - Villa Valmarana Bressan (Vigardolo) - Villa Valmarana Zen (Lisiera) - Villa Trissino (Meledo di Sarego) - Villa Trissino Trettenero (Cricoli) - Villa Repeta Bressan (ricostruita - Campiglia dei B.) - Villa Caldogno - Villa Forni Cerato (Montecchio Precalcino) - Villa Angarano Bianchi (Bassano) - Villa Gazzotti Grimani (Bertesina) - Villa Thiene (Quinto Vic.no) - Villa Pojana - Villa Chiericati Porto (Vancimuglio) - Villa Saraceno (Agugliaro) - Villa Godi Valmarana Malinverni (Lonedo di Lugo) - Villa Cornaro (Piombino Dese).

Altre Ville in Veneto Villa Zeno - Villa Emo (Treviso) - Villa Barbaro (provincia di Treviso) - Villa Serego (provincia di Verona) - Villa Foscari (Mira, Venezia) - Tempietto di Villa Barbaro (Maser, Treviso) Villa Badoer (Rovigo).

Opere pubbliche nel vicentino Teatro Olimpico - Palazzo della Ragione (Basilica Palladiana) - Loggia del Capitaniato - Ponte di Bassano - Arco delle Scalette di Monte Berico - Ponte sul Tesina.

Palazzi privati nel vicentino Palazzo Chiericati - Palazzo Valmarana - Palazzo Civena - Palazzo Barbaran da Porto - Palazzo Thiene Bonin Longare - Palazzo Barbaran da Porto (Breganze).

Edifici religiosi Chiesa di San Giorgio Maggiore (Venezia) - Convento della Carità (Venezia) - facciata della chiesa di S. Francesco della Vigna (Venezia).

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ALCUNE OPERE DI ANDREA PALLADIO

I QUATTRO LIBRI DELL’ARCHITETTURA

Una delle più importanti creazioni del Palladio, non un'opera architettonica bensì letteraria, è "I Quattro Libri dell'Architettura" (Venezia, 1570), l'autorevole testamento architettonico del Palladio, nel quale egli espone le sue formule per gli ordini, per le misure delle stanze, per la progettazione delle scale e per il disegno dei dettagli. Nel Quarto Libro egli pubblicò le ricostruzioni dei templi romani che aveva studiato più attentamente, e nel Secondo e nel Terzo libro offrì (cosa che nessun architetto aveva fatto prima) una sorta di retrospettiva dei suoi disegni per palazzi, ville,-edifici-pubblici-e-ponti.

Concisi e chiari nel linguaggio, efficaci nel comunicare informazioni complesse con tavole e testi, i Quattro Libri rappresentano la più preziosa pubblicazione illustrata di architettura che si sia avuta fino a quel momento. Ci si può rendere conto dell'intelligenza e della chiarezza dell' interfaccia che Palladio offre ai suoi lettori se lo si confronta con i libri di architettura di Serlio che iniziarono ad apparire dal 1537. Mentre Serlio non riporta le misure nelle tavole, ma le include all'interno del testo, Palladio lo libera da questo appesantimento, e colloca le proporzioni-direttamente-nelle-piante-e-negli-alzati.

A differenza di Serlio, egli presenta gli edifici e i loro dettagli in uno stile uniforme, rielabora i disegni che aveva tratto da altri architetti, e riporta tutte le dimensioni in una scala metrica comune: il piede vicentino (lungo 0,357 m.). L'architettura palladiana, con la sua base razionale, seppe trarre dalla capacità comunicativa del libro una nuova linfa, che portò all'immensa influenza del Palladio sullo sviluppo dell'architettura del Nord Europa, e più tardi in Nord America.

Palladio tuttavia non rivelò tutti i suoi segreti nei "Quattro libri". Egli non ha detto con esattezza, ad esempio, come e quando forzare le sue stesse regole e neanche come usare un disegno per generare idee e disegni nuovi partendo da un singolo schema iniziale, o perché sia importante fare sempre degli schemi alternativi. Non ha spiegato come disegnare un dettaglio in modo che questo potesse essere perfetto non per un edificio qualsiasi, ma per uno in particolare,-come-le-finestre-di-Villa-La-Rotonda-lo-sono-per-la-Rotonda.

