Storie I edizione: maggio 2018 © 2018 Lit Edizioni Srl Tutti i diritti riservati

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IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

L’attentato a Togliatti e la rivoluzione impossibile nelle carte del Governo e del Partito

Per il resto ognuno cerca la sua verità, esteticamente parlando... La mia verità, per ora, è scritta sui muri delle città... Forse la capiranno i venusiani. In caso contrario, ricominceremo da capo

MIMMO ROTELLA

La copertina dell’«Illustrazione del Popolo» del 25 luglio 1948 NOTA: i documenti qui citati sono riportati fedelmente, compresi eventuali errori di grammatica o ortografia. Mercoledì 14 luglio ore 11,40

Nel 1948, dopo settimane di un maltempo quasi autunnale, il 14 lu- glio esplose l’estate. E quattro colpi dalla canna lucente di una pistola in quella mattinata caldissima. Un colpo di rivoltella, il silenzio:

… e vidi l’aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vi- di ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e… quelli che masticavano non masticavano... quelli che stavano portando il cibo alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in al- to: ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull’acqua, ma non bevevano (Protovangelo di Giacomo, 18, 2-3).

Come un corpo invaso da un tremore interno, freddo che annuncia una gran febbre, così quel silenzio preparò il grido altissimo della giovane donna. E il grido rimise in moto tutte le cose. «Vidi cadere Togliatti a terra», Nilde Iotti ricorda, «mi precipitai, mi inginocchiai accanto a lui. Mi gettai d’istinto sul petto di Togliatti e for- se questo gesto fece deviare all’ultimo istante la mira dell’assassino... due che solo al mio grido s’erano mossi, lo portarono via». Alle ore 12 il comunicato «Ansa»:

Stamane, verso le ore 11,30, mentre l’onorevole Togliatti usciva dalla por- ta del palazzo di Montecitorio, in compagnia dell’on. Leonilde Jotti, ve- niva affrontato da un giovane, che poi si è appreso essere tale Antonio 10 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

Pallante, studente universitario venticinquenne, il quale gli sparava con- tro alcuni colpi di rivoltella – sembra quattro – tre dei quali lo raggiun- gevano in varie parti della regione toracica.

Il breve testo contiene due verbi fondativi della notizia: il primo “af- frontare”, crea una scena nella quale un giovane punta la propria ar- ma di fronte alla vittima; il secondo “sembrare”, sebbene contempli un principio di relatività, fissa esattamente il numero dei colpi di pi- stola. I due verbi insieme racchiudono il marasma della informazione e della sua frettolosa trasmissione. Altrettanto rapido, ma più circostanziato, l’annuncio della Direzio- ne del Pci:

Il 14 luglio alle ore 10,45 il compagno lasciò la Dire- zione del Partito in via delle Botteghe oscure, in automobile accompa- gnato dall’autista compagno Gemma e dal compagno Armando Rosati incaricato della sua difesa. Si recò a Montecitorio ove giunse alle ore 10,50. Qui rinviò alla sede del Partito la macchina e il compagno Rosati dicendogli di attendere al Partito la solita telefonata di richiamo. Abi- tualmente il compagno Togliatti usciva da Montecitorio dalle 12,30 alle 13, e prima di uscire telefonava al Partito per richiamare la macchina e il suo accompagnatore. Il 14 luglio, entrato a Montecitorio alle 10,50, for- se non avendo trovato la discussione importante, ne uscì quasi subito. E precisamente entrato nell’aula alle 11,10 ne uscì alle 11,20.

Quando Togliatti esce dall’aula è in corso l’interrogazione del deputa- to Leone Marchesano sulla crisi delle aziende giornalistiche, cui sta ri- spondendo Giulio Andreotti, sottosegretario alla presidenza del Con- siglio. Riprende il comunicato del Pci:

Uscito dall’aula va a ritirare la posta, prende un caffè nel bar di Monte- citorio e infine alle 11,40 assieme alla compagna Nilde Iotti si avvia ver- so l’uscita in via della Missione 4. Generalmente usciva dal Parlamento da via della Missione 4, rare volte dal n. 10 di piazza Montecitorio. Al- l’uscita fatti alcuni passi, gli furono sparati dietro alle spalle quattro col- pi di rivoltella. Uno andato a vuoto, l’altro lo colpì alla nuca, il terzo al polmone e il quarto al fianco gli venne sparato quando era già a terra. MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 11

Il comunicato della Direzione rimodifica il fermo immagine del fat- taccio: l’orologio è sulle 11,40 non sulle 11,30 e l’assassino non è di fron- te, ma alle spalle della sua vittima, sulla quale egli infierisce quando que- sta è già a terra. Dunque l’intenzione era quella di finirlo, nella luce accecante di un giorno di luglio, lo stesso che due secoli prima aveva dato la squilla al mondo occidentale reclamando liberté, egalité, fraternité. Un’offesa alla ricorrenza tanto più grave in quanto forse casuale o almeno non richiamata dall’attentatore, né dai commentatori. Bel colpo, però, es- sere ricordato insieme alla Rivoluzione Francese! Anche il ministero dell’Interno rilascia un comunicato, anch’esso co- me il precedente conservato alla Fondazione Gramsci nelle Carte ri- servate 1944-49. Il documento, datato a mano 14 luglio 1948, è pro- dotto, probabilmente, a pomeriggio inoltrato. Il ministero dell’Interno comunica: «Oggi alle 11,30 circa, mentre l’on. Togliatti usciva dal Palazzo di Montecitorio, dall’ingresso di via della Missione, accompagnato dall’on. Leonilde Jotti, un giovane, do- po averlo seguito per alcuni passi, gli esplodeva contro quattro colpi di rivoltella…». Sulla scena le lancette dell’orologio vengono quindi riportate sulle 11,30 e l’attentatore ricollocato alle spalle di Togliatti, non davanti o di fianco come in alcune cronache e nella copertina de «La tribuna il- lustrata» del 25 luglio, che mostra una donna, generica, sulla soglia di via della Missione, distante da Togliatti e, alla sua sinistra, l’attentatore in atto di sparargli. Inoltre, a differenza del comunicato della Direzio- ne Pci, che al riguardo tace, quello del ministero rappresenta l’attenta- tore in movimento. Prosegue il testo ministeriale:

L’on. Togliatti veniva prontamente ricoverato all’istituto di Patologia chi- rurgica della Università e subito operato. Le condizioni generali si man- tengono buone. Il giovane attentatore, arrestato immediatamente dai carabinieri in servizio in via della Missione, veniva identificato per Pal- lante Antonio Domenico di Carmine, nato a Bagnoli Irpino (Avellino), il 3 agosto 1923, domiciliato a Randazzo, studente del quarto anno di Giurisprudenza all’Università di Catania. Accompagnato al commissa- riato di Ps ha dichiarato di essere venuto a Roma appositamente per com- piere l’attentato, nel quale non ha avuto né complici, né ispiratori, né col- 12 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

laboratori, avendo maturato il proposito attraverso il suo convincimen- to politico. Ha appartenuto alla sezione del Partito Liberale di Randaz- zo, da cui ha dichiarato di essersi dimesso nel 1947, affermando di non far parte al momento di alcun partito. Dalle indagini sinora esperite ri- sulta in modo inequivocabile che si tratta di doloroso e condannabile epi- sodio con responsabilità individuale già accertata e che l’attentatore non ha avuto alcun complice nell’esecuzione del delitto.

