Nel C.U.O.R.E. di Napoli: alla scoperta delle imprese.

Settembre 1999

Centro Interdipartimentale URBAN - ECO Via Forno Vecchio n. 36 80100 NAPOLI

Indice

Prefazione...... p. 3

Introduzione ...... p. 5

Parte 1 Il progetto C.U.O.R.E...... p. 6

1a Illustrazione del progetto ...... p. 6 1b La metodologia ...... p. 7 Il gruppo di lavoro ...... p. 10

Parte 2 L’area Nord...... p. 11 2a ...... p. 11 2b ...... p. 20 2c ...... p. 29 2d ...... p. 39 2e Prime considerazioni sull’area Nord ...... p. 54 2f Appendice storica ...... p. 58

Parte 3 L’area Est ...... p. 63 3a ...... p. 63 3b ...... p. 75 3c ...... p. 84 3d ...... p. 96 3e Prime considerazioni sull’area Est ...... p. 107 3f Appendice storica ...... p. 111

Parte 3 Conclusioni ...... p. 118 4a Caratteristiche del tessuto produttivo delle aree oggetto di ricerca ...... p. 118 4b Proposte operative ...... p. 121

Bibliografia di riferimento ...... p. 124

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Prefazione di Pasquale Losa Assessore al Lavoro del Comune di Napoli

L’Amministrazione comunale, con il progetto C.U.O.R.E., intende concorrere allo sviluppo delle attività produttive della città focalizzando l’impegno, tra l’altro,sul fenomeno del lavoro nero e favorirne l’emersione. Le attività sommerse, oltre a costituire un “terreno di coltura” dell’illegalità, con effetti deleteri sul piano delle finanze pubbliche e su quello della gestione della forza lavoro, frenano le potenzialità complessive di espansione delle imprese, inducono turbative sul piano di una “sana concorrenzialità” e si autoescludono da processi di aggregazione, promozione e sviluppo delle vocazioni economiche territoriali. La lotta al lavoro nero e sommerso rappresenta un impegno di “governo delle potenzialità di sviluppo”, non tanto o non solo una “lotta contro”, ma una “lotta per” liberare l’economia della città da fattori di illegalità e da altri che ne frenano l’espansione, per far emergere la laboriosità, le capacità, la creatività e, perché no, la cultura e la fantasia delle forze produttive. L’Amministrazione comunale intende proseguire nella politica di concertazione, all’interno della quale è nata questa iniziativa, e che coinvolge CGIL, CISL, UIL, UGL, Unione Industriali, ASCOM, API, CNA, CLAAI, CASA, Confartigianato, Confesercenti, AGCI, Confcooperative e Lega Cooperative. Il metodo adottato richiede di basare gli strumenti di lotta, per l’emersione e lo sviluppo delle imprese, su di una approfondita conoscenza del territorio allo scopo di identificare interventi validi ed efficaci. Questo primo rapporto sul progetto CUORE, redatto dal Centro Interdipartimentale URBAN-ECO dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, costituisce strumento di diffusione della conoscenza, su come concretamente si articola il fenomeno del sommerso in otto circoscrizioni di Napoli, e stimolo all’approfondimento delle problematiche riscontrate. Problematiche, però, viste dall’interno delle realtà produttive territoriali che richiamano anche quelle connese alla funzionalità degli attuali soggetti di governo delle attività economiche e quelle relative ai rapporti imprese – istituzioni.

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L’esame ed il dibattito sui risultati del lavoro fin qui svolto, costituiscono la naturale prosecuzione della politica di concertazione e presupposto indispensabile per l’allargamento di tale metodo ad altri soggetti istituzionali, locali – nazionali – europei, che saranno chiamati ad apportare il loro contributo nella lotta per lo sviluppo di Napoli e del meridione.

Napoli, 23 settembre 1999 Pasquale Losa

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Introduzione

INTRODUZIONE prof. Luca Meldolesi Ordinario di Politica economica Università di Napoli “Federico II” Presidente del Comitato Nazionale per l’emersione

Può una piccola ricerca modificare la percezione che abbiamo dei problemi della nostra città? E’ questa, a mio avviso la sfida implicita delle pagine che seguono. Facendo seguito all’esperienza pioneristica del progetto URBAN dei Quartieri Spagnoli e della Sanità e per iniziativa dell’Assessorato al lavoro e del Servizio Lavoro, il Comune di Napoli ha patrocinato una ricerca su un gruppo di quartieri di Napoli Nord e Napoli Est: esso ha avviato così un itinerario di inchieste sul campo, che dovrà essere certamente proseguito, volto a rilevare la realtà degli addensamenti di artigiani e di piccole imprese all’interno del territorio comunale – uno degli aspetti chiave della realtà produttiva e occupazionale napoletana. I primi insegnamenti di tale lavoro condotto con rigore ed intelligenza da un gruppo di laureati e laureandi afferenti alle cattedre di Politica economica e di Economia dello sviluppo del Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali dell’Università di Napoli “Federico II” coordinati dalla dott.ssa Daniela Caianiello, possono essere elencati come segue: 1. Il tessuto della piccola impresa, come era da aspettarsi, è profondamente disomogeneo: nei quartieri esaminati esistono alcuni addensamenti ma anche molti avvallamenti; 2. A tale proposito è subito chiaro che le politiche generali, per ottenere risultati in loco, debbano essere affiancate da politiche specifiche di consolidamento e di emersione delle realtà produttive esistenti, di risanamento del tessuto sociale e di regolarizzazione dell’occupazione. 3. Bisogna puntare sugli addensamenti senza trascurare attività di promozione dove questi sono esili o non si sono ancora formati. 4. Le politiche di zona debbono essere costruite a partire dalle circoscrizioni (e gruppi di circoscrizioni) tramite la formazione dei “cuori” solitari; vale a dire di centri di sviluppo locale tecnicamente agguerriti che costituiscono una rete di supporto efficace alle realtà istituzionali ed alle parti sociali 5. La logica di zona è quella della “ricomposizione” della tematica dello sviluppo e dunque dell’attenzione a tutti gli aspetti che hanno effetto sulle attività (dall’ordine pubblico, ai servizi, ai finanziamenti, etc…)

Conclusione: la presente ricerca conduce in medias res dello sviluppo locale e ne prefigura in un certo senso problematiche, esperienze e potenzialità future. Vale la pena di seguirla con interesse.

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PARTE 1 Il progetto C.U.O.R.E.

1a Illustrazione del progetto di Daniela Caianiello

Il Progetto C.U.O.R.E. si configura come un’attività di diagnosi e di intervento in due zone di Napoli - area Nord (Chiaiano, Miano, Secondigliano e San Pietro a Patierno) ed area Est (Poggioreale – Zona Industriale, Barra, Ponticelli e San Giovannia Teduccio) - finalizzata alla creazione di meccanismi che riescano a favorire l’emersione e la qualificazione delle imprese locali e la nascita di nuove unità produttive. L’attività proposta parte dall’ipotesi che lo sviluppo territoriale possa fondarsi su di un processo di consolidamento delle attività produttive esistenti e sulla creazione di nuove imprese finalizzato a sprigionare e valorizzare le potenzialità palesi e nascoste del territorio oggetto dell’intervento. L’emersione delle imprese irregolari rappresenta un obiettivo ambizioso, per riuscire a raggiungerlo occorre mobilitare numerose risorse (a livello locale e nazionale), coinvolgendo i soggetti istituzionali e sociali ed attuando congiuntamente interventi di politica economica di diversa natura (diretti ed indiretti). L’obiettivo del progetto è stimolare la regolarizzazione delle imprese e dei loro dipendenti tramite l’apertura di Centri Urbani Operativi per la Riqualificazione Economica (C.U.O.R.E.), che possano assistere ed aiutare le aziende che decidono di intraprendere un percorso di emersione. Si ritiene, che in aree caratterizzate dalla presenza di imprese totalmente o parzialmente “sommerse” la creazione di questi centri possa risultare un efficace strumento per il consolidamento, la valorizzazione e lo sviluppo di tali attività. L’elemento fondante dell’intervento proposto è che esso si configura come una strategia di sostegno all’impresa, di forte ricaduta sul territorio. Il principale contributo di tali Centri allo sviluppo locale è dato dalla sua potenzialità di produrre cambiamenti nelle strutture produttive dell’area interessata, favorendo la regolarizzazione delle imprese sommerse. Il presente rapporto di ricerca, redatto al termine della prima fase d’indagine, ha l’obiettivo di delineare una prima fotografia dell’identità produttiva e sociale dell’Area Nord ed Est di Napoli, con particolare riferimento all’analisi dei bisogni effettivi del territorio e

6 delle imprese locali. Inoltre, si evidenzieranno i primi risultati dell’azione di monitoraggio delle condizioni di lavoro nelle imprese per stimare la consistenza del fenomeno del lavoro irregolare in termini qualitativi e quantitativi.

1b La metodologia

di Daniela Caianiello

La metodologia1 che è alla base del presente lavoro non nasce dall’applicazione

meccanica di una struttura precostruita, ma dall’esplorazione di una realtà che va affrontata

con grande curiosità intellettuale, uscendo dalla falsa scientificità pretesa dall’applicazione

acritica degli standard statistici correnti, per liberare invece le energie creative del gruppo di

ricerca.

Si è cercato di penetrare nelle attività produttive di alcuni quartieri di Napoli, allo scopo di comprenderne il funzionamento, le difficoltà e le risorse per cercare di avanzare proposte concrete per queste realtà economiche poco conosciute.

Non si conosceva in anticipo il numero delle imprese, poiché l’elenco Infocamere2, che ha rappresentato la nostra base di partenza, non riesce a star dietro alle numerose variazioni

(trasferimenti, chiusure, creazione di nuove imprese) che coinvolgono le piccole aziende dei quartieri analizzati. Non è stato quindi possibile fare un campione probabilistico “casuale semplice” ed a maggior ragione non si è potuto fare “casuale stratificato”, poiché scoprire i settori merceologici e l’organizzazione delle fasi lavorative è stato un punto di arrivo e non un dato di partenza.

Per riuscire a stimare il nostro universo abbiamo disaggregato i dati Infocamere aggiornati a marzo 1999 per quartiere, per ognuno di questi, sono state scelte le dieci strade con la più alta presenza di imprese ed estratte a sorte le altre dieci. Nelle strade così selezionate abbiamo operato, nel periodo maggio – giugno 1999, un censimento a tappeto delle attività esistenti, verificando i nominativi contenuti nell’elenco Infocamere e registrando le imprese non indicate da quest’ultimo.

1 L. Meldolesi, N. Stame “Note sulla metodologia della ricerca” in Rivista di Politica Economica agosto – settembre 1998 2 L’elenco Infocamere risultava aggiornato al 31 marzo 1999.

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In questa prima fase abbiamo anche cercato di interagire con il quartiere, con esiti diversi a seconda delle zone, cercando di raccogliere le prime voci degli imprenditori rassicurandoli sulle nostre intenzioni. Le informazioni ottenute durante questa prima ricognizione, hanno costituito parte del materiale d’inchiesta per l’elaborazione del presente rapporto.

Abbiamo inoltre cercato di utilizzare una metodologia che ci consentisse di individuare gli aspetti di sistema, come i rapporti familiari ed amicali. Per questi motivi si è ritenuto opportuno utilizzare quei metodi di campionamento “a valanga” che sono stati elaborati negli studi di comunità.

In un primo momento abbiamo contattato alcune persone particolarmente integrate nel territorio – Presidenti di Circoscrizione, parroci, operatori economici, etc - questi poi, tramite processi sequenziali, da un’intervista all’altra (da cosa nasce cosa) ci hanno permesso di individuarne altre.

Successivamente abbiamo approfondito le tematiche di maggior interesse attraverso “interviste in profondità” ad imprenditori appartenenti a diversi settori produttivi, per ottenere un riscontro delle prime informazioni raccolte. A tal fine abbiamo utilizzato un questionario semistrutturato in grado di recepire l’imprevisto e di interagire con l’interlocutore.

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Tabella n. 1 TEMATICHE DELL’INDAGINE SUL CAMPO

Ragione sociale ANAGRAFICA Settore di appartenenza Storia dell’impresa Fatturato PRODOTTI E Mercato di riferimento Concorrenza Numero addetti FORZA LAVORO Formazione Regolarità del lavoro Autofinanziamento FONTI DI FINANZIAMENTO Rapporti con gli Istituti di credito Agevolazioni Rapporti con le Istituzioni RAPPORTI CON IL TERRITORIO Collaborazione tra imprenditori Criminalità

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GRUPPO DI LAVORO

Supervisione Scientifica: prof. Luca Meldolesi cattedra di Politica economica Facoltà di Economia e commercio Università degli Studi di Napoli “Federico II”

prof. ssa Liliana Bàculo cattedra di Economia dello sviluppo Facoltà di Economia e commercio Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Responsabile del progetto: dott.ssa Daniela Caianiello

Tutor: dott.ssa Immacolata Voltura

Ricercatori: Annalisa Caso Saverio Cioffi Michele De Mare Paolo Di Virgilio Vincenza Novella Nicolina Scafuri Il progetto è stato realizzato con l’attiva collaborazione del Comune di Napoli:

Servizio Lavoro Dirigente Dott.ssa Carmela Mazza Piazza Palazzo S.Giacomo 3°Piano Tel.081-552.40.05 Fax 081-580.17.17

Assessorato al Lavoro Assessore Pasquale Losa Piazza Municipio Palazzo S.Giacomo 3°Piano Tel. 081-5515702 Fax. 081-5515280

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PARTE 2 L’AREA NORD

2a CHIAIANO di Annalisa Caso e Saverio Cioffi

La storia recente La morfologia collinare del territorio e la presenza di cave di tufo hanno in parte protetto Chiaiano dall’intenso processo di urbanizzazione3, che, a partire dagli anni 50-60, ha profondamente trasformato la caratterizzazione economica e sociale della zona a Nord di

Napoli.

Chiaiano – seconda circoscrizione di Napoli per estensione territoriale con una superficie di 9,67 Km2 – ha una densità abitativa bassa se paragonata alle circoscrizioni confinanti (Miano, Secondigliano, ecc.), anche se ha subito un considerevole incremento tra il

1951 e il 1981, passando da 1055 a 2257 unità/ Km2.

La considerevole estensione, non favorisce una caratterizzazione omogenea della circoscrizione. Appare evidente il divario esistente tra la zona alta del quartiere (a ridosso del

Vomero, circoscrizione tradizionalmente considerata “chic”) e quella bassa (che risente negativamente della vicinanza di quartieri malfamati come e Secondigliano).

I diversi ospedali, con annesse le Facoltà universitarie di Medicina, Farmacia ed

Odontoiatria, rendono, in alcune ore della giornata, il quartiere impraticabile, per il gran numero di studenti e visitatori.

“Fino a poco più di quarant’anni fa i signori di Napoli venivano in villeggiatura qui, attirati dal cibo genuino e dalla bellezza del paesaggio” ci ha raccontato una persona che abita a Chiaiano “da quando è nata”. Camminando per alcune strade è ancora possibile respirare

“aria buona” o scoprire spazi verdi risparmiati dal degrado urbano, come le masserie

3 Al contrario l’abusivismo edilizio è abbastanza diffuso. I cantieri “aperti” sono ancora diversi, il caso più eclatante è quello di un fatiscente palazzo di otto piani, costruito in aperta campagna.

11 contadine abitate o il Parco dei Camaldoli, importante risorsa paesaggistica e naturalistica dell’area.

Proprio per valorizzare la vocazione agricola della zona, attualmente Chiaiano è impegnata come circoscrizione pilota in un progetto per il recupero ambientale della collina dei Camaldoli. Il progetto prevede la trasformazione delle antiche masserie presenti sulla collina in micro-imprese del settore agricolo e/o turistico. E’ inoltre prevista l’apertura di uno sportello che supporterà lo sviluppo e le attività delle imprese.

Struttura della popolazione4 Gli abitanti, al censimento del 1991, risultano 21.830, il 2% della popolazione residente della città di Napoli (1.067.365 ab.).

Il titolo di studio più diffuso è la licenza media inferiore (30%), seguito dalla licenza elementare (28%) e dal diploma (16%). I semianalfabeti costituiscono il 13% della popolazione, i laureati il 2%.

Il numero dei disoccupati e delle persone in cerca di prima occupazione è di 3.742 unità, gli occupati invece sono 5.284.

Il tasso di disoccupazione è del 41,5%: è aumentato di sei punti percentuali tra il 1981 ed il 1991.

Indagine sul campo La verifica sul campo dei dati relativi alle imprese presenti sul territorio ha messo in luce un’elevata dispersione delle stesse. L’alto numero d’imprese su Via Vecchia

Napoli, Via Orsolona ai Guantai e Via Nuova Toscanella, è, infatti, dovuto unicamente alla notevole lunghezza di tali strade.

L’elenco delle strade monitorate è riportato nella seguente tabella.

4 Fonte: ISTAT Censimento 1991

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Tabella n. 2 Elenco strade monitorate - Chiaiano Strade Numero imprese presenti nell’elenco Infocamere VIA VECCHIA NAPOLI 19 VIA GUANTAI AD ORSOLINE 13 VIA NUOVA TOSCANELLA 11 STRADA PROVINCIALE S. MARIA A CUBITO 8 VIA COMUNALE MARGHERITA 6 VIA L. BIANCHI 6

CORSO CHIAMANO 4 VIA G. QUAGLIARIELLO 4 VIA G.A. CAMPANO 4 VIA CUPA SPINELLI 3

2 VIA CHIESA DI PELVICA VIA C. GUERRA 2 VIA VICINALE REGGENTE 2 VIA VICINALE ROTONDELLA 1 VIA PALMANTIELLO 1 VIA S. IGNAZIO DI LODOLA 1 VIA VICINALE LARDIGHELLO 1 VIA A. COCCHIA 1 VIA CROCE -- VIA NAPOLI -- Totale imprese monitorate 89 Totale imprese Chiamano 120

Le imprese monitorate sono state 89: esse rappresentano il 74% del totale delle imprese presenti a

Chiaiano secondo l’elenco Infocamere.

E’ risultato, inoltre, difficile individuare le attività produttive nelle numerose strade costeggiate dalla campagna, sia perché spesso i numeri civici contrassegnano traverse lunghe quasi quanto la strada, da cui si dipartono, sia perché, in seguito al cambiamento nel sistema di numerazione dei civici, più numeri

13 contrassegnano uno stesso stabile o, peggio, un insieme di case. Si è cercato di superare questi problemi

“coinvolgendo” la gente del quartiere5 che si è dimostrata molto collaborativa6.

Le stesse considerazioni valgono solo in parte, per gli imprenditori, visti gli atteggiamenti contraddittori riscontrati. Si spazia dalla diffidenza di un produttore di scarpe, che si è reso “disponibile” solo dopo un’estenuante trattativa al citofono e che ci ha accolti all’ingresso della fabbrica scortato da due splendidi esemplari di pastore tedesco, alla cordialità della titolare di un tacchificio, che non ha esitato ad accoglierci nella sua abitazione.

Diversi sono stati i rifiuti registrati e, sorprendentemente, la maggior parte di questi sono venuti da giovani imprenditori.

Degli 89 “contatti” effettuati solo 51 sono risultati corrispondere ad attività esistenti, i restanti 38, invece, ad attività non trovate, chiuse o trasferite. Il riscontro dei dati Infocamere

(calcolato rapportando il numero di riscontri positivi con il totale delle imprese monitorate) è stato, pertanto, del 57 %.

Tabella n. 3 Riscontro elenco Infocamere TOTALE RISCONTRI % RISCONTRI % IMPRESE POSITIVI SUL TOTALE NEGATIVI SUL TOTALE MONITORATE 89 51 57,3 38 42,7 Tabella n. 4 Riscontri positivi

SEDI OPERATIVE 46 SEDI LEGALI 5 TOTALE 51

Tabella n. 5 Riscontri negativi NON TROVATE 33 TRASFERITE 2 CHIUSE 3 TOTALE 38

5 Tale apertura è forse dovuta al fatto che il quartiere è abitato dal personale medico e paramedico, impiegato nei numerosi ospedali della zona. 6Ad esempio abbiamo chiesto ad una donna a passeggio con la sua bambina, di indicarci una strada, la giovane madre, resasi conto delle nostre difficoltà, non ha esitato a salire in auto, con figlia e passeggino, per accompagnarci in zona. Anche una signora anziana, si è mostrata disponibile, alla nostra richiesta di

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Riguardo alle caratteristiche del tessuto produttivo locale, è da evidenziare:

1. l’elevata dispersione sul territorio delle attività dovuta alla estensione del quartiere;

2. la mancanza di ispessimenti produttivi;

3. ambienti lavorativi decorosi rispetto al livello medio cittadino;

4. discreta cultura imprenditoriale.

Le attività prevalenti sono l’industria alimentare (in particolare il settore è costituito da laboratori di panificazione e di pasticceria) e l’industria del cuoio e della pelle (con prevalenza di attività per la lavorazione di scarpe, borse e relativi accessori).

Tabella n. 6 Settori prevalenti

Attività manifatturiere Unità %* Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 15 29

Industrie conciarie, fabbricaz. di prodotti in cuoio, pelle e similari 10 20 Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 6 12 Industria del legno e dei prodotti in legno 4 8 Fabbr. di macchine elettriche e di apparec. Elettriche ed ottiche 3 6 Fabb. pasta-carta, carta e dei prodotti di carta, stampa ed editoria 3 6

*percentuale sul totale dei riscontri positivi

Le attività rilevate e non presenti nell’elenco Infocamere sono quattro, ma, considerate le numerose strade di campagna, l’ampiezza del territorio e la conseguente dispersione delle imprese, si presume che tale cifra sia approssimata per difetto. Solo casi fortuiti, come l’arrivo di un fornitore ed i soliti rumori e odori “traditori”, hanno permesso l’individuazione di imprese non registrate, altrimenti impossibile, visto i luoghi “remoti” della loro ubicazione e l’aspetto anonimo dei fabbricati che le ospitano.

informazioni ha barattato le informazioni che ci occorrevano con un passaggio a casa (gli autobus erano in sciopero).

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Tabella n. 7 Attività presenti a Chiaiano Totale attività Totale attività NON TOTALE % attività NON monitorate PRESENTI PRESENTI elenco ATTIVITA’ PRESENTI in elenco in elenco Infocamere Infocamere sul totale imprese PRESENTI in elenco 89 4 93 4,5

Le imprese scelte per le interviste in profondità operano in diversi settori produttivi.

L’utilità della selezione è legata all’esigenza di porre in risalto le peculiarità del legame con il territorio, oltre alle specificità dei singoli settori produttivi.

Tabella n. 8 Elenco interviste in profondità realizzate a Chiaiano

Numero Tipo di Natura Titolo di Fatturato Numero Numero intervista attività giuridica studio addetti addetti a regolari nero N° 1 Laboratorio Ditta Diploma 30 milioni 2 ( marito) 0 pasticceria individuale N° 2 Lavorazione S.a.s. Licenza 250 milioni 5 operai 3 borse media N°3 Produzione S.a.s. 1 socio Non 8 operai 7 scarpe diploma disponibile 3 lic. Media N° 4 Lavorazione Ditta Licenza Non 2 collabor. Non tacchi individuale elementare disponibile familiari disponibile N° 5 Produzione S.n.c. Licenza 1 miliardo e 4 operai; 3 Non mozzarella media 500 mil. coll. famil. disponibile N° 6 Laboratorio Ditta Diploma 20 milioni 1 collabor. 0 pasticceria individuale familiare N° 7* Lavorazione S.r.l. Licenza 700 milioni 5 operai 2 vetro elementare N° 8 Produzione S.r.l. Non Non 27 operai Non scarpe disponibile disponibile disponibile *attività non presente nell’elenco Infocamere

Caratteristiche delle imprese

Gli imprenditori intervistati hanno mediamente titoli di studio bassi: l’esperienza nel settore è per lo più frutto di attività tramandate da diverse generazioni. Nel caso di aziende familiari con esperienza più che decennale alle spalle (interviste n° 4-5-7, dove l’attività esiste da circa quarant’anni), ciò sembra contribuire ad una maggiore stabilità e professionalità delle attività in questione, come è possibile rilevare anche dall’entità del fatturato.

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L’assetto societario è infatti, nella maggior parte dei casi, il risultato di un’evoluzione storica dell’attività familiare.

Spesso la moglie risulta l’intestataria, mentre il coniuge si dedica ufficialmente ad altre attività. Per esempio nel caso del tacchificio (intervista n° 4) ne è stato titolare fino a qualche anno fa il marito: in seguito ad un incidente sul lavoro, che gli ha procurato la perdita di un occhio, attualmente gode di una pensione di invalidità e l’impresa è intestata alla moglie pur essendo lui a tutti gli effetti a dirigere l’impresa.

Nessuno degli imprenditori ha mai fatto ricorso a prestiti bancari; le frasi più ricorrenti da loro usate sugli Istituti di Credito sono state: “è semp’ a stessa storia, quann s’ tratt e avè t’ martellano, quann annà ra t’ schiattn int ‘o stommc” (è sempre la stessa storia, quando si tratta di avere martellano, quando devono dare ti crepano lo stomaco); e “banch so nat cu na mana long e nata corta”(le banche sono nate con una mano lunga ed una corta).

L’insolvenza7 (siamo nell’ordine del 5/6% sul fatturato annuo), insieme ai problemi di liquidità, dovuti allo sfasamento nei pagamenti di clienti e fornitori, rappresentano le lamentele più frequenti.

Tutti si dimostrano interessati alla conoscenza degli strumenti di agevolazione creditizia, ma lamentano la mancanza di informazioni a riguardo e l’eccessiva spesa, che comporta l’istruzione delle pratiche.

Non ritengono utile l’iscrizione ad associazioni di categoria, poiché, secondo l’opinione prevalente, comporta solo costi aggiuntivi e non è utile ai fini dell’attività. “Potrei farmi aiutare da loro per ottenere i prestiti, ma poi dovrei lasciare la metà dei soldi al consulente - ha dichiarato il proprietario di un piccolo laboratorio di pasticceria.

Inoltre spesso i piccoli imprenditori hanno bisogno di somme esigue erogate in tempi brevi senza “pastoie burocratiche”.

Alcuni degli intervistati (in particolare quelli operanti nel settore calzaturiero) partecipano annualmente a fiere di livello nazionale.

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Nessuno ha mai preso parte, pur riconoscendone il valore, a forme di collaborazione o a consorzi, ai quali, tuttavia, alcune imprese di dimensioni maggiori si dimostrano interessate.

Clienti e fornitori sono campani, tranne nel caso di produzioni di qualità elevata. Ha dichiarato un imprenditore del settore calzaturiero: “I miei fornitori sono per lo più del centro-nord. Le scarpe, che produciamo, sono di qualità medio-alta, per cui abbiamo bisogno di materie prime migliori di quelle offerte dal mercato campano. Anche i clienti vengono dal centro-nord, dove sono disposti a pagare prezzi adeguati per una qualità alta.”

Tutti gli intervistati hanno dichiarato di essere in regola con le diverse autorizzazioni richieste, tranne nel caso della vetreria (intervista n° 7), che, non essendo in regola con la concessione edilizia, non possiede alcun tipo di licenza.

Giustificano la loro presenza sul territorio con motivi affettivi e per la presunta conoscenza di “come funziona il quartiere”, ammettendo che, dovendo intraprendere nuove attività, le insedierebbero nella stessa circoscrizione, per gli ampi spazi che eventualmente potrebbero essere destinati ad attività produttive

“inguattate”, cioè nascoste e protette da qualsiasi tipo di insidie.

Avversità e diffidenza sono i sentimenti più diffusi verso il mondo politico e le istituzioni in genere.

Diversi sono gli episodi di corruzione vissuti direttamente o per interposta persona, confessati ma mai denunciati.

La criminalità organizzata pare essere dedita ad altre “attività” diverse dal taglieggiamento: gli unici problemi sono dovuti ad atti di microdelinquenza, come furti e rapine. Un imprenditore ha dichiarato che egli porta oramai tre tipi di contabilità: una per lo

Stato, una a nero e una per i rapinatori in considerazione delle diverse rapine subite in sede o per strada.

Il lavoro

La maggior parte dei lavoratori, regolari o meno, impiegati in azienda sono familiari del titolare, dislocati nei punti cruciali dell’attività: dalla produzione alla contabilità, dall’acquisto di materie prime al contatto con i

7 A tal proposito l’intervistato n° 4 ha lamentato un credito di 40 milioni non riscosso per il fallimento del debitore.

18 clienti. In tutti i casi, in cui è stato possibile entrare nei luoghi di produzione, sono stati “contati” un numero di addetti superiore a quanto dichiarato dagli intervistati8 (il rapporto mediamente è di 1 a 1).

Gli imprenditori, in particolare quelli del settore calzaturiero, hanno lamentato una carenza di manodopera femminile: le donne sono solitamente impiegate prima dei 18 anni e dopo i 40 anni, poiché molte abbandonano il lavoro, per dedicarsi alla famiglia, almeno fino a quando i figli non diventano “grandi”9. In ogni caso quelle che, lavorano, sono occupate a nero: in questo modo gli imprenditori risolvono i problemi legati alla maternità, all’allattamento ed alla malattia dei figli, evitando l’applicazione della normativa previdenziale attualmente vigente.

Uno degli intervistati ha definito Napoli “una città che dorme”, intendendo con ciò la mancanza di figure professionali strategiche nelle imprese, che consentano di essere all’avanguardia sul mercato. Ha infatti dichiarato: “la Spagna, nostro concorrente, ha pagato fior di quattrini i modellisti e gli stilisti italiano, che hanno trasferito lì tutta la nostra esperienza”.

Tali considerazioni non riguardano solo il settore calzaturiero ma, in generale, il modo di fare impresa. Le attività, piccole o grandi che siano, sono gestite spesso in modo poco lungimirante e strategico, con qualche eccezione che conferma la regola. E’ questo il caso di un caseificio il cui titolare, proveniente dalla penisola sorrentina, zona tradizionalmente dedita alla produzione dei latticini, è riuscito a tirare su un’attività fiorente10 con un fatturato annuo di 1.500.000.000, che dà lavoro a circa 10 dipendenti.

La conoscenza o le autocandidature11 sono le uniche modalità per essere assunti: nessuno si rivolge al collocamento, perché, secondo l’opinione prevalente, non garantisce buoni standard professionali.

8 A dire il vero, qualcuno ha fornito spontaneamente il numero dei lavoratori impiegati a nero. 9 Di solito dopo i 14 anni, quando diventano auto – sufficienti. 10 Infatti quando siamo andati ad intervistarlo abbiamo dovuto attendere un’ora per il gran numero di clienti presenti in quel momento. Incuriositi da tanta folla, decidemmo di verificare di persona la bontà dei prodotti venduti, facendoci servire dei delicati bocconcini di bufala ed assaggiando la “treccia sorrentina” ... l’intuizione fu di quelle giuste. 11 Sempre dopo aver superato delle prove d’arte

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L’apprendistato viene svolto direttamente in azienda (durante tale periodo si lavora a nero): la durata media per la formazione di un operaio specializzato varia dai due ai quattro anni, a seconda del tipo di impiego.