Scrivendo i "Quattro Libri" si proponeva certo di educare, migliorare il livello generale del disegno architettonico. Ma come tutti i bravi insegnanti e maestri, egli forse sapeva che è meglio lasciare ai discepoli qualcosa che possano scoprire da soli. E il tempo gli ha dato ragione, come testimoniano le opere dei suoi allievi famosi, alcuni dei quali ebbero l'onore di completare le opere solo iniziate dal Maestro dopo la sua morte, avvenuta nel 1580.

Il trattato è suddiviso in quattro tomi:

 I libro: tratta la scelta dei materiali, le tecniche costruttive, le forme degli ordini architettonici in tutte le loro parti.

 II libro: riporta disegni di ville, palazzi e costruzioni realizzate da Palladio. Tali raffigurazione talvolta si discostano dall'edificio costruito in quanto risentono di un processo di idealizzazione e adeguamento al maturo linguaggio del maestro.

 III libro: descrive la maniera di costruire strade, ponti, piazze e basiliche.

 IV libro: contiene i rilievi di un gran numero di edifici antichi.

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Palazzo della Ragione detto BASILICA

La costruzione del Palazzo della Ragione inizia nel 1449; successivamente l’edificio è cinto da logge, ma quasi subito si evidenziano segni di instabilità e, poco dopo il loro completamento, una parte di esse crolla. Il Comune per decenni consultò i maggiori architetti del tempo, tra cui Antonio Rizzo, Giorgio Spavento, Jacopo Sansovino, Sebastiano Serlio, Michele Sanmicheli, Giulio Romano, ma non si arrivava mai ad una decisione. Nel 1546 viene presentato un progetto a nome del maestro Giovanni Pedemuro e di Andrea Palladio; tre anni dopo Andrea fa allestire anche un modello ligneo di una delle nuove arcate da collocare sotto uno degli archi dell’edificio: tutti i vicentini avrebbero così potuto verificare e giudicare la validità della proposta. L’11 aprile 1549, fortemente sostenuta da Gianluigi Valmarana e da Girolamo Chiericati, arriva la decisione definitiva con ben 99 voti a favore e 13 contrari. I lavori iniziarono senza indugio, seguiti personalmente dall’architetto, nominato proto della fabbrica, e si protrarranno ben oltre il 1580, anno della morte del Palladio.

Il compito era ben arduo:

1. si trattava di rivestire il quattrocentesco palazzo preesistente conservando i muri perimetrali e le grandi finestre archiacute che illuminavano il vasto salone superiore; 2. si doveva inoltre mascherare l’irregolarità degli angoli dell’antico edificio.

Per il primo problema Palladio adotta la serliana, mantenendo regolare la luce degli archi, ma variando ai quattro angoli le aperture trabeate laterali, in modo da far coincidere il più possibile le finestre interne con gli archi stessi, e far penetrare il massimo di luce all’interno aggiungendo gli oculi nei pennacchi. Egli risolve il secondo problema, invece, utilizzando nel giro d’angolo tre poderose colonne che, pur nella loro plastica corposità, fanno scivolare la luce nascondendo le irregolarità che un rigido pilastro avrebbe evidenziato.

Per alleggerire poi il notevole spessore dell’arco inserisce colonne binate e nasconde i pilastri, che separano una serliana dall’altra, con semicolonne di modulo gigante, di ordine dorico in basso e ionico in alto, culminanti nelle statue che ornano la balaustra che corona l’edificio.

Lo stesso Palladio definirà “basilica” il Palazzo della Ragione in omaggio alle strutture della Roma antica dove si amministrava la giustizia si discuteva di politica e si trattavano gli affari.

