Karen Dalton Fra Favola e Realtà

• di Piero Capizzi •

hiunque abbia dei figli ricorderà quei momenti con tenerezza e affetto. Parlo delle molte sere nella nostra vita di genitori in cui si cercava di addormentare i nostri cuccioli raccontandogli delle storie. CMia moglie era particolarmente brava nelle favole e nei romanzi per ragazzi (la saga di Harry Potter su tutte). S’inventava le voci dei vari personaggi e recitava tutti i ruoli come se fosse l’attrice di un radio sceneggiato. I miei racconti invece erano popolati di stra- ni individui che si chiamavano Janis, Grace, Jerry... Ebbene sì, ammetto che per far dor- mire i miei piccoli raccontavo loro le vite un po’ romanzate dei musicisti che amavo. Ed erano storie a puntate, dove il racconto si in- terrompeva quando loro crollavano vinti dal sonno, o quando io narratore mi assopivo nel bel mezzo di qualche avventura. E la sera dopo era un rincorrersi di domande che si riallacciavano alla trama del giorno prima. “Jimi c’è poi andato in Inghilterra? Ha trova- to il successo che cercava?”; “E Bobby dopo l’incidente della motocicletta che ci faceva nella Grande Casa Rosa?”; “Il Capitano Cuo-

42 re di Bue ha poi rincontrato il suo amico ita- colo, l’adoravano. Addirittura , sì pro- non erano contadini resi disperati dalla liano, quello che suonava la bicicletta con prio la pop star di Hello, l’ha citata come una Grande Depressione e costretti a cercar for- l’archetto del violino?”. Uno di quei perso- delle sue cantanti preferite. Come al solito, tuna all’ovest come la famiglia Joad descrit- naggi della notte era una donna bellissima Mr. Zimmerman la fotografò meglio di chiun- ta dal premio Nobel americano nel suo ca- e tormentata che sembrava uscire dalle pa- que altro nelle sue “Chronicles”, esprimen- polavoro del 1939. Racconta la figlia Abby gine di un romanzo d’appendice. Era una dei do tutto il suo rispetto e amore per lei: “La che il nonno era un rispettato saldatore e la favoriti dei miei figli. D’altra parte come non mia cantante preferita del posto (Café Wha?, nonna un’infermiera; la famiglia non nuota- innamorarsi della figlia di una principessa n.d.r.) era Karen Dalton, una cantante e chi- va certo nell’oro, ma la vita sonnolenta e Cherokee, tirata su in condizioni di estrema tarrista di blues bianca, alta, bizzarra, dinoc- tranquilla nella provincia di Emid non era poi povertà nello stato della Red People colata e focosa. Karen aveva una voce come così male. Quello che è certo è che la prove- (l’Oklahoma nel linguaggio dei nativi ameri- , suonava la chitarra come Jim- nienza dall’Oklahoma, regione agricola per cani), oltretutto con la iattura di un padre al- my Reed e ci metteva tutta l’anima.” Nono- eccellenza (“la capitale del grano”), con gli colizzato? Una che mollò baracca e mariti stante i tanti sostenitori, vi assicuro che met- annessi musicali legati alle sue feste popo- (2), rapì la figlia per scappare nella Grande tere ordine nei dati biografici e destreggiarsi lane, diede a Karen una forte credibilità Mela, dove fece perdere la testa al grande nel dedalo di leggende e false notizie non è folkie quando si affacciò nel Village qualche Bobby quando era ancora quel ragazzetto ti- cosa facile. La ragazza era a dir poco riserva- anno dopo. Pare che fin dall’adolescenza la mido e arruffato che cercava di farsi notare ta. Non si hanno tracce d’interviste rilascia- Dalton fosse affascinata dalla tradizione nel Village? La stessa che quando cantava te durante la sua carriera e quindi per trova- Okie, non uno stato qualunque visto che fu non potevi fare a meno di dimenticare te stesso, penetrare nel suo immenso male di vivere e scioglierti con lei? Una che conside- rava