Il cinema italoamericano: dalla Nuova

Hollywood ai Sopranos e Quentin Tarantino

Orario delle lezioni Mart. 10/12 T19 Aula Cinema Gio. 10-12 T19 Aula Cinema

Ricevimento IV° PIANO Stanza 26

Martedì ore 12-13 Giovedì ore 12-13

Cose Importanti da ricordare come premessa al corso (1) - La nostra metodologia sarà in gran parte mutuata dai cosiddetti “Culture Studies” la cui data di nascita è tradizionalmente fissata alla fine degli anni Cinquanta con l’uscita dei lavori di Raymond Williams (Culture and society, 1958) e Richard Hoggart (The Uses of Literacy, 1957) e poi con la nascita del “Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS)” all’Università di Birmingham, fondato dallo stesso Hoggart nel 1968. In questa ottica i cultural studies studiano le strutture e i processi con cui le istituzioni della comunicazione di massa permettono la stabilità sociale e culturale. In pratica essi si applicano ad analizzare come la produzione dei mass media (e quindi anche del cinema) diventa parte di un sistema di pratiche per l’elaborazione della cultura (e viceversa).

Cose Importanti da ricordare come premessa al corso (2)

- Il che ci obbligherà a indagare alcune questione che apparentemente non hanno nulla a che fare con il cinema, per esempio sulla questioni dell’emigrazione italiana negli Usa che è alla base del cinema degli italoamericani.

- Il rapporto cinema letteratura come premessa al genere del cosiddetto “gangster movie”

- Il fatto che il gangster movie è diventato il genere in cui i registi di origine italiana spesso hanno dato il meglio di se stessi.

Il problema dell’hyphen (o dash ) - Il trattino corrisponde ad un approccio “multiculturale”, tipico degli anni Settanta che trasforma gran parte degli abitanti degli Stati Uniti in “ifenati”: ispano-americani, afro-americani, e quindi anche italo-americani. - Se l’ortografia rappresenta graficamente la storia culturale, esistono allora 5 modi diversi di scrivere questo aggettivo, che corrispondono a cinque diverse fasi di assimilazione dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti: italo americani (1870-1920), italo-americani (1930-1942), americani (1942-1960), italoamericani (1960-1990), americanitaliani (oggi) Gli Italo americani - In origine i due termini sono staccati: italo americani. - I meno dei sei milioni di italiani che emigrano in Nord America (nel periodo di esodo massimo, il primo decennio del Novecento, sono stati 2.394.000) sono portatori di un’identità nazionale debole, discriminati in patria da una parte consistente della classe dirigente italiana, sia per il pregiudizio antimeridionalista che scorre sotterraneo a tutta questa vicenda. Esso si nutre di quello razziale, sviluppatosi all’epoca all’interno del positivismo italiano, che vuole i settentrionali di razza bianca, mentre nei meridionali dalla pelle scura si sospetta la mescolanza di sangue africano. - Un sospetto che all’epoca gli uffici americani dell’immigrazione avevano fatto proprio, rilasciando alle due comunità due visti diversi, separandoli in origine e destinandoli gli uni a una rapida assimilazione, gli altri all’esclusione. Questo intrecciarsi di una questione razziale con quella etnico-culturale segna pesantemente la storia dell’immigrazione italiana negli Stati Uniti. - Per favorire una legislazione restrittiva dell’immigrazione, facendo leva su questi pregiudizi, la stampa e l’editoria popolare americane (e subito dopo il cinema) creano delle leggende mediatiche intorno all’immigrato meridionale, dipingendolo come istintivo, passionale, violento, e mafioso. In generale tale processo viene imputato alla xenofobia dell’americano bianco, legata alla prima grande ondata migratoria, ma l’emigrazione italiana viene discriminata e demonizzata perché all’epoca non ha MAI trovato in patria istituzioni o intellettuali pronti a schierarsi in sua difesa all’inizio del Novecento. Alcune cifre e date dell’emigrazione italiana Tra il 1861 e il 1985, gli italiani che hanno lasciato il proprio Paese sono stati circa 29 milioni: di questi, 10.275.000 sono successivamente tornati in Italia (il 35%), mentre 18.725.000 si sono definitivamente stabiliti all'estero (65%) senza farvi più ritorno. Se considerate che secondo il primo censimento fatto nel 1861 la popolazione italiana totalizzava circa 22 milioni di persone, possiamo constatare l’enormità di questa cifra. Si è trattato di un esodo che tocca tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 ha interessato prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento dell’intero contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli-Venezia Giulia (16,1 per cento) ed il Piemonte (12,5 per cento). Nei due decenni successivi il primato è andato alle regioni meridionali: con quasi tre milioni emigrati soltanto da Calabria, Campania e Sicilia. Si può distinguere l’emigrazione italiana in due grandi periodi: quello della “Grande emigrazione” tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del XX secolo (dove appunto fu preponderante in America, Nord e Sud) e quello successivo dell’emigrazione in Europa, iniziato a partire dagli anni Cinquanta soprattutto in Germania occidentale e Francia. Un capitolo finale è costituito dall’emigrazione interna seguita al boom economico degli anni Sessanta il Nord Italia. Alcune caratteristiche di tale immigrazione -La non assimilazione per lungo tempo - La cultura ancestrale e domestica conservata come nelle tombe - Vi sono implicazioni molto positive: gli emigrati per esempio danno vita a un ambiente dello spettacolo vivace e variegato, mantenendo le tradizioni dello teatro popolare italiano, dalla sceneggiata alla macchietta, dai classici al verismo, anche perché le autorità dell’immigrazione consentono accesso illimitato a quegli italiani che si dichiarino musicisti e attori – riconoscendo loro una legittimazione mai venuta meno. - Si tratta quindi di quella realtà e/o leggenda dell’Italia come di un paese di artisti e di portatore del bello.

Cosa accade nel cinema (e nell’arte? (1) Questa storia dell’emigrazione è scandita in cinque generazioni cinematografiche. La prima è quella passata sotto silenzio di attori che vanno dal quartiere newyorkese di Little Italy a Hollywood, come Cesare Gravina o Frank Puglia, e di registi come Robert Vignola e Frank Borzage, ma soprattutto di Rodolfo Valentino - un fenomeno divistico che sembra contraddire il sentimento antitaliano negli Stati Uniti degli anni Venti (il caso Sacco e Vanzetti). Il culto di Valentino incarna il rapporto di amore e odio che gli americani nutrono verso gli italiani, apprezzati quando ricordano loro il Bel Paese delle arti, della musica e dello spettacolo, ma odiati quando li invadono in masse maleodoranti. La contraddizione riaffiora nelle vicende sia del celebre tenore Enrico Caruso che dello stesso Valentino, emigrati di grande successo, coinvolti entrambi in accuse di omosessualità dalla stampa americana.

Cosa accade nel cinema (e nell’arte? (2) . La seconda generazione cinematografica italo-americana è quella “ifenata” degli anni Trenta che ha creato una propria industria culturale che va dal Quotidiano alla radio, alla produzione discografica e filmica. All’avvento del sonoro la comunità non assimilata viene messa in crisi da una Hollywood che parla solo inglese e da un cinema italiano ancora balbettante ma, facendo tesoro dell’esperienza del teatro immigrato e della radio italo-americana, avvia la produzione di film italo-americani, filmando il famoso macchiettista Farfariello (Edoardo Migliaccio, 1880- 1946) o la sceneggiata Santa Lucia Luntana, ambientata a New York e una ventina di altri titoli tra sonorizzazioni di film napoletani, corti musicali e sceneggiate autoctone. Questa produzione testimonia un balzo in avanti della cultura emigrata, che non è mai stato registrato e studiato in modo approfondito, nonostante il nostro sia il secondo cinema etnico, dopo quello yiddish, per numero di pellicole prodotte negli Stati Uniti. Negli stessi anni anche la letteratura italoamericana, fino ad allora scritta in italiano, adotta l’inglese e affronta a muso duro la cultura yankee, e nel caso di John Fante (il maggior scrittore italo-americano) arriva fino a Hollywood.

Cosa accade nel cinema (e nell’arte? (3)

. Nel momento in cui inizia a emergere una cultura italo-americana moderna, la guerra interrompe violentemente questo ciclo virtuoso: l’italiano diventa un nemico, per cui smette di parlare la sua lingua e americanizza il cognome, gettando via o meglio nascondendo le tracce dei propri gusti culturali, come dischi e libri in italiano. Per una generazione, a cavallo della seconda guerra mondiale e fino agli anni Sessanta, l’italianità viene soppressa a favore di un’assimilazione quasi integrale, con la compensazione del successo di Frank Sinatra. . Nel dopoguerra però l’attore di origine italiana viene riscattato dall’affermarsi del Neorealismo e talvolta compare in imitazioni d’importazione come Marty - (1955) di Delbert Mann. In questo celebre film, oltre all’italo-americano Ernest Borgnine che ne diventa il protagonista, lavora Esther Minciotti, che proviene dal teatro immigrato. Da questo momento è infatti l’affermazione del cinema italiano nel mondo con il suo impegno sociale e la sua densità artistico- culturale, a far scattare un meccanismo di cooptazione verso la comunità. I RAPPORTI TRA LA LETTERATURA E IL CINEMA POLIZIESCO Hollywood nel corso della sua storia ha creato due fondamentali figure simboliche contrapposte: . Il Gangster . Il Private-eye (il detective privato), derivato dalla letteratura hard-boiled. Tale espressione si riferisce ad un genere letterario diventato fondante per il cosiddetto film noir degli anni Quaranta a partire da The Maltese Falcon/Il mistero del falco (1941), opera prima di John Huston. Le basi sono nei romanzi di: . Dashiell Hammett (1894-1961, autore della celebre e archetipa figura di Sam Spade) verso la fine degli anni venti . Raymond Chandler (1888-1959, padre invece di Philip Marlowe) nei tardi anni trenta Questi due scrittori quasi coetanei sono diventati i padri fondatori dell’hard-boiled.

L’hard boiled, sia in letteratura che al cinema dove è diventato il marchio di fabbrica della star Humphrey Bogart, si contraddistingue per una rappresentazione per nulla sentimentale del crimine, della violenza e del sesso. Fin dalle sue origini il genere è stato pubblicato sulle riviste pulp, ad esempio la celeberrima “Black Mask”. Qui vedete la copertina della rivista del settembre 1929 con Il falcone maltese, uscito in forma di libro nel 1930 e poi diventato film nel 1941 per la regia di John Huston e l’interpretazione di Humphrey Bogart (nella parte del detective Sam Spade), Mary Astor e Peter Lorre.

. Molti racconti di tipo poliziesco (ma non solo) furono pubblicati da case

editrici specializzate in edizioni a basso costo, i “Pulp magazine”.

. Il pulp nacque nei primi anni Venti negli Stati Uniti con storie a puntate in riviste, in genere di 128 pagine, dalle sfolgoranti copertine tipo la già citata «Black Mask» ma con le pagine interne stampate su carta non rifilata di pasta di legno (in inglese appunto pulp), quindi di bassa qualità. . Negli anni Trenta il pulp ebbe il suo apice con pubblicazioni come «Weird Tales» (qui il primo numero del marzo del 1932) o «Amazing Stories» (foto del primo numero in aprile 1926) che si occupava di fantascienza. Perciò l’espressione “pulp fiction” è stata spesso usata come sinonimo per “hard- boiled”. . Tarantino ha voluto fare un omaggio a questo tipo di narrativa già dal poster del suo film.

Letteratura vs giornalismo Cosa c’entrano il razzismo e l’emigrazione?

. Le figure archetipe del detective privato e del gangster hanno in comune il fatto di essere entrambi degli individualisti che rappresenta un tipico aspetto della società americana. • Il detective è però un osservatore critico che guarda in modo quasi esterno e cinico ai fatti, • Il gangster incarna”il dinamismo amorale e le sue tragiche conseguenze”. . Una importante differenza: mentre la prima figura ha una importante derivazione letteraria, quella del gangster parte, invece, da elaborazioni di cronaca e da eventi giornalistici, tipici soprattutto dell’epoca del proibizionismo (1920-1933). . Quindi qui si saldano strettamente mass media a razzismo e al problema dell’emigrazione italo-americana in America. Il cinema delle origini e l’emigrazione: The Black Hand (1906)

Gli immigrati italiani vennero caratterizzati presto in maniera negativa nel cinema statunitense già a partire da film come Black Hand (1906) o The Cord of Life (1909) di David W. Griffith (. Nel film diretto da Wallace McCutcheon, i membri della "Mano Nera" rapiscono la figlia di un macellaio italoamericano per chiederne un riscatto di mille dollari. Il commerciante si rifiuta e collabora con la giustizia, portando all'arresto dei malviventi e alla liberazione della fanciulla. The Cord of Life (1909)

The Cord of Life (1909) di David W. Griffith invece mette in evidenza un altro cliché fortemente diffuso nella stampa all’epoca: quello del carattere violento, passionale e rissoso del meridionale italiano in contrapposizione a quello anglosassone. Ambientato tra emigrati siciliani, il film racconta di un uomo che si reca nell'appartamento di tal Galora per chiedere un prestito. Di fronte al rifiuto di quest'ultimo, lui giura vendetta e ritorna quando la moglie di Galora è da sola con il suo figlioletto. La donna si assenta. L’uomo afferra il bambino e lo appende alla finestra del quinto piano con una corda tenuta soltanto da una finestra chiusa. Il malvivente segue Galora; catturato dopo aver tentato di pugnalarlo, si vanta di quel che ha fatto al bambino. Il padre si precipita a casa un istante prima che la moglie apra la finestra, poi si fa aiutare dalla polizia per sporgersi da sopra la finestra e salva infine il piccolo.

Il cinema delle origini e l’emigrazione: The Musketeers of Pig Alley (1912) di David W. Griffith

La protagonista Lilian Diana Gish (1893–1993)

«L’immagine degli italiani è incrostata di stereotipi negativi nati in pratica con il cinema in un periodo di forte emigrazione italiana negli Stati Uniti; periodo in cui gli italiani, in quanto gruppo, non sono ancora assimilati. Ne deriva che questa “immagine cinematografica” è basata, per usare un eufemismo, su un buon numero di luoghi comuni (alcuni positivi, ma perlopiù negativi), che tra l’altro sopravvivono ancor oggi». (Peter Bondanella, Gli italoamericani e il cinema) La trama di The Musketeers of Pig Alley (1912) Snapper Kid (Elmer Booth) che è a capo di una gang (appunto “i moschettieri” del titolo), deruba un povero musicista nel corridoio del suo caseggiato del Lower East Side a New York, senza sapere che si tratta del fidanzato della sartina (Lilian Gish) su cui ha messo gli occhi. Mentre il musicista è lontano, la ragazza va in una sala da ballo. Qui c’è anche Snapper, il quale sorprende il boss di una banda rivale nell’atto di drogare la bevanda della ragazza. Lo affronta scatenando una guerra fra le due bande. Segue un agguato e una sparatoria. La polizia interviene ma il musicista, imbattutosi in Snapper, riesce ad rimpossessarsi dei suoi soldi, che gli servono per sposare la sartina. Quando il gangster si precipita dalla ragazza pretendendola per sé, lei le presenta il fidanzato e respinge il gangster, ma quando sta per essere arrestato dalla polizia, lei lo salva. Il gangster prende una mazzetta. Il cinema delle origini e l’emigrazione:The Immigrant (1917) di Charlie Chaplin

Una grande eccezione al mancato interesse del cinema americano per il fenomeno dell’emigrazione, è quello in chiave comica di Charles Spencer “Charlie” Chaplin (Londra 1889 – Corsier-sur- Vevey in Svizzera, 1977) attore, comico, regista, sceneggiatore, compositore e produttore cinematografico britannico, autore di oltre novanta film, tra i più importanti e influenti cineasti del XX° secolo. Chaplin diventa, già al suo secondo corto, noto per il personaggio •Charlie Chaplin e Edna Purviance al del "vagabondo" (The Tramp): un omino dalle raffinate maniere e la ristorante in dignità di un gentiluomo, vestito di una stretta giacchetta, pantaloni e L’emigrante scarpe più grandi della sua misura, una bombetta e un bastone da prodotto, interpretato e diretto passeggio in bambù; tipici del personaggio erano anche i baffetti e da Charlie Chaplin l'andatura. Charlot rappresenta così l'emblema dell'alienazione nell'era del progresso economico e industriale del Novecento. Quando gira The Immigrant nel 1917 era già famoso e una scena in particolare ha destato polemica: l’arrivo a New York dei passeggeri. Chaplin, per le sue idee, non è mai stato tanto tenero con gli americani… Gangsterismo e pregiudizi contro gli italiani • Negli anni ‘20 e ’30 gli emigrati italiani subivano, come i neri, grandi discriminazioni. Ciò anche (ma non solo) per la diffidenza esercitata dai nomi di alcuni celebri gangster come Al Capone a Chicago, Lucky Luciano e Frank Costello a New York. • Non erano solo gli emigrati italiani a commettere crimini o far parte di organizzazioni malavitose. A differenza, però, di altri gruppi etnici (ebrei, irlandesi, africani e asiatici) anch’essi coinvolti in attività criminali, solo gli italoamericani avevano illustri predecessori nel proprio paese d’origine come la mafia siciliana e la camorra napoletana, risalenti all’Ottocento. Ciò ha permesso una generalizzazione in parte impropria che ha fatto diventare gli emigrati italiani l’antenato mitico di tutto il crimine organizzato negli USA. • Fred Gardaphè ricorda come già dall’uscita di Scarface di Howard Hawks nel 1932, le associazioni italo-americane hanno tentato di combattere l’identificazione dell’italo- americano con il gangster, senza però riuscire a scalfire un cliché già allora radicato nella cultura americana. • Il cinema ha potentemente contribuito a riguardo: in una statistica elaborata dall’Italian Studies Institute (cfr. Ben Lawton) su un totale di 1057 film prodotti negli Usa tra il 1928 (anno di nascita del sonoro) e il 2000, che contengono riferimenti agli italiani, 287 (il 27%) li ritraggono positivamente mentre 770 (il 73%) li presentano in modo negativo.

- Fred Gardaphè, Capire il gangster italo-americano, un’azione di classe, in Anna Camaiti Hostert, Anthony Julian Tamburri, (a cura di), Scene italoamericane, Ed. Luca Sossella , Roma 2002, pp. 57-58. - Ben Lawton, La mafia e il cinema. Perché “ italo-americano” diventa sinonimo di crimine organizzato?, in Scene italoamericane, op. cit., p. 83.

Le situazioni topiche del gangster movie classico

Gli studiosi affermano che il gangster-movie ha avuto il notevole pregio di plasmarsi al mutare del quadro sociale e culturale, diventando una cartina al tornasole dei mutamenti socio-economici avvenuti nel Novecento americano. Jack Shadoian sintetizza così le situazioni tipiche di un film gangster: . Un uomo, una donna o un gruppo si oppone alla società; . Si descrivono le caratteristiche della società e degli emarginati che si oppongono alla stessa; per definizione il gangster è al di fuori o contro il legittimo ordine sociale; . Grazie alla struttura che distingue i membri della società dagli esclusi, il genere può affrontare qualsiasi problema quotidiano. Attraverso la giustapposizione, il contrasto, il paragone e l’analogia dell’ambiente e dei personaggi trai due “poli”, si può parlare dei problemi “caldi” della società americana (comunismo, malattie mentali, angosce nucleari, il ruolo della donna); . Il film gangsteristico/poliziesco si interessa del mondo della malavita opposto alla società legale. Esso ci offre un’ampia descrizione di questo Stato nello Stato. Jack Shadoian, Sogni e vicoli ciechi. Il cinema gangsteristico nella società americana, Ed. Dedalo Libri, Bari, 1980

Tra Realtà e finzione

. Fred Gardaphè afferma che il gangster conosciuto oggi è uno strano mix di realtà e finzione nato in risposta all’evoluzione del capitalismo manageriale agli inizi del XX secolo. A cavallo dei primi anni Trenta, le imprese di gangster quali Al Capone, John Dillinger, “Baby Face” Nelson, e “Pretty Boy” Floyd raggiunsero la notorietà, alimentando racconti romanzeschi e seducendo l’immaginario collettivo. . Gli americani si invaghivano del gangster, un uomo dalle umili origini che ostentava vestiti eleganti e automobili di lusso, sfidando le barriere tra le classi sociali. Da qui l’ascesa dell’iconografia legata a Al Capone nei “ruggenti” e dissoluti anni Venti. . Le pressioni delle forze religiose ultraconservatrici spinsero il Congresso americano ad approvare il Volstead Act (1919-1933), la legge che vietava la produzione e la vendita di alcolici. La delinquenza ebbe l’opportunità di prosperare grazie al mercato nero che ne derivò. . Al Capone è diventato il simbolo della gestione del potere in quella fase: le sue imprese facevano capire che non solo la criminalità rendeva ma rendeva bene. . Dalla sua leggenda e da quella di altri gangster sono nati molti film degli anni Trenta ed oltre. Fred Gardaphè, La figura del gangster nel cinema e nella letteratura americana , in Giuliana Muscio/Giovanni Spagnoletti (a cura di), Quei bravi ragazzi. Il cinema italoamericano contemporaneo, Marsilio, Venezia 2007, p. 55. L’importanza culturale del gangster nella società americana

. Rivelandosi molto più di una semplice evoluzione urbana del fuorilegge del western, il gangster è penetrato nella cultura americana in un momento in cui la società era attraversata da un profondo mutamento, e da allora vi è rimasto. Nel 1974 Richard Gambino ha sottolineato come «il mafioso gareggia con il cowboy per accaparrarsi il titolo di figura principale del folklore americano, e la Mafia gareggia con la vecchia frontiera americana come fonte di intrattenimento popolare». . Già prima Robert Warshow (in un saggio pionieristico molto famoso del 1948:The Gangster as Tragic Hero) ha colto questo nesso in maniera anche più sottile: «Il western, per quanto non sembri mai perdere popolarità, rappresenta ormai per la maggior parte di noi un’espressione folcloristica del passato, familiare e comprensibile solo in virtù della suo continuo ripetersi. Il gangster movie ci è molto più vicino. In modi che non riusciamo facilmente o volentieri a definire, il gangster è il nostro portavoce, esprime quella parte della psiche americana che rifiuta i caratteri e le pretese della vita moderna, che rifiuta l’”americanismo” stesso».