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Palazzo Chiericati

Le trasformazioni urbanistiche avvenute negli ultimi due secoli non permettono una corretta lettura di quest’opera del Palladio, considerata da molti studiosi uno dei suoi capolavori. Infatti l’attuale piazza Matteotti, sulla quale si affaccia il palazzo, ora museo civico e pinacoteca, nel 1551, quando cominciarono i lavori per la costruzione dell’edificio (completato nel Seicento), si estendeva per circa 150 metri fino al porto fluviale cittadino. Il Palladio, quindi, quando riceve l’incarico da Girolamo Chiericati di progettare un palazzo al posto di alcune vecchie case prospicenti piazza dell’Isola (attuale piazza Matteotti) pensa ad un edifico che si inserisca come “quinta” in una piazza che ha alle spalle la città e di fronte uno spazio libero che degrada verso i fiumi (Bacchiglione e Retrone) e, oltre questi, verso gli orti fino alla seconda cinta muraria e ancora verso la campagna. Crea perciò una fabbrica che nella facciata porticata assume le caratteristiche di una villa suburbana, ma anche quello di uno splendido palazzo degno del nuovo ruolo sociale del Chiericati, divenuto provveditore al cantiere delle logge della Basilica e, da poco, anche conte. Secondo alcuni studiosi l’architetto potrebbe essersi ispirato alla villa marittima dell’antichità: il palazzo, quasi ricostruendo idealmente il contesto del porto classico avrebbe funzionato da sfondo per chi giungeva a Vicenza via fiume e, a conferma di questo, ricordano che i due fiumi quando esondavano le loro acque giungevano a lambire la scalinata. Altri studiosi, invece, hanno parlato di tempio dell’antico foro imperiale; altri ancora del proscenio dei teatri romani. Comunque siano stati i modelli architettonici, questo palazzo segna una svolta nella produzione del Palladio, soprattutto se confrontati con le facciate degli altri suoi edifici cittadini (palazzo Civena, Thiene, Da Porto, Valmarana, Barbaran Da Porto, Bonin Longare) in cui si è trovato condizionato dai limiti delle vie urbane. Nuova è la facciata a due ordini di logge, dorico quello inferiore e ionico il superiore; nuovo è il centro del piano nobile, pieno ma trapuntato da ben dieci aperture; magnifiche sono le due ali aperte che si collegano al corpo centrale leggermente sporgente, con una serie di colonne, due delle quali ravvicinate tra di loro. La struttura interna vede un atrio centrale biabsidato, fiancheggiato da due nuclei di stanze, ognuna con una scala a chiocciola di servizio e una scala monumentale dalla loggia centrale verso il cortile. Gli ambienti sono stati decorati da vari artisti; significativi i soffitti a stucco di Bartolomeo Ridolfi, gli affreschi del Brusasorzi della sala del Firmamento, quelli di Giovan Battista Zelotti nella sala del Concilio degli Dei e la volta a botte della sala di Ercole affrescata dal Forbicini.

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Il Teatro Olimpico

Il Teatro Olimpico è una delle meraviglie artistiche di Vicenza. Si trova all'interno del cosiddetto Palazzo del Territorio, che prospetta su piazza Matteotti, all'estremità orientale di corso Palladio, principale direttrice del centro storico. Nel Rinascimento infatti un teatro non è un edificio a se stante - come diventerà di prassi in seguito - ma consiste nell'allestimento temporaneo di spazi all'aperto o di volumi preesistenti; nel caso di Vicenza, cortili di palazzo o il salone del-Palazzo-della-Ragione. Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l'incarico dall'Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile. Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio: una cavea gradinata ellittica, cinta da un colonnato, con statue sul fregio, fronteggiante un palcoscenico rettangolare e un maestoso proscenio su due ordini architettonici, aperto da tre arcate e ritmato da semicolonne, all'interno delle quali si trovano-edicole-e-nicchie-con-statue-e-riquadri-con-bassorilievi. La critica definisce l'opera 'manierista' per l'intenso chiaroscuro, accentuato tra l'altro da una serie di espedienti ottici dettati dalla grande esperienza dell'architetto: Il progressivo arretramento delle fronti con l'altezza, compensato visivamente dalle statue sporgenti; il gioco di aggetti e nicchie che aumentano l'illusione di profondità. Il Palladio appronta il disegno pochi mesi prima della sua morte e non lo vedrà realizzato; sarà prima il figlio Silla a curarne l'esecuzione e in seguito fu Vincenzo Scamozzi a prendere in mano l’intero progetto del Palladio, portandolo a termine fino ad inventare la stupenda scena oltre il proscenio. Sullo schema del teatro romano, l’Olimpico è formato da quattro parti: la cavea, l’orchestra, il proscenio, inteso alla maniera della piazza dei greci, l’"agorà", e le scene fisse. La fronte scenica si apre attraverso il grande arco di trionfo, e al di là delle aperture si accede tra le vie di una Tebe immaginaria dagli scorci assai suggestivi. Gli uomini che vollero questo tempio dell’arte (i 21 accademici) sono presenti e sembrano vegliare sulla sua bellezza eterna, nei panni aulici di guerrieri e senatori dell’antica Roma, mentre sulla sommità dell’arco troneggiano i rilievi con le fatiche di Ercole, eroe mitico e simbolo-delle-virtù-umane.

