CONFIMI

23 marzo 2015

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CONFIMI

22/03/2015 La Stampa - Alessandria 9 Il labirinto delle piccole industrie

21/03/2015 Corriere di Verona - Verona 10 Uber a Verona? «Il car sharing può aiutarci Corse da 6 euro»

22/03/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale 11 in breve

21/03/2015 Il Giornale di Vicenza 12 «Lavoro: così cambiano le regole dei contratti»

22/03/2015 L'Arena di Verona 13 Brevi

23/03/2015 Giornale dell'Umbria 14 Oltre 500 piccole imprese in volo verso l'estero

21/03/2015 Giornale di Sondrio - Centro Valle 15 Jobs Act, un seminario per le aziende con Api

21/03/2015 La Provincia di Cremona - Nazionale 16 Spa guidata dal mondo della produzione

23/03/2015 La Voce di Mantova 17 Il porto di Trieste pronto al servizio di Mantova

CONFIMI WEB

23/03/2015 www.marketpress.info 07:06 19 RIDUZIONE ONERI AMMINISTRATIVI: FIRMATO PROTOCOLLO DINTESA TRA REGIONE UMBRIA, ENTI LOCALI ED IMPRESE

SCENARIO ECONOMIA

21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 21 La maxifusione tra le Coop Gruppo da 4 miliardi

21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 22 «Telecom, la svolta è partita Resteremo leader nella rete» 21/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 24 C'è la lista, Montepaschi conferma Profumo e Viola

22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 25 fate prima la legge di stabilità

22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 27 Spesa pubblica, il governo ci riprova

22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 29 il nazionalismo (anche dei capitali) che blocca l'europa

22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 31 Tassi «zero» Come ottenere fino al 4% (senza rischiare)

22/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 32 Profumo: «Lascio Montepaschi Dopo l'aumento mi metto in proprio»

23/03/2015 Corriere della Sera - Nazionale 34 Pirelli, i segreti di una svolta

21/03/2015 Il Sole 24 Ore 37 L'anomalia greca e il direttorio di plastica

21/03/2015 Il Sole 24 Ore 39 Le Borse europee volano ai massimi storici

21/03/2015 Il Sole 24 Ore 41 Ferrero cresce con Asia e Stati Uniti

21/03/2015 Il Sole 24 Ore 43 «Carige pronta a crescere, da sola o con altri»

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 45 Se Pechino punta 100 miliardi sull'Italia

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 47 Opa Pirelli, spunta la clausola salva-Italia

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 49 Una nuova Bretton Woods (Cina inclusa)

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 51 Prede e predatori nel nuovo capitalismo

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 53 Dopo tre riassetti finanziari è arrivata l'intesa industriale

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 54 «Il credit crunch si allenta, ma le Pmi ancora in difficoltà» 22/03/2015 Il Sole 24 Ore 56 Poste pronta alle pulizie sui conti in vista dell'Ipo Piano tariffe all'Authority

23/03/2015 Il Sole 24 Ore 57 La proroga unica certezza nella Babele delle tasse*

23/03/2015 Il Sole 24 Ore 59 «Grandi attese dall'accordo sui dazi tariffari e sulle Igp»

21/03/2015 La Repubblica - Nazionale 61 Tra il Dragone e il Cremlino

21/03/2015 La Repubblica - Nazionale 63 In pensione più tardi di quattro mesi a partire dal 2016

21/03/2015 La Repubblica - Nazionale 64 Troppe tasse pesano sul Tfr ecco perché anticiparlo non conviene

22/03/2015 La Repubblica - Nazionale 65 Renzi: "No a dimissioni per gli avvisi di garanzia non caccio gli indagati"

22/03/2015 La Repubblica - Nazionale 68 Pirelli alla stretta finale ma la morsa russo-cinese mette all'angolo gli italiani

22/03/2015 La Repubblica - Nazionale 70 Malacalza tira il freno, è deciso a non vendere