lo studio di registrazione alla stessa stre- gua del gabinetto di un dentista: bisognava legarla e portarla a forza per catturare la sua voce su disco? Lei che ancora giovane morì per le strade di New York, dimenticata dagli uomini e da Dio, come una stracciona qua- lunque? Quella tipa indimenticabile si chia- mava Karen, Karen Dalton, ma il suo vero nome era Karen Jean Cariker. Per me rappre- sentava la reincarnazione di Billie Holiday o di Nina Simone in quanto a drammatiche vi- cende esistenziali riversate in musica. I miei figli, che certo non conoscevano le due Si- gnore della musica nera, la vivevano come re un filo di luce bisogna affidarsi ai ricordi la culla di personaggi chiave nella storia mu- una sfortunata Pocahontas. Ma era veritie- (talvolta alquanto sbiaditi) di quelle perso- sicale americana come Woody Guthrie, ra, seppur romanzata, la storia che raccon- ne che l’hanno conosciuta bene: la figlia Wanda Jackson, JJ Cale e Leon Russell, e di tavo la sera per addormentare i miei picco- Abralyn, detta Abby, che la madre rapì per jazzisti come Charlie Christian e Chet Baker. li? Difficile a dirsi allora! Negli anni 90 scappare a New York; Joe Loop, il proprieta- Fatto sta che la giovane iniziò ben presto a quello di Karen era al massimo un nome a rio del club The Attic a Boulder Colorado; raccogliere un ricchissimo repertorio di can- pie’ di pagina nelle cronache della scena folk Pete Stampfel, amico e leader degli Holy Mo- zoni con l’intenzione di costruire un catalo- newyorkese. Sicuramente c’erano appassio- dal Rounders; Richard Tucker, suo terzo ma- go ragionato dell’eredità musicale america- nati che conoscevano i suoi due dischi soli- rito; Peter Walker, amico fino alla morte e na. Come per altri giovani ricercatori sti - anche se già allora il primo dal titolo lun- curatore del suo archivio. Allora torniamo dell’epoca, le sue fonti erano le fondamen- ghissimo era difficile da trovare - e magari all’inizio della storia e cerchiamo di rianno- tali Antologie di Harry Smith così come la tra- anche la sua partecipazione ad un album fol- dare il bandolo in modo corretto. Già la na- dizione orale che la circondava e che spazia- le del 1975 di quei pazzerelloni degli Holy scita è avvolta dalla nebbia: propenderei a va dal country blues dei padri (Blind Lemon Modal Rounders. Ma questo era tutto. Con collocarla a Bonham, Texas, anche se alcuni Jefferson, Blind Blake) allefolk songs dei Pio- l’avvento di internet mi misi in testa di fare la vedrebbero in Oklahoma, dove certamen- nieri che cercavano fortuna all’Ovest, fino ai luce sulla vera vita di Mrs. Dalton, smonta- te visse la sua adolescenza; mentre l’anno è canti di protesta dei sindacati contro lo sfrut- re i falsi miti e soffiar via l’alone di mistero senza dubbio il 1937. Dimentichiamoci inve- tamento dei padroni. Il carattere della ragaz- attorno alla sua figura. Mi accorsi subito di ce dell’affascinante ipotesi di una discenden- za andava delineandosi fin d’allora: molto essere in buona compagnia nella mia ricer- za nobile da una principessa indiana: i Ca- decisa nelle sue idee, estremamente emo- ca. Anzi in ottima, direi. Scoprii ben presto riker, la mamma Evelyn e il padre John, tiva, facilmente portata allo scontro e agli che Karen poteva contare su una ricca schie- erano in realtà di chiare origini irlandesi frut- accessi d’ira, fragile e decisa al tempo stes- ra di ammiratori, certamente più significati- to della prima ondata migratoria del secolo so. Inoltre in quei primi anni la giovane si tro- vi di un modesto scrivano come me. Nick precedente. Effettivamente parrebbe che in vò a vivere una vita sentimentale quanto Cave ammise che: “tutti noi nei Bad