La prima rappresentazione, in occasione del Carnevale del 1585, è memorabile: la scelta ricade su una tragedia greca, l'Edipo Re di Sofocle, e la scenografia riproduce le sette vie di Tebe che si intravedono nelle cinque aperture del proscenio con un raffinato gioco prospettico. L'artefice di questa piccola meraviglia nella meraviglia è Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del Palladio. L'effetto è così ben riuscito che queste sovrastrutture lignee diventeranno parte integrante stabile del teatro. Sempre allo Scamozzi viene affidata anche la realizzazione degli ambienti accessori: l'Odeo, ovvero la sala dove avevano luogo le riunioni dell'Accademia, e l'Antiodeo, decorati nel Seicento con riquadri monocromi del valente pittore vicentino Francesco Maffei. La fama del nuovo teatro si sparge prima a Venezia e poi in tutta Italia suscitando l'ammirazione di quanti vi vedevano materializzato il sogno umanistico di far rivivere l'arte classica. Poi, nonostante un avvio così esaltante, l'attività dell'Olimpico venne interrotta dalla censura antiteatrale imposta dalla Controriforma e il teatro si riduce a semplice luogo di rappresentanza: vi viene accolto papa Pio VI nel 1782, l'imperatore Francesco I d'Austria nel 1816 e il suo erede Ferdinando I nel 1838. Con la metà dell'Ottocento riprendono saltuariamente le rappresentazioni classiche, ma si dovrà attendere l'ultimo dopoguerra, scampato il pericolo dei bombardamenti aerei, per tornare seriamente a fare spettacolo in un teatro che non ha uguali al mondo.

“Hoc Opus Hic Labor Est” è l’epigrafe motto dell'Accademia Olimpica di Vicenza del 1555. Tratta dall’Eneide di Virgilio, situata nel pannello centrale del proscenio del Teatro Olimpico.

“Questa è l’opera, questa la fatica”. La locuzione latina Hoc opus, hic labor, tradotta letteralmente, significa ecco la difficoltà, ecco ciò che v’ha di faticoso.

(Virgilio, Eneide, VI, 129). La Sibilla Cumana ricorda ad Enea le difficoltà di ritornare dall’Averno; la frase va messa in relazione con Facilis descensus Averno.

Si usa per indicare dove sta il nocciolo della difficoltà: adesso viene il difficile, il momento di impegnarsi ("fin qui abbiamo solo scherzato!").

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Da Raffaello a Picasso e Bacon In mostra, storie di volti e sguardi Dopo 5 anni di restauro la Basilica Palladiana di Vicenza apre con una grande mostra dedicata alla storia del ritratto. Oltre 90 tele, dal '400 al '900 ricostruiscono idee, stili e personaggi, da Botticelli a Balthus di LAURA LARCAN - www.repubblica.it

VICENZA - Dalla grazia e dall'armonia del Rinascimento al tormento esistenziale e all'inquietudine spettrale del Ventesimo secolo, è questo il viaggio ideale della storia dell'arte che ha voluto immortalare nei secoli i volti, i corpi e le forme umane. Un viaggio inteso come evoluzione "patologica" ma anche come drastica rottura di un apollineo divorato dal dionisiaco. Il tema del ritratto non è certo nuovo alle mostre, ma è in questi termini estremi che viene affrontato dalla mostra "Raffaello verso Picasso. Storie di sguardi, volti e figure" dal 6 ottobre al 20 gennaio in scena alla Basilica Palladiana. Un evento nell'evento, curato con la ormai proverbiale audacia visionaria - sfrontata negli accostamenti ma sempre scientificamente spettacolare - da Marco Goldin, patron di Lineadombra.