22/03/2015 La Repubblica - Nazionale 72 Pensioni flessibili in uscita il piano entro l'estate reddito minimo agli over 55

22/03/2015 La Repubblica - Nazionale 73 Repliche alla tv Marcorè e Golino attori sindacalisti "Tutte le emittenti paghino le royalty"

22/03/2015 La Repubblica - Nazionale 74 SCENDE L'EURO SALE LA UE

23/03/2015 La Repubblica - Nazionale 76 GLI USA TEMONO LA RESA EUROPEA

23/03/2015 La Repubblica - Nazionale 78 "Milano senza industria non è più una città-guida"

21/03/2015 La Stampa - Nazionale 80 "L'Expo non sarà solo una sfilata di marchi"

22/03/2015 La Stampa - Nazionale 82 Orte-­Mestre, la Nuova Autosole tra sprechi e affari 22/03/2015 La Stampa - Nazionale 84 Da Pechino tre miliardi di investimenti L'Italia è la meta preferita dopo Londra

23/03/2015 La Stampa - Nazionale 85 "Atene deve accettare la linea dell'Ue Ma il prezzo degli aiuti è troppo alto"

23/03/2015 La Stampa - Nazionale 87 «Lehman, far causa adesso o mai più»

23/03/2015 La Stampa - Nazionale 88 "General Electric punta sull'Italia Qui costi bassi e competenze"

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 90 Così governo e Bankitalia vogliono cambiare le banche

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 92 Starace: "L'Enel crescerà ancora"

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 95 Telecom, Patuano accelera "Banda larga senza stranieri"

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 98 Jacques Granjon "L'outlet a casa con Vente-Privee"

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 100 LA RIFORMA DIMENTICATA SULLE CENTRALI DEGLI APPALTI

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 101 General Electric il rilancio sul petrolio la scommessa ad alto rischio

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 103 Da Trenitalia, a Marcegaglia è arrivata la rivoluzione dei big data

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 105 Spence: "Investire sull'Italia? Certo, purché non disperda l'opportunità che ha di fronte"

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 107 "Fondi di credito e Eltif le strade di Bruxelles verso l'economia reale"

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 109 "Certificati a rischio contenuto per puntare sull'energetico"

23/03/2015 Corriere Economia 111 Alla scuola Sna si impara a non farsi tagliare lo stipendio

23/03/2015 Corriere Economia 113 Forse c'è la ripresa? Il Fisco sia generoso: ora tagli le tasse 23/03/2015 Corriere Economia 114 Privacy Siamo nelle mani della principessa di Google

23/03/2015 Corriere Economia 117 Poche illusioni il greggio resterà mini

23/03/2015 Corriere Economia 119 Crescita & Risparmio «Così le famiglie possono essere il motore della ripresa»

21/03/2015 Milano Finanza 121 PERCHÉ A PIAZZA AFFARI CI VUOLE UNA SCOSSA

21/03/2015 Milano Finanza 125 ORSI & TORI

21/03/2015 Milano Finanza 128 La storia ci darà ragione

21/03/2015 Milano Finanza 130 Se Pechino fiuta l'affare

21/03/2015 Milano Finanza 132 Pirelli parla mandarino

SCENARIO PMI

22/03/2015 Il Sole 24 Ore 135 Per crescere prima e meglio ci vuole più «womenomics»

19/03/2015 La Repubblica - Firenze 137 Imprese, le magnifiche 813 su cui puntare

23/03/2015 La Stampa - Nazionale 138 La piccola impresa meccanica torna ad assumere

22/03/2015 Avvenire - Nazionale 139 MUTUI Abi-imprese-consumatori intesa su congelamento

22/03/2015 Il Manifesto - Nazionale 140 Il buio a Mezzogiorno

21/03/2015 ItaliaOggi 141 Bando Inail, attenti alle collegate: possono asciugare i fondi

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 142 Seat riparte senza debiti e punta sulla sua rete per portare le Pmi sul web

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 144 Valvitalia, dopo la comasca Silvani altre due acquisizioni entro l'anno 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 146 Biolchim fa shopping e diversifica nell'home garden