Le richieste più diffuse sono la costruzione sul territorio di scuole di formazione, la pianificazione di politiche per lo sviluppo locale non demagogiche, che tengano conto delle reali esigenze locali, una riduzione della pressione fiscale, maggiore flessibilità del lavoro (in particolare meno vincoli nelle assunzioni e nei licenziamenti), un maggiore controllo sul territorio delle forze di polizia.

2b MIANO di Annalisa Caso

La storia recente

Il Casale prima, il quartiere poi, hanno fornito prodotti agricoli e uomini necessari alla vita della città. A partire dagli anni trenta il ruolo di Miano è andato via via trasformandosi, diventando “destinatario d’interventi di urbanizzazione confusi, aventi lo scopo principale, tra l’altro mancato, di attenuare la congestione del centro della città, producendo un’accentuazione residenziale abnorme, con la cancellazione quasi totale dei caratteri originari e delle vocazioni produttive e culturali”12.

Fino agli anni venti i diversi villaggi della zona Nord rimanevano ancora ben visibili e distaccati tra loro e dalla città. Il piano regolatore del 1939 ancora prevedeva, per quest’area, il “mantenimento del verde agricolo”.

A partire dal secondo dopoguerra è cominciato il disordinato processo di urbanizzazione dettato dalle esigenze della ricostruzione post-bellica. Il veloce declino della vocazione agricola e turistica della zona è poi proseguito fino alla ricostruzione post-terremoto.

In poco più di vent’anni Miano è stata trasformata da quartiere a prevalente struttura agricola in quartiere dormitorio, “messo su con criteri, che ispirano in genere i costruttori di lagher”13.

12 Il futuro nella memoria – Pubblicazione del Comune di Napoli, Circoscrizione di -Marianella, Ordine degli Architetti della Provincia di Napoli – 1995. 13 Il Roma, 16 Giugno 1976.

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Nell’immaginario collettivo Miano viene associata alla contigua Secondigliano, di cui subisce, in modo evidente, l’influsso, sia in termini di criminalità che di degrado ambientale e culturale. Agli occhi del visitatore, si presenta come un fitto dedalo di case, palazzi (alti anche otto piani) e strade, che si susseguono e s’intersecano ripetutamente su un territorio di appena qualche chilometro quadrato. Una tale concentrazione di cemento giustifica l’elevata densità abitativa, triplicatasi tra il 1951 (6.032 ab/Kmq) ed il 1981 (18.098 ab/Kmq)14.

Delle otto circoscrizioni oggetto di studio, Miano, dopo Secondigliano, è la più popolosa.

Struttura della popolazione15

Il quartiere presenta, al censimento del 1991, una popolazione di 27.541 abitanti, che corrisponde al 2,6% della popolazione residente nella città di Napoli (1.067.365 ab.).

Il titolo di studio più diffuso è la licenza elementare (35,5%); seguono coloro, che posseggono la licenza di scuola media inferiore (28,4%); i diplomati rappresentano l’8,2% della popolazione; infine i laureati sono solo lo 0,6%. I semianalfabeti (analfabeti e alfabeti senza titolo di studio) rappresentato il 18,3%.

I disoccupati e le persone in cerca di prima occupazione (6.437 unità) superano gli occupati (4.332 unità).

Miano, insieme a Piscinola e Secondigliano, è uno dei quartieri con la più bassa percentuale di popolazione attiva.

Il tasso ufficiale di disoccupazione è del 59,8%: è aumentato di 10,4 punti percentuali tra il 1981 ed il 1991.

Indagine sul campo

L’estensione limitata della circoscrizione di Miano, appena 1,87 km, ha reso agevole la verifica dei dati Infocamere.

L’elenco delle strade considerate è riportato nella tabella seguente.

14 Fonte: Censimento ISTAT 1991. 15 Fonte: Censimento ISTAT 1991.

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Tabella n. 9 Elenco strade monitorate - Miano Strade Numero imprese presenti nell’elenco Infocamere VIA REGINA MARGHERITA 12 VIA V. JANFOLLA 8 VIA LAZIO 6

VIA MIANELLA 6 VIA CUPA CAPODICHINO 5 VIA SARDEGNA 5 VIA R. ANGIULLI 3

CORSO SECONDIGLIANO 2 VIA D. PETRICCIONE 2 VIA GAMBARDELLA 2 VIA TRENTINO 2 VIA UMBRIA 2 PIAZZA MADONNA DELL’ARCO -- VIA MONTELLO -- VIA RISMONDI -- VIA NUOVA EPITAFFIO -- VICO CROCE -- VIA PARISE -- VIA TEANO -- VIA LOMBARDIA -- TOTALE IMPRESE MONITORATE 55 TOTALE IMPRESE MIANO 88

Le imprese monitorate sono 55: esse rappresentano il 63% del totale delle imprese presenti a Miano secondo l’elenco Infocamere.

Dei 55 “contatti” effettuati 33 sono risultati corrispondere ad attività esistenti: i restanti

22 corrispondono, invece, ad attività non trovate, chiuse o trasferite. Ci sembra utile, ai fini della comprensione del tessuto ambientale e produttivo del quartiere, riportare il caso di un’impresa che, secondo il tabulato in nostro possesso, doveva essere dislocata presso un rudere abbandonato da anni. Dopo una breve indagine tra gli abitanti della zona, è risultata essere la classica “trastola” (trappola), una tecnica largamente utilizzata dalla criminalità

22 organizzata finalizzata ad ottenere merce a credito, per poi farla scomparire e rivenderla, a prezzi stracciati, direttamente (nei mercati rionali o presso abitazioni civili) o indirettamente

(attraverso commercianti disonesti).

L’attendibilità dei dati Infocamere (calcolata rapportando il numero di riscontri positivi con il totale delle imprese monitorate) è del 60%.

Tabella n. 10 Riscontri elenco Infocamere

TOTALE RISCONTRI % SUL TOTALE RISCONTRI % SUL TOTALE IMPRESE POSITIVI NEGATIVI MONITORATE 55 33 60 22 40 Tabella n. 11 Riscontri positivi SEDI OPERATIVE 33 SEDI LEGALI -- TOTALE 33

Tabella n. 12 Riscontri negativi NON TROVATE 12 TRASFERITE 1 CHIUSE 5 TOTALE 18

Guardando al tipo di attività non sono state riscontrate concentrazioni di imprese in uno specifico settore

(ispessimenti produttivi). Le attività prevalenti sono:

1.lavorazione di cuoio, pelle e similari (in particolare tale attività riguarda la produzione di scarpe e borse);

2. le imprese alimentari (soprattutto laboratori di pasticceria);

3. lavorazione del ferro.

Tabella n. 13 Settori prevalenti

Attività manifatturiere Unità %*

Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari 8 14

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 7 12

Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 6 10

Industrie tessili e dell’abbigliamento 3 5

Fabbr. di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche 3 5

*percentuale sul totale dei riscontri positivi

23

Lo scopo della nostra “escursione” nel quartiere non era soltanto la suddetta verifica, ma anche il reperimento di particolari “atmosfere ed odori”, che potessero fornirci uno spaccato attendibile del quartiere.

Le maggiori difficoltà, sia nella fase di verifica dati che in quella successiva di interviste in profondità, sono state registrate a causa dell’atteggiamento diffidente degli abitanti e degli imprenditori, poco propensi a concedere informazioni. Illuminante in tal senso è l’episodio, verificatosi, mentre ci apprestavamo a condurre l’intervista N.1: non riuscendo ad individuare l’impresa in oggetto ci siamo rivolti ad un anziano venditore di “bionde”16 (che poi si è rivelato un parente dell’imprenditore che cercavamo) il quale, insospettitosi dalla nostra presenza, ha cercato di depistarci con la più classica delle tecniche napoletane, quella dei

“vicoli e vicarielli”. Quando finalmente siamo riusciti ad individuare l’ubicazione dell’impresa, abbiamo trovato ad attenderci l’imprenditore che, con fare minaccioso, ci ha intimato di andarcene. Dopo un lungo lavoro di persuasione siamo riusciti a condurre in porto l’intervista. Alla domanda “quanti operai sono impiegati nell’attività” l’imprenditore con tono secco ed infastidito ha risposto: “nessuno”, mentre, alle sue spalle diversi addetti erano intenti a lavorare.

Un primo sguardo d’insieme del territorio sembra, inoltre, mostrare una marcata presenza di attività non registrate. Le attività rilevate e non presenti nell’elenco Infocamere sono sei, ma la forte propensione alla difesa ed alla mimesi lascia supporre che esse siano più numerose, ben protette e nascoste. In particolare le attività irregolari “scoperte”17 sono concentrate in alcune strade, ubicate in interrati o piani ammezzati. Da uno sguardo fugace in queste fabbrichette nascoste è evidente che il lavoro non manca, ma è altrettanto palese che le condizioni lavorative complessive non sono ottimali.

Tabella n. 14 Attività presenti a Miano Totale attività Totale attività NON TOTALE % attività NON monitorate PRESENTI elenco ATTIVITA’ PRESENTI sul PRESENTI in Infocamere totale imp. elenco Infocamere PRESENTI in elenco 55 6 61 11

16 Le sigarette di contrabbando. 17 Siamo riusciti ad individuarle grazie alle particolari condizioni climatiche (faceva molto caldo e quindi i finestroni erano aperti) oppure sforzando l’olfatto (gli “odori” più indicativi sono quelli della colla o dei solventi in generale, utilizzati soprattutto nel settore calzaturiero).

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Il clima di diffidenza è risultato evidente anche dalla forte omertà degli abitanti della zona, evasivi e sospettosi alle nostre richieste di informazioni. Sovente ci è apparso chiaro che “sapevano ma non volevano dire”. Durante la fase delle interviste, poi, numerosi sono stati i rifiuti incontrati alla nostra richiesta di avere un colloquio con il titolare dell’attività: tenim che fa - non tenim tiemp a perder (abbiamo da fare - non abbiamo tempo da perdere), queste le frasi più ricorrenti.

Tabella n. 15 Elenco interviste in profondità realizzate a Miano Numero Tipo di attività Fatturato Natura Titolo di Numero Numero intervista giuridica studio addetti addetti a regolari nero n° 1 Stampaggio 100 Ditta Diploma 1 ( titolare) 5 materie plastiche milioni individuale N° 2 Lavorazione 22 milioni Ditta Licenza 1 ( titolare) 2 legno individuale media N°3* Laboratorio Non Ditta Licenza Non Non pasticceria disponibile individuale media disponibile disponibile n° 4 Lavorazione 8 milioni Ditta Licenza 1 ( titolare) 0 chiavi individuale media n° 5* Tipografia Non S.a.S. Licenza 0 2 disponibile media n° 6 Produzione 300 Ditta Diploma 1 ( titolare) 4 lampadari milioni individuale n° 7 Vendita di legno 600 S.a.S. Licenza 0 0 e semilavorati milioni elementare n° 8 Produzione 442 Ditta Licenza 8 6 scarpe milioni individuale media * Imprese non presenti nell’elenco Infocamere.

Caratteristiche delle imprese

Gli imprenditori intervistati hanno prevalentemente un titolo di studio basso: hanno acquisito esperienza nel loro settore, lavorando come operai o dipendenti presso terzi. La forma societaria prevalente è la ditta individuale, con anno di costituzione rientrante nell’ultimo decennio (1989-1999).

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Il fatturato dichiarato va da un minimo di 8 ad un massimo di 600 milioni; i valori massimi sono stati registrati nel caso di aziende familiari con lunga tradizione nel settore alle spalle.

Come già evidenziato in precedenza, la qualità scadente degli ambienti lavorativi è l’elemento, che più colpisce, entrando nei locali adibiti alla produzione. Quasi tutti gli intervistati hanno dichiarato di essere in regola con le licenze, ma la nostra impressione è che molti di quei locali non possiedono i requisiti igienici e di sicurezza necessari ad ottenere tali autorizzazioni. Soltanto il titolare di un’officina impegnata nella lavorazione di materie plastiche ha dichiarato di non essere in regola con l’adeguamento alla D. Lgs. 626/94 per la sicurezza sul lavoro e di non essere intenzionato a normalizzare la sua posizione. Il capannone, in cui opera, non è di sua proprietà e non trova, quindi, convenienza ad investirvi.

Ha lamentato a questo proposito la mancanza di zone industriali, dove poter usufruire degli spazi necessari, facendo anche presente che laboratori di artigianato e officine come la sua hanno bisogno di locali più piccoli di quelli normalmente disponibili in zone come ad esempio la A.S.I. di Caivano.

Dal punto di vista ambientale la criminalità locale sembra non richieda il pagamento del

“pizzo”. La forma più ricorrente di sopruso praticata è la richiesta di piccoli favori, ad esempio materiale gratis, conti non pagati, ecc. “Se si mettessero anche loro a chiederci soldi, ce ne dovremmo solo andare”: ha affermato il proprietario di un laboratorio di pasticceria. Gli imprenditori lamentano la presenza di microdelinquenza: furti rapine e scippi sono all’ordine del giorno ed ormai non si denunciano più. La gente ha “imparato” ad aver paura, atteggiamenti guardinghi e sospettosi18 sembrano ormai far parte del patrimonio genetico di queste persone.

18 Una anziana signora che usciva da un ufficio postale e che ci precedeva su un marciapiede, si è girata una decina di volte, per controllare i nostri movimenti nonostante il nostro decoroso aspetto.

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Il rapporto con le banche è, nella maggior parte dei casi, inesistente: tutti ricorrono (o ricorrerebbero in caso di necessità) all’autofinanziamento 19.

Esiste una scarsa conoscenza degli strumenti legislativi relativi ai finanziamenti; molti dichiarano di non conoscere leggi quali la 488, la 28/87 regionale, ecc.

La cultura imprenditoriale risulta, almeno da questa prima ricognizione, spesso carente e ciò causa approssimazione e superficialità nella gestione. Le attività svolte, la loro qualità e quantità non sono frutto di pianificazione e programmazione strategica, ma solo dell’immediato trend di domanda. Non stupisce, dopo tali premesse, la mancanza (in alcuni casi il perentorio rifiuto) di cooperazione tra i vari soggetti produttivi. Temendo che il

“mettersi in comune” significhi “esser fregati”, molti imprenditori, pur riconoscendo il valore della cooperazione, reprimono dei bisogni, talvolta molto sentiti. Ognuno, unicamente preoccupato del proprio giro di affari, non si sforza di trovare convenienza nell’unirsi agli altri.

Solo poche imprese ricorrono al finanziamento bancario, avvalendosi della consulenza di commercialisti o associazioni di categoria. L’adesione a queste ultime, come la partecipazione a fiere, sono elementi quasi estranei alla cultura imprenditoriale del quartiere.

Clienti e fornitori sono per lo più campani. Le imprese di dimensioni maggiori hanno dichiarato di avere clienti in tutto il centro-sud: una ditta, produttrice di lampadari, con il fatturato più alto tra quelle intervistate, ha clienti localizzati, per la quasi totalità, a Roma e

Cagliari.

I maggiori problemi denunciati dagli imprenditori sono lo sfasamento nei tempi di pagamento20 e l’insolvenza dei clienti (in media circa il 7/8 % del fatturato annuo). Non hanno lamentato tali problemi i piccoli laboratori, che lavorano esclusivamente per contanti, i contoterzisti, per i quali clienti e fornitori coincidono, e le imprese di maggiori dimensioni,

19 Quando non si è in grado di investire capitali propri e si attraversano difficili situazioni di “illiquidità” gli imprenditori sono costretti a ricorrere agli usurai. L’usura è una delle attività più redditizie della malavita locale, anche se sono in pochi ad ammetterlo.

27 che operano una selezione della clientela, scegliendo la grande distribuzione e un numero limitato, ma più affidabile di “clienti di qualità”.

Abbiamo chiesto agli imprenditori perché hanno localizzato le proprie attività in questo quartiere; la maggior parte ha dichiarato che il motivo principale è di natura affettiva; inoltre la loro perfetta conoscenza degli “equilibri del quartiere” facilita lo svolgimento delle attività.

Il lavoro

Nella maggior parte dei casi sono occupati nell’azienda i familiari più stretti del titolare. In quasi tutte le imprese visitate, nel settore contabile-amministrativo, sono impiegate figlie e nipoti del titolare.

In tutte le attività risultano occupate mediamente 3-4 operai a nero21, addetti prevalentemente alla produzione. Parte della manodopera non regolarizzata lavora stabilmente

(come nel caso dei familiari del titolare), parte è impiegata solo nei periodi n cui si registrano

“picchi” di produzione.

L’organizzazione del lavoro ha struttura semplice: non ci sono figure di capo-reparto, capo-officina, responsabile del personale; l’organigramma è formato dal titolare e dagli operai ed, eventualmente, da un addetto alla contabilità.

Il reclutamento del personale avviene per conoscenza o per auto-candidature; l’alternativa di attingere dalle liste del collocamento non viene considerata utile, perché

“quelli mandano solo persone non preparate”. La tipologia dei contratti più ricorrenti è quella a tempo indeterminato; poco frequenti sono contratti di formazione e lavoro; in nessun caso è stata fatta richiesta per borse-lavoro.

Nella maggior parte dei settori analizzati, la durata media del periodo di formazione di un operaio specializzato è di circa due anni. Normalmente “s’impara il mestiere” in azienda e si rimane legati a questa salvo licenziamento o chiusura dell’attività per la scarsa flessibilità del mercato e la bassa propensione alla mobilità degli operai.

20 Anche se i tempi dei pagamenti ai fornitori sono pressappoco uguali al periodo di credito concesso agli acquirenti (dai 60 ai 120 giorni), spesso i clienti pagano in ritardo, creando non pochi problemi di liquidità agli imprenditori

28

2c SECONDIGLIANO di Michele De Mare

Introduzione

In appena 2,94 Km2 è racchiusa Secondigliano con i suoi 17.48522 e l’elevata densità pesa non poco sulla qualità della vita del quartiere.

Le aree verdi attrezzate sono pochissime, mentre abbondano i rioni popolari23 con fabbricati fatiscenti (in alcuni casi alti anche 15 piani) dal dubbio gusto architettonico.

La criminalità è un fattore che condiziona fortemente la vita degli abitanti, oramai abituati a convivere con episodi di violenza e soprusi quotidiani.

Non è raro, passeggiando per il quartiere, scorgere dei giovanotti impettiti che scrutano sospettosamente chi, come noi, non fa parte della comunità24.

Un ambiente così ostile influenza non poco i comportamenti della gente comune: omertà, diffidenza e forte mimesi hanno creato parecchi ostacoli all’attività di ricerca.

Le risposte evasive più ricorrenti alla nostre richieste di informazioni in merito alle imprese del quartiere sono state del tipo: “ si, abito qui, ma non conosco l’impresa che cercate” (salvo poi, dopo pochi metri, sentire gli odori dei materiali utilizzati nelle lavorazioni od il rumore dei macchinari).

Un esempio della diffidenza del quartiere nei confronti di chi viene dall’esterno, è la presenza di alcune vecchiette dedite alla vendita ambulante di frutta ed ortaggi, ma utilizzate dagli imprenditori della zona come vedette contro “l’intrusione” dei finanzieri o degli ispettori del lavoro. Questo rappresenta uno dei tanti stratagemmi utilizzati dagli imprenditori, per non farsi scovare.

A rendere ancora più difficoltosa l’indagine, ha contribuito l’approssimazione della cartografia di riferimento in merito soprattutto all’imprecisione dei numeri civici. Singolare è

21 In alcuni casi per esplicita ammissione dell’imprenditore. 22 Fonte: censimento Istat 1991 23 Rione Berlingieri, rione Monte Rosa ecc.

29 l’episodio, verificatosi in una strada periferica del quartiere: dopo aver individuato il civico giusto, con nostro sommo stupore, ci siamo accorti che l’anonimo ingresso di questo vecchio portone cela “inaspettatamente” una strada lunga circa 1 Km, costellata di piccole imprese.

Percorrendo questo vicolo abbiamo notato nei visi della gente atteggiamenti tipici di chi è stato colto in flagranza, mentre in lontananza s’intravedevano delle sagome, che rimuovevano tutto ciò, che avrebbe potuto destare sospetti in merito alla presenza di imprese (rifiuti, materiale di risulta ecc.). Si sentiva il rumore delle serrande, che frettolosamente venivano abbassate dagli imprenditori, che, informati tempestivamente della presenza di due individui sospetti, chiudevano bottega.

In definitiva, presenza della criminalità, omertà diffusa, imprecisione della cartografia di riferimento e diffidenza degli imprenditori hanno reso il lavoro difficile e a tratti anche pericoloso.

Si può perciò supporre che, nonostante la scrupolosità del lavoro svolto sul campo, le attività a “nero” siano più numerose di quanto abbiamo potuto verificare.

Caratteristiche delle imprese

Le attività sottoposte a verifica sono state 137, il 59 % del numero totale di attività (233) presenti sul territorio secondo i dati Infocamere.

Durante l’indagine sul campo sono state censite ben 46 imprese non incluse nell’elenco

Infocamere. Questo dato conferma l’ipotesi che le attività produttive a “nero” possano essere addirittura numericamente superiori di quelle regolari.

Le strade oggetto d’indagine sono riportate nella seguente tabella.

24 Noi stessi siamo stati oggetti dell’attenzioni di queste persone, che, oltre a chiederci giustificazioni in merito alla nostra presenza nella loro zona, ci hanno intimato di sgombrare il campo, apostrofandoci pesantemente

30

Tabella n. 16 Elenco strade monitorate a Secondigliano Numero imprese presenti elenco Strade VIA ROMA VERSO SCAMPIA 38 CORSO SECONDIGLIANO 30 VIA DEL CASSANO 18 VIA CARDINALE CAPOCELATRO 9 VIA CASERTA AL BRAVO 6 VIA ABATE DESIDERIO 5 VIA F. DE PINEDO 4 VIA G. SPANÒ 4 VIA ASPROMONTE 4 VIA MONTE FAITO 3 VIA DEL CAMPOSANTO 3

VIA MONTE S. MICHELE 3 VIA DEL SABOTINO 2 VIA NAPOLI A CAPODIMONTE 2 VIA MONTE GRAPPA 1 VIA MONVISO 1 VIA CUPA DELL’ARCO 1 VIA G. PINTOR 1 VIALE S. FRANCESCO SUL CORSO 1 VIA VECCHIA ROMA 1 Totale imprese monitorate 137 Totale imprese Secondigliano 233

Tabella n. 17 Riscontri elenco Infocamere TOTALE RISCONTRI % SUL TOTALE RISCONTRI %SUL TOTALE IMPRESE POSITIVI NEGATIVI MONITORATE 137 44 32 93 68

Tabella n. 18 Riscontri positivi SEDI OPERATIVE 42 SEDI LEGALI 2 TOTALE 44

31

Tabella n. 19 Riscontri negativi NON TROVATE 90 TRASFERITE 2 CHIUSE 1 TOTALE 93

Tabella n. 20 Attività presenti Totale attività Totale attività NON TOTALE % attività NON PRESENTI elenco PRESENTI elenco ATTIVITA’ PRESENTI in elenco Infocamere Infocamere sul totale imprese PRESENTI in elenco 137 46 183 33,5

Le imprese contattate rappresentano diverse tipologie produttive: lo scopo della nostra indagine è, infatti, cogliere il legame tra impresa e territorio e non limitarci ad analizzare le problematiche relative ad uno specifico settore produttivo.

Tabella n. 21 Elenco interviste in profondità realizzate a Secondigliano Numero Tipo di Fatturato Numero Numero Forma Titolo di intervista attività lavoratori lavoratori a giuridica studio dei regolari nero titolari n°1* Tipografi 20 milioni 4 4 S.n.C. 3 licenza a elementare 1 media n°2* Falegnam 10 milioni 1 2 Ditta Licenza eria individuale elementare n°3* Fabb. 25 milioni 2 3 S.n.C. 2 licenza lampadari media n°4* Lavorazio 20 milioni 1 5 Ditta Licenza ne ferro individuale elementare n°5* Falegnam Non 0 3 Irregolare 1 Licenza eria disponibile (senza media P.IVA) n°6 Tipo- 600 2 10 S.a.S. 2 licenza litografia milioni media n°7 Lavorazio Non 1 1 Ditta Licenza ne vetro disponibile individuale media n°8* Lavorazio 30 milioni 1 2 Ditta Licenza ne cornici individuale media n°9 Tappezze Non 1 1 Ditta Licenza ria disponibile individuale elementare n°10 Sartoria Non 1 2 Ditta Licenza disponibile individuale elementare * Imprese non presenti nell’elenco Infocamere N.B. Nel numero dei lavoratori regolari sono stati inclusi anche i titolari delle imprese, mentre i lavoratori non regolari comprendono sia collaboratori familiari che operai. Solo in un caso (intervista n° 5) sia il titolare che i due operai lavorano con una posizione non regolare.

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Gli imprenditori intervistati svolgono attività nel campo della lavorazione del ferro, vetro, legno, tappezzeria, sartoria e fabbricazione e/o assemblaggio di lampadari.

Tra il Corso Secondigliano e via Roma verso Scampia sono stati rilevati due ispessimenti produttivi: uno relativo alla lavorazione del legno (mobili, cornici, porte, ecc.) e l’altro relativo alla fabbricazione di lampadari.

Durante le interviste è emerso che, per la lavorazione del legno, le imprese si avvalgono di fornitori ubicati nei comuni limitrofi (Casoria ed Arzano), mentre la lavorazione dei lampadari fa riferimento alle numerose vetrerie dislocate nei comuni di Melito ed Arzano.

L’impostazione delle imprese è artigianale, con una qualità nella produzione medio-alta in particolar modo nella lavorazione di mobili e complementi d’arredo.

L’ubicazione delle fabbriche di lampadari nelle due strade prima citate, rappresenta un vantaggio competitivo per gli imprenditori25, poiché consente la riduzione dei costi per l’approvvigionamento dei semilavorati.

Per la falegnameria il vantaggio è duplice: 1. risparmio nei costi dei trasporti per la vicinanza dei fornitori; 2. opportunità di ottenere commesse in zona, poiché si è sviluppata negli anni una fitta rete di vendita di mobili e salotti, concentrata soprattutto sul Corso Secondigliano.

Questo legame tra fornitori (falegnami) e committenti (mobilieri) ha generato nel tempo una evoluzione del mercato, dal momento che molti falegnami sono passati anche a gestire la vendita diretta, emulando modelli prodotti da industrie leader nel settore.

Anche nel settore dei lampadari si è assistito ad un processo simile. Il passaggio alla vendita diretta ha permesso ai produttori di eliminare i costi d’intermediazione degli agenti di commercio e al contempo di avviare un processo di estensione dei segmenti di mercato, orientando i loro affari, oltre che in altre regioni del Sud Italia, anche all’estero (Germania ed ex Unione Sovietica).

Questi due settori possono quindi rappresentare, se opportunamente valorizzati, il volano per lo sviluppo economico della circoscrizione.

25 Come riconoscono gli stessi imprenditori.

33

Il grado d’istruzione degli imprenditori intervistati è mediamente basso (licenza elementare e media inferiore). La forma giuridica prevalente è la ditta individuale.

Il fatturato dichiarato va da un minimo di 10 milioni (intervista n° 2) ad un massimo di

600 milioni (intervista n° 6).

Il valore massimo si registra nel caso della tipografia, un’impresa con elevato contenuto di tecnologia e alta qualità del prodotto, che dà lavoro a 12 persone, compreso i soci26.

Dall’indagine sul campo è risultato in maniera evidente che circa la metà delle aziende opera in locali non in regola con l’attuale normativa igienico – sanitaria e strutturalmente sotto dimensionate rispetto alle reali esigenze produttive, anche se nessuno degli interpellati ha ammesso tali irregolarità. Solo il titolare di una falegnameria (intervista n°5) ha dichiarato di non possedere alcun tipo di licenza o autorizzazione e di non avere nessuna intenzione di regolarizzarsi, finché gli affari non andranno per il verso giusto (quant sé vere na lira, allora c’accunciamm cò Stat).

Per quanto riguarda l’aspetto finanziario, dalle interviste si è rilevato che solo in rari casi ci si avvale del credito bancario (imprese n° 6 e 7), rivolgendosi a consulenti esterni. La maggior parte degli imprenditori ricorre all’autofinanziamento.

Tabella n. 22 Fonti di finanziamento INTERVISTE SETTORE TIPO DI ENTE EROGATORE PRODUTTIVO FINANZIAMENTO 1 Tipografia Prestito fiduciario Finanziaria 2 Falegnameria Autofinanziamento - 3 Lav. Lampadari Autofinanziamento - 4 Lav. ferro Autofinanziamento - 5 Falegnameria Autofinanziamento - 6 Tipolitografia Mutui e prestiti Banche e finanziarie 7 Lav. vetro Leasing Banca 8 Lav. cornici Autofinanziamento - 9 Tappezzeria Autofinanziamento - 10 Sartoria Autofinanziamento - N.B. L’autofinanziamento comprende anche il ricorso a prestiti presso familiari o amici.

26 Questa impresa ci ha sorpreso. Dietro una serranda anonima (piena di ruggine e coperta di polvere) si cela una vivace realtà imprenditoriale, che stampa depliant e locandine commissionate da grandi firme dell’alta moda.

34

Soltanto due imprese (n° 1 e 6) hanno usufruito di prestiti attraverso società finanziarie.

Il ricorso diffuso all’autofinanziamento e lo scarso utilizzo dei prestiti bancari è dovuto alla limitata flessibilità degli istituti di credito (tempi lunghi, tassi e costi delle pratiche elevati): “e banch sé magnen ‘o sang ra gent” (intervista n° 2).

Esiste, inoltre, una scarsa informazione sugli strumenti normativi relativi ai finanziamenti; quasi tutti gli intervistati dichiarano, infatti, di non conoscere la legislazione in materia27.

Non esiste cooperazione tra i vari soggetti produttivi: la sensazione è che vi sia il timore che collaborare, unire competenze e conoscenze significhi compromettere i propri affari e offrire il fianco alla concorrenza molto agguerrita.

La partecipazione a mostre, fiere o eventi simili risulta essere un bisogno diffuso tra gli imprenditori28, ma che non è possibile soddisfare a causa degli elevati costi. A tal fine l’impresa n° 3 ha riferito che, per partecipare ad una mostra del proprio settore, occorrono dai

20 ai 35 milioni per sostenere i costi d’affitto dello stand e del vitto e dell’alloggio.

Due imprenditori (interviste N. 1 e N.7) stanno valutando la possibilità di iscriversi alle associazioni di categoria allo scopo di usufruire del servizio di consulenza, che questi enti assicurano ai loro soci.