Seeds famiglia ci fosse una lontana parente legata meno turbolenta, con due matrimoni anco- eravamo grandi fans di Karen Dalton” e rac- a Will Rogers, il cowboy Cherokee di tanti ra da teenager e altrettanti figli (Johnny Lee contò che compose la sua When I First Came film western, ma certamente nessuna Po- e Abby); del resto all’epoca in America non to Town su ispirazione di Katie Cruel che era cahontas! Allo stesso modo è pura invenzio- era affatto raro ricevere l’autorizzazione a la signature song di ogni concerto della can- ne di fantasia avvicinare l’infanzia di Karen a sposarsi anche per i minori di 16 anni. Fu tante. Devendra Banhart e Joanna Newsom, quei luoghi ed eventi di profonda povertà probabilmente grazie al secondo marito, tale i giovani iniziatori della cosiddetta scena descritti dalla penna di Steinbeck in “Furo- Don Dalton (ecco spiegato il suo nome da neo-folk americana di inizio ventunesimo se- re”. I Cariker venivano sì dall’Oklahoma, ma sposata!), professore universitario, che fre-

43 quentò l’università in Kansas per qualche che condizionarono la sua vita. Per tutti gli tempo, diventando un’avida divoratrice di anni 60 Karen fece la spola fra la Grande letteratura e poesia e continuando ovvia- Mela e il Colorado, in compagnia della figlia mente a dedicarsi alla musica. D’altra parte Abby, strappata al padre con uno stratagem- anche il secondo matrimonio non durò a lun- ma, un cane e gli strumenti del mestiere, una go e Karen, lasciato marito e figlia, quest’ul- Gibson 12 corde e un banjo. Inizialmente tima solo per poco, si trasferì a Boulder, ar- quando stava a Boulder, viveva isolata in un rabattandosi come cameriera. A fine anni 50 posto chiamato Copper Rock, popolazione lo stato del Colorado non rappresentava an- cinque anime, in un casotto abbandonato cora quell’alternativa alla bella gente di San dai tempi della corsa all’oro senza acqua cor- Francisco che sarebbe diventato nella secon- rente né elettricità. Di quel periodo sono le da parte degli anni 60. Solo nel 1967, infat- prime incisioni conosciute, uscite postume ti, avrebbe aperto a Denver quel locale chia- su Cotton Eyed Blues (Megaphone, del mato The Family Dog, che rubava il nome 2007), catturate dal vivo al The Attic nel alla ganga psichedelica di Chet Helms, dove 1962. In quelle tracce c’è già tutto il suo re- avrebbero suonato tutti gli spiriti liberi dell’e- pertorio d’interprete. Prima di tutto Katie poca, dai Jefferson ai Dead, da Jimi ai Doors. to e allacciando amicizie con gente tipo Dino Cruel, un brano risalente alla Guerra d’Indi- All’inizio di quella decade Boulder era sol- Valenti, , Richie Havens e soprat- pendenza americana, il cui testo inizia con: tanto una città di vaccari ai piedi delle Mon- tutto , che sarebbe diventato per “quando arrivai per la prima volta in città mi tagne Rocciose dotata di un’università; gli un lungo periodo il suo confidente e nume chiamavano il gioiello errante, ora hanno hippie non esistevano ancora e di capelloni tutelare. Freddie e Karen furono per molti cambiato musica e mi chiamano Katie la Cru- in giro non se ne vedevano proprio. I pochi versi le voci più distintive di quell’epoca. Lui dele”. E’ una canzone che parla di una don- strani erano dei giovani intellettuali beatni- aveva toni profondi da baritono, caldi ed na a cui il destino ha riservato solo sconfit- ck che amavano Kerouac, Burroughs e Gin- emotivi, che ti entravano nel corpo e porta- te e delusioni. E Karen vedeva sicuramente sberg, ascoltavano jazz e strimpellavano la vano via il cuore. Lei rappresentava l’antite- se stessa in quel pezzo. Poi ovviamente ci chitarra. Il luogo di ritrovo di quella cricca si della limpidezza della Baez