Richard Gambino, Blood of my blood: the dilemma of the Italian-Americans, Anchor 1974 Robert Warshow, Il gangster come eroe tragico in «Calibano 2», Roma 1978 Le ragioni della prima ondata di gangster movie nell’era Pre-code (1930-34)

. Si registra il profondo cambiamento della società in America con la nascita di un nuovo tipo di criminale. . Gli americani si invaghiscono del gangster di umili origini che ostenta vestiti eleganti e automobili di lusso. . Il tipico paradosso americano: da un lato gli Stati Uniti come regno delle possibilità infinite, dall’altro la speranza di una società democratica che vuole abbattere le vecchie classi sociali. . La materializzazione del sogno americano si esprime dunque in tre celebri film: Little Cesar/Piccolo cesare (di Mervyn LeRoy, 1930), The Public Enemy/Nemico pubblico (di William A. Wellman, 1931) e Scarface (di Howard Hawks, 1932). . Essi escono al momento giusto, intercettando un nervo scoperto dei tempi. Il codice Hays

•Il “Production Code” (1934-1967) è passato alla Storia come Codice Hays, dal nome del senatore William Harrinson Hays (1879-1954). • Il codice venne reso vincolante nel 1934 dalla Associazione dei produttori americani. • Per facilitare il compito dei produttori fu istituito un apposito ufficio al cui capo venne posto Joseph Breen (1888–1965) , che rimase in carica sino al 1954. • I tre principi generali del “Production Code”: 1) Non produrre film che abbassino gli standard morali degli spettatori; 2) Saranno presentati solo standard di vita corretti, con le sole limitazioni necessarie al dramma e all'intrattenimento; 3) La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo.

Le caratteristiche dei tre primi classici del gangster-movie - Mix di realismo da resoconti giornalistici e di mitologie del successo nate in un’epoca di trasformazione e miseria. - Si narra l’ascesa e caduta di un personaggio. - Tra dramma alla Shakespeare e cronaca del tempo. - L’atmosfera di pessimismo in cui le storie sono immerse. - La città oscura come teatro delle ambizioni del gangster ma anche luogo di morte. - La disintegrazione e la distruzione della famiglia. - Gli attori non sono mai quasi mai del gruppo etnico rappresentato. L’esempio più famoso: Rodolfo Valentino (1895-1926) morto a 31 anni di peritonite. - La figura del gangster viene esplicitamente legata ad un preciso gruppo sociale, in particolare quello degli italo-americani. Little Cesar/Piccolo cesare di Mervyn LeRoy (1930) . La trama: Caesar (En)rico Bandello (Edward G. Robinson) con l’amico Joe Massara (Douglas Fairbanks Jr.) arriva a Chicago e in breve scala i vertici della malavita. L’amico Joe invece preferisce fare il ballerino in coppia con Olga (Glenda Farrell). Per questo unico amico, Rico perde tutto, sfugge alla polizia e diventa un barbone. Ma un articolo di giornale lo porta di nuovo a sfidare la legge… . La memorabile interpretazione “fisica” di Edward. G. Robinson . Il film è tratto dal primo romanzo dallo stesso titolo uscito nel 1929 di William Riley (spesso abbreviato in W.B.) Burnett (1899 –1982), lo scrittore dai cui libri, oltre a Piccolo Cesare, sono stati tratti altri due grandi gangster-movie: Una pallottola per Roy (High Sierra, 1941) di Raoul Walsh e Giungla d'asfalto (The Asphalt Jungle, 1950) di John Huston. . Gli elementi della tragedia greca o shakespeariana nella parabola di questo personaggio che sfida tutto e tutti. . L’esplicita caratterizzazione italoamericana.

Public Enemy/Nemico pubblico di William A. Wellman (1931)

Con: James Cagney, Jean Harlow, Edward Woods, Beryl Mercer, Donald Cook, Joan Blondell, Mae Clarke. Trama: Tommy Powers (James Cagney), un giovanotto irlandese, è prima un giovane teppista di quartiere nel 1909, poi piccolo delinquente di zona nel 1915, sino a diventare un boss del contrabbando di birra nella ruggente New York dei primi anni del proibizionismo. Disprezzato per il suo lavoro dal fratello reduce di guerra (Edward Woods), farà una brutta fine: arrivato alle soglie dei vertici della società criminale, verrà scaricato… - Seconda produzione della Warner Bros. - Un affresco proletario raccontato in brevi episodi - La splendida interpretazione di James Cagney di straordinaria modernità - Fotografia chiara

Le tre H di Scarface: Howard Hawks

. A partire dalla produzione indipendente Scarface (1932), Howard Hawks (1896- 1977) lavorerà da free lance senza firmare contratti a lungo termine con le Majors. . Incredibile versatilità. Commedie: Twentieth Century (Ventesimo secolo, 1934) , Bringing Up Baby (Susanna, 1938), His Girl Friday (La signora del venerdì, 1940) a Ball of Fire (Colpo di fulmine, 1942); film di guerra e d’aviazione: Only Angels Have Wings (Gli avventurieri dell'aria, 1939), Sergeant York (Il sergente York,1941) o Air Force; film noir con la coppia Humphrey Bogart-Lauren Bacall: Have and to Have Not (Acque del sud, 1944) o The Big Sleep (Il grande sonno, 1946); western con John Wayne: Red River (Fiume rosso, 1948), The Big Sky, (Il grande cielo, 1952), Rio Bravo (Un dollaro d'onore, 1959), El Dorado (Id., 1967). Ma anche film d’azione, musical, fantascienza e peplum. . Ha lanciato attrici come Marilyn Monroe in Monkey Business (Il magnifico scherzo, 1952) o Gentlemen Prefer Blondes (Gli uomini preferiscono le bionde,1953). . Come Hitchcock, è stato scoperto dalla seconda metà degli anni Cinquanta dai giovani critici francesi dei “Cahiers du Cinéma” (poi diventati come Truffaut e Godard i maestri della “Nouvelle Vague”) come uno dei massimi registi americani. . Il suo talento si esprime in una tecnica «invisibile» e una cinepresa «a livello dello sguardo»; nei suoi film troviamo: la lotta fra i sessi, la determinazione, la velocità d'azione, il cameratismo, la collocazione dell'eroe sempre in situazioni di pericolo.

Le tre H di Scarface: Ben Hecht e Howard Hughes . Ben Hecht (1894-1964), commediografo, sceneggiatore, scrittore e giornalista, è stato definito lo “Shakespeare di Hollywood”. Autore di circa 70 sceneggiatore e di 35 libri, due volte premio Oscar (nel 1929 per Underworld di von Sternberg) è per alcuni critici LO sceneggiatore per eccellenza del cinema americano classico. . Ha lavorato con i maggiori registi a Hollywood come Hawks (Scarface, 1932; La signora del venerdì, 1940; Il magnifico scherzo, 1952), Ernst Lubitsch (Partita a quattro, 1933), Alfred Hitchcock (Io ti salverò, 1945, Notorious - L'amante perduta, 1946). . Howard Hughes, Jr. (1905 – 1976) è stato un miliardario, imprenditore, regista, aviatore e produttore cinematografico statunitense. È famoso per aver ideato, progettato e costruito diversi aeroplani e per il suo autodistruttivo ed eccentrico comportamento dovuto ad una malattia. . Tra i suoi film si ricordano Hell's Angels (Gli angeli dell'inferno, 1930), Scarface di Hawks, e il western misogino The Outlaw (Il mio corpo ti scalderà, 1940-50), iniziato da Hawks che poté uscire solo dopo anni di lotta con la censura. . Considerato l'uomo più ricco e potente degli Stati Uniti, ha avuto diversi guai con l'establishment politico e industriale, proprio a causa del carattere eccentrico. Dal 1948 al 1955 ha posseduto la Major RKO Pictures, che dovette però poi cedere in virtù delle leggi antitrust. Uguale sorte ebbe la sua casa di produzione di aerei, la Hughes Aircraft. . La sua vita avventurosa e bizzarra è stata spesso rievocata dal cinema (ad esempio in F for Fake, 1975 di Orson Welles) e dai media, nel 2004 la ha messa in scena Martin Scorsese in The Aviator per l’interpretazione di Leonardo Di Caprio.

Scarface di Howard Hawks (1932)

Trama: Ispirata alle vere gesta di Al Capone, la scalata al potere di Tony Camonte (Paul Muni) che diventa il n. 1 della criminalità organizzata di Chicago negli anni '20 finchè commette uno sbaglio: per gelosia della propria sorella Cesca (Ann Dvorak), uccide l'amico e complice Gino Rinaldo (George Raft).

• Girato nel 1930 uscì due anni dopo e ebbe molti guai con la censura. Il film subì diversi rimaneggiamenti e gli venne imposto il titolo Scarface, Shame of a Nation. • Doppio anzi triplo finale • Il protagonista è uno “psicopatico, uno squilibrato” • il film è stato scritto da Ben Hecht che rielabora temi già utilizzati nei suoi copioni precedenti. • Fred Gardaphè ricorda come già dall’uscita le associazioni italo- americane hanno tentato di combattere l’identificazione tra la loro etnica e il gangster, senza però riuscire a scalfire un cliché già allora radicato nella cultura americana.

Public Enemy/Nemico pubblico di William A. Wellman (1931)

Con: James Cagney, Jean Harlow, Edward Woods, Beryl Mercer, Donald Cook, Joan Blondell, Mae Clarke. Trama: Tommy Powers (James Cagney), un giovanotto irlandese, è prima un giovane teppista di quartiere nel 1909, poi piccolo delinquente di zona nel 1915, sino a diventare un boss del contrabbando di birra nella ruggente New York dei primi anni del proibizionismo. Disprezzato per il suo lavoro dal fratello reduce di guerra (Edward Woods), farà una brutta fine: arrivato alle soglie dei vertici della società criminale, verrà scaricato… - Seconda produzione della Warner Bros. - Un affresco proletario raccontato in brevi episodi - La splendida interpretazione di James Cagney di straordinaria modernità - Fotografia chiara

Scarface di Howard Hawks (1932)

Trama: Ispirata alle vere gesta di Al Capone, la scalata al potere di Tony Camonte (Paul Muni) che diventa il n. 1 della criminalità organizzata di Chicago negli anni '20 finchè commette uno sbaglio: per gelosia della propria sorella Cesca (Ann Dvorak), uccide l'amico e complice Gino Rinaldo (George Raft).

• Girato nel 1930 uscì due anni dopo e ebbe molti guai con la censura. Il film subì diversi rimaneggiamenti e gli venne imposto il titolo Scarface, Shame of a Nation. • Doppio anzi triplo finale • Il protagonista è uno “psicopatico, uno squilibrato” • il film è stato scritto da Ben Hecht che rielabora temi già utilizzati nei suoi copioni precedenti. • Fred Gardaphè ricorda come già dall’uscita le associazioni italo- americane hanno tentato di combattere l’identificazione tra la loro etnica e il gangster, senza però riuscire a scalfire un cliché già allora radicato nella cultura americana.

Le tre H di Scarface: Howard Hawks

. A partire dalla produzione indipendente Scarface (1932), Howard Hawks (1896- 1977) lavorerà da free lance senza firmare contratti a lungo termine con le Majors. . Incredibile versatilità. Commedie: Twentieth Century (Ventesimo secolo, 1934) , Bringing Up Baby (Susanna, 1938), His Girl Friday (La signora del venerdì, 1940) a Ball of Fire (Colpo di fulmine, 1942); film di guerra e d’aviazione: Only Angels Have Wings (Gli avventurieri dell'aria, 1939), Sergeant York (Il sergente York,1941) o Air Force; film noir con la coppia Humphrey Bogart-Lauren Bacall: Have and to Have Not (Acque del sud, 1944) o The Big Sleep (Il grande sonno, 1946); western con John Wayne: Red River (Fiume rosso, 1948), The Big Sky, (Il grande cielo, 1952), Rio Bravo (Un dollaro d'onore, 1959), El Dorado (Id., 1967). Ma anche film d’azione, musical, fantascienza e peplum. . Ha lanciato attrici come Marilyn Monroe in Monkey Business (Il magnifico scherzo, 1952) o Gentlemen Prefer Blondes (Gli uomini preferiscono le bionde,1953). . Come Hitchcock, è stato scoperto dalla seconda metà degli anni Cinquanta dai giovani critici francesi dei “Cahiers du Cinéma” (poi diventati come Truffaut e Godard i maestri della “Nouvelle Vague”) come uno dei massimi registi americani. . Il suo talento si esprime in una tecnica «invisibile» e una cinepresa «a livello dello sguardo»; nei suoi film troviamo: la lotta fra i sessi, la determinazione, la velocità d'azione, il cameratismo, la collocazione dell'eroe sempre in situazioni di pericolo.

Le tre H di Scarface: Ben Hecht e Howard Hughes . Ben Hecht (1894-1964), commediografo, sceneggiatore, scrittore e giornalista, è stato definito lo “Shakespeare di Hollywood”. Autore di circa 70 sceneggiatore e di 35 libri, due volte premio Oscar (nel 1929 per Underworld di von Sternberg) è per alcuni critici LO sceneggiatore per eccellenza del cinema americano classico. . Ha lavorato con i maggiori registi a Hollywood come Hawks (Scarface, 1932; La signora del venerdì, 1940; Il magnifico scherzo, 1952), Ernst Lubitsch (Partita a quattro, 1933), Alfred Hitchcock (Io ti salverò, 1945, Notorious - L'amante perduta, 1946). . Howard Hughes, Jr. (1905 – 1976) è stato un miliardario, imprenditore, regista, aviatore e produttore cinematografico statunitense. È famoso per aver ideato, progettato e costruito diversi aeroplani e per il suo autodistruttivo ed eccentrico comportamento dovuto ad una malattia. . Tra i suoi film si ricordano Hell's Angels (Gli angeli dell'inferno, 1930), Scarface di Hawks, e il western misogino The Outlaw (Il mio corpo ti scalderà, 1940-50), iniziato da Hawks che poté uscire solo dopo anni di lotta con la censura. . Considerato l'uomo più ricco e potente degli Stati Uniti, ha avuto diversi guai con l'establishment politico e industriale, proprio a causa del carattere eccentrico. Dal 1948 al 1955 ha posseduto la Major RKO Pictures, che dovette però poi cedere in virtù delle leggi antitrust. Uguale sorte ebbe la sua casa di produzione di aerei, la Hughes Aircraft. . La sua vita avventurosa e bizzarra è stata spesso rievocata dal cinema (ad esempio in F for Fake, 1975 di Orson Welles) e dai media, nel 2004 la ha messa in scena Martin Scorsese in The Aviator per l’interpretazione di Leonardo Di Caprio.

La metamorfosi del gangster movie dopo Scarface Dopo la fine del proibizionismo (1933) e l’introduzione vincolante del codice Hays (1934) iniziano delle importanti trasformazioni. L’enfasi nella lotta al gangsterismo rurale, la controffensiva propagandistica di Edgar J. Hoover e dell’FBI producono un ridimensionamento e trasformazione del gangster movie. Nasce una serie di film dove l’eroe è un agente dell’FBI o un infiltrato nella malavita, personaggi interpretati dalle stesse star che prima facevano i fuorilegge: La pattuglia dei senza paura (G-Men¸1935) di William Keighley, con James Cagney e Ann Dvorak oppure Le belve della città (Bullets or Ballots, 1936) sempre diretto da William Keighley con Edward G. Robinson. La Warner Bros. è restata nei decenni la Major che ha con maggiore decisione portato avanti il gangster movie, anche se non in maniera esclusiva. All’inizio degli anni Quaranta la figura del criminale entra in crisi e si affaccia prepotente ad osservare la scena del crimine il detective privato (Private Eye). Nell’epoca del film noir si assiste ad una trasformazione “esistenziale” del fuorilegge. All’entrata in guerra dell’America il 7 dicembre 1941 a seguito dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, gli Studios decisero di non produrre più gangster movie. A parte qualche caso isolato film “indipendente”, il genere risorgerà solo nella seconda metà degli anni Quaranta.

Raoul Walsh (1887 – 1980)

• Di famiglia irlandese, giramondo e cow-boy, lavora per la prima volta al cinema in una prima piccola parte a vent’anni nel 1907. D.W. Griffith lo lancia come attore (Nascita di una nazione, 1915, vedi foto) e aiuto-regista: “Osservavo il vecchio [Griffith], gli stavo sempre alle costole” ha scritto nell’autobiografia. • Ha avuto una delle più lunghe e feconde (oltre cento film) carriere della storia del cinema. Dal 1939 ha lavorato stabilmente alla Warner. • Rappresenta un esempio tipico del modo di produzione hollywoodiano classico per la capacità di realizzare film anche molto personali ma sempre rispettosi delle richieste dei produttori. • Artigiano di grande ed eclettico mestiere, tanto da essere spesso chiamato a sostituire altri registi in difficoltà, Walsh è un narratore impareggiabile (Storyteller), dal linguaggio spoglio ma efficace. • Ottimo direttore di attori, e bravo attore egli stesso (fino al 1929, quando perde un occhio) ha frequentato tutti i generi nel muto (Il ladro di Bagdad, 1924; Gloria, 1926) e poi nel sonoro. A suo agio, oltre che nel gangster movie, nel film d’avventure (Il mondo nelle mie braccia, 1952) e di guerra (Obiettivo Burma, 1955; Il nudo e il morto, 1958), ha realizzato eccellenti western (La storia del generale Custer, 1941; Notte senza fine, 1947; Gli amanti della città sepolta, 1949; Tamburi lontani, 1951; Gli implacabili, 1955). Tre capolavori di Raoul Walsh (1939-49) alla Warner

Humphrey Bogart, James Cagney, Jeffrey Lynn Dieci anni di gangster movie in breve

The Roaring Twenties (I ruggenti anni venti , 1939). Con James Cagney, Humphrey Bogart, Jeffrey Lynn, Priscilla Lane. Si tratta dell’ultimo grande film gangster dell’epoca d’oro di Hollywood. Iniziato da Anatole Litvak, venne passato a Walsh che ne fa una sorta di epitaffio dell’epoca del proibizionismo a pochi anni di distanza dai fatti. Molte qualità: perentorietà del racconto, immediatezza dell’azione, secca definizione dei personaggi. Il film termina con una frase storica: “He used to be a big shot” (Era uno che contava). High Sierra (Una pallottola per Roy, 1941). Con Humphrey Bogart, Ida Lupino, Arthur Kennedy, Cornel Wilde Dal romanzo omonimo High Sierra (1940) di W.R. Burnett, da lui sceneggiato con John Huston, fu una svolta nella carriera di Bogart, promosso a protagonista. Possiede tutti i requisiti di un buon gangster movie con un retrogusto di nobile malinconia che lo fa sconfinare nel noir introspettivo. Se dunque The Roaring Twenties chiude una fase del gangster movie alla fine degli anni Trenta, High Sierra è già significativo della nuova atmosfera “intimista” data dal film noir degli anni Quaranta White Heat (La furia umana , 1949). Con James Cagney, Virginia Mayo, Edmond O’Brien, Steve Cochran Un film di due epoche: appartiene agli anni ’30 per il ritmo veloce, il forsennato dinamismo, la recitazione spiccia; d’altro lato risente noir (l’interiorizzazione delle ragioni del protagonista; la malattia mentale). La brutalità del protagonista viene caratterizzata in modo psicotico nel suo attaccamento morboso alla madre. A differenza da altri gangster interpretati da Cagney che non muoiono da eroi, qui il personaggio di Cody Jarrett raggiunge l’immortalità.

