Una Regina di qualità

L’irresistibile grazia del cantautorato di qualità: il ritorno dell’eccentrica e talentuosa ci regala un nuovo ricco di suggestioni preziose ed eleganti

/ 19.12.2016 di Benedicta Froelich

Nell’ambito dell’odierno panorama pop-rock internazionale, capita, purtroppo, sempre più raramente di imbattersi in artisti di ultima generazione che siano in grado di infondere la propria musica di uno spirito in qualche modo innovativo e personale: uno stile non soltanto audace, ma anche contraddistinto da caratteristiche peculiari e riconoscibili, in grado di conferire a ogni brano una connotazione originale e individuale, inconfondibile all’interno della scena contemporanea. Eppure, nonostante l’anagrafe ci confermi che ha appena trentasei anni, l’affascinante Regina Spektor – cantautrice russa di origine ebraica, ormai da tempo prestata agli Stati Uniti e alla loro tradizione musicale – può essere promossa a pieni voti per quanto riguarda audacia compositiva e capacità di distinguersi dalla massa.

A distanza di quattro anni dal successo dell’ultimo album, What We Saw from the Cheap Seats, Regina (che nel frattempo si è sposata ed è anche divenuta mamma), torna oggi alla ribalta con il nuovo Remember Us to Life: un disco agile, che ci permette di ritrovare una performer in forma smagliante, decisa a perseguire i propri obiettivi artistici attraverso le particolari e personalissime suggestioni stilistiche a cui ci ha abituati, pur lasciandosi andare a qualche piccola concessione a un «easy listening» leggermente più radiofonico e commerciale. Ciò si nota fin dalla traccia d’apertura, Bleeding Heart, che si rivela vincente grazie a un ritornello particolarmente accattivante, caratterizzato dagli irresistibili e vezzosi virtuosismi della voce della Spektor, magistrale nell’intessere delicati arabeschi destinati a culminare in una pura esplosione pop – il tutto, come sempre, caratterizzato da un uso sapiente e trasgressivo del pianoforte, strumento che funge da base per ogni singolo pezzo di Regina, già eccellente pianista di formazione classica.

Certo, c’è da dire che la tracklist presenta qua e là anche brani non proprio originalissimi come Older and Taller e Tornadoland – entrambi molto gradevoli, ma forse un po’ troppo simili a pezzi presenti in dischi quali (2004) e Far (2009); ma fortunatamente, Regina dimostra di saper osare ben di più con canzoni irriverenti e originali quali la ritmata Small Bill$ e, soprattutto, la visionaria Grand Hotel, in cui l’artista lascia libero sfogo alla propria vena surreale per offrire all’ascoltatore una metafora sul sottile velo che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, nello specifico da un folcloristico «inferno» situato appena al di sotto di un insospettabile albergo cittadino – visioni che richiamano da vicino alcuni dei brani presenti nell’ottimo (2006), l’ormai celeberrimo disco che ha donato alla Spektor la fama internazionale.

Tuttavia, le tracce di impostazione apparentemente più «classica» non sfigurano all’interno dell’album: ne sono un esempio The Light e il pezzo di chiusura The Visit, che, sebbene di primo acchito non particolarmente memorabili, presentano una forza evocativa non indifferente. E se, di nuovo, Sellers of Flowers richiama un po’ troppo da vicino alcuni brani del passato, ciò non toglie nulla alla capacità di suggestione e al vigore interpretativo che lo caratterizzano. Anche perché l’efficacia dello stile di Regina non viene mai a mancare, come dimostrato da un esperimento quale The Trapper and the Furrier, in cui la Spektor unisce il suo peculiare stile di songwriting moderno alla tradizione dello storytelling angloamericano, nel tentativo di crea-re una vera e propria ballata gotica dagli accenti apocalittici che riverberi anche del gusto e delle suggestioni tipiche del suo tocco eccentrico.

Atmosfere similari, ma più leggere, si riscontrano anche nei lenti, che la cantautrice riesce a infondere di accenti seducenti e scene emotivamente cariche, come nel caso di un pezzo delicato e toccante quale Obsolete; anche se, in verità, lo struggente intimismo di cui Regina è capace risalta soprattutto in Black and White, un’onirica e quasi ipnotica nenia dal sapore nostalgico e fortemente introspettivo.

In definitiva, si può dire che anche questa volta la Spektor sia riuscita a regalare ai suoi sempre più numerosi ammiratori un disco profondo e toccante: Remember Us to Life non pullula forse di potenziali hit o brani «da singolo» come era accaduto con Begin to Hope, ma presenta tutte le caratteristiche che ci hanno fatto innamorare della musica di quest’artista, la quale si conferma come una delle performer più interessanti e originali dell’attuale scena internazionale. E se, qua e là tra le tracce del CD, si riscontra una lieve stasi creativa – esemplificata da una forte somiglianza a melodie e soluzioni armoniche già note ai fan – ciò non impedisce a Regina di riuscire comunque a far fruttare ancora una volta la propria maestria nell’intessere atmosfere sofisticate e ad alto voltaggio emotivo, riuscendo sempre a ottenere risultati comunque affascinanti e di sicura presa sugli ammiratori, e non solo.