L’ambiente ostile, nel quale le imprese operano, spesso, pone un freno alla volontà di ampliare l’attività. La criminalità locale, sebbene dedita prevalentemente alla vendita di sostanze stupefacenti, non disdegna l’estorsione. L’imprenditore n° 7 riferisce che paga il pizzo due volte l’anno come quota fissa, mentre durante le feste natalizie e pasquali è costretto a versare ulteriori somme a favore delle famiglie dei detenuti. Lo stesso imprenditore ha lasciato intendere che i camorristi sono consapevoli che una loro eccessiva pressione potrebbe indurre gli operatori economici all’abbandono della zona, senza nessuna

27 Per quei pochi imprenditori, che ne sono a conoscenza, il canale informativo sono risultati essere i rispettivi Commercialisti. 28 Infatti queste manifestazioni sono ritenute dagli stessi come un’opportunità di confronto con altri operatori del settore finalizzato a conoscere le nuove tendenze ed ad individuare nuove nicchie di mercato

35 convenienza reciproca, al punto che, spesso, i malfattori si ergono a paladini degli stessi imprenditori, quando questi sono importunati dalla micro-delinquenza.

Paradossalmente, più che la malavita locale, gli imprenditori temono le pastoie burocratiche ed il malcostume dei politici ed amministratori: candidamente affermano che, in caso di bisogno, non esiterebbero ad intraprendere essi stessi la strada della corruzione piuttosto che quella legale.

Dalle interviste effettuate si è spesso riscontrata una cultura imprenditoriale approssimativa: l’attività è spesso gestita senza una strategia di sviluppo di lungo periodo, prestando attenzione solo a quelle, che sono le esigenze contingenti. Anche se le eccezioni non mancano, ad esempio l’impresa n° 6, ricorre spesso a consulenti specializzati per i vari aspetti gestionali.

Il lavoro

In tutte le attività risultano impiegati mediamente 3 operai a nero, compresi i collaboratori familiari (soprattutto i figli dei titolari). Anche a Secondigliano, come già rilevato per le altre circoscrizioni, non ci sono figure predefinite: l’organigramma è formato dal titolare e dagli operai, senza l’ausilio di figure intermedie come, ad esempio, gli addetti alla contabilità o alla gestione dei fornitori. L’aspetto funzionale del lavoro è privo di adeguate ripartizioni; infatti, il titolare dirige tutte le fasi (soprattutto quelle della fornitura e della vendita), mentre gli operai sono impegnati prevalentemente nella produzione.

Il personale è assunto attraverso canali amicali o di parentela; il collocamento è invece considerato un’istituzione non corrispondente alle reali esigenze occupazionali delle imprese.

In nessun caso è stato riscontrato l’utilizzo di contratti di formazione e lavoro, anche per timore che, inquadrando un lavoratore, sia necessario procedere ad altri tipi di regolarizzazione (aumento del fatturato dichiarato, rispetto della normativa in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro ecc.), perdendo, quindi, in flessibilità.

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Le esigenze dichiarate dalla maggior parte degli imprenditori sono quelle relative alla possibilità di poter selezionare gente “sveglia” e volitiva, mettere un tetto ai salari ed avere maggiore libertà nel licenziare i dipendenti.

La durata media del periodo di formazione varia a seconda del settore: si va dai due anni, per formare falegnami, vetrai e tappezzieri ai 4 anni per l’alta sartoria29.

APPENDICE STORICA

Le origini di Secondigliano: dall’età romana a quella ducale

La nascita del nucleo originario di Secondigliano risale all’età imperiale romana, quando si afferma una grande tradizione costruttiva rappresentata dalle “villae rusticae”, sparse nell’“ager” campano. L’originario nucleo a carattere rurale sorse in corrispondenza del secondo miglio della via Atellana, strada consolare, che conduceva a Capua e perciò detta anche Capuana, il cui tratto iniziale coincide con l’attuale Corso

Secondigliano. Di Secondigliano abbiamo le prime notizie in un documento di età ducale (18 Ottobre 1113), riguardante l’affitto di un fondo in “villa Secundillani”, e compare come Casale in un documento angioino del

1279. Diverse sono le ipotesi sull’origine del nome: una lo fa risalire al sito originario, ovvero il “secundum milium” della via Atellana, un’altra al nome di una famiglia romana; un’altra ancora alla catena dei colli

Secondili, che circondano Napoli da Nord-Est a Nord-Ovest.

Secondigliano dalla dominazione normanna a quella aragonese

Nelle età, che videro le dominazioni dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi,

Secondigliano è definita “Casale”, in quanto insediamento rurale con abitazioni poste al servizio del suolo coltivato: ancora non ha assunto le caratteristiche urbanistiche, che avrà solo in età vicereale, cioè dopo l’apertura, avvenuta nel 1585, della strada di Capodichino. In età medioevale il Casale era subordinato a rapporti di infeudamento, cioè il territorio, appartenente agli ordini monastici o ai nobili, veniva concesso in fitto ad importanti famiglie del regno, affinchè fosse coltivato. Queste, a loro volta, lo affidavano ai contadini del luogo, i quali ne ricavavano appena di che vivere, mentre i proprietari e i primi fittuari riscuotevano la rendita e prodotti della terra. Nel XII sec. il territorio di Secondigliano apparteneva in buona parte al clero: nel 1113, infatti, il monastero napoletano dei Santissimi Sergio e Bacco concede in fitto alla famiglia Adinolfi un fondo privo di alberi e di colture. I fittuari si impegnano a costruire a proprie spese il palmento, per produrre il vino con tutti i

29 La sartoria (impresa n° 10) ha formato negli ultimi 15 anni circa 20 sarti, che oggi lavorano presso la Kiton, una nota azienda di abiti di alta sartoria ubicata ad Arzano.

37 servizi necessari, a piantare e a coltivare il terreno e a fornire al monastero una rendita annua. Questo tipo di rapporto determina la tipologia delle masserie, che sono costituite dall’insieme del terreno da coltivare, delimitato da due o più strade interpoderali, di una piccola residenza e delle attrezzature per la produzione. Per tutto il sec. XIII buona parte del territorio di Secondigliano apparteneva alla curia arcivescovile e i fittuari erano costituiti da famiglie provenienti da Afragola e S. Pietro a Patierno, che si comportavano, nei confronti della

Curia, come dei veri e propri vassalli. In età angioina e, poi, aragonese, fu attuata una bonifica della paludi

(paduli), cioè del territorio, che va da Capodichino a Poggioreale, che mirava allo sviluppo delle aree disabitate ed improduttive, alla canalizzazione delle acque e a reperire, nelle zone agricole della città, spazi residenziali.

Ancora in età aragonese, dunque, Secondigliano non ha assunto la veste definitiva di Casale, ma si ritrova indicato come “caseggiato”, ossia insieme di masserie disposte in maniera sparsa e puntiforme, tra le quali si distingue qualche abitazione signorile.

Secondigliano dall’età vicereale a “ieri”

La riorganizzazione amministrativa del caseggiato di Secondigliano avviò la trasformazione di questo in vero e proprio Casale: ciò avvenne a seguito della esenzione dalla tassa del focatico, iniziata in età aragonese e riconfermata nel 1505 da Ferdinando il Cattolico. Con l’annullamento di questa imposta si registra un incremento degli abitanti e di residenza nei casali, dove la popolazione, pur vivendo in una sorta di schiavitù economica, trova, comunque, attrezzature, terreno da coltivare e una casa. E’ nel 1642 che avviene la trasformazione del Casale di Secondigliano in Universitas, cioè istituzione amministrativa e giudiziaria di tipo feudale, dotata di vaste autonomie ed esenzioni, regolate da norme e rappresentanze assembleari e popolari. Una delle autonomie, di cui godeva il casale, era quella dello”jus panizandi”, cioè quella di panificare autonomamente, e quella dello “Jus maccaroni”, cioè di lavorare e produrre pasta. Secondigliano, inoltre, aveva il “diritto di riunione del parlamento popolare”, che si poteva dunque, convocare con il nullaosta delle autorità e il “Diritto di patronato” sulla Parrocchia dei S.S. Cosma e Damiano, nata e rimasta “Chiesa civica” di proprietà pubblica e laica. Un altro privilegio, di cui godeva il Casale, poi abolito per gli abusi, ai quali aveva condotto, era quello della immunità delle norme penali o impunità, che veniva esercitato fino al 1675 in una stanza attigua alla

Chiesa parrocchiale. Tali autonomie giuridiche ed amministrative costituiscono un fattore di forte sviluppo demografico ed economico prima per il Casale e poi per il Comune di Secondigliano per tutto il periodo, che va dal 1700 al 1880. Un altro fattore determinante dello sviluppo era rappresentato dalla solida struttura economica propria del Casale, che produceva colture redditizie, quali canapa, cereali, vino, agrumi ed ortaggi, e colture pregiate, quali gelso e lino. Oltre che all’agricoltura, attività dominante, gli abitanti si dedicavano ad attività artigianali: gli uomini preparavano carni insaccate e fabbricavano tessuti, le donne tessevano cotone, tela, lana.

38

Fiorivano botteghe di pizzicagnoli, oliai, pasticcerie, vinai, ristoranti, pesci salati; si vendevano pelli di animali, si esercitava l’arte di maniscalchi. Questi dati sono essenziali, per capire la varietà della tipologia edilizia, ancora riscontrabile: i bassi attuali corrispondono a cantine, magazzini e terranei per abitazioni di una popolazione, che per secoli ha fondato la sua sopravvivenza sull’agricoltura e sulle attività ad essa legate. In definitiva, si può affermare che dal 600 all’800 il Casale di Secondigliano ha costituito costantemente il serbatoio agricolo ed alimentare della Napoli urbana, ormai capitale del Sud. L’autonomia di Secondigliano, come del resto quella di tutti i casali napoletani, termina, quando nel ventennio fascista viene annessa, insieme agli altri Comuni autonomi, al Comune di Napoli. Inizia così, non essendo stato attuato il piano regolatore del 1939 a causa della parentesi della guerra mondiale, un processo disordinato di urbanizzazione e di edificazione intorno agli antichi casali, particolarmente esteso ed intenso nel settore orientale: dimostrazione non solo di una generale insensibilità ai valori culturali degli antichi tessuti insediativi, ma anche di una profonda disattenzione ai problemi della riqualificazione urbanistica della periferia.

2d S. Pietro a Patierno

di Saverio Cioffi

La storia recente

La concentrazione delle imprese in determinate zone30, l’estensione limitata della circoscrizione di S. Pietro a Patierno, 5.45 km, e la scarsa diffidenza riscontrata sul territorio hanno reso agevole l’indagine sul campo.

Le attività sottoposte a verifica sono state 56, pari all’83,5 % del numero totale di attività presenti sul territorio, secondo i dati Infocamere. I riscontri positivi sono stati 37 ( il

66 %) mentre quelli negativi 19 (il 34%).

30 Via Luce e traverse annesse, via IV Aprile e traverse annesse, via Selva Cafaro;

39

Tabella n. 23 Elenco strade monitorate a S. Pietro

Strade Numero imprese presenti

nell’elenco Infocamere

Via Cupa Ariamone 3

Via Luce 2

Via Caserta al Bravo 5

Via Caloria 0

Via Cupa del Segretario 3

Via IV Aprile 2

1° Traversa IV Aprile 1

3° Traversa IV Aprile 1

4° Traversa IV Aprile 1

Via detta nuova Caloria 2

Via Nuovo Tempio 3

Via Selva Cafaro 13

Traversa privata IV Aprile 0

2° Traversa Luce 1

Via 2° Cerano 0

Via Borrelli 0

Via Lupo 0

Corso S. Pietro a Paterno 0

Piazza Guarino 0

Via Pascale 0

Totale imprese monitorate 56

Totale imprese S.Pietro a 75

Paterno

40

Tabella n. 24 Riscontri Positivi

Sedi operative 37 Sedi Legali 0 Totale 37

Tabella n. 25 Riscontri negativi

Inesistenti 9 Trasferite 7 Chiuse 3 Totale 19

Tabella n. 26 Attività presenti a S.Pietro a Patierno

Numero imprese Riscontri positivi % su totale Riscontri negativi % sul totale monitorate 56 37 66 19 34

I settori prevalenti secondo l’elenco Infocamere sono:

A) produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo (9 imprese, 24.3 % sul totale);

B) Industria del legno e dei prodotti in legno (8 imprese, 21,6 % sul totale);

C) Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (6 imprese, 16,2 % sul totale);

D) Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (6 imprese, 16,2%

sul totale).

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Tabella n. 27 Settori prevalenti

Attività manifatturiere Numero imprese % sul totale Produzione di metallo e fabbricazione di 9 24,3 prodotti in metallo Industria del legno e dei prodotti in legno 8 21,6 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 6 16,2 Fabbricazione di prodotti della lavorazione di 6 16,2 minerali non metalliferi Fabbricazione di articoli in gomma e materie 3 8,1 plastiche Industrie tessili e dell’abbigliamento 3 8,1

Le attività rilevate e non presenti nell’elenco Infocamere sono nove: considerando, però, la forte propensione delle aziende alla difesa ed alla mimesi e tenendo conto della testimonianza degli imprenditori “bianchi”31 e della gente comune, che, sollecitati, non hanno esitato ad indicare le imprese irregolari, si può ragionevolmente supporre che le attività non registrate siano più numerose di quelle da noi “scoperte”. Un ragazzo, alla domanda se conosceva qualche impresa “nascosta”, ci ha risposto con fare ironico, che avevamo solo l’imbarazzo della scelta: “all’interno della prima traversa c’è una fabbrica di jeans, nella traversa dopo un’altra di scarpe, mentre, se cercate quelli, che vendono le scarpe di

“blocco”32, qua siamo pieni”

Lo spaccato emerso è quello di un quartiere molto vivo, con una brillante commistione tra commercio all’ingrosso ed al dettaglio di scarpe di “blocco”33 ed una miriade di piccole e medie imprese, dove il “bianco”, il “grigio” ed il “nero” s’integrano perfettamente.

Quello, che colpisce, è che in alcune zone tutti i locali destinati ad uso commerciale34 sono adibiti alla vendita, al dettaglio ed all’ingrosso di scarpe. Un’economia fiorente e consolidata nel tempo, che rifornisce tutti i mercati35 e fiere regionali, oltre che buona parte dei paesi nord - africani. E’ sorprendente il numero di acquirenti di colore: in alcune strade, sembrava di essere in una strada di Algeri o di Tunisi piuttosto che nel napoletano. La

31 Gli imprenditori regolari mal sopportano l’esistenza del “nero” per ovvi motivi di concorrenza sleale, anche se essi stessi spesso provengono da un processo di emersione. 32 Dette così, perchè acquistate dal rivenditore a “forfait”, in quanto mancanti di alcuni numeri, difettose o fuori moda. 33 Questa fiorente e caratterizzante attività ha origini lontane quando agli inizi del 1900 il quartiere brulicava di bancararielli dei “solachianielli” cioè artigiani specializzati nel riciclaggio della scarpa usata, così come si evince meglio dall’appendice storica. 34 Anche gli scantinati.

42 sensazione è che effettivamente ci siamo imbattuti in una realtà dalle grosse potenzialità di sviluppo economico, non solo per le floride attività esistenti e la loro concentrazione in alcun strade, ma anche per alcuni vantaggi competitivi, attuali o potenziali, che la localizzazione di un impresa in questo quartiere può offrire.

In particolare:

A) il quartiere è localizzato in posizione strategica dal punto di vista dei trasporti, data la

presenza sul suo territorio dell’aeroporto di Capodichino, la vicinanza agli imbocchi delle

più importanti autostrade e la sua contiguità con Casoria, dove verrà realizzato, una volta

completati i lavori per l’alta velocità (TAV), lo scalo ferroviario partenopeo;

B) è stato da poco deliberato dal Consiglio Comunale la delocalizzazione del mercato dei

fiori36 in una zona dismessa del quartiere37 e questo attrarrà, inevitabilmente, anche

l’indotto di questo settore;

C) esistono ancora ampi spazi da poter eventualmente utilizzare per infrastrutture;

D) pur essendo molto ramificata sul territorio, la malavita organizzata pare non sia dedita al

taglieggiamento38 ;

E) il “tessuto” imprenditoriale è vitale39.

Inoltre, San Pietro a Patierno sembra smentire i dati Istat del 1991, che indicano un tasso di disoccupazione pari al 54,8 %: infatti, basta girare negli orari di punta per le strade, per i bar e per le sale giochi per osservare che le stesse risultano essere vuote, salvo poi riempirsi in prima serata.

La rigogliosa economia del quartiere è da attribuire soprattutto alla solerzia e all’operosità degli imprenditori, capaci di creare sviluppo in una zona fortemente penalizzata nei secoli da iniziative politiche e da vicende belliche40.

35 In particolare quello sito in Via M. Caramanico nel quartiere di Poggioreale, il più importante punto di riferimento regionale per gli acquirenti, al dettaglio ed all’ingrosso, del settore calzaturiero e dell’abbigliamento. 36 Finora svolto nel solcato perimetrale del Maschio Angioino. 37 Fino a qualche tempo fa destinata ad ospitare un campo container di terremotati. 38 Eppure S. Pietro si caratterizza per l’influenza di tre diversi e contrastanti “cartelli” camorristici. 39 Gli imprenditori durante le interviste si sono rivelati molto cordiali e disponibili al dialogo oltre a manifestare ottima lungimiranza, riconoscendo il valore della cooperazione e della concertazione con le istituzioni. 40 Vedi appendice storica.

43

Caratteristiche delle imprese

Gli imprenditori intervistati svolgono attività nel campo della lavorazione di materie plastiche, porcellana, legno, ferro e tessuti. Hanno prevalentemente un titolo di studio medio

(diploma di scuola media superiore), in qualche caso basso (licenza elementare o media), in due sono laureati41. Hanno acquisito esperienza nel loro settore, lavorando presso l’azienda di famiglia o presso altre fabbriche della zona. Giustificano la loro presenza sul territorio con motivi affettivi, ma anche per la posizione geografica strategica del quartiere; ammettono che, se si dovessero ricollocare, sceglierebbero di nuovo S. Pietro a Patierno per gli ampi margini di sviluppo, che, a loro dire, esistono. La natura giuridica prevalente è la ditta individuale42, anche se non mancano casi di società di persone o di capitale. Il fatturato dichiarato va da un minimo di 300 ad un massimo di 5.500 milioni.

Tabella n. 28 Elenco interviste in profondità realizzate a S.Pietro Numero Attività Fatturato Natura Titoli di studio Addetti Addetti a nero intervista giuridica dei soci dichiarati 1 Industria 5 miliardi e s.r.l. 1 laurea 35 0 alimentare mezzo 4 diplomi 2 licenze medie 2 Industria del 1 miliardo s.a.s. Laurea 8 7 legno 3 Industria della 450 milioni s.n.c. Diploma 5 4 plastica 4 Industria del n.d. s.n.c. 1 diploma 1 2 ferro 1 Qual. Prof. 5 Industria del 300 milioni Ditta Licenza media 2 2 ferro individuale 6 Lavorazione 600 milioni Ditta Licenza media 3 1 di tessuti individuale 7 Lavorazione n.d. Ditta Licenza 0 3 di porcellana individuale elementare 8 Industria del n.d. Ditta Diploma 2 2 ferro individuale 9 Industria della n.d. s.p.a. Diploma 3 1 plastica 10 Industria della n.d. s.r.l. Licenza media 14 5 plastica

41 Si è riscontrato che laddove c’è un laureato in famiglia, anche se non lavora in azienda, c’è maggiore disposizione al dialogo da parte dei familiari. 42 Si è rilevatao una frequente modifica della natura giuridica a seguito di scissioni, successioni o per poter accedere a determinati finanziamenti (ed è questo il caso dell’intervista n.1, dove la forma societaria è passata da S.r.l. a S.n.c. per poter usufruire dei fondi della legge 64, salvo poi, una volta acquisiti, tornare alla originale natura giuridica).

44

Legenda: n.d.-dato non disponibile *dichiarati direttamente dall’imprenditore o diversamente conteggiati per differenza, rispetto a quelli regolari, durante le nostre visite nelle aziende.

Entrando nei locali adibiti alla produzione, si ha la sensazione, tranne in alcuni casi, che la qualità degli ambienti sia discreta. Quasi tutti gli intervistati hanno dichiarato di essere in regola con licenze ed autorizzazioni.

Si è riscontrato un’influenza limitata della criminalità organizzata sulle attività produttive: “le uniche pressioni sono quelle legate al fatto che durante le festività natalizie o pasquali vengono e pretendono le scatole di panettoni o colombe da regalare ai propri familiari o ai propri “guaglioni” (intervista n. 1); “diversamente molti di noi avrebbero mollato” (intervista n. 2). Tutti lamentano il problema della microdelinquenza, legato a rapine, furti o più in generale a tossicodipendenti, che in modi più o meno violenti chiedono contributi: “anche se io sto’ coperto, in quanto di fronte alla mia fabbrica abita la mamma del capo-zona, la quale più volte mi ha chiesto di indicarle queste persone al fine di dargli una lezione” (intervista n. 2).

Il ricorso al credito bancario da parte degli imprenditori è praticamente inesistente, perchè ritenuto troppo oneroso [ “sono i “cravattari” legalizzati” (intervista n. 8); “-sò pegg re sanguisug” (intervista n. 7)], per cui si preferisce, laddove c’è l’esigenza, ricorrere all’autofinanziamento43 oppure a prestiti in famiglia. Pertanto il rapporto con le banche si riduce a semplici operazioni da correntisti44.

Alcuni imprenditori sono informati dai loro commercialisti riguardo le leggi agevolative per l’accesso al credito, ma non tutti ne usufruiscono per l’elevato costo delle pratiche45. E’ indicativo in tal senso il caso di un’anziana artigiana, titolare di un laboratorio per la lavorazione della porcellana di Capodimonte, la quale, nonostante l’elevata qualità della sua produzione, vive un evidente disagio economico per la mancanza di un’adeguata pianificazione economica. All’unisono tutti gli imprenditori lamentano problemi di liquidità dovuti allo sfasamento temporale tra il pagamento ai fornitori (normalmente da 60 a 120

43 Come nel caso dell’intervistato n.3 che investe una parte dei proventi della sua azienda in titoli pubblici e privati cercando di diversificare i rischi e contemporaneamente assicurarsi degli utili da reinvestire poi nell’impresa. 44 Anche se l’intervistato n.4 ha candidamente confessato di conservare i soldi ancora nel classico “matarazz” (materasso)

45 Ad eccezione dell’intervistato n.2 che ha chiesto ed ottenuto un finanziamento di 400 milioni da investire in macchinari.

45 giorni) e la riscossione dei propri crediti, che sulla carta hanno la stessa dilazione del pagamento, ma che in pratica si traducono in atavici ritardi, con grave pregiudizio per la stabilità finanziaria. Molti imprenditori denunciano perdite anche notevoli sul fatturato (circa il 10%) per l’insolvenza di alcuni clienti, che comporta cautelativamente una restrizione del giro di affari, puntando su un numero limitato, ma affidabile di acquirenti.

Altro spunto di sicuro interesse è l’assoluto distacco e prevenzione verso politici, istituzioni46 ed associazioni di categoria. “Servono solo a prendersi i nostri soldi e non offrono niente in cambio:” questo il giudizio quasi univoco di tutti gli imprenditori intervistati, anche se l’intervistato n.1, ad esempio, è iscritto all’Unione Industriali e ritiene quest’esperienza positiva, poiché i soci hanno l’opportunità di partecipare a corsi di aggiornamento.

Nonostante il riconoscimento da parte degli imprenditori intervistati, dell’importanza strategica della cooperazione sul territorio47, è stata riscontrata, in realtà una scarsa collaborazione tra gli stessi48.

Tutti gli imprenditori riconoscono l’importanza della partecipazione a fiere ma pochi attuano questa strategia per mancanza di fondi.

Tra gli strumenti di pubblicità pare che quello più conveniente, anche in rapporto ad un’analisi costi-benefici, siano le Pagine Gialle.

La collocazione geografica dei fornitori è abbastanza variegata, mentre i clienti sono per lo più campani, tranne per le aziende di dimensioni maggiori, che operano in tutto il Centro-

Sud.

46 Un caso eclatante è quello raccontato dall’intervistato n.1, che lamenta la pressione di un politico del Comune di Napoli, affinché riassumesse un’operaia licenziata, per aver aggredito, procurandole delle serie lesioni, una collega di lavoro. La dipendente licenziata, tra l’altro, risultava essere un’assenteista cronica e la qualità del suo lavoro era notevolmente bassa: addetta al controllo finale della qualità, in molte occasioni non aveva rilevato anomalie evidenti dei prodotti, che, immessi sul mercato, avevano procurato un notevole danno all’immagine dell’impresa. 47 L’intervistato n. 1 fa parte del Consorzio agro-alimentare Napoli Food. 48Tranne qualche sporadico e occasionale accordo commerciale, come quello intercorso qualche tempo fa tra due imprese contigue per l’acquisto di una partita di materie plastiche proveniente dalla Cina.

46

Il contesto lavorativo

Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte ad imprese a gestione familiare, essendo occupati in azienda49 i familiari più stretti dell’imprenditore.

In tutte le attività risultano essere impiegati a “nero” mediamente il 50 % dei dipendenti effettivi dediti prevalentemente alla produzione50. In qualche caso, paradossalmente, la volontà di regolarizzazione da parte dell’imprenditore si scontra con quella dell’operaio, che preferisce rimanere iscritto al collocamento al fine di non pregiudicarsi ipotetiche agevolazioni o erogazioni da parte dello Stato. In un caso (intervista n. 2) addirittura l’imprenditore, per cautelarsi da un’eventuale vertenza di lavoro, stava studiando con un agente assicurativo una polizza, che sostituisse i contributi previdenziali.

Il reclutamento del personale avviene normalmente per conoscenza mentre l’alternativa di attingere dalle liste di collocamento è poco utilizzata, sia perché molti dipendenti lavorano a “nero” e sia per non essere costretti ad assumere persone con professionalità non adatta o inesistente51.

La tipologia prevalente dei contratti utilizzati è quella a tempo indeterminato; poco frequenti sono quelli di formazione; in qualche caso è stata fatta richiesta per borse - lavoro con risultati incerti, dal momento che, riconosciuta l’indubbia validità dello strumento, c’è discordanza in merito alla qualità dei “borsisti”: infatti, mentre nel caso dell’intervistato n.1 il rapporto si è trasformato in assunzione, l’intervistato n.6 denuncia una scarsa professionalità dei discenti.

49 I familiari ricoprono di solito tutti i settori “chiave”: produzione, qualità, contabilità, rapporto con i fornitori e con clienti, ecc… 50 Nel caso dell’intervista n. 8 è emerso che l’impresa, nata nel 1980, è stata regolarizzata solo nel 1998, operando per 18 anni totalmente a nero e occupando, mediamente, 10 dipendenti. 51 Ad eccezione dell’intervistato n. 1, che, avendo un’attività di dimensioni maggiori, per evitare qualsiasi turbativa nei rapporti con i sindacati, preferisce attingere, laddove si presenti l’esigenza, dalle liste di collocamento.

47

Tutti gli intervistati preferiscono assumere persone già specializzate, per ridurre i tempi e i costi della formazione, che normalmente avviene sul campo (mediamente sono richiesti due anni, per formare un operaio).

Il turn-over dei dipendenti all’interno delle aziende è molto basso per la scarsa flessibilità del mercato, per un tacito accordo degli imprenditori, teso a mettere un tetto agli stipendi della zona, ma anche perché il più delle volte i dipendenti legano, per motivi affettivi o più in generale per una ridotta propensione alla mobilità, le proprie vite lavorative alle vicissitudini imprenditoriali dei loro titolari.

Spunti di riflessione

Queta prima fase di ricognizione su S Pietro a Patierno ha evidenziato alcune prerogative degli imprenditori locali:

1. rivendicano una maggiore flessibilità del lavoro, una riduzione della pressione fiscale,

facilitazioni per l’accesso al credito, una concreta autonomia amministrativa della

circoscrizione ed una maggiore presenza fisica sul territorio delle forze di polizia;

2. denunciano l’assenza di politiche serie per lo sviluppo locale che tengano conto delle reali

esigenze di chi opera quotidianamente sul territorio e non progettate seduti dietro una

scrivania secondo logiche clientelari con progetti faraonici, destinati a fallire prima ancora

di partire;

3. avvertono la carenza di una consulenza “pubblica” nelle diverse discipline giuridiche e

legislative che regolano la vita delle imprese;

4. auspicano la costruzione di scuole professionali sul territorio al fine di ridurre i costi di

formazione ed al contempo avere a disposizione persone che, oltre a possedere una

preparazione pratica, abbiano anche competenze teoriche;

48

5. nutrono diffidenza nei confronti del mondo politico, che considerano corrotto52, salvo poi

ammettere che, in caso di bisogno, molti di loro non esiterebbero (o non hanno esitato) a

rivolgersi al politico di turno per accelerare una pratica burocratica o rivendicare un diritto

violato53.

6. Credono fermamente nelle potenzialità del quartiere e nel valore della cooperazione,

nonostante la diffidenza diffusa.

APPENDICE STORICA54

La nascita del Casale: S. Petrus ad Paternum

E’ nel Primo Medioevo che vanno cercate le origini del casale e della sua denominazione; infatti, nello sforzo di dare maggiore lustro alle origini della Chiesa napoletana e affinché queste non fossero inferiori a quelle della Chiesa Puteolana, nell’Alto Medioevo si diffuse la tradizione secondo la quale l’Apostolo Pietro sarebbe venuto per ben due volte a Napoli: la prima volta per via mare, sbarcando a Pozzuoli, la seconda per via terra, dopo essere sbarcato a Brindisi, come vuole anche la tradizione della Chiesa pugliese.

In questo suo secondo viaggio avrebbe percorso le antiche vie romane, Egnazia, Appia e

Atellana55. A consolidamento di tale tradizione furono innalzate chiese lungo il percorso dedicate al Principe degli Apostoli ed è nell’ambito di questa tradizione che va a collocarsi la fondazione della chiesa di S. Pietro nel territorio, precedentemente denominato semplicemente “Paternum”56. Intorno alla chiesa di S. Petrus ad Paternum va a formarsi

“quella aggregazione compatta di case”, che costituirà il casale omonimo.

Il territorio di S. Pietro a Patierno faceva parte integrante di quella vasta chiamata “Liburia”, circondata dal fiume Clanio a Nord, poi Regi Lagni, dal monte di

52 Sono stati diversi gli episodi di corruzione raccontati dagli imprenditori o anche dalla gente comune che vedono come protagonisti forze di polizia, politici, etc… 53 Un imprenditore intervistato ha confessato che egli, oltre ad avere perso la fiducia nelle istituzioni (non va più a votare oramai da anni) ha perso rispetto anche verso la stessa categoria di imprenditori per l’assenza di deontologia professionale, denunciando, come caso tipo, l’utilizzo distorto delle Borse-lavoro. Da promettente strumento per la formazione “in bottega”, a suo dire, si è trasformato in una forma assistenziale per figli e nipoti degli imprenditori o dei politici.

54 Antonio Esposito, S. Pietro a Patierno- Antico Casale Napoletano, 1994. 55 G. Scherillo, Della venuta di S. Pietro in Napoli, Napoli 1859,cap. II pag. 259 cfr. ancora Cronaca di Partenope a cura di A. Altamura 1974 pagg. 84/85/86.

