PosteItalianeSpA - Spedizioneinabbonamentopostale-70% -Aut.GIPA/C/RM/04/2013 nessuno ci può guadagnare, nessuno cipuòguadagnare, delle canzonimaicantate... Non si passa mai indenni Non sipassa maiindenni che cifannolecanzoni. La sofferenza in amore La sofferenzainamore è un vuoto a perdere: è unvuotoaperdere: attraverso icorridoi tranne i cantautori tranne icantautori più sono stupide, più sonostupide, Fanny Ardant accanto della signora porta inLa più sonovere. Le canzoni? Le canzoni? Massimo Troisi Silvio Muccino

www.8-mezzo.it Sono solo canzonette. Quando e come canta il cinema italiano? marzo 2019 numero 43 anno VII nel cinema italiano nel cinema I filmdifamiglia INCHIESTE in Grecia Il cinema FOCUS IL CINEMAITALIANO? QUANDO ECOMECANTA SONO SOLO CANZONETTE. da Queimada A 50anni ANNIVERSARI e ilfrigorifero Francesco Bruni IL GUSTO DEL CINEMA n marzo 2019 °43 marzo € 5,50 sul prossimo numero in uscita a maggio 2019

Scenari Inchieste Focus Anniversari Testacoda Il cinema Il cinema A 50 anni da... Il cinema italiano scientifico in Israele Dillinger è morto e le strategie dei titoli in Italia editoriale

DOVE SONO FINITI I FILM INDIGESTI? di GIANNI CANOVA

Da qualche tempo, finalmente, pio, mettono in circolo quasi solo qualcuno comincia (ricomincia?) film compatibili con il gusto me- a chiederselo. dio dello spettatore medio. Tutto Perché il cinema italiano non pro- ciò che potrebbe essere davvero duce più da anni nessun film “di- urticante o disorientante non vie- sturbante” e “scandaloso” come ne nemmeno preso in considera- lo furono – ai tempi – la Trilogia zione. E Sulla mia pelle?, potrebbe della vita o il Salò di Pasolini, ma obiettare qualcuno. Sulla mia pelle anche Ultimo tango a Parigi di Ber- è un grande film ma dal punto di tolucci, o certi lavori del primo vista della ricezione sociale è un Brass o ancora i pelosi e spetaz- tipico prodotto confermativo e zanti capolavori in bianco e nero rassicurante. Chiunque lo veda, di Ciprì e Maresco, da Lo zio di che pensi tutto il male possibile Brooklyn a Totò che visse due volte? dei carabinieri o che pensi che il Non ci sono più in circolazione cinema è un covo di sovversivi, talenti così eretici, così genetica- dalla visione del film trova con- mente provocatori, così coraggio- ferma delle proprie convinzioni samente scandalosi come loro, precedenti. I film che ricordavo pensa qualcuno. E forse qualche prima non confermavano nulla, ragione ce l’ha. Ma c’è anche chi non generavano certezze, non pensa – e qualche ragione ce l’ha riproponevano il già noto, piutto- pure lui – che se anche ci fossero sto smentivano, non appagavano, su piazza un nuovo Pasolini o un scorticavano. Se oggi fossero in nuovo Bertolucci, oggi nessuno – giro film così, gli algoritmi li re- ma proprio nessuno – sarebbe di- spingerebbero. E con gli algoritmi, sposto a produrli. Perché? Pavidi i si sa, non si discute, hanno sem- produttori? Non proprio, troppo pre ragione loro. Purtroppo. Ma facile. Certo, fateci caso: tutto il allora il problema che ci pone, ad cinema italiano degli ultimi anni, esempio, una piattaforma come anche il più apparentemente Netflix non è – come credono in disturbante, è in realtà perfetta- tanti – solo quello delle window. Il mente digeribile e compatibile problema è molto più radicale. E con il sistema mediatico. L’indi- consiste nel tentativo di conferire gesto non solo non esiste, è quasi agli algoritmi il governo del nostro impensabile. L’igienismo – anche cervello e il controllo delle nostre estetico – dilaga. Il conformismo scelte di gusto. trionfa. Il perbenismo non ha freni. Ma il problema non sono i produttori, il problema vero sono gli algoritmi. Quelli adottati dalle piattaforme dominanti, ad esem- sommario

8½ Progetto Creativo NUMERI, VISIONI 19novanta communication partners E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO Creative Director EDITORIALE 22 Corrispondenze Consuelo Ughi di amorosi sensi 01 Dove sono finiti di Alba Solaro Bimestrale d’informazione Designer Matteo Cianfarani, i film indigesti? e cultura cinematografica Valeria Ciardulli, di Gianni Canova Interviste Martina Marconi, Carmen Consoli Lorenzo Mauro di Rese Iniziativa editoriale realizzata Nada da Istituto Luce-Cinecittà Stampa ed allestimento Nina Zilli in collaborazione con ANICA Arti Grafiche La Moderna cover e Direzione Generale Cinema Via Enrico Fermi 13/17 24 Ciak, si canta 00012 Guidonia Montecelio di Margherita Bordino (Roma) SCENARI Direttore Responsabile Interviste Giancarlo Di Gregorio Registrazione presso il Tribunale di Roma n° 339/2012 06 Sono solo canzonette? Filippo Bologna Direttore Editoriale del 7/12/2012 di Gianni Canova Massimiliano Bruno Gianni Canova Direzione, Redazione, Marco Danieli Vice Direttore Responsabile Amministrazione 08 Nel cuore del racconto Marco Manetti Cristiana Paternò Istituto Luce-Cinecittà Srl di Alfonso Pasti Stefano Salvati Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma Capo Redattore Tel. 06722861 fax: 067221883 Stefano Stefanutto Rosa [email protected] 10 I ragazzi del juke-box 26 Nostalgia canaglia www.8-mezzo.it di Mimmo Gianneri di A.C. In Redazione Carmen Diotaiuti 12 Pane, amore e... 28 Rocky Horror Chiuso in tipografia il 25/02/19 Andrea Guglielmino Thegiornalisti Music Show di Stefano Locati di Giannandrea Pecorelli Coordinamento redazionale DG Cinema Iole Maria Giannattasio 14 Mi presti il titolo? 30 Io la conoscevo bene di Alice Chemin a cura della redazione Coordinamento editoriale Nicole Bianchi 16 Nanni Moretti: 32 Spettatore canterino non so cantare né ballare (ma non troppo) Hanno collaborato Alberto Anile, Gianluca Arnone, di Flavio De Bernardinis di Alice Bonetti Alice Bonetti, Margherita Bordino, Alice Chemin, Flavio 17 Ferzan Özpetek, presa De Bernardinis, Luisella Farinotti, diretta sul sentimento Giuseppe Gariazzo, Iole Maria di Marcella Leonardi Giannattasio, Mimmo Gianneri, Giorgio Gosetti, Michela Greco, Andrea Gropplero 18 Paolo Virzì, animo folk di Troppenburg, Stefania di Gianluca Arnone Ippoliti, Marcella Leonardi, Stefano Locati, Anton Giulio 19 Paolo Sorrentino, Mancino, Andrea Mariani, Rocco repertorio onnivoro Moccagatta, Evangelia Nicolatou, di G.A. Elisa B.Pasino, Alfonso Pasti, Giannadrea Pecorelli, Giulio Scarpati, Alba Solaro, Ilary 20 Canzoni migranti Tiscione, Bruno Zambardino, di G.C. Yannis Zoumboulakis voci latest

INCHIESTE IL GUSTO DEL CINEMA SCANNER RICORDI

38 Guardare, guardarsi, 54 Francesco Bruni 70 La riforma 98 Orfano di un fratello lasciarsi guardare e il frigorifero delle finestre in italia Ennio Fantastichini di Gianni Canova di Andrea Gropplero di Iole Maria Giannattasio di Giulio Scarpati di Troppenburg e Bruno Zambardino 39 Una casa in (perenne) 99 Quel movimento costruzione che gli piaceva tanto di Giuseppe Gariazzo FOCUS GRECIA Carlo Giuffrè rewind di R.M. 41 La mia famiglia 78 Ritorno a Itaca al cinema di Alberto Anile di G.G. RACCONTI DI CINEMA INTERNET 84 La crisi immaginaria E NUOVI CONSUMI Interviste 58 8½ L’ultimo di Yannis Zoumboulakis Tonino De Bernardi di Anton Giulio Mancino 100 Bandersnatch Alina Marazzi e la vertigine Serena Nono CINEMA ESPANSO del controllo REPRINT di Carmen Diotaiuti 46 Storia in formato ridotto 88 Biografia tessile di Luisella Farinotti 60 Le novità di Arbore di una diva e Celentano. Piazza di Hilary Tiscione MARKETING Navona di Mino DEL CINEMA ITALIANO INCONTRI Argentieri da 90 A Milano non può “Cinemasessanta”, fare caldo… 102 Ride bene 48 Il Museo di Torino n. 1, gennaio-febbraio di Elisa B. Pasino chi Ride ultimo festeggia 20 anni 1988, anno XXIX, di Andrea Guglielmino e si rinnova pp. 55-56 92 Casualità e impegno: di Stefano Stefanutto Rosa di Andrea Mariani Giorgio Arlorio si racconta 104 BIOGRAFIE di Cristiana Paternò DISCUSSIONI ANNIVERSARI

50 Decreto Bonisoli: 62 a 50 anni da GEOGRAFIE provvedimento Queimada anti-Netflix o passo 94 Il tour geniale verso la modernità? 63 Il nome sopra di Nicole Bianchi di Michela Greco il titolo di Giorgio Gosetti COMPLEANNI PUNTI DI VISTA 96 Continuiamo 52 Cinecittà: a chiamarlo un mito competitivo di Rocco Moccagatta di Stefania Ippoliti voci - nel mondo cover

SCENARI

06 Sono solo canzonette? 18 Paolo Virzì, animo folk 26 Nostalgia canaglia di Gianni Canova di Gianluca Arnone di A.C.

08 Nel cuore del racconto 19 Paolo Sorrentino, 28 Rocky Horror di Alfonso Pasti repertorio onnivoro Music Show di G.A. di Giannandrea Pecorelli

10 I ragazzi del juke-box 20 Canzoni migranti 30 Io la conoscevo bene di Mimmo Gianneri di G.C. a cura della redazione

12 Pane, amore e... 22 Corrispondenze 32 Spettatore canterino Thegiornalisti di amorosi sensi (ma non troppo) di Stefano Locati di Alba Solaro di Alice Bonetti

Interviste Carmen Consoli 14 Mi presti il titolo? Nada di Alice Chemin Nina Zilli

24 Ciak, si canta di Margherita Bordino 16 Nanni Moretti: non so cantare né ballare Interviste di Flavio De Bernardinis Filippo Bologna Massimiliano Bruno Marco Danieli Marco Manetti 17 Ferzan Özpetek, presa Stefano Salvati diretta sul sentimento di Marcella Leonardi

4/5 scenari

SONO SOLO CANZONETTE?

di GIANNI CANOVA

Tra il cinema italiano e la canzone pop c’è da sempre un rapporto privilegiato. Spesso, il climax emozionale di un film è legato alla presenza di una canzone. Perché la canzone avvince, emoziona, unisce, ricorda. E si mescola con la vita. Ma come è cambiato questo rapporto nel tempo? E che uso fa della canzone, oggi, il nostro cinema?

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano Ne La stanza del figlio di Nanni Moretti, invece, la canzone di Caterina Caselli Insieme a te non ci sto più (che Moretti aveva già usato in Bianca) ha un ruolo di collante emotivo familiare: mentre è alla guida della sua auto, Moretti comincia a canticchiare il brano trasmesso dall’autoradio. È stonato, i familiari ridacchiano, poi a poco a poco si uniscono a lui nel canto. Ridono e sorridono. E la canzone cantata coralmente diventa un forte vettore di unità emozionale per tutti i membri della famiglia. Mau- ro Buzzi, nel libro citato, propone una casistica molto interessante delle varie funzioni che una canzone può svolgere in un film: può avere una funzione produttiva e promozionale, può servire a definire un ambien- te o a svelare e chiarire la trama, può caratterizzare i personaggi o può addirittura costituirsi come istanza narrativa primaria. Per non parlare di quei film in cui la canzone diventa configurazione di senso e di stile: si pensi anche solo al caso di Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, dove non solo il personaggio di Adriana (Stefania Sandrelli) è costrui- che l’apparizione della canzone to nel suo rapporto con le canzoni che girano sul suo giradischi spesso può svolgere nella drammaturgia azionato con il piede, ma sono le canzoni stesse – da E se domani di Mina di un film. Il primo, evidente, è la a Mani bucate di Sergio Endrigo – che dialogano con le immagini per ge- caratterizzazione del personag- nerare il senso del racconto. gio: quando all’inizio de Il sorpasso Abbiamo ricordato esempi di uso virtuoso della canzone nel cinema Bruno Cortona (il personaggio in- italiano. In tempi recenti, purtroppo, si dà anche il caso di esempi meno terpretato da Vittorio Gassman) efficaci: la canzone viene usata fin dal titolo per evocare un immaginario si accinge a salire in casa di Rober- che il cinema non sempre (non più…?) è in grado di creare autonoma- “Più sono stupide, più sono vere”. to Mariani (il personaggio inter- mente. Si ricorre alla canzone per invogliare e attirare il pubblico. Come Questo diceva delle canzonette pretato da Jean-Luis Trintignant) esca promozionale. Come appropriazione di un immaginario pop che Fanny Ardant in La signora della saltellando e canticchiando un nasce e cresce altrove. In una tradizione come quella italiana, che ha porta accanto. Meglio: glielo faceva successo di Edoardo Vianello sempre diffidato del musical, ma che ha nel proprio DNA l’opera lirica e dire François Truffaut. Cioè uno di (Con le pinne, il fucile e gli occhia- il melodramma cantato, e che al posto del musical ha frequentato i mu- quei rari autori che non hanno mai li…) ostenta – fin dalla scelta del sicarelli, una riflessione sul rapporto tra film e canzone può aiutarci – tra arricciato il naso di fronte ai gusti brano vacanziero – la propria ne- l’altro – anche a capire meglio la logistica delle emozioni che tramano e e ai consumi popolari, convinto cessità di allestire lo spettacolo innervano il nostro immaginario. com’era che cultura è tutto ciò della modernità e di proporre se che ci aiuta a vivere. E le canzoni, stesso come emblema insupera- le canzonette, quelle che un tem- bile di questa nuova fase della vita po erano fischiettate dal garzone sociale ed economica italiana. Ma del fornaio mentre consegnava quando poco dopo a bordo della il pane, e che invece oggi escono sua Lancia sfreccia sull’Aurelia e in forma digitale dagli smartpho- inserisce nel mangiadischi una ne, o dai programmi di streaming canzone come Frak di Modugno, come Spotify, in questa prospetti- aggiunge alla sua ostentata sfron- va sono insuperabili: ci aiutano a tatezza vacanziera anche un tocco maneggiare le emozioni, ci danno di sentimentalismo romantico le parole e il ritmo per riavviare i che rende il personaggio assai più ricordi e hanno l’“abietto potere” sfaccettato e complesso. – lo diceva Pasolini – di trasportar- In modo analogo, quando nella ci istantaneamente nel luogo e nel seconda parte de L’avventura di tempo in cui le abbiamo ascoltate Michelangelo Antonioni il per- per la prima volta. Quando poi sonaggio di Claudia (Monica sono usate nei film – e il cinema Vitti) si mette a cantare Mai di le usa tantissimo, quasi sempre Mina (No, no, no, mai ti lascerò...) in modo intelligente – hanno un mentre sdraiata sul letto si infila potere unico: aggregano emozio- le calze di nylon, e poi allestisce ni, definiscono identità, riaggan- sempre cantando un teatrino se- ciano ricordi, fissano sensazioni, duttivo per il suo uomo che si ap- generano socialità. Mauro Buzzi presta ad uscire e a lasciarla sola, – che al rapporto fra canzoni pop anche in questo caso la canzone e cinema italiano negli anni del diegetica canticchiata dà alla don- boom economico ha dedicato un na la possibilità di esprimere in bel libro, accurato e documentato modo leggero ma intenso il grumo (La canzone pop e il cinema italiano, di sentimenti contraddittori che Kaplan Edizioni) - propone una ri- la attraversano (Sì, sì, sì, sempre ti flessione approfondita sull’effetto odierò … no, no, no mai ti lascerò…).

6/7 NEL CUORE DEL RACCONTO

di ALFONSO PASTI

Youth, This Must Be the Place, The Young Pope, Bianca. Quattro titoli che aiutano a comprendere il rapporto fra la musica e la ricerca dei personaggi che ne sono protagonisti.

“Tu hai ragione. Capisco solo la musica. E sai perché la capisco? Perché la musica non ha bisogno delle parole né dell’esperienza. La musica, semplicemente, c’è”. In Youth Fred Ballinger, in vacanza nella quiete delle Alpi Svizzere, è un compositore e direttore d’orchestra in là con gli anni. Qualcuno vorrebbe ancora ascoltare le sue “canzoni semplici”, le sue sinfonie. Lui s’è ritirato da tempo. “La musica, semplicemente, c’è”, non lui. Perché senza la musica riesce rimuovere il ricordo di un dolore, una ferita mai rimarginata che la musica contribuirebbe a riaprire. Dall’altra parte dell’Oceano. Cheyenne non canta più. A cinquant’anni continua a sfoggiare quel look da rockstar, una masche- ra triste dietro la quale si nasconde la fortezza che lo lega al passato e lo scolla dal presente. This Must Be the Place, ma in realtà non esiste un po- sto giusto nel mondo per chi non trova pace con se stesso. Michele Api- cella in Bianca compie la scelta più netta. Abbandona il mondo, quello delle relazioni umane che non riesce a incasellare nei suoi schemi. E mentre matura quella decisione, c’è un vecchio juke-box che suona In- sieme a te non ci sto più. Il giovane Papa Lenny Belardo nel corso di una conversazione con la re- sponsabile marketing del Vaticano cita fra i propri modelli di riferimen- to Mina e i Daft Punk: quale metafora migliore per chi cerca ossessiva- mente il perfetto equilibrio tra fama e invisibilità, quale accostamento più centrato per chi, come Paolo Sorrentino, con Talking Heads e Ric-

cover - scenari Sono Sono solosolo canzonette?canzonette? QuantoQuanto ee comecome cantacanta ilil cinemacinema italianoitaliano chi e poveri, Debussy e Antonello Venditti, Raffaella Carrà e David Lang ci ha dimostrato che le com- mistioni creano armonia? Youth, This Must Be the Place, The Young Pope, Bianca. Quattro ti- toli che aiutano a comprendere stizia e alla memoria del passato il rapporto fra la musica e la ri- non può sottrarsi neanche Il divo cerca dei personaggi che ne sono Andreotti, se c’è la musica a scava- cui non si riconosce. Si muove fra protagonisti. Paolo Sorrentino e re fra le macerie di un terremoto la grande bellezza di David Lang, Nanni Moretti disegnano caratte- emotivo. E dopo la prima accusa che con I lie amplifica solennità ri distanti fra loro ma legati dalle di associazione a delinquere di e sacralità delle visioni monu- canzoni come spinta per la fuga un uomo da sentimenti di cui non stampo mafioso, al divo Giulio mentali, e A far l’amore comincia dal mondo. Sono i brani scelti da- trovava la chiave, ne La stanza del non resta che rimpiangere, strin- tu di Raffaella Carrà, che celebra gli autori a conferire ai personaggi figlio è collante e amplificatore di gendo le mani della moglie, I mi- il trionfo della grande bruttezza. la capacità di diradare le ombre. una situazione di unione, di sere- gliori anni della nostra vita. Quelli Una canzone che rispecchia la de- Come se una canzone potesse sol- nità. Una famiglia, due adulti, due sì che sono fuggiti, e tornano solo formità di quel mondo perché de- levare la maschera, illuminare una adolescenti, un viaggio in mac- sotto forma di malinconia, davan- forme essa stessa: è un remix, che via di fuga, indicare una svolta, ri- china, un evergreen da cantare ti alla televisione, ascoltando una manipola i lineamenti dell’origi- solvere un intreccio. La musica tutti insieme. Ma poi quella cosa vecchia canzone di Renato Zero. nale. Proprio come un chirurgo consegna un personaggio al cuore lì succede davvero. Un padre è Al contrario, c’è il sentimento del- plastico stravolge i volti degli uo- della storia che sta attraversando. costretto ad accettare che il desti- la rinascita in Inevitabilmente, con mini e delle donne che popolano Le canzoni smettono di essere natario di quelle parole, “insieme la voce di Fiorella Mannoia che quel mondo. O We no speak ame- relegate sullo sfondo, divengo- a te non ci sto più”, diventi il figlio chiude il capitolo Medici di Caro ricano, orrido campionamento no parte integrante del racconto, scomparso. Inutile cercare vie di diario e ne apre uno nuovo nella per il povero Carosone. Perfette, coprotagoniste. Conducono lo fuga dal dolore. E By This River di storia di Nanni Moretti. L’ultima insomma, per i trenini delle feste spettatore nei pressi del cuore del Brian Eno o Synchronising di Mi- seduta di chemioterapia mostra perché, dice Gambardella, “non racconto. Danno il ritmo quando chael Nyman hanno una potenza in un video amatoriale il desi- vanno da nessuna parte”. il protagonista cerca una strada evocativa tale che il protagonista derio di tornare a provare emo- per cambiare. non può che riaffondare nell’abis- zioni, sentimenti, un rinnovato Così, a diciassette anni da Bianca, so dal quale cerca di riemergere. desiderio di vivere con intensità. Insieme a te non ci sto più cambia Non c’è via di fuga, neanche con la Quello stesso desiderio al quale completamente funzione. Se allo- musica, dalla tragedia più grande. Jep Gambardella ha rinunciato da ra scandiva la presa di distanza di Non si sfugge nemmeno alla giu- tempo, calandosi in un mondo in

8/9 I RAGAZZI DEL JUKE-BOX di MIMMO GIANNERI

Il musicarello ha rappresentato l’apice del film musicale italiano, la sua messa in forma più compiuta e di successo, ma anche il canto del cigno del film-canzone, che dai primi Anni ’70 sostanzialmente scompare, se escludiamo la “resistenza” napoletana e il caso a sé della cine-sceneggiata di Mario Merola e Nino D’Angelo.

Il cinema italiano, per lunghi tratti della sua storia, ha avuto la naturale attitudine a documentare lo spet- tacolo popolare nazionale, sintetiz- zando sui propri schermi esperienze mediali elaborate altrove. Fin dall’av- vento del sonoro, in particolare, ha instaurato un rapporto simbiotico con l’industria discografica, i suoi in- terpreti e le sue maggiori espressioni sonore, come la canzone melodica all’italiana e il repertorio dialettale (napoletano in primis). L’imprinting è già evidente nel primo film sonoro italiano, La canzone dell’amore (G. Ri- ghelli, 1930), in cui risuona fin dai ti- toli di testa e poi con una performan- ce dal vivo la canzone Solo per te Lucia di Cesare Bixio, brano a cui allude anche il nome alla pellicola. Il caso eccezionale del musicarello

cover - scenari SonoSono solosolo canzonette?canzonette? QuantoQuanto ee comecome cantacanta ilil cinemacinema italianoitaliano maggiormente su alcuni interpreti di grido (Gianni Morandi, Caterina Caselli, Rita Pavone), laddove inizialmente dominava il racconto corale. Qui, per esempio, lo spettatore potrà rivedere su grande schermo la sto- ria d’amore, già sviscerata nei rotocalchi, tra Morandi e Laura Efrikian oppure, poco dopo, il romanzo d’appendice tra Al Bano e Romina. Le trame dei musicarelli spesso prendono l’abbrivio da esili conflitti generazionali. I “matusa” (Carotenuto, Bramieri, Vianello…) sono fun- zionari Rai miopi o genitori - le due cose non si escludono - affettuosa- mente refrattari al talento e all’educata vivacità dei figli. Ma gli scontri sono lievi, rari, bonari, e presto assorbiti. Del resto, sono gli stessi giova- ni cantanti a integrare nei propri repertori anche pezzi più tradizionali e melodici. Ciò che davvero emerge come nuovo, nel musicarello più che altrove, è l’irruzione di nuove fisicità. Da Celentano a Mina, da Cateri- na Caselli a Rita Pavone, sono i corpi, più dei racconti e delle melodie, a esprimere insoddisfazione, frenesia, eccitazione inappagata per il nuo- vo, ribaltando aspettative e consuetudini, rituali e codici sociali. Il musicarello ha rappresentato l’apice del film musicale italiano, la sua messa in forma più compiuta e di successo, ma anche il canto del cigno del film-canzone, che dai primi Anni ’70 sostanzialmente scompare, se escludiamo la “resistenza” napoletana costituita dal caso a sé della ci- ne-sceneggiata di Mario Merola e poi di Nino D’Angelo. Il cinema del musicarello proponeva un racconto in diretta, quasi in tempo reale, dell’Italia in cambiamento e, nel breve volgere di un decennio, ad assi- milazione del nuovo pressoché avvenuta, il compito di quel racconto, divenuto cronachistico, verrà assunto integralmente dal piccolo scher- va dunque contestualizzato all’interno della tradizione del cosiddetto mo televisivo. film-canzone, ovvero di una pellicola che si struttura, sul modello della sceneggiata napoletana, a partire da un motivo già esistente e sedimen- tato nella memoria recente degli spettatori, mettendone in scena le pra- tiche di consumo (il varietà, la radio, il giradischi, la tv…) e l’immaginario popolare. Così, quando irrompe la rivoluzione del musicarello con I ra- gazzi del juke-box (L. Fulci, 1959, ma con la mano fondamentale di Piero Vivarelli), il film-canzone tradizionale (quello con il repertorio melodi- co e dialettale di Nilla Pizzi, Luciano Tajoli e soprattutto Claudio Villa) sta ormai mostrando la corda, innanzitutto perché i consumi culturali italiani stanno cambiando. Le modalità interpretative delle canzoni si modificano profondamente e in breve si affermano gli urlatori (Dallara, Celentano, Mina), cantanti dallo stile vocale più aggressivo e disinvolto rispetto alla tradizione del bel canto all’italiana, subito assoldati dal ci- nema italiano. Tra il ’57 e il ’58 il 45 giri soppianta il meno trasportabile 75 giri, si diffonde il juke-box, che consente forme di socializzazione prima impensabili, e si propagano le influenze d’Oltreoceano: i nuovi balli, il rhythm and blues e il rock ‘n’ roll. Nel ’57 nasce Carosello e la televisione si sta rapidamente diffondendo nelle case degli italiani, proponendo un rapporto con le immagini riprodotte via via più diretto, immediato, domestico. Sul versante sociale, si affacciano i giovani, categoria per la prima volta dotata di una “voce”, appunto; il juke-box, come recita la voice over all’inizio del film di Fulci, diviene simbolicamente il “padre putativo della gioventù bruciata, tostata e arrostita del dopoguerra”. Il musicarello, insomma, mostra sugli schermi, senza tante sovrastrut- ture autoriflessive, il boom della modernità dei media e della società italiana. Il musicarello è il carosello, al cinema: ha una funzione promo- zionale e pubblicitaria dei cantanti e delle canzoni, e di un ecosistema socioculturale in mutazione repentina. I giovani spettatori vogliono vedere i propri beniamini su grande schermo, riascoltare le proprie can- zoni preferite, magari incorniciate da trame esili in cui riflettono, alme- no in parte, le proprie aspirazioni. I musicarelli sono infatti racconti di affermazione, dove i nuovi divi della musica leggera ripropongono, ro- manzata, la propria scalata al successo, dalla provincia agli studi Rai, ai palchi di Sanremo, alimentando la mitologia sviluppata parallelamen- te dalla radio, dalle riviste e dalla Tv. Ciò accadrà in particolare nella seconda metà degli Anni ‘60, quando i musicarelli saranno incentrati

10/11 PANE, AMORE E... THEGIORNALISTI di STEFANO LOCATI

Un excursus storico, dal muto, passando per gli Anni ’80, fino alla nuova generazione di registi YouTubers che sfruttano le hit pop del momento.

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano La musica era parte fondante del cinema già nel periodo del muto, in un contesto dal vivo sfruttato come accompagnamento e riem- pitivo, ma è solo con l’avvento del sonoro che il connubio di imma- gini in movimento e canzoni si Nel dopoguerra, un’Italia ancora salda e trova la sua dimensione largamente contadina riprende a ideale. Il primo film sonoro nel sognare di un futuro di crescita e cinema italiano è considerato La benessere e di nuovo le canzoni canzone dell’amore di Gennaro presenti nei film fanno da testa Righelli (1930), tratto, molto alla di ponte, dalle arie delle mondine lontana, dalla novella di Pirandel- intonate da Silvana Mangano in lo, In silenzio. Già in questo primo Riso amaro (Giuseppe De Santis, esempio, nella partitura sonora si 1949) alla tetralogia di Pane, amore distingue Solo per te, Lucia, com- e..., dove Vittorio De Sica interagi- preta La ballata dell’eroe, scritta posta da Cesare Andrea Bixio e sce con Gina Lollobrigida, Sophia da un giovanissimo Fabrizio De lanciata da Beniamino Gigli. La Loren e Carmen Sevilla sempre André. È una presa di coscienza canzone si dimostra subito un al suono di trainanti melodie che della canzone come profondo successo e negli anni trova diver- spesso interpreta. Memorabile momento di critica sociale, che si altri interpreti. Le potenzialità rimane il Mambo italiano di Dean segna la diffusione del cantauto- commerciali dell’abbinamento Martin nel terzo capitolo, Pane, rato al cinema, in un percorso che come nel legame che si crea tra tra cinema e canzoni leggere si amore e... di Dino Risi (1955), sul- prosegue per tutti gli Anni ‘70. Massimo Troisi e Pino Daniele a conferma ad esempio in un film le cui note si muovono un’ardita partire da Ricomincio da tre (1981). come Gli uomini, che mascalzoni... Loren e un impacciato De Sica. Il disimpegno si riaffaccia negli Gli Anni ‘90 portano invece una di Mario Camerini (1932), in cui Le canzoni sono momenti di sva- Anni ‘80 in chiave nostalgica e sintonizzazione verso la scena la coppia dei giovani Vittorio De go e di seduzione che in forza del ingenua, con la ripresa di classi- musicale indipendente coeva, tra Sica e Lia Franca è trascinata al ritmo coinvolgono emotivamente ci della generazione precedente post-rock e sound system, segno ballo da Parlami d’amore Mariù, nelle relazioni sullo schermo. Lo portati alla ribalta dal successo della stagnazione economica e che De Sica stesso si diverte a can- schema subisce un’accelerazione di Sapore di mare di Carlo Vanzina della desolazione post-ideologi- tare. La canzone, sempre scritta negli anni del boom economico: (1983), strapieno di canzoni Anni ca: in un filo sonoro che collega da Bixio su testi di Ennio Neri, ha le canzoni non sono più solo un ’60, curate da Edoardo Vianello e idealmente Sud di Gabriele Sal- un enorme successo, trasmessa e guanciale d’accompagnamento, Mariano Perrella. Da Abbronzatis- vatores (1993) a Paz! di Renato ritrasmessa alla radio. Con il pro- ma diventano un simbolo di fre- sima a Nessuno mi può giudicare, da De Maria (2002), passando per gressivo interessamento al cine- nesia e modernità – una differen- Non ho l’età a Sei diventata nera, il Tutti giù per terra di Davide Fer- ma da parte del regime, che da un za simboleggiata dalla scena de Il film si trasforma in un amarcord rario (1997), nelle colonne sono- lato preme verso la propaganda, sorpasso di Dino Risi (1962), in cui mixtape che si regge interamen- re si susseguono canzoni-inno di ma dall’altro – forse con ancora Vittorio Gassman balla al suono te sulle canzoni per evocare il gruppi alternativi come 99 Posse, maggiore convinzione – verso il di Guarda come dondolo di Edo- passato – un modello ripetuto in CSI, Üstmamò, Marlene Kuntz. disimpegno e lo svago, le arie di ardo Vianello: sulla pista con una infinite varianti in quel decennio Nel nuovo millennio, complice canzoni accattivanti diventano ragazza, proprio come nel caso e ripreso di recente da film come anche una dispersione di espe- uno degli elementi portanti dei Loren/De Sica di pochi anni pri- Notte prima degli esami di Fausto rienze musicali alternative, que- film. Nel filone dei cosiddetti “te- ma, Gassman è però più interes- Brizzi (2006), questa volta con sto legame si indebolisce, ma spo- lefoni bianchi”, quelle commedie sato alla sua performance, tanto canzoni Anni ‘80. In questo fran- radicamente riemerge la necessità borghesi che mostravano i segreti che quando viene urtato si irrita gente, la canzone diventa anche di legare le rappresentazioni dei di una vita agiata, irraggiungibile ed esplode: “Aho e famme balla’, elemento di identità regionale, più giovani a canzoni simbolo di per la maggior parte degli spetta- no? Sto creando!”. Lo stesso anno gruppi emergenti, come ad esem- tori, equivoci, amori evanescenti esce anche La cuccagna di Luciano pio in Sempre meglio che lavorare e canzonette si fondono e confon- Salce, sulle illusioni del progresso di Luca Vecchi (2016), in cui gli dono. Un periodo di spensieratez- economico, con protagonista un YouTubers The Pills sfruttano za che idealmente si chiude con inedito Luigi Tenco in qualche canzoni di Thegiornalisti, Cal- Stasera niente di nuovo di Mario modo rivoluzionario, che inter- cutta e I Cani per costruire una Mattioli (1942), in cui Alida Valli contemporaneità ironica, disillu- canta Ma l’amore no, composta da sa e spesso sperduta. Giovanni D’Anzi su testi di Miche- le Galdieri. La canzone è successi- vamente incisa da Lina Termini, ma è la versione filmica della Valli a renderla un tormentone per tut- ti gli Anni ’40.