23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza 147 L'indice Ism si raffredda negli Usa mentre l'Eurozona inizia a correre

21/03/2015 Milano Finanza 148 Da Prelios al tandem con Rovati: i progetti di Sigieri Diaz

21/03/2015 Il Sole 24 Ore - PLUS 24 149 In attesa delle grandi Ipo scalpita il listino delle Pmi

CONFIMI

9 articoli 22/03/2015 La Stampa - ed. Alessandria Pag. 40 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

organizzazioni imprenditoriali e vertenze giudiziarie Il labirinto delle piccole industrie piero bottino

Api, cioè associazione piccole (e medie) industrie, quindi Confapi, confederazione nazionale delle Api. Ma da un paio di anni questa logica è saltata causa la nascita di un'altra organizzazione (l'atto di fondazione è del 5 dicembre 2012), la Confimi, confederazione dell'industria manifatturiera, fondata dalle Api di Bergamo, Verona, Vicenza, Modena, a cui si aggiunse quasi subito quella di Torino, poi via via altre. Alessandria sta diventando un'esemplificazione plastica di questa spaccatura, con aspetti a volte paradossali. Liquidatore da definire Dopo essere stata per decenni una delle architravi del mondo Confapi, la provincia ha visto sbriciolarsi questo bastione a dicembre scorso, con un'assemblea senza numero legale che ha dato il via al processo di liquidazione sotto il peso di un debito notevole (circa 5 milioni). Il consiglio direttivo, constatato lo stato di scioglimento, ha presentato ricorso al Tribunale civile per la nomina di un liquidatore: dovrebbe avvenire ad aprile. Nel frattempo si sono aperte le grandi manovre per dare una nuova «casa» alle 520 aziende iscritte. Il caos degli acronimi Confapi Torino - niente a che fare con l'Api torinese, anzi concorrente - ha annunciato l'apertura di una sua delegazione in via Trotti angolo corso Crimea, anche se per ora resta in vita pre agonica Confapi Alessandria, sempre presieduta Giuseppe Garlando e ancora con gli uffici nella sede storica di Via Pisacane. Nello stesso palazzo ha aperto l'Ali (Alessandria imprese) che si è associata a Confimi. Com'è possibile questa convivenza seppur su piani diversi? Il caos degli acronimi diventa guazzabuglio se si considerano anche le società nate nella galassia Confapi. Esiste un'Api Immobiliare, costituita da oltre un centinaio di imprenditori dell'Alessandrino, che realizzò il palazzo di via Pisacane, ora ne è proprietaria e ha sfrattato la Confapi di Garlando, procedura ancora agli inizi. Ma fra gli affittuari c'è anche un Api Formazione che dipende da quella torinese (come detto in concorrenza con Confapi) e che ospita l'Ali. Litiganti faccia a faccia? Il paradosso maggiore è forse il fatto che nello stesso edificio rischiano di trovarsi faccia a faccia i protagonisti dello scontro che ha portato alla fine di Confapi Alessandria. Infatti a fare da punto di riferimento delle aziende confluite in Ali c'è anche l'ex direttore di Confapi, Enrico Taverna, benché non in un ruolo dirigenziale: «Vista la situazione non ha voluto assumere incarichi» spiega suo padre Carlo, per decenni alla guida di Confapi e oggi anche lui coinvolto nell'operazione Ali. Ma Taverna Enrico è al centro di un contenzioso giudiziario e ha come controparti Confapi Alessandria, Consorzio Nord Ovest Energia Confapi, Confenergia srl, Consorzio Api Formazione (che ovviamente non c'entra niente con Api Formazione, anzi). Giustizia civile e penale Non si tratta di un conflitto personale tra Taverna e Garlando. Le iniziative prese dai quattro enti nei confronti del primo (licenziamento e revoca dalle cariche per giusta causa, nonché richiesta di risarcimenti per centinaia di migliaia di euro) sono state deliberate collegialmente da Consigli direttivi e assemblee dei soci. Lui si è opposto ricorrendo ai Giudici del lavoro e al Tribunale civile, chiedendo le indennità a suo avviso conseguenti. Per altro c'è anche un procedimento penale, sempre contro Taverna e sempre per la gestione delle «casse» dell'associazione, scaturito da una denuncia presentata da Confapi Alessandria, Consorzio Nord Ovest Energia Confapi, Confenergia srl, Api Servizi srl e da Giuseppe Garlando personalmente. Un labirinto in fondo al quale ci sono aziende che hanno bisogno di servizi, rappresentanza politica, mediazione sindacale e sono pronte a pagare per averle. Questione di affari.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 9 21/03/2015 Corriere di Verona - ed. Verona Pag. 11 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Trasporto Uber a Verona? «Il car sharing può aiutarci Corse da 6 euro» Camilla Pisani

