Il Cinema Dei Fratelli Coen: Declinazioni Del Vuoto 1
Il cinema dei fratelli Coen: declinazioni del vuoto Introduzione Joel e Ethan Coen esordiscono come registi negli anni Ottanta, epoca in cui è lo stesso concetto di autore – e quindi anche quello di regista – a tornare di moda, ma al tempo stesso si trasforma: l’artista non è più creatore, ma imitatore, in un momento storico in cui si riconosce di non aver più nulla da dire. Come infatti sottolinea Buccheri, “non cerca una voce personale, ma uno stile che gli dia visibilità, un’estetica come marchio e come look – si mette in scena, offrendo il proprio corpo allo “scandalo evangelico”, in una deriva dell’autobiografismo politico degli anni Sessanta”1. E in questo giudizio di valore sono coinvolti anche i fratelli Coen che, come Brian De Palma, o Woody Allen, sono spesso stati definiti manieristi; termine inteso in questo contesto come imitatori prima che della natura, di altro cinema a sé precedente. Tuttavia, nonostante critici come Paolo Cerchi Usai abbia riportato, su “Segnocinema”, come “il loro cinema sia senza motivo, ma abbiano deciso di fare ugualmente cinema nel nome della sua inutilità”2, l’attitudine dei due registi è in realtà profondamente critica riguardo al materiale usato: dietro all’apparenza leggera infatti, si nasconde una critica radicale agli stereotipi e simboli della vita americana e in generale alla vita contemporanea, come il consumismo, la ristrettezza mentale della provincia, la ruralità, la libertà dell’arte, la controcultura stessa. I personaggi che portano in scena hanno corpi sgraziati, spesso grotteschi (si pensi a quelli interpretati da Steve Buscemi, uno degli attori feticcio del cinema dei due fratelli), e sono destinati ad un’irrimediabile alienazione, che arriva a distruggerli, persi nelle rete delle rappresentazioni e leggi sociali.
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