12/13 MI PRESTI IL TITOLO?

di ALICE CHEMIN

Da Lavorare con lentezza a La prima cosa bella: cosa succede quando una canzone viene usata come titolo del film?

Con l’intento di analizzare le funzioni che un pezzo di repertorio può avere all’interno del film, ci si imbatte in un numero non indifferente di pellicole che hanno come titolo quello di una canzone. Si può parlare di una vera e propria categoria di film italiani che nell’ultimo ventennio hanno utilizzato il titolo di un pezzo pop. Il fenomeno era tipico dei musicarelli che spesso prevedevano l’inseri- mento di cantanti messi in scena in forma filmica con le canzoni in voga in quel periodo. Negli ultimi anni, invece, si è notato un aspetto interessante: molti dei pezzi usati per la titolazione di film appartengono ad un passato recente, in particolare a un periodo che va dagli Anni ‘60 agli ’80. Questa grande categoria può essere suddivisa in tre sezioni. Si distin- guono: film il cui titolo riprende una canzone scritta in originale; film che usano la canzone solo per il titolo, senza che poi essa appaia all’in- terno; e infine la sezione più interessante che riguarda quei film che uti- lizzano il pezzo del titolo all’interno, in modalità diegetica e non. Osserviamo il funzionamento della canzone all’interno di quest’ultima categoria di film. Ci troviamo di fronte a pellicole ambientate nel passa- to e la canzone che presta il titolo spesso funge da commento. Si vedano

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano Lavorare con lentezza (Chiesa, 2004), con brani che corrispondono al pe- riodo dell’ambientazione del film, o Notte prima degli esami (Brizzi, 2006), costellato di pezzi Anni ‘80. Sono interessanti anche Amore che vieni, amo- re che vai (Costantini, 2008) e Questo piccolo grande amore (Donna, 2009), nei quali i brani sono funzionali a sviluppare la narrazione. Prendiamo La prima cosa bella (Virzì, 2010): qui il pezzo fa da collegamen- to tra passato e presente dei protagonisti e va a caratterizzare la figura della madre, così come in Azzurro (Rabaglia, 2000) la canzone è strettamente collegata al protagonista. Questa strategia, che prevede che la canzone si identifichi con il personaggio, richiede un’attenzione particolare da parte dello spettatore e al contempo lo aiuta a seguire la trama. C’è anche la possibilità che la canzone che presta il nome al film non sia italiana, osserviamo Almost Blue (Infascelli, 2000) e This Must Be The Place (Sorrentino, 2011). Nel primo, il pezzo diviene immagine di uno stato d’animo che si trasferisce da un personaggio ad un altro, nel secondo il motivo accompagna il viaggio del protagonista e dimostra il suo desiderio di cambiamento (si noti che la canzone porta con sé un’immagine ben diversa da quella che abbiamo di Cheyenne). L’appli- cazione di un pezzo con un immaginario differente rispetto a quello del personaggio si osserva anche in Albakiara (Salvati, 2008), nel quale la ragazza descritta dal testo della canzone sembra essere completamente opposta alla protagonista del film. Spesso quindi il testo del brano musicale svolge un ruolo fondamenta- le che merita di essere analizzato. La canzone si caratterizza per la sua fruibilità che è data dalla struttura semplice, si compone infatti di tre elementi: testo, musica e interpretazione. Il testo, che di norma è acces- sibile e memorizzabile, permette la facile identificazione da parte dell’a- scoltatore. Detto ciò, si osserva come spesso il testo possa essere com- pletamente ricontestualizzato all’interno del film. Consideriamo due pellicole diverse come Te lo leggo negli occhi (Santella, 2004) e Nemmeno il destino (Gaglianone, 2004), che prendono il titolo da due brani con un testo dalla tematica sentimentale; in entrambi i casi il testo acquisisce un nuovo significato d’affetto, nel primo tra madre e figlia e nel secondo tra un gruppo di amici. Un caso esemplare di pezzo che viene investito di un significato diverso è quello della Caselli in Arrivederci amore, ciao (Soavi, 2006). Il senso nostalgico che il brano evoca non ha niente a che fare con le modalità con le quali è utilizzato nel film: Insieme a te non ci sto più è parte del passato del protagonista e torna a tormentare il suo pre- sente; esso fa riferimento a un episodio traumatico e immancabilmente presagisce un evento negativo, andando così a stravolgere l’immagina- rio che lo spettatore ha del pezzo. Un’altra operazione che desta interesse si configura quando in una pel- licola ambientata ai giorni nostri la canzone, appartenente al passato, riesce a creare un universo temporale parallelo. In film come E se doma- ni (La Parola, 2005) e Figli delle stelle (Pellegrini, 2010) i rispettivi brani generano una sorta di “bolla temporale” che immerge lo spettatore in un’atmosfera passata. È bene quindi soffermarsi, se si nota che il titolo di un film è uguale a quello di una canzone: se essa è utilizzata solo per la titolazione trattasi quasi sempre di pura operazione di marketing, che fa leva sulla memo- ria dello spettatore; se invece appare all’interno, ha spesso una funzione interessante che merita di essere approfondita.

14/15 NANNI MORETTI: NON SO CANTARE NÉ BALLARE

di FLAVIO DE BERNARDINIS

Gino Paoli, Jovanotti, Battiato, Lauzi, Salvatore Adamo, Caterina Ca- Canzoni e automobili, il juke selli, Lucio Battisti, Mina, Loredana Bertè, Renato Zero e anche Bru- box, l’Italia degli Anni ‘60 e ce Springstreen (I’m on fire), Brian Eno (By this river) … Visa para un ‘70. L’Italia che non c’è più. sueňo, di Juan Guerra … El negro zumbon cantato da Silvana Mangano Esclusa. Magari per eccesso tratto da Anna di Alberto Lattuada … e infine E lucevan le stelle di Puc- di eccezione politico/sociale cini/Giacosa-Illica: i motivi musicali nel cinema di Nanni Moretti (il partito comunista più forte sono molti, e usati in tutte le maniere possibili, ovvero per analogia, dell’Europa occidentale…). contrasto, identificazione o giustapposizione con il personaggio, e la Per aver esagerato con il con- situazione narrativa del momento nel film. sumo, sia di merci che di uto- Si ha l’impressione di un’idea di cantata cinematografica, qualco- pie. In una parola, per eccesso sa che resti come fosse un’opera, o un musical, o davvero una vera di autarchia, forse. e propria commedia musicale, come nella tradizione del Sistina di Roma, dove le canzoni siano arie, e le battute, da quelle su D’Alema o sui giornali, il contrappunto recitativo. Cantata dei giorni e dei gior- ni dispari, come recita il titolo di tutto il teatro di Eduardo. E poi la cosa più importante: l’ossessione di non saper né cantare né ballare, quindi il tema dell’esclusione che attraversa i film di Moretti. Essere esclusi per essere finalmente liberi, ma anche pagare il prezzo di non partecipare alle feste e ai riti della comunità. Le canzoni rammentano questo esserci/non esserci, che è il fondo am- letico del suo cinema, individuato anche nel Tonio Kröger di Thomas Mann, una delle fonti di ispirazione di Sogni d’oro, in cui il protagonista dichiara di trovarsi tra due mondi, ma in nessuno di essere a casa. Silvio Berlusconi, così, è la figura dell’usurpatore, colui che invece sta di casa ovunque; Massimo D’Alema qualcuno che ha smarrito la strada di casa, e non sa più dove si trovi; Matteo Renzi incredibile, chi mette in dubbio il concetto stesso di casa. Nessun interlocutore è sufficientemente assestato per il tema dell’esclusione, che solo il non saper né cantare né ballare rende vivo e fecondo. La canzone, a questo punto, diventa così il luogo dell’utopia, l’utopia dello stare insieme che tuttavia mantiene ferma la centralità dell’in- dividuo. Essere io con tutti, e tutti essere io. Essere per tutti, perché sono solo e soltanto io. La famiglia è davvero unita, ne La stanza del figlio, solo quando canta in macchina. Canzone e automobile, nel cinema di Moretti, spesso si richiamano. Sono mezzi di trasporto: trasporto sui territori dell’utopia, mezzi di locomozione per puntare l’altrove. Il juke box, lo stesso: macchina del tempo che evoca e ren- de presente cantanti/fantasma.

cover - scenari SonoSono solosolo canzonette?canzonette? QuantoQuanto ee comecome cantacanta ilil cinemacinema italianoitaliano FERZAN ÖZPETEK, PRESA DIRETTA SUL SENTIMENTO

di MARCELLA LEONARDI

Le direttive principali del cinema di Özpetek sono il desiderio e il ri- cordo. È un cinema che vive di slanci emotivi, nostalgie, trasalimenti; cinema vissuto soggettivamente dal suo autore, in cui ogni immagine viene velata dal suo sguardo interiore. All’interno di tale poetica, la colonna sonora acquisisce primaria importanza: il regista usufruisce della musica sia per il suo potere evocativo - Özpetek trae continua ispirazione da un rapporto ininterrotto col proprio passato, sottoline- ato da melodie che disegnano un tracciato attraverso lo scorrere del tempo - quanto per la sua qualità narrativa; la canzone funge da breve storia, scheggia di racconto con cui il regista tesse la sua trama. È un dialogo musicale sottile e personale, che assume valore centra- le dal punto di vista strutturale: Özpetek si attiene a un flusso di co- scienza - il tappeto sonoro dei sogni, dei ricordi, delle proprie radici culturali - interrotto da brani musicali che si inseriscono in forma di “presa diretta” sul sentimento: irruzioni del presente, testimonianze di un “hic et nunc” emozionale, stati d’animo (non di rado innescati dall’incontro con l’altro). La canzone assume quindi il valore di “voce off” cui Özpetek affida snodi centrali del racconto. Tra i suoi cantastorie d’elezione vi sono, di preferenza, voci femminili (Patty Pravo con Sogno, Nina Zilli con 50mila, Gabriella Ferri con Remedios; su tutte brilla Sezen Aksu, diva turca prediletta dal regista, vera e propria Magnifica presenza, per ci- tare il film omonimo che contiene il maggior numero di brani della cantante (inclusa l’inedita Gitmem Daha); Sezen Aksu è un fantasma musicale il cui repertorio sembra racchiudere il nucleo della sensi- bilità del regista. Con le sue notevoli tecniche vocali, la Aksu riesce a convogliare una pluralità di sensazioni - nostalgia, passione erotica, desiderio del futuro, senso ironico dell’imprevedibilità del presente. Ogni suo brano reca una dolce nostalgia mediorientale, un incorpo- reo cosmopolitismo. Significativo, inoltre, il legame tra scelte musicali e montaggio: nel- la filmografia di Özpetek, l’editing di numerose sequenze segue il “movimento” delle canzoni; questo procedimento trasforma le scene, soprattutto nel caso delle commedie, in frammenti di musi- cal (si pensi a Sorry I am a Lady di Baccara in Mine vaganti), mentre altrove la canzone funge da propulsore estetico del melodramma (Senza voce di Pietra Montecorvino in Napoli velata, Gocce di memoria di Giorgia ne La finestra di fronte, Je suis venue te dire que je m’en vais cantata da Carmen Consoli in Saturno contro).

16/17 PAOLO VIRZÌ, ANIMO FOLK

di GIANLUCA ARNONE

Quando non si affida all’estro di compositori affermati come Buo- nvino (N – Io e Napoleone) e Piersanti (Tutta la vita davanti) è la canzone, originale o di repertorio, la colonna sonora prediletta da Paolo Virzì. Che pare più a suo agio proprio nell’uso della ballata, pop e venata di blu (inteso come colore del sentimento), di presa immediata. In Virzì l’uso della convenzione non è mai solo riciclo. Certo, la canzone conserva il più delle volte una funzione descritti- va, d’amplificatore di scena, come nella quasi totalità del cinema ita- liano, ma sempre riconoscendogli una dignità e un’autonomia che permettono al regista livornese di renderne l’impiego più sofistica- to. Prendiamo un film emblematico come La prima cosa bella dove la hit omonima di Mogol e Nicola Di Bari intrattiene con la narrazione più di un rapporto di significazione. Il più banale è il rimando a un’e- poca – gli Anni ‘70 – in cui è ambientata una parte consistente del film, tanto come riferimento temporale quanto sentimentale. E qui Virzì sposa del tutto l’attitudine alla nostalgia e all’estetica vintage del postmodernismo. D’altra parte, la canzone conserva un potere di suggestione tale da permettere a Virzì di impiegarla come vero e proprio personaggio occulto. Il pezzo è fortemente legato alla figura di Anna, che la canta tutte le volte che vuol tenere unita la famiglia nei momenti di difficoltà. Al punto tale da comparire per l’ultima volta nella stanza della madre morente, in funzione catartica, paci- ficatrice. Meno interessante è invece il ricorso, nello stesso film, ad altri famosi pezzi di repertorio come L’immensità di Don Backy (in apertura, in modalità dida d’epoca) o L’ora dell’amore dei Camale- onti (utilizzata in funzione di contrappunto con le avverse vicende dei due bambini protagonisti). Come il fratello Carlo, fedele soda- le musicale, Virzì predilige la discrezione di soundtrack delicate, di rado sopra le righe. Persino in trasferta americana il meno è più, e dire che la corrente sonora porta partiture pesanti, da Janis Joplin a Mascagni al Wagner del Parsifal. In fondo l’anima sonora di Virzì è squisitamente folk, dylaniana: un testo e una chitarra tutti i santi gior- ni. Non una fuga dal presente nel nome di un passato impossibile ma la ricerca di un’armonia perduta tra momenti della vita. Come nella commedia sentimental-musicale suddetta, sorta di Once all’italiana, vetrina della cantautrice siciliana Federica Caiozzo, in arte Thony, che con le sue ballate cariche di dolcissima rabbia sembra regalare, anche solo per un istante, il conforto di una melodia perduta.

cover - scenari SonoSono solosolo canzonette?canzonette? QuantoQuanto ee comecome cantacanta ilil cinemacinema italianoitaliano PAOLO SORRENTINO, REPERTORIO ONNIVORO

di G.A.

Da Max Richter a Peppino Di Capri, da Béla Bartók a Roberto Murolo, da Franz Schubert a Raffaella Carrà. Brani classici e pezzi pop, eser- cizi di vocalità medioevalista e canzoni francesi, disco-vintage e bal- late “alla Leonard Cohen”, dal sublime al trash. Basterebbe questo inventario musicale onnivoro, questo pezzo polittico sonoro a defi- nire il gusto e la personalità artistica di Paolo Sorrentino. Un’anima musicale votata alla contaminazione e all’eccesso. Al pari di quella cinematografica. E del resto le due sorgenti espressive si tengono in- sieme, si cercano. Più ancora che nel caso della parola (di cui, pure, il regista napoletano non difetta), qui il legame è congenito. E non perché il brano riempia l’immagine con la sua emozione, ma perché ne provoca una nuova esplosione di senso. Paolo Sorrentino del re- sto sceglie i brani di repertorio da usare già in fase di scrittura della sceneggiatura, chiarendo così uno dei segreti chiave dello scrivere per immagini: l’utilizzo pieno della musica non è mai decorativo, ma partecipa alla composizione di una sequenza e i suoi dialoghi. Le scene madri somigliano allora a dei videoclip musicali, mentre il meccanismo della scomposizione tipico della colonna sonora coin- volge la partitura per immagini, dove l’entrata in campo di una can- zone non è più un fatto estemporaneo, ma uno dei nodi di una nar- razione altrimenti solo sfilacciata. C’è sempre dialogo tra immagine e canzone: ora è l’immagine ad alterare il significato evidente della canzone, ora invece è la canzone a ribaltare il senso di un’immagine. Ne Le conseguenze dell’amore, ad esempio, Rossetto e cioccolato della Vanoni canticchiata dai mafiosi che stanno per mandare al patibolo Titta di Girolamo diventa di colpo un brano tra il sinistro e grotte- sco, che getta una luce nuova sulla disperata situazione del prota- gonista. Ne Il Divo, le canzoni di repertorio sono spesso usate come grimaldelli per aprire le maschere del potere del film, contribuendo in maniera originalissima al processo di decodifica della storia: è il caso de I migliori anni della nostra vita, che apre uno squarcio di ca- lore domestico nell’impassibile muraglia andreottiana, o del passo inquietante di Da Da Da sui titoli di coda, mentre apprendiamo delle sorti giudiziarie del nostro. Paradossalmente Sorrentino ha mostra- to più misura con una vera opera rock come This Must Be the Place, dove il cortocircuito immagine/canzone è meno sorprendente (ma non per questo meno raffinato). Resta il fatto che i film di Sorrentino siano prima di tutto documenti sonori pregiati. Un giorno dovremo ricominciare a studiarli ascoltandoli.

18/19 CANZONI MIGRANTI di G.C.

2 settembre 1981. La mia prima volta a Venezia. In Sala Grande passa il film d’esordio di uno sconosciuto autore jugoslavo. Ti ricordi di Dol- ly Bell?, regia di Emir Kusturica. Ricordo come se fosse ieri l’emozione che mi coglie quando dagli altoparlanti sento esplodere le note trasci- nanti di 24.000 baci di Adriano Celentano, eseguite dal complessino in cui canta il giovane Dino, il ragazzo introverso e appassionato di ipnosi che è il protagonista del film. Mi colpì, allora, che un brano rock italiano (scritto, per altro, da due uomini di cinema: Lucio Fulci e Piero Vivarel- li) potesse avere successo ed essere venerato come un cult anche oltre confine, tanto da diventare il tormentone musicale (e non solo…) di un film prodotto in un Paese socialista. Non sapevo, allora, che Celentano e Marino Marini erano famosissimi e amatissimi anche oltre la Corti- na di ferro e che fin dagli Anni ’60 li cantavano, ad esempio, i ragazzi di Varsavia. Non è un caso che un autore colto e raffinato come il polacco Paweł Pawlikowski abbia voluto inserire proprio 24.000 baci sia in Ida (Oscar come Miglior Film Straniero 2013), dove è eseguito dalla prota- gonista, sia nel recente Cold War, dove la canzone riecheggia in sotto- fondo, in una scena che gronda nostalgia. È indiscutibile: gli stranieri amano la musica italiana. La canzone italiana. Tanto che alcuni capolavori del cinema internazionale scelgono proprio canzoni pop italiane nelle loro scene madri. O in scene particolarmente significative. Qualche esempio. In The Wolf of Wall Street dopo il naufragio di Di Caprio sul suo panfilo miliardario, i marinai soccorritori ballano sulle note di Gloria di Umberto Tozzi, ese- guita in versione originale e non coverizzata. Ma la stessa canzone è ci- tata anche in Flashdance, e la versione inglese cantata da Laura Branigan riecheggia in Tonya di Craig Gillespie e nella puntata della serie Ameri- can Crime Story dedicata all’omicidio di Gianni Versace. Immancabile e quasi obbligatoria la sua presenza anche in Gloria del cileno Sebastiàn Lelio. Sempre Scorsese usa Il cielo in una stanza di Gino Paoli, cantata da Mina, come colonna sonora del bellissimo piano-sequenza di Quei bravi ragazzi in cui la voice over presenta i “” scivolando mor- bidamente da Anthony Stabile a Jimmy Duevolte. Il mondo di Jimmy Fontana dà invece un’enfasi tutta particolare alla scena del matrimo- nio in Questione di tempo di Richard Curtis, accompagnando l’ingresso della sposa in chiesa e poi via via seguendo la cerimonia fino all’uscita, quando una bufera di vento e di pioggia accoglie gli invitati e scompiglia le toilettes delle signore. In L’effrontée di Claude Miller, primo film inter- pretato da una giovanissima Charlotte Gainsbourg, la canzone dei Ric- chi e Poveri Sarà perché ti amo è così centrale e ricorrente da diventare addirittura il sottotitolo del film nell’edizione italiana (L’effrontée-Sarà perché ti amo).

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano Tantissimi cineasti stranieri, in tutte le parti del mondo, usano volentieri canzoni italiane nei loro film. A volte sono scelte abbastanza scontate (da Volare a Felicità), ma altre volte si incappa in vere e proprie sorprese. Segno di una vitalità emozionale che il mondo ci invidia.

Se poi parliamo di un capolavoro come Volare/Nel blu dipinto di blu di Domeni- co Modugno, non si contano i film che la utilizzano, da Absolute Beginners di David Bowie (che è ambientato nel 1958, anno di uscita del disco), a To with Love di Woody Allen. Tra i casi più recenti possiamo ricordare ancora Mommy di Xavier Dolan, dove il protagonista immerso in una luce bluastra intona stonando Vivo per lei di Bocelli e Giorgia in un’emozionante e disturbante scena di karaoke, mentre Ma che freddo fa di Nada viene utilizzata in modo stranian- te e inatteso nel finale horror di Raw – La cruda verità. Si potrebbe continuare a lungo: In ginocchio da te di Gianni Morandi appare in una cruenta scena di Blood Ties di Guillaume Canet, Una tribù che balla di Jovanotti è in Un boss sotto stress di Harold Ramis, A far l’amore co- mincia tu della Carrà, prima che remixata da Bob Sin- clair in La grande bellezza, è in Gocce d’acqua su pietre roventi di François Ozon, mentre Meravigliosa creatura della Nannini è ne Il caso Kerenes, Orso d’oro a Berlino nel 2013. La musica italiana appare dove meno te l’aspetti, si insi- nua nelle culture e nelle cinematografie più lontane, e offre sempre – in ogni caso - occasioni di grade intensità emotiva. Come nel finale di Lourdes dell’austriaca Jessica Hausner, storia di un miracolo nella capitale europea del pellegrinaggio mariano, concluso un po’ a sorpresa sulle note di Fe- licità di Al Bano e Romina: altro inno all’ottimismo e all’italianità così scontato da essere quasi irrinunciabile. Sarà un caso, ma è proprio sentendo in Tv questo brano che il baldo Checco Zalone, migrato nel profondo Nord dell’Europa per difendere il suo diritto al “posto fisso”, decide in Quo vado? di tornare a casa.

20/21 CORRISPONDENZE DI AMOROSI SENSI di ALBA SOLARO

La parola a tre artiste che hanno collaborato a colonne sonore di film: Carmen Consoli, Nada e Nina Zilli ci raccontano il loro rapporto con registi come Gabriele Muccino, Paolo Sorrentino, Daniele Luchetti e Ferzan Özpetek.

Ci sono scene di film che non sarebbero le stesse, neppure le ricorde- remmo, se non fosse per quella canzone. Lo chiamavano Jeeg Robot non sarebbe lo stesso senza Lo Zingaro-Luca Marinelli che urla a squarcia- gola Non sono una signora in macchina con i suoi amici dopo una spara- toria (“daje regà, tutti insieme”), o quando, truccato e vestito come un Renato Zero da balera, canta Un’emozione da poco di Anna Oxa davanti un pubblico di camorristi. Loredana Bertè per sfogare tutta la dispera- CARMEN CONSOLI ta determinazione a restare vivi, la Oxa per diventare altro da sé; in en- trambe i casi siamo davanti a un meccanismo prezioso e preciso. Non è L’ultimo bacio (2001) di Gabriele Muccino e L’ultimo bacio (2001) di Car- colonna sonora, è la canzone che entra direttamente nella sceneggiatu- men Consoli: film e canzone con lo stesso titolo fanno venire voglia di ra, e dice più di mille parole. Un maestro in questo senso è Nanni Moret- chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. La cantantessa catanese ti. Nulla come i personaggi de La stanza del figlio, che in auto cantano In- esplode in una delle sue mitiche risate. “Lì è successa una magia”, mi sieme a te non ci sto più di Caterina Caselli, dà il senso di piccola famiglia racconta. “Paolo Buonvino, il mio maestro, stava arrangiando il mio al- serena, di un gruppo di persone che non ha bisogno di altro per sentirsi bum (L’eccezione) e contemporaneamente lavorava alla colonna sonora unito. Succede anche, a volte, che la canzone per entrare a far parte della del film di Gabriele, che era giovane e bello come il sole. Un giorno Pa- storia debba uscire da sé, diventare altro. Succede che ci siano canzoni olo mi chiama: ‘Mi sono reso conto che tu e Muccino state dicendo la che ricordiamo per il film, e non viceversa. stessa cosa. L’ultimo bacio sarebbe perfetta per il suo film, ti andrebbe di sottoporgliela? Voglio farvi diventare amici!’”. Stavate davvero dicendo la stessa cosa? Sì, esploravamo la precarietà dei rapporti, l’abbandono. Le coincidenze magiche. Il bello è che la canzone già esisteva, il film non è nato da lei anche se Gabriele la amò così tanto da prenderne il titolo. Il regista che più ti assomiglia? Non è italiano ma è come se lo fosse, si chiama Ferzan Özpetek. Sa rac- contare le sfaccettature della vita, anche quelle di cui a volte ci vergo- gniamo. Sa far ridere e commuovere insieme, una cosa molto siciliana. Pirandelliana. È il sentimento del contrario, il tragico che è al tempo stesso comico; come l’agrodolce che usiamo per la caponata.

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano NINA ZILLI

Se si parla di matrimonio perfetto tra musica e immagine, a Nina Zilli viene in mente il valzer delle astronavi in 2001 Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. La cantante soul ha un’anima cinefila; ama π - Il teo- rema del delirio di Darren Aronofsky; nel 2010 ha portato a Sanremo un pezzo intitolato L’uomo che amava le donne. Nello stesso anno, Özpetek inserì nella colonna sonora di Mine vaganti un brano che lei aveva inciso con Giuliano Palma, 50mila. “Ferzan era in Puglia, stava girando il film quando ci ha sentito alla radio. Me l’ha raccontato lui. ‘Ho sentito la tua canzone ed era uguale al mio film. Allegra in superficie, però se la ascol- ti bene ti spezza il cuore’. Ovviamente mi ha fatto un piacere enorme, ma non ne ho più saputo nulla finché un giorno mi arriva una mail. La apro e c’era il trailer, con Scamarcio che cantava: 50milaaaa lacrimeee, e la mia voce sotto! Mi è venuto un colpo apoplettico”. La prima volta che ha sperimentato la forza della musica in un film? “È stato quando mia NADA mamma mi ha spedito da sola in Irlanda, a 10 anni, per fare un quadri- mestre scolastico e imparare la lingua. Ero una bambina chiusa, avevo Quanto è bello il finale di Mio fratello è figlio unico (2007) di Daniele bisogno di una svegliata. Al cinema facevano The Commitments di Alan Luchetti, senza dialoghi, solo Elio Germano sulla spiaggia che rivede se Parker. Per dirla con i Blues Brothers: ‘ho visto la luce’. Non ho capito stesso bambino e forse fa pace con la sua vita, mentre Nada canta Amo- nulla dei dialoghi ma tutta quella musica soul mi è esplosa in testa, e re disperato? Una canzone può valere più di mille parole. “Per me in un non è più uscita dalla mia vita”. film la musica funziona se non la sento, se quasi non me ne accorgo”, mi spiega al telefono Nada, in tour con l’ultimo album È un momento difficile, tesoro. La sua voce fa capolino da tante colonne sonore, ma qualcosa di diverso è successo quando Paolo Sorrentino ha scelto la quasi sconosciuta Senza un perché (2004), per The Young Pope. “Mi ha stupito, perché tutti chiedono sempre le canzoni più famose. Ma Sor- rentino non ha un linguaggio comune. E mi ha stupito una seconda volta, perché non mi aspettavo volesse farne un uso narrativo nella sto- ria”. E che uso. Il brano compare due volte. In una scena Pio XIII-Jude Law ascolta in silenzio il 45 giri del disco, un regalo della signora primo ministro della Groenlandia. Poco dopo, nel finale dell’episodio, si vede la premier groenlandese ballare sulle note del pezzo in una stanza vati- cana. La canzone invade lo spazio (c’è anche l’ingresso cigolante di un carrello con sopra il giradischi), e la mente del Papa con le immagini di una vita solitaria che passa “senza un perché”. “Non chiedermi di inter- pretare”, chiosa Nada, “questa è una richiesta che va fatta ai registi”.

22/23 CIAK, SI CANTA

di MARGHERITA BORDINO

Filippo Bologna, Massimiliano Bruno, Marco Danieli, Marco Manetti, Stefano Salvati: il punto di vista di registi che hanno dichiaratamente scelto di usare brani pop della musica italiana come titolo del film o come parte preponderante della colonna sonora.

MASSIMILIANO BRUNO

1. In Nessuno mi può giudicare il titolo è stato trovato dopo ed è non ade- rente alla storia. Per Viva l’Italia corrisponde a una canzone italiana. Qui è più attinente, si parla dello sfascio politico e sociale del nostro Paese e il brano ha un filo di polemica rispetto alla conduzione politica di casa nostra. Con Confusi e felici ho ‘parodizzato’ la canzone di Carmen Con- 1. Dalla canzone al film o dal film alla canzone? soli ma è stato solo un espediente di assonanza. Negli ultimi progetti non ho più utilizzato questo escamotage, anche se Gli ultimi saranno gli 2. Canzoni pop come titolo o all’interno di un film: ultimi è una frase contenuta in Quelli che benpensano di Frankie Hi-Nrg. ‘moda’ o valore aggiunto? 2. Ci sono tantissimi film che si ispirano a canzoni, penso a La prima 3. Musica come ricostruzione di un’epoca cosa bella di Virzì: non credo sia una moda. Si usano titoli di canzoni o anche frasi fatte, come Perfetti sconosciuti o il mio Beata ignoranza. Sono o come contrasto al contenuto della sceneggiatura? modi di dire, frasi idiomatiche più semplici da ricordare per il pubblico. 4. Il brano popolare che vorrebbe utilizzare 3. Serve assolutamente a servizio della storia. Nel mio ultimo film, Non in un suo prossimo film? ci resta che il crimine, ho scelto musiche che andavano di moda negli Anni ‘80, i Kiss con I Was Made For Lovin You e Alan Sorrenti con Figli delle stelle. Altre volte sono rimasto folgorato da un pezzo e l’ho scelto FILIPPO BOLOGNA per il film: ne Gli ultimi saranno gli ultimi con Quello che non c’è degli Afterhours. Parla d’altro, non c’entra con la storia ma era perfetto per 1. La canzone viene prima, sta a monte del processo creativo. Quando quella sequenza. scrivo penso già alle canzoni, poi alla fine del film penso agli altri com- 4. Costruire di Niccolò Fabi, una canzone poetica che dà delle sensa- menti musicali. In altri casi considero il testo di una canzone un vero zioni forti sul costruire una vita. Sarebbe bella da utilizzare in un film soggetto. In De André, ad esempio, ogni canzone è un piccolo racconto. perché porta un grande carico di emotività. 2. La gente ha iniziato ad accorgersi di questo fenomeno con Sorren- tino. In realtà è una cosa che facevano già prima, anche Dino Risi o Nanni Moretti. Registi come Sorrentino, poi anche Mainetti, hanno recuperato un tesoro che avevamo dimenticato perché a volte si pre- ferisce far comporre della musica inedita e originale tralasciando il patrimonio discografico. 3. Tarantino usa la musica come contrappunto. In una scena molto violenta usa un pezzo scanzonato e la musica assume una veste anche ironica. Secondo me però sono entrambe le cose. Dino Risi ne I mostri usa Rita Pavone. A quel tempo la canzone raccontava e contestualizzava l’epoca, oggi la stessa canzone sarebbe da contrasto. 4. Qualcosa del Lucio Battisti meno conosciuto. Non quello de La canzone del sole per intenderci, qualcosa più come Respirando. Mi piace- rebbe molto usare Battisti in un prossimo film, con la paura che possa mangiare il film stesso vista la potenza!

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano MARCO DANIELI

1. Un’avventura è un film che non ho scritto ma è nato con l’intenzione di usare le canzoni di Battisti e Mogol. Le canzoni hanno influenzato la trama ma una storia centrale c’era già. Alcune sono state scelte perché perfette per la drammaturgia e diventate dialogo. 2. Sorrentino riesce a inserire brani molto pop e forse negli ultimi anni è stato d’ispirazione per diversi registi. Non credo però che si debba imitarlo, ha una cifra stilistica molto personale, si correrebbe il rischio di sbagliare. 3. È uno strumento espressivo come tutti gli altri, anche se più perico- loso. Canzoni di questo tipo hanno un contenuto artistico preesistente, qualcosa che ha già degli elementi stilistici. Si può ricorrere alla scelta di certi brani che hanno una spinta emotiva molto forte ma non è detto che le emozioni che tirano fuori siano quelle giuste per una scena. 4. Non ho un brano in particolare. Quando ho una sceneggiatura in mano comincio a pensare a delle canzoni, magari le ascolto mentre scri- vo. Sono canzoni che possono sembrare perfette però al montaggio mi MARCO MANETTI accorgo se sono funzionali al film o a un’emozione.