e della dolcez- sono tanti traditionals, prevalentemente era il The Attic, unacoffee house di proprietà za della Collins, suonava totalmente fuori dal folk, ma anche un paio di composizioni di di Joe Loop, che ben presto divenne la base coro con quel timbro antico, quasi ancestra- Fred Neil, due di Ray Charles, e ancora Wo- di Karen. E’ in Colorado che la Nostra conob- le. Il paragone più comune che i contempo- ody Guthrie, Leadbelly, Leroy Carr e Jerry be Dick Weissman (futuro Journeymen con ranei facevano era con la voce di Billie Holi- Roll Morton. Quello che colpisce è l’assolu- John Phillips e Scott McKenzie), un giovane day (confronto che lei odiava!) per la sua to silenzio, il senso di totale trasporto banjoista, appassionato come lei di folklore intensità essenziale e malinconica e il senso dell’audience durante tutta l’esibizione, ma certamente dallo spirito meno tormen- di profonda tristezza che comunicava. Ma la come se anche un solo respiro o una parola tato. Con lui visse una breve stagione d’amo- voce di Karen aveva una fragilità che man- sussurata potessero interrompere quel ma- re e fece il primo viaggio a New York nell’e- cava a “Lady Day”, una qualità polverosa, ir- gico transfert emotivo fra artista e pubblico. state del 1960. Erano quelli gli albori della regolare, non imbellettata che ben si adat- Come dicevo, in quei primi anni 60 Karen si scena in cui Karen, come decine di altri ra- tava alla sua provenienza campagnola, al divideva fra Colorado e New York. Nella gazzi di belle speranze, si esibiva anche 3-4 carattere irascibile, ai due denti mancanti Grande Mela si recava solo per delle serate volte al giorno nei clubs del Village racco- (pare a seguito di una lite con due spasiman- dal vivo, cercando di far saltare la scuola il gliendo le offerte degli astanti a fine concer- ti) e alla dipendenza dall’alcol e dalle droghe meno possibile alla figlia. In occasione di una di quelle fugaci visite, si imbattè in un giova- ne chitarrista, Richard Tucker, che divenne ben presto il suo terzo marito; avrebbe fat- to da patrigno ad Abby per i cinque anni di durata della convivenza e avrebbe condivi- so un altro misero capanno a Summerville sulle alture di Boulder. Green Rocky Road (Megaphone del 2008) contiene registrazio- ni domestiche del 1963, forse delle prove in vista di un concerto, eseguite in solitudine con l’eccezione di un pezzo in compagnia proprio di Tucker e Joe Loop. E’ una raccol- ta che trasuda un’atmosfera decisamente più country rispetto alle tracce dal vivo dell’anno precedente, forse anche a causa dell’uso prevalente del banjo. Oltre all’im- mancabile Katie Cruel, trovano spazio una dolorosa Ribbon Bow, probabilmente mu- tuata da Susan Reed, una ballata appalachia- na come Little Margret, una canto medieva- le come Nottingham Town, rivitalizzato da Jean Ritchie e poi nel repertorio dei Fairport Convention e di Bert Jansch, un paio di nu- meri dal catalogo di Pete Seeger, per finire con In The Evening classico di Leroy Carr reso

44 popolare da Big Bill Broonzy. Quei brani non K era pensati per una pubblicazione, ma dan- A no il senso di quella profonda autenticità che solo pochi artisti potevano vantare e che ve- R niva dall’essere cresciuta in un background E rurale realmente tradizionale. Stesso discor- N so vale per un altro album postumo, 1966 D (Delmore Recording Society, uscito nel A 2012), che riporta una registrazione di pro- L va col marito in cui i due ripassano il reper- T torio e provano delle armonizzazioni vocali O prima di un serata live nel 1966. Come sap- N piamo, quelli furono anni di laceranti dibat- titi e profonde trasformazioni negli Stati Uni- ti, a cui non rimase indifferente