Università Degli Studi Della Tuscia

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Università Degli Studi Della Tuscia UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA DIPARTIMENTO DI STUDI PER LA CONOSCENZA E VALORIZZAZIONE DEI BENI STORICI E ARTISTICI CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA MEMORIA E MATERIA DELLE OPERE D’ARTE ATTRAVERSO I PROCESSI DI PRODUZIONE, STORICIZZAZIONE, CONSERVAZIONE, MUSEALIZZAZIONE - XX CICLO COLLEZIONISMO, COMMITTENZA PITTORICA E MERCATO DELL’ARTE NELLA ROMA DEL PRIMO SEICENTO. QUATTRO FAMIGLIE A CONFRONTO: MASSIMO, ALTEMPS, NARO E COLONNA L-ART/ 02 Coordinatore: Prof.ssa Maria Andaloro Tutor: Prof.ssa Daniela Cavallero Prof. Enrico Parlato Dottorando: Fausto Nicolai I N D I C E PREMESSA pag. 1 INTRODUZIONE pag. 6 CAPITOLO I Giovani talenti nelle committenze pittoriche di Massimo Massimi (1576-1644) pag. 44 CAPITOLO II Due generazioni di pittori al servizio di Giovan Angelo (1587-1620) e Pietro Altemps (1611-1697) pag. 73 CAPITOLO III Fabrizio (1554-1626) e Bernardino Naro (1583-1671) nel sistema barberiniano delle committenze pag. 110 CAPITOLO IV Mecenatismo e collezionismo dei Colonna di Paliano attraverso le esperienze di Filippo I (1578-1639) e Marcantonio V (1608-1659) pag. 127 CAPITOLO V Strategie del mecenatismo artistico e mercato dell’arte nella Roma della prima metà del Seicento pag. 171 BIBLIOGRAFIA pag. 226 ABBREVIAZIONI pag. 252 APPENDICE DOCUMENTARIA pag. 253 ELENCO ILLUSTRAZIONI pag. 353 PREMESSA “La storia dei consumi artistici sembra oggi godere di grande fortuna, come settore di quella storia sociale dell’arte che anche in Italia, da trent’anni a questa parte, si è imposta quale pratica in grado di rivitalizzare e dare nuovo senso a un campo disciplinare nel quale sono ancora prevalenti le ricerche stilistiche e/o iconologiche”. Così Luigi Spezzaferro appena nel 2004 registrava il successo anche italiano degli studi dedicati al collezionismo, alla committenza e al mercato dell’arte in età moderna, quali espressioni di uno specifico ambito disciplinare oggi in continuo sviluppo e che è ormai diventato terreno comune d’indagine per gli storici, gli storici dell’arte e gli storici dell’economia. L’interesse condiviso verso la materia ha inevitabilmente comportato la discussione, spesso serrata, sulla questione fondamentale dei metodi da adottare nella conduzione delle ricerche, dal momento che ciascun metodo produce un tipo di risultato diverso La preliminare definizione di una metodologia idonea alla complessità dei temi affrontati è stata oggetto di diversi confronti tra i rappresentanti delle tre discipline coinvolte, sebbene dai vari convegni e seminari non siano emerse soluzioni definitive in grado di soddisfare esigenze e prospettive proprie di ciascun indirizzo. In particolare, il confronto che forse appare più insanabile resta quello che già da diversi anni distingue gli storici dell’economia dagli storici dell’arte, rispetto alla diversità d’intenti e di esiti che, semplificando ma non troppo, potrebbe essere riassunta nel dualismo di base, quantità contro qualità. Questioni centrali come lo sviluppo dei mercati artistici e la contestuale diffusione dei dipinti e delle raccolte d’arte, per i fautori dell’analisi economica possono essere risolte attraverso l’applicazione del metodo statistico, sulla base del quale dai contenuti di inventari e cataloghi di vendita, raccolti in numeri quantitativamente significativi entro ben definiti ambiti cronologici e geografici, è possibile pervenire ad un indice percentuale rappresentativo degli insiemi generali (città, regione, nazione) presi in considerazione. Il metodo statistico tende quindi a proiettare su scala universale la media numerica, appunto percentuale, dei dati raccolti attraverso fonti parziali, secondo un principio di deduzione lineare. Un modo di porsi di fronte alla complessità dei problemi che lascia perplessi gli storici dell’arte, forse perché incapaci di comprendere certi risultati, oppure, più ragionevolmente, perché non appagati rispetto alla mancata spiegazione dei fenomeni da un punto di vista culturale, intellettuale. In altre parole, gli storici dell’arte guardano con una certa diffidenza alle potenzialità del metodo statistico, perché non funzionale alla spiegazione delle ragioni, delle logiche che tanto nel singolo individuo quanto all’interno della società intervengono nella formazione di un gusto specifico o di una moda diffusa. Se, dunque, per gli storici dell’arte oggetto della ricerca deve essere la qualità culturale delle collezioni e al contempo il valore culturale del mercato artistico, in quanto alla pluralità dei significati assegnati agli oggetti d’arte che si acquistano o si scambiano, il metodo adottato nell’indagine dovrà corrispondere a tale finalità. La quasi totalità degli studi sul collezionismo e sulla committenza realizzati da storici dell’arte, salvo