Sono trascorse poche ore e si parla di responsabilità individuale già accertata, come si avesse fretta di passare oltre, certi che nessuno oserà mettere in dubbio la responsabilità individuale e la mancanza di com- plici nel misfatto. Il documento continua:

In conseguenza dell’attentato si son avute sospensioni di lavoro e mani- festazioni di protesta organizzate dal Pci che in alcuni centri hanno de- generato in violenza, provocando vittime tra le forze di Ps e civili. Si deb- bono lamentare a Livorno un agente di Ps ucciso, due carabinieri e altro agente ferito e 4 feriti fra i dimostranti. A : 20 agenti contusi e feriti tra cui un funzionario di Ps e 4 feriti fra i dimostranti. A Taranto: un morto e 5 feriti tra i dimostranti e due agenti feriti di cui uno grave- mente. A La Spezia: 7 agenti feriti e due dimostranti. A Napoli: due mor- ti fra i dimostranti e 13 agenti feriti. A La spezia, Savona, Torre Annun- ziata, a Barra in provincia di Napoli sono state devastate le sedi Dc.

La copia finisce così, con notizie nuove in arrivo. Fra i due comunica- ti c’è una disparità di ben dieci minuti, che diventano anche di più stando alla testimonianza di Leonilde Iotti resa al Pci, o a un articolo di «Rinascita» del 1954, dove il crimine è collocato alle ore 11,50. Il ministero dell’Interno nel suo bollettino, tuttavia, fa molto più che disegnare il teatro del crimine: fornisce una spiegazione compiuta dell’azione e del suo attore. E così facendo ha l’agio di passare oltre, aggiustare la mira in direzione del vero peso dell’attentato, ossia alle sue ripercussioni. Ma tanta fretta di chiudere il fascicolo non può soddi- sfare il più organizzato e grande Partito Comunista dell’Europa occi- dentale, i suoi due milioni di iscritti ai quali hanno cercato di ammaz- zare un segretario carismatico, rientrato in Italia, dopo un ventennio di esilio, da soli quattro anni. MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 13

La macchina del Partito si mette in moto, affida indagini più ap- profondite alla solerzia della propria vigilanza, a Giulio Seniga, che molto più del suo capo Pietro Secchia sognava la lotta armata e che, evi- dentemente deluso da un Pci a vocazione parlamentare e democrati- ca, preferirà, nel luglio 1954, fuggire in Svizzera con la cassa del Parti- to, peraltro – secondo in una intervista a «L’E- spresso» del 25 febbraio 1978 – mezza vuota, «perché le somme prelevate erano depositate in valigie chiuse affidate a compagni che non ne conoscevano il contenuto». Queste le ferree leggi della clandestinità. Il Partito inizia a raccogliere le dichiarazioni dei testimoni oculari e comincia da Leonilde Iotti, – il cui cognome nel corso di un trenten- nio ha perso la J iniziale deprivandolo della sua nobile patina antica, sopravvissuta in cognomi di più nobile lignaggio – detta Nilde, di anni 28, deputata di , una delle ventuno donne Costituenti, più giovane di Togliatti di 27 anni, con la quale il Migliore vive ormai da cir- ca un anno, dopo aver lasciato Rita Montagnana da cui ha avuto il fi- glio, Aldo. Un rapporto che non può dirsi clandestino ma nemmeno ufficiale, un rapporto scandaloso e non per la rilevante differenza di età – che ai tempi non destava scalpore – ma per l’adulterio, poiché l’uomo è spo- sato e a norma dell’art. 560 del codice penale – dichiarato costituzio- nalmente illegittimo solo nel 1969 –, è reato tenere un’altra donna, una “concubina”, nella casa coniugale o “notoriamente altrove”. Né Togliatti ha tenuto nascosto a sua moglie Rita di essersi innamorato della giovane deputata emiliana. Una relazione scomoda, complessa, eppure costruita, come dirà Nilde tanti anni dopo, per desiderio di nor- malità. Una naturalezza del cuore, una quotidianità, tutto sommato borghese, fatta di serate in casa a chiacchierare, sentire musica, condi- videre la giornata, leggere un libro. La norma, nelle coppie dei comu- nisti, formatesi sotto il fascismo e nella clandestinità – come quella di Togliatti e Montagnana o quella di Luigi Longo e Teresa Noce –, non poteva che essere, invece, la lontananza, l’incrociarsi tra una missione e l’altra, la deprivazione dell’intimità, i sussulti nel buio, simili al colpo provocato da un grido acuto improvviso e inspiegabile. Ma l’aspira- zione alla normalità della coppia Togliatti-Iotti, nell’Italia del 1948, ri- schiava di essere più lontana del sole dell’avvenire. Dichiarazione di Nilde Iotti, raccolta a Botteghe oscure: 14 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

Il giorno dell’attentato Togliatti arrivò al Parlamento verso le dieci e cin- quanta e credeva ci fosse una discussione importante. Costatato il con- trario uscì dalla sala verso le 11 e 20, si soffermò nel corridoio con Frat- tarelli e Marchesi, prese un caffè, ritirò la borsa e verso le 11,40 si avviò verso l’uscita di via della Missione 4. All’uscita arrivato all’altezza della macchina di Pacciardi di dietro gli spararono tre colpi (pensa: il primo al polmone, il secondo alla testa, il terzo andò a vuoto). La Jotti si voltò agli spari e vide una persona che avanzava, (non sapeva chi era) si avvicinò e sparò il quarto colpo a Togliatti già a terra. Durante i quattro spari nes- suno della polizia si mosse, solo dopo le sue grida gli agenti si mossero e acciuffarono l’assassino. Quindi atteggiamento passivo della polizia. Il Pallante era in istrada ad aspettare, fermo. Togliatti trovò nella casella postale un foglio rosa dove gli chiedevano un colloquio ma come al soli- to lo gettò via. La Jotti crede che il foglio fosse stato del Pallante.