Una nuova consapevolezza del crimine negli USA Il 10 maggio 1950 il Senato degli Stati Uniti costituì uno “Special Committee to Investigate Crime in Interstance Commerce” guidata dal senatore democratico Estes Kefauver (1903-1963). «Esiste un sindacato della delinquenza ramificato in tutto il Paese [...]. Le sue attività sono controllate da una corrotta e cinica associazione di gangster, politicanti venali, e uomini d'affari e di legge. Non c'è un capo supremo». Molti sono i dubbi sulla veridicità delle affermazioni della Commissione, tuttavia a partire da essa si inizia per la prima volta a parlare di Mafia negli Usa. •Kefauver: «Dietro le bande locali che formano l'insieme del sindacato nazionale della delinquenza c'è una misteriosa organizzazione criminale nota sotto il nome di Mafia». L’opinione pubblica americana, informata tramite il nuovo medium tv, si confrontò una seconda volta dopo il proibizionismo con la vastità del fenomeno criminale. • Ciò produsse un nuova ondata di gangster movie tra cui un nuovo genere a partire da Giungla d’asfalto (1950). The Asphalt Jungle/Giungla d’asfalto (1950)

Con: Sterling Hayden, Louis Calhern, Marilyn Monroe. Diretto da John Huston (1906-1987), Giungla d’asfalto inizia il caper film o heist film. • Col termine si definisce un particolare sottogenere del gangster movie in cui una banda organizza e mette in atto un grande furto in maniera avventurosa. • Classici esempi spaziano da Rififi (1955) di Jules Dassin a I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, da Le iene (1992) di Quentin Tarantino a Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco (2001) di Steven Soderbergh. • E’ un genere caratterizzato dalla preminente costruzione dei personaggi e dal grande ruolo del fato sugli eventi. • Qui un gruppo di gangster, su commissione di un avvocato in cattive acque, compie una rapina in una gioielleria. La banda, malgrado uno dei componenti resti gravemente ferito, porta a termine il colpo. Ma uno degli organizzatori finisce col confessare. L'avvocato preferirà il suicidio all’arresto. Ad uno ad uno gli uomini della banda vengono catturati o uccisi

The Killing/Rapina a mano armata (1956) Con Sterling Hayden, Coleen Gray, Marie Windsor, Elisha Cook Jr., Vince Edwards. Dal romanzo pulp Clean Break di Lionel White, sceneggiato da Stanley Kubrick con lo scrittore Jim Thompson, è il film che ha rivelato il grandissimo regista americano. Trama e protagonista principale sono più o meno identici a Giungla d’asfalto. La differenza trai due film è che quello di Huston è basato sulla costruzione psicologica dei personaggi, The Killing invece segue il romanzo originale nella rottura della continuità spazio-narrativa. .Lo spettatore segue l'azione secondo diverse prospettive. Questo procedimento troverà una rielaborazione in Le iene (1992) e Pulp Fiction (1994) di Tarantino o in Elephant (2003) di Gus van Sant. .Splendida la fotografia di Lucien Ballard contro cui il ventottenne Kubrick ebbe parecchio da combattere per imporsi. .Il protagonista Sterling Hayden (nome d’arte per Sterling Relyea Walter, 1916-1986) è stato un celebre attore degli anni cinquanta famoso anche per le sue scelte di fronte alla Commissione per le attività antiamericane di Joseph McCarthy (1908 -1957). Trai suoi film: Johnny Guitar (1954) di Nicholas Ray, Il dottor Stranamore (1964), sempre di Kubrick, Il padrino parte I (1971) di Francis Ford Coppola e infine Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci.

ARTHUR PENN (1911-2010) (1)

Dopo un apprendistato tra teatro e televisione, Arthur Penn (1911-2010) debutta nel cinema con un bel western psicanalitico: The Left-Handed Gun (Furia Selvaggia, 1958) tratto da un testo di Gore Vidal con un giovane Paul Newman nella parte del ribelle Billy The Kid. Dopo alcuni altri film, ritornerà al successo con The Chase (La caccia, 1966). Warren Beatty, questa volta anche in veste di produttore, recita una seconda volta dopo Mickey One (1965) per Arthur Penn in Bonnie and Clyde (Gangster story, 1967), film che ebbe uno straordinario successo nell’America della controcultura e della contestazione alla guerra nel Vietnam. E’ considerato un’opera o l’opera spartiacque della Nuova Hollywood. ARTHUR PENN (1911-2010) (2)

Arthur Penn è stato il primo regista del movimento della New Hollywood ad entrare in contatto con il gangster movie. Sarà seguito da molti altri come: Sam Pickinpah, Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, John Milius, Robert Altman, Michael Cimino, Walter Hill, Brian De Palma. Una delle caratteristiche del modo di lavorare di Penn è la cosiddetta “improvvisazione organizzata”: «Lascio molta libertà agli attori: chiedo loro di recitare in modo naturale e spontaneo. Considero Elia Kazan il più grande direttore di attori. Ha insegnato a tutti. E’ uno stile particolare; per metà improvvisazione e per metà controllo e guida. Si definisce un fatto, una situazione, con dei limiti ma al suo interno l’attore è libero di fare ciò che vuole».

Bonnie and Clyde (Gangster Story, 1967) Con Warren Beatty, , Gene Hackman, Gene Wilder, Michael J. Pollard, Estelle Parsons. Trama: Bonnie Parker è annoiata della vita e vorrebbe un cambiamento. Il mutamento arriva con l'incontro di Clyde Barrow. I due si innamorano e Bonnie decide di condividere la vita fuorilegge del compagno. .I due si spostano di continuo dall'Oklahoma al Texas, rapinando negozi e banche e cambiando auto e targhe: è un crescendo di violenza inarrestabile. Presto le loro gesta finiscono sui giornali, e Bonnie e Clyde diventano un duo celebre. La coppia lascia dietro di sé una lunga scia di sangue, molto del quale appartiene a poliziotti. Le polizie di diversi Stati li vogliono morti come infatti avverrà. Un vecchio uomo il cui figlio si è unito alla banda, li tradisce e avverte la polizia che tende una trappola alla coppia: la loro macchina crivellata da 1167 colpi sarà la tomba di una storia d'amore e di crimine. - Sceneggiato da David Newman e Robert Benton (e scritto per François Truffaut), il film ha avuto 11 nomination agli Oscar vincendone 2 per la fotografia di Burnett Guffey e l’attrice non protagonista Estelle Parsons. - Nel 2016 è stata realizzata una miniserie tv americana in due puntate, interpretata da Emilie Hirsch (Clyde) e Holliday Grainger (Bonnie) diretta dal regista inglese Bruce Beresford.

Le innovazioni di Bonnie and Clyde (1) - L’azione si sposta da un’ambientazione urbana ad una rurale, si rende la coppia simpatica agli spettatori e si esibisce una violenza prima impossibile da mostrare (codice Hays). - Il film si ispira alle vere “gesta” della Barrow Gang (foto) che compì una serie di crimini e rapine tra il 1932 e il 1934. - Penn ha sviluppato la storia passando attraverso Diversi momenti: comici, poetici, realistici, violenti e romantici.

Le innovazioni stilistiche in Bonnie and Clyde (2) Riguardo allo stile, Bonnie and Clyde è molto vicino alle sperimentazioni formali della Nouvelle Vague francese (e del Neorealismo italiano):  nella scelta di lavorare in esterni “veri.  Nell’uso dell’ellisse temporale.  Nell’inserimento nei titoli di testa di uno pseudo- documentario con vecchie fotografie in bianco e nero e delle didascalie biografiche.  Nell’uso di teleobiettivi dalla lunghezza focale molto lunga per annullare la profondità di campo.  Nell’uso a tratti della tecnica dello Straneamento.  Nell’uso di accellerati e ralenties per modificare il tradizionale tempo della narrazione.

La carriera di Roger Corman

-Corman (1926, Detroit) con John Cassavetes (1929-1989), il dir/actor è stato la maggiore personalità nel trapasso tra cinema classico e Moderno negli USA. E’ stato l’inventore e il re del film a basso costo, il Director/Producer “indi” per eccellenza del cinema americano. Ciò non significa che sia stato linguisticamente un innovatore. -Alla AIP (American International Picture) di James H. Nicholson (non Jack, l’attore) e Samuel Z. Arkoff gira e produce dal 1955 agli inizi degli anni Sessanta 23 B-movie o meglio di Exploitation . Si è creato una “famiglia” comprendente: Floyd Crosby (fotografia), Charles B. Griffitho Richard Matheson (sceneggiatura), David Haller (scenografie) e Ronald Stein (musica). - Tra il 1960 e il 1966 realizza un celebre ciclo horror di 9 film tratti da racconti o spunti di Edgar Allan Poe; poi gira The Wild Engels/I selvaggi (1966)e The Trip/Il serpente di fuoco (1967), due film fondamentali (1967) per la controcultura hippie dell’epoca, prima di Easy Rider (1969). - Nel 1971 al 48essimo film chiude la carriera di regista per dedicarsi alla produzione e la distribuzione. - Alla sua Factory sono passati : Jack Nicholson, Irwin Kershner, Monte Hellman, F.F. Coppola , P. Bogdanovich, Martin Scorsese, Jonathan Kaplan, Paul Bartel; e poi la generazione successiva degli “indie”: Johnatan Demme, Joe Dante, Ron Howard, ecc. Jack Nicholson:«nessun altro ci voleva. Per questo gli siamo tutti eternamente grati. Ma per averci potuto sottopagare, è lui ad esserci eternamente grato».

I tre Gangster movie di Corman Machine-Gun Kelly (La legge del mitra, 1958) Nel 1935, nel periodo post-proibizionismo, ascesa e caduta di George Kelly, detto Machine-Gun Kelly (Charles Bronson) per la destrezza nell’uso del mitra. Superstizioso e dominato dall’amante-madre Flò (Susan Cabot) l’uomo diventa ricco svaligiando banche, ma quando tenta il sequestro di una bambina, viene scoperto dalla polizia per la soffiata di un complice. St. Valentine's Day Massacre (Il massacro del giorno di San Valentino, 1967) Il 14 febbraio 1929 in un garage di Chicago, sette uomini della banda di Bugs Moran furono uccisi da quattro sicari due dei quali travestiti da poliziotti. Il mandante di questo regolamento di conti tra bande rivali era Al Capone (Jason Robards). Bloody Mama (Il clan dei Barker, 1970) Ritratto di un personaggio realmente esistito: Alice “Ma” Barker (Shelley Winters) che negli anni ‘30 spinse e guidò i suoi quattro figli al furto, alla rapina, all'omicidio e che, come loro, morì di morte violenta

IL CINEMA DELLA “NEW HOLLYWOOD” (1) Riassumiamo con Franco la Polla il fenomeno della “Nuova Hollywood” in cui i registi italoamericani avranno un ruolo decisivo. Il termine si usa per definire il periodo di passaggio negli Usa tra cinema classico e cinema moderno, temporalmente quindi tra circa il 1967 e il 1980 (dove torna ad essere dominante la figura del produttore e non del regista-produttore, l’autore, mutuato dall’Europa): 1. Incremento delle produzioni indipendenti 2. Piccoli budget produttivi 3. Ricerca di un pubblico giovane 4. Messa in questione dei valori etico-sociali sostenuti dal cinema precedente 5. Attenzione alla politica e al costume 6. Costruzione e stilemi di carattere documentaristico 7. Rinuncia agli Studios e ricerca degli spazi quotidiani 8. Ricambio delle leve registiche 9. Abbandono dello star system e lancio di volti nuovi 10. Revisione ideologica dei generi classici (Franco La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Il Castoro, Milano 2004, p.273)

IL CINEMA DELLA “NEW HOLLYWOOD” (2)

- Il concetto di “indipendenti” “Indie(s)” - Il concetto di Exploitation (pubblico giovanile, drive-in, uso delle sale di provincia, nascita di nuovi generi tra cui il “road movie”). - La rivisitazione dei generi classici in chiave “democratica” (gangster movie, western). - Il rapporto “Indies”- avanguardia e l’opposizione west/east cost (New York/Hollywood). - La differenza con le Nouvelle Vague europee. - Easy Rider (1969) di Dennis Hopper (1936-2010) con Peter Fonda costato circa 400.000$ ha reso alla distribuzione della Columbia 26 (o secondo altre fonti 40 milioni) di dollari.

Un sintetico tentativo di capire il cinema di Martin Scorsese (1) • Un cineasta testimoniale ma anche un Giano bifronte: la passione cinefila e la storia del cinema da una parte, la realtà etnica e culturale italoamericana dall’altra; con i film più di fiction (i musical, i remake, i film in costume) vs quelli di rilevazione della realtà. • Alcuni elementi ricorrenti nel suo cinema: l’insistere su alcuni spazi prediletti (la città di New York, e il quartiere della Little Italy); il ricorso alla musica rock e jazz (dal musical al film-concerto o più di recente le sue documentazioni musicali su Bob Dylan, i Rolling Stones, George Harrison); la frequentazione della realtà quotidiana attraverso i dialoghi; l’alternare film di budget a opere minori (talvolta non di fiction); esibizione della violenza. •Uso della tecnica dell’improvvisazione e delle “prove programmate”.

Un sintetico tentativo di capire il cinema di Martin Scorsese (2) • Un cinema “antropologico” declinato al maschile dove emerge un uomo in crisi che lotta contro l’ambiente, nella (talvolta vana) ricerca di una redenzione (il suo fondamentale elemento cattolico e religioso). • La mancanza nevrotica di sintonia con l’esistente - un elemento che si ritrova ossessivamente in moltissimi suoi film e personaggi. • La ricerca di una “famiglia” cinematografica (gli sceneggiatori Paul Schrader o Mardik Martin; la montatrice Thelma Schoonmaker (la sua collaboratrice più fedele), i direttori della fotografia: Michael Chapman, Michael Ballhaus) e il ricorso ad attori feticcio: Harvey Keitel, , Leonardo Di Caprio. • Uno stile sempre in bilico tra innovazione e tradizione, dentro e fuori il sistema: da ciò l’essere Scorsese il più hollywoodiano dei filmaker “indie”.

Gli inizi della carriera di Martin Scorsese . Martin Marcantonio Luciano Scorsese (Marty per gli amici) nasce il 17 novembre 1942 a Flushing (Long Island/N.Y.) da una famiglia operaia di origine siciliana. I genitori Luciano Charles Scorsese (New York 1913 – 1993) e Catherine (nata Catherine Cappa; New York, 1912 – 1997), entrambi attori in numerosi film del figlio, erano operai in una piccola azienda tessile e figli di immigranti arrivati negli Usa nel 1910, provenienti da Polizzi Generosa, (Palermo). Nel 1950 la famiglia, molto cattolica, per motivi economici si trasferisce a Little Italy. Dopo la conclusione della scuola nel 1956 Martin cerca di diventare un prete ma non essendo riuscito a entrare nel collegio dei gesuiti, si iscrive alla New York University per diventare insegnante. Qui conosce Brian De Palma che resterà sempre suo amico e Mardik Martin che diventerà co- sceneggiatore di alcuni suoi film (per esempio Mean Streets o New York, New York). . Alla New York University, Scorsese realizza una serie di cortometraggi: il suo primo What a Nice Girl like You Doing in a Place like This/Che ci fa una ragazza carina come te in un posto come questo (1963) in cui troviamo uno scrittore che acquista un quadro da cui è ossessionato e ne viene inglobato , prefigura per esempio il non•sense di King of Comedy (1983) . Il secondo It’s not joust You, Murray!/Non sei l’unico, Murray (1964) con finale felliniano rappresenta, invece, il primo nucleo di Mean Street nell’ambientazione malavitosa dove i due protagonisti cercano di fregarsi di tutto a vicenda, dai drinks alle donne. . Nel 1965 con 6.000 dollari del padre realizza la prima versione dal titolo Bring on the Dancing Girls di quello che dopo vari rimaneggiamenti e fatiche, diventerà il suo primo lm: Who’s That Knocking at My Door . Nel frattempo nel 1967 e a seguito di un viaggio in Europa realizza il suo cm migliore The Big Shave .

Who’s That Knocking at My Door? Con : Harvey Keitel (J.R.), Zina Bethune (Katy). Trama: Little Italy tre amici italoamericani J.R. (detto Charlie), Joey e Sally (detto Gagà) trascorrono le loro giornate tra i bar e le prostitute sino a giorno in cui J.R. incontra Katy e se ne innamora. Il sentimento è corrisposto, tanto che, la ragazza vorrebbe concederglisi, cosa che lui rifiuta in quanto cattolico convinto. La situazione precipita quando Katy gli racconta di essere stata violentata dal suo ex. J.R va su tutte le furie e se la prende con lei. Dopo una tremenda lite, il ragazzo corre in chiesa a raccontare la cosa al confessore. Sa benissimo che dovrebbe vincere una severità ingiusta ma non ci riesce. Il matrimonio fra Charlie e Katy non si ha da celebrare. - L’incipit del film è particolarmente significativo nell’ evidenziare la tradizione di una famiglia cattolica italoamericana e tutto il film sembra essere “una specie di brogliaccio di Mean Streets dove il racconto è subordinato alla descrizione dell’ambiente e dei personaggi sui temi dell’educazione sessuale, dell’etica sessuale e del maschilismo”. . - Il film esce nel 1969 accolto da un buon successo critico ma dopo 4 anni di lavoro e 3 differenti versioni (e titoli) prima di arrivare alla versione definitiva. Scorsese si dichiarava “influenzato da Godard e Cassavetes” per un opera ancora quasi amatoriale ma ancor’oggi molto godibile, girata a basso costo, in parte in 16 mm. . - Prima ancora di De Niro l’attore feticcio del primo Scorsese è Harvey Keitel (identificato solo da una sigla J.R.), una specie di “vitellone” che passa le giornate a perdere tempo con due amici Joey e Sally (Salvatore) detto Gagà. Sempre sugli inizi della carriera di Scorsese . Who’s That … vince vari premi (tra cui il primo premio al Festival di Sorrento del 1970). Già considerato uno dei più promettenti rappresentanti del giovane cinema americano , lavora al montaggio nel 1970 del documento musicale Woodstock (diretto dal suo amico e compagno di corso Michael Wadleigh). Si tratta del primo esempio di quella passione musicale, in particolare per il rock che diventerà parte integrante del suo cinema e attraverserà tutta la sua carriera artistica, a partire dallo straordinario The Last Waltz/L’ultimo walzer, 1978 che oltre ad essere l’ultimo concerto del superguppo “The Band” con Eric Clapton, Bob Dylan, Van Morison, Neil Young costituisce una sorta di addio alla musica degli anni Settanta; poi ha diretto Dal Mali al Mississippi (Feel Like Going Home, 2003), un documentario sulla nascita del blues, primo capitolo della serie The Blues, prodotta dallo stesso Scorsese; ed dei ritratti, delle star rock della sua generazione: nel 2005 No Direction Home, dedicato a Bob Dylan , nel 2008 Shine a Light, dedicato ai Rolling Stones; del 2011 infine è George Harrison: Living in the Material World, basato appunto sulla vita di Harrison. Trai suoi altri progetti non andati sinora a buon fine, troviamo anche un ritratto di Frank Sinatra. . Dopo una breve esperienza da insegnante universitario alla New York University e la collaborazione con i suoi studenti ad un documentario militante, Street Scenes, sulle manifestazioni anti Usa per l’intervento militare in Cambogia; poi esaurite le chanches universitarie, passa all’altra possibilità offerta allora ad un giovane: Roger Corman che gli propone il sequel di un suo successo, Bloody Mama/Il clan dei Barker. Scorsese realizza così nel 1972 il primo dei suoi film professionali (e su commissione): Boxcar Bertha (America 1929: sterminateli senza pietà). Il primo gangster movie: Boxcar Bertha (America 1929:sterminateli senza pietà, 1972) Trama: Bertha (Barbara Hershey), diciottenne rimasta orfana nell’America della Grande Depressione, conosce Big Bill Shelly (David Carradine), sindacalista del IWW. Poi si lega a Rake Brown (Barry Primus), un baro ebreo di cui diviene complice. Ritrovato Shelly, la ragazza riesce a liberare i due uomini dal carcere dove sono finiti insieme al nero Von (Bernie Casey). Il gruppo costituisce una banda che si getta in una serie di rapine per attaccare Sartoris (John Carradine), il padrone di una grande ferrovia. Nel finale gli uomini di Sartoris riescono a prendere Shelly ma vengono uccisi da Von. . Un nuovo mondo descritto, quello degli Hobo (vagabondi) e dei Wobblies, i militanti itineranti del sindacato radicale degli IWW. . Tratto dalle memorie di “Boxcar” Bertha Thompson, è un tipico film impegnato della New Left prodotto da Roger Corman: un melodramma proletario che riprende la visione alternativa della Grande Depressione dopo Bonnie and Clyde e Bloody Mama/Il clan dei Barker . . Si mostra già grande cinefilia utilizzando il duo Carradine: John e David, padre e figlio antagonisti nella vita e nella storia.

Il primo capolavoro: Mean Streets (1973) La trama: Charlie Cappa (Harvey Keitel), un giovane della Little Italy di New York, ha uno zio mafioso, che gli affida piccole missioni ma che vorrebbe farne un boss. Charlie, però, non riesce ad allontanarsi né dall’amico pazzoide Johnny Boy (Robert De Niro), che si mette sempre nei guai, né da Teresa Ronchelli (Amy Robinson), cugina di Johnny, una ragazza epilettica con cui ha una storia non ben vista dallo zio. L’amicizia lo porterà ad essere coinvolto in uno scontro a fuoco dove viene ucciso Johnny. - Su spinta di John Cassavetes e prodotto in maniera indipendente dal manager di Bob Dylan Jonathan Taplin con un budget bassissimo (mezzo milione di dollari), Mean Streets (1973), rappresenta una straordinaria ricognizione psico- sociologica sul quartiere di Little Italy e i suoi eroi a partire da un copione scritto nel ‘66 con Mardik Martin intitolato Season of the Witch (La stagione della strega). - Robert De Niro ha vinto il premio dei critici di New York come miglior attore protagonista in questo film.