VERONA Uber a Verona? Lo decideranno i veronesi. Così Andrea Giaretta, Logistic Manager di Uber Italia, ospite giovedì sera al convegno «Uber, una guida nella sharing economy» promosso dal Gruppo Giovani Imprenditori di Apindustria Verona, ha illustrato i vantaggi di un servizio di trasporto automobilistico privato che, attraverso un'App, mette in contatto chi ha bisogno di un passaggio con chi può offrirlo. Lanciata a San Francisco nel 2010, la piattaforma ha già raggiunto 290 città (e 10 miliardi di dollari di fatturato). In Italia siamo a quota cinque: Roma, Milano, Genova, Torino e, dallo scorso dicembre, Padova. E proprio lo sbarco in una città così simile a Verona in termini di densità della popolazione suggerisce la possibilità di un prossimo arrivo all'ombra dell'Arena: «Decideremo dalle informazioni che ci arriveranno dai cittadini», ha detto Giaretta, «analizzeremo la rete di trasporto pubblico, ma soprattutto, ascolteremo il parere degli utenti sull'efficacia dei mezzi». Ma il car-sharing non sarà un deterrente? «Al contrario», ha spiegato il manager «sarà un passo verso di noi perché abituerà i veronesi a spostarsi con un mezzo alternativo, risparmiando risorse e denaro: una corsa con Uber vale in media 6 euro, in taxi il doppio».

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 10 22/03/2015 Gazzetta di Mantova Pag. 13 (diffusione:33451, tiratura:38726) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato in breve in breve

in breve convegno Il porto di Trieste chance per le imprese C'è una lunga serie di vantaggi per le imprese che decidono di utilizzare le aree del porto franco di Trieste, poste al di fuori del territorio doganale dell'Ue. Il team per l'internazionalizzazione composto da Camera di Commercio, Mantova Export, Confindustria, Api, Confartigianato e Agenzia delle Dogane organizza un seminario proprio sul porto franco di Trieste per domani dalle 14.30 alle 17 al MaMu. Il programma dei lavori prevede l'intervento di Emanuele Lo Nigro, decano degli spedizionieri doganali di Trieste e segretario dell'associazione Porto franco internazionale di Trieste, che parlerà approfonditamente dei vantaggi per esportatori ed importatori. L'utilizzo del porto consente infatti di posizionare la merce ottenendo immediatamente la notifica di esportazione, importare temporaneamente senza alcuna autorizzazione o fideiussione, importare merce pagando i relativi diritti a 180 giorni anziché a 30 o a 90, acquistare e vendere beni allo stato estero senza pagamento di dazio e Iva. via da feltre L'Arci Salardi oggi in assemblea È convocata per stamattina alle 11 l'assemblea dell'Arci Salardi, in via da Feltre 79/81. All'ordine del giorno il bilancio 2014.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 11 21/03/2015 Il Giornale di Vicenza Pag. 10 (diffusione:41821, tiratura:51628) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato APINDUSTRIA . Lunedì un incontro con esperti «Lavoro: così cambiano le regole dei contratti»

