L'intervista a Paolo Villaggio

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L'intervista a Paolo Villaggio Il Pesce Volante Il presente volume è stato realizzato da Lindau s.r.l. in collaborazione con SNGCI - Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani. In copertina: un’immagine tratta da «Fantozzi» (1975), di Luciano Salce © 2003 Lindau s.r.l Prima edizione: settembre 2003 ISBN 88-7180-477-5 Fabrizio Buratto FANTOZZI UNA MASCHERA ITALIANA Paolo Villaggio Fantozzi nasce come personaggio letterario. Quali potrebbero essere i suoi antenati? Non ho dei modelli, non mi sono ispirato a nessuno. Mi vengono in mente alcuni personaggi quali Bartleby, lo scrivano di Melville. Be’, insomma, ma quello ha meno intenzioni comiche. Quello di Melville è un personaggio fondamentalmente nero. Fantozzi è un personaggio non conscio della sua condizione. Oppure penso anche a «Morte di un impiegato» di †echov. Lì c’è un po’ più di ironia. Sì, ma direi che le intenzioni di †echov erano diverse, l’intenzio- ne dell’autore di Fantozzi è di suscitare risate. Questi monologhi li facevo in cabaret e poi in televisione a Quelli della domenica, quindi le intenzioni erano di suscitare il riso con delle meccaniche che erano simili a quelle dei cartoni animati, a quelle di «Tom & Jerry» di Han- na e Barbera, che hanno molto influenzato, direi, il tipo di comicità, che era una comicità un po’ anglosassone. Nei due anni in cui sono stato a Londra da studente, non avendo voglia di studiare, allora... Lei era andato per seguire quella che poi sarebbe diventata sua moglie? Sì, esatto, ero andato per quello e poi mi ci sono fermato perché Londra era una città molto divertente, una grande capitale, prima dei Beatles... be’, a parte questa digressione su Londra, sono stato in- 106 © 2003 Lindau s.r.l. fluenzato largamente da quel tipo di comicità che era pressocché sconosciuta in Italia... Ancora adesso non è praticata. Anche adesso sì, anche adesso. Quindi l’intenzione dell’autore di Fantozzi era quella di fare ridere, l’intenzione di †echov invece era quella di sottolineare la condizione tragica. Come Gogol’... Come Gogol’, naturalmente. È chiaro che poi Fantozzi è arrivato alle stesse conclusioni, cioè l’omino frustrato, l’omino infelice, però la caratteristica di Fantozzi è che non ne è conscio. Mentre Bartleby lo è, al pari dei personaggi di †echov. Sono d’accordo nel definire Fantozzi «incosciente», anche se forse la sua coscienza critica si manifesta attraverso la voce off... È la voce dell’autore. Io infatti ci ho messo la mia voce, Fantozzi parla con voce strozzata, invece lo speaker, che è Villaggio, parla con voce un pochettino retorica, roboante, se vuoi, perché vuole sottoli- neare di più la condizione di disperazione. Però, di tanto in tanto, Fantozzi dimostra di conoscersi abbastanza bene... Sì, quando si incazza con la moglie, quando è durissimo con la nipotina o con la figlia... Io mi riferivo al finale di «Fantozzi contro tutti», quando dopo aver scritto in cielo: «Il megapresidente è uno stronzo», viene umiliato e co- stretto a correggere la scritta in: «Fantozzi è uno stronzo». Facendo ritor- no a casa in auto con la moglie Pina, Fantozzi le dice: «Loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile...». Ma quello è più che altro il giudizio generale che dò del perso- naggio, ma Fantozzi non si accorge in maniera razionale che gli schemi di vita che lui segue portano alla mancanza di felicità... alla mancanza di felicità, ma non alla mancanza di serenità, perché lui paradossalmente è felice. Dice: «Io sono più felice di tutti. Sono for- tu-na-tis-si-mo». E va giù nel tombino. Perché in effetti lui non ha 107 © 2003 Lindau s.r.l. scampo. In tutte le sue storie, in tutte le sue sequenze, c’è sempre un momento, anche tra i più lieti, dove lui o si schiaccia la mano nella portiera della macchina, o cade in un tombino... Dice anche: «Io mi arrendo senza condizioni» a uno dei megadirettori, quando ritorna a lavorare dopo la scappatella con la Silvani in «Il secondo tragico Fantozzi». È costretto. A mio parere ha ragione Evtu>enko a considerarla uno dei più grandi scrittori italiani, e a definirla «un Gogol’ italiano», poiché lei non solo ha inventato ex novo un lessico con parole quali «megadirettore galattico», espressioni del tipo «come è umano lei», ma anche perché i suoi libri han- no uno stile unico, e dunque devono essere considerati d’autore. Soprattutto per la sintesi. Nel linguaggio comico la lungaggine dell’italiano non è sintetica... Non riesce a creare quello scarto... Ecco, esatto, perché la caratteristica principale della boutade, del- la situazione raccontata, deve essere l’imprevedibilità. La grandezza di Fantozzi personaggio cinematografico sta proprio nel- la traduzione delle parole in immagini mantenendo gli stessi tempi. Certo. Se uno dice: «Fantozzi si alzò, e prendendo una craniata pazzesca contro il soffitto a forma di mansarda...»; io, invece di es- sere prolisso, dico: «Fantozzi si alzò: craniata pazzesca...». La sinte- si è asciugare verbi, articoli... lo stile è telegrafico. È un fatto di rit- mo. La sintesi impedisce allo spettatore di prevedere minimamente. Se Fantozzi è incosciente però non è del tutto innocente, nel senso eti- mologico del termine. Si pone comunque «contro»... È anche vittima, perché i ruoli sono: lui vittima, lui il più forte di tutti. Non è fortunato, però quando i politici hanno bisogno di far numero si rivolgono a lui. È lui, in effetti, il più forte di tutti perché sopravvive. A Tangentopoli è sopravvissuto perché era troppo de- bole per prendere le tangenti. 108 © 2003 Lindau s.r.l. È comunque su quelli come lui che la società può contare. Conta soprattutto su quelli come lui. Lui ha queste caratteristi- che: è cattolico, benpensante, conformista, moralista, però disposto a ogni tipo di gabola. Lui avrebbe chiesto ogni tipo di tangente se gliela avessero offerta... Però ha una profonda dignità, lo dice lui stesso in... Ma anche quello è l’atteggiamento cattolico; lui dice: «Io sono onesto», ma è onesto perché è stato costretto a essere onesto. Può es- sere perfido con i deboli... comunque sempre vittima. Vittima dei di- rettori, della Silvani. L’unica sua vittima è la moglie, che addirittura non riesce a dirgli «ti amo», ma solo «io ti stimo moltissimo». Anche se lui vorrebbe sentirselo dire. «Ma amore no?», ribatte lui, «nessuno mi ama». Fantozzi è una vittima, ma è anche un ribelle, un rivoluzionario in potenza. Sì, ma le volte che lo fa, quando viene smascherato dal potente si umilia e chiede... Di fare la triglia... Sì, di fare la triglia addirittura. Però non ce li aspetteremmo da Fantozzi alcuni gesti, come quando sbotta: «La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca». E si è anche ribellato nella partita di biliardo, quando dopo aver detto: «Coglionazzo, coglionazzo, coglionazzo», fa: «Scusi, posso fa- re un tiro io adesso?». Quindi in queste occasioni viene fuori anche la sua profonda dignità. Sì, qui sì, e il basco invece che essere schiacciato è inclinato, è il basco eroico. Bergson in «Il riso» scrive: «Il comico è incosciente: come se usasse a rovescio l’anello di Gige, si rende invisibile a sé stesso mentre è visibile agli altri». Fantozzi, pur non sapendo cosa egli rappresenti, dimostra benissi- 109 © 2003 Lindau s.r.l. mo agli altri come stanno veramente le cose, come funziona la società. Lei ha detto che Fantozzi, a dispetto degli altri precedenti letterari, deve far ri- dere, però è anche un ridersi addosso. È proprio la sua mancanza di coscienza che fa ridere. Si ride di Fantozzi, ma anche con Fantozzi, di sé stessi, perché tutti si possono in qualche modo riconoscere. Non a caso ho sentito molte persone affermare: «A me Fantozzi non piace perché mi fa pena». Perché mi assomiglia, è la verità. Riferisce troppo profondamente. Il grande clown viene fuori proprio da questo. I clown a me, da piccolo, facevano paura, hanno qualcosa di di- sumano. Nell’aspetto fisico il clown perde molta umanità. Quando ha scritto il primo libro su Fantozzi credeva che ne sarebbe sta- to tratto un film? No, perché il primo libro non è stato scritto come libro, era una serie di collaborazioni per l’«Europeo» di Tommaso Giglio nell’esta- te del ’68, una raccolta dei monologhi che facevo a Quelli della dome- nica. Poi l’editore Rizzoli ha detto «facciamone un libro» e il libro ha venduto un milione e mezzo di copie perché usava come mezzo di promozione la televisione. Nessuno sapeva ancora qual era la sua forza assoluta. Con quale criterio sono stati scelti gli episodi da portare sullo schermo? Ve ne sono alcuni che secondo me avrebbero meritato miglior fortuna. Per esempio? Ad esempio quello intitolato «Fantozzi chiede l’indennità di volo», presente nel suo primo libro, nel quale Fantozzi scopre di saper volare, ma al momento di dimostrarlo si sfracella. Poi, tornato in ufficio, si sol- leva dalla sedia e lei a questo punto scrive: «Tornò al suo posto sorriden- do e non disse mai più nulla a nessuno». Era molto difficile da realizzare, ci volevano gli americani. Sì, è il più poetico, un po’ retorico, un po’... non è che morda. 110 © 2003 Lindau s.r.l. Abbiamo detto che Fantozzi è un ribelle in potenza, e il «Grande Fra- tello» lo sa e lo tiene d’occhio, infatti non appena Fantozzi spacca la vetra- ta della megaditta il megadirettore... «È stato lei, lo sapevo.» Ma è anche la sfortuna eterna, cioè lui spacca il vetro e tutti gli altri entrano... In quella sequenza c’è un’atmosfera kafkiana, angosciosa... anche la stanza di un biancore allucinante del megadirettore, il quale ha tutte le stimmate della santità..
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