La ricostruzione in base alla quale ella si gira e vede avanzare l’attenta- tore e subito dopo sostenere che questi era in strada ad aspettare, è so- lo apparentemente contraddittoria. L’estensore della nota, “interpreta e traduce” la Iotti, la quale intende dire che, dopo lo sparo, Pallante non cerca di fuggire ma resta fermo, in attesa d’essere agguantato dai due carabinieri presenti sul posto. Nilde Iotti, accennando alla abitudine, non proprio onorevole, di disfarsi delle richieste di colloquio, erroneamente attribuisce a Pallan- te quel foglietto rosa da Togliatti accartocciato e gettato via. Antonio aveva cercato, effettivamente, di essere ammesso alla pre- senza di Togliatti, ma dagli uscieri del Parlamento era stato rinviato al- la sede nazionale del Pci, in via delle Botteghe oscure, dove egli si era recato il 13 luglio. In portineria aveva lasciato un biglietto indirizzato all’onorevole Palmiro Togliatti: «Io, Antonio Pallante, proveniente dal- la Sicilia, ho urgente bisogno di conferire con l’on. Togliatti. I motivi e l’urgenza della richiesta mi riservo di specificarli di persona qualora l’esimio dirigente del Pci onorerà di un suo benevolo accoglimento la presente richiesta». Una grafia con ben temperati svolazzi, per un biglietto all’antica, untuoso, da suddito, mirante a solleticare una presupposta vanità del politico, esimio dirigente. Ah! Poter parlare a tu per tu con il capo dei comunisti italiani, an- MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 15 che per il tempo di un solo “buongiorno, onorevole”, prima di estrar- re la pistola e scaricargliela in faccia! O magari sul suo cuore di sancu- lotto. Chissà se la richiesta di colloquio nascondesse la speranza di non dover sparare e tornare a casa con le medaglie sul petto per aver conversato e addirittura convinto un così illustre personaggio a desi- stere dal partecipare alle riunioni del Cominform, ad abiurare gli idea- li comunisti, sconfessare l’Urss, diventare un nazionalista. Sarebbe, in- fine, bastato il semplice oltrepassare la soglia del palazzone rosso, sede della Direzione nazionale del Pci, le impenetrabili Botteghe oscure, per assicurargli il rispetto dei suoi paesani. Nell’atrio della Direzione, fresco e accogliente, affabili e scettici com- pagni della vigilanza gli dicono, invece, che non si sale immediatamen- te negli uffici, per essere ricevuti ci vuole tempo, almeno quattro o cin- que giorni. L’azione, dunque, dovrà essere trasferita su un palcoscenico di più ampie dimensioni. Il Pci non si limita a interrogare i soli testimoni oculari, ma cerca di ricostruire la successione dei movimenti di Togliatti il 14 luglio, quan- do al mattino lascia la stanzetta segreta e segregata del sesto piano, nel sottotetto di Botteghe oscure, dove vive con Nilde. Dopo la Iotti, viene chiamata a testimoniare la guardia del corpo del Migliore: Armando Rosati, quarantenne, carpentiere romano, de- tentore, come e Massimo Caprara, di regolare porto d’armi. Armando Rosati, detto Armandino, nelle cronache è rappre- sentato piangente in un angolo nel corridoio del Policlinico, mentre sus- surra: «Avrei dovuto prevederlo, lo so che non sopporta la scorta, non è la prima volta che mi scappa e invece sono rimasto ad aspettarlo da- vanti al portone principale. Colpa mia, non potrò mai perdonarmelo». Ma mettergli in bocca una sua sosta davanti all’ingresso principale di Montecitorio è arbitrario, tanto quanto affibbiargli un senso di colpa. Prosegue la dichiarazione di Armandino:

Il giorno dell’attentato, Togliatti scese dal Partito per andare in Parla- mento alle 10,45. Venne condotto dall’autista Gemma e poi, come al solito, ricevette l’ordine di andare al Partito ad aspettare la telefonata di richiamo. Generalmente usciva dal Parlamento da via della Missione 4, raramente dal numero 10. Usciva da Montecitorio dalle 12,30 alle 13. Dal 16 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

Parlamento, Armando veniva regolarmente chiamato con telefonata, arrivava e aspettava che Togliatti uscisse.

Non poteva essere quindi a Montecitorio con la macchina alle 11,30. La testimonianza prosegue, sebbene in terza persona, come fosse la risul- tante di più voci:

Nei primi tre anni il servizio da lui svolto è sempre stato normale. To- gliatti non fece mai scherzi per sfuggire alla sua sorveglianza. Nell’ulti- mo anno la cosa non andava più bene; il motivo è noto. Sovente Ar. si è bisticciato con la Jotti perché affermava che bastava lei per difenderlo. Nell’ultimo anno fece diverse scappatelle: - Una domenica è andato a Ostia in treno. - Sotto elezioni 18 aprile passeggiava per via Nazionale. - Di sera sovente usciva per andare a passeggio od andare a mangiare in ristorante. - Diceva ad Armando di aspettarlo in un portone con la macchina e poi usciva per un’altra porta. - L’ultima domenica prima dell’attentato, Armando lo aspettava sul por- tone centrale del Partito, invece Togliatti uscì dalla porticina posteriore e andò in una trattoria di Campo de’ Fiori a cenare.

Oltre al dolore per il sangue versato dal suo Capo, indiscutibilmente amato, fa capolino, nelle parole del Rosati, la rabbia per lo scacco in- ferto alla sua professionalità, che ne faceva il primo tra i vigilanti. Non è colpa sua: Togliatti è diventato un monello, indisciplinato e pericolo- so. L’estensore della nota si vergogna di doverlo scrivere, ricorre a una parafrasi di sapore manzoniano: «il motivo è noto». È il motivo inno- minabile di nome Nilde Iotti. È così noto questo motivo che «l’Unità» nelle sue prime uscite dopo l’attentato, tace la presenza della giovane a fianco di Togliatti. La dichiarazione dell’Armandino riassume così tutta la gelosia e l’avversione del Partito per questa giovane che ha “insidiato” il tran- quillo, disciplinato e misurato caos quotidiano del Palmiro. Peraltro una giovane di nemmeno trent’anni, sfrontata, che osa opporsi alle cu- re vigili dell’Armando, costretto ad alzare la voce, forse a ricorrere a pesanti espressioni, parole da bisticcio, da ricacciare prontamente in MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 17 gola. Questa donna, praticamente una ragazza, pretende di difendere, nemmeno fosse Giovanna d’Arco, lei, solo lei, Togliatti, sebbene per di- sposizione del Partito, ossia l’entità suprema, il Segretario dovesse sem- pre essere accompagnato non solo dalla guardia del corpo ma anche da un deputato. Misura talmente proiezione di paure mai sopite, di una lunga clandestinità, antica – e sospettata anche futura –, da provo- care in Togliatti un rifiuto. Fino a non poterne più e a scrivere, il 23 apri- le 1951, una lettera alla segreteria del Pci per dire, ma basta con que- sta storia del deputato che mi deve accompagnare, d’altronde vivo già con una deputata, usiamo meglio le nostre forze. E, senza citare espli- citamente i fatti del quarantotto, egli rivendica, nella stessa lettera, di aver dimostrato di essere, lui, il più calmo in caso di incidenti. Del re- sto aveva passato una vita a impartire lezioni di calma, come dirà Rug- gero Grieco in un articolo dell’agosto ’48 su «Vie nuove»:

Calma, che non è indifferenza, ma fiducia nella giustezza della linea de- sunta dall’analisi approfondita di una data situazione e la ripulsa di ogni concessione all’isterismo politico deleterio alla causa della rivoluzione e talora… maschera della provocazione e del tradimento.