1. Nel caso di Flashdance direi dal film alla canzone. Nel nostro lavoro ogni cosa ha la sua storia e di solito, con Antonio, partiamo sempre dal racconto del film arrivando dopo alle canzoni. Questa però non è una regola! 2. È una situazione che va di pari passo con la storia del cinema, non mi sembra un elemento nuovo. Usare determinate canzoni nei film ha anche diversi fini e molto spesso commerciali. 3. A volte una canzone serve a raccontare un’epoca, altre può servire a contrasto, a raccontare e creare un’emozione. Non esiste musica nei film concepita in un modo o nell’altro, credo che entrambi gli usi siano corretti, varia da caso a caso. 4. Io parto sempre dal film quindi mi servirebbe una scena precisa per pensare a un brano. Ci sono alcune canzoni di Bruce Springsteen che mi piacerebbe vedere e ascoltare in un film perché raccontano delle storie. Sicuramente a noi piace il pop dei nostri tempi, da Michael Jackson ai Duran Duran.

STEFANO SALVATI

1. Albakiara è un film nato perché lavoravo con Vasco Rossi. Avevo ca- pito che ai tempi l’unico modo per fare un film in Italia, senza vivere a Roma e avere agganci importanti, era collaborare con le persone note con cui lavoravo. Pensando a Vasco ho avuto questa intuizione: co- struire un film attorno all’idea della sua canzone ma raccontandone il contrario. Per gli altri film sono partito dalla storia, non dalla canzone. Jolly Blu non nasce da una canzone ma dal personaggio stesso, dalla sua vicenda, ed è diventato un classico musicarello, ma con la logica più at- tuale del videoclip. 2. Fino a qualche tempo fa, penso a Notte prima degli esami, il titolo del- la canzone aiutava a rendere popolare un film che non avrebbe avuto la forza di pubblicizzarsi così tanto. Oggi usare il titolo di una canzone famosa non porta gente al cinema. Un film dal titolo Vita spericolata cre- erebbe tanta attenzione, ma se Vasco non è l’interprete principale non ci va nessuno a vederlo, anzi in molti odierebbero il film. 3. Funziona tutto se sei abile a mischiare gli elementi. Dario Argento è bravissimo con musiche a contrasto, nei momenti di massimo terrore inserisce spesso melodie che ricordano quelle dei bambini. 4. In questo momento sto pensando a una serie di film musicali per cui non posso svelare nulla. Vista la mia estrazione continuo sul genere, non pensando a un brano preciso ma a una storia incentrata sul personaggio.

24/25 NOSTALGIA CANAGLIA di A.C.

Un pezzo, se ben inserito nel contesto filmico, riesce a far leva sulla sensibilità per il passato dello spettatore. Da Insieme a te non ci sto più a Un’estate al mare.

Nostalgia e canzone sono due termini ai quali spesso, negli studi acca- demici, non viene dato il peso necessario. Accomunati da un’accezione quasi negativa, in quanto fonti non storiche: la prima considerata meno veritiera della memoria, la seconda, alla quale non è mai stata dedicata la stessa attenzione della musica colta poiché intesa come pezzo pre- fabbricato tipico della pop music. L’interazione tra le due è affascinante, soprattutto perché un pezzo, se ben inserito nel contesto filmico, riesce a far leva sulla nostalgia dello spettatore. La nostalgia che stiamo analizzando non è classica nel senso di un sen- timento di irreversibilità di un’esperienza passata. Si può parlare di una nostalgia moderna, frutto diretto della globalizzazione. L’aspetto pecu- liare che caratterizza questa nostalgia di massa è che si sviluppa con la costruzione, da parte dei media, di esperienze sempre più precoci per il consumatore/spettatore che arriva addirittura a non averle effettiva- mente vissute. È la stessa ottica commerciale del fenomeno vintage per cui il consumatore è portato a pensare di aver perso qualcosa che non ha mai avuto. Guardiamoci attorno, siamo costellati di riferimenti no- stalgici che i vari media si divertono a costruire per noi. In ambito seria- le un esempio tra i più riusciti è Stranger Things, rivolto ad un pubblico giovane che non ha vissuto gli Anni ’80, eppure l’effetto nostalgico fun- ziona e determina in gran parte il successo della serie. Si possono individuare due livelli attraverso i quali la nostalgia opera all’interno del film: uno diretto che si attua con il classico “film no- stalgia”, l’altro che si può concretizzare con l’utilizzo della canzone. Partiamo dal presupposto che il pezzo inserito nel film dev’essere ri- conosciuto dallo spettatore e non è necessario che il riconoscimento sia dettagliato perché si crei l’effetto nostalgico; il pezzo deve riuscire

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano a rimandare ad un immaginario estiva) che può essere visto come generale, ad un periodo legato un genere nostalgico. Si prenda il alla storia del cantante/gruppo. caso di Sapore di mare (Vanzina, Garwood parla di knowness, se- 1983), il cui titolo fa riferimento condo il quale il pezzo non fa alla canzone di Paoli, Sapore di da commento ed è inserito per sale, considerata la prima pellicola essere ascoltato. Il bagaglio di col- che guarda con nostalgia all’estate legamenti che la canzone porta per eccellenza, quella degli Anni con sé permette il costituirsi di un ‘60. Gli avvenimenti si svolgono legame tra pubblico e autore. attorno al ’65 e tutti i brani utiliz- Se osserviamo i film ambientati zati fanno parte di quel decen- in un’epoca passata, la canzone nio. È interessante notare come funge principalmente da ambien- nel 2008 Vanzina riproponga tazione e commenta il testo filmi- un’operazione nostalgia diversa co mentre nei film ambientati al con Un’estate al mare. In questo giorno d’oggi spesso ha una con- caso la colonna sonora, confor- notazione nostalgica non imme- me a quanto ci si aspetta dal ge- diatamente individuabile. nere, è una playlist di successi Alla cinematografia americana perlopiù internazionali usciti tra spettano i primati, sia dell’utiliz- il 2007/2008, da “consumare” zo della canzone di repertorio nel quell’estate. L’unico pezzo che film, che della nascita dei primi non rientra in questi criteri è pro- nostalgia movies. Siamo negli Anni prio quello che dà il titolo al film, ‘70 quando si indaga il potenziale scritto da Battiato e interpretato che una canzone può avere nello dalla Russo nel 1982. La differenza sviluppo del testo filmico e al con- sta nel fatto che Un’estate al mare tempo viene prodotta una serie è ambientato negli anni Duemila di film che volgono uno sguardo ma l’utilizzo sapiente del brano ha nostalgico agli Anni ‘50. Tutto la forza di rimandarci all’atmosfe- ciò avviene anche in Italia ma con ra dell’estate all’italiana degli Anni modalità diverse; qui la cultura ‘80. Il pezzo diventa quindi un effi- di massa si impone un decennio cace strumento di nostalgia. più tardi e viene rielaborata grazie ad una solida tradizione artistica e popolare che negli Stati Uniti manca. Sia televisione che cinema cominciano guardare ai favolosi Anni ‘60 secondo “la regola dei vent’anni” che spesso, ma non sempre, sembra determinare l’e- stetica nostalgica. Il brano che forse più di tutti di- venta il simbolo della nostalgia nei confronti degli Anni ‘60 è Insieme a te non ci sto più del ’68. Il pezzo, cantato dalla Caselli, rimanda ad un immaginario ben preciso, che viene continuamente alimentato dai nu- merosi rifacimenti da parte di artisti italiani ma anche dal suo utilizzo in parecchie pellicole (Bianca, La stan- za del figlio, Tu la conosci Claudia?, Manuale d’amore, Arrivederci amore ciao, Tutto può succedere). Porto a questo proposito un esempio di genere nato proprio negli Anni ‘80, un periodo consi- derato buio per il cinema italiano, ma che vede anche lo sviluppo di strategie nostalgiche da parte dei media: il cinepanettone (ci- necocomero nella sua versione

26/27 ROCKY HORROR MUSIC SHOW di GIANNANDREA PECORELLI

Un produttore riflette sull’efficacia della comunicazione di film che scelgono brani conosciuti come titolo o colonna sonora. E si fa strada la prospettiva di un’interazione col pubblico affine a quella di spettacoli cult.

Sono solo canzonette, ci avvisava di un libro, anzi da quando esi- Edoardo Bennato agli inizi degli ste l’industria cinematografica e Anni ‘80 in un concept album de- televisiva c’è la lotta a leggere in dicato a Peter Pan prodotto dal anticipo le bozze o anche solo le geniale Alessandro Colombini. linee guida di un possibile best Come aveva già fatto qualche seller, ma si rischia la scomunica ? anno prima con Cantautore, Ben- a dichiarare di cercare e trova- nato si rivolgeva soprattutto ai re ispirazione per un film in una suoi colleghi che in quegli anni canzone. Sarà anche cultura bas- suonavano il piffero per la rivo- sa, minore o popolare, ma ancora luzione: in qualche modo ricor- più di un libro o di un racconto, dava a tutti che le canzoni hanno una canzone in realtà presenta in un ruolo importante nella nostra pochi minuti dei personaggi che ci vita, ma in fin dei conti non avran- diventano subito familiari e in cui no mai la stessa importanza dei ci identifichiamo, ci fa vivere con libri, dei quadri, della poesia, della occhi nuovi ambienti ed espe- musica classica, della scultura e rienze che riconosciamo, ci fa ca- di ogni altra forma espressiva ri- pire che quelle sensazioni, quelle conosciute come arte. Confessia- emozioni, quei sentimenti sono molo: ci siamo sempre vergognati condivise da altri. di pensare che stanno suonando la La creatività è sicuramente la ri- nostra canzone, anche se abbiamo cerca innata dell’originalità, ma sempre sognato di poter dire an- il nostro obiettivo come autori e che noi il nostro Play it, Sam. come produttori deve necessa- Anche nei generi cinematografici, riamente essere la ricerca di una il musicarello è marchiato come condivisione con il pubblico di un sottogenere, un’infame eti- ciò che si sta facendo. chetta che come prima immagine In questo senso è molto impor- ci riporta alla mente Gianni Mo- tante, fin dal momento della co- randi in divisa da soldato o qual- municazione di un prodotto, la che scorcio napoletano dipinto possibilità di generare nel pub- su un fondale. Non c’è niente di blico a cui ci si rivolge la più am- male ad acquisire i diritti per la pia risposta emotiva. In questo trasposizione su grande schermo le canzoni, la musica in assoluto,

cover - scenari SonoSono solosolo canzonette?canzonette? QuantoQuanto ee comecome cantacanta ilil cinemacinema italianoitaliano costituiscono un ottimo veico- allo strepitoso successo del film lo di condivisione, perché basta biografia di Freddy Mercury è di- un titolo, un motivo, per far rag- ventato il brano più ascoltato di giungere alla corteccia cerebrale sempre in streaming, non è torna- di chi ascolta, delle percezioni to a nuova vita il brano Notti magi- e delle emozioni che ci fanno che (Un’estate italiana) in quanto il identificare e vivere come nostre film non è riuscito, o non voleva, a quelle informazioni. farci vivere il mondo in una giostra Più dei romanzi, le canzoni sono di colori. i pixel della nostra vita e messe Con la sala cinematografica de- tutte in fila, anche quelle che in stinata ad essere luogo di aggre- fin dei conti ci vergogniamo di gazione e di eventi, la musica amare, ricreano l’immagine del assume sempre più un ruolo fon- mondo reale e delle emozioni damentale di richiamo. In Italia che proviamo. gli stessi biopic musicali, prero- Fin dal titolo, le canzoni costitui- gativa della produzione televisiva, scono un forte elemento di strug- diventano blockbuster nella pro- gente e romantico realismo che grammazione in sala. interferisce con i nostri affetti, L’ultima frontiera è trasformare con i nostri amori e amicizie, e so- la sala in un immenso spazio in- prattutto perpetua una percezio- terattivo dove il traino non può ne del tempo condizionata dalle che essere la musica. In tutto il proprie esperienze. mondo è arrivata la versione “sing Si può quindi provare a catturare along”, ovvero karaoke, di Bohe- l’interesse di un potenziale spet- mian Rhapsody, che segue l’espe- tatore esclusivamente legando rienza dell’uscita nelle sale ame- il titolo di un film al titolo di una ricane di alcune copie “cantabili” canzone, in quanto la legge del di The Greatest Showman. E dopo diritto d’autore sancisce che un il 3D e i tentativi di 4D, chissà se titolo che identifica un’opera nelle prossime sceneggiature non può essere usato qualora il nuo- dobbiamo iniziare a prevedere i vo utilizzo non crei confusione. momenti in cui il pubblico potrà Non a caso nella ricerca del tito- dare sfogo alle proprie capacità ? lo di un’opera altra si va spesso a canore nonché, come già avvie- cercare ispirazione nei titoli delle ne nelle proiezioni cult di Rocky canzoni spulciando gli elenchi su Horror Picture Show, la vendita di internet delle hit anno dopo anno, kit da consegnare agli spettatori eventualmente creando delle prima delle proiezioni con ogget- commistioni di parole. ti sonori e ludici da utilizzare al Eventualmente utilizzando il bra- momento di particolari scene per no nel film e nel trailer. rendere sempre più emozionante Più articolato è il caso in cui si uti- e coinvolgente la visione in sala. lizza una canzone, o addirittura un intero album, come nel caso di un concept album, come ispira- zione e soggetto di un film. In questo caso ritengo che sia fondamentale non tradire l’im- maginario collettivo legato alla canzone, altrimenti si ha l’effetto contrario a quello fino a ora im- maginato. Un esempio che mi vie- ne in mente è quello di Albakiara dove a trent’anni di distanza dalla sua uscita, la canzone di Vasco Rossi ha trasformato la ‘ch’ in ‘k’, perdendo la caratteristica fonda- mentale di presentare una ragazza chiara come l’alba e fresca come l’a- ria. E se il tanto vituperato, prima dell’uscita nel 1975, singolo dei Queen Bohemian Rhapsody grazie

28/29 IO LA CONOSCEVO BENE a cura della REDAZIONE

10 giornalisti e critici cinematografici rispondono alla domanda: qual è il miglior uso “narrativo” di una canzone in un film italiano?

PEDRO ARMOCIDA Torta di noi di Niccolò Contessa in La felicità è un sistema complesso di Gianni Zanasi. PAOLA CASELLA Resta cu’mme di Domenico Modugno in Fai bei sogni: contiene in sé tanto il desiderio di permanenza dell’amore (in questo caso fra una madre e un figlio) che lo strazio dell’imminente abbandono. In generale tutta la trama del film di Marco Bellocchio si appoggia su un’impalcatura di canzonette che formano l’ossatura pop culturale di un Paese, e corrispondono all’appeal (nazional) popolare del romanzo di Gramellini, dal quale il film è tratto. OSCAR COSULICH Ragazzo solo, ragazza sola: David Bowie che canta la versione italiana di Space Oddity in Io e te di Bertolucci. Qui lo stravolgimento del testo originario, che aveva fatto a suo tempo Mogol, assume miracolosamente, e per la prima volta davvero, senso, grazie all’inserimento nel film. ALBERTO CRESPI Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd in Buongiorno notte di Marco Bellocchio. E ti vengo a cercare di Franco Battiato in Palombella rossa di Nanni Moretti. ENRICO MAGRELLI Le canzoni cantate da Mina in quel capolavoro di Antonio Pietrangeli che è Io la conoscevo bene. ANNAMARIA PASETTI Anima fragile di Vasco Rossi cantata da Elio Germano nella scena del funerale della moglie nel film di Daniele Luchetti, La nostra vita. FEDERICO PONTIGGIA “Il fischio” di Alessandro Alessandroni, chez Ennio Morricone, in Per un pugno di dollari. ANGELA PRUDENZI Tutti i brani contenuti in Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli. L’uso delle canzoni in questo film raggiunge la perfezione e punteggia in maniera magistrale atmosfere e stati d’animo della protagonista. SABRINA RAPPOLI Insieme a te non ci sto più in Manuale d’amore di Giovanni Veronesi. MARINA SANNA Ritornerai di Bruno Lauzi ne La messa è finita di Nanni Moretti.

cover - scenari Sono solo canzonette? Quanto e come canta il cinema italiano 30/31 di ALICE BONETTI

Quali sono i film italiani resi memorabili grazie all’utilizzo di un particolare brano musicale? Per scoprirlo, abbiamo chiesto a un gruppo di 50 persone (25 under 30 e 25 over 30) di indicare un film italiano il cui titolo sia anche il titolo di una canzone e di segnalare il miglior uso di un brano musicale in un film.

cover - scenari SonoSono solosolo canzonette?canzonette? QuantoQuanto ee comecome cantacanta ilil cinemacinema italianoitaliano (soprattutto over 50) che hanno citato In ginocchio da te, Non son Vi siete mai chiesti perché il Pre- degno di te con Gianni Morandi, mio Oscar alla colonna sonora Riderà (Cuore matto) con Little venga dato solo a quella originale? Tony, Stasera mi butto con Gian- A pensarci bene, in fondo, sono carlo Giannini e Rocky Roberts e tantissimi gli esempi di film che Lisa dagli occhi blu, pellicola ispi- fanno uso di canzoni pop/rock le rata al successo musicale estivo quali, pur non essendo state scrit- del ‘69 cantato da Mario Tessuto. te appositamente, sono comun- Osservando i risultati del son- que indissolubilmente legate a daggio, al di là dei musicarelli, una pellicola o a una scena diven- si individuano facilmente 3 ca- tata cult. Per esempio, la sequenza tegorie: la prima, quei film il cui finale di Fight Club non sarebbe titolo corrisponde a quello della stata la stessa senza Where Is My canzone scritta appositamente. Il Mind dei Pixies a fare da sottofon- più citato dagli intervistati è stato do al crollo della gabbia mentale L’ultimo bacio, seguito da Baciami del protagonista. Ciononostan- ancora, Immaturi, Perfetti scono- te, se il forte legame tra cinema e sciuti, Song’ e Napule e Che ne sarà musica originale è riconosciuto, di noi. La seconda categoria – a quello tra film e la cosiddetta “co- cui appartengono Viva la libertà, lonna sonora non originale” non Baciami piccina, Hungry Hearts e sempre lo è. Parlami d’amore - è rappresentata Abbiamo deciso di indagare me- da quelle opere il cui titolo coinci- glio sul binomio cinema italiano e de con quello di una canzone pre- canzone e per scoprirlo abbiamo esistente, che non compare mai chiesto a un gruppo di 50 persone nel film. Infine, ci sono i film il cui (25 under 30 e 25 over 30) di dire titolo corrisponde a quello di una quale sia il primo film italiano a canzone preesistente, che però venir loro in mente il cui titolo viene inserita anche all’interno sia anche il titolo di una canzone del film stesso. A spiccare mag- e quale sia il film italiano con il giormente sono Notte prima degli miglior uso di un brano musicale. esami di Fausto Brizzi - che prende Per quanto riguarda la prima do- il titolo dalla canzone omonima manda, praticamente tutti gli di Venditti, inserita proprio nel intervistati sono stati in grado di momento topico della fatidica citare almeno un film che avesse notte prima esami - e La prima come titolo quello di una canzo- cosa bella dove Virzì fa acquisire ne. Nel cinema italiano, effetti- alla canzone omonima di Mogol vamente, si nota un numero non e Nicola Di Bari il ruolo di collan- indifferente di pellicole che fanno te nella relazione madre-figlio. al caso nostro. Il fenomeno era tipico dei musicarelli degli Anni ’60. Tanti infatti gli intervistati

32/33

La seconda domanda, ovvero quale sia il film con il miglior uso di una – echeggia durante la scena dell’o- esempio tutti i film di Moretti), canzone, ha gettato nel panico la maggior parte degli intervistati. Sol- micidio di Anna Lou e produce un forse è vero che l’industria cine- tanto 17 persone su 50 sono infatti riuscite a dare una risposta. Non notevole contrasto con le imma- matografica dovrebbe rivalutare sono mancati però esempi interessanti. C’è chi ha guardato al passato gini strazianti che scorrono sullo il ruolo che un brano musicale – citando i titoli di testa di Uccellacci e uccellini che Pier Paolo Pasolini fa schermo. In realtà, il testo della anche se non inedito - può avere letteralmente cantare a Domenico Modugno creando così un’intro che, canzone – tutt’altro che spensie- all’interno della colonna sonora possiamo dirlo, è la più originale della storia del cinema. Chi invece ha rato – parla di solitudine e disil- di un film e il modo in cui esso ricordato le note di Don’t Play That Song, diffuse da un juke-box di uno lusione, due stati d’animo che i può interagire con il testo filmico. stabilimento balneare ne Il sorpasso, dove la musica rabbiosa e violenta personaggi del film conoscono fin Bisognerebbe forse andare oltre del brano di Ben E. King frantuma all’improvviso il clima da commedia troppo bene. un generale pregiudizio che trop- all’italiana anticipando il tragico finale. C’è poi chi ha citato la commo- Vista la scarsità del numero di pe volte associa l’inserimento di vente scena de La vita è bella dove Benigni, alias Guido Orefice, fa risuo- film citati, parrebbe che il bino- una canzone non inedita a un fine nare - grazie a un grammofono - le note di Belle nuit, ô nuit d’amour di mio cinema italiano e canzoni puramente commerciale, dettato Offenbach nella speranza di farle sentire alla sua Dora, rinchiusa nella non sia poi così memorabile. da mere esigenze di produzione. camerata del lager. Habemus Papam di Nanni Moretti è stato invece ri- Sembrerebbe che, nella maggior Prendete per esempio C’era una cordato per l’uso della canzone cilena Todo cambia che viene utilizzata parte dei casi, i brani utilizzati nei volta in America di Sergio Leone. Il magazine di cinema per cullare la sequenza dove il Papa neo-eletto, sentendosi inadeguato, film siano impiegati solo come Riuscireste a immaginare un testo fugge per le strade di Roma in preda al panico e trova sollievo ascoltan- sottofondo musicale e che solo e una melodia più adatti di quelli do le parole del brano suonato da un gruppo di musicisti di strada. In Lo in rari casi essi diventino parte di Yesterday per comunicare tutta che ti raggiunge dove vuoi. chiamavano Jeeg Robot, memorabile è invece l’uso della celebre canzone integrante della narrazione. Sen- la nostalgia e la malinconia di De di Loredana Bertè Non sono una signora che, cantata da Luca Marinelli, za fare di tutt’un erba un fascio Niro nella scena della stazione? serve per dare ancor più incisività alla follia del suo personaggio. Infine, (ci sono molti film italiani che Noi scommettiamo di no. tra i film citati anche La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi dove la hanno fatto un uso straordinario canzone brasiliana Dança da Solidão viene utilizzata per creare un ef- di alcune canzoni e che non sono fetto straniante nello spettatore. Il brano - dal ritmo piuttosto allegro stati ricordati nel sondaggio, ad Vai sul sito miabbono.com e sottoscrivi il tuo abbonamento. Riceverai 8½ dove vuoi tu ad un prezzo speciale.

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INCHIESTE INCONTRI PUNTI DI VISTA

38 Guardare, guardarsi, 48 Il Museo di Torino 52 Cinecittà: lasciarsi guardare festeggia 20 anni un mito competitivo di Gianni Canova e si rinnova di Stefania Ippoliti di Stefano Stefanutto Rosa

39 Una casa in (perenne) costruzione DISCUSSIONI IL GUSTO DEL CINEMA di Giuseppe Gariazzo

50 Decreto Bonisoli: 54 Francesco Bruni provvedimento e il frigorifero anti-Netflix o passo di Andrea Gropplero 41 La mia famiglia verso la modernità? di Troppenburg al cinema di Michela Greco di G.G.

Interviste Tonino De Bernardi Alina Marazzi Serena Nono

46 Storia in formato ridotto di Luisella Farinotti

36/37 inchieste

GUARDARE, GUARDARSI, LASCIARSI GUARDARE di GIANNI CANOVA

Dai film di famiglia alle dirette su Facebook della vita quotidiana, la volontà di pensarsi come immagine è un tratto distintivo dell’uomo contemporaneo.

Pensarsi nelle immagini. Pensarsi come imma- farlo. Oggi, con Internet e la rivoluzione digitale, la gine. Come scrive con la consueta acu- pratica del filmare e del filmarsi è diventata feria- tezza Luisella Farinotti nelle pagine le, seriale e di massa. Ci si filma sempre. Si fil- che seguono, la modernità nove- mano tutti. Si duplica e si trasforma in im- centesca – con l’avvento e la magine ogni istante della propria vita. diffusione dei media audiovi- Ciò che si mangia, ciò che si indossa, sivi e di tecnologie di ripresa come ci si trucca, dove ci si trova, sempre più agevolmente come ci si diverte. L’idea goff- utilizzabili – ha spinto gli maniana della “vita quotidiana individui a considera- come rappresentazione” è di- re l’immagine non più ventata sistemica: forse siamo solo come un altro da tutti come dei piccoli signori sé, ma come una par- Truman intenti ad allestire te di sé: della propria lo show della diretta della identità, della propria nostra vita. Ma sono ancora storia, della propria “film di famiglia” quelli che memoria, della pro- milioni e milioni e milioni di pria rete di relazioni. persone postano ogni minuto L’immagine non è più nelle loro dirette su Facebook solo un oggetto sco- o su Instagram? Sono il rac- pico, un qualcosa che conto collettivo di una società posso guardare. È qual- planetaria che si mette in scena o cosa in cui sono immerso, sono la planetaria presa d’atto del qualcosa che mi costituisce. narcisismo esibizionistico di massa Qualcosa attraverso cui gli altri come tratto distintivo del nostro tem- possono guardare me. po? Tema scottante, tema controverso. Guardare, guardarsi, lasciarsi guarda- Ma proprio per questo, forse, per capire me- re: la storia dei film di famiglia, per certi glio cosa sta diventando il nostro pensarci come versi, è racchiusa in questo trinomio. Nel immagine, vale la pena di ragionare su come questo ‘900, quando ancora i film di famiglia venivano pensiero si costituiva quando ancora passava per la pel- realizzati con la pellicola in Super8, la pratica del filmarsi licola e per la necessità di trasformare la vita in testo e di dare una era festiva, non feriale. Non ci si filmava quotidianamente. Si filmavano forma ai nostri ricordi della vita. Il film di famiglia in questa prospettiva è gli eventi della propria vita familiare, le cerimonie, le vacanze, i viaggi. E imprescindibile ed emblematico. Sarà anche diventato archeologia me- non tutti erano in grado di farlo. Non tutti avevano le competenze per diatica, ma i suoi reperti illuminano il nostro presente e il nostro futuro.

voci - inchieste I film di famiglia nel cinema italiano UNA CASA IN (PERENNE) COSTRUZIONE

di GIUSEPPE GARIAZZO Breve storia del film di famiglia nel cinema italiano: famiglie anonime o in vista nella sfera sociale italiana; famiglie che documentavano il proprio tempo libero oppure fasi della vita pubblica, politica, intellettuale, industriale. Ma “film di famiglia” sono pure quelli realizzati da autori come Marco Bellocchio e Alina Marazzi.

Scriveva Stan Brakhage, introducendo il suo testo Metafore della visio- ne, che “‘di Brakhage’ dovrebbe intendersi nel senso di ‘per via di Stan e Jane Brakhage’, come per tutti i miei film dopo il mio matrimonio”. E continuava affermando: “Comincia a voler anche dire ‘per via di Stan e Jane e i bambini Brakhage’, perché tutte le scoperte che solevano pas- sare solamente attraverso lo strumento costituito da me stesso comin- ciano a percorrere le sensibilità di coloro che amo”. Le parole del cine- asta underground statunitense, che risalgono al 1963, rappresentano (anche) nel modo più pertinente, ed espanso, quelle immagini sempre più sottratte all’anonimato e rese vero e proprio genere identificato con l’espressione “film di famiglia”. Una declinazione plurale che, al suo in- terno, ne contiene diverse. “Film di famiglia” sono gli Home Movies che una moltitudine di famiglie realizzava per il proprio piacere, non esclu- dendo una buona dose di narcisismo domestico, per un uso e consumo interno; famiglie anonime o in vista nella sfera sociale italiana; famiglie che documentavano il proprio tempo libero oppure fasi della vita pubbli- ca, politica, intellettuale, industriale. Ma “film di famiglia” sono pure, in maniera altrettanto rilevante, quelli realizzati da autori che, con le loro filmografie, si sono posti in relazione con la produzione cinematografi- ca o, per scelte estetiche, ai suoi margini, e che hanno chiamato a condi- videre le loro poetiche familiari e amici. E sono ancora “film di

38/39 dell’“Impero Italiano d’Africa”. Di “film di famiglia” Marco Belloc- chio ha punteggiato la sua filmo- grafia. A Bobbio, suo paese natale, famiglia”, allargando il discorso, ha ambientato film e convocato da- quelli abitati da attori e attrici cre- vanti alla macchina da presa una sciuti sui set di uno stesso regista, comunità familiare sempre più esprimendo una “filiazione filmi- numerosa e testimone di varie ge- ca” distribuita nel tempo. nerazioni: il figlio Pier Giorgio, le La galassia dell’Home Movie af- zie Maria Luisa e Letizia, la figlia fiorata nel corso dei decenni dagli Elena... Da I pugni in tasca (1965) archivi personali ha trovato, agli all’Home Movie sperimentale albori del nuovo Millennio, una dalla madre Nuria Schoenberg sia Vacanze in Val Trebbia (1980), dal casa (in continua costruzione) con il lavoro con gli ospiti della brevissimo Elena (1997), nel qua- nell’Archivio Nazionale del Film Casa dell’ospitalità di Venezia, le filma la figlia appena nata, così di Famiglia di Bologna. Un luogo protagonisti non professionisti in sintonia con il sentire brakha- intento alla preservazione sia del che, anno dopo anno, film dopo giano, a Sorelle Mai (2010), al re- materiale familiare e amatoria- film, hanno costituito una fami- cente Per una rosa (2017). E “film le sia di quello proveniente da glia filmica allargata. di famiglia” nel senso più intimo, strutture pubbliche come scuole, Quella famiglia di puro cinema dialogante con tutta una filmo- associazioni, parrocchie, imprese. che, tornando al periodo più grafia abitata di volta in volta da Queste ultime sono famiglie alle folgorante del cinema italiano persone, dietro e davanti l’obiet- quali, dal 2006, ha rivolto la sua espanso, Alberto Grifi e Massimo tivo, che costituiscono piccole attenzione e ricerca l’Archivio Na- Sarchielli hanno cristallizzato in grandi famiglie apolidi, è Tracce zionale Cinema Impresa di Ivrea Anna (1975), film-fiume che rias- (2007) di Corso Salani, sguardo che conserva oltre 70.000 rulli sume la conoscenza e relazione appassionato dentro i Super8 del di film girati dagli inizi del Nove- durata anni fra i registi e la ragazza padre per ritrovarvi l’essenza del cento. Ad alcune di quelle famiglie del titolo, che Sarchielli incontrò suo fare cinema. “Film di fami- hanno dato il loro sguardo registi per caso a Roma alla fine degli glia”: infinito gesto d’amore dove come Ermanno Olmi, Michelan- Anni ‘60. Quella famiglia, da una campo e fuori campo coesistono gelo Antonioni, Bernardo Berto- parte biologica e dall’altra nazio- in una stratificata sovrimpressio- lucci. nale, che ci colpisce agli occhi e al ne. “Perché - ci ricorda Salani - le Tonino De Bernardi, Alina Maraz- cuore in Oltremare (2017) di Lo- immagini hanno sempre lo stesso zi, Serena Nono (con cui abbiamo redana Bianconi, realizzato quasi valore della vita vera. E non c’è approfondito l’argomento nelle esclusivamente con materiale fo- mai differenza fra l’amore che si interviste di queste pagine) si tografico d’archivi familiari e con legge in un fotogramma e quello sono confrontati a più riprese con filmati d’epoca fascista depoten- che si sente nel cuore”. il “film di famiglia”: De Bernardi, ziati del sonoro di propaganda per fin dagli Anni ‘60 e nel senso più ripercorrere l’emigrazione, negli vicino a quello indicato da Bra- Anni ‘30, di italiani nelle colonie khage; Marazzi dialogando tanto con la mole d’immagini custodita dal nonno, l’editore milanese Ul- rico Hoepli, quanto con quelle di altre fonti; Nono sia con la memo- ria visiva filmata dal padre Luigi e

voci - inchieste I film di famiglia nel cinema italiano LA MIA FAMIGLIA AL CINEMA

di G.G.

Tonino De Bernardi, Alina Marazzi e Serena Nono raccontano il proprio rapporto con l’immagine filmica, determinata anzitutto dal vissuto familiare.