Alcune affermazioni interessanti

Lo stile narrativo: “Ciò che amavo delle tecniche tipiche di Truffaut e di Godard dei primi anni ’60 era che la linearità della narrazione non era in primo piano. (…) Prendi un gangster movie americano tradizionale e analizzalo episodio per episodio, ma poi inizia dal centro della storia e muoviti avanti e indietro”. (In Scorsese secondo Scorsese a cura di Ian Christie e David Thompson, Ubulibri, Milano 2003, pp. 184-185). Little Italy: ”Il territorio di Little Italy era ben definito, così, spesso, gli abitanti di un isolato non uscivano con quelli di un altro. Elizabeth Street [il luogo dove erano nati i suoi genitori] era abitata prevalentemente da Siciliani, come i miei nonni, e lì la gente aveva le proprie regole e le proprie leggi. Non ci curavamo del governo, dei politici o della polizia: noi sentivamo che il nostro modo di vivere era quello giusto. […] In Mean Street, Charlie è incollato a quel posto: non pensa di prendere un ristorante nel Greenwich Village, perché la sua anima è incollata lì.” (Ivi , pag. 28). La violenza: ”Marty ha sempre ritenuto che la violenza debba essere mostrata in un film per affermare un punto di vista morale. Se è realistica, o addirittura disturbante, è per una ragione ben precisa. Non serve a divertire; è un modo per mostrare come queste persone hanno scelto di vivere. In Casinò la violenza lascia una sensazione di grande tristezza. Sotto questo punto di vista è molto diverso da Quei bravi ragazzi. Racconta la fine di un’epoca. In Quei bravi ragazzi, invece la violenza è improvvisa, inattesa e scioccante. Parte del compito del montaggio è di far sì che la violenza sembri vera”. (Thelma Schoonmaker in Martin Scorsese, Il bello del mio mestiere, Minimum fax, Roma, 2002, pp. 108-109). Elementi distintivi di Mean Streets - I protagonisti sono degli antieroi frustrati e solitari, pieni di sogni e illusioni che si trasformano in portatori di ossessioni spesso irrealizzabili. - In questo film troviamo una duplice conflittualità tematica: quella relativa al contrasto male/bene, religione/criminalità. E quella relativa al contrasto italianità/americanità. - Due grandi innovazioni rispetto al gangster-movie: 1) la vicenda si basa su esperienze autobiografiche: «Sono cresciuto con loro, con i gangster e con i preti. Volevo fare il prete. Penso che la passione che avevo per la religione ha finito per mischiarsi con quella per i film e ora da artista, in un certo senso sono tutti e due: un gangster e un prete» 2) Si racconta la piccola criminalità di quartiere. - L’uso diversificato della musica - La cinefilia - La violenza - A livello stilistico notiamo un punto in comune con l’Arthur Penn di Bonnie and Clyde: la stessa ammirazione per la Nouvelle Vague francese. Infatti troviamo l’uso di: ralenties, accellerati e carrellate ottiche per rendere percepibili allo spettatore le psicologie dei personaggi. - Il tema centrale dell’amicizia virile è sviluppato con sufficiente ricchezza psicologica a spiegare le emozioni che vengono mostrate.

La carriera di Scorsese in breve (1) - Il successo di critica di Mean Street attira l’interesse delle Major sul giovane regista e la Warner (la più attenta ai nuovi talenti) lo ingaggia per il primo dei suoi film hollywoodiani: Alice Doesn’t Live Here Anymore (Alice non abita più qui, 1974) . Il film ha degli scompensi, è un po’ lungo al centro ma ha anche dei momenti favolosi dovuti soprattutto al lavoro sulla protagonista, Ellen Burstyn. Il cantante, Kris Kristofferson, notissimo all’epoca e poi attore, compare solo nel secondo tempo mentre c’è un bel cammeo di Harvey Keitel nella parte dell’innamorato psicopatico. Anche se sembra un film di viaggio, in effetti, Scorsese non fa affatto un road-movie né è interessato più di tanto all’introspezione psicologica dei personaggi. La passione per il musical, poi culminato nel successivo New York, New York (1977) si vede nelle varie (ma piccole) apparizioni della protagonista. - La consacrazione definitiva di Scorsese regista avverrà nel 1976 al Festival di Cannes con quell’indimenticabile saggio sulla freddezza e solitudine metropolitana che è Taxi Driver (1976), uno dei massimi capolavori del cinema americano moderno grazie anche alla presenza di De Niro e la sceneggiatura di Paul Schrader (scritta in 15 giorni e ispiratosi alla Nausea di Sartre). Qui per la prima volta il film maker newyorkese dimostra di saper filmare la violenza con una freddezza documentaria e uno stile inconfondibile (grandi polemiche sul finale violento). Il film può essere letto anche – come è stato fatto - come una parafrasi urbana di The Searchers (Sentieri selvaggi , 1956) di John Ford. De Niro è eccellente nel rendere l’ambigua schizofrenia di Travis Bike, il pazzo protagonista. Ultima colonna musicale di Bernard Herrmann, il musicista preferito di Alfred Hitchcock, e grande fotografia surrealista e notturna di Michael Chapman.

La carriera di Scorsese in breve (2) - Il grande successo di pubblico di Taxi Driver apre definitivamente le porte di Hollywood a Scorsese tanto che la più conservatrice delle Majors, la MGM, gli commissiona un musical con Liza Minnelli piuttosto costoso (9 mill. di dollari e 22 settimane di lavorazione), New York New York che nell’essere un omaggio ad un grande e nascosto cineasta italoamericano, Vincent Minelli, corona un grande sogno cinefilo di Scorsese. - Dopo un’altra delle sue massime vette Toro scatenato (1980) e dal film successivo - anch’esso non un grande successo - King of Comedy (Re per una notte , 1983), una commedia nera sul rampantismo tv, interpretata da un persino troppo sopra le righe Bob De Niro e un Jerry Lewis, invece, quasi programmaticamente smorzato, Scorsese ha costruito una propria strategia di sopravvivenza nello show-business americano. - Ha diviso il proprio impegno tra film molto personali dove è tornato su uno dei suoi temi preferiti, quello del riscatto dalla violenza ma che sono stati degli insuccessi al botteghino (e quindi lo hanno indebolito contrattualmente) come il già citato Toro scatenato o The Last Tentation of Christ (L’ultima tentazione di Cristo, 1988, con grandi polemiche negli USA) (entrambi sceneggiati da Paul Schrader) o la megaproduzione Miramax Gang of New York (2002); dei piccoli progetti “indi” come After Hours (Fuori orario , 1985, prodotto dall’attore-protagonista Griffin Dunne) e infine dei progetti prettamente commerciali (ma non perciò anonimi o dei flop artistici) tipo i remaks di alcuni classici degli inizi degli anni Sessanta: The Hustler (Lo spaccone di Robert Rossen , 1961 con Paul Newman) diventato The Color of Money (Il colore dei soldi , 1986) oppure Cape Fear (Il promontorio della paura ,1991) dall’originale di Jack Lee Thomson (1962, con G. Peck e R. Mitchum che cinelifisticamente Scorsese fa riapparire nella sua versione in un “cammeo”). . La carriera di Scorsese in breve (3): la passione per la musica Accanto alla passione per il musical, espressa per esempio in New York, New York (1977) già ai tempi all’università Scorsese aveva lavorato al montaggio nel 1970 del documento musicale Woodstock (diretto dal suo amico e compagno di corso Michael Wadleigh). La musica rock diventerà parte integrante del suo cinema e attraverserà tutta la sua carriera artistica, a partire dallo straordinario The Last Waltz (L’ultimo walzer, 1978 )che oltre ad essere l’ultimo concerto del superguppo “The Band” con Eric Clapton, Bob Dylan, Van Morison, Neil Young costituisce una sorta di addio alla musica degli anni Settanta; poi ha diretto Feel Like Going Home (Dal Mali al Mississippi , 2003), un documentario sulla nascita del blues, primo capitolo della serie The Blues, prodotta dallo stesso Scorsese; ed dei ritratti, alcuni veramente notevoli delle star rock della sua generazione: nel 2005 No Direction Home, dedicato a Bob Dylan e nel 2008 Shine a Light, dedicato ai Rolling Stones; del 2011 infine è George Harrison: Living in the Material World un documentario, basato sulla vita di George Harrison. Trai suoi altri progetti non andati sinora a buon fine, troviamo anche un ritratto di Frank Sinatra. Insomma un bel curriculum musicale, da fare invidia a qualunque altro cineasta americano.

La carriera di Scorsese in breve (4)

- Negli anni Novanta dopo l’eccezionale Good Fellas (Quei bravi ragazzi, 1990) in cui con sguardo da antropologo ed entomologo torna ad osservare la mafia e i gangster, Scorsese sembra essere entrato in una fase di trapasso dove si sono alternati grandi film come The Age of Innocence (L’eta dell’innocenza, 1993), il bellissimo Casinò (1995, ultima parte della “trilogia della mafia”) a opere “minori “come di sicuro Kundun (1997) – film buddista poco nelle sue corde cattoliche – o il troppo sottovalutato Bring Out the Dead (Al di là della vita , 1999), altro importante film “testimoniale” su New York, sceneggiato da Paul Schrader e interpretato da Nicolas Cage. - A partire dagli anni 2000 Scorsese si è espresso sia in ottimi documentari e documentazioni musicali sia nei film di fiction dove però di rado ha mai raggiunto i livelli del passato: Gang of New York (2002) - ennesimo flop commerciale, frutto di una lotta titanica contro il produttore della Miramax Harvey Weinstin che ha imposto in postproduzione di ridurre il film a circa due ore e mezzo, (168’ per la precisione), le previste 4 ore e passa del primo montaggio di Scorsese – ad esempio è stato definito dal critico Morando Morandini “un film antropologico imperfetto e ricco di bagliori che rappresenta probabilmente il capolavoro mancato del più grande regista americano vivente” (Morandini). Di The Aviator, invece, si può dire che è stata un’ altra opera controversa, una magaproduzione un po’ anonima di 100 milioni di dollari con protagonista per la seconda volta Leonardo Di Caprio che da allora in poi è diventato l’attore feticcio dello Scorsese del terzo millennio. Si racconta l’avventurosa vita di Howard Hughes, imprenditore, regista, aviatore e produttore cinematografico statunitense (il primo Scarface).

La carriera di Scorsese in breve (5) - Anche The Departed (The Departed - Il bene e il male, 2006, remake del film honkonghese di Andrew Lau, Infernal Affairs , 2002), uno strano poliziesco molto diverso dai precedenti, ha diviso la critica anche se ha un bel cast e Martin Scorsese abbia tentato strade nuove di racconto. - Dopo aver ricevuto nel gennaio 2010 il Golden Globe alla carriera, nello stesso anno esce la quarta collaborazione fra il regista e DiCaprio, Shutter Island un thriller psicologico tratto dall'omonimo romanzo di Dennis Lehane (2003). Nel film il protagonista, l'agente dell'FBI Teddy Daniels, si trova ad affrontare, durante un'indagine in un inquietante ospedale psichiatrico, le sue paure e i suoi traumi irrisolti. La pellicola è un'occasione per Scorsese di cimentarsi in un film di genere al confine fra horror e thriller. - Con Hugo (Hugo Cabret, 2011) tratto dal romanzo La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, Scorsese si è cimentato con il 3D dove ha cercato di utilizzare il potenziale di questa nuova tecnologia ai massimi livelli, convincendo la critica cinematografica e vincendo 5 Oscar. - Il sodalizio con Leonardo DiCaprio continua con l'adattamento cinematografico di The Wolf of Wall Street (2013) tratto dal libro omonimo e autobiografico di Jordan Belfort (2007). Un ritorno allo stile di Quei bravi ragazzi per un'analisi del mondo degli yuppies di fine anni ottanta, fra eccessi dettati dal denaro, sesso e droga. A oggi il suo ultimo film è Silence (2016), opera sul quale stava lavorando da vent'anni, con Andrew Garfield, Adam Driver e Liam Neeson nei panni di tre padri gesuiti perseguitati a causa della loro fede cristiana e segna il ritorno alla collaborazione con Scorsese dello sceneggiatore Jay Cocks, che già aveva scritto Gangs of New York e L'età dell'innocenza. E’ tratto dal romanzo storico Silenzio dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, che ripropone le persecuzioni subite dai cristiani durante il periodo Tokugawa nella prima metà del XVII secolo in Giappone. - Il 26 settembre 2018 ha ottenuto la cittadinanza italiana dopo aver formulato la richiesta nel 2005.

ITALIANAMERICAN (1974)

E’ quello che lo stesso regista ha definito un “film corollario”: Italianamerican del 1974, realizzato in attesa del bicentenario della nascita degli Stati Uniti e prima di iniziare a lavorare a Taxi Driver. I protagonisti del documentario sono lo stesso Scorsese, sua madre Catherine (che era già apparsa in film precedenti come Mean Streets e continuerà ad apparire in Quei bravi ragazzi e Casinò) e suo padre Charles.

Trama: Gli Scorsese parlano della loro esperienza da immigrati italiani a New York, mentre cenano nel loro appartamento di Elizabeth Street. Catherine insegna a cucinare delle polpette. Gli argomenti spaziano dalla famiglia alla fede, le loro origini, i parenti italiani, la vita in Italia nel dopoguerra, le condizioni di vita degli immigrati italiani negli Stati Uniti.

Raging Bull(Toro Scatenato) (1980)

Con: Robert De Niro (Jake Ka Motta), Joe Pesci, Cathy Moriarty, Coley Wallace, Frank Adonis, James V. Christy. Trama: Proveniente dall'ambiente italo-americano e dalla miseria, Jake La Motta (in foto, 1922-2017), è cosciente e orgoglioso della propria forza taurina e, con il nomignolo di "Toro del Bronx", nel 1941, inizia la sua carriera trionfale nel mondo della boxe. Ribelle a qualsiasi condizionamento, rifiuta le protezioni mafiose di Tommy Comoe e famiglia; praticamente gestisce se stesso con il solo aiuto del fratello Joey (Joe Pesci) nelle vesti di manager. Nel frattempo, di carattere duro e primitivo, abbandona la moglie ebrea e sposa Vickie (Cathy Moriarty), una ragazza che, a causa della sua bellezza, lo renderà sempre più geloso e tirannico. Le sue vittorie lo portano di diritto ad essere il candidato per la corona mondiale dei pesi medi. Raging Bull (2)

- Toro scatenato contiene un alto tasso di italoamericanità a partire dal mestiere, quello del pugile, immortalato anche in Rocky Balboa da un altro italoamericano Silvester Stallone (a partire dal primo film della serie nel 1976 diretto da John G. Avildsen) e dalla figura storica del protagonista. - Sceneggiato da Paul Schrader e Mardik Martin che si sono ispirati alla sua autobiografia, è la storia del campione mondiale dei pesi medi, il newyorkese Jake LaMotta, detto appunto “il Toro del Bronx” per le sue capacità di picchiatore, ma soprattutto di incassatore. Conquistò il titolo nel 1949 contro Marcel Cerdan e lo cedette a Ray Sugar Robinson nel 1951. - Costato quattordici milioni di dollari e due anni di lavoro, è un violento film sulla violenza, in cui la boxe è un supporto per il ritratto di un uomo eccezionale sul ring, ma esemplare, nella sua normalità, in privato come prodotto avvelenato di una cultura, di un ambiente, di una società. Di questo mondo, fondato sulla violenza, Scorsese suggerisce la dimensione sociale di sfruttamento, mostrandone il funzionamento, con estrema finezza. - Il miglior film di ambiente pugilistico della storia del cinema. Preparatosi alla parte con un puntiglioso allenamento e aumentando di una trentina di chili, R. De Niro è sensazionale per la paranoica furia e l’umorismo sardonico con cui s’è calato nel personaggio. . La splendida fotografia in bianconero di Michael Chapman, di potenza spettrale, è di una ricchezza cromatica che il colore avrebbe difficilmente raggiunto. - Oscar a De Niro come miglior attore e a Thelma Schoonmaker per il montaggio. The Last Tempation of Christ (1988) Con: Con: Willem Dafoe, Harvey Keitel, Barbara Hershey,David Bowie, Verna Bloom, Harry Dean Stanton. Trama: Gesù falegname fabbrica croci per i Romani. Rimproverato da Giuda, inizia la predicazione; poi, perché il suo destino si compia, chiede a Giuda di tradirlo e, sulla croce, ultima tentazione, sogna la vita che avrebbe fatto sposando la Maddalena. - The Last Tentation of Christ (1988) è il film forse più ambizioso e irrisolto di Scorsese, di sicuro il suo più difficile oltre ad essere a detta di molti molto affascinante. In esso il regista ha dato un potente contributo ad uno degli aspetti salienti della sua personalità poliedrica, il rapporto con la religione cattolica e al tempo stesso una sua personale forma di confronto con la tradizione italoamericana – il che costituisce un altro potente punto di contatto con Roberto Rossellini, l’altro maestro del cinema di matrice cattolica. Se prendiamo l’endiadi gangster-prete, alla prima opzione gangster ha dedicato diversi film mentre all’altra, ha dedicato solo L’ultima tentazione di Cristo (insieme a forse Silence, 2016) . Il che lo rende fondamentale nella filmografia del suo autore. - Tratto dall’omonimo romanzo (1951) di Nikos Kazantzakis ( 1883 - 1957) – uno dei maggiori scrittori e poeti greci del XX secolo, ma anche giornalista, filosofo e uomo di stato – e sceneggiato da Paul Schrader, si alimenta di tre idee strutturali.

The Last Tempation of Christ (2)

- - La prima è di raccontare un uomo che tenta di opporsi alla scoperta della propria divinità e che avrebbe potuto vivere una vita comune, ma è costretto ad accettare la sua missione, ubbidendo a Dio padre. Questa è la parte che ha dato esca allo scandalo e ha fatto sì che ancor prima che uscisse avesse provocato le proteste dei cattolici americani più conservatori. - La seconda idea è il rapporto di Gesù (William Dafoe) sia con Giuda (Harvey Keitel), presentato come il primo, il più intelligente e appassionato dei suoi seguaci, costretto a tradirlo dal disegno divino, e sia con Maria Maddalena (Barbara Hershey), diventata prostituta a causa del suo rifiuto di amarla. -La terza idea è la dimensione figurativa: Scorsese rifiuta tutti e tre modelli cinematografici del passato a sua disposizione (il colossal hollywoodiano, Rossellini, Pasolini) e persegue una propria via, discutibile ma sicuramente personale. Recupera la cultura cattolica meridionale di Little Italy di cui s’è alimentato nell’infanzia, la filtra attraverso la sua memoria di cinéphile onnivoro e la “cristologia” rock degli anni ‘70 (eloquente la scelta di Peter Gabriel per le musiche) e tenta persino di rappresentare Cristo in modi “barbarici” come potrebbero vederlo uomini africani o latino-americani, di cultura diversa da quella euro-occidentale. - Il suo è un Dio delle debolezze che ha preso sul serio l’incarnazione e che ha uno spessore teologico maggiore di quel che è sembrato alla maggioranza dei critici e dei cattolici scandalizzati. . La trilogia della mafia: Mean Streets, Goodfellas (1990) e Casinò (1996)

• La “trilogia della mafia” è imperniata su elementi biografici e documentari per analizzare varie tipologie di criminalità italoamericana. • Da spunti autobiografici Scorsese costruisce in Mean Streets un affresco sulla gioventù sbandata della Little Italy a New York. Sempre attingendo da personali esperienze di giovinezza, in Quei bravi ragazzi si disegna un minuzioso ritratto della “piccola mafia” newyorkese che sogna di fare il salto in alto. Infine in Casinò si esaminano i modi in cui la mafia amministra il suo impero a Las Vegas. • Mentre Mean Streets parte da un copione scritto nel ’66, i film successivi sono tratti da libri del giornalista Nicholas Pileggi (1933): Wiseguy (Il delitto paga bene, 1986) e Casino: Love and Honor in Las Vegas (1995) basati su storie vere. • Goodfellas e Casinò hanno elementi stilistici comuni: la narrazione con la voce fuori campo, l’uso di una struttura diegetica non lineare, il “pedinamento” psicologico dei personaggi, il dinamismo dello sguardo dai titoli di testa a il reiterato uso dei piani-sequenza. • Solo in Casinò che è anche la storia di un triangolo amoroso il personaggio femminile ha una certa rilevanza. • Lo sguardo da entomologo di Scorsese: comportamenti e riti familiari, differenze etniche, come i gangster lavorano, si vestono, stanno in cucina o si divertono. • A differenza di Coppola non c’è l’epica della famiglia mafiosa ma una relazione clinica sul loro essere.

Sulla genesi di Casinò

« Nel quartiere di New York dove sono nato, Little Italy, tra gli operai e i piccoli borghesi, Las Vegas era considerata una sorta di Camelot, un regno di magia […] I veri boss, non lasciavano mai il quartiere. Erano talmente conosciuti che non potevano mettere piede a Las Vegas. Un ambiente toccato direttamente dal crimine organizzato … era quello dello showbusiness. Tutto è cominciato a partire dagli anni ’20 con gli speakeasy [il luogo dove si trova ciò che è illecito], bar o locali notturni nei quali venivano serviti alcolici durante il proibizionismo. E’ stato allora che i veri gangster sono entrati in ballo. La mafia ha approfittato di tutto quello che l’America poteva offrire (il proibizionismo rendeva illegali tutte le attività collegate all’alcool) per fondare un vero e proprio impero. Era soprattutto la mafia siciliana. Dopo il proibizionismo gli speakeasy sono diventati night club sempre di proprietà dei gangster. Nicolas Pileggi, mi ha spiegato che durante gli anni ’70, ogni hotel-casinò di Las Vegas apparteneva ad una famiglia mafiosa. Si erano divisi tutto: la mafia di New York possedeva un casinò, quella di Chicago ne aveva quattro» (Thierry Jousse/Nicolas Saada, Intervista a Martin Scorsese in «Cahiers du cinéma», n. 500, marzo 1996, p. 9).