anche la Dalton. Significativa fu la sua presa di posi- zione nei confronti dei diritti civili e la parte- cipazione ad una serie di eventi a supporto delle battaglie pacifiche di Martin Luther King e del SNCC, l’organizzazione studente- sca che accompagnò il Reverendo nei mo- menti chiave delle sue rivendicazioni. Ad esempio Karen si esibì, insieme agli amici Tim Hardin e Taj Mahal, nella maratona con- certo del 1964 di Boston durata 72 ore per raccogliere fondi a favore del movimento. L’amicizia con Gwen Gillon, la giovanissima segretaria del SNCC, la portò a partecipare a molte conferenze e dibattiti del gruppo. In ambito musicale, per una brevissima stagio- ne nel 1968, la strada della Nostra si incro- ciò con quella di Danny Kalb, veterano del Village e fresco reduce dall’esperienza Blues Project, che la coinvolse in un nuovo grup- po, a cavallo fra blues, folk e jazz, durato l’ar- co di un paio di serate e presto abortito. Fat- to sta che per quasi tutti gli anni 60, nonostante la sua fama d’interprete fosse altissima negli ambienti folk che contavano, la Dalton rimase allergica agli studi di regi- strazione. “Non voleva diventare famosa” era la voce che circolava. Credo che in real- tà condividesse con l’amico Fred Neil quello sola notte, tanto breve fu la durata dellases - cellenti turnisti fra cui spicca scetticismo, anzi quel vero e proprio rifiuto sion. Dovete ammettere che si tratta indub- al basso, It’s So Hard To Tell Who’s Going To rispetto alla macchina del business musica- biamente di una bella storia (che per altro Love You The Best (Capitol 271, del 1969) è le, che vedeva come artificiale e manipola- usavo anch’io nei racconti notturni coi miei uno di quei rari dischi che ti entra nel cuore toria. Inoltre un certo disagio se non una figli), anche se in effetti la realtà è andata in e ti segna per sempre. Non si tratta di un la- paura del palco, l’incapacità di scrivere del modo del tutto diverso. Successe che Venet voro perfetto ma è certamente un atto uni- materiale proprio e la preoccupante dipen- avviluppò l’artista in una sorta di tela di ra- co di totale e assoluta autenticità in cui l’ar- denza da alcol e droghe rappresentavano de- gno tessuta nel corso di diversi mesi prima tista smette ogni maschera e si mostranuda gli ulteriori ostacoli perché la figura della Dal- di riuscire a farle realizzare il suo primo di- davanti al pubblico in tutta la sua fragilità. ton potesse fare breccia nell’ambiente sco solista. Nella sua splendida biografia di Come nel caso della collaborazione con Fred conformista e superficiale delle case disco- Fred Neil, Peter Neff riporta di una prima Neil, Venet riuscì a cogliere il tormento del- grafiche. Ci volle quindi l’avvento di un “ca- session avvenuta a Los Angeles nel maggio la cantante, la sua esigenza di mostrare la valiere senza macchia e senza paura” per del 1968, in cui Freddie, Karen e Richard propria anima permettendo all’ascoltatore permetterle di pubblicare il suo primo lavo- Tucker eseguirono una versione rimasta ine- di intrufolarsi nell’intimo. Rispetto alle regi- ro. Narra la leggenda che Nick Venet, il pro- dita di Everybody’s Talkin’ di più di sei minu- strazioni dei primi anni 60, quello che colpi- duttore che contribuì al successo dei Beach ti. Successivamente, come racconta Dan sce sono le nuove colorazioni che stanno fra Boys, avesse sentito Fred Neil tessere le lodi Hankin, uno dei musicisti coinvolti, Venet ap- blues e jazz, e soprattutto la capacità di Ka- di Karen e avesse provato più volte a convin- parecchiò a New York uno studio conforte- ren di adattare i ritmi dei brani al battito del cerla a registrare finalmente un suo disco. vole e riuscì