49

Cancello sopra Suessola,ad oriente dall’agro Nolano,ad occidente del mar Tirreno e a mezzodì dall’agro napoletano e cumano.

I prodotti dei fertilissimi terreni dipendenti dal casale furono per molti secoli sempre gli stessi. Non mancava nel casale, soprattutto ai confini con quello di Secondigliano, la coltivazione del lino e della seta, come erano pure copiosi, anche se di ridotte dimensioni, frutteti di vario genere: tra i prodotti principali c’era, inoltre, il vino e la canapa.

Il vino era leggerissimo (nel dialetto locale era chiamato “o piccirillo”), ma era molto gustoso e veniva conservato nelle ampie e profonde grotte scavate nel tufo. Un particolare e durissimo lavoro era richiesto dalla canapa, che si produceva in quantità notevoli nel casale e che si è continuata a produrre fino a pochi decenni fa.

I mestieri, che si praticavano, oltre a quelli direttamente legati ai lavori dei campi, erano quelli connessi alla lavorazione o alla vendita dei prodotti, e cioè i pettinatori per la lavorazione della canapa, i bottari e i varricchiali per la fabbricazione dei recipienti necessari alla conservazione del vino, i carresi per il trasporto dei prodotti nella capitale o nei paesi vicini.

Il campo di Marte e il tracollo dell’economia agricola.

Le opere volute e realizzate nel decennio francese, soprattutto durante il regno di

Gioacchino Murat, sconvolsero l’economia prevalentemente agricola del casale, dando inizio a quella usurpazione del territorio a vantaggio della città senza l’offerta di nessuna valida alternativa di sviluppo. La costruzione dell’aeroporto, il cui nucleo iniziale fu proprio il campo di Marte voluto da Murat, portò, infatti, ad una grave crisi sociale. Si decise di espropriare migliaia di moggia di terra, abbattere case, distruggere alberi, per fare spazio ad un insediamento militare come il campo di Marte e ad una nuova strada di accesso, che insieme ad altre segnasse la gloria di un regime. Il numero dei lavoratori57 passa da 1300 nel

56 Cfr G.M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie 1794 pag. 269. 57 A.S.P. Sezione Stati d’anime 1810/1835

50

1810 a 1190 nell’anno successivo, per diminuire ulteriormente a 1163 nel 1812, a 1143 nel

1813: aumenta progressivamente anche il numero di mendici. Il dato più significativo, però, è il numero degli emigrati: mentre nel 1810 nello Stato d’anime, il documento, che registrava le professioni degli abitanti, si legge chiaramente “non ve ne sono”, nel 1811 alla stessa voce compare il numero 356, ossia su una popolazione di appena 2522 abitanti ben 356 sono costretti nel giro di un anno ad abbandonare il casale.

Accanto al campo e come accesso ad esso il Murat con decreto del 27 Febbraio 1812 dava inizio alla costruzione di una nuova strada come segno dell’interesse, che aveva per la città di Napoli, “ornandola di una strada d’ingresso corrispondente alla sua grandezza e alla sua magnificenza”. Si tratta chiaramente della Strada del Campo oggi Viale U. Maddalena, più conosciuto con il nome di “Doganella”.

Il campo di Marte, chiamato poi Piazza d’Armi, dove Ferdinando di Borbone era stato attentato all’inizio del 1900, cominciò ad essere usato per i primi esperimenti di volo.

Manifestazioni aree sportive e sperimentali si susseguirono in continuazione fino al

1913; la guerra interruppe le gare sportive, per far posto ad esperimenti di aerei militari. La svolta venne dopo la notte fra il 10 e l’11 marzo del 1918: un dirigibile austriaco lanciò una ventina di bombe su Napoli. Sedici i morti e decine di feriti. Seguì una interpellanza parlamentare sulla mancata difesa della città ed i conseguenti provvedimenti di potenziamento dell’ancora piccolo aeroporto. Accanto all’ingresso, in via Nuovo Tempio, vennero costruiti due Hangar: il 19 giugno del 1921 l’aeroporto venne intitolato al capitano Ugo Niutta morto da eroe nel 1916. Finita la guerra fu costituita la regia aeronautica, che, preso possesso dell’aeroporto tra il 1924 e il 1925, decide un primo ampliamento, per allungare la pista. Si procedette all’esproprio del terreno e fu aperto il nuovo ingresso da Piazza Capodichino; vennero abbattuti i vecchi edifici, tra cui una bellissima cappella (forse S. Michele degli

Ebdomadari), già adibita a polveriera, e fu decisa la costruzione dell’Accademia Aeronautica.

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Gli espropri nel 1925 si susseguirono: oltre ai numerosi terreni di proprietari residenti o di nobili napoletani fu espropriata la via Trivio, che univa la parte antica del Casale con la

Strada del campo (Doganella), e in alternativa costruita una nuova strada del Trivio, successivamente pure espropriata.

Sul finire degli anni trenta e agli inizi degli anni quaranta venne presa una nuova direttrice di sviluppo della pista, dato che non era possibile prolungare la precedente. I terreni espropriati furono quelli nel cuore del quartiere, ormai neppure più comune, ma semplice appendice periferica di Napoli

Nel 1948 la pista fu ulteriormente allungata dagli alleati e nel 1950, per dare spazio alle esigenze dei nuovi aerei militari e per aprire l’aeroporto alle linee commerciali e all’uso civile, la stessa fu ancora prolungata.

Il quartiere di S. Pietro a Patierno rimase definitivamente spaccato in due e separato dalle sue masserie. Alcune migliaia di persone restarono tagliate fuori dai servizi amministrativi e da qualsiasi altro rapporto con il centro del quartiere.

Riciclaggio della scarpa usata

Nei primi anni del 1900 le strade del quartiere, le antiche corti, i ballatoi brulicavano di “bancarielli”, intorno ai quali i calzolai di S. Pietro a Patierno ricrevano le scarpe usate, che, poi, vendevano nei mercati di

Napoli e in quelli dei comuni dell’intera provincia, da Caivano a Torre Annunziata. Anche i fanciulli in grandissimo numero venivano mandati ad imparare il mestiere “add’ o’ masto”.

Il lavoro aveva diverse fasi: iniziava dalla schiantellatura, che consisteva nello smembrare la scarpa vecchia e ricavarne soprattutto tomaia e stuoia. Si passava poi alla montatura: la tomaia era sistemata sulla forma e attaccata alla “chiantella” con chiodini leggeri, che l’agganciavano grazie alla piastra di ferro sotto la forma, sulla quale in pratica erano ribattuti (pare che la forma con la piastra di ferro sia stata proprio un’invenzione locale). La terza fase di lavorazione era la pulitura: si realizzava strofinando la carta vetrata e passando poi la colla di farina, per sistemare il pelo della tomaia ed eliminare eventuali difetti ed incrostazioni. La quarta fase era la suolatura: si attaccava la suola, anch’essa ripulita con carta abrasiva di maggiore spessore, poi una passata di colla di farina e, talvolta, la saliva,

52 necessaria per dare maggiore lucentezza. Si creava, quindi, il tacco con pezzi di suole di scarto, si limava il tutto e si passava all’attintatura, prima con l’anellina sciolta in acqua e poi con la tintura vera e propria (‘a tinta ‘e riavulo). L’ultima fase di lavorazione prima della consegna era l’apparecchiatura, cioè l’abbellimento della scarpa, che si otteneva passando sulla tomaia la cera d’api (cera vergine); infine la spazzolatura. Le scarpe prodotte avevano diverse forme ed erano destinate a diversi usi e, di conseguenza, avevano nomi diversi: scarpa allacciata, cuocci, cucciarielli, chiodate, scarpino, scarpe di pezza (erano ricavate da pezzi di tomaia scelti di diversa origine), chianielli (sandali).

La descrizione è, forse, parziale, perché l’abilità dei calzolai di S. Pietro a Patierno consisteva proprio nel saper variare la lavorazione a secondo delle difficoltà, che si incontravano. A volte, per esempio, era necessario rattoppare la tomaia o aumentare lo spessore della “chiantella” con il cartone, per poterla agganciare. Generazioni di papà, di giovani, di ragazzi hanno lavorato giorno e notte, per portare avanti le famiglie; il lavoro era duro e faticoso. Molti ne portano impressi nel corpo i segni: una sorta di cavità all’imboccatura dello stomaco per quel continuo premere della forma ferrata sul petto.

Durante il periodo bellico il lavoro di riproduzione della scarpa usata non solo non venne meno, ma divenne frenetico, alleviando il disagio economico generale, ma, purtroppo, non le sofferenze, dovute ai bombardamenti: essi per la presenza dell’aeroporto furono terribili e continui tanto da costringere molti a “sfollare” verso i comuni limitrofi.

Nel dopoguerra il quartiere rimase tagliato fuori da ogni progetto di sviluppo: diviso ormai irrimediabilmente dai continui allungamenti della pista, ebbe una crescita lentissima di popolazione, passando a 13145 abitanti nel 1951, a 14655 nel 1961. Una crescita così lenta deve attribuirsi all’aumento del degrado economico, particolarmente forte nel dopoguerra e alla fatiscenza delle abitazioni. I bassi, le vecchie stalle, quei locali all’interno delle corti, un volta depositi di attrezzi e merci, divennero abitazioni povere e malsane. Sul piano economico gli anni sessanta e settanta segnarono via via la completa estinzione della lavorazione della scarpa usata: il maggior benessere economico dell’Italia determinò la fine di questo tipo di

53 economia nel quartiere. E’ grazie all’intraprendenza dei cittadini di S. Pietro a Patierno, degli ex calzolai, se nel quartiere si creò negli anni settanta una certa ripresa economica e maggiore benessere attraverso il commercio della scarpa di blocco. Quasi tutti ci provarono, molti ci riuscirono, creando un mercato fiorente, che oggi fornisce molte zone dell’Italia Meridionale ed una quota sempre crescente di commercianti nord africani.

Il maggior benessere, l’esigenza di abitazioni più decenti per le nuove generazioni crearono una quantità enorme di modeste nuove costruzioni, per lo più abusive, prima sulla direttrice via 4 Aprile e poi su via Luce. La crescita fu caotica, disordinata e non poteva essere altrimenti, soprattutto per il disinteresse totale dell’amministrazione centrale. A questa deficienza si cercò di rimediare con il piano delle periferie, che pure rimase sulla carta, fino a quando il terremoto del 1980 non rese possibile la loro attuazione per mezzo del titolo VIII, legge 219, di cui S. Pietro a Patierno ha beneficiato.

2e Prime considerazioni sull’Area Nord di Annalisa Caso, Saverio Cioffi e Michele De Mare

La morfologia del territorio si presenta regolare e pianeggiante ad eccezione di

Chiaiano, che comprende parte della collina dei Camaldoli.

L’area a Nord di Napoli è stata, per lungo tempo, una zona agricola con la funzione di fornire uomini e prodotti alimentari alla città. Fino agli anni ‘50 era meta di vacanze e turismo, decantata per le sue bellezze paesaggistiche, gastronomiche e climatiche da numerosi poeti italiani e stranieri (Virgilio, Petrarca, Boccaccio, Goethe, Byron, ecc.)58.

L’incremento del settore edile, cominciato con il periodo post-bellico, è diventato sempre più invadente e irriverente rispetto all’assetto eco-ambientale della zona. A partire

58 Vocazione in parte conservata da Chiaiano e assecondata dall’attuale Consiglio circoscrizionale nel tentativo di salvaguardare e valorizzare le masserie presenti nella zona.

54 dalla fine degli anni ‘70-inizio anni ‘80 la costruzione incontrastata di quartieri popolari59 ha completamente mutato gli equilibri ambientali e socio-economici di quest’area. Ben presto l’espansione edilizia è diventata speculazione, controllata e diretta dai clan camorristici.

Le circoscrizioni a maggiore densità abitativa risultano Miano e Secondigliano

(rispettivamente con 14.728 e 17.485 ab/kmq) e nell’indagine sul campo, si sono rivelate anche le più diffidenti e mal disposte a fornire qualsiasi tipo di informazioni.

Caratteristiche del tessuto produttivo

Il numero di imprese manifatturiere presenti, secondo l’elenco Infocamere, nelle quattro circoscrizioni è di 512 unità. Nell’area Nord60 non esiste un’identità produttiva: anche all’interno delle singole circoscrizioni non si può parlare di un’attività prevalente, ma di più attività predominanti. Si tratta delle industrie alimentari e delle bevande e dell’industrie della lavorazione di cuoio, pelle e prodotti similari. Si distingue, invece, San Pietro a Patierno, dove troviamo una particolare concentrazione di imprese nel settore del legno e della lavorazione del metallo.

Le imprese sottoposte a verifica sono state 33761, delle quali soltanto 16562, pari al 49%, sono risultate essere effettivamente esistenti: le restanti 172 sono imprese chiuse, trasferite

(alcune anche da diversi anni), sedi legali o, in alcuni casi, semplicemente scomparse63.

Alcuni indirizzi, poi, si sono rivelati corrispondere a case disabitate e diroccate, dove certamente il recapito fittizio è servito a creare un’impresa fantasma allo scopo di truffare fornitori e clienti.

Dall’analisi effettuata a Secondigliano è emersa una concentrazione di imprese di produzione di lampadari nella lavorazione del legno, che creano un certo indotto anche nelle

59Si pensi ai quartieri ad altissima densità abitativa di Miano, Piscinola e Scampia.

60Mentre la zona orientale è immediatamente associata ai quartieri di Ponticelli, Barra, S. Giovanni e Poggioreale-Zona Industriale, non può dirsi lo stesso per l’area nord, che non richiama immediatamente le quattro circoscrizioni oggetto di studio 61In particolare 89 a Chiaiano, 55 a Miano, 56 a San Pietro a Patierno e 137 a Secondigliano 62In particolare 51 a Chiaiano, 33 a Miano, 37 a San Pietro a Patierno e 44 a Secondigliano. 63L’elenco Infocamere è spesso risultato impreciso, riportando strade o numeri civici errati o inesistenti.

55 zone immediatamente circostanti. Inoltre, a San Pietro a Patierno si è riscontrata una accentuata concentrazione territoriale delle attività produttive, la maggior parte delle quali sono ubicate in tre strade (via Selva Cafaro, via Luce e traverse collegate, via IV Aprile e traverse collegate).

Le imprese sono di piccole e medie dimensioni. I fornitori sono uniformemente distribuiti in tutta la penisola, mentre il mercato di sbocco varia secondo la dimensione e la qualità della produzione.

Nella maggior parte dei casi si tratta di ditte individuali, nelle quali sono occupati prevalentemente familiari del titolare. Quest’ultimo possiede mediamente un titolo di studio basso (licenza elementare o media); superiore alla media è risultato il tasso di scolarizzazione degli imprenditori a S. Pietro a Patierno, dove è stata riscontrata la presenza di imprenditori in possesso di laurea e diploma.

Per quanto riguarda lo spessore e la qualità delle attività monitorate, è risultato quasi sempre che gli imprenditori hanno una visione della loro attività limitata al contingente. Solo in rarissimi casi partecipano a fiere o sono iscritti ad associazioni di categoria: ciò non solo per un problema di costi, ma anche perché, avendo un mercato di sbocco soprattutto locale, non sentono il bisogno di pubblicizzare i loro prodotti né, d’altro canto, sono interessati a conoscere il trend del mercato.

Gli ambienti lavorativi sono risultati di qualità superiore a Chiaiano e San Pietro a

Patierno, nonostante che anche negli altri quartieri quasi tutti gli imprenditori abbiano dichiarato di essere in possesso delle autorizzazioni necessarie.

Le maggiori difficoltà affrontate sono quelle relative allo sfasamento nel sistema di pagamento tra fornitori e clienti e all’insolvenza di questi ultimi, che mediamente si aggira intorno al 10% del fatturato annuo. Questo è uno dei fattori deterrenti all’espansione del volume di affari: gli imprenditori preferiscono avere un minor numero di clienti ritenuti sicuri, anziché una clientela più vasta, ma potenzialmente inaffidabile.

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I problemi di liquidità sono accentuati dal fatto che gli imprenditori non usufruiscono del credito bancario: il rapporto con le banche è, nella maggior parte dei casi, inesistente e, laddove si presenta un’ esigenza, si ricorre all’autofinanziamento.

Un’altra istituzione, di cui il tessuto produttivo locale sembra “poter fare a meno”, è la pubblica amministrazione. Distacco e prevenzione sono gli atteggiamenti prevalenti verso

Comune, Regione e Stato, che sono immediatamente associati a tasse, pastoie burocratiche, tentativi di corruzione e malcostume in generale.

È stata riscontrata una scarsa cooperazione sul territorio, tranne sporadici accordi commerciali64.

La formazione degli operai avviene learning by doing: si impara facendo, in un periodo, che va dai due ai quattro anni, in cui si lavora a nero.

La manodopera è tutta locale: le assunzioni avvengono per conoscenza diretta. Si ricorre all’Ufficio del collocamento solo per evitare pressioni sindacali, ma si ammette che se ne farebbe maggiore uso, se questo fosse in grado di fornire persone professionalmente qualificate e preparate.

I contratti più utilizzati sono quelli a tempo indeterminato, meno quelli di formazione; in rari casi si fa uso delle borse-lavoro.

Una volta “imparato il mestiere”, la regolarizzazione non è un passo scontato, anche perché paradossalmente alcune volte la volontà dell’imprenditore si scontra con la reticenza del lavoratore, che preferisce non essere regolarizzato, per non pregiudicarsi la possibilità di ricevere eventuali erogazioni statali. In alcuni casi l’utilizzo di lavoro nero è dovuto all’esigenza di non mostrare un volume di affari alto o all’impossibilità di sostenere l’elevato costo del lavoro. In altri casi, invece, l’azienda è soggetta a picchi produttivi e, non potendo conformare la quantità della forza lavoro al variare della produzione, si avvale di un numero limitato di lavoratori, utilizzando nei periodi di punta manodopera stagionale a nero. Vi è poi

64 Anche in questo si è distinta San Pietro a Patierno, dove tutti gli imprenditori riconoscono il valore della cooperazione.

57 il caso della manodopera femminile, che, anche per produzioni non stagionali, viene normalmente impiegata a nero, per evitare i problemi legati a maternità e malattia dei figli.

Il rapporto tra lavoratori regolari ed irregolari è mediamente di 1 a 1. L’impiego di lavoro nero è così diffuso e ritenuto “normale” che, sorprendentemente, la maggior parte degli intervistati ha fornito, senza il minimo imbarazzo o timore, il numero di lavoratori, distinguendo i regolari da quelli a nero.

Il turn over dei dipendenti all’interno delle aziende è basso, perché spesso legato al vincolo familiare con l’imprenditore.

2f Appendice storica della zona Nord di Annalisa Caso, Saverio Cioffi e Michele De Mare

I Casali

La necessità sempre crescente di essere vicini al terreno da coltivare e nello stesso tempo l’esigenza di raggrupparsi, fecero sì che i contadini che lavoravano le terre per conto dei Monasteri o di grandi famiglie della capitale, lasciassero le povere abitazioni sparse per la campagna e si raggruppassero intorno alle chiese, costituendo i primi centri, quindi i villaggi e i casali. Questo processo fu graduale e si stabilizzò dopo il trattato di pace concluso tra napoletani e longobardi verso la fine dell’VIII secolo, assicurando un periodo di relativa tranquillità e prosperità agli abitanti della Liburia. Scrive il Capasso: “lenta e graduale dovette essere a mio credere l’origine di tutti i villaggi della Liburia che durante il Medioevo sursero nell’agro napoletano e aversano”65. La struttura dei casali aveva come elementi essenziali il podere e i casolari; le case erano costruite con materiale di lapillo, tufo e pozzolana, spesso ricavato dal luogo stesso in cui si costruiva, al loro posto si formavano ampie grotte che servivano come deposito dei prodotti. Altrettanto numerosi erano le piscine e i pozzi, sia quelli scavati alla ricerca di falde acquifere sia quelli per la raccolta delle acque piovane. I

65 B. Capasso, Breve cronica.... in “Archivio storico per le provincia Napoletane”, Napoli, Anno II Fasc. III, pag. 512.

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Casali avevano gli stessi privilegi della città e si regolavano con le stesse consuetudini, avevano inoltre i propri sindaci o eletti, che amministravano i casali in modo del tutto indipendente provvedendo ai bisogni dei cittadini, con gabelle sui prodotti e pedaggi sui trasporti. La sola giurisdizione che aveva il governo della città consisteva nella cura dell’annona e sulla promiscuità di alcuni dazi sui consumi o gabelle; figura importante di questo ufficio era il giustiziere della grassa che aveva il diritto di visitare i casali per vigilare sulla qualità e sul prezzo del pane e di altri cibi, compito che svolgeva per mezzo di un suo designato chiamato “Catapano”.

Al Fisco si pagava il Focatico che, ad esempio nel 1442 ammontava ad un ducato per fuoco, ossia per famiglia. Molti cercavano di sottrarsi all’imposta cambiando domicilio e per questo venivano richiamati all’antico domicilio (revocati)66. Non mancavano infine le collette, imposte straordinarie che gravavano sui cittadini; nonostante tutto, i casali demaniali si consideravano privilegiati rispetto a quelli baronali potendo, a giusta ragione, avvantaggiarsi di una giustizia più obiettiva rispetto a quella dei baroni67. Il numero dei Casali oscillava continuamente nel corso degli anni o perchè i più grandi assorbivano quelli più piccoli, o perchè alla scomparsa di alcuni ne sorgevano di nuovi. Il Summonte nel 1675 ne elenca 37 e precisamente afferma: “I casali che latinamente vichi o paghi son detti afferma siano 37 i quali fanno corpo con la città godendo anch’essi l’immunità, i privilegi, e prerogative di lei, avendo anche luogo in essi casali le consuetudini napoletane compilate per ordine di Carlo II.

Nove sono quasi sul lito del mare, dieci dentro terra, dieci sulla montagna da Capo di Chio a capo di monte, otto nelle pertinenze di . Tra la montagna di Capo di Chio e Capo di monte vi sono: Fraola, Arzano, Casaurora, Grummo, Cardito, Melito, Marano, Mugnano,

Panecuocolo, Secondiglianum”68.

Con l’avvento di Alfonso D’Aragona nel 1443 il sistema fiscale del Regno fu inasprito al fine di ottenere maggiori entrate nelle casse dello stato impoveritosi sia per le numerose

66 B. Capasso, sulla Circoscrizione..... pag. 136/137. 67 Cfr. D. Chianese, I Casali antichi di Napoli, Napoli 1928 pag. 36. 68 G.A. Summonte, dell’historia di Napoli, Napoli 1675, vol. I pagg. 266/267.

59 guerre in atto sia per l’eccessiva prodiglità del sovrano. Il Re il 28 febbraio del 1443 dispose un censimento a fini fiscali detto “numerazione dei focolari” e fu stabilito che il focatico, ossia la tassa che ciascun fuoco (famiglia) doveva pagare, ammontasse a 42 carlini. Da questa tassa furono però esonerati numerosi casali intorno alla città insieme agli abitanti di Napoli. tra i motivi che indussero il re ad esentare numerosi casali dal tributo sembra quello di evitare a Napoli un soverchio agglomerato di popolazione che l’avrebbero reso meno tranquilla e più pericolosa nelle sollevazioni. Scrive Nicola Del Pezzo: “Il timore di sommosse doveva comunque esserci visto che in primis ad essere esentati erano gli abitanti della capitale69”.

La situazione cambiò nel successivo periodo vicereale spagnolo a partire dagli inizi del

1600. Scrive il Galasso “La Spagna compì allora il suo maggiore sforzo per l’egemonia in

Europa, per distruggere o piegare in maniera definitiva le forze che contrastavano la sua egemonia e che erano la monarchia francese, i protestanti tedeschi e olandesi e, infine, l’Inghilterra. Il grande sforzo politico e militare allora tentato richiese una mobilitazione finanziaria che accrebbe di molto il fiscalismo spagnolo e rese le tasse praticamente insostenibili per quasi tutti i popoli della monarchia. In cambio dei prestiti fatti alla monarchia, i gruppi che li sottoscrissero furono compensati con uno sfruttamento più intenso delle entrate fiscali dei monopoli commerciali, delle attività economiche del regno.

Specialmente la feudalità partecipò attivamente alla vicenda e si legò con una stretta compenetrazione di interessi all’alta finanza”70. In questo clima maturò la decisione del governo spagnolo del dicembre del 1619 di vendere i casali, sottraendoli al demanio statale e alla proprietà del Re. Tra il 1620 e il 1637 furono venduti numerosi casali, finchè il 15 giugno del 1637 gli abitanti si sollevarono in un’accesa protesta contro l’ordine vicereale; in quell’anno era vicerè di Napoli per conto di Filippo IV di Spagna, Don Ramiro de Guzman, duca di Medina de las Torres. Alla protesta aderirono 32 casali. Nonostante la protesta, la

Regia camera della Sommaria non tenne in nessun conto le richieste proprio a causa delle ristrettezze del Governo spagnolo. L’unica possibilità per i casali di non cadere nelle mani dei

69 N. Del Pezzo, I casali di Napoli, in Napoli Nobilissima, vol. I p.II pag. I.

60 baroni “che mostravano allora una sicurezza nell’affermare i propri privilegi e nel praticare violenze e prepotenze quali da molto tempo non si erano più viste”71, era lo “Ius Praelationis”, cioè la possibilità di ritornare al regio demanio pagando nello spazio di un anno il prezzo di vendita. Non tutti i Casali riuscirono a riscattarsi.

Le Masserie

Stabilire con precisione il periodo di costruzione delle numerosissime masserie che sorsero sul territorio a Nord di Napoli si è rivelato oltremodo difficile. Certo è che esse sorsero tra il 1600 e il 1800 e quindi molti secoli dopo la nascita del casale. A tal proposito

Cesare De Seta72 precisa che, la distinzione fondamentale che si adotta per classificare gli uni e gli altri è che mentre i casali hanno sovente radici antiche o tardo antiche, la masseria ha origine più recente, risale all’età moderna, quando si assiste anche nella campagna napoletana, a una sorta di ricolonizzazione del territorio. La storia del casale è pertanto stratificata ed ha una sua dignità per così dire istituzionale, la masseria ha una struttura assai meno stabile, legata più alla vicenda delle colture che non propriamente a quelle della comunità. Più precisamente, il nome masseria risale etimologicamente a quello di massa (in età romano- bizantina designante ancora il possesso latifondiario, inteso come possesso di beni rustici) condivide il significato della parola casale, letteralmente insieme di case. Il processo di derivazione da massa a masseria rileva una più marcata accentuazione della matrice fondiaria propriamente agraria che il termine derivato sposta invece sull’elemento edilizio abitativo. Di queste masserie oggi ne rimangono alcune completamente inserite nell’abitato e recentemente ristrutturate ed adibite a funzioni pubbliche come la splendia Masseria della Luce e la masseria “della Parrocchia”, rispettivamente in Via Luce e in via Casoria a San Pietro a

Patierno,la prima destinata a centro culturale e la seconda a biblioteca, ma non ancora utilizzate.

70 G. Galasso op. cit. pagg. 95/96. 71 G. Galasso op. cit. pag. 97. 72 C. De Seta, I Casali di Napoli, Bari 1989 p. 17.

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L’aggregazione al Comune di Napoli

Nel quadro del generale processo di revisione e di riordinamento delle circoscrizioni comunali e provinciali, avendo come obiettivi politici generali la riduzione delle autonomie locali, nuovi criteri di spesa pubblica, l’esigenza di estendere e facilitare la sorveglianza poliziesca, e come obiettivi specifici per Napoli da un lato l’accontentare i gruppi economici locali, soprattutto conservieri che non avevano mai smesso di sollecitare l’inclusione totale di

S. Giovanni a Teduccio nel perimetro del capoluogo, in modo da poter fruire dei benefici fiscali derivanti dalla legge speciale 1904 e dall’altro la volontà di celebrare il vanto nazionale di avere una terza città, dopo Roma e Milano, con più di un milione di abitanti, fecero sì che il

Regime Fascista con i decreti del 15 Novembre 1925, 3 Giugno 1926 e 30 Ottobre 1927 inglobasse definitivamente nel Comune di Napoli, gli antichi casali, poi comuni autonomi di

S. Giovanni a Teduccio, Barra, Ponticelli, S. Pietro a Patierno, Secondigliano, Chiaiano,

Soccavo, Pianura, Nisida. Ironia della sorte, i conti non tornarono; l’obiettivo del milione di abitanti non fu raggiunto. Infatti, dal censimento effettuato nel 1931 emerse che la popolazione napoletana, compresi gli ex comuni aggregati, aumentava a sole 813.781 persone. L’aggregazione dei comuni periferici ebbe il merito di decongestionare il centro urbano spostando masse povere verso la periferia, cittadini che cercavano di sfuggire all’alto costo della vita napoletana. Si arriva poi nel 1979 quando, l’esigenza di garantire un più efficiente governo della città di Napoli e la più ampia partecipazione dei cittadini alla gestione amministrativa, porta il consiglio Comunale ad approvare la delibera n. 142 del 03/08 che, sulla base della legge 8 aprile 1976 n. 278, ripartisce il territorio comunale in 20 circoscrizioni73 per una migliore amministrazione della città.

73 Diventate 21 con l’aggiunta della Circoscrizione di Scampia.

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PARTE 3 L’AREA EST

3a POGGIOREALE-ZONA INDUSTRIALE di Vincenza Novella

Storia

Delle quattro circoscrizioni che costituiscono l’area orientale di Napoli, Poggioreale-

Zona Industriale74, è sempre stata considerata come parte integrante della città75; tuttavia, essendo area periferica, in essa vi furono trasferite, nei secoli passati, tutte quelle attività che per motivi igienici non potevano restare nel centro abitato e tutto ciò rese il luogo malsano ed, in parte, inospitale.

Con la costruzione, nel ‘600, a “duecento passi” dalla città della villa di Casanova per la residenza estiva del re Carlo II d’Angiò, prese avvio un lento processo di trasformazione funzionale ed ambientale della zona76. In questo periodo l’opera più importante fu l’apertura della nuova strada di Poggioreale che andava dal largo di Porta Capuana alla suddetta villa che, per tutto il XVII secolo rappresentò il solo simbolo nel quale si identificava il quartiere.

Alla fine del settecento, la villa di Casanova era già ridotta allo stato di ruderi e così i nuovi simboli di Poggioreale divennero il macello77, il carcere ed il cimitero78.

Solo nella prima metà dell’ottocento iniziò a delinearsi, in maniera più marcata, il carattere industriale del quartiere con la costruzione di una serie di opifici collocati a ridosso della stazione ferroviaria e destinati alla produzione siderurgica e meccanica. Fin dalle origini,

74 Anche se formalmente la circoscrizione è costituita da due quartiere (quello di Poggioreale e della Zona Industriale) da un punto di vista amministrativo non ci sono differenze. 75 A differenza delle altre tre circoscrizioni che sono stati comuni autonomi fino al 1926. 76 La costruzione nello stesso periodo di numerose ville patrizie conferma l’aspirazione dell’area ad una destinazione residenziale suburbana. 77 Tale edificio fu costruito in un’ampia area a valle di via Nuova Poggioreale e fu aperto al pubblico nel 1878.