The Departed - Il bene e il male (2006) Trama: A Boston in un quartiere irlandese è in atto una guerra tra la polizia e una banda della malavita. Billy Costigan (Leo DiCaprio), giovane poliziotto è infiltrato nella gang capeggiata dal boss Frank Costello (Jack Nicholson). Mentre Billy guadagna rapidamente la fiducia di Costello, Colin Sullivan (Matt Damon), a sua volta viene infiltrato nella polizia ottenendo una posizione di rilievo. Sia Billy che Colin vivono questa doppia identità come un'esperienza alienante. Ma appena appare chiara l'esistenza di una talpa, sia nella polizia che fra i gangster, Billy e Colin si ritrovano improvvisamente in pericolo… • Sceneggiato da William Monahan, è un remake abbastanza fedele del film hongkongese di Andrew Lau Infernal Affairs (2002), interpretato da due star del cinema orientale: Tony Leung Chiu- Wai e Andy Lau (nella foto). • Il film non nasce quindi da elementi documentari o Autobiografici ma dal cinema stesso. • Tre premi oscar: migliore regia a Martin Scorsese, migliore sceneggiatura non originale a William Monahan, miglior montaggio a Thelma Schoonmaker. Ford Francis Coppola . E’ stato il leader della “generazione del 1939” composta da lui, Peter Bogdanovich, William Friedkin, a cui aggiungere i più vecchi Monte Hellman (1931) e Jack Nicholson (1937) e il più giovani colleghi italoamericani: Brian De Palma (1940) e Martin Scorsese (1942). Distanziati solo di qualche anno vengono altri due movie brats, i Golden Boy della New Hollywood: George Lucas (1944, il miglior allievo di Coppola) e Steven Spielberg (1946). Tutti sono stati degli “indie”, tutti hanno in comune la formazione all’ università, l’esperienza in tv e/o l’exploitation di Roger Corman. . “Regista corsaro” alternando trionfi e sconfitte, successi clamorosi e clamorosi flop, ha realizzato alcune opere indimenticabili della storia del cinema: la saga de Il Padrino, La conversazione (1974), Apocalypse Now (1978), Dracula di Bram Stocker (1992). . Nella Weltanschaung di Coppola alla musica-scrittura-famiglia, elementi che sono sempre presenti o quasi in tutto il suo cinema, manca un’altro dato fondamentale: il problema del denaro che lo ha sempre portato a scelte difficili e dolorose. . Ormai da anni fa più vino che cinema. Il suo ultimo film, il 26 lm, è un horror a basso costo: Twixt (2011), un omaggio al suo primo maestro Roger Corman.

Ford Francis Coppola (2) - Francis Ford Coppola (il secondo nome era un omaggio a Henry Ford, poi lo ometterà) nasce a Detroit il 7 aprile 1939, secondo figlio di una famiglia di origine italiana: i suoi nonni erano emigranti di Bernalda (Matera). Poi si trasferisce a New York. Da piccolo è malato di poliomelite. - L’importanza del clan familiare e del suo essere un “figlio d’arte” da cui discende la passione per la musica e il teatro. - Di recente un bel documentario “Il Fischio di Famiglia” (The Family Whistle, 2016) di Michele Salfi Russo ha ricostruito le vicende della famiglia iniziata con l’emigrazione nel 1904 del patriarca Agostino Coppola. https://www.youtube.com/watch?v=pdbp_Kfd8ac - Entrato nel 1955 alla Hofstra University (nei dintorni di New York) Coppola nel 1959 si laurea in teatro. La visione di Ottobre (1924) di Ejzenstein lo convince a studiare cinema alla UCLA a Los Angeles dove però non è attratto dalla cinefilia né dai gusti europei dei suoi futuri colleghi. - Viceversa è più attratto dalla pratica che dallo studio, inizia con Roger Corman per cui realizza un horror a basso costo: Dementia 13/Terrore alla tredicesima ora (1963). . Ford Francis Coppola (3) -L’interesse per la scrittura e il lavoro di sceneggiatore per le Majors si accompagna al vero debutto professionale del nostro autore: You’re a Big Boy Now/Buttati Bernardo (1966) che a rigore è il primo vero film della Nuova Hollywood. - Dopo un bel road-movie The Rain People/Non torno a casa stasera (1969) c’è il primo strappo con Hollywood: si trasferisce a San Francisco dove fonda l’American Zoetrope (Vita e movimento) di giovani come John Milius e George Lucas di cui produce il primo lungometraggio di fantascienza: THX-1138/ L’uomo che fuggì dal futuro (1970). - Per non fallire con la sua impresa, accetta l’offerta di Robert Evans, vicepresidente della Paramount, di girare Il padrino tratto dall’omonimo libro di Mario Puzo (1920 – 1999).

I primi film di Francis Coppola

Subito dopo l’università Coppola si accosta alla Factory di Roger Corman dove compie un grande apprendistato pratico e fa di tutto, rimonta film di fantascienza sovietici e gira anche dei filmetti soft-porno che riunisce in un lavoro di una 70’ dal titolo Tonight For Sure (Questa notte di sicuro, 1962). Su you tube se ne può vedere una copia per curiosità: https://www.youtube.com/watch?v=X3uDKP8DCEE La filmografia ufficiale però inizia nel 1963 con Dementia 13 (Terrore alla tredicesima ora), un horror girato in Irlanda con gli attori di The Young Racers (I diavoli del grand prix) di Corman. Il 24enne Coppola (che in questa occasione conosce la sua futura moglie Eleonor) riesce a convincere il maestro a dargli 20.000 dollari (altrettanti li ottiene in maniera molto intraprendente vendendo i diritti ad un distributore inglese), scrive il film in tre giorni e mezzo e lo realizza a tempo di record aiutato da tutti i suoi amici. . I primi film di Francis Coppola (2)

- Dopo queste esperienze “corsare”, comincia il vero lavoro per il cinema professionale con sceneggiature importanti e il suo vero debutto con un’opera piena di continui riferimenti alla nouvelle vague francese: You’re a Big Boy Now (Buttati Bernardo, 1966) che a rigore è il primo film della Nuova Hollywood dato che anticipa lo spirito libertario e beffardo de Il laureato (1967). . In un continuo tiramolla con le Major prima realizza prima realizza Finian's Rainbow (Sulle ali dell'arcobaleno, 1968) una commedia musicale interpretata da Fred Astaire e Petula Clark, poi un bel road-movie (altro genere tipico del cinema indipendente), The Rain People (Non torno a casa stasera, 1969). . A questo punto Coppola compie una primo strappo con Hollywood: si trasferisce a San Francisco dove fonda una propria produzione l’American Zoetrope (Vita e movimento, un’endiadi del cinema) che diventa un punto di raccolta di autori come Stanley Kubrik e Orson Welles, o giovani autori come John Milius e George Lucas di cui produce il primo lm di fantascienza: THX-1138 (L’uomo che fuggì dal futuro) , un totale fiasco al box office. - La Warner allora rompe il contratto di collaborazione con l’American Zoetrope (tra cui c’era in cantiere il primo progetto di John Milius per Apocalypse Now) e richiede indietro le ingenti somme di denaro anticipate, Coppola si ritrova in un mare di guai, da qui la decisone di accettare l’offerta di girare la prima parte di The Godfather

La saga del Padrino: 1972 e 1974

- The Godfather (1972) con: Marlon Brando, , Robert Duvall, James Caan, Diane Keaton, John Cazale, Talia Shire, Sterling Hayden. Trama: tornato eroe di guerra nel 1945, Michael Corleone (Pacino) viene sempre più coinvolto nei sanguinosi affari di famiglia. Alla morte del padre Don Vito (Brando) che aveva dominato per due generazioni un clan di mafia, diventerà il nuovo Padrino. Storia di una successione è la parte che ha impostato tutta la successiva mitologia della saga.

-The Godfather, Part II (1974) con: Al Pacino, Robert De Niro, Diane Keaton, Robert Duvall, John Cazale, Lee Strasberg, Gastone Moschin, Talia Shire, Danny Aiello, James Caan, Leopoldo Trieste. Trama: la saga dei Corleone continua con la storia parallela di due figure che abbiamo già conosciuto: nel 1901 Vito Andolini raggiunge gli Stati Uniti, per una svista prende il nome di Vito Corleone (De Niro), si fa strada nella Little Italy, crea un impero del crimine che trasmette al figlio Michael (Pacino). Nel 1958 Mike si trova nei guai: il fratello Fredo (Cazale) lo tradisce, il Senato lo cita, Cuba passa a Fidel Castro, la moglie (D. Keaton) si procura un aborto. - E’ forse la parte più riuscita della trilogia. La saga del Padrino: 1990

The Godfather, Part III (1990) con Al Pacino, Diane Keaton, Talia Shire, Andy Garcia, Eli Wallach, Joe Mantegna, Sofia Coppola. Trama: Alla fine degli anni '70 Michael (Pacino), vuole liquidare le attività criminali del clan. Passa il comando a un nipote (Garcia), entra in affari con una immobiliare europea che fa capo al Vaticano sullo sfondo di sanguinosi complotti in cui perde la vita la figlia Mary (S. Coppola).

-Se The Godfather (1972) era la storia di una successione e The Godfather, Part II (1974) è insieme un sequel e un prequel, con un progressivo incattivimento dei personaggi da Michael alle figure femminili, The Godfather, Part III , invece, fatto a 15 anni di distanza dal precedente, rappresenta uno sconsolato melò politico che culmina nella malinconica morte del protagonista.

Alcune caratteristiche della saga

- E’ la più importante saga gangster della storia del cinema, un kolossal che va dalla metà degli anni 40 alla fine degli anni Settanta, descrivendo l’evolversi del crimine da azienda familiare a multinazionale e il progressivo logorarsi dei rapporti umani. Sino ad allora la parola mafia si era poco usata al cinema. - Le intenzioni di Coppola: «ho sempre cercato di usare la Mafia come metafora per l’America. Se tu guardi il film, noti che è messa a fuoco questa via, infatti la prima battuta è: “Io credo nell’America”. […] Penso che il segreto del successo del libro di Mario Puzo stia nel fatto che alla gente piace leggere su una organizzazione che veramente si prende cura di noi. Insomma la gente ha una concezione romantica della Mafia, che ha il senso della giustizia; questa è la differenza tra la Mafia vera e come io l’ho concepita». Inoltre si assiste ad una progressiva politicizzazione del plot culminata nella terza parte. - Nella saga dove gli affetti familiari sono intervallati dalle attività di malavita, c’è la presenza di tre diversi modi di intendere la famiglia: 1) La famiglia esteriore di mogli e bambini, matrimoni, pranzi, che regola tutto ciò che è esterno; 2) la famiglia interiore, fatta solo di uomini, che gestisce gli affari, che uccide e viene uccisa; 3) il mito della famiglia, concetto primario mantenuto dai Corleone per proteggere i membri, per esercitare il potere.

Alcune caratteristiche della saga (2) .. - A differenza dei classici degli anni Trenta, nella prima parte Don Vito non cerca disperatamente il successo: è già in suo possesso in quanto è nell’età della vecchiaia. Altra novità rispetto al gangster movie classico: il successo non è il risultato di un individuo ma di un lavoro di gruppo (la Famiglia). Inoltre la figura di Corleone è visto più nella sua parte domestica. - Nella seconda parte invece Coppola riprenderà la tradizionale scalata individuale nella parte del giovane Don Vito (Robert De Niro) ambientato agli inizi del ventesimo secolo. - L’uso del montaggio parallelo, la straordinaria qualità della fotografia (Gordon Willis), della scenografia (Dean Tavoularis già autore di Bonnie and Clyde), la musica di Nino Rota (e Carmine Coppola nella terza parte) e di un cast eccezionale. - Realizzato nel corso di due distinti decenni, ha avuto alla sua uscita una accoglienza molto contraddittoria.

Un altro gangster Movie Cotton Club (1984) Con: Richard Gere, Diane Lane, Gregory Hines, Bob Hoskins, Nicolas Cage, Joe Dallesandro, Tom Waits, Julian Beck, Laurence Fishburne.

Trama: L'America dei gangsterismo e della Grande Depressione attraverso la storia del mitico locale di Harlem. La vicenda si svolge nel periodo dell’acme del Proibizionismo, del crollo della Borsa nel 1929 e dell’inizio della Grande Depressione. 2 coppie di fratelli, una bianca (i Dwyer) e una nera (i Williams), si alternano sulla scena con le loro professioni, i loro amori, le loro carriere. Dixie Dwyer (Richard Gire), un cornettista bianco, diventerà il guardiaspalle di Vera Cicero (Diane Lane), la donna del gangster Dutch Schultz di cui si innamorerà; poi diventerà un attore di film gangster imitando le pose di Dutch; il fratello Vincent Dwyer (Nicolas Cage) è, invece, un gangster un po’ fasullo che verrà fatto fuori dopo aver tentato un colpo al di sopra delle sue possibilità (rapire e ricattare il socio del padrone del Cotton Club, il gangster Owney Maden). L’altra coppia di fratelli, questi neri, è costituita invece da Delbert “Sandman” Williams (Gregory Hines) e Clay, entrambi ballerini di tip-tap che si separeranno per poi tornare amici. Il destino di questi personaggi viene congiunto proprio dal Cotton Club, il locale di New York diretto da Owney Maden (interpretato da un grande Bob Hoskins), anche lui personaggio dalla fedina penale sporca.

Cotton Club (2) . Costato 47 milioni di dollari e prodotto da Robert Evans (lo stesso del primo Padrino), è caratterizzato dalle sontuose scenografie di Richard Sylbert e i costumi di Milena Canonero. . Purtroppo al botteghino è stato un clamoroso flop, uno dei tanti di un grande film di Coppola. Si tratta di una opera originale in cui si unisce il gangster movie al musical (due tipici generi americani nati entrambi con il sonoro) - un omaggio ad un leggendario locale “che ha ospitato impareggiabili artisti del jazz, virtuosi del tip-tap, orchestrine e solisti memorabili; il ritrovo della New York facoltosa, dei divi di Hollywoodiani e dei re della malavita”. . Con tanti personaggi si ripropone lo schema narrativo del Padrino, inserendo nella storia urbana gangsteristica quella di finzione basata sulla vita di un nucleo familiare e su episodi d’amore travagliati. I gangster sono presentati come cinici, arroganti, volgari nei loro modi di fare da arricchiti, così come nei classici degli anni Trenta. . La sceneggiatura di Coppola, Mario Puzo e William Kennedy vede interagire fuorilegge realmente esistiti (Charles “Lucky” Luciano, Dutch Schultz e Owney Madden) con personaggi inventati, il tutto “al servizio della finzione e non della Storia”. . Colonna musicale di Duke Ellington (con Richard Gere non doppiato alla cornetta).

La Conversazione (1974) Con: Gene Hackman, Robert Duvall, Frederic Forrest, John Cazale, Harrison Ford, Cindy Williams. Trama: Harry Caul (Hackmann) è una "spia telefonica“, un maestro nel captare, con le sue avveniristiche attrezzature, le conversazioni di politici, industriali,divi famosi. È così sprofondato nel suo mondo di microfoni e nastri registrati da non riuscire più a vedere e a capire. Un giorno intercetta i colloqui di due amanti e si convince che il marito di lei, un industriale, voglia ucciderli. Mentre si chiede se non sia meglio avvertire la coppia, chi viene fatto fuori è il marito, dai due infernali giovanetti, che hanno anche scoperto Harry e lo tengono sotto l'incubo di una rappresaglia. Palma d’oro a Cannes del 1974, prodotto dalla Directors Company (fondata con Peter Bogdanovich e William Friedkin), è un straordinario thriller che anticipa i tempi dello scandalo Watergate e le sue mode cinematografiche, rimanda al cinema di Antonioni nel suo essere una sorta di Blow-Up del sonoro, ma anche agli incubi allucinati di un Kafka tecnologicamente aggiornato. Con un Gene Hackman perfetto come antieroe dell’elettronica. Il suo fallimento al box office obbliga Coppola a accettare Il padrino parte due.

APOCALYPSE NOW (1979) Con:. Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Frederic Forrest, Sam Bottoms, Laurence Fishburne Trama: Durante la guerra in Vietnam il capitano dei corpi speciali Benjamin Willard (Sheen) riceve dai superiori l'ordine di trovare ed eliminare il colonnello Walter Kurtz (Brando) che - uscito con i suoi soldati dai ranghi dell'esercito americano - sta combattendo una guerra personale ai confini fra il Vietnam e la Cambogia. Scortato da alcuni uomini, Willard risale un fiume a caccia del colonnello. Dopo varie peripezie il capitano individua Kurtz all'interno di una sorta di reggia-tempio protetta dalla vegetazione e da numerosi indigeni armati. Willard non sa che fare, ma è lo stesso Kurtz che lo induce ad eseguire la condanna.

Se La conversazione era stato la lucida descrizione di un viaggio attraverso lo sprofondamento nella follia di un asso dell’intercettazione sonora, Apocalypse Now invece è un viaggio iniziatico verso l’apocalittica odissea della follia collettiva della guerra e dell’uomo, tramite la droga, il sesso e la violenza. Tratto dal celebre romanzo di Joseph Conrad Cuore di tenebra, 31 milioni di dollari, 4 anni di lavoro, enormi problemi di cast, un infarto al protagonista Martin Sheen, un set completamento distrutto da un tifone, vari incidenti mortali, e tanto altro, il film ha vinto Cannes nel 1979 dove è uscito in due diversi finali entrambi proiettati al Festival.

APOCALYPSE NOW REDUX (2001) Di questo mitico film esiste anche la versione Redux (aggettivo latino che vuol dire “il ritornante”) che l’amico Walter Murch ha rimontato nel 2001, aggiungendo una cinquantina di minuti in più rispetto alla già non breve versione originale di 153 minuti Sono stati aggiunte le sequenze: la mania per il surfing del colonnello Kilgore (R. Duvall) e il furto della sua tavola da surf; l’incontro del capitano Willard (M. Sheen) con una tigre; la visita dei soldati alle playmates in un desolato avamposto; alcuni frammenti di dialogo sulla barca che risale il fiume; la lunga sosta nella piantagione francese, governata da Philippe de Marais (Christian Marquand) e la breve parentesi amorosa con la vedova Roxanne (Aurore Clement); una scena nel finale in cui Kurtz (M. Brando) legge al suo prigioniero Willard un articolo (vero) di “Time”. Al di là di ogni confronto tra le 2 edizioni, si può concludere che si tratta di digressioni, interessanti (come l’episodio nella piantagione francese peraltro punito dalla musica elettronica, appositamente composta vent’anni dopo) e utili agli spettatori della versione corta. “Apocalypse Now sta a Redux come l’Odissea sta all’Iliade.” ha scritto lo storico Paolo Cherchi Usai.

ONE FROM THE HEART (1982)

Con: Frederic Forrest, Teri Garr, Raúl Juliá, Nastassja Kinski, Lainie Kazan, Harry Dean Stanton Trama: Hank Forrest), uno sfasciacarrozze, e Frannie (Garr), impiegata in una agenzia di viaggio, vivono insieme da 4 anni. A Las Vegas, la momentanea rottura del rapporto fra i due - è il 4 luglio, giorno dell'indipendenza americana - porta Hank ad incontrare Leila (Kinski), fantasista di circo, e Frannie a conoscere Ray, cantante e cameriere occasionale. Ma la giornata termina con il ritorno di Frannie nelle braccia di Hank. Dopo Apolcalyspe Now , Coppola sembra essere un re mida: produce il primo film americano di Wim Wenders Hammett (1982, una mezza catastrofe), restaura il Napoleon (1927) di Abel Gance (e il padre Carmine comporrà le musiche coronando finalmente un sogno di successo) e permette ad Akira Kurosawa di terminare Kagemusha (1980). Tuttavia il successivo One From the Heart (Un sogno lungo un giorno), un curioso musical estremamente interessante e girato con avveniristiche ed costose tecniche elettroniche (dove Las Vegas è completamente ricostruita in studio), sarà un enorme e totale flop al botteghino. E’ la prima, molto riuscita colonna sonora di Tom Waits . La cantante country Crystal Gayle canta da solista vari brani della colonna sonora oltre a duettare con Waits.

COME SEMPRE UP AND DOWN (1)

Per la terza volta dopo il flop del film di debutto di George Lucas e poi di The Conversation, Coppola deve vendere tutto e ricominciare da zero. Seguendo le opere di S. E. Hinton, (1948), scrittrice statunitense famosa per i suoi romanzi sul passaggio all'età adulta ambientati in Oklahoma, riesce a cogliere due successi “giovanilistici” in dei film a basso costo in cui scopre e utilizza tutta una serie di nuovi talenti da Matt Dillon a Tom Cruise al nipote Nicolas Cage: The Outsiders (I ragazzi della 56° strada (1982) e Rumble Fish (Rusty il selvaggio, 1983, in bianco e nero con delle sequenze dei pesci a colori) che piace anche molto alla critica, soprattutto europea. Riconquistata la fiducia dei produttori si lancia in Cotton Club (1984) che malgrado un certo successo di pubblico non recupera il suo enorme, sfarzoso costo.

COME SEMPRE UP AND DOWN (2) Per tornare sulla cresta dell’onda Coppola gira allora un’opera un po’ nostalgica che finalmente piace al pubblico americano: Peggy Sue got merried (Peggy Sue si è sposata ,1986) seguito dal più personale Gardens of Stone (I giardini di pietra, 1987), un suo altro omaggio alle ferite della guerra in Vietnam che acquista un tono autobiografico per la morte in un incidente stradale del figlio maggiore Giancarlo. Dopo l’episodio del film collettivo New York Stories (1988) - uno dei punti più bassi della sua carriera - nel 1989 Coppola realizza un progetto che aveva in cantiere da molti anni Tucker, un film nella figura del cui protagonista un inventore utopista e megalomane Coppola ha visto un suo prevedibile alter ego. Dopo l’inevitabile insuccesso di quest’opera palesemente autobiografica giunge a salvarlo dai debiti il solito Padrino III° (1990, 55 milioni di dollari ) che pur girato di malavoglia riesce a incantare ancora una volta il pubblico (e una parte della critica).