a vincere la paura della cantan- proprio cuore. Ne vengono fuori ballate ral- Alla fine, con uno stratagemma l’attirò in stu- te convincendola a registrare, ma solo a due lentate, dilatate, quasi oniriche. Confronta- dio e riuscì a catturare dei brani senza che condizioni: che si facesse tutto in una notte te se volete Blues On The Ceiling di Fred Neil, lei si accorgesse della presenza di un regi- e che ci fosse la presenza rassicurante di nella sua versione originale ritmata e saltel- stratore nascosto, rubandole la voce per una Freddie. Accompagnata da una band di ec- lante, con quella della Dalton strascicata e

45 tanto che ancor oggi le rare copie originali si vociferò di un progetto relativo ad un ter- che si trovano in vendita sono “forati”, cioè zo album, che per la prima volta avrebbe do- rimanenze di magazzino che venivano ven- vuto contenere composizioni scritte di suo dute a prezzi ribassati. Un paio di anni dopo pugno. Non se ne fece nulla. L’eroina aveva ci provò anche Michael Lang, l’organizzato- preso il posto di droghe leggere e anfetami- re del festival di , a far conosce- ne. Si arrabattava con lavoretti saltuari, tipo re al grande pubblico il talento immenso di la distribuzione di volantini pubblicitari per Karen, facendole incidere il secondo disco strada. Pete Stampfel, fondatore degli Holy solista sulla sua etichetta. Prodotto da -Har Modal Rounders ed ex collaboratore dei vey Brooks (ex Electric Flag e collaboratore Fugs, suo grande ammiratore (“la sua voce di Dylan e Miles Davis), In My Own Time faceva sembrare quella di Janis stridula (Just Sunshine / Paramount 6008, del 1971) come quella di Betty Boop”, disse di lei), cer- fu registrato nell’arco di sei mesi nei Bear- cò di coinvolgerla in diversi progetti. Provò sville Studios di proprietà di Albert Gros- prima a mettere in piedi una band insieme, sman, manager di Dylan. Rispetto al primo che purtroppo non andò oltre alcune prove; lavoro, questo fu un LP meno immediato, ar- l’accompagnò poi nelle rare uscite dal vivo ricchito da una strumentazione che preve- e la convinse a unirsi ai cori ubriaconi in quel- deva anche fiati e violino, a tratti appesan- la follia dei Rounders a titolo “Alleged In tito dagli arrangiamenti. Un buon lavoro, Their Own Time” (Rounder, del 1975). Per certamente inferiore al precedente, che un po’ il suo misero appartamento sulla ascoltato oggi lascia trasparire tutte le inten- 33esima strada divenne il luogo di ritrovo di zioni del produttore di rendere la cantante musicisti, anche jazz, ansiosi di essere coin- più pop e commerciale. Ancora una volta volti in jam sessions che la vedevano lead solo covers, che coprono uno spettro estre- vocalist. Chi la frequentò in quel periodo rac- mamente ampio, da Something On Your contò di una donna dalle molteplici perso- Mind dell’amico Dino Valenti, aWhen A Man nalità con dei lati oscuri, accentuati daboo - Loves A Woman resa immortale da Percy Sle- ze & smack, che la rendevano talvolta dge, da In My Own Dream di Paul Butter- estremamente emotiva, talaltra irritabile e field, aHow Sweet It Is (To Be Loved By You) insopportabile. portata al successo da Marvin Gaye, fino a Nel corso degli anni 80 la Dalton decise di In A Station della Band. A mio avviso, il mo- lasciare le Bright Lights e tornare in campa- mento più toccante rimane quello di Katie gna, trovando rifugio nella zona di Wood- Cruel, voce, banjo, violino (un violino stra- stock, dove l’accolse l’amico Peter Walker, ziante) e nient’altro. Per meglio farla cono- un brillante chitarrista che fu compagno d’a- straziante. Oppure ancora I Love You More scere a un pubblico non di nicchia, Lang cidi di Mr. Timothy “LSD” Leary e autore