Perché gli oltre novanta quadri mozzafiato provenienti da prestigiose istituzioni museali di tutto il mondo (una su tutte, la "Danza a Bougival" di Renoir uno dei simboli dell’intero impressionismo sbarcato dal museo di Boston) sfilano negli spazi del capolavoro di Andrea Palladio riaperta per l'occasione dopo cinque anni di complesso intervento di restauro. Un contenitore di armoniosa perfezione volumetrica che sembra essere il degno prologo ad un percorso espositivo che orchestra le opere e gli artisti in quattro sezioni tematiche - si badi bene, non cronologiche - seguendo la personalissima visione di Goldin, protagonista "ex machina" tra i maestri.

Con il filo rosso dell’immagine universale dell’uomo tra sacro e profano, tra vita quotidiana e celebrazione di sé nella regalità delle corti, tra sentimento religioso e rappresentazione della propria immagine negli autoritratti soprattutto tra Ottocento e Novecento.

Si parte dal sentimento religioso "la grazie e l'estasi" con una parata di figure tratte dal Nuovo Testamento e dalle storie dei santi, dove le smorfie di dolore duettano con suadenti bellezze, e dove le variazioni delle luci misurano tutta la scalpitante modernità che incombe. "Parlano" le "Marie" di Beato Angelico, Lippi, Mantegna, Crivelli, Guercino, Tiepolo, e la cena in Emmaus di Tintoretto, le "Crocifissioni" di Giovanni Bellini e Veronese, la vita di Cristo di Botticelli, Caravaggio, Cranach, il monaco inginocchiato di El Greco e quello di Manet, fino al teatrale strazio di sant’Andrea di Ribera.

Tocca poi alla nobiltà del ritratto, offrendo una panoramica di principi e principesse, entourage di corti e regni. Dai dogi veneziani di Gentile Bellini e Tiziano alle autorità di Olanda e Fiandra rese memorabili dall'estro raffinato dei loro artisti, tra Rembrandt con due grandi e famosissime tele dedicate al reverendo Elison e alla moglie nel 1634, e Van Dyck col doppio ritratto di marito e moglie eseguito nel 1620. E in una parabola geografica, si conosce l’alta società statunitense colta dal principale pittore americano della seconda metà del Settecento, Copley, per ritornare in Inghilterra con Gainsborough a meditare sulla tradizione olandese seicentesca, e cogliere l'euforia impressionista di Sargent. Con un duetto da capogiro, Rubens-Velázquez, che indagano sfarzo e intimità psicologica.

Si passa al ritratto quotidiano, sviscerato in una sequenza di sguardi suadenti ed enigmatici, da Giorgione, Raffaello ("Andrea Navagero" e "Agostino Beazzano"), Dürer e il Pontormo ("Ritratto di due amici"). Per intrecciarsi ai baluginanti effetti di luce sui volti di Monet, Gauguin, Renoir, Degas, e ai realismi di Coubet e Millet.

Il viaggio di Goldin si chiude con il Novecento e lo "sguardo inquieto", anticipato superbamente da El Greco. Le sue luci irreali e quasi fosforescenti, come dice Goldin, portamo direttamente al colore lacerato e stringente di Van Gogh e Gauguin. Una stagione nuova che continua con Pierre Bonnard, Edvard Munch, i fauves Matisse e Derain, Nolde e Kirchner, il solitario Amedeo Modigliani, la rivoluzione di Picasso ("L’italiana" del '17). La scarnificazione esistenziale di Giacometti e Bacon, fino al sogno di Balthus, o Andrew Wyeth in America o Antonio Lopez Garcia in Spagna.

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