qualche rara eccezione, è accomunata dal costante utilizzo del modello monografico mutuato dalla tradizionale ricerca storico-artistica e i tanti saggi dedicati alle collezioni di quella famiglia o di quel singolo personaggio che nel corso degli anni hanno arricchito il panorama bibliografico, con risultati senza dubbio preziosi sul piano delle conoscenze per la storia delle varie raccolte d’arte, non possono che confermare tale tendenza. L’orientamento epistemologico seguito in questo settore di ricerca privilegia, dunque, l’analisi del gusto nel suo aspetto esclusivamente individuale, al punto che, come sottolinea Krysztof Pomian, viene meno la possibilità di stabilire «un paragone tra il collezionista che si studia e altri che hanno vissuto nello stesso paese e nello stesso periodo, solo modo per tentare un collegamento tra le differenze del gusto e quelle generazionali, sociali, culturali, religiose, ideologiche, politiche». Un metodo, quindi, che non permette di «comprendere le scelte di coloro dei quali si sta scrivendo la storia». Più di quarant’anni fa Francis Haskell con il suo Patrons and Painters (1963) ha aperto la strada allo studio del mecenatismo nella Roma del Seicento e oggi, come e forse più di allora, si può ancora cogliere nella sua pionieristica iniziativa l’originale struttura del saggio, attraverso la quale veniva mostrata in un unico sguardo la frammentarietà della pratica collezionistica all’interno delle sue differenti forme. Nel tentativo di delineare un quadro complessivo del mecenatismo romano seicentesco Haskell ricorreva alle specifiche esperienze individuali quali esempi concreti dei rapporti esistenti tra l’arte e la società nel suo insieme. Il riconoscimento del collezionismo come fenomeno sociale “coestensivo all’uomo nel tempo e nello spazio”, legato ai principi economici che regolano un mercato e producono un consumo consapevole, ha trovato piena affermazione solo nelle più recenti letture di Luigi Spezzaferro e di Krisztof Pomian, ma ciò che interessa qui sottolineare è l’originale idea haskelliana della pluridimensionalità del fenomeno. L’idea di una sintesi possibile tra discipline diverse, la storia, la storia economica, la storia dell’arte, che possa comprendere all’interno di una cornice unitaria le molteplici varianti dell’attività collezionistica. La presente ricerca, recuperando da un lato la valida prospettiva metodologica proposta da Haskell e dall’altro la dimensione socio-economica delle più recenti analisi spezzaferriane, intende ricostruire e porre a confronto le esperienze nel campo della committenza pittorica e del collezionismo di quadri attuate dai principali esponenti delle famiglie Massimo, Altemps, Naro e Colonna nella Roma del primo Seicento, nel tentativo di evidenziare, attraverso la verifica delle eventuali analogie e/o differenze che l’approccio comparatistico permette di ottenere, strategie e modelli perseguiti nell’indirizzo delle scelte, verso gli artisti e verso il mercato. Ad ogni personaggio è stato dedicato un approfondimento specifico funzionale alla ricostruzione delle vicende collezionistiche di cui fu protagonista e alla luce dei dati raccolti, si è proceduto, quindi, al confronto tra le parti quale efficace metodo d’indagine capace di risaltare continuità o difformità nei comportamenti individuali, prima di giungere ad una sintesi finale che, lungi dal proporre pericolose quanto sterili generalizzazioni, ha cercato di comprendere e spiegare, dal punto di vista della domanda, le ragioni delle scelte, degli interessi coltivati. Le quattro famiglie oggetto della ricerca sono state selezionate secondo due criteri guida: la mancanza totale o parziale di studi specifici con la conseguente possibilità di ampliamento delle conoscenze attraverso una nuova e più approfondita indagine: la ricca documentazione d’archivio conservata nei relativi fondi famigliari, indispensabile alla riuscita della ricerca stessa. Lo studio condotto negli archivi delle quattro famiglie, in certi casi privati e di difficile consultazione, ha permesso la raccolta di una notevole quantità di nuove ed inedite informazioni grazie alle quali è stato possibile rivedere attribuzioni, precisare tempi e modi della committenza, seguire lo sviluppo delle quadrerie all’interno dei loro contesti d’appartenenza. Registri contabili, inventari e protocolli notarili hanno rappresentato le principali fonti di riferimento per la ricostruzione delle singole vicende con risultati importanti e spesso inattesi rispetto allo stato attuale delle conoscenze. Nella parte conclusiva, infine, si è tentato di individuare le diverse strategie che tanto la domanda, i collezionisti-mecenati, quanto l’offerta, i pittori e i mercanti, intrapresero come attori principali del nascente mercato dell’arte nella Roma del primo Seicento. Sulla base del confronto tra
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