di Than Words Can Say, scritta da Eddie Floyd ebbe la folle idea di mandare la Dalton in Eu- due ottimi albums su Vanguard nei 60. Prima e Booker T per Otis Redding, che qui perde ropa ad aprire i concerti di nientepopodime- Walker le fece da angelo custode durante la i toni della preghiera soul e diventa una fi- no che Carlos Santana! Immaginatevi come sua permanenza in una bella casa lasciatale nestra aperta sullo sconforto che segue la la Nostra c’entrasse come il cavolo a meren- in prestito da un amico. Poi quando suben- rottura di una relazione amorosa. C’è tutto da con quelle arene gremite di adoranti am- trò la malattia la fece trasferire in untrailer, il repertorio emotivo della cantante in quel miratori del chitarrista messico-americano. una di quelle case mobili che piacciono tanto disco, il suo faticoso percorso alla ricerca del- Tant’è che Karen si esibì in qualche data, cer- agli americani, lì vicino dalle parti di Hurley. la felicità (Little Bit Of Rain, ancora di Neil), tamente a Stoccolma, ma rifiutò di mostrar- All’inizio non era chiaro di cosa soffrisse: ve- il legame viscerale al limite del doloroso con si in molte altre, saltando ad esempio quel- niva colta da fortissimi attacchi di febbre che la persona amata (It Hurts Me Too, basata la prestigiosissima del Festival Jazz di restavano senza spiegazione né nome. Infi- sulla versione di Elmore James), o ancora Montreux. Tornata in patria, la cantante vis- ne la diagnosi fu emessa, chiara e terribile: l’urgenza di seguire il destino, nonostante la se tutti gli anni 70 a New York in uno stato AIDS, quel nuovo virus che avrebbe stermi- paura di rimanere da sola (In The Evening di di forte povertà, alle prese con la sua dipen- nato milioni di persone fino alla scoperta di Leroy Carr). Venet racconta che quando il denza da alcol e droghe. Per qualche tempo farmaci come l’AZT. Come scrisse Susan Son- grande John Hammond sr. ascoltò le regi- tag nel suo “AIDS and Its Metaphors”, l’HIV strazioni di quell’album la sua reazione fu: diventò agli occhi dei benpensanti america- “Billie Holiday, tu puoi ascoltarla e collegare ni la malattia più demonizzata del decennio, il tuo malessere al suo. Ma con Karen non sostituendosi al cancro che lo era stato nei riesci ad andare oltre il suo dolore”. E Ham- dieci anni precedenti. Come tanti altri malati mond sapeva qualcosa di artiste travagliate nella sua stessa condizione, Karen fu trattata visto che aveva scoperto gente come Aretha come un paria costretta a vivere i suoi ultimi Franklin e la stessa Lady Day. Annie Fisher anni in condizione di semi isolamento. In re- del Village Voice dedicò al disco una recen- altà, più che la malattia, il vero problema per sione entusiastica dove decantava la forza lei era quello della mera sussistenza. Appena emotiva di quella voce, contrapponendola possibile faceva la spola con New York alla ad altre ben più illustri ma meno comunica- ricerca di lavoretti che le dessero quel poco tive (Baez, Collins e Mitchell). Dal punto di di cui aveva bisogno per tirare avanti. Poi, vista commerciale invece, come altri dischi improvvisa, la fine. La mattina del 19 -mar della Capitol di quel periodo, la promozione zo 1993 Walker scoprì il corpo della Dalton fu scarsa e le vendite quasi del tutto nulle, senza vita nel suo trailer. Racconta che ave-