"Il Futuro dei rapporti di lavoro (e dei licenziamenti) in Italia" è il tema del convegno di lunedì 23, alle 16.15, nella sala convegni di Apindustria Confimi Vicenza, in Galleria Crispi. Sarà «un momento d´incontro concreto ed operativo organizzato dall´Area sindacale dell´Associazione e da Gi Group, per fare il punto, a pochi giorni dalla pubblicazione dei primi decreti attuativi del Jobs Act, sulle principali novità normative e rispondere alle domande degli associati e delle imprese. L´evento rientra all´interno del roadshow "Jobs Act. Tutte le novità del mondo del lavoro", promosso da Gi Group, la prima multinazionale italiana del lavoro». Aldo Bottini, partner dello studio legale De Luca Tamajo Toffoletto, parlerà anzitutto di contratto a tutele crescenti e di riforma dell´art. 18, ma anche di riordino delle forme contrattuali. Tra gli altri temi l´esonero contributivo sulle assunzioni a tempo indeterminato,la devoluzione del tfr in busta paga, i dati dell´Osservatorio permanente sul lavoro.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 12 22/03/2015 L'Arena di Verona Pag. 9 (diffusione:49862, tiratura:383000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Brevi

DICHIARAZIONE REDDITI I MODELLI DISPONIBILI SOLO NEGLI UFFICI COMUNALI Da quest'anno i modelli per le dichiarazioni dei redditi saranno disponibili esclusivamente agli uffici comunali. La notizia è stata data dall'Agenzia delle Entrate direttamente all'Anci. Quindi il contribuente si dovrà recare in Comune per avere i modelli delle dichiarazioni dei redditi. C.G. CONVEGNO ASSUMERE E LICENZIARE NELL' ERA DEL JOBS ACT SUMMIT IN APINDUSTRIA Assumere e licenziare è davvero più semplice? Se ne parlerà al convegno organizzato da Apindustria Verona nella sede di via Albere 21, dal titolo «Jobs Act: i decreti attuativi». All'incontro, martedì alle 16, interverrà Tania Bazzani, ricercatrice del Dipartimento di Scienze giuridiche.F.S. CONFCOOPERATIVE INCONTRO A COLOGNOLA PER PARLARE DI COOPERAZIONE Il primo dei CooAperitivi, appuntamenti organizzati da Confcooperative Verona per parlare di temi importanti, è martedì a Colognola ai Colli, alle 16, in Cantina sociale (via Montanara 5) per discutere di «Jobs Act, quali novità per la cooperazione?». Tra i relatori, il presidente Bertaiola.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 13 23/03/2015 Giornale dell'Umbria Pag. 8 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato 8perugia Oltre 500 piccole imprese in volo verso l'estero Al via la collaborazione tra Apmi Umbria e la piattaforma commerciale Only Italia