DRACULA DI BRAM STOKER(1992) Con: Gary Oldman, Winona Ryder, Anthony Hopkins, Keanu Reeves, Cary Elwes, Bill Campbel Trama: Un giovane avvocato inglese Jonathan Harker (Keanu Reeves) si reca in Transilvania su richiesta del conte Dracula (Gary Oldman). Dopo conosciuto l'inquietante personaggio, il giovane è irretito da un gruppo di fanciulle seguaci del conte. Nel frattempo Dracula si reca in Inghilterra, dalla promessa sposa di Harker, Mina (Winona Ryder), avendone visto il ritratto, ravvisa nella fanciulla la reincarnazione della donna da lui amata 400 anni prima, che morendo causò la sua dannazione. L'intervento di prof. Abraham Van Helsing (Anthony Hopkins), un po' stregone, un po' scienziato e narratore della storia, da sempre alla caccia del vampiro, pone fine al malefico dominio di Dracula e libera la fanciulla, restituendola a Harker, che nel frattempo era fuggito dal castello in Transilvania. In questa rilettura post-moderna, cupa e poco fedele malgrado il titolo del romanzo di Bram Stocker (1897), Coppola è tornato alla sua vena migliore. “Ispirato figurativamente a Bruegel, a Magritte e all'espressionismo in generale, il film è una grandiosa revisione del mito cinematografico del celebre vampiro. Così nulla viene risparmiato per stupire lo spettatore. Straordinaria l'intuizione di mostrare i due protagonisti mentre vanno al cinema (anche se qui c’è un piccolo anacronismo), come se Dracula, da sempre sfruttato sullo schermo, volesse vendicarsi dello stesso. Winona Ryder e Keanu Reeves sono il prezzo ben pagato alla nuove generazioni attorali, mentre Gary Oldman e Anthony Hopkins sono i continuatori della stagione dei grandi interpreti al cinema.

GLI ULTIMI FILM DI COPPOLA L’ultima parte della carriera di Coppola si è mossa sempre fra opere indipendenti, lontana dai fasti dell’inizio, come Jack (1996) con Robin Williams o The Rainmaker (L’uomo della pioggia, 1997) con Jon Voight e Danny DeVito (da non confondere con The Rain People girato quasi trent’anni prima). Dopo ben 10 anni di assenza , torna alla regia con Youth Without Youth (Un’altra giovinezza, 2007), un notevole e ambizioso tentativo di analisi del protolinguaggio e dello scorrere del tempo attraverso una particolare storia d’amore, ennesimo flop di incassi e di critica. E’ poi seguito, attesissimo dai cinefili, Tetro (Segreti di famiglia, 2009), un potente noir interpretato da Vincent Gallo e Javier Bardem. Il film ha avuto un’accoglienza discorde. Il suo ultimo (sinora) film, il 26 lm, è un horror a basso costo con Val Kilmer, Bruce Dern, Ben Chaplin, Twixt (2011), quasi un omaggio al suo primo maestro Roger Corman, quasi a tornare alle origini di Dementia 13 (1964).

GLI ULTIMI FILM DI COPPOLA (2)

Se volessimo cercare in definitiva di situare l’importanza di Coppola , potremmo dire che egli non è uno stilista puro come Scorsese né una perfetta macchina per far soldi come Spielberg o il suo ex-pupillo Lucas. Coppola è stato un precursore, un megalomane, un vincitore e un perdente al tempo stesso - i suoi film sono disuguali, sgembi, pieni di difetti ma anche di intuizioni geniali. Ha amato il musical come pochi altri registi della modernità e l’horror. Coppola quindi è come nella sua utopia produttiva, un uomo straordinario e dissipatore. Artigiano dal guizzo estremamente creativo, sa coniugare narrazione e impatto visuale, essenzialità filmica e nuove tecnologie barocche. Arte e stile in un unico uomo, racconta guerre e incubi vampireschi con tecnologie all’avanguardia in maniera iperrealistica, eccessiva, ma allo stesso tempo fortemente rigorosa, anche quando ci presenta stravaganti pellicole minori.

SOFIA COPPOLA – alcune nozioni bio- filmografiche Nasce a New York nel 1971, è la figlia di Eleonor e Francis Coppola, sorella del regista Roman Coppola, nipote dell'attrice Talia Shire e cugina di Nicolas Cage, Jason Schwartzman e Robert Carmine. Sino ad oggi resta la più brillante continuatrice dentro la famiglia Coppola (che ha annovera anche altri registi come Eleonor e Roman) del lavoro del padre. I suoi esordi davanti alla macchina da presa iniziano all'età di circa un anno, sul set de Il Padrino (1972). Poi parteciperà come attrice anche agli altri due capitoli della saga Corleone , oltre che ad altri film paterni come Rusty il selvaggio (1983) e Peggy Sue si è sposata (1986). Non ancora ventenne ha collaborato alla sceneggiatura e ai costumi di Life without Zoe parte del film a tre episodi New York Stories (1989, e Martin Scorsese sono gli autori delle altre due parti). Dopo diverse esperienze come designer nel campo della moda (per la collezione Milkfed, popolarissima in Giappone), presentatrice televisiva e fotografa, debutta con il corto Lick the Star (1998), seguito dal primo lm The Virgin Suicides (Il giardino delle vergini suicide, 1999, da un romanzo di Jeffrey Eugenides). Anticipatrice di mode e tendenze, Sofia Coppola si è di sicuro giovata delle frequentazioni con gli amici Wes Anderson, Alexander Payne, e soprattutto il matrimonio (durato quattro anni) con Spike Jonze (per il quale ha interpretato la ginnasta del videoclip Elektrobank dei Chemical Brothers, da lui diretto). SOFIA COPPOLA – alcune nozioni bio- filmografiche (2)

Per la sua opera prima, oltre a citazioni da cinefile sceglie uno stile intimista e molto personale per narrarci la storia delle cinque sorelle Lisbon, segnate da un tragico destino di dolore e distruzione. La ricerca di un'identità in un mondo straniero, quella di Bob e Charlotte caratterizza Lost in translation (2003) dove un attore annoiato in crisi di mezza età (Bill Murray) incontra una giovane moglie insicura (Scarlett Johansson) nello scenario di un lussuoso hotel a Tokyo. Segue un film in costume, ma emotivamente moderno e storicamente irriverente, Marie Antoinette (2006), interpretato da un'aggraziata e sbarazzina Kirsten Dunst, con cui si completa un trittico sul mal di vivere adolescenziale in un ritratto di una regina/bambina a tinte, costumi e suoni pop. Alla Mostra del Cinema di Venezia del 2010 presenta Somewhere, opera ancora una volta parzialmente autobiografica che, con sguardo pieno di tenerezza e grazia, racconta l'apatica vita di un attore di Hollywood intrappolato nel suo appartamento dell'hotel Chateau Marmont. L'inaspettata visita della figlia Cleo imporrà un cambiamento nel suo stile di vita. SOFIA COPPOLA – alcune nozioni bio- filmografiche (3) Del 2013 è invece The Bling Ring (al Festival di Cannes, nella sezione “Un Certain Regard”), un ritratto ispirato alla realtà di un gruppo di adolescenti ossessionati dalla moda e dalla fama responsabili di furti in molte ville di vip a Beverly Hills. Nel 2016 debutta al Teatro Costanzi di Roma dirigendo La Traviata di Giuseppe Verdi. Remake dell’omonimo film di Don Siegel del 1971 dallo stesso titolo The Beguiled (La notte brava del soldato Jonathan, basato sul romanzo omonimo di Thomas P. Cullinan), la nuova versione di Sofia Coppola (in italiano L'inganno) ha vinto a Cannes del 2017 il premio come Miglior regia, facendo così di Sofia la seconda donna ad aver ricevuto tale riconoscimento. Interpretato da Kirsten Dunst, Nicole Kidman e Colin Farrell, si narra di un collegio femminile nello stato della Virginia del 1864, che durante la guerra civile americana resta protetto dal mondo esterno fino a quando un soldato ferito viene trovato nelle vicinanze.

Abel Ferrara: un excursus bio-filmografico

Il tema del peccato e dell’espiazione è centrale in Abel Ferrara (New York, 1951 ) e nel suo sceneggiatore Nicholas St. John (pseudonimo di Nicodemo Oliverio) che ha scritto i migliori film del regista newyorkese, salvo Bad Lieutenant (Il cattivo tenente, 1992). Insieme all’ossessione ricorrente del rapporto tra colpa e innocenza, Ferrara che è nato nel Bronx, ha fatto della violenza urbana e della sessuofobia i cardini della propria poetica. E’ stato molto influenzato dall’opera di Martin Scorsese e in particolare da Taxi Driver (1975). E’ uno dei registi più controversi della scena “indie” americana, ben più noto e stimato in Europa che in America. Come per Coppola la sua filmografia si apre con un film porno : Nine Lives of a Wet Pussy (1977). E’ l’inizio di una serie di lavori a basso costo d’exploitation che dicono la loro sul sesso e sull’horror casalingo: a The Driller Killer (1979) e a Ms 45 (L’angelo della vendetta, 1980), diventato un cult movie per il femminismo più intransigente, segue Fear City (Paura su Manhattan, 1984) che se non altro dal punto di vista produttivo (il budget è di 5 milioni di dollari) costituisce un passo in avanti. E’ la storia di una spogliarellista (Melanie Griffith) tossicodipendente alle prese con un maniaco che passa il tempo a sfregiare le donne nei vicoli di New York - il risultato è meno convincente dei lavori precedenti, inoltre il film viene duramente censurato.

Abel Ferrara: il lavoro in tv

Dopo questo insuccesso, Ferrara si prende una pausa televisiva: tra il 1984 e il 1986, infatti, lavora per la tv. Amico di Michael Mann, all’epoca produttore della celebre serie Miami Vice, accetta di dirigere due episodi - The Home Invaders (Gli invasori della casa) e The Duch Oven (Una donna senza onore); inoltre realizza il tv-movie The Gladiator (Il gladiatore, 1985) e infine l’episodio pilota Crime Story – vite sbagliate dell’omonima serie tv dove un tenente italo- americano della polizia di Chicago cerca di fermare con tutti i mezzi la scalata criminale di un ambizioso giovanotto, figlio di suoi amici.

Abel Ferrara: un excursus bio-filmografico (2)

Il successivo ritorno al cinema è segnato da due lavori poco fortunati al box office: rivisitazione tra Little Italy e Chinatown dell’amore shakespeariano di Romeo e Giulietta, China Girl (1987) costituisce il suo primo film di ambito italoamericano – si tratta di un’opera molto amata dal regista e caratterizzata da una eccellente fotografia ma che non riesce ad entusiasmare il pubblico; Cat Chaser (Oltre ogni rischio, 1989), tratto da un romanzo di Elmore Leonard, è, invece, un “noir amorale e crudele ambientato tra Miami e Santo Domingo”: manipolato dalla produzione, viene disconosciuto dal regista né funziona al box office. La ripresa della collaborazione con Nicholas St. John ha come risultato un bel gangster movie King of New York (1990) violento ed efficace, interpretato dal suo “attore feticicio” Christopher Walken (1943).

Abel Ferrara in poche parole . Il tema del peccato e dell’espiazione, della violenza urbana e della sessuofobia sono centrali in Ferrara e nel suo sceneggiatore Nicholas St. John che ha scritto i migliori film del regista newyorkese, salvo Bad Lieutenant (Il cattivo tenente, 1992) interpretato da Harvey Keitel. . Nato il 19 luglio 1951 nel Bronx, da un padre allibratore spesso ricercato per scommesse clandestine, vive la giovinezza in prevalenza con il nonno, un immigrato napoletano. . E’ stato molto influenzato dall’opera di Scorsese, in particolare da Taxi Driver . Un po’ “genio e sregolatezza”, è uno dei registi più controversi della scena “indie” americana, ben più noto e stimato in Europa che negli Usa. . Ha una filmografia altalenante iniziata con un porno e degli horror, alcuni diventati dei cult movie. . In King of New York (1990) inizia la collaborazione con il suo “attore feticicio” Christopher Walken che interpreterà anche The Addiction (1995), The Funeral (Fratelli , 1996) ma anche il molto più debole New Rose Hotel (1998) dove nel cast troviamo Willem Dafoe, altro attore molto utilizzato da Ferrara nella sua filmografia successiva: Go Go Tales (2007), 4:44 Last Day on Earth (2011) e Pasolini (2014).

Abel Ferrara: in poche parole (2)

. Tre film costituiscono la cosiddetta “Trilogia del Peccato”: Bad Leutenent, Snake Eye (Occhi di serpente, 1993) e The Addiction (1995). . Pur non essendo un grande cinefilo per tre volte ha usato lo stratagemma narrativo del film nel film in Snake Eye (1993), Blackout (1997) e Mary (2005). . Ferrara ha lavorato una volta sola per una Major, la Warner, realizzando Body Snatchers (Ultracorpi – L’invasione continua, 1993) con Forest Whitaker, un fiacco remake di un classico della fantascienza degli anni cinquanta L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel. . La sua filmografia ormai conta più di una ventina di lungometraggi alcuni dei quali, i più recenti, di produzione italiana. . Trai suoi lavori più recenti troviamo diversi doc tra cui due documentari musicali: Alive in France (2017), cronaca irregolare del tour francese dell’autore con la sua rock band, organizzato dalla Cinémathèque de Toulouse, tra dietro le quinte, esibizioni e confessioni davanti alla macchina da presa. E Piazza Vittorio (2018), su immigrazione e potenziale creativo della diversità nelle celebra piazza di Roma, che annovera tra le apparizioni quelle di Willem Dafoe e Matteo Garrone.

China Girl (1987) Con: James Russo, Richard Panebianco, Sari Chang, David Caruso, Judith Malina La trama: Canal Street è terra di frontiera: di qua gli italiani di Little Italy, di là i cinesi di Chinatown. Insulti e lotte tra piccole bande di teppisti, molto spesso anche perché ormai i cinesi stanno dilagando avendo comprato pizzerie e drogherie abruzzesi e siciliane. Una sera Tony, un giovane figlio di una vedova italiana, incontra in discoteca Tyan, una graziosa cinesina, che ha un fratello, capo di una gang, rigidissimo in fatto di razza. Quel matrimonio non s'ha da fare. Anche Tony ha un fratello maggiore - Alby - e così la guerriglia comincia, con violenze, attentati, incursioni e sfide. Invano i boss richiamano all'ordine i contendenti: ai bordi di Canal Street non vi è pace. Nella sparatoria conclusiva, Tony e Tyan resteranno uccisi. Nato nello stesso anno di Cotton Club di Coppola, dopo la fine dell’esperienza di Ferrara in televisione e sceneggiato dal fido Nicolas St. John, China Girl è una versione gangsteristico-musical di “Giulietta e Romeo”, dove i due quartieri razziali di Little Italy e Chinatown, separati da Canal Street, sono in guerra. Se la storia è poco originale, il film però – abbastanza violento ed efficace, fatto con pochi soldi e molto talento visivo con le scene d’azione sono ben coreografate - si avvale di una grande fotografia iperrealista di Bojan Bazelli. Da notare che, oltre al protagonista, sono le donne che cercano di opporsi alla spirale della violenza, anticipando così un aspetto saliente che ritroveremo nel successivo The Funeral.

Duell in The Sun (1946) di King Vidor e China Girl (1987) di Abel Ferrara .

King of New York (1990)

Con : Christopher Walken, Laurence Fishburne, Victor Argo, Jay Julien, Carrie Nigre, Wesley Snipes. La trama: Frank White (Walken) esce dal carcere, si installa al Plaza Hotel di New York e riprende il traffico della droga. A parte qualche screzio con la mafia italiana, la mente di Frank è occupata da un solo pensiero: raccogliere fondi per un ospedale del Bronx. Anche i rapporti con la mafia cinese e bande rivali come quella del nero Jimmy Jump (Laurence Fishburne) non sono sempre buoni, ma lo scontro cruciale avviene con due poliziotti (uno irlandese, l'altro di colore) che hanno deciso che i metodi legali non bastano più. Come il precedente China Girl (1987), King of New York è film violento e notturno che corre sempre il rischio di un certo manierismo a partire dalla fotografia iperealista sempre di Bojan Bazelli. A riscattarlo è soprattutto l’interpretazione straordinaria di Walken che conquista lo schermo con la sua presenza fisica. Girato nello stesso anno di China Girl ma distribuito solo un anno dopo nel 1990, prodotto da Reteitalia di Augusto Caminito, inaugura la fase del Ferrara migliore. Ed è anche il film con cui il regista è stato scoperto da gran parte della critica e al tempo stesso anche quello che più rispetta i canoni del gangster movie tradizionale dato che affronta la storia dell’ascesa e della caduta di un eroe criminale. BAD LEUTENENT (1992)

Con : Harvey Keitel, Victor Argo, Paul Calderon,Leonard L. Thomas, Robin Burrows. Trama: Un tenente del Dipartimento di polizia di New York passa gran parte delle sue giornate drogandosi, trafficando con gli spacciatori, sottraendo soldi e stupefacenti sequestrati per giocando d'azzardo. Rimane,però, profondamente turbato da un episodio: una suora viene violentata da due portoricani all'interno di una chiesa ma si rifiuta di denunciare i suoi assalitori. Prima parte di quella che poi verrà definita la “Trilogia del peccato e che comprende Snake Eye (Occhi di serpente, 1993) e The Addiction (1995), è una delle opere più significative, efficaci e note della filmografia di Ferrara. Decisivo è stato l’apporto attoriale del protagonista, Harvey Keitel che ci ha offerto una delle interpretazioni più sofferte e vivide della sua carriera. Nel 2009 Werner Herzog ha girato una sorta di remake del film con Nicolas Cage e Eva Mendes intitolato Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans (Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans) molto diverso e molto meno riuscito dell’originale.

The Funeral (Fratelli, 1996)

Con: Christopher Walken, Annabella Sciorra, Isabella Rossellini, Vincent Gallo, Chris Penn. La trama: Siamo alla metà degli anni ’30 - per la precisione nel 1936, da una battuta del film e dall’inizio dove il personaggio di Vincent Gallo è nel cinema a vedere The Petrified Forest (La foresta pietrifica) diretto Archie L. Mayo con Leslie Haward, Bette Davis e Humphry Bogard -, presumibilmente a Brooklyn . I fratelli Ray (Walken) e Chez (Chris Penn) Tempio decidono di vendicare l'assassinio del più giovane e anticonformista Johnny (Vincent Gallo). Il film si conclude in un bagno di sangue in una sorta di autodafé rituale della famiglia. Ancora di produzione indipendente è quello che resta a tutt’oggi il capolavoro di Abel Ferrara – non tanto un gangster movie ma già un dramma alla Dostojevski, presentato in concorso a Venezia senza riscuotere grandi consensi , a parte il premio a Chris Penn (1965 – 2006) come migliore attore. Il titolo originale sottolinea il rito del funerale che è insieme quello di un personaggio ma anche “la morte di un mondo di un modo di vivere, quello degli italiani di prima immigrazione legati al crimine come strategia di sopravvivenza”. The Funeral (2) Scritto da Nicholas St. John (con cui si concluderà definitivamente la collaborazione con Ferrara) e fotografato con grande abilità da Ken Kelsh su due tonalità dominanti (nero, verde), il film rappresenta da un punto di vista antropologico una minuta disamina del mondo italoamericano fatto con straordinaria acutezza. E’ caratterizzato da una complessa struttura a mosaico ,non frequente nel cinema di Ferrara. I flashback che servono a definire le storie e le varie biografie dei tre fratelli, occupano circa 1/3 del film e si inseriscono dentro l’unita aristotelica delle 12 ore della veglia funebre intercalate da 8 salti temporali. Più che un mafia movie, è, come è stato scritto, una tragedia morale mimetizzata da film gangsteristico che fa irrompere il “sacro” (l'esistenza di Dio e quella del Male, l’etica cristiana, il libero arbitrio, la vendetta, il perdono, la carità) nei codici di un gangster movie. Se affinità si possono ritrovare con la tradizione, essa vanno piuttosto al film noir dove si tematizzava il conflitto tra individuo e società, che poi è al centro del film citato all’inizio da Ferrara, La foresta pietrificata. L’aspetto forse più interessante e che ha poco da spartire con i lavori di Coppola e Scorsese, è il ruolo positivo, antagonistico e rivelatorio delle mogli. Passa attraverso le figure femminili la critica al familismo amorale di matrice cattolico/mediterraneo che è alla radice del costume e della mentalità mafiosa. The Funeral è uno dei pochi film italoamericani a “negare il fascino” della famiglia mafiosa.

Brian De Palma - Tra i grandi registi italoamericani, Brian Russell De Palma (1940) è quello meno legato alle sue origini (i nonni venivano da Alberona in provincia di Foggia): “i miei genitori volevano a tutti i costi far parte della gerarchia wasp [White Anglo-Saxon Protestant]. Piuttosto che crescere i figli cattolici, ci hanno mandato ad una scuola di quaccheri.” -All’università studia fisica, poi si occupa prima di teatro e poi di cinema. Dopo l’acquisto di una cinepresa Bolex a 16 mm, realizza i suoi primi corti: Icarus (1960) e 660124…The Story of an IBM Card (1961) in cui riversa tutte le sue conoscenze scientifiche. Poi viene il suo corto migliore , Wotan’s Wake (1962) interpretato da un suo attore feticcio William Finley. -Realizza con il suo professore Wilford Leach la commedia The Wedding Party (Oggi sposi!) che iniziata nel 1963 e finita nel 1966 uscirà nel 1969. È la storia di una vigilia di nozze. Un giovanotto sta per sposare una ragazza di ottima famiglia. Ottima, ma nient’affatto entusiasta del futuro marito della figliola. A raffreddare ulteriormente il giovane arrivano gli amici di sempre che cercano di convincerlo a non rinunciare al scapolaggio. Si tratta di un film carino e scanzonato in cui si esprimono qualche anno prima del Laureato (1967), le inquietudini e la rivolta anti-borghese. C’è una vicinanza (involontaria) ai film della Swingig London e quella (voluta) alla slapstik del cinema muto. E’ interpretato da attori come Jill Clayburgh, Robert De Niro (1943, al suo primo ruolo, sarà De Palma che lo presenterà poi a Scorsese) e il già citato William Finley; è contraddistinto dall’uso del jump-cut e della discontinuità spazio-temporale con sguardi in macchina e falsi raccordi di montaggio.