TONINO DE BERNARDI: espresso il mio aprirmi al mondo. Il cinema l’ho fatto sempre a partire “Filmavo le persone perché volevo strapparle alla morte” dalla vita che conducevo, e mai viceversa. Non ho voluto lasciare l’inse- gnamento di Lettere alla scuola media di Casalborgone per fare il cine- Che significato ha, per lei, l’espressione “film di famiglia”? ma professionale a Roma. Perciò, nel succedersi degli anni, ho sempre Per me si tratta di ‘film’ che testimoniano la vita di una famiglia. Io non filmato chi avevo intorno a me, oppure incontravo nei miei spostamenti ne ho nemmeno uno che riguardi la mia famiglia d’origine, ma allora temporanei. Il cinema io lo strappo alla vita, dicevo. Solo dopo il 1992 non ne sentivamo la mancanza - non avevamo nemmeno la macchina sono andato a Roma, come pensionato scolastico, e ho fatto cinema tra fotografica, ho addirittura poche foto, eravamo semplici e primitivi. qui e là, anche perché Adamo Vergine e Pia De Silvestris (Epremian) mi Sento il vuoto semmai ora, a un’età in cui si è portati di più a voler ri- hanno accolto in casa loro e mi hanno dato una stanza tutta per me per cordare e ricapitolare. La ricchezza dell’eredità dei miei genitori è averci sette anni. Così, ogni sera, stavo a tavola con due psicanalisti, iniziali cresciuti nella sensibilità dell’amore reciproco. A casa nostra l’amore compagni di underground (Pia, come me, è nata e cresciuta a Chivasso), non mancava, anzi traboccava. Ad un certo punto scappai per poter ed è stata cosa grande. sopravvivere. Iniziare a fare cinema ha espresso la mia ‘liberazione’ Nel suo cinema ‘film di famiglia’ assume senso anche in relazio- dai retaggi ‘affettivi’, tabula rasa, anche perché i miei genitori erano già ne alle case, alle abitazioni, a luoghi al tempo stesso intimamente morti, giovani... vissuti e divenuti set pregni di memorie... C’è una traccia indelebile che percorre la sua filmografia: filmare, Sì, è vero. Mi sono costruito col cinema la memoria ‘visiva’ degli occhi nelle diverse fasi delle loro età, persone di famiglia, una famiglia che non posso più avere nella realtà. È successo per la nostra casa di fa- che nel tempo si arricchisce di nuovi arrivi. Si tratta di una sorta miglia. L’abbiamo dovuta vendere nel 1946, alla fine della guerra (adesso di ‘film nei film’. al suo posto ci hanno costruito un piccolo condominio che sembra di Ho tanti di questi ‘film di famiglia’ da quando io e Mariella ci siamo spo- carta). Non esiste più. Perciò ho filmato altre case che stavano per di- sati! Ma per me nel farli non lo erano né lo sono, anche se dentro ci sono struggere, perché non se ne perdesse la memoria. Qui sulle colline vo- i singoli della nostra famiglia, man mano che è cresciuta negli anni. La levo filmare tutti i cascinali in rovina, per salvarne il ricordo, e allora nel nostra è sempre stata una famiglia allargata e il mio cinema ha sempre 1987 ho fatto Elettra.

40/41 Lei ha girato in vari formati. Come è cambiato, se è cambiato, il modo di osservare, immaginare, condividere esperienze filmi- che con persone che fanno parte della sua vita quotidiana e che contemporaneamente assurgono al ruolo di personaggi? Scherzando, dico che il mio cinema ha percorso la storia del cinema, dal muto (8mm e 16mm) al sonoro del Super8 (gli stessi strumenti dei cineamatori) e del 35mm, fino al video in tutti i formati. Riguar- do ai rapporti con le persone che vivono con me, tutti noi sappiamo di essere in movimento e che i cambiamenti sono naturali. Trovo meraviglioso questo nostro stare insieme in più ruoli, per me la vita può essere solo così. Giulietta, la nostra figlia maggiore, fa teatro, e Alberto, il suo compagno, fa cinema; siamo molto vicini, ma ci è mol- to vicina anche Veronica, la nostra figlia minore, che vive in campa- gna e coltiva pure la terra. E poi ci sono i nipoti… Film da farsi giorno dopo giorno, da fare e disfare, così come la vita è da fare e disfare, di anniversario in anniversario. Ho sempre pensato, fin dall’inizio, che filmavo le persone perché volevo immortalarle sulla pellicola, strap- parle alla morte a venire. A questo ‘mio’ cinema, non dico neppure ‘il cinema’…, disperatamente mi aggrappo nelle mie cadute con tutto me stesso. È dunque la forza della disperazione...

ALINA MARAZZI: “Così la storia di mia madre ha assunto una dimensione plurale”

Che significato ha, per lei, l’espressione ‘film di famiglia’? Per me è inscindibile dal film che ho fatto nel 2002, Un’ora sola ti vorrei, e dall’impatto che in me ha avuto quello che chiamerei un ‘incontro ravvicinato’, ovvero l’immersione profonda nell’archivio familiare che ha poi determinato la realizzazione di quel film. Per quanto riguarda la mia vita e l’individuazione di un mio punto di vi- sta creativo, artistico, quell’incontro e quel film sono stati dei mo- menti fondanti. Attraverso i film di famiglia ho maturato e costruito la mia esperienza, il mio percorso narrativo per immagini. La ‘questione familiare’ ricorre, con declinazioni differenti, in tutto il suo lavoro. Un’ora sola ti vorrei, con la flagranza e la fragilità dell’Home Movie, rievoca il vissuto più intimo di una famiglia nel corso di quasi cinquant’anni del secolo scorso. Quel film è arrivato in un momento particolare, in Italia non c’era- no ancora molti esempi di questo tipo. Un’ora sola ti vorrei ha quindi marcato un punto, evidenziando ed esaltando le caratteristiche del film di famiglia, vale a dire di un materiale privato, tramite l’uso del montaggio, della voce, della prima persona. Trovare le scatole che conservavano le bobine dei film girati da mio nonno, e avere il co- raggio di aprirle e visionarle, è stato per me accedere a un deposito di memoria infinito, lungo quasi cinquant’anni, risalendo le prime immagini al 1926. Il materiale aveva una qualità formale e cinema- tografica molto alta. E poi, all’interno, esisteva la storia di mia madre Liseli che io ho portato in primo piano con una precisa scelta narra- tiva: dare voce a mia madre che mi parla di lei attraverso la mia voce. Una scelta arrivata lavorando con quei materiali. Direi che le scelte sono state chiamate, suggerite dal materiale stesso. Con Vogliamo anche le rose se il discorso si ‘restringe’ a un pe- riodo specifico, gli Anni ‘70 e la militanza femminista, dall’al- tro la sua riflessione sul soggetto familiare si espande, renden- do famiglia un’intera generazione in movimento. Qui le immagini tratte da film di famiglia sono minime, e le associo alla storia di Anita, del primo diario. Le altre immagini di repertorio

voci - inchieste I film di famiglia nel cinema italiano provengono da svariate fonti. Ho inserito anche brani da X chiama Y di Mario Masini, dove lo sguardo d’autore del regista e direttore della fotografia fa convivere linguaggio sperimentale e Home Movie, per- ché la persona ritratta è sua moglie. Il film è certo la continuazione di un percorso intrapreso con Un’ora sola ti vorrei, è come se la storia di mia madre fosse proseguita in quella di tante altre donne, appun- to assumendo una dimensione plurale. Un percorso che contiene anche Per sempre, film che temporalmente si colloca tra Un’ora sola ti vorrei e Vogliamo anche le rose. A unirli c’è soprattutto la presenza della mia voce, la mia necessità di ricorrere alla forma diaristica, che si rifà anche a una letteratura epistolare adottata da molte scrittri- ci. Inoltre, in un documentario, mettendo in campo la propria voce, l’autore dichiara la propria presenza, rimarca la sua visione rispetto a quello che viene filmato e riproposto in forma di montaggio. La definirei una presa di posizione dell’autore, un suo atto di sincerità nell’affermare che quello che si racconta è mediato dalla propria vi- sione; un gesto che, in tal modo, dice che l’autore è lì. Con Tutto parla di te, il segno familiare torna a evidenziarsi in una dimensione privata per esplorare l’anima e il corpo di altri personaggi femminili in un film di finzione però, non a caso, contaminato con il documentario e, ancora, con materiali d’archivio e Home Movies. Per via delle tematiche, dei discorsi, dei linguaggi utilizzati, Tutto parla di te è il punto di arrivo di un percorso di ricerca e sperimen-

42/43 tazione. È un film in continuità incontri con amici, spaccati con quelli che l’hanno prece- dell’epoca. duto. La mia intenzione era Il suo film è costituito esclu- fare un film che non seguisse sivamente di materiali d’ar- i canoni della messa in scena chivio girati da suo padre e del cinema di finzione, o an- sua madre e contiene una che del documentario. D’al- pluralità di ‘famiglie’ in tronde, non mi piace neppure dialogo fra loro. Al cuore di rimanere ancorata a queste tutto c’è la famiglia Nono. distinzioni fra finzione e docu- Che cosa l’ha spinta a far mentario, le trovo superate, e riaffiorare queste memorie, comunque non appartengono riferite a un periodo specifi- alla mia visione di elaborare co (1959-1974)? in immagini e parole i soggetti Le immagini, e con esse i ri- e gli argomenti che, di volta in cordi, e le situazioni riscontra- volta, decido di descrivere. te nei filmini mi hanno fatto pensare che si sarebbe potuto montare un documento che SERENA NONO: non riguardasse solo la mia “Un dialogo tra memoria famiglia ma un periodo arti- privata e documenti di un stico e politico molto interes- periodo artistico e politico” sante. La prima parte riguar- da la biografia di Luigi Nono, Che significato ha, per lei, l’e- per frammenti. Si possono spressione ‘film di famiglia’? vedere i quadri e lo studio del I film di famiglia è il titolo che compositore Arnold Schoe- ho dato a questo documenta- nberg a Los Angeles, padre di rio ed è, in sostanza, un mon- Nuria, moglie di Luigi. E poi taggio fatto con i film 8mm e Nono a Venezia con vari ami- Super8 girati dai miei genitori ci, collaboratori e artisti. Ci negli Anni ‘60 e ‘70. I materiali sono i viaggi in Sud America quindi riguardano situazio- (Venezuela, Perù, Argentina, ni familiari ma anche viaggi, Cile, Cuba) e quelli a Mosca e

voci - inchieste I film di famiglia nel cinema italiano Berlino Est. Anche in queste riprese appaiono persone che mio padre incontrava. Mi sem- brava interessante e doveroso condividere queste immagini, che testimoniano tanto un’e- del quotidiano. Nell’ultimo capitolo del documentario si vede la Fe- poca quanto un’etica politica e sta nazionale dell’Unità del 1973 che si svolgeva in tutta la città, ma culturale. Mio padre, e di con- le nostre riprese riguardano la Giudecca, l’isola di Venezia dove la seguenza la nostra famiglia, mia famiglia ha vissuto gran parte della sua vita. Un’isola che all’e- viveva la cultura e la politica a poca era un luogo molto popolare, di operai e pescatori, e dove il Pci 360 gradi, non c’era una distin- era radicato fortemente ed era in continuo dialogo con gli abitanti, zione tra le due cose. Ho volu- si occupava realmente dei loro problemi ed era composto di forza to evocare quei tempi e man- popolare. Gli intellettuali erano a stretto contatto con ‘il popolo’ e in tenere un occhio obiettivo e questo modo la cultura faceva parte della politica e giungeva molto però non del tutto nostalgico, più direttamente a tutti. soprattutto attraverso le paro- Nel film si vedono personaggi politici, ma anche gli Inti Illimani che le impegnate ma spesso disin- arrivano alla Giudecca e pranzano e dialogano con i compagni dell’i- cantate di Luigi Nono. L’audio sola. La curiosità creativa e umana di mio padre non si limitava a es- racconta, attraverso interviste sere relegata a certi ambienti. Era davvero sempre in ricerca. e conversazioni di Nono, gli ‘Film di famiglia’ si addice anche a buona parte della sua filmo- studi, i suoi primi anni di la- grafia perché ha lavorato spesso con gli stessi attori. voro, il suo impegno politico e È vero, gli altri film che ho fatto sono tutti girati con attori non pro- culturale e le sue posizioni, ma fessionisti, la gran parte dei quali ho conosciuto frequentando una anche la sua solitudine spesso casa di accoglienza per persone senza dimora di Venezia. Dal mio dovuta alle incomprensioni primo film documentario, Ospiti, che ritraeva la Casa dell’ospitalità sia degli apparati politici e sia e alcuni suoi residenti, ho lavorato sempre, più o meno, con le stesse della critica musicale. persone, che nel tempo hanno fatto strada e cambiato le loro vite, Nel film, poi, ci sono le altre perlopiù uscendo da quel riparo e, nei migliori casi, sistemandosi ‘famiglie’, in dialogo fluido e trovando spesso anche un’occupazione. Ma il nostro rapporto è reciproco: quella della Giu- continuato nel tempo (parliamo di circa otto anni in cui ho girato Via decca e di un’Italia dissolta; della Croce, Venezia salva e L’amico) e ci siamo ritrovati a collaborare quella internazionale della per i vari film perché si era stabilita una certa fiducia e una grande musica e della politica, come amicizia, e non da ultimo un piacere nel lavorare insieme. continuo gesto di curiosità e conoscenza. Appunto, si racconta un’epoca in cui la passione politica e il lavoro creativo facevano parte

44/45 STORIA IN FORMATO RIDOTTO

di LUISELLA FARINOTTI

Il cineamatore è una figura della modernità estetica: attore e non solo spettatore di una “visione”, organizzatore di uno sguardo e, insieme, di una nuova esperienza della memoria personale e familiare.

voci - inchieste I film di famiglia nel cinema italiano A lungo ai margini della storia ufficiale, confinato in quella dimensio- ne privata che del resto si incarica di rappresentare, il film di famiglia è diventato negli ultimi anni un oggetto di grande interesse, non solo per gli studiosi di cinema e di cultura visuale – per cui l’indagine sulle for- me del visibile si è aperta al più vasto campo delle immagini anonime e della produzione nontheatrical – ma anche per antropologi, etnografi e storici, che nei film amatoriali cercano i gesti e i volti di un territorio, le forme di autorappresentazione di classi e gruppi sociali, i ruoli familiari e le relazioni di genere o, più frequentemente, il tracciato di una lettera- le “Storia in formato ridotto”, ad altezza del quotidiano e del comune. La produzione visiva senza qualità artistiche, dichiaratamente amato- riale, diviene una via d’accesso fondamentale per ricostruire una storia collettiva della visualità, le forme di uno sguardo condiviso, ancorché inconsapevole, tanto quanto per restituire, in forma spesso altrettanto indiretta, lo sfondo o il fuori-campo dell’accadere storico. Anche gli artisti visivi e i documentaristi hanno trovato nel formato ri- dotto una fonte preziosa per le loro riscritture creative: vero e proprio corpo fisico della memoria, il film di famiglia restituisce la trama di un’identità e di un gesto affettivo, i fantasmi del passato o piccole tracce marginali su cui costruire una contro-lettura della Storia ufficiale. Perfi- no il cinema di genere usa frequentemente materiale amatoriale, come inserto illustrativo o per dar corpo a una memoria del passato dai tratti visione che vogliamo offrire di noi stessi nella scena sociale e attraverso nostalgici, che ha immancabilmente i toni sgranati di un Super8. Il recu- cui possiamo essere riconosciuti, per questo sono la traccia di una for- pero, l’utilizzo e la riscrittura dei film di famiglia opera in primo luogo ma di adattamento a un modello culturalmente codificato di storia fa- su una sorta di “archivio immaginario” che, oltre ai contenuti, presenta miliare. È proprio questa qualità di memoria culturale e di pratica sociale precisi modelli formali e visivi, in cui è la stessa grana della pellicola, il della memoria a definirne il valore testimoniale. tono cromatico o la presenza di graffi e di macchie sulla superficie dei I film di famiglia si legano alla tradizione della fotografia di ricordo, di fotogrammi, delle code della bobina, di salti o di inceppamenti, a farsi cui sono una sorta di sviluppo: come un album fotografico animato, gli materia della memoria, a restituirci la qualità sensibile del passato, di Home Movie fissano i riti e i passaggi fondamentali della storia familia- cui i contenuti nelle immagini si fanno poi segno ulteriore. La presen- re – nascite, compleanni, matrimoni, il primo giorno di scuola e la lau- za, così frequente nel cinema contemporaneo, di immagini provenienti rea, ... – o i momenti festivi – viaggi e gite, feste patronali e celebrazioni da film di famiglia è poi certo parte di quel vasto saccheggio dei più di- religiose – che fondano l’unità familiare e la sua storia necessariamente sparati materiali visivi e sonori, reso possibile dalla facilità di accesso e felice. La famiglia aderisce all’immagine che si è costruita di se stessa e riscrittura dei materiali d’archivio con il digitale. si celebra in una rappresentazione socialmente adeguata, che funziona A partire dalla seconda metà degli Anni ‘90 si moltiplicano gli archivi come “immagine-specchio”. audiovisivi che raccolgono film di famiglia, riconoscendone il valore Pratica collettiva che rende “pubblica” la vita privata, rappresentazione testimoniale, di documento tanto “anonimo”, quanto indiziario sul dell’intimità che è già scena sociale, gli Home Movie partecipano alla piano storico e sociale. La dimensione individuale e privata si ribalta in rivoluzione percettiva e immaginativa prodotta dalla modernità tec- qualità sintomatica, cifra di modi e tempi del vivere ampiamente condi- nologica. Il cineamatore è una figura della modernità estetica: attore e visi. Il carattere di autorappresentazione diretta, non mediata, dei film non solo spettatore di una “visione”, organizzatore di uno sguardo e, di famiglia li destina poi “naturalmente” a una storia delle forme dello insieme, di una nuova esperienza della memoria personale e familia- sguardo: i film ci restituiscono l’immagine con cui “ci si immagina”, la re. Sotto molti aspetti il cineamatore è la figura di questo processo: è il corpo “comune” di un nuovo sguardo, fuori da ogni retorica del genio, dell’artista, dell’eccezionalità dell’impresa. La sua ricerca di una com- petenza operativa e tecnica, di un’appropriatezza gestuale e visiva, è il segno di una sensibilità tutta moderna per le macchine come strumenti del cambiamento. I pionieri degli Anni ‘20 – quando vengono lanciati sul mercato i primi formati amatoriali: il 9,5mm della Pathé (1922) e il 16mm della Kodak (1923) – inaugurano un’esperienza di scoperta del mondo e di se stessi attraverso la mediazione di una camera che solo in parte sarà condivisa dalla massa di cinedilettanti armati di Super8 degli Anni ‘50 e ‘60 – l’epoca di grande diffusione delle pratiche amatoriali nel nostro Paese: pensarsi nelle immagini e come immagine diviene sempre più un’abitudine, un atto di riconoscimento più che di scoperta. Finché resta la pellicola c’è ancora bisogno di una competenza tecnico-fotogra- fica e di un’organizzazione delle riprese. Il video, negli Anni ‘70, e ancor più il digitale, annullando ogni preoccupazione per l’economia del tem- po di ripresa, spingeranno le pratiche amatoriali nel presente infinito di un “qui ed ora” sempre disponibile, in cui non c’è spazio per la memo- ria, né, apparentemente, c’è necessità di dar forma al ricordo. Del film di famiglia, almeno come racconto per immagini della storia familiare, si sono perse le tracce.

46/47 incontri

IL MUSEO DI TORINO FESTEGGIA 20 ANNI E SI RINNOVA

di STEFANO STEFANUTTO ROSA

Il presidente Sergio Toffetti annuncia il restyling della Mole Antonelliana, in occasione del compleanno del 2020.

voci - incontri “Un concorso di idee internazionali per il restyling del Museo Nazionale trasferimento di alcuni oggetti ingombranti da un deposito a un altro e del Cinema di Torino è il progetto che lanceremo grazie a un importante quando ho chiesto quali fossero, ho scoperto questa Vespa e una delle sponsor in occasione dei vent’anni del Museo nel 2020”. Così il presi- carrozze di scena di Via col vento, che presto sarà visibile. Tutti i musei dente Sergio Toffetti che, in carica fino a giugno 2020, è tornato nella sono come piccoli iceberg che mostrano una piccola parte di quel che città natale a occuparsi da giugno dello scorso anno del Museo di cui possiedono. Del resto lo spazio espositivo della Mole non è grandissi- è stato consigliere d’amministrazione (1984/’91) e responsabile del Di- mo, si estende per lo più in verticale. Bisognerebbe inventarsi una rota- partimento Film (1991/’98). Dopo l’omaggio all’indimenticabile Mon- zione dei pezzi o creare degli eventi ad hoc che accompagnino l’esposi- roe, ricco di memorabilia visibili nella mostra “Merry Marilyn”, la Mole zione di questi oggetti. Antonelliana ospita fino al 20 maggio la mostra “Gulp! Goal! Ciak!” che, realizzata insieme al Juventus Museum, racconta la storia del fumetto Nell’ultima edizione del TFF la collaborazione del Museo con il nel rapporto con il calcio e il cinema. Festival è diventata più stretta. Il Museo è stato presente con due film restaurati: Trevico-Torino e Pro- Come ha trovato il Museo? cesso a Caterina Ross che nel 1982 inaugurò la prima edizione del Festival La mia impressione, prima ancora da cittadino che da presidente, è che Internazionale Cinema Giovani di Torino. Per l’edizione 2019 vorrei che in questi anni la Fondazione abbia investito molto di più sui festival che fosse restaurato A ciascuno il suo di Elio Petri. L’obiettivo è consolidare sul Museo. Innanzitutto perché i festival assicurano il ritorno stampa e i rapporti di tipo organizzativo. Perciò il catalogo 2018 è stato prepara- la passione da parte del pubblico. Se fossi un manager direi che il core to da persone interne al Museo, non più da collaboratori esterni. Certo business dell’istituzione non sono però i festival ma il Museo. A visitare questa scelta, che porta a una razionalizzazione dei costi notevole, non la Mole Antonelliana in media sono più di 700mila persone, e tra tut- è indolore perché vuol dire lasciare a casa dei precari. ti e tre i festival - Torino Film Festival, CinemAmbiente e Lovers Film Festival - più o meno 100mila presenze. C’è una bella differenza. Ma il Emanuela Martini lascerà la direzione del TFF, visto che il suo Museo si spalma in un anno, mentre i festival si concentrano in 10 giorni mandato è in scadenza a fine 2019? Il testimone a chi passa? A un e l’attenzione dei media e dell’amministrazione si focalizza tutta in quel regista come avvenuto in passato? periodo. Ma il Museo del cinema fa dei risultati straordinari se pensia- È evidente che tutti noi abbiamo una certa età e dunque un ricambio va mo che è tra i 10 musei più visitati insieme agli Uffizi e Pompei. ipotizzato, ma non è detto che questo ricambio debba essere immedia- to e brusco, ci sono tante possibilità di mediazione. Emanuela ha lavora- Si è imbattuto in criticità, in problemi di risorse? to molto bene e dunque scaduto il suo incarico si possono trovare altre No, soprattutto se paragoniamo il Museo con altre istituzioni culturali forme per una sua collaborazione. Un regista alla guida del TFF? Penso dove la difficoltà è la gestione dei contributi pubblici che, anche quando che sia una sciocchezza, i direttori artistici devono fare il loro mestiere vengono assegnati, stentano ad arrivare, ponendo un problema di cassa. e altrettanto i registi. Altra cosa è che si dia carta bianca a un direttore È evidente che 700mila biglietti della Mole Antonelliana vengono ero- onorario quale Pupi Avati come è avvenuto per l’ultima edizione. gati tutti i giorni e questo costituisce un notevole volano di cassa. A que- sta cifra si aggiungono le 100mila presenze sia del cinema Massimo sia E il rapporto con il Torino Film Lab? dei festival. Quello che pesa sulla gestione è il costo dei dipendenti pari Si tratta innanzitutto di una realtà molto importante che da cittadino to- al 24% del bilancio di 14 milioni, che include i festival, il cinema Mas- rinese avevo sottovalutato. Il Torino Film Lab deve avere una ricaduta simo e il Torino Film Lab. In futuro prevedo delle razionalizzazioni. È più significativa sul territorio piemontese e quindi necessita di un rap- inoltre urgente trovare un direttore per il Museo. Due bandi sono andati porto stretto con la Film Commission Torino Piemonte. Quest’anno già a vuoto, meglio così perché si trattava di due bandi mal congegnati in è accaduto con il lancio del Torino Film Industry, all’interno del quale quanto ricercavano un direttore amministrativo, mentre il Museo deve hanno trovato la loro collocazione la produzione, la distribuzione e il avere un direttore scientifico che dialoga con altri Musei analoghi del mercato che avvengono in Piemonte, in particolare le attività della Film mondo. Perciò rifaremo il bando. Commission, del Lab e del Torino Film Market.

Quali le razionalizzazioni possibili? Come vi rapportate con le altre istituzioni italiane a voi simili? Ci sono troppe persone in biblioteca e poche in cineteca. Soprattutto Per tradizione il Museo ha una forte collaborazione con la Cineteca di sono convinto che le funzioni lavorative tra il Museo e il Festival debba- Bologna e il Centro Sperimentale, che deve proseguire. Del resto il CSC no integrarsi meglio, evitando i doppioni. sta nel mio cuore, avendoci lavorato per vent’anni. Abbiamo anche avviato una collaborazione con la Cineteca del Friuli. I sociologi ame- Tra i cimeli in mostra, il Museo vanta un nuovo acquisto: la vesta- ricani hanno inventato la coopetition, cioè un po’ collaborazione e un glia indossata da Sophia Loren in Una giornata particolare, acqui- po’ competizione. Ci si muove un po’ come il sindacato italiano dopo la stata all’asta e in attesa di essere esposta. scissione del 1948: marciare divisi per colpire uniti. Così devono operare E non dimentichiamo la Vespa blu che Nanni Moretti guida per le strade le istituzioni. di Roma in Caro diario e che il regista aveva donato al Museo nel 2016 ma non era stata mai esposta. È accaduto che mi abbiano avvisato del

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DECRETO BONISOLI: PROVVEDIMENTO ANTI-NETFLIX O PASSO VERSO LA MODERNITÀ?

di MICHELA GRECO

Le novità sono grandi: si mette mano alle cosiddette finestre di sfruttamento che regolano l’intervallo tra l’uscita al cinema e quella sui piccoli schermi e, soprattutto, diventa impossibile accedere ai finanziamenti destinati alle opere cinematografiche se si esce in contemporanea in sala e su una piattaforma. Il parere di Nicola Borrelli (MiBAC), Mario Lorini (Anec) e Luigi Lonigro (Anica), mentre i rappresentanti di Netflix e Amazon hanno preferito non rilasciare dichiarazioni.

12 settembre 2018. Segnatevi questa data. Per il mercato cinematogra- sostegni statali grazie alla parteci- fico italiano il giorno in cui Sulla mia pelle di Alessio Cremonini esce pazione al concorso di Orizzonti a al cinema e, contemporaneamente, è reso disponibile su Netflix è “il Venezia: la presenza in un “festival momento dell’impatto”. Le esigenze commerciali delle piattaforme di rilevanza nazionale” era infatti streaming, ormai protagoniste – nel bene e nel male – dei grandi fe- uno dei tre requisiti previsti dal stival internazionali, e le necessità di tutela e valorizzazione delle sale Decreto di luglio 2017, allora in vi- cinematografiche sono in rotta di collisione da tempo. Dal momento gore, perché l’opera fosse comun- in cui un film italiano così significativo arriva al cinema e, nello stesso que considerata cinematografica. istante, sui device degli abbonati alla piattaforma, una riflessione sul L’episodio, come è noto, scatenò cambiamento in atto nell’industria non è più rinviabile. Quello che molte polemiche e indusse alle di- viene salutato, con una semplificazione giornalistica, come il “Decreto missioni Andrea Occhipinti (pro- anti-Netflix”, emanato il 29 novembre 2018 dal ministro dei Beni Cul- duttore e distributore del film turali, Alberto Bonisoli, è, formalmente, il decreto che apporta modifi- con Lucky Red), dalla presidenza che sull’ “Individuazione dei casi di esclusione delle opere audiovisive dei distributori Anica. “Stabilire dai benefici previsti dalla Legge 14 novembre 2016, n. 220, nonché dei i criteri per l’accesso ai benefici parametri e requisiti per definire la destinazione cinematografica delle previsti per le opere cinematogra- opere audiovisive”. Le novità sono grandi: si mette mano alle cosiddette fiche - spiega Nicola Borrelli del finestre di sfruttamento che regolano l’intervallo tra l’uscita al cinema e MiBAC - non significa escludere quella sui piccoli schermi e, soprattutto, diventa impossibile accedere altri tipi di opere, definite audio- ai finanziamenti destinati alle opere cinematografiche se si esce in con- visive, dai finanziamenti. Quelle temporanea in sala e su una piattaforma. Sulla mia pelle aveva diritto ai avranno comunque dei benifici

voci - discussioni DECRETO BONISOLI: di legge, anche se di altro tipo e di matografiche”, oltre che “rendere altra entità. È necessario ribadire, la disciplina più coerente con le PROVVEDIMENTO ANTI-NETFLIX poi, che questo decreto non ha attuali dinamiche di mercato del nessun impatto sulle opere stra- settore audiovisivo”. Interpellati niere ma riguarda solo i film di da 8½, i rappresentanti di Netflix nazionalità italiana che godono e Amazon hanno preferito non O PASSO VERSO LA MODERNITÀ? dei sostegni statali: è improprio, rilasciare dichiarazioni, coeren- dunque, citare il caso di Roma di temente con la “strategia del Cuarón”. Con il nuovo Decre- silenzio” che portano avanti da to le windows si diversificano a sempre. Netflix, in particolare, ha seconda dei casi: i 105 giorni da sempre rifiutato di intervenire nel sempre individuati (salvo ecce- dibattito. Di più: mantiene segreti zioni) come intervallo obbligato i dati sul numero di spettatori dei tra l’uscita di un film in sala e il suoi prodotti. È il vero convitato suo approdo sulle altre piattafor- di pietra. “Non possiamo dire che me possono essere ridotti a 10 se questo sia un decreto che penaliz- Le novità sono grandi: si mette mano alle cosiddette finestre di sfruttamento il film è programmato per tre o za alcuni servizi”, dice l’avvocato che regolano l’intervallo tra l’uscita al cinema e quella sui piccoli schermi e, meno giorni (diversi dal venerdì, Ernesto Apa, esperto di conte- sabato, domenica e festivi), o a nuti digitali dello Studio Porto- soprattutto, diventa impossibile accedere ai finanziamenti destinati 60 giorni se l’opera è program- lano Cavallo. “Bisogna guardare alle opere cinematografiche se si esce in contemporanea in sala e mata in meno di 80 schermi e, all’equilibrio complessivo del dopo i primi 21 giorni, ha avuto sistema, ad esempio osservando su una piattaforma. Il parere di Nicola Borrelli (MiBAC), Mario Lorini (Anec) meno di 50mila spettatori. Una se e come il plafond destinato ai e Luigi Lonigro (Anica), mentre i rappresentanti di Netflix e Amazon condizione che riguarda circa vari contributi sarà modificato nel l’80% dei film italiani. “Il mercato tempo, se si metteranno a dispo- hanno preferito non rilasciare dichiarazioni. è un po’ sofferente – commenta sizione risorse sufficienti per le Mario Lorini, presidente Anec – opere audiovisive o queste saran- e cerca di reagire al cambiamento no penalizzate rispetto a quelle ci- delle modalità di fruizione delle nematografiche. Dobbiamo avere opere. Le finestre di sfruttamento un approccio olistico”. esistono in tutto il mondo e que- “Quella che stiamo facendo è sto provvedimento ha il pregio di un’operazione di modernità – offrire velocemente una seconda afferma infine Luigi Lonigro, vita ai film più piccoli. Per questo presidente della sezione distribu- non voglio sentir parlare di ‘de- tori dell’Anica – un primo passo. creto anti-Netflix’: noi esercenti Abbiamo consentito a un certo non ci stiamo arroccando, non prodotto nazionale di trovare il stiamo difendendo nulla. Stiamo suo pubblico in tempi ristretti ri- cavalcando il presente e valoriz- spetto alle windows precedenti; zando il rito collettivo del cinema. ora analizzeremo il reale impatto E poi, siamo sicuri che il pubblico di questo decreto sul mercato e sia così ansioso di approfittare cercheremo nuove soluzioni per della contemporaneità dell’usci- il futuro in un mondo che cambia ta, svilendo il ruolo della sala?”. alla velocità della luce. L’esperien- L’obiettivo dichiarato del Decre- za di Sulla mia pelle è stata uno sti- to, alla cui stesura hanno contri- molo a trovare nuove regole: vor- buito produttori, distributori ed remmo che le piattaforme fossero esercenti, è proprio “definire la un’opportunità per l’industria, non prioritaria destinazione al pubbli- una criticità”. co per la visione nelle sale cine-

50/51 punti di vista

UN MITO COMPETITIVO

di STEFANIA IPPOLITI Presidente Italian Film Commission

voci - punti di vista Uno scenario cinematografico più ricco, vario e attraente per i professionisti è quello che si presenta in questi primi mesi dell’anno: “anno di grazia”, vorrei poter dire con convinzione, che vedrà finalmente la piena applicazione della Legge Cinema, completata da tutti i suoi decreti e in grado di incidere profon- damente su alcuni aspetti strutturali del settore audiovisivo. Se ci sarà qual- cosa da migliorare lo si farà, questo lo spirito del Legislatore, e sarà stimolante UN MITO vedere se saremo capaci di raggiungere un’affidabile qualità media, al di là del- la geniale e sporadica eccellenza della quale finora ci siamo sentiti soddisfatti. Il lavoro delle Film Commission Italiane deve, per definizione e compito isti- tuzionale, puntare a una crescita ampia e costante della professionalità del nostro Paese, cercando di contribuire all’affermazione del settore italiano COMPETITIVO dell’audiovisivo, inteso come un comparto di professionisti, artigiani e im- prenditori, capaci di unire alla creatività e al saper fare, una reale e concreta af- fidabilità: basta con l’idea romantica, e deleteria, che il guizzo creativo, la solu- zione estemporanea, siano le uniche cose che l’Italia del cinema ha da offrire. Occorre non sbagliare una mossa e saper diventare tutti operatori affidabili, partner di sicura fiducia, a proprio agio nel costruire budget, illustrare bilanci, trattare con gli operatori finanziari, e puntare alla crescita anche dimensiona- le, dei progetti produttivi a cui lavoriamo. Al sistema pubblico, sia a livello nazionale che regionale, il compito di realiz- zare un ambiente favorevole all’interno del quale i privati siano messi nelle mi- gliori condizioni per lavorare con efficienza. C’è molto da fare, ma possiamo riuscirci, perché le condizioni di base ci sono tutte.