PERUGIA - Si è concluso con successo e grande partecipazione il convegno "Fare rete: la chiave per lo viluppo delle pmi umbre e del made in all'estero" p r e sso l'aeroporto internazionale dell'Umbria "San Francesco d'Assisi". Apmi Umbria rappresenta gli interessi di oltre 500 piccole media imprese manifatturiere umbre e conta tra le proprie associate diverse eccellenze del made in Italy. Only Italia è una piattaforma commerciale al servizio del made in Italy. Registrata in Italia nel dicembre 2011 come rete d'impresa deve la sua forza alla capacità di collaborare fra loro di imprese di dimensioni medio-piccole sulla base di un programma condiviso di azione commerciale. All'aeroporto S. Francesco ha preso il volo - è proprio il caso di dirlo - la collaborazione tra Apmi Umbria e Only Italia. Tante le imprese presenti che hanno accolto con curiosità ed entusiasmo i progetti di sviluppo presentati da Biagio Cerrato, vice presidente della rete Only Italia, volti a sostenere la crescita delle pmi locali. «Citando le parole della presidente, Irene Pivetti - dice Cerrato - siamo convinti che la sfida dell'internazionalizzazione sia stimolante ma sicuramente è una strada in salita, che non lascia spazio all'improvvisazione; ci vuole lavoro di squadra, conoscenza dei mercati ma anche profonda consapevolezza del proprio potenziale aziendale». «Ci auguriamo - sostiene il presidente dell'Associazione piccole e medie imprese, Mauro Orsini che questa iniziativa sia solo l'inizio di un fortunato percorso capace di guidare le nostre imprese verso la più importante sfida degli ultimi anni: un'i n t e r n a z i onalizzazione consapevole e strutturata». «Sono soddisfatto - continua - che in così numerosi abbiano raccolto l'invito a partecipare a questo nostro evento perché significa che le aziende hanno voglia di ripartire ed investire dopo un lungo e difficile periodo di crisi: gli occhi del mondo sono puntati sul nostro Paese ed Expo 2015 può rappresentare una grande vetrina anche per le aziende più piccole e per tutto il territorio, non lasciamoci sfuggire questa occasione!». Durante l'incontro è stato anche annunciato l'avvio, prima dell'estate, della Scuola di politica Gianluigi Marrone, fortemente voluta in Umbria dalla presidente Irene Pivetti, che avrà sempre l'Associazione piccole e nedie imprese come referente operativo. L'associazione piccole e medie imprese dell'Umbria tutela gli interessi economici e sindacali di oltre 500 umbre ed aderisce a Confimi Impresa (Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e dell'Impresa Privata) che rappresenta molte delle più dinamiche pmi del settore manifatturiero del nostro paese: circa 20.000 imprese e 330.000 lavoratori con un fatturato annuo che supera i 70 miliardi.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 14 21/03/2015 Giornale di Sondrio - Centro Valle Pag. 59 (diffusione:12490, tiratura:14616) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato A MORBEGNO Jobs Act, un seminario per le aziende con Api

MORBEGNO (brc) Le recenti normative emanate nell'ambito del Jobs Act mirano a promuovere l'occupazione e, per la prima volta, lo fanno introducendo indubbi vantaggi per le aziende che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Api Sondrio, in collaborazione con Randstad, agenzia per il lavoro specializzata nella gestione delle risorse umane, organizza un incontro per approfondire il nuovo contratto a tutele crescenti che si applicherà ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l'entrata in vigore del decreto, avvenuta lo scorso 7 marzo. Il seminario si terrà mercoledì 25 marzo, alle 14.30, presso la sede di Api Sondrio a Morbegno, in via V Alpini, 166). «Il Jobs Act ha destato grande interesse tra gli imprenditori che ci hanno chiesto numerosi approfondimenti - ha dichiarato Mario Gagliardi, responsabile relazioni sindacali di Api Sondrio - In particolare, credo che gli effetti principali, almeno in una prima fase, si avranno in termini di stabilizzazione degli attuali contratti a tempo determinato, dei lavoratori in somministrazione e delle collaborazioni a progetto e cococo. Il seminario illustrerà, oltre al nuovo contratto a tutele crescenti, anche i vantaggi contributivi e normativi derivanti dall'attuazione del contratto stesso». «Il Jobs Act è senza dubbio un passo avanti nel senso della flexicurity, e molti aspetti fondamentali della riforma saranno inclusi nei provvedimenti attuativi della legge delega e vedranno la luce proprio in questi mesi - ha aggiunto Rossella Fasola, Public Affairs Manager di Randstad - Ad esempio, il contratto a tutele crescenti, la cui introduzione rappresenta uno spartiacque decisivo nella normativa giuslavoristica E' fondamentale che le imprese conoscano nei dettagli le novità della normativa del lavoro e sappiano sfruttare i vantaggi offerti dalle nuove forme di flessibilità "buona", cioè insieme sicura e di qualità». La partecipazione al seminario è libera e gratuita. Per adesioni contattare l'Api di Sondrio allo 0342-1590119.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 15 21/03/2015 La Provincia di Cremona Pag. 12 (diffusione:22748, tiratura:28110) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Spa guidata dal mondo della produzione