Dunque l’Armandino aspettava a Botteghe oscure la chiamata per an- dare a riprendere Togliatti il quale, anche secondo la sua dichiarazio- ne, era solito uscire non dalla piazza del Parlamento, ma da via della Missione 4. Una consuetudine nota. Così sembra risultare anche dai ricordi di Nilde Iotti, un anno dopo l’attentato, quando ancora «l’Europeo» si riferiva a lei come alla “se- gretaria” di Togliatti:

Uscivamo insieme quella mattina del 14 luglio verso le undici e mezzo Togliatti ed io dal Parlamento. La seduta non presentava grande interesse ed entrambi di comune accordo l’avevamo lasciata per recarci alla sede del Partito… parlando tranquillamente fra di noi giungemmo alla pic- cola porta di via della Missione. Avevamo percorso soltanto pochi metri e all’improvviso qualcosa di pauroso stagnare nell’aria offuscandone la luce; che cosa erano quei due-tre scoppi che risuonavano alle nostre spal- le, così vicini a noi? Vidi Togliatti cadere a terra; mi precipitai, mi ingi- nocchiai accanto a lui. In quell’istante un’ombra oscura ci fu accanto, io 18 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

intravidi la canna lucente di una pistola. Mi gettai d’istinto sul petto di Togliatti forse questo gesto fece deviare all’ultimo istante la mira del- l’assassino e colse il nostro compagno solo di striscio sul fianco. Allora gridai con tutta la mia voce. È strano ma, nel ricordo, tutto ciò è avvenuto come se fosse isolato dal tempo e dallo spazio. Io non so quanti attimi sia- no trascorsi o quante ore. La vita intorno si era fermata: non c’era il ru- more della città operosa, c’era solo un grande silenzio e, in quel silen- zio, quegli scoppi paurosi sul nostro compagno caduto. Il suono stesso della mia voce mi ridiede la sensazione della realtà e quel grande silen- zio si ruppe: io vidi allora il volto dell’assassino quando due carabinieri, che solo al mio grido si erano mossi, lo portarono via. Togliatti era a ter- ra con gli occhi chiusi, inerte, morto. Io non posso dire ciò che ho pro- vato allora: dopo abbiamo tutti sofferto e a sperare ci pareva che la no- stra sofferenza fosse anche una forza che potesse salvare il nostro com- pagno. Allora ero sola e lo pensavo morto: ebbene non mi vergogno a dirlo, io ho visto morire mio padre e mia madre, ma non ho sofferto co- sì, non mi sono sentita così sola e disperata e impotente come in quell’i- stante. Misi la mano sotto la sua testa e la sentii bagnarsi di sangue. La ritrassi adagio e in quell’istante Togliatti aprì gli occhi: erano i suoi oc- chi penetranti tranquilli di sempre, gli occhi di Togliatti vivo, che mi guardavano sereni. Mi sentii, all’improvviso, dopo l’orribile angoscia, una strana calma dentro: io seppi in quel momento, nel modo più sicu- ro, che Togliatti sarebbe vissuto («Vie nuove», 19 luglio 1949).

A riprova della consuetudine di uscire da via della Missione, c’è dun- que quel parlare fra loro, guidati dalle gambe, seguendo un percorso abituale. Non sono confermati i ricordi del repubblicano Ugo La Malfa il qua- le scrive di aver incontrato nei corridoi di Montecitorio Togliatti e la Iot- ti e «Dove scappate?», chiede loro. «Andiamo a prendere un gelato da Giolitti». «Io invece parto per Mosca; hai qualche consiglio da dar- mi?», chiede La Malfa, ironico. «Nessun consiglio, spero che tu sia stato autorizzato dall’ambasciatore americano», risponde Togliatti. Anche secondo Giulio Andreotti, che mutua evidentemente da La Malfa, c’è di mezzo Giolitti: «Non potevo pensare – scrive – che men- tre parlavo a un’aula di Montecitorio poco affollata e distratta, a pochi metri uno sciagurato sparava a Togliatti. Forse se il dibattito fosse sta- MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 19 to più attraente sarebbe rimasto al suo posto e non tentato ad andare a prendere un gelato da Giolitti» (Gigi Speroni, L’attentato a Togliatti, Mursia, 1998, p. 184). Sulla scarsa rilevanza del dibattito in Aula concordano le memorie di Massimo Caprara, allora segretario particolare di Togliatti, e Marcella e Maurizio Ferrara, suoi stretti collaboratori; essi non parlano, tutta- via, di gelato, ma di «intenzione di rientrare alla sede del Pci a piedi». È probabile che la voglia improvvisa di gelato fosse considerata poco consona ai due onorevoli in età adulta. Comunque non in contraddi- zione con l’intenzione di raggiungere a piedi Botteghe oscure man- giucchiando il gelato, alla ricerca della normalità. Nel gran teatro di via della Missione, all’aprirsi del sipario, mentre avanzano sul proscenio Nilde e Palmiro, ci sono: la macchina e l’auti- sta di Pacciardi in compagnia di un altro uomo che rivolge a Togliatti e alla Iotti un inchino; due carabinieri all’angolo di via della Missione in direzione via Uffici del Vicario; Giuseppe Maitilasso all’angolo di via della Missione, angolo piazza Montecitorio; Ruggero Di Schiena che, secondo la sua dichiarazione, si trovava – guardando la porta di via della Missione – alla sinistra di Pallante, mentre questi spara. Una scena tutto sommato affollata per quel piccolo incrocio di stradine. Ruggero Di Schiena, il testimone oculare, trasteverino, vi si trova per- ché in attesa di entrare a Montecitorio. Ha in tasca una carta intestata della Camera dei Fasci e delle Corporazioni su cui c’è un passi per es- sere ricevuto dal segretario particolare di Andreotti; ha necessità di vederlo per sollecitare la propria assunzione come infermiere presso il Forlanini o gli Ospedali riuniti. È disoccupato da tanto tempo, chiede aiuto. Quella mattina va tutto a rotoli. Che diamine! Ma è un testimo- ne oculare. Ce ne sono tanti che fanno qualche soldo vendendo infor- mazioni! Una vera fortuna essere al posto giusto al momento giusto. Si presenta, quindi, al Partito «con fare molto modesto, accentuata- mente ossequioso». Ai compagni della vigilanza parla di Togliatti co- me fosse un suo amico, sostiene di essere comunista. Quelli gli chiedo- no di mostrare la tessera, il Di Schiena si impappina. In realtà, dice, la tessera non posso pagarla perché sono povero, ma i compagni della sezione mi hanno detto di considerarmi egualmente iscritto. Lo spedi- scono a «l’Unità». Il 20 luglio sale le scale del quotidiano comunista, do- ve gli dicono di ripassare il giorno dopo. Luciano Barca, ex ufficiale del- 20 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE la Marina, laureato in Giurisprudenza, avvicinatosi al Pci nel 1945, entrato a «l’Unità» nel 1946 per sostituire un redattore ferito e lì rima- sto per undici anni, è incaricato di seguire la faccenda Di Schiena. For- se il 21, mentre sale le scale della redazione, il Di Schiena incrocia un uomo che quelle scale scende. Si tratta del compagno Amerigo Manci- ni iscritto alla sezione Flaminio, che lo ha appena descritto ai redatto- ri del giornale come accanito anticomunista, già iscritto all’Uomo Qua- lunque. Il compagno Amerigo ha inoltre saputo dalla nipote che il Rug- gero prima del 25 luglio era “fascista fazioso”, paracadutista nel servizio militare, allontanato dal reparto per timore di reazioni alla sua opera di spione, responsabile dell’arresto di vari suoi commilitoni. Barca è abbastanza scettico, ma le dichiarazioni del Di Schiena po- trebbero comunque essere ghiotte, perché l’uomo non è stato interro- gato dalla polizia e conosce un altro teste importante, il Villata, sara- gattiano corrispondente del giornale del Psli e durante la guerra in Russia – si dice – torturatore di partigiani. «Forse», scrive Barca alla segreteria del Partito, «è opportuno dar- gli qualcosa, per mantenere legami». Il Di Schiena conferma non solo di non essere stato affatto interrogato dalla polizia, ma di aver avuto, da un agente di Ps presente sul luogo dell’attentato, l’ordine di “squa- gliarsi” e non “parlare con nessuno”. Deposizione di Ruggero Di Schiena, trasmessa il 22 luglio 1948, de- scrizione del luogo:

- auto 1100 ferma in prossimità della scala che da via della Missione scen- de verso piazza del Parlamento; - autista tarchiato con denti anneriti, cariati; - il Di Schiena si trovava sulla sinistra del Pallante guardando la porta n 4 di via della Missione sull’accesso della porta dirimpetto al n. 4 si tro- vavano: l’autista di Pacciardi e un uomo che stava leggendo un giorna- le, i quali salutarono con un inchino Togliatti quando questi si affacciò sulla strada. Costoro dopo il primo sparo si ritirarono affrettatamente en- tro la porta del gruppo parlamentare Dc; - auto di Pacciardi ferma verso l’angolo di via della Missione-via Uffici del Vicario; - giornalista Villata alle spalle di Togliatti e la Iotti; - carabiniere fermo vicino alla porticina chiusa di via della Missione; MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 21

- altro carabiniere sull’angolo via della Missione-via Uffici del Vicario; - teste Maitilasso sull’angolo di via Missione-piazza Montecitorio; - tizio, vestito di grigio a righe bianche, alt. 1,65 circa, capelli castani, camicia sportiva chiara, fermo sull’angolo via Uffici del Vicario-albergo Nazionale; costui appena vide Togliatti si passò due volte la mano de- stra sui capelli e subito dopo gli spari del Pallante fuggì di corsa per la via Uffici del Vicario. Il Di Schiena tentò di raggiungerlo ma giunto in quella via non lo scorse più. - il Di Schiena era in attesa di entrare a Montecitorio per conferire col dr. Zanfetti – segretario particolare di Andreotti – per sollecitare una sua pratica di assunzione come infermiere presso il Forlanini o gli Spedali riu- niti (conserva un “passi” del dr. Zanfetti in data 14/7/1948 su un fogliet- to della Camera dei Fasci e Corporazioni con stemma dell’epoca).

Un uomo preciso, il Di Schiena, forse esercitato a pedinare, a osserva- re i particolari, scrutare anche a una distanza di metri fin dentro la bocca di un autista, per annotare non solo il colore dei suoi denti ma an- che quelli guasti, come dovevano essere per la più parte della popola- zione in tempi di non diffuse cure dentarie. Di Schiena, che vede tut- to, non ha visto se Pallante stesse lì appostato o fendesse l’aria a larghi passi per raggiungere la sua vittima. Egli, però, non rappresenta l’at- tentatore come uno che sta appostato, ma descrive se stesso collocato alla sinistra del criminale che spara. Cita invece, il Di Schiena, un uomo di grigio vestito, che sparisce nel reticolo dei vicoli adiacenti. Che ne è di costui? Di una presenza “curiosa” parla anche la dichiarazione rilasciata il 20 luglio da un altro vigilante di Botteghe oscure, Nicolai:

La mattina del 14 c.m. alle ore 10,45 circa, uscendo dalla direzione mi intrattenni con il compagno Rosati Armando per alcuni minuti. Subito dopo uscì il compagno Togliatti il quale, in compagnia di Armando, salì in auto per raggiungere Montecitorio. Nel momento in cui il compagno Togliatti raggiungeva la macchina io attraversavo via delle Botteghe oscu- re. Ebbi così modo di osservare un individuo di media altezza, forse sulla trentina, con abito grigio scuro a righe bianche, tarchiato, bruno, con capelli folti, il quale addossato a uno stipite del portone dirimpetto al nostro (sulla stradetta che porta a piazza del Gesù) seguì con profon- 22 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

da attenzione la rapida scena. Notai che non poteva trattarsi di un pas- sante che guardasse con naturale curiosità il compagno Togliatti, primo perché l’individuo stesso non transitava per la via ma stava fermo accanto al portone chiuso, secondo, perché nonostante io mi fossi fermato ad osservarlo con insistenza non si accorse affatto di me tanto era la sua preoccupazione di guardare. Pensai si trattasse di un agente in borghe- se. Proseguendo la strada verso piazza Venezia, lungo via delle Botte- ghe oscure, non l’ho visto proseguire la strada in nessuna direzione. Re- stava la direzione verso piazza del Gesù esclusa l’ipotesi di una sua so- sta nello stesso luogo. Dopo l’attentato mi preoccupai di accertare se l’individuo di cui sopra potesse essere il Pallante, ciò non poteva essere: primo per aver visto la fotografia del Pallante, secondo perché il Pallan- te a quell’ora si ritiene fosse a Montecitorio. Soltanto la notizia apparsa su «l’Unità» di questa mattina 20 luglio secondo cui un individuo con le medesime caratteristiche da me descritte avrebbe fatto cenno sull’an- golo degli Uffici del Vicario, al Pallante per l’identificazione del compa- gno Togliatti, mi ha convinto dell’utilità delle citate informazioni.

È lo stesso uomo descritto dal Di Schiena? Viene, inoltre, ascoltato e verbalizzato il teste Maitilasso Giuseppe, il quale dichiara:

Io sottoscritto Maitilasso Giuseppe di Arcangelo e fu Volonino Arcan- gela (Potenza) il 20 gennaio 1916 domiciliato a Roma in via de’ Castani 28, invio la seguente narrazione dei fatti circa l’attentato contro l’on. To- gliatti: il mattino del 14 luglio 1948 circa alle ore 11,15, uscivo dalla sala d’aspetto del palazzo di Montecitorio ove mi ero recato per conferire con l’on. Laconi il quale mi veniva riferito essere assente. Mi recavo quin- di al palazzo prospiciente il Parlamento per conferire con l’on. Camani riguardo ragioni di lavoro. Conferito brevemente con suddetto onorevo- le, uscivo sulla piazza Montecitorio dirigendomi verso via della Missione con l’intenzione di recarmi al Senato. Giunto all’angolo della succitata via, notai un uomo che portava una borsa nella mano destra, a fianco di una donna uscire dalla porta laterale del Parlamento che dà sulla via della Mis- sione dirigendosi verso una automobile che si trovava sul lato destro del- la via nel senso verso la piazza Montecitorio. Nel contempo notavo un gio- vane il quale seguiva l’uomo sino a raggiungerlo ed indi gli esplodeva con- tro dei colpi di pistola. Vidi l’uomo portarsi istintivamente il braccio MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 23