In questo quadro di grandi aspettative, ben s’inserisce l’importante novità de- gli Studi di Cinecittà, nuovamente tornati di proprietà pubblica, una carta formidabile da aggiungere a tutti gli elementi di competitività che l’Italia può mettere in campo: grandi storie grazie a grandi autori, ambientazioni davve- ro uniche al mondo, una rete di Film Commission pubbliche in ogni Regione d’Italia in grado di offrire standard di accoglienza molto alti e Fondi locali al- trettanto interessanti, un mosaico di infrastrutture di accoglienza delle pro- duzioni sui territori, arricchito da preziose e inaspettate offerte di servizi che nascono da vocazioni locali, siano esse antichi mestieri, ripensati in chiave contemporanea, o proposte ad altissima tecnologia, tutti campi nei quali il no- stro Paese ha molto da dare. Gli Studi di Cinecittà presto saranno non solo mito ma un fattore insuperabile di competitività per il nostro Paese: alla molteplice varietà e bellezza degli sce- nari italiani per le riprese in esterno, infatti, si affianca la sapiente accoglienza dei teatri di posa di Cinecittà, con le unicità di avere artigiani e tecnici bravissi- mi a disposizione, e Roma intorno, con la sua maestosa bellezza. La nostra proposta a Cinecittà, sottoposta al MiBAC in occasione della con- vocazione del Tavolo FC/Regioni/Direzione Generale Cinema, e a ITA-ICE, essenziale partner di tutte le attività di internazionalizzazione che il settore audiovisivo progetta e attua, sarà quella di mettere a punto un format di pre- sentazione delle offerte italiane di questo segmento. Le offerte del settore audiovisivo italiano saranno pensate e organizzate per es- sere facilmente comprese da altre culture, poi perfettamente tradotte in inglese e fatte conoscere attraverso il portale ITALY for MOVIES, utilissima piattafor- ma di accesso alla complessa ricchezza delle location e dei servizi del cinema italiano e proposte, attraverso mirate ben progettate e ben realizzate occasioni d’incontro, a una selezione di operatori stranieri, oltre che presentate a Berlino, Cannes e Roma in occasione del MIA – Mercato Italiano dell’Audiovisivo. Siamo fiduciosi che, se ci organizziamo in questo senso, uniti e convinti di far- lo, sarà difficile per chiunque non scegliere l’Italia come partner privilegiato.

52/53 il gusto del cinema

FRANCESCO BRUNI E IL FRIGORIFERO

di ANDREA GROPPLERO DI TROPPENBURG

8½ apre il settimo anno proponendo una nuova rubrica, dedicata al rapporto tra cinema e cucina: interpellando di numero in numero un autore, indaga il suo rapporto filosofico, metaforico e culinario con ingredienti e cibo, insieme alla proposta di una vera e propria ricetta. Qui lo sceneggiatore e regista Francesco Bruni.

Francesco Bruni, sceneggiatore Francesco, se dovesse immagi- e pazienza. Finora è sempre stato e regista, 5 David di Donatello e narsi come cuoco, quali sareb- così, sono storie personali che si 1 Nastro d’argento all’attivo, è il bero gli ingredienti della sua sono sedimentate nella mia testa fratello in arte di Paolo Virzì e lo cucina cinematografica? e a un certo punto mi sono accor- sceneggiatore di tutto Montalba- Allora, succede pressappoco così: to che c’era il piatto, cioè il film. no. Come regista ha realizzato tre la metafora più giusta sarebbe film: Scialla, Noi 4, Tutto quello che quella di una cisterna che si riem- Quali sono, appunto, i suoi in- vuoi. Lo incontro a Trastevere, pie e quando è piena si apre il rubi- gredienti preferiti? nella sua casa dietro piazza San netto per fare uscire la storia. Però Ecco, fino ad ora, se devo pen- Cosimato: chiedo a Francesco di potrei trasformare culinariamen- sare ai tre film che ho fatto, direi pensare al suo cinema come un te la mia mente nella metafora di che gli ingredienti sono: vicende cuoco pensa alla cucina, voglio un frigorifero, che apro e guardo personali, rapporti con i figli, con sapere degli ingredienti principa- cosa c’è dentro. Quando la storia la mia compagna, con mio padre li, dei tempi di cottura, dei segreti non è pronta, devo uscire e man- nell’ultimo film, e con i ragazzi del e delle spezie. Queste metafore ci giare in rosticceria oppure andare Cinema America di Trastevere. porteranno a capire anche qual è a fare la spesa. Se invece nel frigo Altri ingredienti sono l’ambiente il piatto preferito di Francesco e ci sono degli ingredienti, cerco di in cui vivo, prima San Saba, ora come si cucina. ricombinarli per dare vita a una ri- Trastevere. Ancora, un certo spi- cetta originale, di pura invenzione rito del tempo, che uso come una

voci - il gusto del cinema spezia, con attenzione e parsimo- sia trovata una strada, che magari nia. Nei miei film sono più legato finisce troppo presto e di solito al versante privato, rielaboro in dopo diversi mesi riusciamo a forma romanzesca vicende inti- impiattare il film. me. I film che scrivo con Paolo Virzì sono sempre molto legati Cosa le piace mangiare, quali alla contemporaneità e con lui la sono i suoi piatti preferiti? spezia ‘spirito del tempo’ la uso I miei piatti preferiti storicamente con grande abbondanza. sono la parmigiana di melanzane e la frittura di pesce, poi natural- Francesco, lei è regista, ha mente, da livornese, mi piacciono sceneggiato tutti gli episodi di tutti i piatti di pesce. Nella mia Montalbano e quasi tutti i film vita adulta è subentrata Raffaella, di Virzì: che differenza di in- l’attrice che amo e mia moglie, gredienti e tempi di cottura ci che ha orientato diversamente sono in queste esperienze così i miei gusti, in casa è lei che cu- diverse? cina, io sono un vero disastro, e Diciamo così: in Montalbano lo la sua cucina, prevalentemente chef, colui che mette la ricetta emiliana e bolognese, mi piace e gli ingredienti, è Camilleri, io moltissimo: i tortellini, le lasagne, sono un commis di cucina, che sta i passatelli in brodo o asciutti, e ai fornelli e controlla la cottura. naturalmente il ragù. In ogni fami- Quando lavoro con Paolo è di- glia bolognese c’è una ricetta del verso, lui porta un sacco di ingre- ragù, quella che vi do è la ricetta dienti e vorrebbe metterceli tutti: del Ragù di Raffaella Lebboroni e ecco, io lì, casomai, lo aiuto a sce- della sua famiglia. gliere gli ingredienti giusti per la ricetta e mettere via gli altri, maga- ri da usare in future ricette di film. Paolo, tra l’altro, fuor di metafora è un ottimo cuoco e fa un magni- fico cacciucco, ma siccome non si può fare sempre il cacciucco, che Il Ragù di Raffaella è per l’appunto la zuppa più mi- ingredienti sta, confusa e piena di cose, il mio ruolo è di aiutarlo a scegliere. Ad olio Evo ogni modo, meglio così, piuttosto triplo concentrato di pomodoro che un regista tirchio che affama passata di pomodoro gli spettatori: ecco, Virzì, tra le carne di maiale macinata due, è un regista generoso che sa- due volte (spalla) zia assai gli spettatori. carne di manzo macinata due volte (cartella o fracosta) Mi dice qualcosa sui tempi di carne di vitello macinata cottura? due volte (cartella) Generalmente per i miei film da mezzo bicchiere di latte regista i tempi sono molto lun- una noce di burro ghi, sono passati sempre tre o quattro anni tra un film e l’altro, Preparazione e anche ora sarà lo stesso tempo tra l’ultimo film e il prossimo. soffriggere le tre carni nell’olio di Proprio per questo motivo non Evo, aggiungere la passata e il tri- voglio fare la prima cosa che mi plo concentrato, portare a ebolli- capita in mente. Voglio sentirmi zione e abbassare il fuoco, lasciare fortemente ispirato e per questo pipare per circa tre ore a fuoco devo aspettare molto tempo, per lento, in ultimo aggiungere il latte fortuna faccio lo sceneggiatore, e il burro e mantecare fino ad otte- quindi mi mantengo lo stesso. nere il colore arancione intenso e Per quanto riguarda il lavoro con brillante del ragù. Virzì c’è una lunghissima fase di studio, di discussioni, ma anche di cazzeggio e di perdita di tem- po, ad un certo punto sembra si

54/55 voci - nel mondo rewind

RACCONTI DI CINEMA REPRINT ANNIVERSARI

58 8½ L’ultimo 60 Le novità di Arbore 62 a 50 anni da di Anton Giulio Mancino e Celentano. Piazza Queimada Navona di Mino Argentieri da “Cinemasessanta”, n. 1, gennaio-febbraio 1988, anno XXIX, 63 Il nome sopra pp. 55-56 il titolo di Andrea Mariani di Giorgio Gosetti

56/57 racconti di cinema

8½ L’ULTIMO

di ANTON GIULIO MANCINO

La scena si ripete. Lui l’ha già vista e vissuta. Anche fatta vedere, stretto a tenerlo sempre a mente come una cambiale in scadenza: all’inizio di 8½. Paralizzato nell’abitacolo dell’auto in balia del quanti film avrebbe fatto in tutta la vita? L’illustre amico, che non traffico romano di mezzogiorno, a poche centinaia di metri dal voleva lo si chiamasse mago, rimase assorto, poi pacatamente gli Campidoglio, gli secca essere ancora una volta in ritardo. Spera ci confidò il totale esatto. Non uno di più non uno di meno. Fede- siano ancora tutti, convinti che invece lui lo faccia apposta a farsi rico ci rimase male. Obiettò: “Così pochi?”. Gli sembravano po- attendere. In verità non vede l’ora di incontrare il destinatario del chi già nel 1962. E il sensitivo aggiunse: “Sì, ma belli”. Lui annuì, premio. A quest’ora la cerimonia dovrebbe star quasi per conclu- scontento. E decise da quel momento di centellinarli, con parsi- dersi. Con Martin, il premiato, conta di restarsene un po’ da solo monia. 8½ gli sembrò la corretta somma provvisoria dell’epoca, e chiedergli quella cosa su cui ha da poco consultato l’oracolo. A considerando mezzi quei film che non potevano valere per uno: modo suo, ovviamente. Sa benissimo che non dovrebbe aprire l’I- andavano annoverati come suoi solo per metà, o perché brevi. A Ching di soppiatto e leggere l’esagramma. Occorre seguire tutta la riparo nel cono d’ombra di una fragile sicurezza, per anni avrebbe procedura per ottenere risposte valide. Ma a lui piace fare così, potuto prendersela con calma, sebbene per il G. Mastorna il mo- senza pensarci troppo o prepararsi. Squadernando a caso il volu- tivo concreto di mandarlo all’aria non era dipeso da lui ma da una me può essere che scelga dove fermarsi. Per fortuna non conosce faccenda diversa, delicata, seria. Il segreto della sopravvivenza? a memoria la collocazione tra linee spezzate e chiuse di ogni figu- Non affrettare il traguardo dell’ultimo film. Nessuna dilazione. ra del Libro dei Mutamenti. Se si precipita all’inizio, al centro, alla Nessun ritardo sulla tabella di marcia gli era stato concesso. fine, poco importa, non c’è intenzione. Gli è capitato il quarto, Nemmeno l’ingorgo nel centro di Roma che lo sta ora bloccando La stoltezza giovanile. Recita: “Stoltezza giovanile ha riuscita. Non sarebbe bastato. Dieci anni dopo 8½, Gianfranco aveva scritto io ricerco il giovane stolto, il giovane stolto ricerca me”. Nessu- persino un articolo nel libro su Amarcord. Neanche a farlo appo- na esitazione, è uscito di casa a maggior ragione convinto della sta: Fellini 15 e ½ e la poetica dell’onirico. personale missione da compiere, con buona pace dell’orario Il conto alla rovescia ricominciava. E in coda a un paio di decen- inoltrato. “Ai piedi del monte sgorga una fonte: l’immagine della ni inevitabilmente, eccolo giunto a compimento: calcolando e giovinezza”. Certo, non potrebbe essere diversamente. Avrebbe ricalcolando, sommando anche i mezzi film, La voce della luna potuto interrogare il saggio libro su altro. Ben altro da decenni lo dell’anno passato è stato l’ultimo. Non gli resta che ammetterlo consuma dentro davvero, tra certezza e incredulità che si conten- nel malinconico silenzio che accompagna lo sguardo rivolto alle dono i suoi umori. Allora non fu il libro, ma Rol a rivelargli il nu- persone ignare della sua pena segreta, asserragliate dietro i fine- mero che smaniava di conoscere. Ora che lo sa si pente ed è co- strini velati dal vapore per la temperatura esterna del luminoso 17

rewind - racconti di cinema gennaio 1992 in corso. Sente di poter almeno accettare tra breve la pubblicità per la banca, tanto i tre che gli sono stati proposti sono film, sì, ma di pochi minuti. Non fanno numero. L’auto è arrivata sotto il Campidoglio. Ci sono tutti. Colleghi, amici, giornalisti lo accolgono come il vero ospite d’onore della giornata. Può finalmente avviarsi, tagliando clamorosamente in due la sala con gesto umile delle mani. Punta diritto su Martin, vi- sibilmente colpito dal suo arrivo ad effetto, come Wanda Osiris. La cerimonia dura poco. Sembra lo abbiano atteso per chiuderla. Il pubblico viene dirottato verso le uscite laterali. Federico, svet- tando sul piccolo collega italoamericano ha ottenuto quel che voleva: l’ampio salone adiacente, tutto loro. Per quella domanda. Esita, poiché un giovanotto devoto li ha seguiti in processione, passando inosservato e superando involontariamente gli ostaco- li umani. Ed è rimasto immobile davanti ai due, con un’agenda in una mano, una biro nell’altra, esitante. Federico prende di scatto l’una e l’altra, perde il cappuccio della penna, leggermente spa- zientito dal contrattempo lo raccoglie e autografa la prima pagina che gli viene a tiro. “Come ti chiami?”. Quindi trascrive il nome e aggiunge: “Buona fortuna”. La stessa che avrebbe invocato lui per primo. Sia pure spiato a distanza dall’imprevisto spettatore, torna a fissare suadente il collega, che bontà sua si sforza di parlare un po’ un italiano inconsueto, solo per togliere il maestro italiano dall’incombenza di un inglese intermittente. Sembrano capirsi. Il punto è questo: l’autore di Goodfellas, in Italia tradotto mala- mente Quei bravi ragazzi, lo sa che “Fellas” è esattamente il so- prannome usato da Federico quando da giovane collaborava nel- la bottega artistica di “Febo”, cioè Demos Bonini, con caricature e ritratti veloci? “Io firmavo ‘Fellas’, chissà perché, e facevo il disegno. Bonini che era un vero pittore ci metteva i colori. Mi chiedevo se quel tuo ‘Good’, seguito da ‘Fellas’, c’entri con me. Così, per pura curiosità”. “Good ‘Fellas’”, ripete Martin. “Sì, il ‘buon’ Fellini”, aggiunge lui. L’ultimo suo film è proprio Goodfellas. Martin, lieto in volto, sem- bra assentire, meravigliato. Federico, il cui ultimo pare debba restare La voce della luna, cosa di cui adesso è più che mai convinto, gli sorride. Per niente sicuro che l’altro abbia compreso la domanda, non insiste.

58/59 reprint

Le novità di Arbore e Celentano. Piazza Navona di Mino Argentieri da “Cinemasessanta”, n. 1, gennaio-febbraio 1988, anno XXIX, pp. 55-56

Eccezionalmente, proponiamo su Argentieri, in “Cinemasessanta”, mula assolutamente inedita, Ce- Reprint un articolo che ne con- nn. 245, 246, 247, 1999). L’interes- lentano, in Fantastico 8, stravolge tiene almeno due: un intervento se però matura notevolmente lo stile di conduzione di Baudo, bifronte, che tuttavia diventa trac- quando Argentieri inaugura, nel portando in televisione le strava- cia matura di un incontro centrale 1983, una nuova rubrica televisiva, ganze, l’umorismo e l’eccentri- per gli studi audiovisivi, quello tra “Piccolo schermo” (poi sostituita cità del cinema popolare che lo il cinema e la televisione, a partire nel 1995 da “Controvideo”) dove il vedeva protagonista assoluto da da un’altra contaminazione inter- discorso si fa via via più incentrato almeno un decennio (e che nu- mediale – quella tra la canzone e sui termini di una “comunicazio- triva le libraries e i palinsesti del- l’immagine in movimento. L’arti- ne audiovisiva” – un’apertura teo- le reti Fininvest). Piazza Navona, colo è vergato da Mino Argentieri, rica significativa e originale anche per converso, ci racconta di una decano della critica cinematogra- in un contesto accademico pur tendenza antitetica, un’altra via di fica militante (firma de l’Unità e interessato alle tecniche, le teorie, contaminazione e trasformazione già responsabile dell’Ufficio cine- la sociologia delle comunicazioni del cinema nel televisivo… una so- ma del PCI negli Anni ‘60), storico di massa, ma scarsamente effi- luzione di assai minore successo, del cinema e docente della stessa cace nel costruire un’attitudine tuttavia un segnale importante materia presso l’Università Orien- critica nei confronti dell’industria che al critico non sfugge: è una tale di Napoli. Su “Cinemasessan- dell’informazione e dello spet- serie di sei film per la tv realizzati ta”, rivista che Argentieri fonda tacolo: pochissimi, tra le giovani da registi esordienti e coordinati e nel 1960, sviluppa un discorso generazioni, denunciava Argen- selezionati da Ettore Scola, dove attento al soggetto televisivo nel- tieri, sono attratti da un discorso Marcello Mastroianni interpreta lo scenario mediale contempora- critico sulla comunicazione au- se stesso in tutti gli episodi, col neo fin dai primi anni della rivista, diovisiva. La pagina di “Piccolo ruolo di spettatore. Andato in come racconta lo stesso critico: schermo” che qui proponiamo onda su Rai 2 agli inizi del 1988, “Negli anni Sessanta l’intreccio intreccia due livelli intermediali aveva tra gli interpreti Luca Barba- tra il cinema e la televisione in interlacciati, che nella televisione reschi, Alessandro Haber, Fanny Italia avveniva sporadicamente, si riflettono: il primo legato allo Ardant, Mariangela Melato, Sergio non si presentava nelle forme spettacolo di varietà, alle trasmis- Castellitto e Giuseppe Cederna. sistematiche e tassative che ha sioni radiofoniche e alla canzone Argentieri coglie anche in questo ANDREA MARIANI ANDREA assunto tra gli anni Ottanta e No- sul piccolo schermo, il secondo caso i sintomi di un’innovazione vanta. Nondimeno, dedicammo legato al cinema per la Tv. Argen- e i germi di una trasformazione: i di alla Tv un certo numero di pagine, tieri riflette sul successo eclatan- prodromi di una serialità di segno ‘Terzo canale’ (all’epoca, i canali te di due prodotti che – a partire diverso, lontana sia dalla formula Rai erano soltanto due, è il caso di dal modello del festival canoro, del telefilm, sia da quella del ci- chiarirlo per i più giovani), che era del varietà, del quiz e della radio- nema a episodi, in voga negli Anni qualcosa di più di una rubrica di fonia – segnano un mutamento ‘50 e ‘60, ma mai davvero esistita recensioni televisive, una specie importante nella percezione del nella commedia popolare. Sullo di supplemento interno che poi pubblico televisivo della Tv pub- sfondo un campo di tensioni e sospendemmo perché gran par- blica, nella stagione cruciale della mutazioni di consistenza varia, te di coloro che vi collaboravano incipiente neo-televisione e pri- dove l’interazione intermediale, avevano deciso di costituire una ma della Legge Mammì: se Arbore unita a fondamentali manovre rivista esclusivamente televisiva. con Indietro tutta! (titolo che ri- di ordine finanziario, saldano fa- Noi ci tirammo da parte, nacque, prende ironicamente il program- talmente il sistema televisivo e nel ’64, Televisione che resistet- ma radiofonico Avanti tutta!) bis- quello cinematografico, nella fase te un paio di anni e poi si arre- sa il successo di Quelli della notte, di più acuta trasformazione siste- se” (L’avventura di una rivista in che pure aveva trasformato lo stile mica del cinema italiano. quaranta anni. Incontro con Mino e la struttura del varietà in una for-

rewind - reprint IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DALLA RIVISTA “CINEMASESSANTA” 1988

60/61 anniversari

a 50 anni da QUEIMADA

Le foto della sezione ‘Anniversari’ sono state gentilmente concesse dall’archivio fotografico © Si ringraziano dott. Marcello Foti, direttore Cineteca Nazionale; dott.ssa Daniela Currò, conservatore della CN; dott.ssa Viridiana Rotondi, responsabile Archivio fotografico della CN; dott. Alessandro Andreini, ricerca e elaborazione immagini Archivio fotografico della CN.

Le fotografie sono di Divo Cavicchioli. rewind - anniversari a 50 anni da Queimada IL NOME SOPRA IL TITOLO

di GIORGIO GOSETTI

William Walker, il Marlon Bran- Franco (da Squarciò viene La lun- do del film di Gillo Pontecorvo, ga strada azzurra, 1957), cui segue è realmente esistito: nonostante Kapò e, nel 1966, il trionfo de La le origini scozzesi e gli studi in battaglia di Algeri: lo stesso anno Inghilterra, era un avventuriero in cui Solinas debutta nello spa- americano che consumò la vita ghetti-western con due storie di (nato nel 1824 a Nashville finì rivoluzione terzomondista come fucilato a Trujillo nel 1860) inse- Quien sabe? e La resa dei conti. Vie- guendo il sogno di conquistare il ne da qui l’idea di Alberto Grimal- Centro-America. di di riunire nuovamente i due, Con 47 teste calde arruolate a San per un film capace di intercettare Francisco partì alla conquista del- il mercato internazionale usando la California del Sud nel 1853; con le armi del cinema popolare. Pon- pochi di più (aiutato dai ribelli sul tecorvo non è convinto, non sa posto) occupò il fragile Nicaragua proprio da che parte cominciare due anni dopo, fino a proclamarsi con i canoni del western e non si Presidente nel 1856. Fallì per avi- vede davvero nei panni di un se- dità, volendo conquistare le gio- condo Sergio Leone, ma l’offerta vani repubbliche confinanti, met- del produttore è generosa, lavo- tendosi contro, uno dopo l’altro, i rare bisogna e Solinas insiste che finanziatori americani che lo ave- le passioni politiche si possono vano incoraggiato, la Compagnia coniugare con una storia di popo- delle Indie e l’esercito messicano, lo. C’è una continuità ideologica fino ad andare incontro alla morte forte con Algeri, dopo l’Africa ecco per fucilazione in Honduras. l’America Latina del Che e delle Non ci sono prove che Gillo Pon- rivoluzioni sull’onda dei barbu- tecorvo e Franco Solinas ne cono- dos di Castro. Ma Solinas si spin- scessero la tumultuosa biografia ge oltre: insieme a Gillo pensa al mentre scrivevano il copione di Vietnam, al ruolo egemone delle Queimada nei giorni infuocati del potenze coloniali, al contrasto fra 1968 (il film è dell’anno dopo), ma la fragilità della democrazia e la è più che certo che soprattutto So- spinta rivoluzionaria delle masse. linas ne abbia incrociato le gesta L’ideologia del terzomondismo alla ricerca dei personaggi adatti a può tradursi in metafora potente questa storia a metà tra il western per le lotte della classe operaia e il racconto rivoluzionario, tanto europea e il ruolo degli intellet- da utilizzarne il nome. tuali – pensa Solinas – è proprio A quel tempo Franco e Gillo sono quello di avvicinare il popolo ai già amici da una vita, lavorano valori e ai traguardi che da solo insieme dal 1956 quando si sono non intuisce. Ma che può fare suoi incontrati per Giovanna; Gillo ha anche per mezzo di uno strumen- poi esordito con un romanzo di to potente come il cinema.

62/63 Così nasce la storia di Queimada, l’isola bruciata, dell’avventuriero senza scrupoli William Walker e di José Dolores, il ladruncolo che diventa eroe quasi suo malgrado. Nel film l’isoletta antillana è da UN AVVENTURIERO secoli una colonia portoghese quando la Compagnia delle Indie mette gli occhi addosso ai poten- SENZA SCRUPOLI E UN ziali vantaggi della canna da zuc- chero di Queimada e appoggia EROE SUO MALGRADO l’autonomismo ribelle della bor- ghesia locale, di razza meticcia, che controlla le piantagioni. Invia sul posto Walker, agente sotto co- pertura diplomatica, che in bre- ve capisce come la rivolta possa avere successo solo se coinvolge le masse e quindi la popolazione pranzo di gala, ma ha mille voci, più o meno così: “Dunque c’era questo piccolo trattamento che ave- di colore, gli schiavi. Deve però mille eroi inconsapevoli fino a vamo scritto per Grimaldi e che lui aveva mandato in giro. Un giorno trovare un leader carismatico e quando non prendono coscienza ci avvisa che Brando era interessato e veniva a Roma per parlarne. Noi lo individua nel giovane José Do- della forza della libertà. Per que- stavamo a Fregene, era già caldo, e montiamo in macchina per andare lores, ladruncolo e illetterato, ma sto il film ebbe grandi sostenitori a prenderlo all’aeroporto. Marlon sbarca, lo accogliamo calorosamente capace di capire l’ingiustizia che ma anche feroci critici nella stessa e in pratica lo sequestriamo. Caricarlo in macchina e tornare a Frege- opprime la sua gente. Formato sinistra in cui militavano gli auto- ne è stato tutt’uno. Per ore lo abbiamo rincoglionito raccontandogli il ideologicamente dal suo nuovo ri: il ’68 che accendeva l’Europa e film scena per scena. Non so bene cosa capisse, fatto sta che alla fine amico e aiutato nella scelta di guardava ai moti di rivolta del ter- era entusiasta, andammo a cena insieme e insomma la sua firma per il prendere le armi, Dolores diventa zo mondo non era passato invano ruolo ce l’avevamo in tasca”. Gillo raccontava però anche un’altra veri- ben presto un vero capo, un abile e divideva le coscienze. tà, ossia che lui proprio non avrebbe voluto un attore famoso e, peggio stratega e un generale capace di In realtà il nodo problematico del peggio, un divo di Hollywood. Come per La battaglia di Algeri voleva portare fino alle porte della ca- della storia si concentra proprio attori presi dalla strada, facce vere e convincenti. Alla fine, vinse il com- pitale i suoi straccioni quando il sul suo affascinante e sinistro an- promesso, il regista fece valere il suo ukase rifiutando Sidney Poitier per borghese Teddy Sanchez e i suoi tagonista. Pur condannato sen- la parte di José Dolores e ricorrendo per lo più a persone comuni, come colleghi uccidono il governatore za scusanti dalla Storia, William Evaristo Marquez, scelte durante la preparazione del film in Colombia. e dichiarano Queimada repub- Walker parla all’unisono con i Con Brando invece, come si sa, fu tutta un’altra storia e l’origine – per blica indipendente. La missione suoi creatori e questi, accusan- quanto travagliata – di una grande amicizia. È un’altra storia anche per- di Walker è finita, ma ben presto dolo, accusano se stessi. Perso- ché, almeno all’apparenza, Walker incarna il peggio del colonialismo sarà costretto a tornare. José Do- naggio volutamente complesso e europeo, è razionale e non fa nulla che non porti vantaggio a se stesso lores infatti non si è accontentato contraddittorio, quello che Bran- o a coloro che lo pagano. E quindi non appartiene al mondo in cui cre- delle vaghe promesse di Sanchez do restituisce in una delle sue dono Gillo e Franco, non è José Dolores, non vince anche quando crede e dei suoi: vuole l’abolizione del- interpretazioni più appassionate di riuscire. E quindi ha senso che a vestirne i panni sia proprio un divo la schiavitù, l’affrancamento dal e sottili nasce in un modo quasi americano. Se poi, come nel caso di Brando, può abbracciare il punto di nuovo potere degli inglesi e una leggendario, che Gillo raccontava vista del regista, tanto meglio. vera democrazia. Vuole tutto ma non sa bene come. E Walker, que- sta volta al comando dei soldati di Sua Maestà, ritorna per stroncare la rivolta, mettere ordine, far tace- re una voce incendiaria. Per vin- cere non esita a bruciare l’intera isola, a corrompere e tradire, fino a vedere José in catene. Disilluso, stanco, conscio del suo ruolo di pedina dei potenti, Walker cer- cherà fino all’ultimo almeno di salvare la vita all’amico. Ma non può nulla contro la forza di un’i- dea che va oltre il singolo. José Dolores finirà giustiziato, Walker andrà a imbarcarsi, un coltello farà giustizia. La rivoluzione – di- rebbero gli autori – non è mai un

rewind - anniversari a 50 anni da Queimada è il napoletano Alberto Grimal- raibi. Pontecorvo, pur salvando le di. L’uomo che, come racconta a apparenze in materia di costumi e Chiara Nano nel bel libro a cura di riferimenti, fece però di testa sua COSÌ GRIMALDI Steve Della Casa, Capitani corag- sul set, anche perché la lingua co- giosi, aveva scelto di lavorare con mune in Colombia era proprio lo gli americani perché, entrando spagnolo. Sicché il suono origi- “COSTRINSE” in coproduzione finanziaria, gli nale della pellicola non reca nep- lasciavano mano libera sul piano pure un’inflessione portoghese e PONTECORVO creativo. Ma non senza complica- invece mille accenti più o meno zioni: i costi delle riprese lievita- somiglianti allo spagnolo. rono sensibilmente (come vedre- Queimada, la bruciata in porto- mo) a causa dei rapporti tesi tra ghese, l’isola immaginaria che il regista e la sua star; la versione le strategie militari di William Parlare di Queimada vuol dire al- scelta dagli americani per l’usci- Walker mettono a ferro e fuoco, lora, prima di tutto, parlare di Al- ta in sala oltreoceano diverge in è dunque un toponimo in lingua berto Grimaldi che letteralmente più di un punto da quella voluta lusitana, ma la parola in spagno- “costrinse” Gillo Pontecorvo a da Pontecorvo; e soprattutto Gri- lo rimanda invece all’omonima un’insolita celerità lavorativa: ap- maldi dovette piegarsi alle pres- bevanda galiziana a base di vino, pena tre anni separano il film dal sioni dei soci (la United Artists) caffè e scorza d’arancia cui si dà precedente, coronato dal Leone a proposito della collocazione fuoco prima di servirla: un’am- d’Oro della Mostra di Venezia e dell’isola di Queimada. In sceneg- biguità che riflette i problemi di dalle tre nomination all’Oscar. giatura, obbedendo alla verosimi- verosimiglianza storica dribblati Avvocato d’affari, produttore glianza storica, l’isola fittizia viene con eleganza dagli sceneggiatori. quasi per caso, capace di sfidare indicata come colonia spagnola, A questo punto della costruzione Hollywood grazie a Sergio Leone come del resto buona parte del- di un capolavoro tanto imperfetto ma anche di sedurre Fellini sot- le Antille ancora nel XIX secolo. quanto affascinante e isolato nel traendolo a Dino De Laurentiis, Le proteste del governo franchi- panorama del cinema italiano di pigmalione di Bertolucci (da Ul- sta ebbero però buon gioco alle quella decade, ci sono la storia, il timo tango a Parigi a Novecento), orecchie degli americani, consi- produttore, gli autori, il protago- complice di Pasolini (dalla “Tri- derata l’importanza del mercato nista. Manca invece l’eroe buono, logia della vita” a Salò), e in tutto ispanico. Si decise allora di virare il contraltare obbligato secondo questo fedele al cinema popolare sul Portogallo (molto meno ri- lo schema dell’epica, un Ettore da e dei generi; fino al capolavoro di schioso sul piano commerciale) e contrapporre al corrusco Achil- portare Scorsese a Cinecittà per di farne l’emblema del cattivo po- le. Gillo e Franco sanno però chi Gangs of New York e guadagnarsi la tere coloniale nonostante la sua cercano. Nell’epopea delle lotte nomination per il Miglior Film nel influenza storica sul continente di liberazione del Centro America 2003: tutto questo e molto di più si limitasse al Brasile e mai ai Ca- il loro personaggio è già leggenda.