78 Tra il 1762-63 sulle pendici della collina di Lotrecco a Poggioreale fu costruito da Ferdinando Fuga un primo cimitero chiamato “dei Tredici”. Successivamente, nel 1888 attiguo al primo fu costruito un altro cimitero chiamato “della Pietà”.

63 il tessuto produttivo del quartiere fu caratterizzato dalla contemporanea presenza di grandi e piccole imprese.

Il governo borbonico, consapevole dell’importanza di creare nuovi posti di lavoro in una città afflitta dalla disoccupazione, sostenne lo sviluppo industriale della zona attraverso la concessione di incentivi alle imprese e l’attuazione di una politica protezionistica. Tra le iniziative di maggiore rilevanza si devono registrare quelle a favore del settore del cuoio e delle pelli79. In particolare, con il trasferimento dei conciatori nella periferia orientale della città la vocazione produttiva del quartiere fu profondamente influenzata.

Con l’avvento dell’Unità d’Italia e la fine del protezionismo molte imprese presenti nella zona entrarono in crisi80; così nel 1902 il governo italiano, sotto la pressione degli operatori politici ed economici napoletani, istituì la Reale Commissione per l’incremento industriale di Napoli. Tale organismo, oltre a redigere un rapporto sulla consistenza dell’industria nell’area, analizzò i processi di sviluppo degli insediamenti residenziali. Con riferimento alle attività produttive, dal rapporto emerse che nel 1903 l’industria manifatturiera partenopea era costituita da 216 unità situate, prevalentemente, nei quartieri di Poggioreale e della Zona Industriale.

Questa concentrazione industriale, favorendo la formazione di un vero e proprio quartiere operaio periferico, richiese urgenti interventi di tipo igienico-sanitario e di riassetto urbanistico81.

Nel periodo tra le due guerre, ci fu l’insediamento di nuove imprese, soprattutto, nel comparto siderurgico e meccanico e, dopo il secondo conflitto mondiale, con il Piano

Regolatore del ’46, si incoraggiò la ricostruzione degli stabilimenti danneggiati o distrutti. In realtà, con tale piano si agevolò la formazione di una zona industriale ad est di Via Traccia a

Poggioreale: si trattava di stabilimenti di grandi dimensioni che già negli anni settanta iniziarono ad andare in crisi.

79 Fu dato ai produttori delle pelli il permesso di usare l’arenile all’altezza del Ponte della Maddalena, perché si attingesse liberamente l'acqua marina e si adoperasse la spiaggia per asciugare le pelli.

80 Per migliorare le sorti dell’industria conciaria, nel 1885, il Ministero dell’Agricoltura dell’Industria e del Commercio istituì a via Nuova Poggioreale la “Stazione Sperimentale per la concia del cuoio e delle pelli.

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Nel 1963, il comune di Napoli pianificò la costruzione, in un’area del quartiere82 confinante con la stazione ferroviaria, del Nuovo Centro Direzionale, per la cui progettazione fu chiamato il famoso architetto giapponese Kenzo Tange.

Tale proposta fu inserita nel piano regolatore del 1972 e l’area oggetto dell’intervento, dal punto di vista dell’edificazione, fu suddivisa in due blocchi: uno di proprietà della Medidil

(Società Edilizia Mediterranea) e l’altro di pertinenza del comune di Napoli.

Nel corso degli anni, la Società Edilizia Mediterranea ha, sostanzialmente, completato tutte le opere di sua competenza. L’attuale cubatura del centro è risultata, però, essere superiore a quanto stabilito nei piani di intervento e tutto ciò, ha prodotto una situazione nella quale gli edifici esistenti non sono sufficientemente supportati dalle aree di servizio e dagli spazi verdi originariamente previsti. La conseguenza evidente è che il Centro Direzionale risulta essere un corpo estraneo e avulso dal contesto in cui è inserito.

Tuttavia, il Comune non ha ancora edificato pressoché nulla di quanto previsto; per tale motivo si è pensato di apportare delle modifiche ai piani edilizi di completamento riducendo la cubatura delle nuove edificazioni al fine di rendere l’area più funzionale, fruibile ed integrata83 con la città.

Attualmente, la circoscrizione Poggioreale-Zona Industriale si presenta con mille contraddizioni e dicotomie: i modernissimi e nuovissimi grattacieli del Centro Direzionale e i vecchi e fatiscenti palazzi di Sant’Erasmo, via Stadera, la Doganella, via Reggia di Portici; le grandi imprese dell’area industriale84 e le piccole attività artigianali di via Nuova Poggioreale; i primi accenni di rinascita industriale e le vaste aree dismesse.

81 A tal riguardo, sempre nel 1903, con la legge 254 nota anche come legge “Luzzatti” si posero all’attenzione del governo le gravi condizioni in cui viveva gran parte della popolazione partenopea: molte famiglie abitavano in sotterranei senza luce e senza alcun principio di igiene.

82 In un’area precedentemente occupata da due industrie, l’Aerfer e la Rueping, trasferitesi fuori dell’area urbana. 83 L’area su cui dovrà essere ultimato il Centro Direzionale è fondamentalmente quella del mercato ortofrutticolo. 84 Tra i principali insediamenti industriali emergono: la Fiat Auto S.p.a., Industrie dei Cantieri Meridionali, Manifattura Tabacchi e Portolano.

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Da una prima analisi territoriale è facile rendersi conto che nel quartiere non c’è stata un’urbanizzazione omogenea: l’area a nord dei binari ferroviari, paralleli per un lungo tratto a via Nuova Poggioreale, è densamente abitata e si caratterizza per la presenza di piccole attività artigianali; la zona a sud di via Nuova Poggioreale, invece, con eccezione del rione

Luzzatti e del quartiere di Sant’Erasmo, è caratterizzata dalla presenza di ampi ed isolati spazi, dove sorgevano grandi stabilimenti industriali oggi, per lo più, dismessi.

La situazione della circoscrizione, nel complesso, non è delle migliori, così come evidenziato dai cittadini della zona che parlano di un quartiere “in agonia”. Nonostante tutto, qualcosa si sta muovendo:

• nei “grattacieli di vetro napoletani” del Centro Direzionale, si è insediata l’Authority per

le Telecomunicazioni; inoltre, con l’apertura della fermata della nel

cuore del Centro, è possibile raggiungere direttamente quest’ultimo dall’hinterland;

• il 1 giugno ‘99 è stata riaperta un’azienda storica napoletana: la Nuova Mecfond;

• nel mese di luglio ‘99 è stata finalmente aperta, dopo un decennio, la strada statale 216

che collega Poggioreale con i Comuni vesuviani.

Analisi sul campo: censimento aziendale

Gli elenchi Infocamere hanno rappresentato la base di partenza per l’individuazione delle imprese presenti nella circoscrizione il cui totale è di 527 unità85; le aziende concentrate nelle vie selezionate86 sono 386, ossia, il 73% dell’universo industriale; di queste ultime, 129 risultano realmente operanti87.

85 Dati Infocamere aggiornati al 31/03/1999. 86 Cfr. par. 1b 87 Per la metodologia utilizzata si rimanda alla prima parte del presente volume paragrafo 1b pag. 5.

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Tab. 29 Elenco strade monitorate a Poggioreale

Aziende Aziende presenti negli Infocamere Altre aziende Strade elenchi effettivamente individuate Infocamere riscontrate CENTRO DIREZIONALE 137 28 0 VIA NUOVA POGGIOREALE 47 18 4 VIA EMANUELE GIANTURCO 34 13 8 VIA STADERA 27 8 6 VIA GALILEO FERRARIS 25 5 1 VIA TRACCIA A POGGIOREALE 21 9 0 VIA S. MARIA DEL PIANTO 19 13 3 VIE BENEDETTO BRIN 15 6 0 VIA SAN GIOVANNI DE MATHA 14 7 0 CORSO ARNALDO LUCCI 11 4 2 VIA DE ROBERTO 2 0 0 VIA REGGIA DI PORTICI 5 4 0 VIA PARRILLO 4 1 0 VIA VESUVIO 2 0 0 VIA ZARA 4 2 0 VIA TADDEO DA SESSA 3 2 0 VIA MARINO 5 5 0 VIA MIRAGLIA 2 1 1 VIA S. BRUN 4 2 0 VIA S. LUCIA FILIPPINI 5 1 0 Totale aziende 386 129 25 Totale aziende Infocamere quartiere 527 Poggioreale – Zona Industriale Aziende da censire/totale aziende 73% Infocamere

Già in questa prima fase le difficoltà non si sono fatte attendere: dalla diffidenza degli abitanti si è, perfino, passati alle minacce verbali in Via Galileo Ferraris. Tutto ciò, però, non ci ha intimorito, difatti, le ricerche sono proseguite senza sosta e così alla fine è stato possibile non solo verificare il dato Infocamere, ma anche individuare altre 25 unità produttive che non comparivano in tale lista.

Dalla ricerca è emerso che la rispondenza dei dati dei suddetti elenchi con la realtà produttiva effettivamente presente nelle venti strade considerate, è pari al 33%88. Se si

88 In base all’analisi sul campo si è riscontrata la presenza di 129 imprese su 386 “ufficiali”.

67 escludono le imprese concentrate nel Centro Direzionale, tale percentuale sale al 40%. Questa differenza deriva dal fatto che quasi il 70% delle imprese censite ha, nel Centro, esclusivamente la propria sede legale.

La sola analisi dei dati quantitativi, però, non è sufficiente per comprendere una realtà complessa come

Poggioreale; nel corso dell’indagine oltre a determinare il numero delle imprese presenti nella circoscrizione, si è tentato di individuare anche le tipologie e le caratteristiche qualitative delle imprese censite.

Dalle numerose informazioni raccolte è emerso che la maggioranza delle imprese contattate lavora nel settore della “produzione di metallo e fabbricazione di parti in metallo”. Tali attività risultano essere omogeneamente diffuse sul territorio a differenza di quelle che lavorano nel comparto tessile e del legno prevalentemente concentrate in via Nuova Poggioreale e nelle sue numerose traverse. Tabella n. 30 Settori prevalenti a Poggioreale

DESCRIZIONE ATTIVITA’ N. IMPRESE 33 Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 19 Industrie tessili e dell’abbigliamento Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed 16 ottiche 16 Industria del legno e dei prodotti in legno 14 Fabbricazione della carta e dei prodotti di carta; stampa ed editoria

Analisi sul campo: interviste agli imprenditori

Le caratteristiche del tessuto produttivo del quartiere sono state analizzate in modo specifico con una serie di interviste ad “attori privilegiati”, quali: imprenditori, lavoratori, grossisti, funzionari della circoscrizione, dettaglianti, ecc.

La storia dell’imprenditore ha rappresentato il punto di partenza. A tal riguardo, è emerso che il 90% degli intervistati ha avviato la propria attività da circa venti anni e che la quasi totalità di queste sono nate per gemmazione. Solo in tre casi la “bottega” è stata ereditata da una precedente attività familiare.

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Anagraficamente, il 90% degli interlocutori rientra in una fascia di età superiore ai 40 anni ed il livello di istruzione, spesso, non supera la scuola dell’obbligo.

Tuttavia, la nuova generazione di imprenditori ha, generalmente, un titolo di studio più elevato ed è in tali ipotesi che si riscontra una maggiore dinamicità gestionale.

Per quanto riguarda la dimensione occupazionale, il numero dei lavoratori oscilla da un minimo di 1 ad un massimo di 15.

Nella quasi totalità delle imprese contattate, i titolari riescono ad avvalersi della flessibilità del fattore lavoro poiché, si tratta per lo più, di realtà produttive di tipo familiare, dove non c’è un’elevata rigidità negli orari e nei giorni lavorativi89. Inoltre, in questo tipo di aziende i collaboratori esterni sono perfettamente integrati come in una sorta di “comunità”, nella quale, tutti hanno lo stesso interesse: la sopravvivenza dell’impresa. A tal proposito, sembrano significative le parole di un imprenditore “…. Mi fido dei miei collaboratori, siamo come una famiglia.”.

Riguardo l’organizzazione interna del lavoro, mentre nelle imprese più piccole una sfumata distinzione dei ruoli dà vita ad una maggiore sostituibilità, nelle realtà produttive più grandi, l’organigramma si presenta meno piatto e si individuano figure come quella del capo-operaio il cui compito principale è quello di controllare che ciascuno svolga in modo efficiente e rapido il proprio lavoro.

Le assunzioni di nuovi lavoratori avvengono per conoscenza e quasi mai vengono sottoscritti contratti di formazione “..per me non è giusto e, soprattutto, conveniente dare un milione ad un ragazzo al quale già insegno il mestiere; pensi che ai miei tempi dovevi pagare tu il tuo “masto”!”.

Nel corso delle interviste, gli imprenditori non hanno ammesso, chiaramente, di avere lavoratori non “in regola”; a tal proposito l’unico riferimento esplicito è stato relativo ad

“amici” pronti ad aiutarli nei periodi di maggior lavoro.

89 La giornata lavorativa si allunga spesso alle dieci ore e in caso di consegne urgenti si lavora anche il sabato e la domenica.

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La maggior parte delle imprese contattate lavora su commessa ed il rapporto diretto che si stabilisce con il cliente esclude, quasi sempre, che il prodotto venga identificato con un marchio proprio90.

Quasi tutti gli imprenditori intervistati hanno parlato di concorrenza sleale da parte delle imprese che operando totalmente a nero e che possono facilmente nascondersi al fisco ed alla <>.

Dalle informazioni raccolte, è emerso che ci sono molte imprese sommerse, soprattutto nel settore della lavorazione del ferro e del legno; del resto basta fare un giro per le ampie strade a ridosso dei binari ferroviari per rendersi conto che dietro capannoni apparentemente abbandonati, c’è qualche fermento di vita produttiva.

Per quanto concerne i rapporti con le banche, dalle interviste è emerso che nella quasi totalità dei casi l’unica fonte di finanziamento praticabile resta l’autofinanziamento”, infatti, per gli imprenditori<>.

I rapporti con la pubblica amministrazione sono dominati dalla totale indifferenza:<>.

Anche i rapporti di collaborazione con le altre imprese sono limitati, solo un imprenditore ha detto che <<…c’è un buon rapporto con gli altri produttori del settore

(abbigliamento) che lavorano nella zona; periodicamente ci incontriamo per parlare dei problemi delle difficoltà del comparto; acquistiamo le materie prime dallo stesso fornitore, riuscendo così a spuntare un prezzo più basso; partecipiamo insieme alle fiere; ci dividiamo le commesse in caso di difficoltà; inoltre, se uno di noi ha una momentanea difficoltà può

90 Solo in due casi gli imprenditori utilizzavano un proprio marchio.

70 chiedere un prestito ad uno degli amici; ci accordiamo sugli stipendi. L’unica cosa richiesta ai membri di questa specie di associazione è la lealtà. Chi si comporta in modo sleale, tradendo la fiducia degli altri, viene “isolato” ed “allontanato” dal gruppo >>. E’ risultata evidente una maggiore collaborazione tra imprenditori legati da rapporti familiari ma, non mancano, seppure in via embrionale, casi sporadici di collaborazione tra soggetti economici estranei.

Il rapporto con il territorio è, invece, caratterizzato da una sorta di “amore/odio”. La maggioranza degli imprenditori dichiara di voler andare via, ma dai loro discorsi emerge la

“speranza” che le cose possano cambiare:<>.

Ancora, per le imprese il problema più grave non risulta essere la criminalità organizzata quanto la micro criminalità che, rappresenta un vero e proprio elemento destabilizzante per svolgere serenamente l’attività produttiva. << Altro che camorristi! Il nostro vero problema sono i drogati e gli zingari, che vengono ogni giorno a chiederti qualcosa e tu non puoi dire di no poiché si tratta di persone che non hanno nulla da perdere.

Non paliamo poi dei ladruncoli che pullulano in questa zona>>.

Può essere utile, a questo punto, sintetizzare in una tabella alcune interessanti informazioni tratte dalle interviste più significative.

Le attività prese in considerazione risultano appartenere a differenti settori. Tale scelta è stata dettata dalla volontà di mostrare una panoramica più ampia delle tipologie produttive presenti nell’area in modo da poter valutare, in maniera trasversale, le principali problematiche emerse.

In relazione alla manodopera è stato preso in considerazione il totale complessivo dei dipendenti così come desunto dalle dichiarazioni degli intervistati. Tale valore tiene conto sia

71 dei lavoratori in regola che di quelli a nero. La manodopera è, nella quasi totalità dei casi, residente nella stessa zona orientale.

Il mercato di sbocco è fondamentalmente locale. Non mancano, però, situazioni di eccellenza in cui imprese sono riuscite a conquistare stabili posizioni di nicchia nei mercati regionali e nazionali e in rari casi sono riuscite a penetrare persino nel mercato internazionale.

Infine, si è voluto dare ampio spazio all’analisi delle criticità relative alla gestione aziendale. Con questo concetto si è cercato di sintetizzare le principali e più ricorrenti problematiche che quotidianamente ostacolano gli imprenditori del quartiere.

A puro titolo esemplificativo si veda la tabella n. 31.

Tab. 31 Elenco interviste in profondità realizzate a Poggioreale Criticità * Manodopera Mercato di Attività svolta Insolvenza/ Pubblica sbocco Concorrenza Criminalità Sleale Sofferenza Ammin. locale numero

Produzione divani 4 SI Locale 5 4 4 4 Produzione 1 SI Locale 5 5 5 3 cucine Lame per seghe 1 SI Locale 5 5 5 4 Prod. Infissi e 6 SI Locale 2 3 3 3 armadi di legno Prod. Infissi e letti in ferro 7 Si Locale 2 3 3 3 battuto Prod. Cucine 2 SI Locale 4 3 4 3 Rivestimenti in 6 SI Nazionale 3 3 3 4 marmo Bauli di legno 6 SI Locale 4 4 3 3 Cucine 1 SI Locale 5 5 4 4 Cinture e cinturini 15 Si Internaz. 3 3 4 4 per orologi Basi per 10 Si Locale 4 4 5 4 bomboniere Infissi, lame per 6 Si Locale 4 5 3 4 seghe ed altro * Livello di criticità: 0 (nessun problema), 5 (grave problema)

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3b Ponticelli di Paolo Di Virgilio

Storia Ponticelli è la più ampia circoscrizione dell’area orientale con i suoi 9,11 Kmq di estensione. Rappresenta l’estrema periferia orientale della città e confina con molti dei

Comuni vesuviani della provincia di Napoli.

L’acqua, che da sempre ha caratterizzato la sua storia antica, nei secoli ha lasciato spazio ad un’attività agricola fiorente e vitale per l’approvvigionamento alimentare della città di Napoli. Il comune di Ponticelli, protagonista anche della Rivoluzione Napoletana del 1799, ha perso la sua autonomia amministrativa nel 1926, quando è stato annesso, per effetto della politica autarchica fascista, a Napoli.

La connotazione marcatamente e storicamente agricola dei luoghi si è protratta, quasi immutata, fino agli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra. Ponticelli era una delle zone meno urbanizzate dell’intera città e presentava ampi spazi, molto invitanti, per la costruzione di nuovi rioni di edilizia popolare necessari per ospitare gli “immigrati” provenienti dalle aree più devastate dalla guerra e per assorbire il crescente incremento di popolazione che la città stava subendo. Già come conseguenza del Piano Marshall fu prevista la costruzione di alcuni rioni popolari a ridosso del centro storico del quartiere (1950). Il boom residenziale, però, si ebbe con le leggi di edilizia popolare 167/62 e con la 219/81, relativa alla ricostruzione post – terremoto. La popolazione del quartiere, per effetto di questo incremento del patrimonio abitativo, è quintuplicata, portandosi agli attuali 70.000 abitanti circa. Tutto questo, però, ha provocato numerose conseguenze. Si è andata perdendo lentamente ma inesorabilmente l’antica e tradizionale identità e vocazione del quartiere.

Ampie zone agricole sono state espropriate ed hanno ceduto il passo ad immensi casermoni di cartone pressato, o sono state aggredite da una edilizia selvaggia ed abusiva che si è giovata di un Piano Regolatore come quello del 1972, ancora in vigore, lacunoso, incompleto e privo

73 degli strumenti attuativi. Queste vicende hanno trasformato e congestionato non poco l’intero quartiere. La tradizione contadina, da sempre elemento dominante dell’area, è quasi del tutto scomparsa ed ha lasciato spazio, a partire dagli anni ’60, ad una profonda e radicata cultura operaia. Il quartiere, soprattutto nel periodo 1950-1980, era divenuto un dormitorio ed un

“serbatoio umano” per le fabbriche della zona industriale poco distante. La fine delle grandi fabbriche dell’area orientale a causa della crisi industriale degli anni ’80 ha trasformato un esercito di operai in un esercito di cassaintegrati. A questo profondo cambiamento sociale è seguito, poi, un nuovo e massiccio innesto di popolazione. La legge 219/81, con la costruzione di oltre 4000 nuovi alloggi, ha ancora di più stravolto l’identità del quartiere ed ha prodotto un caos sociale nel quale proliferano criminalità ed emarginazione.

In questo quadro si inserisce oggi il quartiere che mantiene viva la volontà e la voglia di rinascere. Oggi, la massiccia presenza di residenze, talvolta intervallate da strisce di campagna e da serre, rappresenta il panorama della zona. Non ci sono grandi realtà produttive a Ponticelli, e non ci sono mai state. Si può notare, però, in alcune aree ben definite, un rifiorire di piccole attività manifatturiere che, concentrate soprattutto in alcuni settori specifici, cercano di dare un impulso produttivo ad un’area ancora in forte trasformazione.

Analisi sul campo: censimento delle imprese

Il totale delle aziende manifatturiere presenti sul territorio di Ponticelli è pari a 234 unità, così come ricavato dagli elenchi Infocamere. Nelle 20 strade91 oggetto del censimento aziendale sono presenti, in base ai dati in nostro possesso, 190 aziende; di queste ne sono state individuate, con l’analisi di campo, 76, pari al 40% del totale. L’indagine ha permesso, inoltre, di individuare ulteriori 19 imprese non presenti nei suddetti elenchi.

91 Cfr. paragrafo 1b

74

Tabella n. 32 Elenco strade monitorate a Ponticelli

Aziende presenti Aziende Altre aziende Strade negli elenchi Infocamere individuate Infocamere realmente operanti CORSO PONTICELLI 7 3 0 VIA ANGELO CAMILLO DE MEIS 17 10 1 VIA ARGINE 22 6 1 VIA BARTOLO LONGO 29 12 3 VIA BOTTEGHELLE DI PORTICI 37 15 6 VIA DELLE PUGLIE 12 4 2 VIA MADONNELLE 16 10 0 VIA PRINCIPE DI NAPOLI 10 3 1 VIA PROVINCIALE DELLE BRECCE 13 7 5 VIA ULISSE PROTA GIURLEO 8 3 0 VIA COMUNALE TIERZO 2 1 0 VIA CUPA MOLISSO 2 0 0 VIA GALEONCELLO 2 0 0 VIA LEONE AMBROGIO 0 0 0 VIA LUIGI CRISCONIO 1 0 0 VIA NAPOLI A PONTICELLI 3 0 0 VIA S. MICHELE 1 0 0 VIA VICINALE MARANDA 2 1 0 VIA VISCARDI 0 0 0 VIALE MARGHERITA 6 1 0 Totale aziende 190 76 19 Totale aziende Infocamere quartiere 234 Ponticelli Aziende da censire/totale aziende 81% Infocamere

L’indagine sul campo è consistita in una ricerca cancello per cancello e civico per civico delle attività produttive realmente presenti ed attive nelle venti strade prese in considerazione; in questo modo è stato possibile non solo verificare il dato Infocamere ma anche censire tutte quelle realtà produttive operanti nell’area che in tali documenti ufficiali non compaiono.

La ricerca non è stata facile; ci si è dovuti scontrare con l’omertà delle persone e con la volontà di nascondersi dietro alti ed impenetrabili muri o cancelli. Anche la mancanza di numeri civici ha complicato notevolmente lo screening. Nonostante queste difficoltà, però, attraverso alcuni stratagemmi92, si è, riusciti comunque, quasi sempre ad ottenere le informazioni utili all’indagine.

L’analisi fin qui descritta ha preso in considerazione esclusivamente il dato quantitativo che, sebbene importante, risulta essere poco significativo se non affiancato dal riscontro qualitativo. L’indagine di campo ha permesso non solo di individuare il numero delle imprese esistenti ma, anche, di distinguere la tipologia e le

75 caratteristiche delle attività produttive osservate e censite. Questo ha consentito di fornire un quadro completo del tessuto produttivo del quartiere per poter delineare con chiarezza la vocazione manifatturiera dell’area oggetto di indagine, con tutte le fondamentali informazioni che ne susseguono: individuazione di ispessimenti produttivi, determinazione dell’ampiezza media delle aziende manifatturiere presenti nei vari comparti, osservazioni delle caratteristiche strutturali delle imprese censite.

La struttura produttiva di Ponticelli si presenta settorialmente piuttosto omogenea. Tale uniformità è dovuta al fatto che 1/3 delle attività manifatturiere del quartiere appartengono al settore della “produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo”. Tra tutti gli altri settori produttivi, in ordine di importanza, spiccano i comparti: alimentare, lavorazione minerali non metalliferi, legno, tessile.

Tab. n. 33 Settori prevalenti a Ponticelli DESCRIZIONE ATTIVITA’ N. IMPRESE

Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 31

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 13

Fabbricazione di prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi 7

Industria del legno e dei prodotti in legno 6

Industrie tessili e dell’abbigliamento 6

Il risultato di questa indagine necessita, però, di alcuni approfondimenti. Si è in presenza di un evidente ispessimento produttivo relativo alla lavorazione del metallo e la struttura produttiva del settore, nel suo complesso, presenta dei caratteri tipici che devono essere evidenziati. La geografia delle aziende operanti in questo settore denota una marcata dispersione territoriale. Ciò è, in parte, dovuto all’estensione significativa del quartiere, ma è accentuato anche dalla dimensione mediamente piccola delle attività. La lavorazione è prevalentemente artigianale e i siti nei quali l’attività è svolta sono per lo più inadeguati sia

92 Ci si è spacciati, ad esempio, per acquirenti di letti in ferro battuto o sono state chieste informazioni su quel falegname che ci aveva venduto un mobile.

76 dimensionalmente che strutturalmente. Tuttavia il tessuto produttivo in tale settore è vitale e presenta larghi margini di miglioramento, soprattutto dal lato qualitativo.

Territorialmente, le aree con maggiore concentrazione di imprese in questo settore sono:

• Area circostante Via Argine nel suo tratto finale appartenente alla circoscrizione di

Ponticelli. È, questa, un’area tradizionalmente produttiva che condivide questa sua

vocazione con il vicino e più “industriale” quartiere di Barra.

• Area di Via provinciale delle Brecce al confine con i quartieri di Barra e Poggioreale.

• Via Botteghelle di Portici.

• Via B. Longo e le sue traverse, nella zona di confine con Barra.

Gli altri settori prevalenti non rappresentano né un ispessimento produttivo, né una presenza significativa con riguardo alle loro caratteristiche. Le circa 13 attività del settore alimentare sono concentrate per la quasi totalità nel sub – comparto della panificazione e del laboratorio di pasticceria, dando, così, poco spessore produttivo al secondo ambito manifatturiero più diffuso. Gli altri settori prevalenti, la lavorazione dei minerali non metalliferi, il legno, il tessile, non raggiungono, ciascuno, neanche le 10 unità produttive e si possono definire, in tal senso, delle attività “casuali”, cioè non inserite in un contesto produttivo per loro omogeneo e diffuso.

La realtà economica di Ponticelli assume, dunque, da questa breve disamina, caratteri piuttosto chiari. Il quartiere è il più popoloso dell’intera area orientale e presenta la più accentuata vocazione residenziale. Solo poche propaggini occidentali della circoscrizione sono comprese nella Zona “N” del Piano Regolatore, ovvero la zona industriale, mentre la maggior parte dell’area è rappresentata dalle Zone “D”, relative, in particolar modo, alla nuova edilizia residenziale. Questo enorme carico di popolazione ha, dunque, contribuito in maniera decisiva a far concentrare nel quartiere una elevatissima quantità di attività commerciali di piccole e grandi dimensioni, a dispetto di un tessuto di piccole e medie

77 imprese diffuso e portatore di favorevoli conseguenze e prospettive lavorative per un quartiere con un alto tasso di disoccupazione.

Analisi sul campo: interviste agli imprenditori

All’interno del quartiere, con particolare riguardo alle zone più densamente produttive e ai settori più presenti, sono state effettuate delle interviste agli imprenditori, con lo scopo di indagare più a fondo la realtà produttiva e di sentire espresse dalla viva voce dei protagonisti le problematiche e i punti di forza che quotidianamente caratterizzano la loro attività, in molti casi di imprenditori di “frontiera”. Sulla base delle risposte registrate è possibile tracciare un quadro abbastanza preciso della situazione di mercato che investe, spesso senza distinzione di settore, l’intero quartiere.

Gli imprenditori sono, nella stragrande maggioranza, esperti del settore in cui operano, con decenni di esperienza alle spalle. Si possono individuare un uguale numero di casi di spin

– off, con imprenditori, spesso giovani, ex operai di attività simili o uguali, rispetto a imprenditori di seconda o terza generazione che hanno ereditato l’attività che ha, da sempre, caratterizzato la loro famiglia.

La dimensione occupazionale è, anch’essa, piuttosto omogenea: si va dai 3 ai 21 lavoratori, spesso in buona parte collaboratori familiari. Solo in un caso si è riscontrato, per un’attività stagionale di conserve alimentari, un picco di 250 operai nei periodi di punta. Il basso numero di dipendenti è legato, fondamentalmente, a due fattori: la ridotta dimensione di certe attività e la forte presenza tecnologica in altre.

Molteplici sono, però, i problemi legati al lavoro, in questo contesto territoriale. Quattro sono i momenti chiave: la ricerca di manodopera, l’entrata del neo – assunto in azienda, la formazione, la sua permanenza nell’impresa. In molti settori dove serve manodopera specializzata, tra cui quello della lavorazione del metallo, gli imprenditori incontrano estreme difficoltà nel reclutare operai specializzati, in particolar modo nel caso della figura del carpentiere o del saldatore. Pur essendo, l’attività legata al ferro, diffusa nella zona, manca

78 una preparazione adeguata o scuole professionali dove tale mestiere, nel quale è necessaria molta bravura e precisione, venga insegnato. In molti casi, infatti, gli imprenditori sono costretti a reclutare giovani inesperti per sopperire a questa mancanza. L’entrata del neo – operaio in azienda coincide con l’avvento del sommerso. Quasi mai vengono sottoscritti contratti di formazione o di apprendistato per garantirsi una maggiore flessibilità e per non pagare salari troppo elevati per la media aziendale, mentre è d’uso il cosiddetto “periodo di prova” la cui durata può variare da poche settimane a 5-6 mesi. In questo tempo viene valutata la bravura, la predisposizione e la voglia di lavorare dell’operaio. Proprio quest’ultimo aspetto, la buona volontà, è spesso merce rara in un settore, quello del ferro, che richiede fatica e che nella maggior parte dei casi dà bassi salari. Nella fase di prova si porta avanti un processo di formazione che viene svolto, nella quasi totalità dei casi, con il lavoro in coppia, ovvero con l’affiancamento di un operaio più anziano ed esperto col nuovo lavoratore.