sinistro innanzi agli occhi e accasciarsi quindi al suolo vicino alla ruota sinistra dell’automobile. Immediatamente io e la signora che accompa- gnava l’uomo gridammo contro il criminale il quale, senza abbandonare l’arma, tentava di fuggire ma, evidentemente disorientato dalle nostre grida, si lasciava arrestare da due carabinieri accorsi ai quali spontanea- mente consegnava la pistola. Intanto io e la signora tentavamo di solleva- re il corpo del ferito, il quale perdeva sangue da una ferita all’occipite. Aiutati quindi da alcuni uscieri e carabinieri accorsi, trasportavamo il fe- rito nell’infermeria di Montecitorio dove appresi essere il ferito l’on. To- gliatti e la signora che lo accompagnava l’on. Jotti. Venivo in seguito con- dotto al commissariato Trevi-Colonna ove venivo interrogato dalla poli- zia circa l’accaduto di cui ero stato testimone ed alla quale rendevo una deposizione simile alla presente che è alquanto dissimile da quella ripor- tata dalla 5 edizione de «Il Giornale d’Italia» del 15 luglio.

Anche il Maitilasso, testimone oculare per ragioni di richiesta di lavo- ro, nota un Pallante in movimento: «un uomo che seguiva». È lecito concludere che Pallante – sia dai ricordi della Iotti, sia dalla dichiara- zione del Di Schiena che dalla deposizione Maitilasso, nonché dal rap- porto del ministero dell’Interno – non era lì appostato, ma in movi- mento. Pallante dichiara di essere uscito in strada alle 11, se fosse stato lì appostato per mezz’ora lo si sarebbe notato. E se non era lì, cosa ha fatto dalle 11 alle 11,30? Forse invece il Pallante si dirigeva a larghi passi verso via della Mis- sione, come se temesse di far tardi, come se gli fosse stato indicato da qualcuno che la sua vittima stava uscendo e gli sarebbe potuta anche sfuggire. In queste dichiarazioni salta fuori una sola certezza: la povertà e la ricerca affannosa di una raccomandazione per un lavoro, un posto fis- so nella pubblica amministrazione che solo un onorevole avrebbe po- tuto garantire. Pallante, dunque, arriva all’angolo via Uffici del Vicario-Montecito- rio, passando accanto a una Fiat 1100 nera, l’automobile di servizio del ministro Pacciardi. La coppia Togliatti-Iotti gli è di qualche passo avanti; egli scosta la giacca del vestito blu, porta la mano alla cintola e impugna la pistola per estrarla. Nella concitazione, l’arma rimane im- 24 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE pigliata nella cintura o nella fodera dei pantaloni. Strattona, fa uscire l’arma. Il primo colpo raggiunge Togliatti e lo sospinge in avanti, il Migliore barcolla, si gira verso lo sparatore e si appoggia alla 1100 ne- ra. Pallante spara in successione altri tre colpi. Il quarto colpisce la vit- tima alla nuca. Togliatti cade all’indietro con gli occhi sbarrati. Iotti si getta su lui, sporca di sangue, grida due volte: «Assassini lo hanno am- mazzato!». Grida anche il Maitilasso. Secondo il giornalista Emmanuele Rocco «il ferito cadde in avanti, battendo il viso contro la macchina di Pacciardi che era in attesa. L’at- tentatore fece altri due passi di corsa e esplose due colpi. Togliatti fu ferito al torace. Cadde e Villata fece appena in tempo a riceverlo tra le braccia prima che toccasse terra». Villata, non la Iotti, accoglie il Mi- gliore fra le braccia? O bisogna sempre negare la presenza della Iotti? Se Pallante, come da sue dichiarazioni, non conosceva Togliatti, avrebbe potuto sparare a Villata, scambiandolo per la sua vittima, tan- to più che egli colpisce Togliatti alle spalle, come è disegnato nella co- pertina dell’«Illustrazione del Popolo» del 25 luglio, dove la scena è dettagliata, con tanto di macchina di Pacciardi, carabinieri e pettina- tura della Iotti. Il tempo rarefatto e sospeso del momento degli spari, riprende la sua corsa. Nelle stradine, che sanno ancora di vicolo, un ricorrersi di vo- ci: è stato un ragazzo, è stato un prete, un militare americano.

Una principessa Caracciolo che transitava in fondo al vicolo della Mis- sione fuggì verso piazza Colonna informando i passanti. Col braccio te- so indicava il suolo ripetendo: è per terra gli sparano sopra, gli sparano ancora. Era atterrita… (Vittorio Gorresio, «l’Europeo» del 25 luglio).

Il procuratore della Repubblica, dr. Lutri, il 15 luglio, invia al procu- ratore generale della Corte d’Appello di Roma la seguente relazione:

Alle ore 12,30 circa di ieri il Ministero di Grazia e Giustizia mi comuni- cava telefonicamente che in piazza Montecitorio si era verificato l’atten- tato all’on.le Togliatti, invitandomi ad eseguire subito gli accertamenti di legge. Recatomi sul posto seppi da uno dei Questori della Camera che verso le 11,30 l’on. Togliatti all’uscita da Montecitorio dalla porta di via della Missione in compagnia della sua segretaria on.le Nilde Jotti MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 25

era stato avvicinato da un giovane sconosciuto che gli aveva esploso a brevissima distanza quattro colpi di rivoltella, l’on.le Togliatti attinto da tre proiettili cadeva per terra e veniva subito soccorso e trasportato alla infermeria di Montecitorio dove riceveva le prime cure dall’on. Prof. Ce- ravolo, il quale, riscontrata la gravità del caso, consigliava l’intervento chirurgico d’urgenza, il ferito veniva perciò prontamente ricoverato al- l’Istituto di Patologia chirurgica dell’Università e operato dal prof. Pie- tro Valdoni che gli riscontrava tre ferite d’arma da fuoco: due all’emito- race sinistro, e una alla nuca: uno dei proiettili penetrato nel cavo tora- cico veniva estratto durante l’intervento… (AcS, Min. Grazia e Giustizia Gabinetto Affari diversi, 1925-1983, busta 28, fasc. 127).