64/65 L’EPOPEA DI TOUSSAINT LOUVERTURE

Si chiama Toussaint Louverture per passione e un po’ stregone, ste e strategie di stampo euro- con gli inglesi, impegnandosi a ed è l’eroe nazionale di Haiti. Nato forse massone ma certamente peo, si fa amare dai soldati e dagli non esportare la sua rivoluzione schiavo a Santo Domingo nel 1743 lontano dal culto locale del voo- schiavi, combatte come un Gari- in Giamaica, sconfisse in battaglia (data ormai pressoché certa), doo, François-Dominique prese baldi o un Simón Bolívar e, nono- i potenziali rivali, ma quando Na- crebbe nella piantagione francese a firmarsi col nome di Toussaint stante alcune sconfitte come sui poleone prese il potere in Patria, il di Breda, fino ad affrancarsi alla forse per richiamare il giorno del- bastioni di La Tannerie nel 1793, generale di colore dall’altra parte metà degli Anni ’70, costruen- la sua nascita e più tardi assunse la sua fama arriva fino in Francia. del mondo gli apparve come un dosi una piccola fortuna come il cognome Louverture, forse per Quando la Rivoluzione abolisce potenziale pericolo. Toussaint piantatore di canna e padrone di indicare il suo modo di agire per la la schiavitù a Parigi e assume il dal canto suo promulgò una co- schiavi. Benché analfabeta all’i- sua gente, aprendo porte verso un medesimo impegno nelle colonie stituzione haitiana nel 1801 riaf- nizio e schiavo figlio di schiavi, futuro diverso e libero. oltremare, Toussaint cambia ful- fermandosi governatore generale era convinto di discendere da Il suo astro comincia a rifulgere tra mineamente alleanza e si schiera con poteri assoluti. La risposta di stirpe regale perché suo nonno Santo Domingo e Port-au-Prince contro gli spagnoli. Bonaparte fu drastica: un corpo era figlio di Ardra il Grande, re del (l’attuale capitale di Haiti) quando In due anni di battaglie e scara- di spedizione forte di 20.000 uo- Dahomey, uno dei grandi centri i venti della Rivoluzione france- mucce prese il controllo totale mini al comando del generale Le- di raccolta per la mano d’opera se arrivano nei Caraibi. All’inizio dell’isola scacciando l’esercito clerc sbarcò a Santo Domingo e, africana destinata alle Antille. però la Francia dei giacobini non regolare e i capi locali che gli si nonostante promesse di accordi Educato dai gesuiti, sembra ab- pensa ancora di abolire la schiavi- opponevano, ma trovò forte resi- diplomatici, ben presto lo scontro bia letto Epitteto, Machiavelli e tù e allora Toussaint si allea con gli stenza nella comunità dei mulatti divampò fino a diventare guerra soprattutto gli scritti dell’abate spagnoli per liberare la sua terra. Al che all’inizio lo avevano sostenuto civile. Dopo un anno di massacri Raynal, uno dei primi teorizzatori comando di un piccolo distacca- e che poi, intimoriti dal suo pote- in cui buona parte dell’isola fu della parità degli uomini e acceso mento prende parte alla ribellione re, si appellarono alla Francia per bruciata a turno dai regolari e dai sostenitore dell’abolizione della del 1791 dove si distingue subito ristabilire il controllo sulle pianta- ribelli, Louverture negoziò l’armi- schiavitù. Sposato, padre di molti per le sue doti militari. gioni. Per contrastare il Direttorio, stizio e si ritirò nelle sue pianta- figli, agiato possidente, medico Usa tecniche della guerriglia mi- Toussaint strinse allora accordi gioni. Ma, con l’accordo tacito del

rewind - anniversari a 50 anni da Queimada suo luogotenente Dessalines, il e scende tra i gringos del cinema. la moglie Picci, il piccolo Marco, il direttore della fotografia Marcello vecchio comandante fu arrestato Viene da un villaggio di poco più Gatti, lo scenografo Sergio Canevari, alcuni attori italiani come Rena- e deportato in Francia, rinchiuso di 3.000 anime, terra di schiavi fin to Salvatori e Giampiero Albertini. Perché il film prendesse la forma nella fortezza di Joux dove morirà dal XVII secolo e deve solo essere che cercava, alla compagnia degli sceneggiatori aveva aggiunto Giorgio nel 1803. “Privandomi del potere se stesso di fronte a Brando. “Non Arlorio, reduce dalle collaborazioni con Lizzani, Loy ma anche Sergio – scrisse ai suoi carcerieri - avete mi ha mai fatto sentire inferiore – Corbucci (Il mercenario), il montatore Mario Morra e il musicista Ennio tagliato solo il tronco dell’albero racconterà - mi parlava come a un Morricone che già avevano fatto squadra con lui per La battaglia di Algeri della libertà a Santo Domingo; fio- fratello, eppure non c’era nessu- e che avrebbero saputo coniugare la sua idea di cinema con ciò che si rirà nuovamente dalle sue radici, no come lui, con quella capacità attendeva la produzione. Alla fine, non ci fu il successo planetario che che sono molte e molto profon- di guardarti, mutare espressio- Grimaldi sperava. Ma Queimada resta un caso pressoché unico in quella de”. Le somiglianze con José Do- ne, ascoltare. E per di più era un stagione del cinema italiano e proprio le sue contraddizioni interne ne lores sono più che evidenti. uomo coraggioso”. Come quel- fanno una geniale “incompiuta”. In particolare, il tema scritto da Morri- Con un modello simile Pontecor- la volta in cui, esasperato per il cone per il film, Aboliçao, e le geniali invenzioni visive del trailerista Igino vo cerca il suo eroe e, durante i so- perfezionismo del suo regista e Lardani, che lavorò più su foto che su sequenze (data la distanza tra il pralluoghi in Colombia, si imbatte all’ennesimo ciak ripetuto, Bran- set e la produzione), fecero crescere un’attesa che, in America, andava nell’interprete naturale. Il regista do tirò fuori un coltello senza ti- di pari passo con la fama del regista. E fu così che per l’edizione inter- cerca un volto e una verità che more della pistola che Pontecorvo nazionale, Burn, Gillo Pontecorvo ottenne il massimo riconoscimento solo sulla strada può incontrare. È gli spianava contro per difendersi. di Hollywood: il nome sopra il titolo, grande quanto quello di Marlon il pastore illetterato Evaristo Mar- Sono i segni di un rapporto tem- Brando, ma in posizione dominante. Per un italiano era la prima volta quez, allora appena trentenne: a pestoso che scandì tutte le ripre- in assoluto. quel punto Gillo sente che il viag- se, giungendo a uno scontro che gio può cominciare e l’aspirante alla fine obbligò a interrompere la attore lo ricambia non mostrando lavorazione completandola, tem- da subito nessun timore reveren- po dopo, in nord Africa quando ziale per il grande Marlon. Evari- si calmarono le acque tra regista sto lascia le sue bestie ai margini e attore. Nonostante questo, Gil- del paesino di San Basilio de Pa- lo lo adottò nella tribù familiare lenque, nel nord della Colombia con cui era sbarcato in Colombia:

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SCANNER GEOGRAFIE INTERNET E NUOVI CONSUMI

70 La riforma 94 Il tour geniale 100 Bandersnatch delle finestre in italia di Nicole Bianchi e la vertigine di Iole Maria Giannattasio del controllo e Bruno Zambardino di Carmen Diotaiuti

FOCUS GRECIA COMPLEANNI MARKETING DEL CINEMA ITALIANO

78 Ritorno a Itaca 96 Continuiamo 102 Ride bene di Alberto Anile a chiamarlo Terence Hill chi Ride ultimo di Rocco Moccagatta di Andrea Guglielmino

84 La crisi immaginaria 104 BIOGRAFIE di Yannis Zoumboulakis RICORDI

98 Orfano di un fratello Ennio Fantastichini di Giulio Scarpati

CINEMA ESPANSO

88 Biografia tessile 99 Quel movimento di una diva che gli piaceva tanto di Hilary Tiscione Carlo Giuffrè di R.M.

90 A Milano non può fare caldo… di Elisa B. Pasino

92 Casualità e impegno: Giorgio Arlorio si racconta di Cristiana Paternò scanner

LA RIFORMA DELLE FINESTRE IN ITALIA di IOLE MARIA GIANNATTASIO E BRUNO ZAMBARDINO

La regolamentazione della successione dei canali di sfruttamento dei film comincia a porsi a metà degli Anni '80, passando per il “Compromesso di Stoccolma”, per arrivare alla Direttiva di riforma della Televisione senza Frontiere in cui prevale la piena libertà contrattuale e l’espressione “emittenti” viene sostituita con quella più ampia di “fornitori di servizi media” comprendendo le trasmissioni via Internet e, in particolare, il video on demand

La regolamentazione della successione dei canali di sfruttamento dei film – il cosiddetto sistema delle finestre o windows – è uno dei temi at- tualmente più dibattuti nel settore audiovisivo. La sequenza e la durata ottimali delle finestre sono frutto di un conti- nuo bilanciamento che da un lato deve impedire che il rilascio del film in una finestra possa cannibalizzare il successo del rilascio nella succes- siva, dall’altro deve evitare che tempi di rilascio troppo lunghi finiscano per rendere il prodotto poco interessante agli occhi del consumatore o preda di pirateria. In genere i diritti di riproduzione del film vengono venduti separata- mente per ciascuna finestra, a prezzi differenziati e decrescenti, man mano che ci si allontana dall’uscita del film.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema LA CRONOLOGIA DEI MEDIA: MODELLO BASE

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Fonte: Camera dei Deputati, 2014

Un documento della Camera ad opera di Luigi Mansani intitolato “Le dalla visione in sala, tempo ridot- La Direttiva 97/36/CE si limita a finestre di utilizzo delle opere audiovisive”1, fornisce una sintesi delle to ad un anno in caso di copro- stabilire che gli Stati membri de- principali tappe normative europee sul tema a partire dalla metà degli duzioni cinema-televisione. Tali vono assicurare che le emittenti Anni '80, quando l’Europa si inizia a porre il problema delle finestre finestre possono essere tuttavia non trasmettano opere cinema- temporali all’interno di quello che sarebbe divenuto il mercato unico derogate da accordi fra i titolari tografiche al di fuori dei periodi delle trasmissioni audio e video. La Commissione pubblica nel 1984 un dei diritti e i distributori, in parti- concordati con i titolari dei diritti. Green Paper on the Establishment of a Common Market in broadcasting, colare le emittenti televisive. Sostanzialmente viene ribadito especially by Satellite and Cable in cui, pur non intendendo regolamentare Questa regola viene ribadita dalla che siano le parti ad accordarsi le finestre, stabilisce che i titolari dei diritti cinematografici concedono Convenzione europea sulla tele- sulle finestre temporali non ne- diritti di trasmissione solo se questo non danneggia altre forme di com- visione transfrontaliera (1989) e gando la possibilità che gli Stati mercializzazione, quali la proiezione al cinema. dalla Direttiva sulla Televisione intervengano a regolamentare il Un anno dopo la sentenza della Corte di Giustizia CE nel caso Ci- senza Frontiere (Direttiva 89/552/ settore. netheque è il primo atto in cui le istituzioni comunitarie prendono CEE), che stabilisce tra l’altro, Nella Direttiva di riforma del- posizione sulle finestre temporali, non ritenendo incompatibile con le (art. 3) che gli Stati Membri pos- la Televisione senza Frontiere norme del Trattato che misure nazionali possano imporre restrizioni sono prevedere una normativa (Direttiva 2007/65/CE) si tiene temporali alla vendita dei diritti al fine di tutelare le industrie locali del più stringente in materia. conto dell’evoluzione tecnolo- settore cinematografico. Ben presto ci si rende conto che il gica e delle nuove modalità di Seguono una proposta di direttiva e una Raccomandazione nella quale limite dei due anni per poter tra- trasmissione: prevale la piena li- si ribadisce l’opinione che nella distribuzione dei film venga data priori- smette un film è poco allettante per bertà contrattuale e l’espressione tà al cinema a cui dovrebbero seguire videogrammi e televisione. Inoltre le televisioni a pagamento, le quali “emittenti” viene sostituita con si auspica che le emittenti non programmino film nei giorni e orari in cui iniziano ad operare sul mercato in quella più ampia di “fornitori di il cinema attrae maggior pubblico. numero sempre crescente, e il regi- servizi media” comprendendo le Il “Compromesso di Stoccolma” del 23-24 no- me derogatorio che doveva essere trasmissioni via Internet e, in par- vembre 1988 getta le basi per una regolamenta- applicato come eccezione, e che ticolare, il video on demand. zione delle finestre temporali, stabilendo che prevede la possibilità di accordi tra un film non possa andare in tv prima di due anni le parti, diviene di fatto la prassi.

1. http://www.camera.it/temiap/2014/12/03/OCD177-696.pdf

70/71 LA LEGISLAZIONE IN FRANCIA E PORTOGALLO. I VINCOLI FINANZIARI IN GERMANIA E AUSTRIA

Lasciati dunque liberi di decidere, gli Stati Membri non hanno seguito blico e la costante innovazione una regola univoca. Francia e Portogallo, ad esempio, sono tra i pochi tecnologica dei sistemi casalin- che si sono dotati di una legislazione in proposito. ghi di riproduzione dei contenu- La Francia ha una delle normative più stringenti basata sulla chronolo- ti, che assicura un’alta qualità di gie des médias che regola la vita di un film a partire alla sua uscita nelle fruizione degli stessi, hanno mo- sale e che, a seguito di anni di negoziazioni tra istituzioni, industria del dificato le abitudini di consumo cinema francese e piattaforme di pay tv, è in fase di riforma. Il nuovo degli utenti e i modelli di busi- accordo, che dovrebbe rispecchiare i cambiamenti intervenuti sulle ness degli operatori, in particola- abitudini di consumo degli utenti, prevede una riduzione da 4 a 3 mesi re quelli legati alla distribuzione dei tempi di passaggio del film al video on demand dopo l’uscita al ci- delle opere. Questo fenomeno nema; 6-8 mesi rispetto agli attuali 10-12 per la disponibilità su pay tv; ha portato a una rivalutazione del 20-22 mesi (e non più 28) per il passaggio sulla tv gratuita; 36 mesi per valore economico delle singole la fruizione sulle piattaforme di SVOD. finestre mettendo in dubbio la Il Portogallo ha una regolamentazione meno stringente, che prevede, a netta rilevanza dell’una sull’altra seguito del rilascio al cinema, un intervallo di 4 mesi per la pay tv e di 12 pattuita dalla cronologia abitual- mesi per la free tv, alcune eccezioni e la possibilità di accordi tra le parti. mente utilizzata. Altri paesi come Germania e Austria non sono dotati di specifiche misure legislative in materia, ma vin- colano il rispetto di determinate finestre temporali all’ottenimento dei finanziamenti statali. General- mente le finestre di rilascio, che vanno dai 6 mesi per home video e distribuzione online ai 18 mesi per la tv in chiaro, sono inserite tra le linee guida dei film fund. Infine, il modello in vigore nella maggior parte dei mercati, prevede che sia il mercato a stabilire, caso per caso, i tempi di rilascio sulle varie piattaforme. In questo modello che è perdurato negli ultimi de- cenni, in Italia, i film seguono una determinata cronologia di uscite presso il pubblico, partendo dalla sala e poi approdando ai successivi canali come l’home enter- tainment, la pay tv, il video on demand, fino ad approdare alla televi- sione in chiaro. La sequenza dei canali o la durata dello sfruttamento del film su ciascuno di essi, non era definita da alcuna norma ed era frutto di accordi tra gli operatori del mercato, basati su convenzioni non scritte, una sorta di gentlement’s agreement. Il principio sottostante a questa prassi risie- de nell’obiettivo, condiviso da tutti gli aventi diritto, di massimizzare il valore commerciale dell’opera, ordinando la sua diffusione su una scala di rilievo economico decrescente. Il va- lore dei diritti di riproduzione del film, infatti, diminuisce all’avanzare delle finestre. Tuttavia, l’espansione di piattaforme distri- butive con ampia offerta di contenuti on demand immediatamente accessibili al pub-

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema LA NOZIONE DI FILM E LA SUA RICADUTA SUL SISTEMA DI SOSTEGNO AL SETTORE

Se la politica adottata all’ultimo Festival Cannes, che ha messo al ban- do le produzioni Netflix, è sintomo di una precisa presa di posizione nei confronti delle produzioni di piattaforme che non distribuiscono nei cinema, la presenza, alla 75a Mostra del Cinema di Venezia, di opere in concorso il cui modello distributivo non rispettava la prassi consolida- ta – tra cui il vincitore Roma, di Alfonso Cuarón – ha accelerato anche in Italia il dibattito in corso. Da un lato si è contestato lo screditamento del valore sociale e cultu- rale della sala cinematografica e della unicità dell’esperienza di visione offerta in questo contesto e della sua evidente ricaduta sul prodotto stesso. Dall’altro si è posta la questione della effettiva accessibilità ai contenuti da un punto di vista sia economico che pratico, oltre che della libertà di operare sul mercato dei soggetti distributori. A un livello più teorico, la riflessione si è spostata anche sull’individua- Il ragionamento filosofico su cosa sia un film non è puramente specula- zione della natura stessa di opera cinematografica – ad oggi determinata tivo ma ha una ricaduta diretta e concreta sul ricco sistema di sostegno dallo sfruttamento prioritario in sala – e sull’attualità della distinzione al settore implementato dalla legge 220 del 2016 “Disciplina del cinema tra film e altro contenuto audiovisivo, quando è evidente che questa e dell’audiovisivo”. Pur ampliando il finanziamento pubblico a tutta la differenza non possa basarsi su valutazioni qualitative e di merito sulle produzione audiovisiva, la legge, già dal titolo, distingue tra cinema e opere stesse. altro audiovisivo. Gli aiuti economici sono destinati in maniera e pro- porzioni diverse in base alla tipologia di opera, con diversi vantaggi per i film a causa delle maggiori difficoltà nella ricerca di risorse finanziarie sul mercato rispetto alle opere destinate a circolare su altre piattaforme. Per individuare quindi le possibilità di finanziamento previste dalla leg- ge è necessario “incanalare” l’opera nel percorso amministrativo coin- cidente con la tipologia di opera stessa. Quindi un film avrà accesso ai sostegni destinati al cinema e una serie televisiva avrà accesso ai soste- gni per gli altri audiovisivi. I requisiti necessari a determinare la tipologia di opera sono disciplinati dal D.M. 14 luglio 2017, “Individuazione dei casi di esclusione delle ope- re audiovisive dai benefici previsti dalla legge 14 novembre 2016, n. 220, nonché dei parametri e requisiti per definire la destinazione cinemato- grafica delle opere audiovisive”. Dall’entrata in vigore del decreto, nel luglio 2017, le veloci trasformazio- ni delle prassi di mercato hanno creato una distanza con le previsioni del testo che non poteva prevedere una così rapida mutazione delle mo- dalità di sfruttamento commerciale delle opere. La consapevolezza di questo scollamento ha quindi comportato un ripensamento dei requi- siti utilizzati per definire la destinazione cinematografica delle opere. Le opere audiovisive ammesse ai benefici della legge sono infatti sud- divise in differenti categorie: opere cinematografiche, opere televisi- ve, opere web e videogiochi. Le opere cinematografiche, o film, sono ammesse a benefici di tipo esclusivo nel caso dei contributi selettivi e godono di particolari vantaggi rispetto alle altre opere nel caso di altri schemi di aiuto come i crediti d’imposta e i contributi automatici. La corretta individuazione di questa tipologia di opere e la distinzione dagli altri prodotti audiovisivi è quindi essenziale per un’equa applica- zione delle misure previste dalla legge.

72/73 I TRE REQUISITI Innanzitutto, l’opera, oltre ad Nel secondo caso, si chiarisce che La seconda casistica è invece pen- PER GODERE DEI essere ideata, progettata e realiz- la fruizione in sala costituisce la sata per le opere che, nonostante BENEFICI DI LEGGE zata dal punto di vista artistico, prima modalità di diffusione al abbiano pianificato una uscita di 220/2016 DESTINATI tecnico, produttivo e finanziario pubblico dell’opera e che questa medie dimensioni, non trovano ALLE OPERE per la prioritaria visione in sala, non può essere diffusa attraverso un riscontro di pubblico suffi- CINEMATOGRAFICHE deve presentare anche model- altri canali di sfruttamento per ciente a rimandare lo sfruttamen- li di diffusione e promozione 105 giorni a partire dalla prima to su altre piattaforme. Quindi, se Il 29 novembre del 2018 è stato presso il pubblico coerenti con proiezione in sala, periodo che l’opera è programmata in meno quindi emanato un decreto che la prioritaria commercializzazio- coincide con quello che conven- di ottanta schermi e dopo i primi sostituisce interamente l’artico- ne cinematografica, in modo da zionalmente viene adottato dal 21 giorni di programmazione ha lo 2 del decreto 2017, “Destina- evitare che, fintanto che il film è mercato nel rispetto degli accor- ottenuto un numero di spettatori zione al pubblico per la visione disponibile in sala, vengano pub- di tra le parti. Ciononostante, inferiori a cinquantamila, la fine- nelle sale cinematografiche delle blicizzate forme di sfruttamento proprio per venire incontro alle stra è ridotta a 60 giorni. opere audiovisive”. Le modifiche successivo su altre piattaforme specificità distributive di prodot- In entrambi i casi, durante il pe- sono il frutto di una riflessione distributive che rischierebbero ti con ciclo di vita diverso, sono riodo di programmazione in sala, condivisa con le associazioni di di scoraggiare gli spettatori dal previste due riduzioni alternative non devono essere effettuate at- categoria interessate dal prov- preferire la visione al cinema. della finestra di 105. tività promozionali sulla succes- vedimento e dei pareri del Con- Gli altri due requisiti riguardano Nella prima casistica rientrano siva disponibilità dell’opera su siglio superiore del cinema e la tenitura e la finestra di sfrut- le opere programmate per non altre piattaforme. dell’audiovisivo. L’obiettivo, vale tamento in sala. Nel primo caso, più di tre giorni lavorativi e non Va dunque precisato che le nuo- la pena ripeterlo, considerati gli l’opera deve essere programmata coincidenti con il fine settimana: ve regole non si applicano ai equivoci generati da una lettura in sala per almeno 60 proiezioni si tratta delle cosiddette uscite film stranieri e non vietano alle superficiale del testo, non è defi- singole nell’arco di tre mesi dalla evento, che non possono essere piattaforme di streaming di pro- nire cosa sia un film né, tantome- prima uscita. Nel caso specifico assimilate a quelle di opere che, grammare modalità distributive no, normare la libera scelta degli di documentari e cortometraggi per ragioni diverse, anche legate alternative – o contemporanee – operatori di stabilire strategie la soglia di proiezioni minima è al valore economico della pro- all’uscita in sala, a patto che que- distributive delle opere, purché ridotta a 15 nei tre mesi. duzione, non puntano a una im- ste non vogliano usufruire delle rispettose degli accordi tra i tito- mediata distribuzione massiva e agevolazioni previste dalla legge lari dei diritti e i fornitori di servi- capillare. Per queste opere, la fi- per le opere cinematografiche zi di media (le tv e le piattaforme nestra sala da rispettare è ridotta (fermo restando la possibilità di di streaming). Peraltro, il testo a soli 10 giorni. accedere agli aiuti per gli altri au- si limita a delimitare la finestra diovisivi). In altre parole il prov- temporale di sfruttamento in sala vedimento, stabilendo delle pre- cinematografica mentre non in- cise tempistiche di sfruttamento terviene sulle successive finestre. in sala, le impone alle sole opere La disposizione introduce tre beneficiarie di fondi pubblici. requisiti che devono essere con- giuntamente rispettati per poter godere dei benefici della legge 220/2016 destinati alle opere ci- nematografiche.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema REQUISITI OPERE CINEMATOGRAFICHE AI FINI DELLA LEGGE 220/2016

Fonte: MiBAC - Direzione Generale Cinema

2 REQUISITI CONGIUNTI

Opera programmata in sala per La fruizione in sala costituisce la Prima proiezione: almeno 60 proiezioni nell’arco di prima modalità di diffusione al attività di proiezione al pub- 3 mesi decorrenti dalla data di pri- pubblico dell’opera per un perio- blico dell’opera per la sua in- ma proiezione do di 105 giorni decorrenti dalla tera durata, ivi inclusi i titoli data di prima proiezione di testa e di coda, a fronte di un titolo d’ingresso a paga- L’opera non è diffusa al pubblico mento attraverso fornitori di servizi me- dia audiovisivi o editori home en- tertainment

Requisito del numero minimo di proiezioni ridotto a 15 per i docu- mentari e i corti A condizione che nel periodo di programmazione non sia effettuata al- cuna attività di lancio e promozione in merito alla successiva disponibi- lità dell’opera attraverso fornitori SMAV ed editori home entertainment il termine è ridotto a: a) 10 giorni se l’opera è programmata in sala per un numero di giorni feriali (no ven, sab e dom) pari o inferiore a 3 b) 60 giorni se l’opera è programmata in sala in meno di 80 schermi e dopo i primi 21 giorni di programmazione ha ottenuto un numero di spettatori inferiore a 50.000

74/75 FOCUS GRECIA

Nome ufficiale: Repubblica Ellenica

Forma di governo: Repubblica costituzionale

Lingua ufficiale: greco

Capitale: Atene

Numero abitanti: 10.768.477 (stima 2017)

Densità: 81,67 abitanti/km2

Superficie: 131.940 abitanti/km2

Valuta: euro

latest - focus Grecia Numero schermi cinematografici: 547

Prezzo medio del biglietto: 6,50 euro

Spettatori cinematografici/ anno: 9.355.000 (stima 2018)

Incassi totali/anno: 60.000.000 di euro (stima 2018)

Box Office 2018 numero di biglietti (fonte: Greek Film Center)

1. Avengers: Infinity War – 363.487 euro 2. The Nun – 239.546 3. Hotel Transylvania 3: una vacanza mostruosa – 228.382 4. Deadpool 2 – 221.697 5. Cinquanta sfumature di rosso – 215.114 6. Aigaio SOS – 211.880 7. Venom – 206.763 8. Mamma mia! Ci risiamo – 184.313 9. Gli incredibili 2 – 173.512 10. The Bachelor 2 – 167.791

Box Office 2018 numero di biglietti film greci (fonte: Greek Film Center)

1. Aigaio SOS – 211.880 2. The Bachelor 2 – 167.791 3. 1968 – 105.651 4. The Bachelor 3 – 103.121 5. Mazi Ta Fagame – 25.661 6. Jamaica – 18.320 7. Kazantzakis – 8.167 8. Gynaikes pou perasate apo do – 4.625 9. O Thesauros – 4.345 10. Pity – 3.358

76/77 RITORNO A ITACA

DI ALBERTO ANILE

La Grecia sta appena lì, dall’altra parte dell’Adriatico, si vede quasi; la sua storia e la sua cultura ci hanno nutrito e ci nutrono continuamente, dal vocabolario alla forma mentis. Il teatro è greco per definizione, con la classificazione aristotelica di tragedia e commedia. Ma il cinema gre- co no, di quello si conosce poco o nulla. Per l’italiano di media cultura, e forse neanche per quello, il cinema greco è un miscuglio di Zorba il greco interpretato da un messicano, di Irene Papas che fa Penelope in tv, degli eterni piani sequenza di Angelopoulos, del furore civile di Costa Gavras, e della eleganza sociopatica di Lanthimos. Chi ha visto Lo sguardo di Ulisse (To vlemma tu Odyssea, 1995) di Ange- lopoulos ricorderà come il protagonista cercasse un film dei fratelli Maniaki, Milton e Yanaki. I pionieri greci della cineripresa furono loro, sulla scia dei Lumière. Ma al contrario che in Francia, e in diverse al- tre nazioni europee, la cinematografia ellenica stentò a svilupparsi; in zona muto le occasioni più importanti furono le comiche di Spyridion Dimitrakopulos (fondatore anche di una compagnia, la Athini Film), la commedia agreste Golfo (id., 1914) di Kostas Bachatoris, e ancora una coppia di fratelli, Kostas e Dimitris Gaziadis, autori del successo Eros e onde (Eros ke kymata, 1927). Il primo film greco sonoro, Il canto della separazione (Tragudi tu chori- smu), arriva piuttosto tardi, nel 1939, ma è decisivo sia come esempio di ciò che seppe fare l’avvocato Filopimin Finos (produttore e regista che per quasi un quarantennio, prendendo a modello l’industria sta- tunitense, diede un impulso decisivo al cinema greco), perché grazie alla sua musica e alle sue canzoni cominciò ad affermarsi il genere delle “fustanelle”, i gonnellini maschili di tradizione illirica che divennero sinonimo di commedie pastorali e idilli musicali. “L’avvento del sono- ro”, ha scritto Silvana Silvestri (Enciclopedia del cinema Treccani, 2003), “aveva per la Grecia un significato diverso che per altri Paesi: il pubblico ascoltava finalmente la sua lingua e la sua musica, fino a poco tempo prima occultate dalla dominazione turca. Il cinema contribuiva così a far riemergere una cultura fino ad allora soffocata”. Soffocata, la cultura cinematografica, lo fu e lo sarebbe stata ancora a latest - focus Grecia lungo per i tanti violenti rivolgimenti storici; dopo la guerra greco-turca degli Anni ’20 e la dittatura del generale Metaxas alla fine dei ‘30, arrivò la Seconda Guerra Mondiale, con relativa occupazione italotedesca, e l’insorgere di una guerra civile che si protrasse fino alla soglia degli Anni ‘50. Appena poté riprendere fiato, la Grecia cominciò a sviluppare final- mente una propria cinematografia, ripartendo dal genere nazionale fol- cloristico, a base di canzoni e fustanelle, ma anche con la nascita delle prime istituzioni di una certa importanza, dalla fondazione della scuola Stavrakos all’istituzione del Festival di Salonicco. I primi vagiti di un ci- nema d’autore si fanno presto sentire, con titoli capitali come L’orco (O drakos, 1956) di Nikos Kunduros e scambi internazionali che portarono per esempio Jules Dassin a dirigere I ragazzi del Pireo (Ta Pedia tou Pirea, 1959), Michael Cacoyannis a riportare un successo mondiale per Zorba il Greco (Alexis Zorba, 1964) e Nicos Papatakis passare dalla coproduzio- ne in America dell’esordio di Cassavetes allo scandalo francese per Les Abysses (id., 1963), la sua prima regia. Alla risonanza del cinema greco a livello internazionale corrispose in patria un deciso aumento della produzione, che intorno al 1967 arrivò al record di 117 pellicole, la media pro capite più alta d’Europa. Ma il 1967 è anche l’anno in cui inizia la dittatura dei colonnelli, e il cinema rico- mincia a soffrire. Il genere bucolico/musicale, intessuto di un profondo orgoglio per le tradizioni nazionali, viene esplicitamente protetto dal nuovo regime, che ostacola invece la nascita di una possibile Nouvelle Vague ellenica. Per contrasto, sorgono prepotenti due giganti, l’espa- triato Constantin Costa-Gavras, il cui Z – L’orgia del potere (Z, 1969) ot- tiene il premio Oscar, e il metaforico Theo Angelopoulos, che esordisce in patria con Ricostruzione di un delitto (Anaparastasi, 1970), non solo de- cisivo film d’autore, “di importanza paragonabile a quella che ebbe Os- sessione di Visconti per il cinema italiano” (Fofi-Morandini-Volpi, Storia del cinema), ma anche clamoroso successo ai botteghini locali. Esordi- scono negli Anni ‘70 altri registi apprezzati, tuttora attivi, come Pantelis Voulgaris e Yannis Smaragdis, ed è di questo tormentato periodo pure Evdokia (id., 1971) di Alexis Damianos, drammatica storia di un amore schiacciato dai tempi e dalle relazioni sociali, costantemente ai vertici delle classifiche di qualità stilate dai critici ellenici. Nel 1974, l’anno in cui finisce la dittatura, Angelopoulos firma quello che è considerato il suo capolavoro, La recita (O thiasos).

78/79 Più della politica, fu la televisione a far precipitare il cinema greco in una crisi dalla quale non si è ancora riavuto; caduti i colonnelli, e sempre più minato dalla concorrenza del piccolo schermo, il cine- ma ellenico si ritrovò svuotato di pubblico e di senso. Il deus, anzi, la dea ex machina fu Melina Mercouri, l’antica protagonista de I ragazzi del Pireo e di un altro film popolarissimo, Stella, cortigiana del Pireo (Stella, 1955) di Cacoyannis, tornata dall’esilio politico per militare nel Pasok (Movimento Socialista Panellenico), e poi per dieci anni appassionato ministro della Cultura. Mercouri varò una nuova Leg- ge per il cinema e cercò di irrobustire il Centro di Cinema Greco ma l’ulteriore sviluppo televisivo e la nascita dell’Home Video infersero colpi mortali, acuendo la disaffezione del pubblico in sala; nel 1992 la produzione cinematografica locale, in costante calo, arrivò al record negativo di soli 11 film. La crisi s’incancrenì. La stragrande maggioranza degli spettatori cer- cava il cinema popcorn americano, mentre i maestri come Angelo- poulos evolvevano verso un cinema più personale, di alto livello ma sempre più distaccato dal pubblico. Una buona metà della già esigua produzione cinematografica degli Anni ‘90 non riusciva neanche ad arrivare alla cabina di proiezione. I detrattori accusavano di mono- polio il Centro di Cinema Greco (in greco “Elleniko Kentro Kinema- tografou”, più conosciuto con l’inglese “Greek Film Center”), impu- tandogli di aver soffocato la settima arte per mere ragioni politiche (è l’opinione di Vrasidas Karalis, autore di una Storia del cinema greco pubblicata nel 2012 in inglese), a impedire la rinascita culturale di una destra che d’altra parte aveva procurato degli evidenti disastri. Alla scomparsa della Mercouri (1994), malgrado i suoi sforzi e la stima internazionale che l’aveva circondata, il cinema greco sembrava finito in un’impasse epocale, con una platea devota quasi esclusivamente ai blockbuster statunitensi e all’intrattenimento televisivo. I rivolgi- menti politici, l’ondata di euforia e sprechi in occasione delle Olim- piadi del 2004 e la successiva bancarotta che portò il Paese sull’orlo

latest - focus Grecia della guerra civile non hanno certo aiutato a risollevare la situazione. Eppure, fra tanto sconquasso il cinema greco ha trovato modo di sopravvivere.