Terminata la prova con responso positivo, il “ragazzo” viene finalmente assunto, o meglio viene “preso”. La realtà diffusa, da questo punto di vista, è un grigio molto marcato. Deve passare del tempo, anche degli anni, prima che l’operaio venga “messo a posto”, perché in un settore come quello del ferro la regola primaria è abbattere i costi e tenere bassi i prezzi. La manodopera è quasi del tutto locale e questo è un altro fattore di rilievo caratterizzante le attività produttive dell’area. Il ricorso al lavoratore “saltuario”, che entra in officina solo nei periodi di picco produttivo, è un’altra realtà piuttosto diffusa, anch’essa favorita da una situazione di limbo del mercato del lavoro.

La situazione appena descritta, tuttavia, appartiene alla parte “emersa” del settore.

Accanto agli imprenditori “di professione” c’è tutta una schiera di “improvvisati” che formano un sottobosco nero inestricabile e diffuso. Alla domanda: “Com’è la concorrenza?”,

6 imprenditori ponticellesi su 7 hanno risposto con la stessa parola: “Spietata!”. Non difficile, agguerrita o soffocante, ma spietata e sleale. Questo è percepito come il primo e più importante problema dell’imprenditore a Ponticelli, che attraversa con la stessa intensità tutti i

79 settori e che trova la sua causa negli “scantinati” dei palazzi. Improvvisazione e mancanza di scrupoli caratterizzano una concorrenza “nera che più nera non si può”, che buca il mercato abbattendo i prezzi al di sotto di limiti che, anche in situazioni di grigio, non possono essere sostenuti. Si genera, così, un fenomeno di nati – mortalità aziendale molto marcato ma piuttosto nascosto. Nasce un’azienda con 1-2 operai, rigorosamente a nero, che acquista i macchinari da un’altra azienda da poco fallita. Si installa in uno scantinato o in un garage, va ad acquistare, preferibilmente a Poggioreale, il metallo semilavorato, fa qualche taglio, mette pochi punti di saldatura e vende bell’e fatta una porta blindata al di sotto del costo di produzione affrontato da un’azienda che ha 2 operai a posto e due a nero, lavora in un capannone rispettando alla meno peggio le leggi sulla sicurezza del lavoro e sull’igiene. Tutto questo determina un fenomeno di piccoli fallimenti a catena dai quali, come l’Araba Fenice risorge dalle proprie ceneri, nascono altre piccole attività produttive, intraprese, spesso, da alcuni di quelli che nel passaggio precedente erano operai.

Sono piuttosto scarsi, ma non rari, i casi di cooperazione inter – aziendale. Spesso si tenta di sopperire in questo modo a ordini quantitativamente elevati o a tempi stringenti a cui la capacità produttiva dell’azienda non riesce a fare fronte. Frequente è anche la voglia di consorziarsi, ma nella totalità dei casi prevale il sospetto e l’individualismo.

La clientela rappresenta, molto spesso, l’altro grande problema per gli imprenditori locali. Tutto ciò può sembrare paradossale, visto che il mercato è la linfa vitale per l’azienda, ma considerata la frequenza con la quale questo problema è stato descritto, il paradosso si trasforma in nefasta realtà. Rispetto ai clienti due sono i principali problemi: la sofferenza e l’insolvenza. Il primo è un gravissimo elemento negativo, “motivo di freno e di abbattimento delle motivazioni”, con il quale gli imprenditori si scontrano quotidianamente. Nella gestione dei pagamenti e delle riscossioni si registra, normalmente, uno sfasamento dovuto alla diversità delle scadenze dei fornitori, 30-60 giorni, e dei clienti, 90-120 giorni. Tale situazione

80 produce, quindi, una scarsità di liquidità che in condizioni normali può essere attentamente gestita. Quando, però, il cliente posticipa il pagamento oltre i 120 giorni pattuiti arrivando a pagare anche dopo 180 giorni, la sofferenza che ne deriva soffoca inevitabilmente l’imprenditore che si trova a dover fronteggiare situazioni in cui sarebbe disposto a tutto, anche a vendere sottocosto, pur di far fronte all’illiquidità. Ancora più grave, ma meno diffuso, è il problema delle insolvenze. Gli intervistati sono arrivati a sventolarci in faccia decine di milioni di cambiali inesigibili, dove la speranza di recuperare qualcosa è quasi pari a zero. Da questo punto di vista gli imprenditori si sentono totalmente abbandonati dallo Stato che protegge ad oltranza i creditori insolventi. Tutto ciò frena la volontà di espansione di molti imprenditori che spesso hanno paura ad esporsi con i clienti per ordini di valore troppo elevato perché questo rappresenterebbe un rischio insostenibile in caso di mancato pagamento.

In situazioni di emergenza, quando serve liquidità, la banca diventa il muro contro cui scontrarsi. “Tanto i soldi li danno a chi li ha già!”, “Ma se avevo 100 milioni di garanzie che andavo a chiedere a fare questo prestito?”.

I rapporti con le associazioni di categoria sono pressoché inesistenti. Si vogliono evitare ulteriori costi o più in generale non si percepisce alcun vantaggio collegato all’iscrizione. Solo pochi imprenditori “illuminati” trovano importante l’opera di informazione e di consulenza fornita da queste associazioni.

La pubblica amministrazione non è, invece, percepita come un problema dalla maggior parte degli imprenditori e questo per diversi motivi. In certi casi si evita l’ostacolo, non entrando in contatto con gli uffici pubblici e disattendendo, così, alcuni obblighi di legge.

È una pratica diffusa tra le aziende dove il grigio va più nel nero. Molto più spesso, invece, l’ostacolo viene aggirato: “I meccanismi della pubblica amministrazione sono duri, ma se

81 vengono oliati a dovere…”. Solo in alcuni casi la critica è stata feroce: “Dopo due anni stamm ancora a caccià carte!”, “I miei rapporti con gli uffici pubblici sono una “schifezza”.

Pesano tutte le carte che chiedono.”

Il territorio è una variabile vista e vissuta in maniera contrastante. “Come potrei rinunciare a una bella giornata di sole!”, “Io sono del luogo, ho sempre vissuto e lavorato qui; perché devo andare via?”, “Sono a due passi dalla Tangenziale e dall’autostrada.”, “Ho qui tutti i clienti.”. Ma non c’è solo voglia di restare: “Si fa fatica a sopravvivere.”, “Non c’è futuro; troppa concorrenza sleale.”. Spesso l’esigenza di andare via è dettata dalla ricerca di spazi più ampi e questo appare come un controsenso rispetto alla enorme quantità di spazi dismessi che l'area orientale offre, anche se, “se sei piccolo non ti inserisci in certe situazioni…”.

Quasi mai la criminalità è un elemento che spinge alla fuga. La situazione in questo ambito è piuttosto chiara: esistono due livelli, uno dimensionale ed uno territoriale. La ferma intenzione della camorra è che l’impresa non muoia, si viene così a creare un tariffario preciso che tiene conto dell’ampiezza dell’azienda. L’impresa grande paga proporzionalmente alla sua dimensione, la piccola ha, invece, solo piccoli fastidi, il favore, la 10.000 lire chiesta dal

“ragazzo in carriera”. “Io sono una piccola impresa, se mi chiedono anche solo 500.000 lire al mese, io chiudo l’officina. E questo non conviene a nessuno.” Poi c’è la questione territoriale: l’imprenditore locale, nato e cresciuto qui cerca di gestire al meglio il problema. Si cercano tutte le strade e tutte le amicizie possibili per uno sconto o per il fastidio saltuario, e spesso, quando si è ben radicati nel luogo, si trovano.

Le realtà produttive intervistate presentano tutte un fatturato stabile o in crescita. Solo poche hanno riscontrato una leggera flessione negli ultimi tempi. Le prospettive di sviluppo

82 sono tutte aperte sia per quanto riguarda nuovi investimenti, sia per quanto concerne l’incremento del personale.

Può essere utile, a questo punto, sintetizzare in una tabella alcune interessanti informazioni tratte dalle interviste più significative.

Tab. 34 Elenco interviste in profondità realizzate a Ponticelli Criticità * Manodopera Mercato di Attività svolta Insolvenza Pub. sbocco Concorrenza Criminalità sleale Sofferenza Ammin. locale numero

Tappi a corona 12 SI Nazionale 1 4 4 3

Buste di plastica 6 NO Locale 5 4 2 3

Conserve Nazionale e 21 (250) SI 1 3 4 2 alimentari locale

Lavorazione del 8 SI Locale 5 5 3 2 ferro

Lavorazione vetri 7 SI Locale 4 5 2 2

Locale Carta stampata 6 SI 4 2 3 3 ()

Locale Tubi flessibili 3 SI 3 2 2 2 (Campania)

Tende da sole e 4 SI Locale 5 1 1 2 infissi

Lavorazione del 17 SI Locale 5 5 3 3 ferro

Impianti 10 NO Locale 3 5 3 3 industriali

Livello di criticità: 0 (nessun problema), 5 (grave problema)

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La realtà di Ponticelli appare, in considerazione di quanto analizzato, omogenea e strutturalmente ben definita. La vocazione residenziale è la caratteristica principale del quartiere anche se, accanto a questa non mancano, in alcuni ambiti ben definiti, presenze imprenditoriali di un certo rilievo. Nonostante la partita dello sviluppo industriale dell’area orientale non si giochi a Ponticelli, il quartiere rimane, comunque, un punto di riferimento per il suo carattere di “serbatoio umano” e per le infrastrutture che contiene.

3c BARRA di Paolo Di Virgilio

La circoscrizione di Barra, che presenta un’estensione di 7,82 Kmq, si colloca al centro della zona orientale e confina, per tutto il suo perimetro, con gli altri 3 quartieri dell’area est.

Le dinamiche evolutive della struttura economica della zona rispecchiano, pur con le dovute variazioni, quelle dell’area orientale nel suo complesso.

Barra fu una delle aree agricole più importanti dell’intera città di Napoli. I suoi numerosi corsi d’acqua, oggi non più esistenti in superficie, permettevano il funzionamento dei mulini e garantivano l’irrigazione ai campi coltivati. Il quartiere è, inoltre, ricordato anche come zona di caccia. L’inizio della bonifica delle paludi non interruppe, però, le molte epidemie coleriche e di peste che decimarono, a più riprese, la popolazione della zona. Solo nel XVIII secolo, con il quasi totale prosciugamento degli stagni ancora esistenti, il quartiere cominciò a divenire, soprattutto nelle sue propaggini più meridionali, un’area residenziale per la borghesia del Regno. Nel XIX secolo, nel pieno rispetto dei tempi che cambiavano, Barra, abbandonata la connotazione di Casale e divenuto Comune autonomo (1866), cominciò a mostrare i primi segni di rivoluzione industriale. Era poca cosa, all’epoca, ma già segnava il destino e la vocazione industriale dell’area. Sebbene non confinante direttamente col mare, il quartiere sviluppò, negli anni, un sempre più fitto tessuto di piccole e grandi aziende, andando così a strutturare la sua realtà imprenditoriale con una forte caratterizzazione dicotomica. La posizione era certamente favorevole: a Sud il mare, monopolio del quartiere San Giovanni a

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Teduccio, era poco distante; ad Est si poteva contare sul serbatoio umano garantito dal

“quartiere operaio” di Ponticelli; ad ovest erano molto vicini il centro cittadino, le ferrovie e gli svincoli stradali, che pure sul suo territorio non mancavano.

Si cominciarono, così, a sviluppare delle forti differenziazioni, sia per quanto riguardava la geografia economica del quartiere sia per le peculiarità delle sua struttura produttiva. Tale dicotomia si è accentuata nei decenni e caratterizza, ancora oggi, l’organizzazione spaziale della circoscrizione. A Nord di Via L. Volpicella, che rappresenta la linea di confine immaginaria, si estende la zona industriale vera e propria. Non ci sono abitazioni, se non poche case sparse, spesso segno inconfondibile di quell’abusivismo edilizio che ha, in molti punti, martirizzato il territorio. Il panorama è interamente occupato da capannoni grandi e piccoli e dai depositi di carburante della ex raffineria della Q8 e delle altre società petrolifere, che costituiscono un enorme rischio sia per la popolazione sia per gli insediamenti produttivi.

Lo sviluppo industriale di questa zona, cominciato nei primi decenni dell’800 con l’insediamento di importanti stabilimenti per la lavorazione della seta, ebbe un impulso decisivo all’inizio del XX secolo. Nel 1937 si insediò, in una vastissima area di oltre 500.000 mq, la Socony Vacuum, poi Mobil Oil Italiana. La grande multinazionale americana costruì, a pochi passi dal centro cittadino, una tra le più grandi raffinerie di petrolio create fuori dagli

USA. I serbatoi di carburante, cilindri di ferro grandi e piccoli, occuparono, così, con il loro grigiore il panorama della zona. Nel 1938 fu la volta della OCREN, attualmente Ansaldo

Trasporti, che con i suoi grandi capannoni e le sue produzioni meccaniche d’avanguardia e di fama mondiale, ancora oggi rappresenta un vanto industriale per l’area. Poco distante da quest’ultima industria, nel 1956, sorse la Ignis Sud, oggi Whirpool, che divenne, ben presto, uno dei più importanti stabilimenti per la produzione di lavatrici ed altri elettrodomestici di tutto il Mezzogiorno. Accanto a questi colossi, oggi ultimi superstiti di un’epoca di ciminiere fumanti, altre industrie sono sorte sul territorio barrese: gli stabilimenti tessili della Cisa

Viscosa, poi Snia Viscosa, oggi non più esistente, Colella Legnami e Rosa Rosa Legno Sud, due grandi stabilimenti per la lavorazione del legno, la ICMI, azienda di rilevanza nazionale

85 che si occupa della lavorazione della banda stagnata. La grande industria era, ed in parte lo è tuttora, l’elemento dominante di vaste aree: Via Argine, Via Nuova delle Brecce, Via delle

Industrie, Via L. Volpicella, Via F. Imparato. Accanto ai giganti, però, tante piccole realtà si sviluppavano. Sia l’indotto delle grandi industrie93, che l’atmosfera che si respirava, hanno certamente contribuito a creare un florido tessuto di piccole e medie aziende ancora oggi vitale.

L’area a sud di Via L. Volpicella, invece, rappresenta il nucleo storico di Barra. È la zona più urbanizzata che si sviluppa attorno alle strade del centro storico: Corso Sirena, Corso B. Buozzi, Corso IV Novembe, Via G.

B. Vela. Accanto ad aree occupate da case storiche e ville ottocentesche si affiancano agglomerati abitativi di nuova edificazione, eredità del terremoto del 1980 e delle successive leggi “della ricostruzione”. Molte aree storiche hanno perso la loro identità e forti “contaminazioni” sociali si sono manifestate in modo rilevante. Tutto ciò ha scaricato il suo forte carico di negatività su un quartiere che, Comune autonomo fino al 1926, cerca ancora, con fatica, di mantenere intatta la propria tradizione operaia. Anche se, per quest’area, la connotazione residenziale appare prevalente, non mancano, nell’intrico di vie e viuzze, piccole e diffuse attività produttive, nascoste nei cortili o nelle abitazioni, che animano, con i loro rumori e colori, le strade del centro storico.

Barra si presenta, quindi, un po’ come la metafora del mondo economico. Un nord industriale e poco popolato; un sud fatto di povertà e tradizioni, di piccole attività e di popolazione numerosa. Il tutto condito da errori urbanistici ed interventi disordinati che hanno minato, in certi casi gravemente, la forza, l’identità e la voglia di rinascere di un quartiere simbolo della realtà industriale napoletana.

Analisi sul campo: censimento delle imprese

Le venti strade, nelle quali si è effettuato il censimento aziendale, abbracciano, geograficamente, tutto il quartiere. In tali vie è concentrato più del 67% del totale delle aziende manifatturiere che, in base ai dati

Infocamere in nostro possesso, sono presenti sul territorio di Barra.

Su 197 imprese da censire, presenti negli elenchi e relative alle venti vie considerate, ne sono state individuate 90, esistenti ed operanti nell’area oggetto di studio. In aggiunta a

93 Barra ha rappresentato, per molti anni, un importante polo petrolchimico con le raffinerie Q8, la Esso, l’AGIP, l’IP, le aziende che si occupavano del trattamento dei gas liquidi. Anche la Whirpool e l’Ansaldo hanno, negli anni, consolidato un indotto di un certo rilievo.

86 queste, sono state individuate ulteriori 33 aziende manifatturiere non presenti nelle liste sopra menzionate. Il dato così rilevato appare, dunque, confortante: il 46% delle aziende censite è effettivamente produttivo e a queste bisogna aggiungere un 17% di altre aziende.

Tab. 35 Elenco strade monitorate a Barra

Aziende Aziende presenti negli Infocamere Altre aziende Strade elenchi realmente individuate Infocamere operanti CORSO BRUNO BUOZZI 15 10 0 CORSO IV NOVEMBRE 10 5 3 CORSO SIRENA 17 6 3 VIA ARGINE 14 4 0 VIA BARTOLO LONGO 19 10 4 VIE DELLE REPUBBLICHE 22 13 4 MARINARE VIA FERRANTE IMPARATO 12 10 1 VIA GIAN BATTISTA VELA 11 4 2 VIA LUIGI VOLPICELLA 32 11 9 VIA VILLA BISIGNANO 18 6 3 STRADA COMUNALE MARCHESE 0 0 0 ROTA VIA AVIGLIONE 1 0 0 VIA EGIDIO VELOTTI 6 4 0 VIA ENRICO FORZATI 3 1 0 VIA F. GIORDANO 1 0 0 VIA FIGURELLE 6 4 2 VIA MERCALLI 0 0 0 VIA PINI DI SOLIMENE 1 1 0 VIA SERINO 1 0 0 VIA STEFANO BARBATO 8 1 2 Totale aziende 197 90 33 Totale aziende Infocamere quartiere 292 Barra Aziende da censire/totale aziende 67% Infocamere

A completamento dell’analisi bisogna, inoltre, considerare che poche aziende di grandissime dimensioni occupano più di un quarto dell’intera superficie della circoscrizione94.

94 Q8, Esso, AGIP, IP, ICMI, Ansaldo, Colella Legnami, più qualche altra azienda, occupano una superficie totale di quasi 2.000.000 mq.

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L’aspetto qualitativo dell’indagine, tendente ad individuare la tipologia produttiva delle aziende, ha fornito, inoltre, alcuni dati di sicuro interesse. La struttura produttiva del quartiere, tenendo conto dei cinque settori prevalenti, è risultata essere così composta:

Tab. 36 Settori prevalenti a Barra

DESCRIZIONE ATTIVITA’ N. IMPRESE

Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 31

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 17

Industria del legno e dei prodotti in legno 15

Fabbricaz. di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche 12 Fabbricaz. di macchine e apparecchi meccanici, compresi l’installazione, 9 il montaggio, la riparazione e la manutenz.

Il dato numerico si riferisce unicamente alle attività effettivamente censite nel corso dell’analisi sul campo e dunque risulta essere più basso del dato reale.

Il settore largamente prevalente è quello della lavorazione del metallo seguito, a distanza, dal settore alimentare, del legno, della fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchi meccanici. Come si può agevolmente notare, la caratterizzazione tipologica del tessuto produttivo barrese è chiara: il settore metalmeccanico, nella sua accezione più ampia,

è largamente dominante ed è erede diretto di quella tradizione di grande industria che il quartiere ha sempre coltivato. All’interno del settore allargato, accanto alla meccanica e agli apparecchi di precisione, spicca con evidenza la lavorazione dei metalli.

Tale settore, di grande tradizione e diffusione in tutta l’area orientale, rispecchia in pieno la dicotomica struttura produttiva di Barra: grandi aziende e piccole aziende che convivono vicine in una “confusione produttiva” marcata. La dimensione media delle imprese

è, tuttavia, piccola ma diffusa con capillarità sull’intero territorio circoscrizionale. Il settore metalmeccanico dell’area dato per spacciato non più di 15 anni fa sta, a fatica, risorgendo.

Capannoni malandati e strutture ultramoderne ne fanno un settore vivo e vitale.

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L’industria alimentare, invece, si concentra quasi esclusivamente nel sub – comparto della panificazione e del laboratorio di pasticceria, spesso di piccola dimensione, ed incide, in tal senso, in modo poco rilevante sull’economia del quartiere.

Il settore del legno assume, in taluni casi, una fisionomia di un certo interesse. Accanto a falegnamerie di dimensione media e piccola, molto diffuse sul territorio, vi sono delle importanti industrie del legname tra cui Colella Legnami e Luigi Esposito e figli.

Per ciò che concerne il settore delle macchine e degli apparecchi meccanici e quello delle macchine elettriche, le attività prevalenti riguardano il montaggio, la riparazione e la manutenzione degli impianti nonché, in diversi casi, la costruzione degli stessi.

L’indagine di campo così condotta, nonostante numeri civici fantasma, cancelli impenetrabili e muri di omertà, è riuscita a fornire un quadro alquanto dettagliato della struttura produttiva del quartiere e delle sue caratteristiche. L’aria che si respira è quella industriale e, a volte, sembra quasi di vedere rifumare le vecchie ciminiere che ne formano il paesaggio.

Anlisi sul campo: interviste agli imprenditori

Le interviste agli imprenditori hanno aggiunto nuove ed importanti informazioni alla conoscenza già acquisita.

L’imprenditore della zona ha una forte tradizione di lavoro alle spalle, nel settore in cui opera. Le imprese sono di seconda generazione oppure si è trattato di un fenomeno di spin

– off da altre attività dell’area orientale. In alcuni casi, tuttavia, veniva investito, inizialmente, solo lo spirito imprenditoriale, venendo a maturarsi “cammin facendo” l’esperienza nel settore.95

95 Interessante è il caso di un imprenditore, ex operaio in una officina di costruzioni meccaniche, che si è creato da sé i macchinari per la produzione di guanciali. Questo gli ha permesso di abbattere i costi e di divenire un leader del mercato.

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Il livello occupazionale oscilla dai 3 ai 20 operai. La manodopera è sempre locale e per tal motivo la ricerca dell’operaio è fatta attraverso un sistema di conoscenze e di passa – parola. Per certe mansioni, però, questa ricerca si trasforma in un rilevante problema. Per alcune figure professionali (saldatore, carpentiere) l’offerta è assolutamente scarsa e sottodimensionata e poche sono le soluzioni adottate dalle imprese per ovviare al problema. A volte si tenta di formare la manodopera partendo quasi da zero, affiancando ad un ragazzo neo

– assunto, ma capace e promettente, un operaio più esperto. Altre volte, invece, si “ruba” l’operaio specializzato alla concorrenza offrendo salari più elevati. Viene lamentata dagli imprenditori una mancanza di manodopera disposta ad imparare e a “sporcarsi le mani” ed anche l’assenza di una formazione pubblica o privata per le figure professionali più richieste.

Si registra, spesso un fenomeno di turn – over piuttosto accentuato. Il settore della lavorazione del metallo è legato ad una struttura ciclica. L’offerta è inflazionata e la domanda si alterna tra gli uni e gli altri alla ricerca del prezzo più basso. In periodi di ciclo calante per un’azienda, si verifica, talvolta, un passaggio di maestranze, spesso specializzate e quindi molto richieste, verso un’azienda in fase crescente, e tale percorso si ripete all’inverso quando le situazioni si capovolgono. Questo fenomeno circolare tende a svilupparsi all’infinito ed è reso possibile, chiaramente, da una spinta flessibilità del personale, garantita da quel “grigio” apportatore di grandi benefici. Tale condizione lavorativa, un grigio più o meno marcato, è una caratteristica costante e trasversale delle attività produttive del quartiere. Con l’esclusione di poche attività totalmente emerse, il panorama è costellato di lavoratori neo – assunti o già presenti da tempo nell’azienda non inquadrati con alcun tipo di contratto, “in prova”, che scontano, spesso, le distorsioni del mercato nel quale vige l’imperativo “bassi costi per bassi prezzi”.

La concorrenza, per dirla con le parole degli imprenditori intervistati, è “sleale e spietata”; tale situazione provoca grossi problemi alle aziende “meno nere”. La realtà produttiva, un po’ in tutti i settori e particolarmente in quello relativo alla lavorazione del

90 ferro, è un puzzle di micro – imprese, con una formazione ed una capacità imprenditoriale spesso “pericolosamente” assente. Questa situazione provoca una grande instabilità nel mercato che vive alterne fasi e bruschi sobbalzi. Alcuni imprenditori hanno parlato, nelle loro interviste, di tale condizione, che può essere così descritta. Un imprenditore vende un prodotto a 100 lire per poter stare nel mercato e realizzare un guadagno, anche se minimo. Per improvvisazione e scarsa capacità imprenditoriale si trova a dover fronteggiare un problema di liquidità, ad esempio dovuto allo sfasamento dei pagamenti e delle riscossioni. Così accetta di vendere una parte della sua produzione a 70 per realizzare liquidità (“Ho soltanto

“apparato” la situazione del giorno prima”). A questo punto per poter riequilibrare la situazione dovrebbe vendere a 130, ma a questo prezzo non c’è mercato, per cui si trova, nuovamente, in difficoltà in quanto ha venduto, precedentemente, a 70, un prezzo che non gli consente di recuperare tutti i costi. È “caduto”, così, un'altra volta, in un problema di illiquidità! Si troverà, quindi, a vendere una parte più consistente della sua produzione a 70 lire e, magari, quello che prima vendeva a 70 adesso lo venderà a 50. Siccome il mercato è

“affollato” e la sua capacità produttiva è, comunque, limitata (se si ingrandisce per vendere di più, avrà più costi ma non può sostenerli), non potrà sopperire con una maggiore produzione a questa condizione di vendita sottocosto. Potrà, però, abbassare i costi, licenziando gli operai e assumendoli a nero o evitando di rispettare in qualche altro modo la legge (non fattura, non adegua l’ambiente produttivo agli standard di sicurezza). La situazione si svilupperà, però, a cascata e per quanto possa allontanare il momento, giungerà, alla fine, il fallimento (“ad un certo punto si arriva ad un muro”) perché si ritroverà a vendere a prezzi così bassi che non coprirà neanche più le spese fisse. Otterrà, così, anche un altro risultato: ha bucato il mercato in quanto ha abbassato il prezzo di vendita per l’intero comparto e, così facendo, ha messo fuori gioco una rilevante fetta di suoi concorrenti. Avrà, in tal modo, trascinato altri imprenditori alla rovina dietro di sé. Ma altri ne sorgeranno dalle ceneri dei fallimenti e proseguiranno la scia. Se l’impresa partisse, invece, da una situazione di nero piuttosto

91 marcato, avrebbe soltanto un piccolo vantaggio, in quanto si troverebbe già in una situazione di abbattimento di alcuni costi. Alla fine, però, soccomberebbe ugualmente a questa logica.

La situazione prospettata appartiene non solo a quella larghissima fetta di produttori improvvisati che fanno un lavoro “arronzato”, grossolano, e che “inquinano” il mercato, ma anche a tutti quegli imprenditori “dei sottoscala” che fanno dell’abbassamento del prezzo la loro unica strategia imprenditoriale. L’unica strada per sopravvivere e vivere è la qualità che spesso si accompagna ad una forte tradizione o ad una capacità imprenditoriale spiccata.

Soprattutto nel settore del ferro e della plastica è stata denunciata la presenza di molto “nero”.

Garage, bassi e appartamenti sono i luoghi di produzione principali di questa “economia parallela”. A tal proposito un imprenditore ci ha raccontato “C’è in Umbria un’impresa che produce e vende in tutta Italia i fogli di plastica stampati con cui si confezionano i fiori.

L’azienda ha una doppia produzione: un foglio con uno spessore da 35 micron per tutta l’Italia ed uno da 25 micron solo per Napoli. Solo con uno spessore minore, infatti, può tenere il prezzo più basso e competere con i produttori locali chiusi negli scantinati.”

Gli accordi di cooperazione o i gruppi di acquisto sono pressoché inesistenti. Si sono registrati solo casi sporadici nei quali un’impresa, con un picco di produzione, si è appoggiata ad un’altra sua concorrente per affidare a questa una parte del lavoro. Molti imprenditori, tuttavia, hanno mostrato un certo interesse verso la creazione di un consorzio. “In passato” hanno raccontato “sono state anche fatte delle riunioni. Ma poi ha sempre prevalso la sfiducia ed il sospetto.” In questa situazione sembra quasi che gli imprenditori aspettino un deus ex machina per dare seguito a questa loro “nascosta” aspirazione.

Un altro grande problema è rappresentato dalla forbice clienti – fornitori, accentuata e spesso eccessivamente divaricata dalla diffusa “abitudine” della clientela alla insolvenza o, nel migliore dei casi, al ritardo “cronico” nei pagamenti. A detta degli stessi imprenditori, però, la grande differenza temporale tra i pagamenti ai fornitori e le riscossioni dai clienti “è

92 anche un po’ colpa nostra.” Pur di vendere in contesti concorrenziali molto difficili, si concedono forti dilazioni dei pagamenti ai clienti che, in casi non sporadici, non pagano affatto, forti di quella sorta di “immunità” che la legge concede loro. La grande difficoltà ad ottenere qualche risarcimento dalla procedura di esecuzione cambiaria è uno dei temi su cui gli imprenditori hanno posto di più l’accento. “Lo Stato prima ci fa pagare l’I.V.A. su quelle vendite e poi non ci protegge per niente quando i clienti non pagano.”

I rapporti con le associazioni di categoria non sono molto diffusi. Alcuni imprenditori, quelli meno “professionali” non vedono nelle associazioni un elemento positivo. Solo poche aziende ne comprendono l’utilità, quale strumento di tutela o fonte di scambio di informazioni e di crescita. In qualche caso è emersa anche la sfiducia di chi si è cancellato dall’Unione

Industriali perché “sono una lobby e gli affari, lì dentro, sono sempre politici.”

I rapporti con la Pubblica Amministrazione sono pressoché inesistenti e quasi mai visti come un problema. Solo in alcuni casi si lamentano ritardi e inefficienze. Tuttavia si fa notare che certi procedimenti si sono snelliti come ad esempio l’Autorizzazione Sanitaria che ha una durata triennale. Quando, poi, i rapporti si fanno difficili, tramite amicizie e conoscenze si cerca di ovviare al problema.

I rapporti con le banche sono problematici. Tutti gli imprenditori lamentano una grande difficoltà ad entrare in contatto con gli istituti di credito. Solo le aziende che hanno immobili di proprietà o che sono sul mercato da moltissimi anni affermano di avere un buon rapporto con le istituzioni bancarie, mentre tutte le altre sono, al riguardo, sfiduciate.

Il fatturato è in crescita quasi in tutte le attività manifatturiere intervistate e solo alcune lamentano un leggero calo nell’attività.