Il mancato assassino non tenta la fuga. Per sua stessa ammissione. E come potrebbe se il tutto si svolge entro un raggio di una cinquantina di metri quadri, un piccolo slargo che immette in vicoli stretti? Allocchito, l’attentatore consegna ai carabinieri se stesso e la pisto- la, un revolver a cinque colpi Hopkins & Allen, sistema Smith&Wes- son, calibro 38 (circa 9,5 mm corto), arma in uso presso la polizia ame- ricana. Dalla perizia balistica del colonnello del servizio tecnico di Ar- tiglieria, Renato Cionci, incaricato il 24 luglio, la pistola con le ‘guance’ dell’impugnatura in ebanite nera con gli ordinari fregi e zigrinatura al- quanto consunta, 4 bossoli e una cartuccia dello stesso calibro, ine- splosa, risulta in ottimo stato di efficienza, anche se il grilletto, «piut- tosto duro nel tiro continuo, avrebbe potuto diminuire la precisione della mira». Una delle pallottole tuttavia è senza incamiciatura, cioè non rivestita con l’usuale lega di rame e zinco, utilizzata per indurire il piom- bo, la qual cosa, unita a una piccola protuberanza ossea del cranio di Togliatti, ne impedisce la penetrazione. La minor quantità di antimonio è confermata da Marcella e Maurizio Ferrara nelle loro memorie. Marisa Malagoli Togliatti – sorella di uno degli operai caduti a Reg- gio Emilia nel 1950, figliola adottiva di Palmiro e Nilde –, nel trasloco dalla propria a casa di Nilde, quando questa era già anziana e malata, ri- trovò la pistola in uno dei cassetti rimasti chiusi per anni e anni. Come mai era lì? Ne avevano fatto sconsiderato e incauto omaggio alla presi- dente della Camera, nel 1988, in occasione dei saluti e dei ringrazia- menti di rito il giorno in cui Nilde lasciava la carica. Strano? In un film americano del 1995, From the Past, regia di Rob Reiner, Alec Baldwin 26 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE scopre che il fucile usato per ammazzare Medgar Evers, attivista negro dei diritti civili in Mississippi, era stato preso e conservato in una cas- sapanca in casa del giudice di uno dei processi. Doveva essere una ma- nia generalizzata, evidentemente, quella di portarsi via dai processi un souvenir. Un regalo quanto meno singolare, privo di tatto, senza ri- guardo alcuno per la sofferenza della Iotti. Un regalo imbarazzante, perché la consegna dell’arma alla Digos si è rivelata un affare compli- cato e insormontabile dal punto di vista burocratico. Oggi l’arma è con- servata al Museo criminologico di Roma. Dei quattro colpi partiti da quella pistola, con qualche inceppamen- to, almeno uno sarebbe risultato sicuramente mortale, ma per fortuna era scamiciato. Il «Paese quotidiano democratico del mattino», il 20 luglio, ipotiz- za che Pallante più che maldestro, sia stato furbo e abbia usato e agita- to la scusa dell’impigliamento dell’arma per giustificare davanti ai suoi mandanti il fallimento dell’omicidio. Le indagini condotte dalla polizia, nel luglio 1948, appaiono fretto- lose e superficiali, come attestano anche le risposte ad Antonio Giolit- ti che, in qualità di segretario della Presidenza della Camera, va a col- loquio, il 20 luglio alle ore 12, con il questore di Roma, dr. Polito. (cfr. Carte riservate Archivio Partito Comunista, cit.). Questi continua a sostenere la tesi del giovane scervellato, dell’avventuriero che vuol di- ventare eroe, senza complici né a Catania né a Roma. Va a colloquio, con il questore, due volte anche l’on.le La Rocca, questore della Camera. La prima volta subito dopo l’attentato, in compagnia dei deputati comunisti Audisio e Palermo, la seconda vol- ta il 17 luglio. La Rocca apprende dal questore che il Pallante si era recato in Parlamento

a chiedere dei deputati della circoscrizione siciliana per avere da costo- ro i biglietti d’ingresso alle sedute, ne ebbe infatti due o tre dall’on.le Tur- naturi e uno anche dall’on.le La Marca con il quale però, sempre a det- ta del Pallante, non riuscì a conferire.

Dunque Pallante non tentò di chiedere a Togliatti il biglietto per assi- stere alle sedute. O per sparagli mentre glielo consegnava. Lì nella se- de del Parlamento. Il documento continua: MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 27

Dopo l’arresto il Pallante espresse il suo rammarico per il timore che la sua padrona di casa di Roma e l’on.le Turnaturi avessero potuto riceve- re comunque dei fastidi, essendo essi del tutto estranei alla faccenda ed in alcun modo informati del suo proposito. Circa le consuetudini del- l’on.le Togliatti nell’uscire di Montecitorio, il Pallante assunse di essere stato informato dagli uscieri della Camera.

Vengono interrogati, quindi, tutti gli uscieri e i commessi della Came- ra presenti, o che hanno prestato servizio agli accessi di Montecitorio e alle sale di ricevimento per il pubblico e quelli in servizio alle tribune dall’11 al 14 luglio. Anche quelli andati in ferie. Di questi:

Fidani afferma che mezz’ora prima dell’attentato si è presentato alla por- ta un giovane vestito di scuro a chiedere dell’on.le Togliatti allegando di avere un appuntamento con lui. Al giovane fu risposto di recarsi in piaz- za del Parlamento 24 cioè nelle sale di ricevimento per il pubblico. Il giovane domandò allora se l’on. Togliatti usciva da via della Missione. Il Fidani rispose di non saperlo e di non poter dire nulla a riguardo. Il giovane aveva un atteggiamento tranquillo. A quello che ricorda non gli risulta che altri abbia chiesto dell’on.le Togliatti.

Secondo questa testimonianza, se si assume l’ora dell’attentato alle 11,40, Pallante è arrivato o a via della Missione o alle tribune del pub- blico circa alle 11,10, cioè quando, secondo il comunicato della Dire- zione del Pci, Togliatti varcava la soglia dell’Aula e ne usciva alle 11,20. E così anche Pallante? Ma Pallante dichiara di aver lasciato la tribuna alle 11. E dichiara, altresì, di non conoscere fisicamente Togliatti. Ammesso anche un errore di dieci minuti di scarto e che Pallante sia rimasto fino alle 11,10 cioè fino all’entrata in Aula di Togliatti, qual- cuno del pubblico deve avergli additato il segretario del Pci nella figu- ra professorale che entrava in aula. Ma, da quella parte delle tribune, è possibile vedere e individuare esattamente una persona nel settore delle sinistre?

Rissone Cesare in servizio in via della Missione 4 non sa nulla in merito all’attentato solo tre/quattro settimane prima del fatto si presentò in via della Missione un giovane scamiciato, con maglia sporco, manifesta- 28 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