Oggi il pallino è ancora nelle mani del Centro di Cinema Greco, fi- nanziato regolarmente da fondi pubblici sotto la supervisione del ministro della Cultura e dello Sport. Il suo compito è quello di tu- telare e valorizzare la produzione ellenica, promuovere il cinema d’arte dentro e fuori i confini, e attrarre sul territorio produzioni au- diovisive straniere. E pur nella morsa delle difficoltà di una nazione ancora tutta dentro la crisi economica, è riuscito a raggiungere buoni risultati. Nel 2011 il numero di lungometraggi prodotti era di 20, nel 2017 sono stati 38, più 47 documentari. I film coprodotti sono una decina, finanziati dall’Ellade in modo maggioritario o minoritario, a guadagnarsi in ogni caso una piccola bandiera a strisce bianche e azzurre; per dirne due del 2018, The Harvesters di Etienne Kallos, pre- miato alla Festa di Roma, che è ambientato in Sudafrica, e il nostro Troppa grazia di Zanasi. Che non siano sforzi isolati lo testimonia la consegna nel dicembre 2018 del Premio Eurimages Co-Produzione a due produttori greci, Konstantinos Kontovrakis e Giorgos Karvanas, della ateniese Heretic: la prima volta che un’azienda ellenica ottiene il riconoscimento.

La bandiera che sventola più in alto è comunque quella delle loca- tion. La luce del Mediterraneo, la bellezza delle isole e la quantità di vestigia storiche sono elementi che possiede solo la Grecia (ol- tre alle sue antiche colonie, come la Sicilia), in grado di valorizzare molti tipi di storie e di produzioni. Titoli come I due volti di gennaio (The Two Faces of January, 2014), il terzo capitolo della saga di Lin- klater/Delpy/Hawke (id., 2013), film storici come Il mandolino del Capitano Corelli (Captain Corelli’s Mandolin, 2001) o thriller internazionali come The Bourne Identity (id., 2002) e soprat- tutto un successone planetario come Mamma mia! (id., 2008; ma non il seguito, girato in Croazia) hanno contribuito e continuano a contribuire al riconoscimento della Grecia come terra di cinema. Il National Centre of Audiovisual Media & Communication ha di re- cente innalzato dal 25 al 35% la percentuale di rimborso delle spese effettuate sui set allestiti nella terra di Omero, a patto di spendere al- meno 100.000 euro per ciascun lungometraggio, anche documenta- rio, e 60.000 nel caso di digital games; attento allo sviluppo odierno del racconto audiovisivo, il Centro ha deciso di aiutare anche le serie televisive, con un meccanismo più flessibile che permette finanzia- menti a partire da 30.000 euro per episodio, attraendo fra gli altri la produzione dell’atteso La tamburina (The Little Drummer Girl), sei episodi diretti da Park Chan-Wook, e le tre stagioni di I Durrell – La mia famiglia e altri animali (The Durrells), scritta dall’inglese Simon Nye e ambientata a Corfù. All’internazionalizzazione della Grecia come set parahollywoodia- no, corrisponde coerentemente la decisa preferenza che il pubblico continua a tributare in sala ai prodotti americani. Tra i primi dieci film più visti in Grecia nel 2018 ci sono solo due film ellenici: al se- sto posto, il comico Aigaio SOS di Pierros Andrakakos, che è poi una parodia del cinema bellico statunitense (si racconta di un’isoletta emersa nell’Egeo in seguito a un terremoto e subito contesa tra Gre- cia e Turchia), e al decimo The Bachelor 2, commedia-thriller stile Una notte da leoni, seguito di un blockbuster locale del 2016, al quale è poi anche seguito un n.3 (uscito nel dicembre 2018 e già al quarto posto dei film greci dell’anno). Il successivo film greco in classifica generale, molto più in là, è ancora una commedia, 1968 (id.), sulla vittoria della Coppa Europea da parte della A.E.K., famosa squadra

80/81 greca di pallacanestro; il regista è Tassos Boulmetis, tra i rarissimi che abbiano sfondato i confini della distribuzione nazionale, con quel Un tocco di zenzero (Politiki kouzina, 2003) arrivato anche da noi.

Gli ingressi per abitanti sono comunque notevoli: sia 2017 sia 2018 si sono attestati su circa 10 milioni di biglietti venduti, un numero di poco inferiore all’intera popolazione della Grecia. Come se ogni greco, inclu- si lattanti e centenari, sia andato al cinema almeno una volta. I distribu- tori si lamentano di un numero di titoli che considerano eccessivo (388 nel 2017, con trend in aumento, secondo un’inchiesta di Cineuropa) ma la stessa distribuzione ha caratteristiche molto particolari: dei circa 500 schermi attualmente in funzione, quasi la metà sono ad Atene, che assorbe da sola il 60% degli ingressi. La differenza tra città e provincia è enorme, e lo è anche fra le modalità di proiezione; la variabile più ap- pariscente è quella delle arene all’aperto, la forma di proiezione estiva più remunerativa, però suscettibile di ogni possibile cambiamento cli- matico: un’estate più o meno piovosa influisce drasticamente sul totale di un intero anno.

Anche il cinema d’autore è, per molti versi, soggetto a un’internaziona- lizzazione forzata. Il terreno migliore di coltura per i nuovi talenti rima- ne infatti quello dei festival. Qualche nome: il navigato Vassilis Mazo- menos, il cipriota Yannis Economides, Panos H. Koutras (formatosi alla London International Film School), Alexandros Arvanas (Miss Violence, Leone d’argento a Venezia 2013, e il Dark Crimes del 2016 con Jim Car- rey), la Athina Rachel Tsangari di Attenberg (id., 2010) e Chevalier (id., 2015). Ma il nome simbolo della cinematografica greca degli ultimissimi anni è quello di , la cui parabola è indicativa dei tempi e pare esserlo anche nelle prospettive. Allevato alla scuola cinemato- grafica Stavrakos, dopo essersi fatto le ossa a dirigere clip e spot e aver diretto un film in co-regia, il giovane Lanthimos esordisce nel lungo- metraggio con Kinetta (1995), opera indipendentissima e laconica sulle maschere sociali e sulla funzione stessa del cinema, che non raccoglie nulla dalle platee indigene ma gli conquista una solida fama nell’am-

latest - focus Grecia biente dei festival internazionali. Il destino di Lanthimos è da subito quello dell’esule, reso possibile grazie a un altro cineasta fuoriuscito, la produttrice Athina Rachel Tsangari stabilitasi negli USA, che dopo la vittoria di Kinodontas (id., 2009) di Lanthimos nella sezione Un Certain Regard di Cannes gli tornerà a finanziare Alps (id., 2011), e alla quale Lan- thimos restituirà il favore producendole e interpretando Attenberg. L’ul- tima evoluzione di Lanthimos è, coerentemente, internazionale, quasi hollywoodiana: in Lobster (id., 2015), Il sacrificio del cervo sacro (The kil- ling of the sacred deer, 2017) e La favorita (The Favourite, 2018), tornano i temi ricorrenti di Lanthimos e del suo sceneggiatore di fiducia Efthimis Filippou, cioè le maschere e i rituali sociali incrociati con riflessioni su temi classicamente ellenici (l’essenza della democrazia, le relazioni all’interno della polis, la possibilità di ribellione dell’individuo alla cieca volontà di divinità imperscrutabili, l’ombra ineffabile del mito e del rito), però astutamente ritinteggiati con gli stilemi più attraen- ti del video commerciale e la presenza rassicurante di divi globali e location lussuose. La modalità del cineasta esule – o apolide, o internazionalizzato che dir si voglia – è di tutto rispetto. Con origini, presupposti e obiettivi diversi è quello che continua a fare il vecchio Costa Gavras, ormai naturalizzato francese, ma sempre autore di film interessanti e riusciti come l’ultimo, Le capital (2012), un aguzzo j’accuse al capitalismo finanziario. È una so- luzione analoga a quella che anche in Italia registi come Tornatore, Sal- vatores e Virzì hanno intrapreso, cercando più un’alternativa produtti- vo-distributiva che veri stimoli di rinnovamento; una strategia ancora più giustificabile per una cinematografia come quella greca che, oltre ad essere minacciata come tutte dalle nuove multinazionali del cinema online, è marginalizzata dalle sue stesse tradizioni forti e da una lingua anche graficamente diversa dalle altre. L’espatrio, la ricerca di compagni stranieri, è una soluzione dunque comprensibile, quasi obbligata. Ma non per questo si deve rinunciare a sperare che il cinema greco torni a imporsi prima di tutto entro i propri confini e solo successivamente, riconquistata una personalità incon- fondibile e una riconoscibilità forte, nelle sale di tutto il mondo. Che, passate le crisi e le minacce, evitati gli allettamenti e le sirene straniere, riesca un giorno a tornare ad Itaca.

82/83 LA CRISI IMMAGINARIA

DI YANNIS ZOUMBOULAKIS

Se voi chiedeste a qualsiasi esponente del cinema greco, vi direbbe che attraversa, almeno dagli ultimi dieci anni, il peggior periodo del- la sua storia. A una prima impressione non avrebbe torto. I contribu- ti statali sono cessati da tempo e l’organismo pubblico competente per il finanziamento (il Centro per la Cinematografia Ellenica) ve- geta oscillando tra corruzione e condotta integerrima. Molti punti della Legge per la cinematografia, che avrebbero potuto in qualche modo sostenere la situazione economica, non sono mai entrati in vigore per poter essere oggi un valido strumento (per esempio, la misura dell’1,5 % delle entrate lorde dei canali televisivi che in teoria andrebbe versata al cinema). La crisi ha toccato tutto. Come poteva sfuggirle il cinema? Nonostante ciò, da alcuni anni la situazione in Grecia è la seguen- te. Da una parte, ci sono alcune grandi produzioni che vanno per la maggiore nel Paese, ma sono molto poco conosciute all’estero. Dall’altra, ci sono film che attirano l’interesse all’estero, principal- mente nei festival, riscuotendo però una minima risonanza all’inter- no dei confini. Parliamo del primo gruppo: nel dicembre del 2015 è stato distribuito nel grande circuito commerciale Ouzeri Tsitsanis (Cloudy Sunday) del regista Manousos Manousakis, il quale, dopo 25 anni di vita televisiva, è tornato al cinema. L’opera si basa sul best seller di Giorgos Skampardonis e narra delle persecuzioni degli ebrei a Salonicco durante l’occupazione tedesca.

latest - focus Grecia Filo diretto da Atene Il punto di vista critico.

Nello stesso anno, Christoforos Papakaliatis, una celeberrima star televisiva, ha proposto al pubblico Enas allos Kosmos (Worlds apart), divenuto il maggior successo al botteghino nella stagione 2015-2016. Il grande trionfo si deve al fatto che Papakaliatis ha ingag- giato nel cast l’attore americano J. K. Simmons, fresco vincitore del premio Oscar come Miglior Attore Non Protagonista per il film Whi- plash. Papakaliatis, precedentemente al film Enas allos Kosmos, aveva messo in scena l’opera An (What if…), la quale si è rivelata un altro successo commerciale in Grecia. Nella stessa stagione un terzo film greco di grandi aspettative è stato Notias (South Wind) di Tassos Boulmetis, il regista di Politiki kou- zina (Un tocco di zenzero), che detiene il primato fra i maggiori in- cassi di sempre nel nostro Paese. Nella stagione 2017-2018 lo scenario si è ripetuto con gli enormi suc- cessi dei film To Teleftaio Simeioma (The Last Note) di Pantelis Voulgaris, che racconta l’esecuzione sommaria di cittadini greci da parte dei tedeschi durante l’occupazione nazista. L’altro film è Kazan- tzakis, dell’altrettanto noto veterano Yannis Smaragdis; biografia del- lo scrittore Nikos Kazantzakis, è stato detestato dai critici ma adorato dagli spettatori. Nel 2009 Smaragdis aveva presentato con enorme successo El Greco e, qualche anno dopo, la pellicola O Theos agapa- ei to xaviari (God loves caviar), con un cast internazionale, tra cui si annoverano Sebastian Koch e Catherine Deneuve; stesso grande successo commerciale del film precedente. Quanto a Voulgaris, tutti i suoi film, dal 2004 in poi, hanno avuto un exploit sul territorio greco: Nyfes (Brides) (dove Martin Scorsese ha curato la produzione), Psyhi vathia (A soul so deep) e Mikra Anglia (Little England).

84/85 Tutti i film sopra citati restano sconosciuti all’estero. Al contrario, tut- ta la cinematografia greca d’avanguardia, che viene accolta con gelida indifferenza dagli spettatori locali, diventa “trendy” fuori dai confini, specialmente attraverso le proiezioni nei festival. L’interesse è crescen- te, ma siamo sicuri che non sia un interesse virtuale? Ovvero: questi film instaurano veramente un contatto con lo spettatore oppure è un cinema che si rivolge semplicemente alla critica e all’élite degli esperti? Durante la Mostra di Venezia nel 2013 ho parlato con vari giornalisti da tutto il mondo e ho notato che erano due le questioni sul cinema greco che attiravano il loro interesse. Oltre alla solita domanda che mi pongo- no da anni, ossia: “Come vanno le cose in Grecia?”, molti mi chiedevano se Miss Violence di Alexandros Avranas fosse un buon film. Quesito che mi era stato posto nel 2011 a proposito di Alpis (Alps) di Yorgos Lanthi- mos. Registi come Lanthimos, Avranas, Athina Rachel Tsangari (Atten- berg, Chevalier) e Filippos Tsitos (Akadimia Platonos) fanno parte di una generazione di “brand names”, sono celebrità nei festival inter- nazionali e soprattutto i primi greci capaci di raggiungere simili risul- tati dall’epoca di Michael Cacoyannis, Angelopoulos e Costa-Gavras, il quale ultimo, peraltro, non ha mai avuto legami con il cinema greco. Yorgos Lanthimos, che dal 2011 segue una carriera all’estero e non ha rapporti con il cinema greco, sicuramente si trova un gradino al di so- pra dei suoi connazionali. Quest’ultimo ha conseguito la più grande onorificenza mai ottenuta da un regista greco dall’epoca di Ifigenia di Michael Cacoyannis, vale a dire la candidatura all’Oscar come Miglior Film Straniero per Kynodontas, nel 2009, e un’altra candidatura per la sceneggiatura del film The Lobster, di produzione internazionale. Hanno ricevuto un lancio ai festival di grande o medio livello anche le pellicole Strella e Xenia (Pazza idea) di Panos H. Koutras, I psyhi sto stoma (Soul Kicking) e To mikro psari (Stratos) di Yannis Economi- des, Xora proelefsis (Homeland) di Syllas Tzoumerkas; di quest’ulti- mo il film To thàvma tis thàlassas ton Sargassòn (The miracle of the Sargasso Sea) è stato proiettato nella sezione Panorama del Festival di Berlino nel 2009. Altri film sono Wasted Youth di Argyris Papadimitro- poulos e di Jan Vogel, Mesa sto dasos (In the woods) di Angelos Fran- tzis, L di Babis Makridis, Luton di Michalis Konstantatos, September di Penny Panayotopoulou e O gios tis Sofìas (Son of Sofia) di Elina Psikou, premiato al Tribeca, ma la cui distribuzione commerciale in Grecia è passata sotto silenzio. I successi internazionali hanno gettato le fondamenta per la creazione di una nuova tendenza nel cinema greco, la quale è stata battezzata, da un visionario reporter cinematografico inglese, “Weird Greek Cinema”. Questa definizione accattivante (che per lo più si deve alle analogie estetiche tra queste pellicole) disturba i registi che fanno parte del gruppo. Non piace la parola “weird”. Athina Rachel Tsangari ha pub-

latest - focus Grecia blicamente espresso il suo dissenso. Lo stesso ha fatto anche Alexan- dros Avranas. Ironia della sorte, fra tutti i Paesi, la cinematografia greca ha ricevuto il maggior aiuto... dalla Germania. Dieter Kosslick, ex direttore della Berlinale, ebbe a dichiarare al giornale “To Vima”: “L’alto profilo in- ternazionale delle recenti pellicole greche esibisce il tesoro della crea- zione e il talento di una nuova generazione di cineasti. Ho individuato l’inclinazione di questa nuova tendenza nel maneggiare tematiche che rispecchiano la società reale e la crisi economica secondo modalità arti- sticamente convincenti. Vogliamo sostenere il nuovo cinema greco con nuove e facili soluzioni nel mercato delle coproduzioni”. Fino a pochi anni fa, oltre alle continue lamentele sulle brutte sceneg- giature, un altro difetto del cinema greco è stata la mancanza di una pro- duzione idonea. Mancava (oppure non dava segni apprezzabili della sua presenza) il produttore nel vero significato del termine, ciò che è stato alcuni decenni fa Giorgos Papalios (O Thiasos - La recita, Ta hromata tis iridos - The Colors of Iris). Tutto questo avveniva fino a poco tempo fa. Da alcuni anni, infatti, esiste la Faliro House, una casa di produzione che ha sostenuto con i fatti, e col denaro, una gran parte di questa nuova ondata greca. Alla testa c’è Christos Konstantakopoulos, figlio dell’ar- matore Vassilis Konstantakopoulos. Christos è nato ad Atene nel 1974 ed è il più giovane di tre fratelli. Il cinema è la sua passione e alla sua fil- mografia appartengono non solo film greci come Miss Violence, Atten- berg, Proti ili (Raw material), L, To gala, Artherapy e Epikindynes mageirikes (Dangerous Cooking), ma anche stranieri come Only lo- vers left alive di Jim Jarmusch e Before Midnight di . E non è un caso che quest’ultimo film sia stato girato nella regione della Messenia e presso Costa Navarino, un villaggio turistico costruito dalla famiglia Konstantakopoulos.

(traduzione di Evangelia Nicolatou)

86/87 cinema espanso

BIOGRAFIA TESSILE DI UNA DIVA di HILARY TISCIONE

La vita couture di Rosanna Schiaffino in mostra a Palazzo Morando a Milano fino a settembre, esposte suggestive mise di un’attrice capace di essere trasformista nello stile, estetico e personale.

Rafia e organza. Gianfranco Ferré giocava con i contrasti: un materiale Non solo bella, quindi, ma anche dotata di grande gusto estetico; orien- grezzo vicino a uno quasi impalpabile, così vestiva – nella primavera del tata al cambiamento. “Bellezza a parte, la sua qualità migliore è l’intel- 1993 – Rosanna Schiaffino con un completo dal divergente magnetismo ligenza”, aveva detto Tony Curtis, suo partner in Arrivederci, Baby!, de- tribale, lei che dei contrasti, senza dubbio, era un’intenditrice. scrivendola come “un tipo eccezionale”. E dell’eccezionalità, l’attrice, A Milano, fino al 29 settembre 2019, rivive, a Palazzo Morando, in una ne ha fatto un’autentica virtù irrinunciabile. mostra a cura di Enrica Morini e Ilaria De Palma, Rosanna Schiaffino e Che fosse vestita in crêpe chiffon color pesca, avvolta da una ventata pop la moda. Abiti da star, l’evoluzione di stile della diva, con alcuni tra i più di applicazioni iridescenti, cinta in un abito lungo con motivo floreale in importanti capi appartenuti all’attrice. Suggestive creazioni che segna- twill di seta, oppure fruitrice di una sobria raffinatezza firmata Federico no la sua biografia tessile nel periodo che va dagli Anni ‘50 agli Anni ’90, Fourquet – allievo di Balenciaga, che la vestì anche il giorno delle nozze tempo in cui ha valicato un’ondata di indimenticabile metamorfosi: da con Alfredo Bini, pensando per lei un completo d’ottoman avorio dal ta- modella ad attrice, fino a simbolizzare l’affascinante signora borghese, glio perfetto, Rosanna ampliava la sua carica esplorativa senza mai scivo- moglie di un noto industriale e sovrana del jet set. lare nel minimo detrimento. Anche quando, negli Anni ‘70, si distaccava Ma prima, quando Rosanna era una stella dalla sfacciata sensualità, che dallo stile bon ton per immergersi nell’epoca del disinibito gipsy. Ringio- incarnava il canone estetico della maggiorata mediterranea, detentri- vanita, rinnovata ancora una volta. Al passo con la moda, ma soprattutto ce di quella bellezza tipicamente italiana che la glorificava come erede con la propria personalità, dichiarava un gusto hippy e i suoi tratti d’im- di Gina Lollobrigida e Sofia Loren, era già un’esploratrice del tempo; pronta gitana. Libera di sciogliere i capelli, un po’ selvaggi come piaceva- quando s’imponeva nei concorsi di bellezza, dove il cinema distillava no a lei, sperimentava uno stile opposto a quello degli anni antecedenti. corpi promettenti, Rosanna era scomoda, poi – a cavallo tra la fine degli A mano a mano che la sua carriera d’attrice andava esaurendosi, la Anni ‘50 e l’inizio degli Anni ’60 – nei panni della formosa ragazza dalla Schiaffino fece un’altra scelta di elevata eleganza decidendo di chiudere prorompente carica erotica, incarna il conflitto fra un modello di donna il suo sodalizio con il grande schermo, per non correre il rischio d’in- che non le appartiene più e uno nuovo, più androgino, dalla fisicità sta- cappare in lavori squalificanti. “Non è vero che ho lasciato il cinema; è il tuaria, e così si rinnova. Imperatrice del prima e del dopo. In quel perio- cinema che ha lasciato me”, dichiarava nel 1977. do transiente, s’impone una costellazione di paillettes verdi, ricamate Straordinaria anche nel congedo dallo sfavillio del set, laddove da molte in un miniabito da sera, che quasi funge da amuleto, con etichetta “4 dive era avvertito come un declino insostenibile: per lei era solo l’ini- spilli”. Poi, nelle mani di Germana Marucelli – l’avanguardia dell’Italian zio di un nuovo cammino in cui si affacciavano le ambiziose creazio- Style – e Aurora Battilocchi, la sarta che vestiva l’aristocrazia romana, ni di Yves Saint Laurent. Il couturier francese la vestiva con il famoso Rosanna, muta in una diva elegante e signorile. Mannequin del periodo smoking proposto al femminile, tele di cotone stampate in colorate sin- e modello di trasformazione, inizia a dirigere l’estetica del tempo. fonie floreali, ma anche con caftani ispirati alla tradizione nordafricana.

latest - cinema espanso Questo non era l’ennesimo rinnovamento d’immagine della star, era piuttosto una radicale evoluzione di vita. Schiaffino, più avanti, ormai distante dalla Dolce Vita romana, entra a far parte dell’élite della borghesia milanese: veste i panni della Signora Falck – secondo matrimonio, è mamma e moglie senza rimpianti e, in questo tempo domestico, il suo guardaroba fa rotta sui capi di Valenti- no, che tiene alta la bandiera dell’haute couture. È così che la celebre icona, in una perfetta congregazione di esistenza e costumi, esperienze e vesti, appaiava i suoi giorni ad un magistrale tri- pudio di pois neri su stampe di raso bianco, spalline imbottite, scolli a barchetta e drappeggi di seta fucsia raccolti in vita. Fasciata in fodere di raso con ricami di ciniglia e ancora ritagli di velluto nero.

88/89 latest - cinema espanso A MILANO NON PUÒ FARE CALDO… di ELISA B. PASINO

Una mostra a Palazzo Morando ha ripercorso la carriera cinematografica del capoluogo lombardo, da Totò, Peppino e la malafemmina a Io sono l’amore.

che fosse trasferita ad Arese) e il Pirellone di Giò Ponti in costruzione (Nata di marzo, Antonio Pietrangeli, 1958). E c’è anche un altro gratta- Torrida, svuotata, accecante. Avvolta nella nebbia, inquietante, senz’a- cielo, la Torre Galfa, che per Ugo Tognazzi ne La vita agra (Carlo Lizza- nima. Luci e ombre: quelle della Milano d’agosto, le prime, e della Mi- ni, 1964) è il Torracchione da far saltare in aria. Ma proprio il luogo che lano invernale, fredda, industriale, in cui è più facile lasciar partire un catalizza il suo disprezzo è quello in cui Tognazzi troverà un impiego colpo di pistola senza essere visti. come pubblicitario. Nel capoluogo lombardo sono passati tutti i generi cinematografici e Milano al cinema è un continuo déjà-vu: il decollo sulla scopa da una li abbiamo rivisti nella recente mostra “Milano e il cinema” a Palazzo piazza del Duomo affollata di spazzini verso il paese immaginario tan- Morando, nel capoluogo lombardo. Le troupe e gli attori e i ciak sono to desiderato in Miracolo a Milano di Vittorio De Sica (1951). Si ricono- usciti dai set e si sono riversati nelle strade e nelle piazze, lungo i Navigli scono le insegne luminose su Palazzo Carminati e c’è chi ricorda, negli e sui tetti della città. E sulle terrazze del Duomo, come nella scena con Anni ‘60, Ernesto Calindri che, seduto a un tavolino proprio lì davanti e Annie Girardot e Renato Salvatori in Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchi- in mezzo al traffico, sorseggia un Cynar per difendersi dal “logorio della no Visconti, che valse un David al produttore Goffredo Lombardo e che vita moderna”. Le insegne furono smantellate definitivamente nel 1999. vinse il Premio della Giuria a Venezia. Anche se a metà della produzione E, a proposito di pubblicità, Milano coltiva altri due filoni cinematogra- la pellicola ebbe qualche inciampo per le riprese all’Idroscalo, stoppate fici. Uno è quello delle réclame, appunto, con il Carosello, e l’altro è quel- dalla Democrazia Cristiana perché marchiate come immorali. lo industriale, che ha come protagoniste aziende come Campari, Pirelli, Milano al cinema è per tutti Totò, Peppino e la malafemmina (1956), in Breda. Insomma, il cinema a Milano penetra là dove è necessario, ovun- cui il “ghisa” chiede al Principe se lo “ha ciapà per un tedesco”, in quella que è utilizzabile, parla tutti i linguaggi possibili. piazza Duomo assolata che chi arriva dal Sud d’Italia non può credere Negli Anni ’70 Milano matura la vena “poliziottesca”, anche se tutto ini- possa essere invasa davvero dai raggi del sole. Ed è proprio all’inizio del zia una decina d’anni prima con la rapina in via Osoppo: 27 febbraio 1958. film l’ingresso del treno in Stazione Centrale che porta i fratelli Caponi Un titolo su tutti Milano calibro 9, diretto nel 1972 da Fernando Di Leo con (Totò e Peppino De Filippo) a Milano, punto di arrivo in città, ma so- Barbara Bouchet, Mario Adorf, Gastone Moschin e Philippe Leroy e tratto prattutto di partenza. Quella di una nuova vita, che inizia nel momen- dall’omonima raccolta di racconti noir di Giorgio Scerbanenco. to in cui si scende dal vagone sotto l’ampia tettoia in ferro e vetro dove Negli Anni ‘80 Milano cambia – di nuovo – aspetto, diventa “da bere” continuano a incrociarsi le vite di sconosciuti. O luogo in cui ci si perde, e si diffondono i tormentoni del Derby Club, le commedie di Adriano si vaga per un giorno e una notte, come accade a Marta, Mariangela Me- Celentano e Renato Pozzetto (Lui è peggio di me dell’85), il terrunciello lato, nella pellicola del 1980 di Giuseppe Bertolucci, Oggetti smarriti. Diego Abatantuono e il Dogui, il cumenda Guido Nicheli. E poi si tor- Milano e l’industria cinematografica hanno una lunga storia, anche se na nelle periferie, non più per filmare il disagio e le case popolari, bensì siamo soliti legare piuttosto Roma e Cinecittà alla settima arte. Milano le riqualificazioni: si respira un’atmosfera nuova, quasi romantica, tra- inizia presto a innamorarsi del cinema, come nelle proiezioni in nuce dotta nelle pedalate lungo il Naviglio in Chiedimi se sono felice (2000), del 1896: i tuffi ai Bagni Diana in Porta Venezia, filmati da Giuseppe Fi- con Aldo, Giovanni e Giacomo. E questo film è precursore nell’utilizzo lippi per i fratelli Lumière, inseriti poi al numero 277 del loro Catalogo. dell’area di via Mecenate in cui poi si stabiliranno gli studi Rai. E pochi anni dopo ecco uno spazio dedicato alle riprese cinematografi- Il disagio torna di nuovo ad aleggiare su Milano con Fame chimica del che: gli stabilimenti a Turro, costruiti nel 1909 da Luca Comerio. E, qui, 2004 ed è palpabile nel decadimento dell’aristocrazia industriale che ha Roma e Milano si scambiano dei pezzi, s’intrecciano: la copertura del te- il set a Villa Necchi Campiglio per Io sono l’amore di Luca Guadagnino atro di Turro (80 metri di lunghezza per 25 di larghezza, il più attrezzato (2009). E ne Il mio domani (2011) ci sono i cantieri di Porta Nuova. Ma al mondo all’epoca) era la tettoia in vetro della Stazione di Trastevere. Milano nel frattempo è di nuovo cambiata. È già pronta a mostrare il suo Di nuovo una stazione. Di nuovo delle partenze, dei nuovi inizi. prossimo volto. Milano, città del commercio e in cui si arriva per trovare fortuna o alme- no un impiego che permetta di sopravvivere, è rappresentata dai luoghi di lavoro, nelle pellicole. Del 1939 è I grandi magazzini di Mario Came- rini, girato alla Rinascente. E ci sono l’Alfa Romeo al Portello (prima

90/91 CASUALITÀ E IMPEGNO: GIORGIO ARLORIO SI RACCONTA

di CRISTIANA PATERNÒ

Nel libro pubblicato da Edizioni Bianco e Nero, Caterina Taricano ha raccolto le memorie del celebre sceneggiatore torinese, classe 1929, a lungo docente al Centro Sperimentale di Cinematografia. Autore eclettico che ha firmato opere d’impegno come Queimada e film di genere come La patata bollente.

Viaggi non organizzati: titolo assai ben scelto per l’autobiografia di Gior- gio Arlorio, raccolta dalla saggista Caterina Taricano e pubblicata da “Bianco e Nero” nella collana dei quaderni della Cineteca Nazionale (182 pp. con ricco corredo di foto e una filmografia ragionata, € 9,90) in un percorso di dialogo e confronto che si legge tutto d’un fiato, an- che per il linguaggio diretto, direi colloquiale, e per le trame, avvincenti come in un romanzo. Lo sceneggiatore torinese, classe 1929, si racconta qui tessendo un elogio della casualità, del caos e della curiosità che han- no condotto da sempre il suo lavoro e la sua vita: un non-metodo che ha molto da insegnare alle nuove generazioni. E infatti il nostro vanta una lunga attività di docenza al Centro Sperimentale di Cinematografia,

latest - cinema espanso come testimonia l’affettuosa nota introduttiva affidata a Felice Lauda- Sul potere della casualità, come si è detto, Arlorio insiste molto, sia nella dio, in cui si sottolinea la “vocazione di maestro” di Arlorio (tra i suoi professione che nella vita privata. L’incontro con la futura moglie Luda, allievi anche Francesco Bruni e Ivan Cotroneo). Ed ecco la lezione dello ad esempio, detta uno dei capitoli più avvincenti del libro. Non l’avreb- scrittore, grande eclettico, che ha spaziato dal cinema d’impegno civile be mai conosciuta se non fosse andato a Mosca per girare un documen- con opere come Queimada (1969) e Ogro (1979) di Gillo Pontecorvo al tario. La storia del loro incontro e soprattutto del matrimonio che era cinema di genere (Crimen di Mario Camerini 1960, Zorro di Duccio Tes- stato bloccato dalla burocrazia sovietica e fu sbloccato dall’imbattersi sari del 1975, La patata bollente di Steno, 1979). Senza contare le incursio- in un ufficio matrimoniale in cui i due entrarono per una serie di coinci- ni nel documentario (Casorati un pittore a Torino e Il paese dei lavandai, denze, costituisce di per sé una piccola sceneggiatura in nuce. entrambi del 1955) e l’importante esperienza televisiva di Specchio segre- L’impegno politico, ovviamente, caratterizza tutta la carriera di Arlorio to, il mitico programma in cui Nanni Loy metteva in farsa la vita quoti- come dei cineasti della sua generazione. Quel cinema non sarebbe esi- diana degli italiani, andato avanti dal ’64 al ’77. O ancora quella successi- stito senza l’appassionata adesione di registi e sceneggiatori agli ideali va con Chi l’ha visto? a cui collaborò negli Anni ’90. del Comunismo e del Socialismo. Lotte, discussioni e litigi sono qui Mai da solo: Arlorio nelle sue memorie esalta il lavoro di squadra, le all’ordine del giorno. Solinas e Scarpelli non si parlano più per 15 anni collaborazioni e le amicizie cinematografiche, una su tutte quella con a causa di una battuta di Age: Solinas era arrivato in ritardo a una riu- Franco Solinas, complice di molte avventure tra cui proprio quella di nione all’ANAC e Age disse: “Lo sappiamo che sei andato da Alicata a Queimada, a cui dedica un capitolo in cui chiarisce in special modo il farti spiegare cosa dire”. Alicata era il responsabile della cultura del Pci, percorso ideologico seguito nella costruzione del film. Con Solinas, rac- Scarpelli a qual punto diede ragione ad Age e la lite che ne scaturì ebbe conta Arlorio, prevaleva il piacere di stare insieme, le letture di giornali, come conseguenza un lungo gelo tra i due. riviste, ritagli e persino dell’Enciclopedia Britannica, punto di partenza È un interessante spunto di riflessione il capitolo in cui Arlorio indica i per la documentazione di questa opera, in particolare per approfondire film contemporanei che trova maggiormente efficaci. Cita in particola- i rapporti tra l’impero coloniale spagnolo e la nascita del capitalismo. re due titoli italiani niente affatto scontati: Le ultime cose di Irene Dioni- Arlorio insiste molto sullo scambio continuo di battute e idee tra sce- sio e L’intrusa di Leonardo Di Costanzo, due opere che attingono all’os- neggiatori e autori: le battute, dice, non si rubano perché i pensieri e le servazione della realtà e all’esperienza del documentario. Tutt’altro che trovate passano da una testa all’altra in continuo scambio creativo e esaurito in un’autocelebrazione museale, il novantenne Arlorio intuisce inventivo. Massimo esempio di questo melting pot dei cervelli è la tavo- le nuove forme in cui il cinema italiano prosegue il suo percorso di com- lata da Otello, un mondo scomparso a cui rende omaggio anche l’ulti- prensione e decodificazione della realtà. mo film di Paolo Virzì Notti magiche, tra nostalgia, scherzo e una punta d’invidia. È nel coté conviviale che la grande generazione del cinema ita- liano stimolava la creatività e lavorava senza neppure darlo a vedere: in trattoria oppure a Fregene nelle lunghe estati passate insieme nelle case del Villaggio dei Pescatori dove tutti avevano una dimora estiva e dove a turno si organizzavano feste e party.

