Mythoi Antropologici E Sociogonici All'interno Dei Dialoghi Di Platone
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Etica & Politica / Ethics & Politics, 2003, http://www.units.it/dipfilo/etica_e_politica/2003_1/3_varia.htm L’uomo e la nascita della società: mythoi antropologici e sociogonici all’interno dei dialoghi di Platone (*) Marco Mazzoni Dipartimento di Filosofia, Università di Pavia 0. Introduzione: il linguaggio mitico e la Kulturgeschichte I capitoli che seguono intendono analizzare i più significativi miti platonici che descrivono, da una parte, la situazione originaria del genere umano, dall’altra, la genesi e le fasi embrionali dell’aggregazione sociale e politica. Platone, infatti, in diversi dialoghi come il Politico, il Protagora, la Repubblica, il Timeo, il Crizia e le Leggi, si serve del linguaggio mitologico per rappresentare non solo le caratteristiche antropologiche e le condizioni di vita dei “primi uomini”, ma anche le particolari modalità attraverso cui essi stessi hanno dato anticamente vita alle prime forme di organizzazione sociale e alle prime realizzazioni tecniche e culturali. Il mythos (1), infatti, l’arcaica ma insuperata forma di trasmissione del sapere e dei precetti morali, per le sue stesse caratteristiche si rivela l’unico strumento adeguato a ricostruire, anche se in maniera soltanto approssimativa (eikos), eventi originari come questi, verosimilmente accaduti in un tempo molto remoto e separato dall’epoca attuale da una serie di catastrofi naturali che ciclicamente colpiscono il genere umano, cancellando pressoché tutte le forme di vita e tutte le tracce di civiltà. A causa dell’analfabetismo (cfr. lo agrammatoi di Criti. 109 d e di Tim. 23 a) dei pochi uomini che a questi cataclismi di volta in volta riescono a sopravvivere e dell’inevitabile perdita di ogni testimonianza diretta e attendibile, gli eventi originari della “storia” dell’umanità, per la loro stessa oscurità e indeterminazione, si rivelano del tutto al di fuori della portata del discorso razionale (logos) e dell’analisi oggettiva, costringendo così Platone a ricorrere all’unica forma di discorso in grado di rappresentare in maniera soddisfacente gli accadimenti di quel lontano passato: “E così, in quei miti (mythologias) che ora trattiamo, dato che non ci è concesso di sapere come andarono veramente (talethes) le cose nell’antichità (peri ton palaion), se ricalcassimo la finzione (to pseudos) il più possibile sulla verità (to alethei), non faremmo in tal modo qualcosa di utile (chresimon)?” (Resp. II, 382 c-d; ma cfr. anche Criti. 107 b sgg.). Gli avvenimenti stessi di cui parlano i diversi miti - le antiche vicende che hanno come protagonisti gli uomini e gli dèi -, infatti, oltre che collocati in un tempo remoto posto ai confini tra la completa dimenticanza e la piena conoscenza, appartengono alla categoria ontologica del divenire (gignesthai, cfr. Tim. 59 c-d), condizione intermedia (metaxu) tra il non essere (me einai) e l’essere nella sua pienezza (to pantelos on, Resp. V, 477 a sgg.). Sospesi a metà tra il mondo immutabile e perfettamente conoscibile (pantelos gnoston) delle Idee e la sfera assolutamente inconoscibile del non essere (me on medame pante agnoston) (2), tali eventi possono essere conosciuti soltanto in maniera ipotetica e congetturale, attraverso quella forma di doxa che la Repubblica (cfr. VI, 509 d – 510 a) e il Timeo (cfr. eikota mythos di 29 d) chiamano eikasia. Forma di conoscenza intermedia tra l’assoluta ignoranza (agnosia) e quel sapere scientifico (episteme) che sancisce la supremazia intellettuale del filosofo, il mito, in quanto parte integrante del genere letterario dell’imitazione (mimesis) (3), risulta così essere l’unico mezzo adeguato a raffigurare gli eventi originari della “storia dell’umanità” (Kulturgeschichte), sottraendo così questi ultimi dal pericolo di una loro totale dimenticanza. I mythoi a cui Platone dà forma nei diversi dialoghi, tuttavia, benché finalizzati alla ricostruzione approssimativa delle vicende dei “primi uomini”, in realtà, attraverso il grande potere raffigurativo della forma mitica stessa, assumono una serie di significati irriducibili alla sola “analisi storica” e “archeologica”, dando vita ad orizzonti di senso dal valore teorico ed estetico autonomo, ma pur sempre intimamente legati al contesto in cui ciascun mito è inserito. Non privi di riferimenti alle modalità attraverso cui il mondo umano ha avuto origine e si è sviluppato, ma sprovvisti di quel rigore scientifico e di quel senso di oggettività che contraddistingue la moderna nozione di storia, tali miti risultano così leggibili secondo due prospettive diverse e complementari, l’una diacronica - che mette in evidenza il cambiamento nel tempo - e l’altra sincronica - che sottolinea il valore universale e atemporale della costruzione