mente tipo operaio bisognoso. Domandò dell’on.Togliatti. Ma non fu neppure inviato a piazza del Parlamento perché si sapeva che l’on. To- gliatti non riceveva alla Camera. Fu perciò inviato al Partito. Berté Salvo di servizio al portone principale di Montecitorio: da vari mesi durante i suoi turni di servizio, nessuno si è mai presentato a chie- dere dell’on. Togliatti. D’altra parte la consegna dei commessi è sempre stata quella di non fornire alcuna indicazione ai richiedenti eventuali sul movimento e sulle consuetudini dei deputati. Dattilo Gustavo lunedi 12 un giovane riconosciuto poi attraverso le fotografie pubblicate dai giornali per il Pallante, si è presentato nel po- meriggio. Durante la seduta chiedendo di conferire con l’on.Togliatti. Il commesso lo ha rinviato al n 24 di piazza del Parlamento dove è il servizio per i deputati. Il Pallante, senza insistere è andato via nell’ap- parenza era calmo normale, tale da non destare alcun sospetto. Mar- tedì 13 in mattinata il Pallante si è ripresentato chiedendo ancora del- l’on. Togliatti. Insistette nella richiesta affermando che al n. 24 non aveva potuto ottenere il colloquio in quanto l’on. Togliatti non riceve- va alla Camera. Voleva perciò che il commesso gli avesse indicato la via, il modo per conferire con l’on.le Togliatti. La risposta fu qui non c’è niente da fare in proposito se vuol vedere l’on.le Togliatti, lo cerchi alla sede del Partito. Domandò allora il Pallante se l’on.le Togliatti usciva dal numero 4 perché in tal caso lo avrebbe aspettato avendo as- soluto bisogno di parlargli. Al che l’usciere disse di non sapere di qua- le uscita si serviva l’on.le Togliatti perché il palazzo di Montecitorio ha svariati ingressi. Il Pallante non insistette e andò via. Nel pomeriggio dalle 16 in poi il Pallante non si ripresentò al n. 4 finché il commesso rimase in servizio cioè fino al termine della seduta. Di solito al n. 4 nessuno chiedeva mai dell’on. Togliatti. Deli Arbace di servizio alla sala del pubblico il lunedì 12 dalle 8 alle tredici e martedì 13 dalle 13 alle 16, il mercoledì 14 dalle 8 alle 13. Non ricorda quando il Pallante si è presentato alla sala inferiore del pubblico. Ricorda però che un giovane ha chiesto di consultare l’elen- co dei deputati per conoscere i nomi degli eletti nella circoscrizione si- ciliana dopo di che ha fatto richiesta di vari deputati riempiendo i mo- duli. Il giorno 13 alle 13 un tale Esposito della provincia di Avellino chiese udienza all’on. Togliatti. Ci stupì in quanto nessuno chiedeva dell’on. Togliatti. L’Esposito riempì un modulo, il modulo però non fu MERCOLEDÌ 14 LUGLIO ORE 11,40 29

inoltrato perché il commesso sapeva che l’on.le Togliatti non riceveva alla Camera e aveva peraltro la consegna di inviare eventuali richie- denti al Partito. Non ricorda né può dire se il Pallante sia stato o non ricevuto dai deputati ai quali aveva chiesto il colloquio. Non ricorda o non sa se al Pallante sia stato o no rilasciato qualche biglietto da depu- tati. Egli resta servizio alle sale inferiori del pubblico. Stentella Aldo di servizio al 24, trenta minuti all’inizio dei lavori. E nes- suno gli ha chiesto né domandato notizie dell’on. Togliatti. Il giorno prima dell’attentato, nel pomeriggio durante la seduta, l’on.le La Marca si è recato nelle sale superiori per il ricevimento per il pubblico… e ha chiesto di Pallante Antonio questi non rispose dalle sale inferiori dove il pubblico si trattiene in attesa di passi o di colloquio, si vede che nel frat- tempo il Pallante si era allontanato, allora l’on.La Marca dopo pochi minuti di attesa rilasciò un biglietto di ingresso alle tribune per il Pallante che è rimasto all’ingresso.

Secondo la testimonianza Stentella, nella prima mezz’ora dell’inizio dei lavori – ossia fino alle 10,30 – nessuno ha chiesto di Togliatti e se- condo quella di Fidani, Pallante si sarebbe presentato mezz’ora prima dell’attentato, ossia alle 11. Pallante dice la verità, allora, quando sostiene di essere uscito da Montecitorio alle 11? Ma perché interrogare tutti gli uscieri per sapere chi avesse fornito all’attentatore un’informazione superflua e non interessarsi con eguale solerzia agli ospiti delle tribune in quelle ore?

Carmazi Silvio di servizio alle sale superiori di ricevimento del pubblico il 10 dalle 13 alla chiusura, il 12 dalle 13 alla chiusura, il 13 dalle 8 alle 13 e dalle 15,30 alla chiusura, il 14 dalle 13 alla chiusura. Non ha notato nulla di sospetto mai. Né ricorda il nome di Pallante o se si sia recato nella sala per il colloquio…

Pallante, quindi, si reca in Parlamento una prima volta lunedì 12, una seconda il 13 quando cerca di essere ricevuto da Togliatti – ma viene indirizzato alla sede del Partito, dove va la mattina del 13 –, una terza volta il 13 pomeriggio e una quarta mercoledì 14 o alle 9,30 o alle 11,10. 30 IL FATTACCIO DI VIA DELLA MISSIONE

Il punto nodale è incagliato nei tempi e nella coniugazione dei ver- bi. Occorreva sapere non tanto che la vittima designata abitualmente usciva da via della Missione, ma che stava uscendo da via della Missio- ne. In un’ora inconsueta, dal momento che secondo le dichiarazioni dell’Armandino, il Segretario era solito lasciare la sede di Montecito- rio verso le 12,30/13, ossia un’abbondante ora dopo rispetto all’ora del- l’attentato. Né Pallante sembra essere sulla scena del delitto, in appo- stamento, dalle 11 alle 11,30 perché lo si sarebbe notato e invece nella prima ricostruzione, a caldo, Nilde non ne fa cenno. La sua espressio- ne «Pallante era lì appostato» è da riferirsi piuttosto al fatto che, dopo lo sparo, il giovane non tenta la fuga, rimane immobile, i carabinieri sopraggiungono – ossia fanno quattro passi – e lo afferrano senza che egli opponga resistenza. Potrebbe essere stata ingiustamente trascurata la dichiarazione del Di Schiena – nonostante il teste appaia inattendibile – riguardante un uomo che si passa una mano tra i capelli, quasi un cenno d’intesa per l’attentatore? Sebbene Alberto Jacoviello, nei suoi articoli su «l’Unità», vi faccia riferimento, la pista è presto abbandonata. In aula intanto continua la seduta con all’odg la discussione sui con- tratti di fitto dei fondi rustici e di vendita. Presiede l’on.le Segni. Entra di corsa il deputato comunista veneto Umberto Sannicolò: «Ho visto Togliatti… sta morendo». La seduta viene sospesa alle 11,40. Unica ora certa, sanzionata dagli stenografi d’aula, ma che sposterebbe di alcuni minuti indietro l’avve- nuto attentato, ovvero per il tempo sufficiente a Sannicolò di vedere, nel trambusto, il ferito e poi correre in Aula. No, Togliatti non sta morendo grazie a quel quantitativo di antimo- nio mancante. Vittorio Gorresio: «Caduto a terra Togliatti disse subito: prendi la borsa e la busta». Nilde, come si legge nei suoi ricordi, non parla mai delle ultime parole del suo uomo. Lei cercò gli occhi di lui e pregò, of- frendo al cielo la sofferenza propria e dei comunisti, in cambio della vita del capo dei lavoratori italiani. Secondo Emmanuele Rocco – gior- nalista che entrerà nella redazione del Tg2 –, egli «disse appena colpi- to, calmo, “chiamatemi Longo”, poi soggiunse “lavorate compagni la- vorate per il partito”. Fu quella l’unica frase che indicasse quanto To- gliatti sentisse la gravità delle ferite».