92/93 geografie

IL TOUR GENIALE

di NICOLE BIANCHI

Dopo il successo letterario, televisivo e cinematografico deL’amica geniale, la città di Napoli sta proponendo dei bibliobus bilingui nelle zone in cui il romanzo e la serie sono ambientati, accompagnati da letture.

Un romanzo, un audiovisivo, un’attrazione turistica: L’amica geniale, dallo scritto di Elena Ferrante alla serie di Saverio Costanzo (conferma- ta per la seconda stagione), fino alla città di Napoli, che da qualche set- timana si racconta anche attraverso i luoghi in cui è ambientata la storia “di carta” ed è stata girata la serie tv. Napoli città geniale è il titolo di un tour letterario dedicato: un bibliobus rosso e turistico, con il romanzo tra le mani della guida bilingue (italia- no e inglese), scandisce un itinerario apposta disegnato, che ripercorre la quadrilogia attraversando la Napoli Orientale, uno stradone di edifici anonimi - periferia negli Anni ’50, periferia negli anni d’oggi. Qui nasce l’amicizia tra Lenù e Lila, le protagoniste, tra i banchi del 45° Circolo di- dattico, le scuole elementari del rione Luzzatti: “Lila comparve per la prima volta nella mia vita in prima elementare, mi impressionò subi- to…”, recita Lenù nelle pagine della Ferrante. Il percorso letterario, messo a punto da esperti dell’opera, parte da Lar- go Castello e dura circa tre ore: tocca principalmente Rione Luttazzi,

latest - geografie Piazza Garibaldi, Via Caracciolo e Piazza dei Martiri, che corrispondono a circa 20mila metri quadrati di set costruiti in oltre 100 giorni di lavorazio- ne, 14 palazzine, 5 interni, una chiesa e un tunnel. La quotidianità di quest’area popolare di Napoli diventa affascinante, chi ci vive si stupisce: i turisti sembrano scrutare nei visi degli autoctoni i personaggi della Ferrante e di Costanzo. Il bus si infila nel tunnel detto “Tre bocche”, ripercorrendo la strada che fanno le due amiche quando, nella storia, vogliono andare a vedere il mare. È un’esperienza emozionale ed emozionante, che a molti fa rivi- vere gli anni della propria infanzia o di quella delle proprie madri. C’è poi la Napoli del centro storico, intrisa di Storia e di palazzi antichi, come dalle parti in cui “si apre via Mezzocannone, dice che odora di frit- tura e d’inchiostro”, recita Ferrante: ancora oggi, qui si alternano librerie e friggitorie, le pagine del romanzo si sovrappongono alla città contem- poranea, come se il tempo si fosse fermato. L’iniziativa culturale nasce dalla collaborazione tra la libreria del Vome- ro “Iocisto” e City Sightseeing, un primo progetto apripista del settore, non solo dedicato a turisti stranieri desiderosi di scoprire Napoli, ma anche per visitatori italiani e, naturalmente, napoletani: una nuova pro- posta per immergersi nelle atmosfere, nei colori, nel fascino – odierno e senza tempo - della città, in particolare grazie al titolo de L’amica geniale, al centro dell’immaginario letterario, finzionale e cinematografico di questa “neapolitan novel”.

94/95 compleanni

CONTINUIAMO A CHIAMARLO TERENCE HILL

di ROCCO MOCCAGATTA

latest - compleanni Gli 80 anni di Mario Girotti, che anche i bambini di oggi conoscono con il famoso pseudonimo. Dalla coppia di fatto con Bud Spencer alla bicicletta di Don Matteo.

Ci avete mai pensato? Per sentire la vera voce di Terence Hill su grande La coppia è restata insieme sempre, anche quando Bud, che voleva fare schermo abbiamo dovuto aspettare fino al 2018 con il suo ultimo film (an- più film possibile, si concedeva qualche scappatella con Giuliano Gem- che da regista) Il mio nome è Thomas, omaggio a Bud, al western, a un’idea ma o Terence provava la carriera internazionale, addirittura al fianco di di cinema e di fede molto personale. In tv invece la sentiamo ormai da un Gene Hackman e Catherine Deneuve nella Legione straniera de La ban- bel po’, dal 2000, dal primo episodio delle indagini per fiction del suo pre- dera- Marcia o muori (1977). te-detective dell’anima, Don Matteo. Gli occhi, invece, sono sempre stati Ma non era il Terence Hill che si aspettava ogni bambino quando an- quelli, azzurro cielo, a ingannare platee di ragazzini che l’hanno creduto dava al cinema (di profondità, più ancora che di prima visione, persino a lungo un attore non italiano, complice anche quel nome de plume, figlio parrocchiale), e l’esperimento è finito prestissimo, anche perché - rac- della stagione dello ‘spaghetti western’, quando tutto ciò che era italiano conta la leggenda – Mario ha promesso (a una madre con due bellissi- era bandito. E, invece, dietro Terence Hill c’era Mario Girotti, nato a Vene- me bambine, incontrata per strada) che Terence avrebbe fatto sempre zia, ma da madre tedesca e padre umbro. Storie di altri tempi, di un’altra e solo film per tutta la famiglia. Perciò, nonostante Lizzani, Prandino industria, di un altro cinema italiano, dove Mario Girotti era stato attore Visconti, persino Sergio Leone (che, da produttore, l’ha accoppiato a da subito, prima bambino (per Risi, all’esordio con Vacanze col gangster, Henry Fonda in quella letterina al curaro al western alla Trinità che è Il 1951), poi bel ragazzo, quindi giovane amoroso, in una lunga serie di film mio nome è Nessuno, 1973) e addirittura Fernando Birri (l’ultrasperimen- tra fotoromanzo e musicarello, da Lazzarella a Cerasella. Già allora con la tale Org, presentato a Venezia nel 1979, dopo una gestazione decenna- voce di un altro, Massimo Turci (a sua volta ex attore bambino come lui), le), da allora in poi, anche quando recita da solo, Hill resta per tutti. perfetta per i primi attori giovani. Senza restrizioni. Terence Hill è venuto appunto dopo, a fine Anni’60, con i western italiani, Ovvio che, nei pieni Anni’80 - quando è entrato in crisi il Terence&Bud con Manolo Bolognini che aveva bisogno di un Django plausibile dopo l’a- movie (in sala, perché in tv continua a passare con immutato successo biura di Franco Nero. Allora gli mise un cappellaccio e un filo di barba, ed ancora adesso), e immediatamente dietro la filiera del cinema popola- ecco un succedaneo perfetto di Nero per Preparati la bara (1968), prequel re dei generi nostrani - c’era solo una strada possibile per continuare a di Django. Il western era evidentemente nel destino di Girotti/Hill, anche tener fede all’impegno preso con il pubblico: il piccolo schermo, dov’è se lui, in realtà, pensava di aver perso il treno: stanco dei ruoli fotocopia di atterrato anche Bud, con i suoi polizieschi corpulenti e sornioni in soli- povero ma bello degli Anni’50, si era infatti trasferito in Germania, mentre taria, da Big Man a Detective Extralarge. esplodeva il fenomeno Leone e, all’inizio, dovette accontentarsi di fare i In tv l’ex-Trinità ha continuato a fare il western, anche da regista, per- para-western tedeschi apocrifi alla Winnetou. ché, nel frattempo, da sempre attentamente consigliato dalla moglie, Il primo Terence Hill nel West (con la voce nitida e grave di Sergio Gra- è arrivato anche dietro la mdp. Fin dal 1983, a sorpresa, con un rischio- ziani) non era mica un simpatico scavezzacollo pronto a menar le mani; sissimo Don Camillo in jeans e motocicletta, che metteva in spericolata anzi era piuttosto un bad boy svelto di pistole e non meno violentuccio sovrapposizione la memoria del western che fu con l’immaginario alla dei vari Django e Sartana. La coppia con Bud Spencer (un altro italia- Guareschi-Fernandel. nissimo nascosto sotto pseudonimo, Carlo Pedersoli, ex nuotatore Gli Anni’90 di Terence sono stati quindi su Canale 5, regista e attore (ma olimpico, pure lui doppiato, praticamente sempre da Glauco Onorato) ancora con la voce di un altro: Michele Gammino), questa volta addirit- nacque proprio in un western ancora molto “spaghetti” (Dio perdona… tura nei panni di Lucky Luke, storie western per famiglie, infedelmente io no!, La collina degli stivali), per intuizione di Giuseppe Colizzi, che li fedelissime al personaggio della bedè di Goscinny e Morris. E pazienza volle già come Cane e Gatto (alla lettera). se si è voluto provare un ultimo ritorno al western su grande schermo, Con Trinità è arrivata, però, la consacrazione definitiva, il vero Terence fuori tempo massimo, con Botte di Natale (1994), insieme a Bud, flop co- Hill, e pure una nuova voce (Pino Locchi), più morbida e naturalmente cente a sancire che era ora di cambiare davvero pagina. simpatica, quella che chi è stato bambino negli Anni’70 e ’80 ricorda. E, Il resto non è storia, ma cronaca viva, in corso dal 2000 a oggi: la bi- insieme, la definizione della coppia di fatto con Bud Spencer, una delle cicletta di Don Matteo, su e giù a Gubbio prima e a Spoleto poi (dove più remunerative del cinema italiano di sempre, subito esportata fuori oggi vive, dopo tanti anni negli States), e poi il cavallo di Pietro Thiene, dal western verso ambientazioni contemporanee, in un’America molto guardia forestale in Trentino in Un passo dal cielo (recentemente abban- italiana, anzi romana. Terence e Bud menavano come fabbri, però nes- donato), un patto d’acciaio e di quasi esclusiva con la Lux Vide. Confer- suno si faceva mai male davvero, anzi, fin dal primo Trinità, le loro scaz- mandosi sempre e comunque un’icona auto-evidente e una presenza zottate sono come le scene di danza e di canto nei musical, parentesi-di- familiare, anche per i bambini d’oggi, che quindi conoscono pure loro gressioni che mettono in pausa il racconto, ma esplodono il piacere del Terence Hill come noi trent’anni fa al cinema. Questa volta, però, in tv pubblico. Un’intuizione felice, che un po’ si deve proprio a Terence, da con la sua vera voce. sempre fan di Sette spose per sette fratelli e delle sue scazzottate musical.

96/97 ricordi

1955–2018

ORFANO DI UN FRATELLO di GIULIO SCARPATI

1928-2018 1988 - Orfani - Compagnia la Con- temporanea Sergio Fantoni, è lì che ho incontrato Ennio Fantasti- chini. Abbiamo replicato lo spet- tacolo per due stagioni dividendo camere d’albergo, cene dopo lo spettacolo e sogni. Quando si sta per così tanto tempo insieme, a stretto contatto, si creano amici- modo particolare. Ennio ogni tanto se ne usciva con la frase: “stasera zie fraterne che il tempo difficil- non gliela faccio, non faccio lo spettacolo!”. Era una minaccia finta, un mente cancella. Ennio in quello modo di caricarsi che io, nella mia ingenuità, all’inizio prendevo per spettacolo era bravissimo, come vera. Ennio era un attore rigoroso, costruiva il personaggio che interpre- sempre. Sul palco eravamo due tava con maniacalità, per questo, quando proprio alla fine della nostra fratelli (io, più giovane e disadat- tournée girò con il suo attore preferito, Gianmaria Volontè, Porte aperte tato, Ennio maggiore vessatore pensai che fosse il coronamento di un sogno. Ennio aveva passione per e piccolo criminale) con Sergio il teatro e per il cinema ma in quegli anni il richiamo del secondo era Fantoni criminale affermato ma in molto forte per noi giovani attori e lui sognava il grande cinema. Insieme Ennio aveva il dono di concilia- fuga, che piombava tra noi a rom- si parlava tanto anche di politica e a cena dopo lo spettacolo spesso En- re gli opposti, riusciva a mettere pere tutti i nostri malati equilibri. nio partiva con lunghe tirate-invettive rabbiose, ma anche molto vere e forza ma anche dolcezza nei per- Condividere uno spettacolo bello condivisibili. Era intransigente, animato da un senso di giustizia assolu- sonaggi che interpretava. Così il ti lega ancora di più. Così ci siamo to. Sergio condivideva con noi il gusto e il piacere della discussione e si suo Lear era protervo, arrogante conosciuti e voluti bene come fra- faceva tardi. Molte volte cenavamo insieme nel ristorante dell’albergo, ma anche dolce e indifeso, glielo telli, nati nello stesso giorno, il 20 a quell’ora completamente vuoto, in una sorta di cena autogestita con i dissi in camerino finito lo spetta- febbraio, a distanza di un anno l’u- piatti già preparati e all’una accendevamo la tv per vedere la Gli intocca- colo, e mentre si rivestiva con gli no dall’altro. Prima di prepararci bili, antica serie americana in bianco e nero. Sembravamo tre ragazzini. abiti di tutti i giorni, con la sua in- per andare a teatro, nella camera In tournée è capitato che per il freddo tenevamo acceso il phone per ri- nata eleganza, ci siamo promessi d’albergo, ci si riposava sentendo scaldare la stanza ma alla fine saltava la luce, allora eravamo costretti ad una cena insieme, come ai vecchi le notizie del TG3. Il tempo che una piccola recita con il portiere: “ma come è possibile? È inspiegabile tempi, ma purtroppo non c’è sta- precede lo spettacolo è molto …” ecc. Abbiamo anche girato un film insieme, Gangsters. L’ultima volta ta. Addio fratello, ti voglio bene. delicato, ogni attore lo vive in un che ci siamo visti è stato a teatro, recentemente, dove lui era Re Lear.

latest - ricordi 1955–2018 QUEL MOVIMENTO CHE GLI PIACEVA TANTO di R.M. 1928-2018

ro, tra vedove cannibali, petomani scatenate e transgender ante lit- teram). D’altronde, dopo anni di piccoli ruoli e gustosi caratteri, la consacrazione era avvenuta pro- prio a fine ‘60 con un “galletto” siciliano, il Vincenzo Macaluso che inguaia l’Assunta Patanè di (sbagliati, ovvio). Maschio latino Avrebbe voluto morire in scena, ma – diceva con ironia tutta partenopea Monica Vitti e ne è inseguito sen- impenitente e trafficone, in egual – si sarebbe accontentato anche del camerino. Per poco non è accadu- za sosta ne La ragazza con la pistola misura cornuto e cornificante, ha to, visto che ha continuato a recitare a teatro fino all’ultimo, dopo aver (1968). E proprio Mario Monicelli comunque mantenuto sempre un cominciato negli Anni’40, appena diplomato all’Accademia Nazionale gli rinfaccerà sempre di non aver salutare distacco rispetto alle sue di Arte Drammatica e poi, dai ‘60, nella prestigiosa Compagnia dei Gio- voluto partecipare a Speriamo che maschere, come dimostra il fatuo vani. Tanto Eduardo (De Filippo), certo, del quale Carlo era considera- sia femmina e, prima ancora, ad e narciso Silver Boy, “reginetto” to erede e continuatore, ancor più dopo la morte del fratello maggiore Amici miei, quando doveva farlo dell’avanspettacolo in Basta guar- Aldo; ma anche Ibsen, Cechov, Shakespeare, Pirandello. Dal cinema, Germi. Poi, probabilmente, tutto darla (1972), bellissimo amarcord invece, aveva preso congedo quasi del tutto. Troppe delusioni (il Pinoc- era davvero iniziato ancora prima, di Luciano Salce sul mondo della chio di Benigni, dal quale il suo Geppetto era stato quasi espunto, senza nel 1961, quando stava tra i Leoni al rivista. Prima di concedersi di una ragione chiara), e, poi, l’impressione di non farne più davvero parte. sole di Vittorio Caprioli, vitelloni e nuovo del tutto al teatro, suo pri- Dopo essere stato uno dei protagonisti di una certa commedia malizio- Dongiovanni maturi, anzi attem- mo (e vero) amore, a inizio Anni sa Anni ‘70, tra signore che giocavano bene a scopa e vedove ‘inconso- pati, sullo sfondo una Positano ‘80 aveva avuto ancora qualche labili’ che ringraziavano quanti le consolavano. Distinto, ma sempre in piena estate, anche se l’autun- occasione eccentrica per metter- pronto ad accendersi di libidine, è stato un homo eroticus più duttile di no (della vita) s’indovinava già si in luce da par suo, come nella Lando Buzzanca e meno monomaniacale di Renzo Montagnani (che gli dietro l’angolo. Da lì in poi per fosca apocalisse malapartiana de successe nel ruolo e nelle frequentazioni cinematografiche delle varie tutto il decennio si era speso in La pelle (1981) di Liliana Cavani e Fenech e Villani). Anzi, era tanto più interessante quanto più veniva tante commedie e commediole, nello svagato Son contento di Mau- messo in dubbio nella sua virilità (da Il trapianto, 1970, di Steno a Bella, spesso a episodi, ingenuamente rizio Ponzi (1983, David di Dona- ricca, lieve difetto fisico, cerca anima gemella, 1973, dove è un seduttore alle maliziose fin dai titoli, tra adulteri tello come non protagonista). prese con un circo femminile mostruoso tipicamente alla Nando Cice- (lui e lei), scandali (nudi) e letti

98/99 internet e nuovi consumi

BANDERSNATCH E LA VERTIGINE DEL CONTROLLO di CARMEN DIOTAIUTI

Su Netflix il primo film interattivo destinato a un pubblico adulto, Black Mirror: Bandersnatch, in cui è l’utente a decidere bivi di trama e finale della storia. Per il gusto di controllare un’altra persona in un universo di contenuti digitali che travolgono come maree.

L’interattività ha dato agli spettatori un nuovo potere, quello di deci- È quello che succede in Bandersnatch, un’avventura ambientata negli dere per un’altra persona e controllarla. Il piacere obliquo della presa Anni ’80, in cui è l’utente a decidere il destino del protagonista Stefan diretta sul mondo, senza mediatori o mediazioni, che sembra essere (Fionn Whitehead), giovane programmatore che comincia a mettere alla base del successo di Black Mirror: Bandersnatch, primo film Netflix in dubbio la realtà mentre progetta un innovativo videogioco basato interattivo destinato ad un pubblico adulto. Perché se da un lato, per su un romanzo fantasy interattivo, Bandersnatch appunto, il cui nome dirla alla Baricco (The Game, 2018), l’individuo digitale sembra nuotare è un chiaro riferimento alla creatura immaginaria creata da Lewis Car- in un mare protetto dove correnti create da immense maree collettive roll, autore cui sono dedicati vari omaggi nel corso della storia. Destini lo inglobano senza quasi che se ne accorga, dall’altro sopravvive quella multipli, percorsi divergenti e potenziali realtà che si biforcano sono gli spinta umana ad imprimere un’impronta personale sul mondo, scrivere elementi fondamentali del film, in cui in vari punti viene chiesto allo con una certa quota di libertà la propria storia. spettatore di fare una scelta che influirà sulla trama. L’utente ha dieci

latest - internet e nuovi consumi secondi per “ponderare” con attenzione le sue decisioni, dopodiché, se non effettua alcuna scelta, viene percorsa una strada predefinita. Se si accorge, però, che l’avventura sta per giungere a conclusione può tornare indietro e fare una valutazione diversa, cambiando così il suo percorso e, dunque, il risultato. Una storia spiazzante con finali multi- pli, scritta da Charlie Brooker e diretta da David Slade, la cui durata media è di 90 minuti, anche se in questo tipo di film nulla è prestabilito, tant’è che il percorso più veloce è di soli 40 minuti mentre quello più lungo di oltre 2 ore. In fondo c’era da aspettarselo che sarebbe stato questo il prossimo pas- so del colosso del video streaming, che lo scorso anno aveva iniziato a pubblicare le prime storie interattive per bambini. Già ne Il gatto con gli stivali o Stretch Armstrong: The Breakout le trame si snodavano in manie- ra non lineare attraverso bivi narrativi decisi dallo spettatore, che inter- veniva in prima persona condizionando andamento e finale della storia. Ma se nelle storie per bambini i finali e le ramificazioni di trama erano abbastanza lineari e semplificate, Bandersnatch ha alzato l’asticella con complesse narrazioni multiple, articolate e a tratti anche spiazzanti. Diverse, infatti, le opzioni proposte che diventano man mano più signi- ficative con l’evolversi della trama: si parte con lo scegliere che cereali consumare a colazione per arrivare a decidere se far gettare o meno il protagonista da un balcone o fargli fare a pezzi il proprio genitore so- spettato di pilotare la realtà. “Il nostro destino è già scritto e fuori dal nostro controllo. Siamo solo marionette e non abbiamo colpa delle nostre azioni”, asserisce uno dei personaggi più carismatici che Stefan incontra sul suo percorso, che ha il compito di svelargli una realtà labi- rintica dove l’uomo non sembra avere alcuna scelta. Come succede in Pac Man, il famoso gioco in cui il rotondo protagonista crede di avere libero arbitrio ma è intrappolato in un labirinto e in un sistema dove può solo mangiare: “Non ha via di scampo, anche se scappa da un lato, torna subito dentro dall’altro”. Il film interattivo è legato alla serie distopica Black Mirror, che esa- mina le peggiori conseguenze della tecnologia nella società. Diverse le incursioni nel mondo reale a scopo promozionale, dal Black Fu- ture Social Club, un locale futuristico temporaneo in cui si entra in base ai follower e si mangia in base ai like, a The Black Game, una sor- ta di esperimento sociale sul controllo che si è tenuto su Instagram, dove per un giorno gli spettatori hanno potuto controllare la vita di una persona, selezionata all’interno di un gruppo di volontari. Tutte le azioni della sua giornata sono state scelte tra due opzioni proposte agli spettatori, che hanno interagito attraverso i propri smartphone condizionando così il corso della giornata. In pratica come giocare a Bandersnatch, ma nella vita reale. Per dimostrare ancora una volta che giocatore e pedina possono far parte dello stesso inquietante gioco, ma a muovere davvero le fila sono altre mani.

100/101 marketing del cinema italiano

RIDE BENE CHI RIDE ULTIMO

di ANDREA GUGLIELMINO

L’omonimia di due film italiani, il primo diretto da Jacopo Rondinelli, il secondo da Valerio Mastandrea: stesso titolo (Ride) scelto per entrambi. Ma Fabio & Fabio non sono nuovi a questi incidenti di percorso brillantemente risolti o comunque bypassati.

Promuovere e vendere un film, al giorno d’oggi, è difficile, soprattutto se si tratta di film sperimentali e fuori dagli schemi come quelli di Fa- bio Guaglione e Fabio Resinaro, a cui per il recente Ride – corsa verso l’Inferno di due ciclisti acrobatici che si iscrivono a uno spietato reali- ty game segreto, girato quasi interamente con le GoPro - si è aggiunto Jacopo Rondinelli (tecnicamente, la regia è sua, mentre la premiata ditta “Fabio & Fabio” si è occupata della produzione). Loro comunque ce la mettono sempre tutta, chiamando in campo ogni forza disponi- bile, estendendo i franchise al mondo del fumetto e della letteratura. Per Ride, ad esempio, sono usciti un prequel in forma di comic, con diverse variant cover realizzate da grandi disegnatori come Mirka An- dolfo (Wonder Woman), Giacomo Bevilacqua (A Panda Piace), Giu- seppe Camuncoli (Batman, ), Matteo Lolli (Deadpool, Avengers), Emanuela Lupacchino (Supergirl, Batgirl) e Marco Ma- strazzo (Dylan Dog) allegato alla “Gazzetta dello Sport”, e un roman-

latest - marketing del cinema italiano zo a firma di Adriano Barone, Il gioco del custode, edito da Mon- dadori. Per il precedente Mine, storia di un soldato che mette inavvertitamente il piede su una mina ed è costretto a restare bloc- cato nel deserto per la paura che possa esplodere, si ricorda una memorabile edizione in Blu-Ray con autografo e una ricchissima selezione di contenuti speciali a cura degli stessi registi, comun- que sempre molto supportati dal mondo dell’opinionismo geek con cui intrattengono ottimi rap- porti grazie alla loro costante e interattiva presenza sui social. I loro film, basati su “high concept” da poter realizzare in maniera cool pur con budget relativamen- te limitati, funzionano e trovano ottimi riscontri da parte della cri- tica conquistando, oltre a molte candidature e premi (Mine è stato nominato ai David per il Miglior Regista Esordiente, per i Migliori Effetti Digitali e ai Future Award), una fetta di pubblico sempre cre- scente sia in Italia che all’estero (anche per l’uso di star interna- zionali come il validissimo Ar- mie Hammer che in Mine trova occasione per giocarsi le sue carte come attore drammatico dopo una carriera prevalentemente composta da action non sempre di grande successo). Certo, a volte il diavolo ci mette estreme. Qui c’è un blocco che è anche autoimposto. È lui che sceglie di lo zampino. E così, durante la la- non muoversi per non rischiare, e questo è una metafora di quello che vorazione di Mine, esce fuori che vive nella sua vita, ma anche della situazione in cui ci trovavamo noi al il regista francese Yannick Saillet secondo film, dispersi in un campo minato”. sta lavorando a un film basato, Una serie di sfortunate coincidenze, brillantemente risolte e seguite da casualmente, esattamente sul- un’accanita campagna promozionale e da un intenso tour dove i due lo stesso concept, Piegè, che in autori hanno portato in giro il film accompagnandolo con masterclass Italia esce nel 2016 (stesso anno e incontri con gli spettatori. di Mine, doppia sfortuna) con il Una delle caratteristiche principali di Mine era quella di essere interna- lato Ride, in maniera antifrastica, titolo di Passo falso. “Quando lo zionale anche nel titolo: “Mine” è naturalmente il termine italiano (ma il suo dramma sugli infortuni sul abbiamo saputo ci è preso proprio anche inglese) che indica la bomba sepolta, solo che in lingua d’Albione lavoro, presentato al Torino Film un mezzo infarto – dissero i registi “Mine” significa anche “Mio”, a sottolineare la natura introspettiva del Festival, confondendo un po’ chi a suo tempo in conferenza - Subi- “viaggio del soldato” che, solo di fronte a morte quasi certa, coglie l’oc- riceveva gli entusiasti comunicati to abbiamo chiamato produzione casione per riflettere sul suo operato, sulla vita e il rapporto che ha avu- stampa che annunciavano l’uscita e distribuzione ma poi abbiamo to con i suoi cari fino a quel momento. Così, quando Guaglione sul suo di Ride in anteprima alla kermesse capito che i due prodotti, pur par- profilo Facebook ha rivelato che il titolo del progetto successivo sarebbe (dato che il film di Rondinelli era tendo dallo stesso spunto, erano stato Ride, si è pensato a un analogo gioco di parole sull’azione del ride- già uscito in estate). Guaglione, molto diversi, anzi, quasi opposti, re, subito smentito dall’autore. A rimescolare le carte ci ha pensato Va- interpellato su Facebook, ci si fa e quindi ci siamo tranquillizzati. lerio Mastandrea, che – supponiamo, sempre casualmente – ha tito- una risata e risponde: “va beh, è Anche rispetto a Buried, o 127 un po’ diverso!”. Insomma, una ore, abbiamo un altro concetto. vicenda tutta da ridere. In quei casi i protagonisti sono veramente incastrati in situazioni

102/103 biografie

ANDREA GROPPLERO Regista, produttore, attivista, gastronomo e cuoco con il nome di Chef Guevara. È diplo- mato in regia al Centro Sperimentale di Cine- matografia. È autore del film Comunismo fu- turo. Ha realizzato per Istituto Luce Cinecittà Il colore della fatica, Quando l’Italia mangiava in bianco e nero, presentato al 65° Festival di Berlino, e Il Cinecittario. È ideatore e curatore, con il filosofo Stefano Bonaga, di Lido Philo, STEFANIA incontri tra cinema e filosofia nell’ambito della Biennale Cinema di Venezia. IPPOLITI

Nasce a Firenze, dove tutt’ora vive e lavora. Si occupa per le impre- se di famiglia di produzione, organizzazione aziendale e esporta- zione; in seguito di comunicazione, marketing territoriale per enti GIANNANDREA e istituzioni, attraverso l’organizzazione di iniziative culturali e di progetti complessi. Dal 2006, quando la Mediateca della Regione Toscana decide di potenziare la Film Commission, e le affida que- PECORELLI sto compito, si occupa di Cinema e dell’attuazione delle politiche regionali per l’audiovisivo. Dal 2014 è Presidente di Italian Film Commissions, associazione nazionale delle Film Commission na- Dopo la laurea in Lettere, si è diplomato in zionali (www.italianfilmcommissions.it). produzione al Centro Sperimentale di Ci- nematografia nel 1985. Negli anni ha alter- nato l’attività di dirigente (in RCS Film e Tv - Rai Fiction – Sony Italia - Endemol Italia) all’attività di produttore. Tra i film più recenti prodotti e coprodot- ti, in cui la musica è determinante: The Red Violin, Notte prima degli esami, Questo piccolo grande amore, Bar Sport, Arrivano i Prof. Per Aurora Tv Banijay ha ideato e prodotto la serie Il Paradiso delle Si- GIULIO SCARPATI gnore e le docufiction: Io sono Libero, Adesso tocca a me e Il Professore. Ha in preparazione la serie internazionale Eternal City, ambientata Attore, di teatro, cinema e televisione. Noto al grande pubblico per a Roma durante la Dolce Vita e la Guerra Fredda. il ruolo di Lele Martini nella fiction tv Un medico in famiglia, Scarpa- ti vanta ruoli teatrali in opere di Olmi, De Capitani, Garinei e Gio- vannini, fino al recente successo, dal film, di Una giornata partico- lare, con Valeria Solarino e diretto dalla moglie, Nora Venturini. Per il cinema, YANNIS alcuni titoli in cui ha recitato sono stati: Chiedi la luna, Il giudice ragazzino, Paso- lini un delitto italiano, Cuori al verde, e il ZOUMBOULAKIS recente Notti magiche di Virzì.

Giornalista e critico cinematografico, la- vora per la stampa greca dal 1987. Dal ’99 scrive per il prestigioso “TO BHMA” (“To vima”). È membro della Greek Film Criti- cs Association e della FIPRESCI.

latest - biografie sul prossimo numero in uscita a maggio 2019

Scenari Inchieste Focus Anniversari Testacoda Il cinema Il cinema A 50 anni da... Il cinema italiano scientifico in Israele Dillinger è morto e le strategie dei titoli in Italia PosteItalianeSpA - Spedizioneinabbonamentopostale-70% -Aut.GIPA/C/RM/04/2013 nessuno ci può guadagnare, nessuno cipuòguadagnare, delle canzonimaicantate... Non si passa mai indenni Non sipassa maiindenni che cifannolecanzoni. La sofferenza in amore La sofferenzainamore è un vuoto a perdere: è unvuotoaperdere: attraverso icorridoi tranne i cantautori tranne icantautori più sono stupide, più sonostupide, Fanny Ardant accanto della signora porta inLa più sonovere. Le canzoni? Le canzoni? Massimo Troisi Silvio Muccino

www.8-mezzo.it Sono solo canzonette. Quando e come canta il cinema italiano? marzo 2019 numero 43 anno VII nel cinema italiano nel cinema I filmdifamiglia INCHIESTE in Grecia Il cinema FOCUS IL CINEMAITALIANO? QUANDO ECOMECANTA SONO SOLO CANZONETTE. da Queimada A 50anni ANNIVERSARI e ilfrigorifero Francesco Bruni IL GUSTO DEL CINEMA n marzo 2019 °43 marzo € 5,50