93

Il territorio ed il rapporto di amore – odio con la zona, sono un elemento di grande interesse. Il legame dell’imprenditore “nato e vissuto qui” col “suo” quartiere è fortissimo.

Una delle aziende più grandi così ha commentato questo aspetto :“Abbiamo cambiato più volte capannoni per ingrandirci, ma siamo rimasti sempre a Barra. Io sono di qui, mi fa piacere restare nel quartiere per creare lavoro nella zona.” I punti di contatto fondamentali tra l’azienda ed il territorio, oltre al legame di “sangue”, sono la manodopera e la clientela. “La mia manodopera è tutta della zona. Mi fido di loro, non voglio perderli.” “La clientela è buona, non voglio andare via. Altrimenti ci vorrebbe una rete di vendita più ampia.” Non tutti, però, si trovano bene, ma non per questo pensano alla fuga: “Ho pensato ad andare via, ma le altre zone non sono meglio. Qui sono vaccinato. In altri posti, invece, ci sono altri virus!” Tre sono i fattori fondamentali che spingono ad andare via: la criminalità, la concorrenza scorretta

(“Se si gioca al ribasso, io me ne vado. È la guerra tra poveri.”), la ricerca di spazi più ampi.

Riguardo a quest’ultimo punto, si è individuata una mancanza di informazioni circa le possibilità ed i modi di utilizzo della grande quantità di aree dismesse che nell’area sono, ormai, una caratteristica del paesaggio. “Io sono piccolo e in certi giri non ci posso entrare…”

La variabile criminalità è vissuta in modo disomogeneo. L’essere radicati nel territorio aiuta la sopravvivenza: “Un anno fa è venuto a bussare alla mia porta uno che stava alla scuola elementare con me, e così me la sono cavata.” “Io mica sono un “mammasantissima” , però conosco qualcuno nella zona e quindi…” “Noi siamo della zona e conviviamo. Lo Stato non ci difende.” Non tutti, però, hanno gli agganci giusti e qualcuno cerca, quindi, di nascondersi: “Se metto fuori la fabbrica una macchina da 50 milioni, non mi lasciano più in pace.” La normalità, però, è il piccolo lavoretto gratis, la piccola somma, che da fastidio ma non fa soccombere l’impresa.

Può essere utile, a questo punto, sintetizzare in una tabella alcune interessanti informazioni tratte dalle interviste più significative.

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Tab. 37 Elenco interviste in profondità realizzate a Barra Criticità * Manodopera Mercato di Attività svolta sbocco Concorrenza Insolvenza/ Pubblica Crimin sleale Sofferenza Ammin. alità locale numero

Borse di plastica 7 SI Locale 5 2 2 3

Lavorazione 14 SI Regionale 1 2 2 4 banda stagnata

Stampaggio 15 SI Regionale 0 3 3 3 materie plastiche

Lavorazione 18 SI Locale 3 2 3 4 banda stagnata

Lavorazione ferro 4 SI Locale 4 4 2 3

Infissi 4 SI Locale 4 5 1 2

Fodere per auto 20 SI Nazionale 2 5 2 3

Impianti 6 SI Regionale 2 3 1 3 industriali

Materassi e 6 SI Nazionale 4 1 2 3 guanciali

Costruz. mecc. per asportazione 14 SI Nazionale 5 2 4 4 truciolo * Livello di criticità: 0 (nessun problema), 5 (grave problema)

La realtà imprenditoriale, quindi, si presenta complessa e costellata di problemi ma al tempo stesso vitale e con chiare prospettive di successo. Le aziende più “vere”, più professionali resistono a tutto ciò e spesso rilanciano facendo il mercato invece di subirlo.

95

3d SAN GIOVANNI A TEDUCCIO di Nicolina Scafuri

STORIA Tra la zona industriale e le propaggini orientali del porto, tra gli assi e i nodi autostradali e le strade ferrate che lo recingono, il quartiere di San Giovanni a Teduccio si sviluppa al limite sud-orientale del comune di Napoli allungandosi, a differenza degli altri quartieri della zona orientale, sul mare. Così, sin dai tempi più remoti, l’artigianato locale ha potuto godere delle continue iniezioni di culture diverse provenienti da luoghi lontani.

Si lavoravano i metalli e, in particolar modo, il legno (costruzioni di carri e barche) ma si andava sempre più perfezionando l’arte della filatura. Infatti, accanto al fiorente artigianato la cui peculiarità era costituita dalla diffusione a domicilio dei telai è a San Giovanni che, negli anni 1802-1804 nasce la più grande filanda del tempo (Tommaso Marington) la cui produzione di tessuti in seta veniva esportata persino a Londra.

Di particolare rilevanza fu anche la lavorazione del vetro e delle ceramiche96, nonché quella delle pelli che conobbe periodi di splendore grazie alla qualità e al pregio dei prodotti

(specialmente guanti97 e scarpe).

Con la restaurazione borbonica e grazie alla politica protezionistica praticata dal

Governo, gli artigiani ebbero la possibilità di adeguare le proprie produzioni alle attività manifatturiere straniere molto più organizzate, riuscendo così a sostenerne la concorrenza e, nel contempo, fu incentivata la costituzione dei primi insediamenti industriali. Nel 1779 sorse, per volere di Ferdinando I di Borbone, a San Giovanni, il primo opificio industriale: la fabbrica dei Granili98 destinata alla costruzione di caldaie fisse e marine e di locomotive. Essa si integrava, nella sua produzione, allo stabilimento di Pietrarsa, il colosso dell’industria statale del tempo. Quest’ultima struttura, nata il 6 novembre 1840, occupava un’area di fronte

96 Le produzioni erano esclusive non solo per le tecniche utilizzate ma, soprattutto, per i colori. Esisteva, infatti, il cosiddetto “giallo Napoli” una particolare tonalità di giallo che solo gli artigiani napoletani sapevano riprodurre. 97 In questo ambito la produzione era riservata quasi esclusivamente alle operaie che svolgevano l’attività nelle proprie dimore.

96 al mare di 33.485 mq e vi erano impiegati 1250 uomini: si trattava della fabbrica italiana con il maggior numero di operai. I campi d’applicazione erano, in pratica, tutti quelli delle industrie metalmeccaniche del tempo: fonderie, riparazioni e costruzioni navali e ferroviarie, macchine a vapore, materiali per la marina di guerra e nel 1850 si iniziò la fabbricazione di rotaie per le ferrovie99. Ancora, molti imprenditori erano di nazionalità straniera ed in qualche caso personalità di spicco del mondo industriale europeo che, attratti dalle considerevoli possibilità di guadagno offerte dalla politica protezionistica perseguita in quegli anni, investirono nell’area100.

Molte di queste aziende, come la maggior parte dei grandi stabilimenti metallurgici italiani si specializzarono nella produzione di manufatti bellici ma, la caduta del regno borbonico, la fine del protezionismo e il clima di incertezza determinato dal nuovo assetto politico in cui l’ex capitale stentava a trovare un nuovo ruolo dopo l’unità d’Italia, portarono alla decadenza delle principali industrie101 che passarono sotto la gestione del governo italiano.

Nonostante tutto, mentre i colossi della metallurgia tramontavano, in altri settori, cominciarono ad aprirsi nuove strade. Così, nel 1900 nacque a San Giovanni a Teduccio, lo stabilimento Cirio. Per la prima volta in Italia, venivano preparati legumi in scatola, frutta allo sciroppo, confetture, pomodori pelati, ecc. con un notevole, conseguente, indotto che andava dalla produzione di pasta alimentare di altissima qualità alla preparazione automatica di scatole di latta di ogni forma e dimensione, a Vigliena. Eppure, tutto avvenne nel disordine

98 La fabbrica occupava un’area di 20.000 mq di cui oltre 10.000 coperti dalle officine fabbri e calderai. 99Questi complessi industriali insieme alla Rea Fonderia, all’Arsenale e ai cantieri navali di Castellammare, costituivano la struttura portante delle industrie siderurgiche statali e producevano a pieno ritmo in un mercato altamente competitivo. 100 Di fronte ai Granili, nel 1833, nacque la Zino Henry & C. uno stabilimento meccanico e nel 1864, sempre nei pressi dei Granili, fu costruito il grande opificio C.C.T.T. Pattison dove lavoravano 750 operai a cui si affiancava un piccolo cantiere navale. Richard Guppy, ad esempio, possedeva industrie in Francia e in Inghilterra e nel 1852 fondò un opificio meccanico ritenuto uno dei più importanti del regno sia per la capacità produttiva che per la qualità dei prodotti. Il complesso, volto alla produzione di motori e meccanismi per navi, gru, locomotive ecc. impiegava, all’epoca, circa 500 operai. Infine, nel 1872 fu fondato, con capitale francese, uno stabilimento per la lavorazione del rame e dell’ottone che fu poi venduto nel 1882 allo svizzero Giuseppe Corradini che ne fece il complesso metallurgico principale di tutta la provincia di Napoli. 101 Fondamentalmente per la riduzione degli stanziamenti militari, la mancanza di commesse pubbliche, ecc.

97 più assoluto. Attività diverse furono poste vicino e a grandi strutture si alternavano piccole o piccolissime imprese.

La crisi industriale cominciò con l’affacciarsi, furono emanate diverse leggi volte a creare un piano organico per sostenere l’industrializzazione e neanche, nel 1925-26, l’annessione alla città di Napoli segnò un punto di svolta.

Negli anni successivi all’aggregazione al capoluogo, e fino ai primi decenni del secondo dopoguerra, nel territorio di San Giovanni a Teduccio proseguirono le trasformazioni, specialmente per effetto di medi e grandi interventi infrastrutturali, prima, e di estesi insediamenti residenziali, specie d’edilizia pubblica, poi. Il risultato di questa successione di realizzazioni settoriali slegate fra loro, differenti rispetto al complessivo contesto insediativo, è stato ovviamente disastroso: un coarcevo d’edificazioni disorganiche che hanno congestionato l’area, nonostante la dotazione elevata d’infrastrutture.

I vecchi impianti morivano, si trasformavano, ne sorgevano altri, ma l’intero sistema era fragile e continuamente “soffocato” dalle emergenze. Le grandi e antiche strutture ormai dismesse, ancora oggi, non sono state riutilizzate rimanendo lì come pesante ricordo del passato.

Solo recentemente, nella proposta di Variante al Piano Regolatore, sono emerse, a tal proposito, nuove prospettive:

• la dismissione della centrale ENEL di Vigliena;

• l’acquisizione della Corradini con relativo insediamento del polo universitario nella

vecchia azienda metalmeccanica e nel palazzo della Cirio;

• la realizzazione del porticciolo turistico lungo l’arenile della circoscrizione, che restituisce

al quartiere l’antica vocazione turistica.

Sono queste ipotesi di progetti che nella loro semplicità, lungaggini burocratiche permettendo, potrebbero rappresentare lo “start-up” di un’azione volta alla valorizzazione del

98 quartiere che ancora oggi, anche se in maniera diversa, pullula di attività fortemente ancorate al territorio ma che necessitano di una corretta politica economica di intervento.

Analisi sul campo: censimento delle imprese

L’analisi sul campo parte dallo studio dei dati Infocamere rielaborati sulla scorta di un’attenta e puntuale indagine della realtà che caratterizza il quartiere. I dati presi di riferimento risultano essere così strutturati:

Tabella n. 38 Elenco delle strade monitorate a S.Giovanni a Teduccio Aziende Aziende presenti negli Infocamere Altre aziende STRADE elenchi Infocamere effettivamente individuate riscontrate CORSO PROTOPISANI 19 15 0 CORSO SAN GIOVANNI A TEDUCCIO 54 38 14 VIA BERNARDINO MARTIRANO 2 1 1 VIA BERNARDO QUARANTA 15 3 3 VIA BOCCAPERTI 5 3 0 VIA FERRANTE IMPARATO 24 16 5 VIA 1 1 2 VIA MARINA DEI GIGLI 2 0 1 VIA MURELLE 11 9 7 VIA NUOVA VILLA 10 10 0 VIA COMUNALE OTTAVIANO 17 7 3 VIA PAZZIGNO 12 5 0 VIA PONTE DEI FRANCESI 9 2 2 VIA VIGLIENA 6 2 1 VIA FIGURELLE 3 2 0 VIA MARTINEZ 0 0 0 VIA GRANATA 0 0 0 VIA SIGNORINI 0 0 0 VIA TESTA 0 0 0 VIA VIETRI 0 0 0 Totale aziende 190 39 Totale aziende Infocamere 234 114 Aziende da censire/totale aziende 81% Infocamere

99

Com’è agevole constatare dalla tabella, la percentuale di aziende censite (190) su quelle totali degli elenchi Infocamere (234) è dell’81%. Inoltre, l’indagine porta a porta manifesta tutta la sua rilevanza laddove si valuta l’effettiva rispondenza dei dati ufficiali nelle 20 strade censite (60%) e quando consente di far rientrare nell’analisi tutte quelle aziende individuate ma non comprese nei dati ufficiali (39). L’insieme delle informazioni raccolte dà, in maniera abbastanza precisa, l’immagine dell’attuale vocazione della zona che, considerando le prime cinque attività prevalenti, è così articolata:

Tabella n. 39 Settori prevalenti

TIPO DI ATTIVITA’ NUMERO IMPRESE

Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 35 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 20 Fabbricazione articoli in gomma e materie plastiche 12 Fabbricazione della pasta carta, delle carta e di prodotti di 12 carta, stampa e editoria Fabbricazione prodotti lavorazione di minerali non 12 metalliferi

Primo fra tutti risulta essere il settore legato alla lavorazione del metallo, in particolar modo del ferro, seguito dalle industrie alimentari probabile residuo storico di quelle imprese, che un secolo fa, costituivano l’indotto della Cirio. Seguono la lavorazione della plastica, della carta e dei minerali non metalliferi, che hanno un’incidenza più o meno analoga sul tessuto economico dell’area.

Delle attività censite, per lo più medio-piccole, il 23% si concentrano su Corso San

Giovanni a Teduccio su cui, come affluenti, si riversano le altre strade intersecandolo in più punti come Via Ferrante Imparato (24 imprese), Corso Protopisani (19 imprese) e così via.

La tipologia delle attività svolte è fondamentalmente artigianale e rispecchia chiaramente la vivacità e il fermento dell’area. Portoni bui e cancelli nascosti mostrano le loro meraviglie: retrobotteghe di 3.000 mq dietro vetrate sistemate, alla meglio, con nastro adesivo e macchinari costosissimi tra polvere e disordine. Spinte diverse: diffidenza ma orgoglio,

100 omertà ma tanta voglia di parlare. Fissare gli appuntamenti per le interviste è risultato, a volte, molto difficile. Abbiamo dovuto rassicurarli circa la nostra identità completamente estranea a quello che poteva essere un agente del fisco o qualcuno mandato lì per fare qualche ispezione

“in guardia di finanza non prendono ancora le donne, può stare tranquillo è una semplice ricerca”. Venuti meno i dubbi, il dialogo diventava più aperto. Nella prima intervista condotta, l’imprenditore ci ha fatto accomodare nella sua bottega, lui è rimasto in piedi, segno chiarissimo di una sua indisposizione e della sua volontà di porre fine, al più presto, ad un qualcosa che lui, per amicizia102, era stato costretto a fare. Alla fine della chiacchierata erano passate circa due ore, avevamo bevuto il caffè, visitato tutta l’azienda, ci era stato spiegato passo per passo come funzionava il ciclo produttivo, avevamo conosciuto i suoi genitori e soprattutto, ormai seduto, ci aveva raccontato più di quanto volessimo sapere. Avevamo raccolto i suoi sfoghi ed i suoi motivi di orgoglio, avevamo ascoltato la sua storia.

Analisi sul campo: interviste agli imprenditori

Il proposito della ricerca è quello di ascoltare dalla voce dei protagonisti storie di imprese e soprattutto, venire a conoscenza dei punti di forza e di debolezza di una realtà che risulta essere estremamente vitale e degna di interesse.

Strada per strada si è parlato con imprenditori, operai ed altri soggetti privilegiati (vicini di casa, giornalai, portieri) che hanno rappresentato la fonte primaria delle osservazioni che seguono.

Numerose sono le attività di tipo tradizionale che, tramandate da padre a figlio (per passione o per esigenza) continuano ad essere un punto fermo nella struttura produttiva.

Accanto a queste, dall’intraprendenza di giovani imprenditori, sorgono attività eterogenee che, grazie alla conoscenza del settore (in quanto in passato già presenti a monte o a valle del

102 In quanto amico di un amico, di una amica.

101 processo produttivo103), si affermano sul mercato divenendo spesso dei veri e propri “gioielli di produttività”.

Così, la conoscenza del settore, là dove non acquisita sin da adolescenti o addirittura da bambini “quando il nonno mi faceva impastare la creta”, matura giorno per giorno cercando di rispondere, con prontezza, alle sempre continue e diverse esigenze della clientela.

Nella complessità delle interviste poste in essere, per ciò che attiene il lavoro, la caratteristica che spicca più di tutte è che, la quasi totalità della manodopera che risulta essere locale è in molti casi irregolare, “o rispettiamo la legge e soccombiamo, oppure sopravviviamo violandola”. Garantendo l’anonimato delle interviste alcuni imprenditori, più spavaldi, hanno addirittura, di propria iniziativa, dichiarato il numero di lavoratori in nero:

“sono l’unico ad essere a posto, ho una quindicina di operai tutti a nero ed inoltre mia moglie gestisce una filiale dove tutti sono irregolari. Forse, più in là, comincerò a pagare i contributi a mia moglie”. Singolare è stata l’espressione di un imprenditore: “.. ma anche se qualche giorno qualcuno dei miei operai non può venire io gli pago lo stesso la giornata mica voglio approfittare di loro poi, non gli pago nemmeno i contributi”. Altri, invece, che hanno dichiarato “qui lavoro da solo” hanno accompagnato la loro affermazione al rumore di martelli, seghe elettriche e a visioni di “fantasmi” con abiti sporchi che si affacciavano alla soglia incuriositi dalla nostra presenza.

Il numero degli operai varia da settore a settore, l’organigramma risulta piatto ed è spesso rilevante la presenza di collaboratori familiari nell’attività. Difficile risulta, invece, l’acquisizione di manodopera specializzata esterna. C’è infatti una grande carenza di giovani disposti ad investire il proprio tempo nell’artigianato e la richiesta al collocamento, dopo

103 Ci è capitato di intervistare il proprietario di un tomaificio che, in precedenza, era stato rappresentante di accessori per calzature mentre la moglie è orlatrice. Ancora, il proprietario di un’azienda tessile aveva gestito un negozio di abbigliamento per diversi anni prima di creare l’azienda ed anche in questo caso la moglie è “sarta

102 un’infruttuosa ricerca tra amici e parenti, è inutile. Un fabbro mi diceva: “guardi come sono conciato, i giovani d’oggi non vogliono più neanche sporcarsi le mani. Ho due figli maschi e nessuno dei due continuerà la mia attività, stanno studiando; il mio socio, invece, ha solo figlie femmine, probabilmente dopo di noi non ci sarà più nessuno”. Nei casi più fortunati, invece, la selezione avviene tra persone conosciute o “raccomandate” da amici e parenti, preferendo quelli che hanno già avuto esperienze nel settore di interesse. Gli apprendisti vengono sottoposti ad un periodo di prova, affiancati da lavoratori già esperti, in cui viene valutata la capacità e la buona volontà nonché, la correttezza professionale. Non si dà alcuna importanza alle scuole di formazione anzi, un imprenditore mi raccontava: “Una volta ho preso in prova una ragazza che veniva dall’istituto d’arte ma è stato un errore. Innanzitutto, questi ragazzi vengono da scuole dove i loro professori altro non sono che imbianchini e non possono insegnare altro che non sia dare qualche pennellata. Inoltre, quando questi ragazzi escono dall’istituto d’arte sono “maestri” e pretendono di fare capolavori. La ragazza in questione, in una giornata intera, mi ha dipinto soltanto quattro piatti e non erano neanche a lavorazione artistica quindi, considerando le ore di lavoro a quanto avrei dovuto venderli?”

Per quanto riguarda, invece, l’approvvigionamento delle materie prime l’acquisto avviene prevalentemente presso fornitori locali o nazionali quando si tratta di prodotti aventi specifiche caratteristiche qualitative104. Ciò vale parzialmente anche per i macchinari che, invece, sono acquistati sul territorio nazionale. Nella maggior parte dei casi i fornitori risultano essere comuni anche agli altri concorrenti.

Tasto dolente è, invece, la concorrenza che nella totalità dell’area e, in quasi tutti i settori, è molto agguerrita e sleale causando un continuo ribasso dei prezzi che costringe,

finita”. Ciò a conferma di quanto la conoscenza del mercato e di buona parte dei soggetti che vi ruotano intorno sia un elemento di “spinta” nella creazione di attività d’impresa. 104 Ad esempio, nella lavorazione delle piastrelle viene usata un particolare tipo di pietra dura, proveniente dall’isola d’Elba che, mischiata alla creta, rende la piastrella più resistente.

103 spesso, gli imprenditori al fallimento. Un fabbro mi diceva: “non riesco a vendere una porta blindata a meno di 1.300.000 lire ed il mio vicino, addirittura, per meno di 1.500.000 lire non impegna neanche gli operai. La stessa porta sul mercato viene venduta a 700.000 lire.

Probabilmente verranno utilizzate meno lamiere, o si produrranno negli scantinati con operai di cui nessuno è a conoscenza, questa è concorrenza sleale”. Maggiormente protetti da questo fenomeno sembrano essere, invece, coloro che si adoperano a produzioni di livello qualitativo più elevato riuscendo a costruirsi una nicchia di mercato. A ciò si aggiunge, a dir loro, una limitata capacità della clientela (anche questa prevalentemente locale o nazionale tranne due casi in cui si esporta in America e in Giappone) nel distinguere un prodotto buono da uno di qualità medio-bassa.

Ulteriore strozzatura è l’insolvenza della clientela. La scena si ripete in quasi tutte le interviste. Fasci di cambiali e assegni protestati, raccolti con elastici, si riversavano sulle scrivanie e l’espressione dei visi è sempre la stessa: “non ne parliamo, qui ci tocca fare le capriole”. L’insolvenza è quasi sempre una regola contro cui ognuno, prima o poi, deve confrontarsi. In una prima fase si cerca di tollerare e scendere a compromessi ma, quando tutto risulta inutile, si procede per vie legali. Neanche questa sembra, però, la soluzione del problema. Anzi, periodi di tempo quasi infiniti allontanano sempre di più la prospettiva del recupero del credito, anche parziale. E’ forte l’esigenza di leggi specifiche, più veloci, che consentano il recupero e tutelino le attività produttive. “Sono otto anni che sono in causa per questo assegno di 30 milioni che è stato protestato”. “E’ dal ’92 che siamo in causa per un assegno di 120 milioni”.

Inoltre, in un’area come San Giovanni a Teduccio “dipende sempre con chi si ha a che fare” e quindi, di frequente, è lo stesso imprenditore che rinuncia al suo danaro. Oppure, nel caso inverso, 110 milioni sono stati recuperati rivolgendosi ad un “capozona” che in soli 30 giorni è riuscito a far recuperare interamente la somma.

104

In ogni caso, situazioni del genere creano strozzature nei pagamenti ai fornitori che si tenta di risolvere cercando di chiedere dilazioni, soprattutto nei periodo di bassa produttività, oppure ricorrendo all’autofinanziamento o alla famiglia laddove risulta possibile. I rapporti con le banche sono, nella maggior parte dei casi pessimi, sia per quanto riguarda le lungaggini burocratiche che per ciò che attiene alle garanzie troppo gravose. “Se avessi 100 milioni da dare in garanzia andrei a chiedere un prestito?”. Lo stesso vale per le leggi volte all’incentivazione dell’imprenditorialità (l. 488, l. 28 regionale ecc.) che risultano essere, per la maggior parte degli intervistati, difficilmente accessibili.

Il problema non esiste, invece, qualora ci si riferisce a contoterzisti per i quali fornitori e clienti rappresentano un’unica figura.

Come accennato, la criminalità ha un ruolo abbastanza attivo nel tessuto produttivo della zona. Le imprese cercano di nascondersi il più possibile (costruzioni fatiscenti e cancelli attraverso i quali è impossibile sbirciare) cercando di non destare l’interesse di visitatori indesiderati. In ogni caso, è importante sottolineare che il crimine organizzato non ha alcun interesse a far fallire l’impresa. Al contrario, il loro scopo è la sopravvivenza e la crescita delle stesse per cui, lì dove le attività sono piccole si tende soltanto a chiedere il favore mentre man mano che l’attività cresce il “contributo” risulta essere sempre più gravoso: “.. solo una volta un uomo ha chiesto un vestito per sua moglie”.

Infine, anche i rapporti con la pubblica amministrazione tendono ad essere difficili.

Eccessiva burocrazia e mancanza di spazi che sono, nella maggior parte dei casi, vincolati a progetti utopistici e di non certa realizzazione, rappresentano i problemi maggiori con cui bisogna confrontarsi. Quasi nella totalità delle interviste si lamentava l’esistenza di spazi più ampi necessari allo svolgimento di attività in continua crescita. In un cantiere navale barche piccole e grandi si stringono una all’altra mentre, fuori dalla recinzione, spiagge sporche e capannoni abbandonati dominano il paesaggio.

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I rapporti con le associazioni di categoria (tranne in un caso) e gli accordi di cooperazione sono quasi nulli. Esiste solo qualche forma di collaborazione tra soggetti operanti nello stesso settore e troppo vicini l’uno all’altro per ignorarsi105. Due sono le cause principali: sfiducia legata al timore di fenomeni di free riders e gelosa custodia del proprio

“mestiere”.

Può essere utile, a questo punto, cercare di sintetizzare in una tabella alcuni punti fermi tratti dalle interviste più significative:

Tabella n. 40 Elenco interviste in profondità realizzate a San Giovanni a Teduccio Criticità * Manodopera Attività Mercato di Concorrenza Insolvenza/ Pubblica svolta sbocco Criminalità Sleale Sofferenza Ammin. locale numero

Ceramiche 10 SI Locale 4 4 5 5 artistiche Abbigliamento 15 SI 5 4 0 1 Locale Legno 3 SI Locale 1 3 1 2 Lav. Alluminio Locale e 7 SI 3 5 1 4 e porte in legno Nazionale Cantieri Navali 14 SI Locale 2 3 5 3

Tomaificio 7 SI Locale 3 3 2 1

Lav. Pelli 3 SI Nazionale 4 5 1 1

Lav. Plastica 3 SI Locale 2 3 0 0 Lavorazione del 3 SI Locale 5 5 3 2 ferro Ind. Molitoria 23 SI Internaz. 1 2 5 5 * Livello di criticità: 0 (nessun problema), 5 (grave problema)

105 Due imprenditori che si occupano della lavorazione del ferro si accordano sulle commesse. Ognuno di loro è specializzato in un particolare tipo di lavorazione per cui, quando si presenta il cliente che ha una specifica necessità che potrebbe essere soddisfatta dal concorrente, la lavorazione viene svolta da quest’ultimo ma, il montaggio avviene ad opera di chi ha procacciato la commessa.

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In tale prospettiva, imprese piccole e meno piccole, forti e radicate nel proprio territorio, cercano di sopravvivere in un mercato altamente competitivo dove le condizioni ambientali risultano essere spesso particolarmente complesse e difficili e dove una corretta politica economica risulta essere uno degli elementi fondamentali per lo sviluppo di un’area con potenzialità certamente degne di interesse.

3e Prime Considerazioni sull’Area Est di Paolo Di Virgilio, Vincenza Novella e Nicolina Scafuri

L’area orientale di Napoli presenta uno spiccato carattere di omogeneità in relazione a numerosi aspetti economici e sociali considerati. La sua storia antica e le sue vicende attuali hanno seguito, spesso, in tutti i quartieri una stessa direzione. La trasformazione industriale ha, a poco a poco, creato una struttura sociale ed economica simile: quartieri operai, capannoni, ciminiere si rincorrono in un panorama sempre uguale che viene fuori, a volte inaspettatamente e con le dovute differenze, ad ogni angolo di strada. La vocazione produttiva nettamente prevalente in tutti i quartieri considerati risulta essere la lavorazione dei metalli, settore che raggruppa oltre un terzo di tutte le attività manifatturiere della zona pari a circa

150 unità. Tale produzione viene svolta da imprese di diverse dimensioni: accanto a grandi e moderni capannoni si incontrano piccole e piccolissime botteghe artigiane. I siti produttivi sono per lo più inadeguati sia dimensionalmente che qualitativamente. Molti imprenditori hanno espresso il desiderio di andar via per riuscire ad ottenere spazi più ampi ed attrezzati.

Questa situazione appare per certi versi paradossale se si tiene conto della grandissima quantità di aree attualmente dismesse, piccole e grandi, coperte e scoperte, presenti nell’area orientale. Secondo una stima, basata su dati del servizio urbanistica del Comune di Napoli, a tutt’oggi l’ammontare complessivo di tali spazi risulta essere di circa 1.500.000 di mq.

107

Inoltre, alcuni imprenditori hanno lamentato un’estrema difficoltà a partecipare a “discorsi” relativi all’utilizzo di dette aree ed in molti altri casi la disinformazione al riguardo è risultata essere il principale problema da risolvere.

Con l’esclusione di poche attività totalmente emerse, il panorama orientale è costellato di piccole e medie imprese che svolgono la loro attività in una condizione di grigio più o meno marcato. Questa situazione è legata soprattutto alla presenza di lavoratori non in regola la cui esistenza, in molti casi, è una condizione indispensabile per la sopravvivenza stessa dell’azienda. Si tratta quasi sempre di manodopera locale e senza alcun tipo di formazione che viene reclutata attraverso canali informali. Amici e parenti “raccomandano” i giovani aspiranti i quali cominciano la loro attività lavorativa senza sottoscrivere, nella stragrande maggioranza dei casi, alcun contratto di formazione o di apprendistato. Una volta entrati in azienda vengono affiancati da operai più esperti a cui è necessario “rubare” il mestiere. Il collocamento non svolge minimamente il suo ruolo, poiché non è in grado di fornire le figure professionali necessarie.

Le condizioni ambientali in cui sono svolte le diverse attività risultano essere condizionate da alcuni elementi di criticità. Prima fra tutte la concorrenza. Tale concetto merita uno specifico approfondimento poiché, in questa sede, viene utilizzato con un’accezione negativa. Normalmente un’elevata concorrenza sta a significare un considerevole livello di sviluppo economico. Nell’area orientale, invece, il concetto in questione, in molti casi, perde questo significato e si colora di un nero molto marcato. Le condizioni concorrenziali non sono paritarie: accanto a realtà emerse e semi-emerse convivono una gran quantità di micro-imprese che lavorano a nero, in clandestinità ottenendo da questa loro condizione un vantaggio competitivo che soffoca, spesso, le attività che più si conformano alle “regole”. In tale contesto, dunque, la concorrenza, spesso troppo spietata,

108 rappresenta un limite all’espansione delle aziende ed un pericoloso nemico da combattere a

“colpi di qualità”.