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vano trascorso insieme la sera prima chiac- so di formazione della cantante e intuire cosa gli di giornale e appunti dell’artista. In futuro chierando serenamente di musica e l’aveva avrebbe potuto raggiungere come autrice se ci attendono un’uscita con altre registrazioni lasciata in preda ad uno dei suoi soliti acces- la povertà e la malattia non l’avessero blocca- inedite prevista dalla Delmore Recording So- si di febbre. Ancora una volta qualcuno volle ta. E la pubblicazione di quel libro fu quanto ciety e soprattutto un documentario intitola- rendere più romanzata la storia inventando- mai opportuna e tempista perché pochi anni to The Afterlife of Karen Dalton diretto dalla si una fine dajunkie nelle strade di New York, dopo la casa di Walker prese fuoco e bruciò regista svedese Charlotta Hayes che dovreb- mai avvenuta. Dopo la sua morte, Walker cer- fino alle fondamenta mandando in fumo mol- be uscire nel 2022, promette di essere mol- cò di salvare tutto il possibile dalla paranoia te delle memorie di Karen. Nel 2015 è usci- to ben documentato ed ha richiesto diversi dei vicini che volevano fare immediata pulizia to un interessante omaggio, Remembering anni di lavorazione per raccogliere una ric- nella roulotte per paura di prendersi la malat- Mountains - Unheard Songs By Karen Dalton ca messe d’interviste e testimonianze. Tan- tia (l’ignoranza...). Raccolse e archiviò tutto il (Tompkins Square) nel quale Walker ha aper- to materiale nuovo che diventerà utile per materiale: diari, testi di canzoni, appunti, ri- to il cassetto dei ricordi e prestato quei testi quando racconterò le mie storie ai nipotini tagli, che avrebbe usato per molte delle pub- scritti da Karen ad artiste come Lucinda Wil- per addormentarli. Forse dovrò rivedere un blicazioni postume. La (ri)scoperta della Dal- liams, Patty Griffin, Josephine Foster, Sharon po’ i dettagli della vicenda, anche se abban- ton iniziò fin dagli albori degli anni duemila, Van Etten che hanno musicato e interpreta- donare l’accostamento con Pocahontas mi grazie al movimento neo-folk americano ca- to i suoi versi portandoli in vita per la prima peserà non poco. Riscriverò di certo un nuo- pitanato da Devendra Banhart, e alla pubbli- volta. Nel 2019 è stata la volta del documen- vo finale, non più fra le strade di New York ma cazione dei tre lavori postumi di cui ho parla- tario A Bright Light della regista svizzera Em- in una roulotte isolata in collina. Non ci sarà to prima. Poi nel 2006 la ristampa del primo manuelle Antille, proiettato anche al Festi- nessuna tomba perché Karen non voleva fu- album su CD con accluso un DVD che conte- val di Montreux (per chiudere quel cerchio nerali né lapidi, e racconterò delle sue cene- neva quattro preziose registrazioni dal vivo di lasciato aperto dalla mancata esibizione del ri disperse dal figlio Johnny Lee fra i boschi di Karen catturate fra NY e Colorado del periodo 1971), che contiene interessanti testimonian- Woodstock. Spero che anche i miei nipoti si 1969-70, uniche sue testimonianze video co- ze di amici e collaboratori sul periodo in Colo- appassionino alle vicende della Billie Holiday nosciute. Poi è stata la volta del libro “Karen rado e gli ultimi giorni a Woodstock, ma tra- Bianca e che curiosi si avvicinino alla sua mu- Dalton – Songs, Poems and Writings” edito lascia la fase del Village. Infine da un paio di sica come hanno fatto i miei figli. Alla fine in da Peter Walker, che contiene testi di canzoni mesi la Megaphone ha ripubblicato su vini- cosa consiste l’immortalità se non nell’esse- rimaste inedite, appunti, taccuini e fogli sparsi le Cotton Eye Joe e Green Rocky Road raccol- re ricordati dai vivi? con le trascrizioni e le tablature dei brani che ti in un prezioso cofanetto a titoloRecording componevano il suo repertorio. Consiglio la Is The Trip – The Karen Dalton Archives, ar- lettura di quel materiale per capire il percor- ricchito da un libretto di memorie, foto, rita-

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