Brian De Palma (2) Uscito dal collage, De Palma, con un primo insuccesso alle spalle, inizia a girare per motivi alimentari dei documentari su commissione tra cui uno al Museo d’arte moderna di New York gli procura dei soldi con cui inizia il suo secondo film , Murder à la Mod, un’altra produzione indipendente a bassissimo costo. Il film è interessante in quanto rappresenta il primo lavoro in cui De Palma si avvicina al suo genere prediletto: il thriller. Il film è un altro insuccesso ma guadagna a De Palma l’ammirazione di un giovane produttore Charles Hirsch che come lui ammira Jean-Luc Godard . Nasce così il primo successo di De Palma , uno dei film più caratteristici (con Easy Rider) della cultura alternativa americana: Greetings (Ciao America, 1968) dove si raccontano le peripezie di 3 giovani amici, ossessionati dal sesso, nella New York del Greenwich Village. Paul vuole evitare l’arruolamento in Vietnam e al tempo stesso cerca una compagna prendendo appuntamenti con il computer. Lloyd, invece, è ossessionato dall’uccisione di John Fizgerald Kennedy a Dallas . Infine Jon Rubin (Bob De Niro ) è un voyeur che spia le ragazze e si diletta con filmini pornografici. Segue un sequel dal titolo Hi, Mom! (1969) con il solo personaggio di De Niro. . Brian DePalma (3) - All’inizio degli anni Settanta De Palma conclude la fase di sperimentazione regista con la ripresa di uno spettacolo teatrale Dionysus in 69 (1970) girato tutto con lo split-screen. Dopo una infelice esperienza alla Warner Bro. con Get to Know Your Rabbit (Impara a conoscerei l tuo coniglio, 1970 ma uscito manipolato nel 1972), interpretato dalla star radical tv Tom Smothers, dall’influenza di Godard passa a quella di Alfred Hitchcock. - Realizza per più di un decennio thriller a suspense ispirati al grande maestro inglese: Sisters (Le due sorelle, 1973), Phantom of the Paradise (Il fantasma del palcoscenico, 1974), Obsession (Complesso di colpa, 1975) Carrie (Carrie – lo sguardo di satana, 1976, il suo primo grande successo di pubbico), Fury (1978), Dressed to Kill (Vestito per uccidere , 1980), Blow Out (1981), Body Double (Omicidio a luci rosse, 1985). - Poi però è seguita sino ad oggi, come vedremo, una filmografia molto più variegata e discontinua nei risultati. Alcune caratteristiche del cinema postmodern di De Palma . Un “vampiro di cinema” che ha frequentato soprattutto il thriller ma anche la commedia e il gangster movie e si è nutrito dell’insegnamento di Hitchcock di cui è considerato il migliore allievo. Per alcuni critici però il suo cinema pur stilisticamente ineccepibile manca di vera originalità, è “manierista”. . Uso di tecniche con cui esaltare l’attenzione dello spettatore: la suspense, il ralenty, lo split-screen. Grande virtuosismo tecnico nel ricorrere a piani- sequenza molto lunghi e complessi. . Il ritornare su alcune tematiche riprese in gran parte da Hitchcock: il tema del doppio, , l’alternanza e lo scambio tra il colpevole-innocente e l’innocente- colpevole, il complesso di colpa, la vittimizzazione della donna, il binomio sesso-violenza. . Il ripetuto gusto della citazione (tipo la sequenza della doccia di Psyco) e i remake di film classici. . Il pastiche dei generi cinematografici e la commistioni di elementi stilistici. . L’importanza della musica nella narrazione: Bernard Herrmann (1911 – 1975) e Pino Donaggio (1941) , il musicista veneziano con cui ha collaborato sino a Raising Cain (Doppia personalità, 1993). . La sua carriera è stata vista come la più evidente cartina al tornasole della lenta resa e/o trasformazione del cinema più innovativo della Nuova Hollywood rispetto agli inizi ruggenti degli anni Sessanta-Settanta.

Brian De Palma negli anni Settanta

- All’inizio degli anni Settanta De Palma conclude la sua fase di sperimentazione con la ripresa di uno spettacolo teatrale Dionysus in 69 (1970) girato tutto con lo split-screen. Dopo una infelice esperienza alla Warner Bro. con Get to Know Your Rabbit (Impara a conoscerei l tuo coniglio, 1970 ma uscito manipolato nel 1972), interpretato dalla star radical tv Tom Smothers, dall’influenza di Godard passa a quella di Alfred Hitchcock ( Londra, 1899 – Los Angeles 1980). - Realizza cosi per più di un quindicennio thriller a suspense ispirati al grande maestro inglese: Sisters (Le due sorelle, 1973), Phantom of the Paradise (Il fantasma del palcoscenico, 1974), Obsession (Complesso dicolpa, 1975) Carrie (Carrie – lo sguardo di satana, 1976, il suo primo grande successo di pubbico), Fury (1978), Dressed to Kill (Vestito per uccidere , 1980), Blow Out (1981), Body Double (Omicidio a luci rosse, 1985). L’influenza e la grammatica hitchcoockiana - Trai film di Hitchcock che hanno più influenzato De Palma ricordiamo Rear Window (La finestra sul cortile, 1953) e soprattutto la parte finale dell’opera del maestro inglese che va da Vertigo (La donna che visse due volte,1958) a Franzy (1972) passando soprattutto per Psyco (1960). - Il più banale livello di influenza è quello dei contenuti: aver realizzato dei remake o quasi di film di Hitchcock, per esempio Obsession (Complesso di colpa, del 1976, l’anno di Taxi Driver, scritto con Paul Schrader a partire da Vertigo) oppure Body Double (Omicidio a luci rosse, 1984 che riprende l’idea di partenza di La finestra sul cortile, già abbondantemente citato in Sisters,1973). - Altre volte De Palma sfrutta degli spunti strutturali: Vestito per uccidere riprende per esempio da Psyco (Janet Leigh) il fatto che la protagonista /star sparisce dopo 30’. - La maggiore influenza sta in una questione di atteggiamento teorico: la grande intuizione di Hitchcock di lavorare sul rapporto immagine-sguardo in un tentativo di inserire il più possibile il soggetto-spettatore nel dispositivo cinematografico, nella macchina-cinema.

L’influenza e la grammatica hitchcoockiana (2) Il che avviene sia cercando di saturare le immagini di emozioni sia riflettendo sulla natura dell’immagine stessa. De Palma come altri cineasti della seconda metà del Novecento è convinto che l’immagine sia stereotipata, che non sia più vergine ed innocente come nell’età classica. Da ciò la passione per la sperimentazione e il virtuosismo tecnico, l’uso ad esempio dello spilt-screen e tutta la sua grandiosa abilità nel cercare di riflettere sul potere (o il non più potere) dell’immagine in un mondo ormai sommerso dalla pubblicità. Dal maestro, De Palma vuole recuperare una serie di situazioni, di tematiche e di tecniche che hanno come obiettivo il coinvolgimento dello spettatore dentro la vicenda narrata attraverso la manipolazione di ciò che viene mostrato ai suoi occhi. Le situazioni tipo sono ad esempio: il voyeurismo in ogni suo aspetto, le false identificazioni, lo spunto di uomini che spiano e manipolano altri uomini.

Alcune caratteristiche del suo cinema postmodern . E’ un “vampiro di cinema” che ha frequentato soprattutto il thriller ma anche la commedia e il gangster movie. Per alcuni critici , però,il suo cinema pur stilisticamente ineccepibile manca di vera originalità, è solo “manierista”. . Uso di tecniche con cui esaltare l’attenzione dello spettatore: la suspense, il ralenty, lo split-screen. Nel ricorrere a piani-sequenza molto lunghi e complessi ha dato prova di un grande virtuosismo tecnico che gli deriva dalla sua formazione scientifica. . Il ritornare su tematiche riprese in gran parte da Hitchcock: il tema del doppio, l’alternanza e lo scambio tra il colpevole-innocente e l’innocente-colpevole, il complesso di colpa, la vittimizzazione della donna, il binomio sesso-violenza. . Il ripetuto gusto della citazione e i remake di film classici; Il pastiche dei generi cinematografici e la commistioni di elementi stilistici. . E’ il meno italoamericano dei registi italoamericani e poco politicamante corretto (per alcuni film è stato spesso attaccato dai gay e le femministe). . L’importanza della musica nella narrazione: Bernard Herrmann (1911 – 1975) e Pino Donaggio (1941) , il musicista veneziano con cui ha collaborato sino a Raising Cain (Doppia personalità, 1993). . La sua carriera è stata vista come una evidente cartina al tornasole della lenta resa e/o trasformazione del cinema più innovativo della Nuova Hollywood rispetto agli inizi ruggenti degli anni Sessanta-Settanta.

Phantom of the Paradise (1974)

Con: Paul Williams, William Finley, George Memmoli, Jessica Harper. Trama: Un potente discografico, Swan (Williams), intende aprire un Tempio del music-hall, il "Paradise“ da inaugurare con una nuova opera. Mentre sta selezionando aspiranti cantanti, incontra il musicista Winslow Leach (Finley), che ha abbozzato una versione rock del Faust: dopo averlo imbrogliato con un mendace contratto, gli ruba la musica e lo fa rinchiudere a Sing-Sing. Il ragazzo evade ma rimane sfigurato sotto una pressa per dischi. Celatosi dietro una maschera da uccello e aggirandosi nei meandri del "Paradise",porta a termine l’opera e costringe Swan ad affidarne l'esecuzione alla graziosa Phoenix (Harper). Il trionfo della ragazza coinciderà con la tragica fine dei due nemici. Sempre prodotto dall’indipendente Ed Pressman con cui De Palma aveva fatto Sisters , Il fantasma del palcoscenico (in originale Phantom of the Paradise, così intitolato per ragione di copyright) è un rifacimento satirico in chiave rock del romanzo di Gaston Leroux Il fantasma dell’opera (1910) portato sullo schermo da Lon Chaney nel 1925 e poi tante altre volte, 10 per lo meno sino ad oggi. E’ il trionfo del citazione e del pastiche di Brian De Palma che oltre al romanzo di Leroux usa il Faust di Goethe (il tema del patto con il Diavolo) e il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde (l’invecchiamento di Swann). Si parla della musica rock e della sua integrazione nel mondo della cultura di massa ma il film può anche essere letto politicamente con la riflessione e l’autocritica di un filmmaker indipendente che si ritrovava a fare i conti con l’Industria dello Spettacolo. La figura del cantante rock Beef è chiaramente ispirata a quella di Alice Cooper. Gran Premio al Festival del cinema fantastico di Avoriaz nel 1975. Nuovi tentativi e proposte dalla metà degli anni Settanta (1)

Se con Obsession (Complesso di colpa, 1975, ambientato a Firenze) De Palma ha realizzato un remake elegante di Vertigo grazie alla sceneggiatura di Paul Schrader (e le musiche di Bernhard Herrman che ebbero una nomination all’Oscar), i due film successivi sono invece sotto il segno di un parziale ri-orientamento. Infatti essi nascono dal desiderio del regista di affermarsi così come era accaduto ai suoi amici (Scorsese, Spielberg, ecc.) e mostrano un maggiore avvicinamento verso il gusto del pubblico e della produzione delle Major. Carrie (Carrie – lo sguardo di satana , 1976) è tratto da un romanzo di Stephen King, uno degli scrittore americani contemporanei ha profondamente influenzato il cinema Usa regalandogli sia dei capolavori - Shining 1979, di S. Kubrick oppure Dead Zone (La zona morta, 1974) di David Cronenberg - ma anche tantissimi film mediocri. Senza raggiungere i livelli di Kubrick, Carrie è un’operazione interessante perché pur rispettando le convenzioni dei block-buster e dei thriller gotico-paranormale (la storia è quella di una adolescente, Carrie, complessata e sbeffeggiata dalle compagne di scuola, che si vendica in maniera diabolica, dato che è in possesso di poteri extrasensiorali) che, prima di arrivare alla sua conclusione mirabolante e scontata, ci consegna un personaggio interessante come quello della protagonista interpretata in modo superbo da Sissi Spacek. Nuovi tentativi e proposte dalla metà degli anni Settanta (2)

Stesso discorso si può ripetere del successivo Fury, film che, oltre a riprendere il tema della parapsicologia, riscuote un risultato buono al botteghino ma non quello enorme di Carrie. Qui il pastiche di generi si fa ancora più denso e succoso: interpretato da attori di grande calibro (Dirk Douglas e John Cassavetes) “è una furibonda, allegra e ironica mescolanza di generi e temi: strapotere dei servizi segreti americani, parapsicologia e telecinesi, thriller, horror fantastico e fantapolitica” . Dopo questo film molto costoso, De Palma torna alla produzione indipendente con Home Movies (Home Movies - Vizietti familiari, 1979) che riprende il tema della commedia e ritorna a quel Sarah Lawrence College di Bronxville dove più di dieci anni prima con una borsa di studio aveva iniziato la sua carriera di cineasta. Il film è curioso e abbastanza divertente, è stato realizzato con gli studenti del College ma malgrado la presenza di una star come Kirk Douglas è un totale insuccesso al botteghino.

Dressed to Kill (Vestito per uccidere)(1980) Con: Michael Caine, Angie Dickinson, Nancy Allen, Mark Margolis. Trama: Una delle pazienti (Dickinson) di un noto psicanalista (Caine) viene uccisa sotto gli occhi di una ragazza-squillo (Allen), ingiustamente sospettata del delitto. Insieme con il figlio della vittima (Mangolis), la testimone smaschererà il maniaco omicida che ha una personalità sdoppiata. E’ la summa della ricerca hitcockiana di De Palma, la sequenza della doccia da Psycho è citata e rifatta due volte nel film (specularmente all’inizio con Angie Dickinson e alla fine con Nancy Allen). “I temi della psicanalisi e del subconscio sono l’asse portante del film: la figura dell’assassino – psichiatra dalla doppia anima – è una reinvenzione di quella di Hitchcock, una persona dalla sessualità disturbata, che risponde all’eccitazione con l’omicidio in quanto incapace di risolvere il suo lacerante conflitto interno; da questo, come dalle discussioni sul sesso messe in bocca ai personaggi o trasmesse alla televisione, traspare il ritratto di un’America ancora in una fase di transizione in merito al trattare la sessualità. E, a distanza di quasi 40 anni, rileggere le controversie che il film, preso di mira sia dalle associazioni femministe sia dalle comunità omosessuali, suscitò alla sua uscita, possono in un certo senso essere un esempio ancora più esemplare di quanto De Palma avesse colpito nel segno”. In Passion (2012), sino ad oggi l’ultima opera di De Palma ha ripreso diversi momenti e inquadrature di Vestito per uccidere.

De Palma e i generi Dal punto di vista dei generi De Palma segue, tre (o forse 4) fili rossi principali: il genere per cui egli è diventato famoso è il thriller alla Hitchcock, il film di suspense, con degli sconfinamenti nel paranormale (Carrie) o nel fantapolitico (Fury). Poi c’è un linea di commedia che parte dalla sua opera prima The Wedding Party ed è proseguita, oltre che in Home Movies, nel film (poco riuscito) di ambiente ebreo-italiano Wise Guys (Cadaveri e compagni, 1986) e poi in chiave drammatica con un altrettante insuccesso The Bonfire of the Vanities (Il falò delle vanità, 1990) basato sull'omonimo romanzo di Tom Wolfe. La sua lunga filmografia che arriva ormai ai 30 lm, si è molto rallentata dal 2000 in poi e non è stata più così coerente come sino agli anni Ottanta. Da ciò sono nati film molto diversi: opere di impegno civile come Casualties of War (Vittime di guerra, 1989) o più di recente il bellissimo Redacted (2007, Leone d’argento a Venezia) sulla guerra in Irak; lavori su commissione come l’ottimo Mission Impossible (1995) e un film di fantascienza Mission to Mars (2000) molto modesto. Oltre ovviamente a opere più “alla de Palma”, sempre comunque inferiori alle precedenti: Raising cain (Doppia personalità, 1992, dove sembrerebbe quasi fare il verso a se stesso anche nel riprendere le musiche di Donaggio) o Snake Eyes (Omicidio in diretta,1998); il thriller Femme fatale (2002) oppure ancora il controverso Black Dahlia (2006, tratto dall’omonimo romanzo di James Ellroy) e infine Passion (2012) ad oggi la sua ultima impresa, poco apprezzata. E infine ha girato nel 1984 un celebre videoclip: https://www.youtube.com/watch?v=129kuDCQtHs

Tre gangster-movie molto diversi

. A De Palma è sconosciuto l’interesse realistico e antropologico di Scorsese per la matrice italo-americana del crimine oppure la sua romanticizzazione e il melodramma tipici di Coppola. . L’approccio di DePalma resta comunque sul terreno del cinema-cinema e del metacinema postmodern. . Tutti e tre i film, pur se in misura diversa, sono impostati sui personaggi narrati e quindi sono improntati ad una maggiore sobrietà formale, perché «quando i personaggi parlano, il pubblico vuole vedere i loro volti, le loro emozioni, e non una macchina da presa che fa giravolte». . In Scarface si compie un’operazione di attualizzazione del “mito” del protagonista e delle tematiche del classico di Howard Hawks. . Con Gli Intoccabili nell’affrontare l’epoca del proibizionismo, De Palma rassicura lo spettatore che a contrastare l’ascesa del male c’è il bene impersonato dal gruppo di agenti speciali. Il film nasce dalla contaminazione con il western. . In Carlito’s Way siamo nella New York della metà dei ’70 e De Palma avvolge il destino del protagonista nell’atmosfera tipica del noir: l’impossibilità della fuga. Carlito non ha calcolato il destino. Ad aumentare il tono pessimistico del film c’è la triste constatazione che non ci si può fidare di nessuno e che Il Dio denaro regola tutti rapporti sociali.

Scarface (1983)

. La trama segue a grandi linee l’originale compreso il rapporto quasi incestuoso con la sorella Gina (Mary Elizabeth Mastrantonio): Tony Montana (Al Pacino) comincia come sicario a pagamento, diventa gorilla e poi luogotenente di un trafficante di droga, si mette in proprio e, fatto fuori l'ex padrone, ne sposa la donna ( nella foto sotto con De Palma) e diventa il boss. Ma va in rovina per una buona azione. . Oltre al turpiloquio (una parolaccia ogni minuto circa), il film si contraddistingue per l’alto budget (25 millioni di dollari), la sceneggiatura di Oliver Stone, la musiche di Giorgio Moroder, la fotografia di John Alonzo oltre che per la presenza carismatica di Al Pacino. . Molti i cambiamenti: Tony Camonte diventa l’immigrato cubano Tony Montana; la Chicago degli anni ’20 diventa la Miami degli anni ’80; l’alcool è sostituito dallo spaccio di cocaina; la violenza viene presentata in modo aperto e alla luce del sole; Tony viene ucciso dai trafficanti di droga e non dalla polizia. . L’assenza dello Stato è il completamento di un duplice discorso del film: sul capitalismo e sulla corruzione delle Istituzioni.

The Untouchables(Gli Intoccabili) 1987

. Stessa formula vincente di Scarface: alto budget (24 milioni di dollari), sceneggiatura scritta da un famoso nome (David Mamet), musica di Ennio Morricone un grande cast: Sean Connery (oscar come migliore attore non protagonista), Andy García, Robert De Niro, Kevin Costner. . Il film si basa sull’autobiografia omonima scritta da Elliot Ness e Oscar Fraley che aveva ispirato una celebre serie tv The Untouchables trasmessa in America tra il ’59 e il ’63 dalla ABC e interpretata da Robert Stack (nella foto). Trama: Chicago, 1930. Una squadra composta dall'agente speciale del Tesoro Elliot Ness (Costner), l'anziano ed esperto poliziotto James Malone (Connery), dalla recluta George Stone/Giuseppe Petri (Garcia) e dal ragioniere Oscar Wallace riesce a far crollare l'impero costruito dal boss del crimine Al Capone (De Niro). . A differenza di Scarface, Gli Intoccabili è un film positivo e vecchio stile in cui assistiamo ad uno scontro manicheo tra il bene e il male. . La contaminazione con il western. . Uso continuo degli omaggi e delle citazioni dai maestri del western a Coppola e di Ejzenštejn. . E’ stato uno dei maggiori successi commerciali nella carriera di DePalma.

Carlito’s Way (1993)

Trama: Harlem 1975. Uscito di prigione grazie ad un cavillo legale e a David Kleinfeld, il suo avvocato (Sean Penn), il gangster portoricano Carlito Brigante (Al Pacino) vorrebbe rifarsi una vita onesta. Ritrova anche l’amore di Gail (Penelope Ann Miller) ma Kleinfeld, cocainomane e colluso, lo coinvolge nell’omicidio di un boss mafioso… . Prodotto da Martin Bregman (lo stesso di Scarface), sceneggiato da David Koepp, rielaborando due romanzi (After Hours, 1975 e Carlito’s Way, 1979), del giudice e poi scrittore portoricano Edwin Torres, Carlito’s Way è una delle poche opere di De Palma che ha messo d’accordo tutti. . E’profondamente influenzato da elementi tipici del noir: l’ambiente urbano come luogo maledetto da cui fuggire, atmosfere notturne e piovose, uso della voice over del protagonista che narra in flash-back la sua storia e infine su tutto il destino fatale che incombe sul protagonista. . DePalma sviluppa qui due temi: il sogno e l’amicizia. Ma l’unica giustizia è quella della strada, il codice della vendetta. . Il regista si è ispirato non solo a classici noir come Double Indemnity (La fiamma del peccato, 1944) e Sunset Boulevard (Viale del tramonto, 1950) entrambi diretti da Billy Wilder ma anche a High Sierra (Una pallottola per Roy, 1941) di Raoul Walsh oltre a contenere diverse autocitazioni. .