Nonostante la realtà produttiva dell’area orientale di Napoli si presenti vasta e frastagliata, è possibile, anzi utile, raccogliere in due tipologie di imprenditori molte delle caratteristiche produttive e gestionali incontrate nelle nostre indagini sul campo.

Il primo tipo di imprenditori svolge la sua attività con un elevato livello di improvvisazione. Lo scantinato, il garage, il cancello “infrattato” sono il suo regno. Tale condizione gli permette di abbattere i costi oltre il livello normalmente sopportato dalle altre aziende. Nono pagano i contributi, non si adeguano alle leggi sulla sicurezza, licenziano ed assumono con assoluta facilità e flessibilità. Tutte queste possibilità rappresentano, sicuramente un vantaggio competitivo per l’imprenditore che riesce, in tal modo ad estromettere dal mercato molti concorrenti che non sono in grado di spingere verso il basso, a tal livello, i costi ed i prezzi: questo imprenditore fa il prezzo e lo fissa a livelli insostenibili. Egli punta, però, alla quantità, come unico credo imprenditoriale, legata spesso ad un prodotto qualitativamente scadente. D’altro canto, la sua “vita” non è tranquilla. La precarietà è, in certi casi, una caratteristica fondamentale. Oggi ci sono e domani non ci sono più, con la legge violata come incubo costante. Per vivere è necessario, anche, sottostare alle condizioni dei clienti e dei fornitori. Per ottenere un ulteriore vantaggio competitivo si concedono tempi e modalità di pagamento

“troppo favorevoli”. Spesso, però, si ha a che fare con analoghe situazioni di precariato, ed il rischio di perdere l’importo spettante è molto elevato. E’, questo, il rischio da correre per mantenere il prezzo basso. Il fatto di svolgere la propria attività nell’”oscurità”, però, garantisce loro un nascondiglio il più delle volte sicuro, nei confronti della criminalità.

Il secondo tipo di impresa può, invece, essere definita professionale. Spesso l’attività è stata ereditata dai genitori ed ha rappresentato una lunga tradizione familiare. Il livello di istruzione degli imprenditori è mediamente alto, ma il titolo di studio non rappresenta una discriminante fondamentale. Spicca la voglia di fare un prodotto migliore per un mercato di qualità. Una gestione aziendale improntata a queste caratteristiche richiede grandi capacità. E’ necessario un costante aggiornamento professionale, spesso ottenuto aderendo ad associazioni di categoria. I costi sono molto più elevati ed il rispetto delle leggi impone frequenti contatti

109 con una burocrazia lenta e inefficiente. La condizione dei lavoratori è, quasi del tutto, regolare. Questo impedisce all’azienda di essere flessibile e di uniformare la manodopera all’andamento del mercato. La qualità, però, esige una grande selezione di fornitori e clienti.

Il numero di acquirenti si riduce, spesso sensibilmente, ma la sicurezza dei pagamenti aumenta più che proporzionalmente. La professionalità e lo spirito imprenditoriale rappresentano il passaporto necessario per oltrepassare il confine della precarietà. L’ampiezza aziendale non è omogenea: grande o piccolo che sia, l’imprenditore che vuole emergere riesce sempre nel suo intento. La concorrenza perde la connotazione “perversa” acquisita nella situazione precedente per divenire, finalmente, un elemento propulsivo ed un sintomo imprescindibile dello sviluppo.

Tutta questa eccellenza, però, non passa inosservata. La grande impresa, o piuttosto l’impresa “seria”, attira l’attenzione della criminalità che sa di poter chiedere ed ottenere più di quanto avrebbe ricavato da chi si nascondeva. Anche in questa seconda tipologia, quindi, l’azienda dovrà scontrarsi con ostacoli difficili, ma la maggiore solidità della struttura garantirà, più che una sopravvivenza, una vita produttiva di più alto profilo.

Nel mezzo, tra queste due imprese tipo, c’è la palude che pullula di piccole e medie imprese, precarie ma non troppo, grigie ma non solo, che sopravvivono in una condizione di limbo tra quantità e qualità, tra flessibilità e rigidità del lavoro, fra clientela insolvente e pagamenti puntuali. Il loro scopo principale è la sopravvivenza. Queste attività sono gestite con l’obiettivo prioritario di resistere agli abbassamenti dei prezzi e di ritagliarsi la propria piccolissima fetta di mercato. Non hanno tradizione alle spalle, non hanno intenzione di espandersi, non cercano accordi di cooperazione con le imprese dello stesso settore. “Nuie vulimmo sulo campà.”

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3f Storia della zona orientale di Napoli di Paolo Di Virgilio, Vincenza Novella e Nicolina Scafuri

L’area posta ad oriente della città di Napoli e formatasi nel corso dei secoli, in parte per l’azione di interrimento delle correnti marine e in parte per il deposito del materiale vulcanico eruttato e dei detriti trasportati dalle acque alluvionali provenienti dalle colline, si può oggi individuare nel vasto territorio compreso tra i quartieri di Poggioreale - Zona Industriale,

Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli. In questa area, prevalentemente pianeggiante, il regime delle acque rappresentò una complessa realtà con cui l’insediamento urbano dovette confrontarsi in quanto, data la scarsa permeabilità del terreno, la presenza di paludi risultava essere considerevole (dall’XI secolo sarà infatti denominata “le Paludi” o “le Padule”). Così, l’orografia del territorio ha rappresentato, sin dalle origini, il limite naturale della città che ha manifestato una spontanea tendenza ad espandersi verso occidente, nonostante le asperità del suolo. Infatti, il prevalente carattere malsano dei luoghi convinse re Carlo I d’Angiò (1226-

1285) a trasferire dall’area di Castel Capuano alle Paludi l’attività insalubre dei fusari106, la cui opera pestilenziale non poteva più convivere con il centro cittadino che andava sempre più urbanizzandosi.

Nello stesso tempo, però, i terreni non invasi da paludi e quelli che man mano furono bonificati, cominciarono a rappresentare il presupposto per la creazione di scacchiere di orti e di sempre più numerosi mulini che, sfruttando la presenza abbondante di acqua, fecero della zona orientale la primaria fonte agricola della città di Napoli. Così, già nel XIII e XIV secolo un ulteriore progressivo prosciugamento e restringimento dei terreni acquitrinosi cominciò a delineare le linee giuda che avrebbero, poi, caratterizzato la zona orientale per buona parte della sua storia. Due erano le tendenze: da un lato si cercò di creare le premesse e le condizioni di uno sviluppo economico dell’area attraverso la crescita del settore agricolo cercando, nel contempo, di incentivare l’aspirazione dell’area ad una destinazione

106 Attività legate alla macerazione del lino e dalla canapa.

111 residenziale suburbana e, dall’altro, lungo la fascia costiera, si puntò su uno sviluppo decisivo dell’artigianato favorito dalla forte crescita demografica e dall’afflusso nella città di artigiani francesi e di molta nobiltà. Si lavoravano i metalli ed il legno, si costruivano carri e andava sempre più perfezionandosi l’arte della filatura, mentre i mulini, la cui ubicazione era condizionata dalla disponibilità di energia idraulica, provvedevano alla lavorazione di discreti quantitativi di cereali.

Ciò comportò, ancora una volta, il trasferimento definitivo dei fusari, da parte di Alfonso I d’Aragona

(1396-1458), al lago d’Agnano e, allo scopo di assicurare una stabile utilizzazione agricola dei luoghi, la cessione gratuita, da parte del sovrano, dei terreni ai coltivatori più poveri, assoggettando gli altri al semplice pagamento di un tributo in grano, paglia ed orzo.

Così, col passare del tempo e grazie al proseguimento delle opere di bonifica, nel ‘600 il termine “Paludi” perdeva la connotazione negativa di luogo malsano ed insalubre per designare, invece, i fertili “orti” dei terreni orientali di Napoli. La coltivazione della terra andava ad organizzarsi intorno a di piccoli insediamenti rurali ubicati presso le principali strade di comunicazione, i cosiddetti “Casali”.

Il complesso delle attività dell’area orientale, nei secoli successivi, andò via via modificandosi e così accanto alla campagna si sviluppò un’attività manifatturiera sempre più consistente. Tuttavia tali attività furono protagoniste, in questa epoca, di periodi di grande splendore ed altri di grande depressione in concomitanza di crisi politiche, carestie ed epidemie. La decisiva rinascita dell’industria partenopea si ebbe, però, alla fine delle guerre napoleoniche. Infatti alla restaurazione borbonica, gli artigiani di Napoli si trovarono nella necessità di adeguare le proprie produzioni alle mutate richieste del mercato e di sostenere la concorrenza delle più organizzate industrie straniere. Il governo, pertanto, iniziò una politica protezionistica emanando una serie di leggi volte a favorire le industrie locali e riguardanti esenzioni fiscali e divieti di importazione, ponendo le basi per i primi episodi di insediamento industriale.

112

Nel 1779 sorse il primo “opificio” industriale: la sterminata fabbrica dei Granili, autentica megastruttura borbonica destinata a silos di grani, fabbrica di cordami e deposito di artiglierie, andata distrutta nell’ultima guerra.

La connotazione dell’area orientale quale polo industriale manifatturiero della città continuò a definirsi nel corso della prima metà dell’800, in virtù di alcuni aspetti che favorirono la localizzazione degli stabilimenti produttivi: la prossimità al mare, la vicinanza alla città, l’elevata concentrazione di manodopera nell’area. A ciò si aggiungeva inoltre la politica di intervento di Ferdinando I che, intorno agli anni ’20 del XIX secolo, agevolò il commercio modificando le tariffe doganali e concesse favori e premi agli imprenditori che avessero insediato nell’area nuove industrie. Nella riorganizzazione della struttura urbana di

Napoli in funzione delle nuove esigenze di una città modernamente intesa si deve a

Ferdinando II di Borbone l’individuazione dell’area orientale napoletana nel 1839 quale base per l’espansione della città. Tale risistemazione fu supportata dalla costituzione di assi di una nuova trama viaria e successivamente dalla presenza delle stazioni e dalle linee ferroviarie e, a partire dal 1878, dall’ampliamento delle attrezzature portuali. Era ormai definita la griglia di supporto del futuro ampliamento, venendo nel contempo a prefigurarsi la sua destinazione operaia, in relazione al sempre maggiore sviluppo dell’area industriale. Accanto all’industria tessile fioriva anche quella meccanica. Il grande polo siderurgico e metalmeccanico di

Pietrarsa fondato nel 1840, fu affiancato da piccoli e grandi opifici nella zona del Ponte della

Maddalena a S. Giovanni a Teduccio, nonché dall’impianto di produzione matalmeccanica di

Zino & Henry – sorto nel 1834 per la costruzione di prodotti di ferro fuso di ogni genere, vagoni, locomotive, caldaie per battelli a vapore – e quello di Richard Guppy, fondato sul principio degli anni ’50.107

Una maggiore concentrazione di opifici industriali appare nella zona sud-orientale dove sorgeva la fabbrica Guppy che impiegava all’epoca circa 1.500 operai. Tra questi spicca in

107 Tra i molti altri opifici industriali del settore metallurgico si possono ricordare: la fonderia di Francesco de Luca, la fabbrica Meuricoffre, per balestre di vagoni ferroviari, la fonderia CCTT Pattison, le fabbriche Parodi e Baux, la fabbrica dei carrozze Bottazzi a S. Erasmo ai Granili

113 tutta la sua smisurata estensione anche l’edificio dei Granili e lo stabilimento di Pietrarsa, il colosso dell’industria statale del tempo.

Così, questo ramo industriale del napoletano assunse, in breve tempo, una tale importanza che verso il 1840 contava già 6-7000 addetti, cioè un terzo del totale degli addetti in tutta Italia.

Notevole importanza assumeva anche la lavorazione delle pelli; nel 1864, nella sola provincia di Napoli si contavano 21 di tali fabbriche, di cui ben 16 nei pressi del ponte della

Maddalena, dove erano state dislocate da Piazza Mercato, che le accoglieva sin dal XIV secolo, in un quartiere specificamente destinato alla loro lavorazione. In questo ambito la produzione dei guanti era riservata esclusivamente alle operaie che svolgevano l'attività nelle proprie abitazioni. A carattere artigianale era infine la produzione di altri oggetti di uso quotidiano quali le scarpe, i cappelli, le stoviglie o i mobili. Così, sin dagli inizi, prende forma quella particolare struttura dimensionale dalla netta dicotomia tra grandi e piccole unità produttive che ancora un decennio fa costituiva una delle caratteristiche più importanti del sistema d’imprese nell’area.

Lo sviluppo industriale della zona orientale prosegue, con alterne vicende, anche nella seconda metà dell’800 ma, con l’avvento dell’Unità d’Italia una parte dell’industria presente nell’area entrò in crisi, in quanto molte imprese non seppero inserirsi, per una serie di motivi, nell’economia nazionale. Una prima ragione di questa decadenza è da ricercarsi nello scarso spirito d’iniziativa degli imprenditori locali, che non riuscirono ad entrare efficacemente nel gioco della concorrenza abituati ad usufruire di agevolazioni fiscali e daziarie derivanti dalla politica protezionistica borbonica. Altre ragioni che contribuirono a porre in crisi l’industria partenopea furono la poco avveduta politica economica del governo, che non seppe inquadrare e risolvere i gravi problemi del nuovo Stato, la lontananza delle materie prime, la povertà delle nuove fonti di energia idroelettrica, la mancanza delle commesse statali.

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Perfino i più noti stabilimenti di Pietrarsa e dei Granili, che si erano fusi nel 1863 con la prospettiva di una più valida ed efficiente organizzazione produttiva, passarono, nel 1877, sotto la gestione dello Stato, nell’ultimo tentativo di evitare il tracollo finale.

Nonostante tutto si cercò di dare una sistemazione articolata e razionale allo sviluppo dell’area orientale attraverso la stesura di articolati piani di programmazione urbana tesi a favorire lo sviluppo e la crescita industriale del luogo.

A cavallo dei due secoli, oltre al settore meccanico, si diffusero in modo consistente iniziative nel settore chimico, del legno, della grafica, delle calzature, del vetro. E’ in questi anni che nasce lo stabilimento della Cirio a San Giovanni a Teduccio (1900) che fu la prima ad attuare su scala industriale il processo di conservazione dei prodotti alimentari in scatola.

Tuttavia la crescita dell’apparato produttivo avvenne nel più grave disordine urbanistico, mancando un piano organico rivolto a raccordare la localizzazione dei nuovi insediamenti industriali con il potenziamento della rete infrastrutturale ed il risanamento ed adeguamento del sistema insediativo storico. Nascono disordinatamente piccole e grandi aziende, con esigenze diverse e attività spesso incompatibili, nocive e pericolose.

La crisi industriale di Napoli, però, era così grave che la Camera, nella seduta del 17 dicembre 1901 riconobbe tale emergenza come problema nazionale. Fu, pertanto, emanata l’8 luglio 1904 una legge speciale, detta del “Risorgimento Economico di Napoli” che istituì la

“zona industriale” e stabilì provvidenze ed agevolazioni per l’industria. Furono determinate le condizioni per rendere conveniente per gli industriali stranieri e specialmente per quelli del

Nord – Italia l’impiego di nuovi capitali a Napoli e quindi nella sua area industriale orientale.

La “legge per Napoli” fu un successo, tanto che in poco tempo pervennero quasi sessanta richieste di insediamento per un valore complessivo di investimenti, attualizzato, di quasi 200 miliardi.

Nel 1925-26, per effetto della politica urbanistica fascista, tendente a creare grandi aree urbane come sistemi integrati autarchici, avviene l’annessione al comune di Napoli dei

115 territori di alcuni comuni limitrofi tra cui quelli di Ponticelli, Barra e San Giovanni a

Teduccio.

A partire dal primo dopoguerra, il territorio della zona orientale è stato tagliato e frammentato dalla costruzione di una serie di grandi opere infrastrutturali, che hanno completamente ignorato il sistema di relazioni che ancora caratterizzava la sua armatura urbana. Viene realizzata l’autostrada Napoli-Salerno, il cui tracciato, affiancandosi a quello della circumvesuviana, rafforza irrimediabilmente la barriera fra Barra e Ponticelli. Manca un piano organico di urbanizzazione e dal secondo dopoguerra in avanti il processo di espansione caotica e disordinata della zona orientale si accentua, interessando soprattutto il settore residenziale. I vecchi impianti si trasformano e ne nascono di nuovi ma con disordine per l’urgenza di dare occupazione alle forze di lavoro inattive, cresciute con il forte aumento della popolazione. Gli antichi casali, coinvolti dalla incontenibile crescita urbana di Napoli, subiscono un progressivo processo di “periferizzazione” rispetto alla città stessa. Viene rotto l’equilibrio fra popolazione, attività e mobilità che caratterizzava il preesistente sistema insediativo ed i centri abitati perdono la propria autonomia ed identità urbana e si trasformano in zone subalterne e marginali alla città, in squallidi e degradati dormitori per gli strati sociali più deboli. Nascono i nuovi rioni di edilizia popolare e ad essi si aggiunge l’edilizia privata, prevalentemente abusiva. La periferia così diventa il contenitore di tutto ciò che viene espulso dalla città o creato a servizio della stessa, senza tenere presenti i problemi specifici del suo territorio e le leggi di edilizia popolare 167/62 e 219/81 furono, in tal senso, le principali cause.

Al contempo l’apparato industriale, che si era venuto formando nell’arco di oltre un secolo, comincia a manifestare chiari segni di crisi dovuti sia alla fragilità aziendale, sia alla obsolescenza tecnologica, sia ai limiti urbanistici che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’area orientale.

Da indagini recenti svolte sulla struttura industriale dell’area orientale, è emerso che la dismissione di numerosi impianti è dovuta alla delocalizzazione dell’impresa in aree meglio organizzate e attrezzate, alla mortalità aziendale. Inoltre, le aree dismesse, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, difficilmente vengono riutilizzate da altre imprese, il più delle volte rimangono inutilizzate in attesa di un incremento del loro valore dovuto alla rendita di posizione.

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D’altra parte la forte espansione edilizia dell’area orientale, ha progressivamente avvicinato l’abitato alla zona industriale ed ha reso sempre più incompatibile la permanenza di alcuni impianti, che svolgono attività inquinanti, insalubri e pericolose.

Si pone oggi un serio ed urgente problema di ristrutturazione produttiva che richiede un’attenta riflessione sugli obiettivi, sui metodi e sugli strumenti da utilizzare.

117

PARTE 4Conclusioni

4a Caratteristiche del tessuto produttivo delle aree oggetto di ricerca. di Immacolata Voltura

Il lavoro fin qui svolto ci ha permesso di conoscere il tessuto produttivo presente nelle due aree individuate. Le zone interessate, pur con gli elementi di differenziazione che le caratterizzano, si presentano piuttosto “omogenee” in relazione alla vocazione produttiva.

Sono presenti infatti le attività legate alla lavorazione del ferro e del legno ed in particolare, per l’area nord, si rileva una discreta presenza di imprese del settore calzaturiero, della piccola pelletteria, nonché di industrie alimentari e delle bevande.

Dall’indagine svolta sul campo non emerge una spiccata identità produttiva che ne caratterizzi l’area, ma ci si è trovati di fronte una realtà variegata, composta da differenti attività artigianali o manifatturiere, che sono alla base dell’economia della zona. Ciò richiede quindi un intervento rivolto a più comparti della piccola impresa, che possa affrontare alcune problematiche comuni108 allo scopo di irrobustire e rafforzare le attività produttive locali.

La ricerca ha individuato le attività produttive presenti in ciascuna circoscrizione, evidenziando, in particolare per Barra e Ponticelli109, la presenza di imprese per la lavorazione del metallo seguite, da quelle del legno, della fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchi meccanici mentre la circoscrizione di S. Giovanni a Teduccio, risulta caratterizzata anche dalla presenza di industrie alimentari.

Nell’area nord invece, le attività prevalenti riguardano il settore alimentare, con la presenza di un discreto numero di laboratori di panificazione e di pasticceria e l’industria del cuoio e della pelle per la lavorazione di scarpe, borse e piccola pelletteria110. Di un certo

108 Regolarizzazione dei dipendenti, adeguamento igienico sanitario dei locali, valutazione dei rischi ed applicazione dell’attuale normativa riguardante la sicurezza sul lavoro (D. Lgs. 626/94), accesso al credito ecc. 109 Anche se quest’ultimo risulta il quartiere più popoloso ed emerge, con forza la tipica connotazione residenziale. 110 In particolare le circoscrizioni di Chiaiano e Miano risentono dei benefici influssi derivanti dall’indotto del settore calzaturiero presente in alcuni comuni limitrofi come Mugnano, Arzano, ecc., Infatti, soprattutto nei periodi di massima produzione, fungono da importante serbatoio di manodopera specializzata nella lavorazione

118 rilievo appare la concentrazione di imprese per la lavorazione del legno111 e per la produzione di lampadari concentrate in particolare nella circoscrizione di Secondigliano112.

Il panorama che si è aperto ai nostri occhi ha evidenziato delle specializzazioni produttive interessanti, anche se non sono stati riscontrati dei veri e propri ispessimenti produttivi.

L’analisi condotta sul campo, talvolta attraverso un riscontro capillare sul territorio, ha rilevato la presenza di numerose imprese, spesso di piccolissime dimensioni113, ma nel contempo vitali e dinamiche, capaci di innescare, se opportunamente “potenziate” meccanismi di sviluppo autopropulsivo. Si tratta in generale di attività che sono alla seconda generazione (quelle maggiormente strutturate) o imprese dove il titolare, dopo un periodo di

“apprendistato”114 presso attività della zona, ha poi deciso di mettersi in proprio. In ogni caso si tratta di soggetti che hanno maturato la conoscenza del settore lavorando sin da piccoli ed accumulando un’esperienza decennale, mentre più raramente si sono riscontrate attività totalmente “improvvisate”.

Le interviste somministrate agli imprenditori ed agli interlocutori privilegiati hanno posto in risalto un legame molto stretto con il territorio, una rapporto talvolta definito di “amore- odio”. Il radicamento infatti produce effetti benefici sulle attività economiche sia per fronteggiare la microcriminalità115 ma soprattutto per l’assunzione di manodopera locale “più fidata”116 e disponibile ma nel contempo “ingessata” in un rapporto di parentela o di conoscenza con il titolare che genera distorsioni nel mercato del lavoro in quanto si preclude

delle pelli e del cuoio. La loro presenza è poco visibile in quanto tali attività vengono svolte presso laboratori artigianali ed in particolare nelle proprie abitazioni, poiché lo svolgimento di alcune fasi del processo produttivo, come ad esempio l’orlatura delle tomaie, non richiede spazi estremamente ampi. 111 In particolare cornici, mobili, porte ecc. 112 La produzione di lampadari di Secondigliano ha trovato una identità ed un legame con le numerose attività commerciali (vendita al dettaglio ed all’ingrosso) presenti nella vicina Melito. 113 Non mancano inoltre imprese più grandi con 30 – 40 addetti. 114 In tali casi i soggetti imparano un mestiere, ma lavorando a nero non maturano alcuna specializzazione o qualifica professionale, pertanto potranno porsi sul mercato del lavoro, per lungo tempo, solo come apprendisti. 115 Dai colloqui intercorsi con alcuni testimoni privilegiati sembra che la criminalità non aggredisca “direttamente” le imprese, soprattutto le più piccole, attraverso le estorsioni, che sono invece costrette a fornire gratuitamente piccoli servizi e favori. Inoltre entra in gioco il meccanismo del radicamento e della conoscenza per il quale nel quartiere “ci si conosce tutti” e questo spesso rappresenta una garanzia di sicurezza. 116 Poco incline ad istruire vertenze di lavoro o rivolgersi ad organizzazioni sindacali per salvaguardare i propri interessi.

119 ogni possibilità di turn over117 e crea difficoltà nel reperire figure professionali specializzate che talvolta, la manodopera locale non riesce a fornire.

Dall’indagine condotta si è riscontrata l’esistenza di una gran quantità di lavoratori a nero, il rapporto ovviamente varia da impresa ad impresa118, ma è più o meno ricorrente in quasi tutte le attività produttive contattate. Per usare una espressione del prof. Luca Meldolesi, siamo in presenza di un sistema di imprese al “caffellatte” dove tutte le sfumature (dal caffè nero al latte macchiato), indicano i diversi gradi di irregolarità riferita non solo alla manodopera ma all’intera attività produttiva.

Se prendiamo in considerazione i luoghi di produzione infatti, riscontriamo una realtà variegata dove convivono capannoni di grandi dimensioni, adeguati alle norme sulla sicurezza dei lavoratori e scantinati o garages dove mancano i requisiti igienico sanitari minimi, richiesti per poter svolgere qualsiasi attività produttiva.

Gli imprenditori di entrambe le aree considerate, hanno comunque evidenziato uno spiccato individualismo, risultano infatti sporadici o del tutto assenti, i rapporti con le associazioni di categoria. Essi non riescono a considerare le associazioni quale utile elemento di aggregazione, di confronto su problematiche comuni e di scambio di informazioni talvolta preziose per lo sviluppo e la crescita della propria impresa. Emerge purtroppo che, in alcuni casi, i dubbi degli imprenditori si sono rivelate certezze, quando tali organizzazioni, seppur interpellate, non sono state in grado di rispondere in maniera concreta alle proprie esigenze.

Analogamente risultano piuttosto scarsi gli accordi di collaborazione e/o cooperazione tra le imprese. Tali legami intercorrono frequentemente lungo la filiera produttiva e soprattutto quando è necessario evadere una commessa piuttosto consistente, ma dimostrano tutta la loro fragilità nel momento in cui sarebbe utile beneficiare di servizi comuni, entrando nella gestione di ciascuna impresa.

117 Che resta legata al proprio datore di lavoro quasi in un rapporto di eterna “gratitudine”. 118 Vi sono infatti imprese totalmente al nero dove la regolarizzazione non investe neanche il titolare, imprese grigie nelle quali si è provveduto alla regolarizzazione di un solo dipendente (generalmente il più anziano) ma realmente ne operano almeno 5, oppure casi in cui gli irregolari affiancano, talvolta saltuariamente la manodopera ufficiale.

120

Infine, ma non ultimo, emerge un rapporto quasi inesistente con la pubblica amministrazione locale, sintomo di un abbandono del territorio, di un “lasciar fare” che però genera un ulteriore elemento di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Questo “gap” andrebbe infatti colmato con una presenza vigile dell’amministrazione, capace non solo di imporre balzelli ma anche di interloquire con gli operatori economici, creando un utile stimolo alla crescita ed allo sviluppo delle aree interessate.

4b Principali problematiche da affrontare e proposte per eventuali successive azioni di Immacolata Voltura

Il lavoro di ricerca ha evidenziato alcune problematiche comuni a tutte le circoscrizioni oggetto di indagine, che riguardano:

• il livello occupazionale,

• la mancanza di figure professionali adeguate ai bisogni delle imprese,

• l’adeguamento igienico sanitario dei locali,

• l’adeguamento alla normativa vigente in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs.

626/94),

• la sofferenza e/o insolvenza dei crediti vantati dalla clientela,

• la difficoltà di circolazione delle informazioni relative agli incentivi a favore delle piccole

imprese e delle attività artigianali.

Di concerto con l’Amministrazione Comunale concentreremo l’attenzione su un’area più ristretta, nella quale verranno sperimentate proposte concrete di politica economica, in grado di rispondere alle esigenze delle imprese, evidenziate nel corso di questa prima analisi; si provvederà infatti, a verificare l’azione dei C.U.O.R.E. (Centri Urbani Operativi per la

Riqualificazione Economica) quale strumento di sviluppo locale.

L’analisi condotta, ha preso in considerazione alcuni indicatori per la individuazione delle zone che si sono mostrate particolarmente ricettive alla creazione di un primo esperimento di

121 valorizzazione delle risorse economiche presenti sul territorio.

Abbiamo pertanto considerato la presenza o meglio la concentrazione di imprese, la numerosità delle stesse e degli addetti, l’analisi del contesto sociale e la vitalità delle attività produttive ed abbiamo individuato delle aree che appaiono particolarmente interessanti.

Nell’area nord la circoscrizione di S. Pietro a Patierno sembra candidarsi a circoscrizione pilota per un intervento integrato, dove la presenza di numerose imprese per la lavorazione del legno e del metallo individuano il settore prevalente. Analoga considerazione può essere fatta per Secondigliano per la produzione di lampadari e la lavorazione del legno.

Più omogenea da un punto di vista del settore produttivo appare invece l’area est che evidenzia nel territorio compreso tra Barra e S. Giovanni a Teduccio, le aree più interessanti e vitali per la presenza di attività legate alla lavorazione dei metalli e del legno.

Le proposte di politica economica più adatte a riqualificare le attività economiche prevedono pertanto di:

• Incentivare l’utilizzo di strumenti esistenti, per favorire l’assunzione di manodopera come

ad esempio l’applicazione della L.28/87 regionale che regola l’apprendistato.

• Formare alcune figure professionali particolarmente richieste (saldatore, carpentiere) dove

l’offerta talvolta è assolutamente insufficiente o inadeguata rispetto alla richiesta del

mercato. In tal senso si potrebbero sperimentare le “scuole – laboratorio”119 ovvero

l’opportunità di imparare un mestiere all’interno dei laboratori artigianali e nel contempo

completare tale esperienza con una formazione teorica.

119 Per ulteriori approfondimenti sull’attuazione e funzionamento delle “scuole .- laboratorio” si rimanda a: Un percorso difficile ma possibile: le attività artigianali nel centro storico di Napoli, in Rivista di Politica economica, L’Italia che non c’è Quant’è, Dov’è, Com’è, Agosto – Settembre 1998.

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• Stimolare la cooperazione tra le imprese, instaurando un clima di fiducia, ed innescando

meccanismi di collaborazione nelle realtà imprenditoriali che avvertono fortemente tale

esigenza.

• Incentivare l’utilizzo di aree dismesse, appartenenti al patrimonio dell’amministrazione

comunale, dove poter ospitare attività che attualmente sopravvivono in locali non idonei.

• Favorire l’accesso al credito bancario mediante consorzi fidi e accordi ad hoc

eventualmente previsti dalle associazioni di categoria.

• Facilitare l’utilizzo di contratti tipo in grado di agevolare la riscossione dei crediti per

ridurre lo sfasamento tra riscossioni e pagamenti.

• Creare contatti con imprese nazionali ed internazionali per incrementare i rapporti

commerciali e l’incontro tra domanda ed offerta (Banca dati, collegamento in rete).

• Progettare interventi specifici per alcuni settori prevalenti (lavorazione metalli e legno,

comparto delle pelli e del cuoio, industria alimentare, produzione di lampadari).

I C.U.O.R.E. opportunamente creati per istituire un collegamento diretto tra le imprese e l’Amministrazione comunale, saranno in grado di svolgere buona parte delle funzioni sopra delineate ed in particolare monitorare l’attuazione delle politiche di sviluppo in modo da avere sempre il polso della situazione e promuove, di volta in volta, eventuali aggiustamenti e modifiche ai diversi.

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