logico-normativa (4). La polivocità e la versatilità del mito, discorso verosimile né rigorosamente vero (alethes) né completamente falso (pseudos, cfr. Resp. II, 377 a; Leg. II, 663 d-e), fornisce così a Platone la possibilità di interpretare e riorganizzare quell’immenso patrimonio di sapere e saggezza che per secoli era stato tramandato oralmente e, soltanto a partire da Omero ed Esiodo, anche attraverso il potente veicolo della scrittura (5). Egli, infatti, consapevole come nessuno dei suoi contemporanei non solo della capacità persuasiva e coinvolgente (cfr. il kelesomen di Leg. VIII, 840 c), ma anche del potenziale euristico del mito, utilizza più volte nei suoi dialoghi questa forma di esposizione e di conoscenza, affidando ad essa la soluzione provvisoria (cfr. per es. il problema dell’insegnabilità della virtù in Prot. 320 c sgg. o della divisione nelle diverse classi sociali in Resp. III, 414 d sgg.) o definitiva (cfr. per es. le considerazioni escatologiche in Phaed. 113 d sgg., Gorg. 523 a sgg., Resp. X, 614 b sgg.) di rilevanti problemi gnoseologici, metafisici ed etici. Il mito, infatti, discorso immaginifico ma dotato di verosimiglianza, per nulla in opposizione al discorso dialettico-razionale (6), sospendendo e sostituendo quest’ultimo, lo integra e lo arricchisce, utilizzando una strada diversa (cfr. la heteran odon di Pol. 268 d) al fine di risolvere complessi problemi concernenti sia la dimensione teorica che quella pratica. Affidandosi alla ricchezza evocativa e alla dynamis seduttiva del mythos, Platone dà così vita ad un esperimento teorico alternativo rispetto al consueto modo dialettico di procedere, caratterizzato sì dalla forma divertente (paidia) e rilassante che da sempre contraddistingue il linguaggio mitico, ma dotato, per quanto riguarda il suo contenuto, di quella stessa serietà (spoude) propria dell’argomentazione razionale (7) (cfr. Leg. II, 659 e – 660 a; X, 887 d). Facendo riferimento alla struttura e ai personaggi (Zeus, Atena, Efesto, Prometeo…) di quei racconti teogonici, cosmogonici e antropogonici che erano parte integrante della formazione di ogni giovane, il mito rappresenta così una potente forma di comunicazione, comprensibile non sono per le persone intellettualmente più dotate, ma anche per coloro che filosofi non sono; esso, infatti, senza mai mettere in discussione il valore euristico del discorso razionale, completa e rende maggiormente persuasiva l’analisi e la ricostruzione concettuale, integrando l’asetticità e la freddezza di quest’ultima attraverso la potenzialità espressiva del simbolo e la capacità raffigurativa della metafora. Attraverso il ricorso alla familiarità e al fascino della forma poetica e, allo stesso tempo, al potere icastico e senza tempo dell’immagine (8), Platone presenta così in maniera rapida (cfr. il tachy di Pol. 277 b) e coinvolgente una serie di possibili soluzioni a problemi concettualmente rilevanti ma difficili da risolvere in un tempo limitato, assicurandosi l’opportunità di portare avanti il discorso intrapreso e di rinviare ad un altro momento l’analisi dialettico-dimostrativa (didache). Pericoloso nelle mani di poeti, retori, sofisti e di tutti coloro che non sono genuinamente filosofi a causa del suo potere incantatorio (9) (cfr. epodon mython di Leg. X, 903 a), nelle sapienti mani del philosophos (cfr. Resp. II, 379 a) il mito diventa invece non solo un importante veicolo di trasmissione della conoscenza, ma anche un efficace mezzo per il condizionamento (peizein) del comportamento (10). 0.1 I mythoi antropologici e sociogonici all’interno dei dialoghi platonici Platone, come si è detto, in diversi dialoghi come il Politico, il Protagora, la Repubblica, il Timeo-Crizia e le Leggi, elabora una serie di mythoi che descrivono sia la situazione originaria del genere umano sia gli sforzi compiuti dagli uomini per dare vita alle prime forme di organizzazione sociale e politica. Un determinato numero di personaggi dialogici contraddistinti da una precisa e sempre diversa identità psicologica ed intellettuale - rispettivamente lo Straniero di Elea, Protagora, Socrate, Crizia, l’Ateniese -, infatti, espongono all’interno dei diversi dialoghi platonici qui considerati una serie di racconti mitici caratterizzati non solo dal loro grande fascino letterario, ma anche dal loro indipendente valore filosofico. Ogni mito, del resto, sebbene strettamente connesso agli altri sulla base di numerose analogie sia dal punto di vista della struttura, sia da quello del contenuto, si dimostra una creazione artistica ed intellettuale autonoma, ma sempre indissolubilmente legata al contesto dialogico all’interno del quale ciascun mythos è inserito. Poiché introdotti allo scopo di fornire risposte e chiarimenti a problematiche ed interrogativi specifici, diventa così necessario, al fine di offrire una corretta analisi del