Per concludere

. A De Palma manca l’interesse realistico e antropologico di Scorsese per la matrice italo-americana del crimine o la sua romanticizzazione e il melodramma tipici di Coppola. . L’approccio di DePalma resta sempre sul terreno del cinema-cinema e del metacinema postmodern. . Tutti e tre i film, pur se in misura diversa, sono impostati sui personaggi narrati e quindi sono maggiormente improntati ad una certa sobrietà formale, perché «quando i personaggi parlano, il pubblico vuole vedere i loro volti, le loro emozioni, e non una macchina da presa che fa giravolte». . In Scarface si compie l’attualizzazione del “mito” del protagonista e delle tematiche di Howard Hawks, con un personaggio che spaventa lo spettatore. . Con Gli Intoccabili nell’affrontare sempre l’epoca del proibizionismo,si rassicura lo spettatore che all’ascesa del male si contrappone il bene, il gruppo degli agenti speciali. Il film nasce in contaminazione con il western. . In Carlito’s Way siamo invece nella New York della metà dei ’70 e De Palma avvolge il destino del protagonista nell’atmosfera tipica del noir: l’impossibilità della fuga. Carlito non ha calcolato il destino. Ad aumentare il pessimismo del film c’è la triste constatazione che non ci si può fidare di nessuno e che Il Dio denaro regola tutti rapporti sociali.

Il falso italoamericano: Quentin Tarantino • Nasce il 27 marzo del 1963 a Knoxville (Tennessee) da una infermiera di 16 anni, di origini metà irlandesi e metà Cherokee: Connie McHugh; il padre, il 21enne Tony Tarantino - che Quentin da bambino non ha mai conosciuto (ma di cui porta il cognome) perché la madre si separa da lui mentre è ancora incinta - era un aspirante attore nato e cresciuto a New York da una coppia di immigrati italiani originari di Napoli, esperto di arti marziali e con la passione per i western. La madre, in omaggio al personaggio di Quint Asper, interpretato da Burt Reynolds nella serie tv Gunsmoke, lo chiamerà Quentin. Due anni dopo la nascita del figlio, la donna sposa il musicista Curt Zastoupil - con questo padre adottivo il giovane Quentin stringe, invece, un forte legame. Pur essendo stato influenzato dalla forte personalità della madre, sembra comunque la sua infanzia non sia stata delle più felici . Nel 1971, la famiglia trasloca in California a El Segundo, nell’area di South Bay di Los Angeles, dove Quentin frequenta la Hawthorne Christian School. Nel 1973 la madre divorzia dal patrigno. • A soli 14 anni scrive la prima sceneggiatura, Captain Peachfuzz and the Anchovy Bandit. Abbandonata la scuola, nel 1981 inizia a prendere lezioni di recitazione, la sua prima passione.

Gli inizi di Quentin Tarantino

- Dopo diversi lavori saltuari passa nel 1984 al lavorare al videonoleggio Manhattan Beach Video Archives a Los Angeles, dove stringe una grande amicizia con Roger Avary (1965). «Non sono diventato un cinefilo perché lavoravo lì, è il contrario: mi hanno preso a lavorare in quel posto perché ero molto appassionato di cinema e sapevo tutto sull’argomento». Pur continuando a studiare recitazione (spesso apparirà anche nei suoi film) gli interessi Tarantino si spostano sulla scrittura delle sceneggiature e sulla regia. - Nel 1986, infatti, inizia a lavorare per tre anni ad un film indipendente My Best Friend’s Birthday su sceneggiatura scritta dal lui stesso insieme all’amico e collega Craig Hamann, film in 16 mm e in bianco & nero che resta incompiuto. Si può vedere su You Tube in una pessima copia: https://www.youtube.com/watch?v=X6MUbRZSg80 - Contemporaneamente inizia la stesura di alcune sceneggiature: Una vita al massimo (True Romance, 1993, con Roger Avary), realizzata nel 1993 da Tony Scott; Assassini nati (Natural Born Killers), portata sullo schermo nel 1994 da Oliver Stone; Dal tramonto all’alba (From Dusk Till Dawn), diretto nel 1995 (ma uscito l’anno dopo) da un altro amico del cuore, il regista di origine messicana Robert Rodrìguez (1968). Reservoir Dogs (Le iene/Cani da rapina, 1992)

. Grazie al produttore Lawrence Bender e la neofondata società “Band Apart” (nome storpiato ispirato al film di Godard), l’aiuto del regista Monte Hellman e dell’attore Harvey Keitel nasce su sceneggiatura di Tarantino e di Roger Avary, Reservoir Dogs, una straordinaria opera prima girata in 5 settimane nell’estate del 1991, a low budget. Con Harvey Keitel, Tim Roth, Chris Penn, Steve Buscemi, Lawrence Tierney, Michael Madsen . Trama: dei 6 partecipanti alla rapina fallita di una gioielleria a Los Angeles – che non si conoscono tra loro e sono stati ribattezzati con nomi di colori – due sono morti (Mr. Blue = Edward Bunker e Mr. Brown = Tarantino) e un terzo (Mr. Orange = Tim Roth) è ferito. I quattro superstiti si ritrovano in un deposito: uno di loro è una spia.

Reservoir Dogs (Le iene/Cani da rapina, 1992) (2) Si tratta di un “heist film” o “caper film”, un sottogenere del “crime film”. La sua caratteristica è quella di concentrarsi sulla pianificazione, l’esecuzione e la conclusione di un furto. Il modello è stato The Killing (Rapina a mano armata, 1956) di Stanley Kubrick. Il deposito costituisce il teatro principale dell’azione (che rispetta in larga misura le unità aristoteliche di luogo, azione e tempo), frantumata in sconnessioni temporali che forniscono notizie e informazioni su quel che è successo prima e dopo la rapina /trappola. Da Kubrick Tarantino riprende la struttura a mosaico mentre evita di mostrare la scena della rapina. Su questo impianto inserisce – e qui sta l’innovazione all’intermo del genere – un dialogo estremamente brioso e sboccato che presto diventerà, insieme all’uso disinvolto del flash-back, il marchio di fabbrica del regista americano. Nel film si ritrovano tutti gli elementi caratterizzanti dello stile di Tarantino: cinefilia forsennata, l’ambiguità morale dei personaggi, dialoghi barocchi sboccati e dallo humour surreale (a partire dal titolo che non significa nulla), uso disinvolto del flashback e l’esibizione di una grande violenza grafica. Pulp Fiction (1994) Con: John Travolta (Vincent Vega), Samuel L. Jackson (Jules Winnfield), Uma Thurman (Mia Wallace), Harvey Keitel (Wolf), Tim Roth (Pumpkin), Amanda Plummer (Honey Bunny), Maria de Medeiros (Fabienne), Bruce Willis, Christopher Walken. La trama: 4 storie di violenza a Los Angeles che intersecata in una struttura apparentemente circolare avanti e indietro nel tempo (ma senza rispetto della temporaneità): 1) due balordi (Roth e Plummer) stanno per fare una rapina in una tavola calda; 2) due sicari (Travolta e Jackson) recuperano una valigetta preziosa, ripuliscono una auto dai resti di un uomo ucciso per sbaglio grazie a Mr. Wolf (Keitel), l’uomo risolvi problemi, e vanno a mangiare nella tavola calda della rapina; 3) uno dei 2 sicari (Travolta) deve portare a ballare Mia (Thurman), la moglie del capo che, scambiata eroina per cocaina, va in overdose; 4) il pugile Butch (Willis) vince un incontro truccato, scappa con il malloppo ma con il suo inseguitore finisce nella tana di due assassini sadici.

Pulp Fiction(2)

Al secondo film, vince la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1994, oltre a l’Oscar per la migliore sceneggiatura insieme a Roger Avary. Tarantino diventa subito il cineasta più emblematico della sua generazione perché “mentre quella di Scorsese e dei Coppola apprende il mestiere e organizza la sua cinefilia all’università, la nuova generazione invece impara sul campo, guardando e riguardando le cassette video” (e le serie tv). Ispirato a quella narrativa pop di ambiente criminale che, dagli anni ‘30 e ‘40, era pubblicata dai cosiddetti “pulp magazines” (citati nel manifesto del film), si prosegue e si affina la poetica delle Iene, accentuando il filo di un’irridente ironia, dell’ humor nero e di una curiosa dialettica tra buffonesco e tragico. Del gangster movie resta poco o nulla: le situazioni e i personaggi sono ridotti a puri modelli dove svetta una grande bravura nel costruire incastri vertiginosi e dirigere gli attori. Anche di italoamericano c’è quasi nulla, salvo la trasformazione della icona di John Travolta o la presenza di Denny DeVito come produttore esecutivo.

Jackie Brown (1997)

- Terminato il sodalizio con Roger Avary (di cui aveva prodotto l’opera di debutto: Killing Zoe, 1994) e dopo l’infelice Four Rooms (1995), in 4 episodi di retti da Allison Anders, Alexandre Rockwell, Robert Rodriguez e lo stesso Tarantino, ormai diventato un regista di culto realizza un altro capolavoro ma sorprendendo i fan “tarantiniani”. • Trama: un mercante d’armi, Ordell (Samuel L. Jackson), vuole ritirarsi dagli affari, ma non senza riprendersi un’ingente somma depositata in Messico. Dovrebbero aiutarlo l’amico Louis Gara (Robert De Niro), appena uscito di prigione, l’amante Melanie (Bridget Fonda) e la ex socia (Pam Grier), arrestata per colpa sua. Max Cherry (Robert Forster) che la fa uscire di prigione, pagando una grossa cauzione, s’innamora di lei e la aiuterà a sbarazzarsi dell’uomo che di cui si è vendicata … Interpretato dalla ex-star della blaxspoitation (black exploitation) Grier e da un’altra riscoperta cinefila, Robert Forster, tratto dal romanzo Rum Punch di Elmore Leonard (1925), il film che ad oggi è restata l’unica sceneggiatura non originale di Tarantino, mostra una struttura più tradizionale. Si basa su atmosfere noir e sull’approfondimento dei personaggi, oltre a segnare la fine del predominio maschile nell’opera del regista. Uma Thurman diventerà presto la musa del suo cinema nel terzo millennio. Kill Bill 1 e 2 A sei anni da Jackie Brown, nel nuovo millennio Tarantino potenzia il suo stile post-modern con Uma Thurman (autrice anche del soggetto) nella parte della Dea della vendetta in Kill Bill: Vol. 1 (2003) e Kill Bill: Vol. 2, (2004). Il dittico è strutturato in un prologo (ripetuto all’inizio di ogni parte), 5 capitoli a volume + un Epilogo («La leonessa si è ricongiunta al suo cucciolo e tutto va bene nella giungla.») Volume 1 Con: Uma Thurman, David Carradine, Daryl Hannah, Michael Madsen, Vivica A. Fox, Lucy Liu, Trama: “La sposa” (Thurman) subisce una terribile imboscata durante le nozze in cui tutti gli invitati, suo marito e il figlio che ha in grembo vengono sterminati. Svegliatasi dal coma dopo 4 anni, la donna parte per vendicarsi nei confronti dei responsabili del massacro, i vecchi compagni di una vita che ha lasciato: i membri di un gruppo spietato di killer, guidato da Bill (Carradine), noti come la Deadly Viper Assassination Squad in cui lei era Black Mamba. Ognuno, infatti, ha un nome in codice tratto da varie specie di serpenti: O'Ren-Ishii (Lucy Liu) è Cottonmouth, Elle Driver (Daryl Hannah) è California Mountain Snake, Vernita Green (Vivica A. Fox) è Copperhead, e Budd (Michael Madsen) è Sidewinder,il fratello di Bill. Volume 2 Con: Uma Thurman, David Carradine, Michael Madsen, Daryl Hannah, Chia Hui Liu, Michael Parks, Perla Haney-Jardine, Chris Nelson. Trama: Dopo aver eliminato le sue ex colleghe, Vernita Geen e O-Ren Ishii, La Sposa torna ad appagare la sua sete di giustizia. Avendo già cassato i primi due nomi dalla sua lista ‘mortale’, alla donna non resta che sbarazzarsi di Budd e Elle Drive, prima di dedicarsi al suo obiettivo finale, uccidere Bill.

Kill Bill (2) Distaccandosi da un certo realismo che permeava i film precedenti, Tarantino mixa in questo dittico: anime giapponesi, kung-fu, spaghetti-western e Sergio Leone, teatro d’ombre, action movies di Hong Kong, Opera di Pechino, teatro kabuki, chambara (film di spada giapponesi, detti anche Samurai movies), wu xa pian (cappa e spada in mandarino), Ennio Morricone e Bernard Hermann. Ed usa da vero trasformista ogni strumento stilistico a disposizione: colore e bianconero, schermo panoramico e split-screen, montaggio convulso, piano-sequenza e cinema d’animazione. Qui Tarantino esprime in una maniera assolutamente compiuta la sua concezione del cinema “come apoteosi e ‘spremuta’ di generi, summa di citazioni e omaggi”. Se il volume 1 è più orientale, dedicato ai film di kung-fu, allo Yakuza film e a tutti i suoi miti ispiratori, il volume 2 appare invece più proteso verso l'occidente, con le atmosfere da spaghetti-western, con numerosi riferimenti ai film di Sergio Leone, la presenza di almeno sei tracce della colonna sonora eseguite da Morricone (tratte tra l'altro dalla Trilogia del dollaro e da altri film), e una dedica finale allo stesso Leone, a Charles Bronson e a Lee Van Cleef. Inoltre il volume 2 è più parlato; più libero e più d’autore: meno sangue, meno azione, meno coreografie ma più dolore e più amore sino ai confini del melodramma, un genere estraneo al regista: la Sposa/Beatrix si scopre essere anche una madre. Le due parti sono consequenziali, le sconnessioni temporali e il citazionismo persistono, ma sono anche radicalmente diversi, quasi contrapposti. Sembra che la sceneggiatura del film fosse il regalo di compleanno di Tarantino ai 30 anni di Uma Thurman.

GRINDHOUSE – Death Proof (2007) Con: Kurt Russell, Sydney Tamiia Poitier, Vanessa Ferlito, Jordan Ladd, Tracie Thom. Trama: Alla top dj di Austin, Jungle Julia (Poitier), piace cercare relax con le amiche del cuore. Quando si lanciano alla conquista della notte in un locale, non passano inosservate allo Stuntman Mike (Russell), un vecchio ribelle dal volto sfregiato. In realtà è un omicida misogino e schizofrenico, che uccide le sue vittime con l’ auto truccata, una Chevrolet Nova SS del 1970 come avviene inseguendo le ragazze. Molti mesi dopo lo ritroveremo ancora in azione, come sempre in cerca di giovani vittime. Ma questa volta saranno loro a fargli la festa. Originariamente pensato e distribuito come un doppio horror/ splatter diretto da Quentin Tarantino e da Robert Rodriguez, per ragioni commerciali è stato poi diviso in due distinti film. Il titolo è un omaggio alle sale a “doppio spettacolo” appunto le Grind-house (Grind = macinare) che presentavano film d’exploitation, sino all’avvento dell’home movie. Il risultato, un divertissement cinefilo, citazionista (e allungato) non eguaglia Kill Bill, resta in gran parte un film di testa. Come sempre Tarantino recupera poi una icona attoriale come Kurt Russell, mitico attore di John Carpenter. INGLOURIOUS BASTARDS Con: Brad Pitt, Diane Kruger, Mélanie Laurent, Christoph Waltz, Eli Roth, Michael Fassbender, Julie Dreyfus, Cloris Leachman, Samuel L. Jackson, Til Schweiger Trama: 1941, primo anno dell’occupazione tedesca in Francia. Il Colonnello delle SS Hans Landa (Walz), uno “spietato cacciatore d’ebrei”, dopo un lungo e mellifluo interrogatorio, decima l’ultima famiglia ebrea sopravvissuta in quella località. La giovane Shosanna (Laurent), però, riesce a fuggire. Diventata proprietaria di un cinema a Parigi nel 1944 organizza un tentativo di eliminare le alte sfere naziste, Hitler compreso, durante una proiezione di gala . Al piano artigianale dalla ragazza se ne somma uno più complesso. Ad organizzarlo è un gruppo di ebrei americani guidati dal tenente Aldo Raine (Pitt), “I bastardi”, che si avvalgono dell’aiuto di una attrice tedesca che fa la spia (Kruger). Presentato a Cannes del 2009 e dalla durata di 160’ , si avvale dell’interpretazione di una star come Brad Pitt ed è stata una coproduzione con la Germania (è stato girato negli studi di Babelsberg /Berlino). L’attore austriaco Christoph Waltz, sino ad allora quasi sconosciuto al grande pubblico, ha vinto per questo ruolo la Palma a Cannes e poi l’Oscar, in entrambi i casi quale migliore attore non protagonista. INGLOURIOUS BASTARDS (2) E’ solo all’apparenza il remake di un film di guerra italiano Quel maledetto treno blindato (1978) di Enzo G. Castellari che Tarantino ha molto incensato - le somiglianze sono minime, si tratta di una delle tante boutade cinefile tarantiniane. Il progetto risaliva ad diversi anni prima ma il regista decise di posticiparlo per potersi dedicare a Kill Bill. Ha dichiarato di averne rimandato la realizzazione perché non riusciva a smettere di scrivere, ma sapeva di dovere eliminare alcune sottotrame affinché la storia potesse funzionare. “La sua passione per il cinema di genere, unita al piacere di raccontare storie, lo porta a riscrivere la Storia ufficiale con un attentato a Hitler collocato nell’unico luogo in cui il regista americano può pensare si possa attuare una giustizia degna di questo nome: in una sala cinematografica.” Oltre alla sempre superba direzione degli attori, il forte sta al solito nella brillantezza e nell’ironia dei dialoghi, nell’uso e la scelte della musica, nelle continue citazioni piuttosto che nella coreografia delle sequenze d’azione, qui molto ridotte rispetto ai suoi film precedenti. DJANGO UNCHAINED (2012) Con: Jamie Foxx. Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Samuel L. Jackson La trama: Nel Sud degli Stati Uniti, 2 anni prima della Guerra Civile. Django (Foxx), uno schiavo di colore è diventato un cacciatore di taglie sotto la guida di un ex dentista (Waltz) di origine tedesca. Dopo aver lavorato insieme per tutto l'inverno, la coppia va alla ricerca della moglie dell'ormai uomo libero Django, Broomhilda (Washington), schiava del feroce proprietario terriero Calvin Candie (DiCaprio). La liberazione della donna non sarà facile e potrà avvenire solo dopo molte uccisioni e stragi. Da Corbucci Tarantino ripreso la grande violenza grafica Il titolo in cui compare il termine Unchained (scatenato, libero, senza catene) fa riferimento al tema principale del film, quello della schiavitù e della sua storia. -Il nome della donna di Django è Broomhilda, un po’ strano per una donna di colore, è l’ americanizzazione di Brunild (Brunilde). Anche nella figura del protagonista si rivelano dei caratteri che fanno pensare a Siegfrid. Vengono usate delle nuove fonti di ispirazione inconsuete tratte dalla leggenda nordico-tedesche per un film che ha una Morale quella di condannare e stigmatizza, la schiavitù. - E’ stato forse il maggior successo di Tarantino al botteghino - Girato in 35 mm ha vinto due Oscar nel 2013: Christoph Waltz come miglior attore non protagonista e Tarantino per la miglior sceneggiatura

. THE HATEFUL EIGHT (2015) Con: Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Demián Bichir, Tim Roth, Michael Madsen, Channing Tatum, Bruce Dern. La trama: Subito dopo la guerra di secessione, una diligenza viaggia nell'innevato inverno del Wyoming con a bordo il cacciatore di taglie John "The Hangman“ Ruth e la sua prigioniera Daisy Domergue, diretti verso Red Rock dove la donna sarà consegnata alla giustizia. Lungo la strada, si aggiungono il Maggiore Marquis Warren, un ex soldato nero nordista, anche lui un cacciatore di taglie, e Chris Mannix, presunto nuovo sceriffo di Red Rock. Per l’infuriare della tempesta il gruppo si rifugia nell'emporio di Minnie, accolti non dalla proprietaria, ma da quattro sconosciuti: il messicano Bob, il boia di Red Rock Oswaldo Mobray, il mandriano Joe Gage e il generale della Confederazione Sanford Smithers. La bufera blocca gli otto personaggi e ben presto si capisce che la situazione non sarà affatto semplice. Per molte ragioni…

THE HATEFUL EIGHT (2)

Il processo di politicizzazione latente del cinema di Tarantino culmina con questo “western da camera che mette in scena lo psicodramma amorale di 8 personaggi in un’isolata Emporio del Wyoming e che gioca con toni diversi da quelli del Tarantino più fracassone o sfacciato”. Siamo passati dal profondo sud del film precedente, al nord, ad un innevato Wyoming: dopo una lunga introduzione lo spettatore è chiamato a risolvere il busillis di “chi è chi” come fossimo in un thriller tratto da Agatha Christie andando al solito su e giù nel tempo. Questo che è sinora il film più lungo mai girato dal nostro autore (187’ nella versione 70 mm e 167’ in quella commerciale) racconta in filigrana le tare della società americana, il razzismo e la violenza. Ovviamente non come in un tradizionale film “committed” ma alla Tarantino con tanto di cinefilia e riferimenti al cinema. “Introdotto (nella versione lunga in 70 mm) da un’Ouverture, ripartito in cinque capitoli, The Hateful Eight ribadisce gli attori di culto (Samuel L. Jackson, Tim Roth, Kurt Russell, James Parks), convoca Jennifer Jason Leigh e Channing Tatum e attesta Walton Goggins e Bruce Dern, che si accordano magnificamente per soddisfare l'intenzione politica di Tarantino”. Molto meno fortunato dei due film precedenti al box office, forse perché troppo lungo e raffinato nel gioco delle psicologie, ha comunque vinto un Oscar per la miglior colonna sonora, composta da Ennio Morricone