CREMONA - CremonaFiere è una società per azioni la cui maggioranza (il 65%) è controllata da soci privati; unico caso in Italia di proprietari di un quartiere fieristico, e contemporaneamente organizzatore in proprio, a maggioranza 'privata'. I soci sono il Comune di Cremona (con il 15%), Amministrazione Provinciale, Camera di Commercio e Associazione Provinciale Allevatori (con il 10% a testa), Assoindustriali, Banco Popolare, APIndustria, Assoartigiani, Coldiretti, Cna, Confcommercio,

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 16 23/03/2015 La Voce di Mantova Pag. 10 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il porto di Trieste pronto al servizio di Mantova

C'è una nutrita serie di concreti vantaggi per le imprese che decidono di utilizzare le aree del Porto Franco di Trieste: queste sono infatti al di fuori del territorio doganale dell'Ue. Poiché si tratta di prerogative poco note anche per gli stessi addetti ai lavori, il team per l'Internazionaliz zazione (Camera di Commercio, Mantova Export, Confindustria, Api, Confartigianato, Agenzia delle Dogane) ha organizzato un seminario sul tema "Porto Franco di Trieste, I vantaggi per le imprese" che si tiene oggi dalle 14.30 alle 17 al Ma.Mu. Il programma prevede l'intervento di Ema nuele Lo Nigro , decano degli spedizionieri di Trieste e segretario dell'Associazione Porto Franco Internazionale di Trieste, che parlerà dei vantaggi per esportatori ed importatori. L'utilizzo del Porto Franco consente infatti di posizionare la merce ottenendo immediatamente la Notifica di Esportazione, importare temporaneamente senza alcuna autorizzazione o fideiussione, importare merce pagando i relativi diritti a 180 giorni anziché a 30 o a 90, acquistare e vendere beni allo stato estero senza pagamento di dazio e Iva.

CONFIMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 17

CONFIMI WEB

1 articolo 23/03/2015 www.marketpress.info Sito Web 07:06 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

RIDUZIONE ONERI AMMINISTRATIVI: FIRMATO PROTOCOLLO DINTESA TRA REGIONE UMBRIA, ENTI LOCALI ED IMPRESE pagerank: 4

Perugia, 23 marzo 2015 - La misurazione ex post degli oneri amministrativi a carico di cittadini ed imprese su procedimenti di cui sono titolari gli enti locali e la conseguente riduzione degli oneri relativi ai procedimenti oggetto di misurazione: è questo l´obiettivo del protocollo d´intesa siglato oggi, giovedì 19 marzo, a Palazzo Donini, tra la Regione dell´Umbria, i rappresentanti degli Enti locali e la vasta rete di imprese e delle libere professioni. Il Protocollo di intesa - ha affermato la presidente della Giunta regionale Catiuscia Marini, intervenuta per la firma, "si propone di favorire la semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico di cittadini ed imprese in modo uniforme sul territorio regionale, nonché di promuovere il confronto tra enti locali sulla regolamentazione di specifici procedimenti così da individuare il migliore standard di semplificazione e favorire quindi la diffusione delle 'migliori pratiche´ a livello regionale. Arriviamo alla firma di questo atto dopo un serio percorso di riforme che hanno interessato la pubblica amministrazione sia a livello regionale che nazionale. E l´esigenza di tagliare gli oneri a carico di imprese e cittadini è uno degli obiettivi prioritari". A questo proposito è stato anche insediato un Tavolo per la misurazione e riduzione degli oneri amministrativi che avrà il compito di individuare, in relazione alle proposte formulate dai propri componenti, i settori di intervento nonché i relativi procedimenti che saranno oggetto di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi sulla base dei seguenti criteri. Il tutto anche in base alla rilevanza delle criticità percepite dagli soggetti sociali, in termini di oneri e tempi di espletamento degli adempimenti richiesti dalle normative esaminate e la numerosità dei soggetti ovvero ampiezza della popolazione interessata dal procedimento e frequenza dell´adempimento oneroso. Saranno poi la regione e gli Enti locali coinvolti a mettere in campo tutte le iniziative necessarie per superare le criticità riscontrate e dunque agevolare il rapporto di cittadini ed imprese con la Pubblica Amministrazione. L´attività di misurazione degli oneri amministrativi è stata avviata, in fase sperimentale, dalla Regione Umbria nel 2012, nei procedimenti regionali previsti nelle aree di regolazione dei testi unici del commercio, turismo ed artigianato. Al termine della fase di sperimentazione sui procedimenti regionali, la Giunta regionale ha ritenuto opportuno proporre la sperimentazione della Moa su procedimenti di cui sono titolari gli enti locali nelle materie di competenza legislativa regionale con la necessaria partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti, in particolare degli enti locali e delle imprese. Il Protocollo di intesa è stato sottoscritto, insieme alla Regione, da Anci ed Upi regionali e dal Consiglio delle Autonomie locali per quanto riguarda gli Enti locali, e da Confindustria Umbria, Cna, Confapi, Confimi Impresa, Confcooperative, Legacoop, Confartigianato Imprese, Casartigiani, Confesercenti, Confcommercio, Confagricoltura, Cia, Coldiretti, Confservizi Cispel, Unci, Agci e Confprofessioni dell´Umbria. Resterà in vigore fino al prossimo 2017.

CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 19

SCENARIO ECONOMIA

59 articoli 21/03/2015 Corriere della Sera Pag. 45 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'integrazione La maxifusione tra le Coop Gruppo da 4 miliardi Francesco Di Frischia

Semaforo verde per la fusione tra le tre grandi cooperative di consumatori del distretto adriatico: Coop Adriatica, Coop Estense e Coop Consumatori Nordest daranno vita alla più grande coop italiana con 2,6 milioni di soci e 4,2 miliardi di euro di fatturato. Il Gruppo conta 334 punti vendita, di cui 45 ipermercati e 19.700 dipendenti. Ieri il progetto di fusione è stato votato all'unanimità dai consigli di amministrazione delle tre cooperative nelle loro sedi di Bologna, Modena e Reggio Emilia. «Con questa scelta - spiegano - si vuole contribuire a sostenere e rilanciare ruolo ed efficacia della missione cooperativa sia nelle regioni del Nord che del Sud del Paese, confermando la idoneità e l'utilità del modello cooperativo anche in realtà sociali molto diverse». La nuova nata opera nei settori finanziario, immobiliare, assicurativo, turistico, della comunicazione e delle librerie. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 21 21/03/2015 Corriere della Sera Pag. 47 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA «Telecom, la svolta è partita Resteremo leader nella rete» Recchi: investimenti per 10 miliardi per lo sviluppo del Paese Federico De Rosa

Il ritorno all'utile non è solo una buona notizia per gli azionisti. Giuseppe Recchi lo ritiene «il segno di un cambio di pelle per Telecom Italia». Al primo giro di boa del nuovo board, il presidente del gruppo telefonico è più che soddisfatto: «Le società - spiega - passano attraverso i cicli economici e a volte si deve giocare in difesa. Oggi è in atto un nuovo corso e Telecom ha l'ambizione di voler guidare un grande progetto industriale e la nuova generazione tecnologica». Il punto di svolta è rappresentato dal bilancio, tornato in utile per 1,3 miliardi di euro. «E' la dimostrazione che siamo sulla strada giusta, la squadra sta funzionando bene e la transizione verso il modello public company sta dando risultati. Si vede anche dalla forte risposta del mercato al bond convertibile da 2 miliardi collocato ieri». Perchè parla di un cambio di pelle? «È in atto un nuovo corso. Due anni fa non c'era il 4G, l'ultra broadband, gli smartphone con schermi sempre più grandi e la possibilità di un vero multitasking. Sono cose che cambiano il profilo della domanda, sostituendo un trend che per la telefonia era decrescente con una prospettiva di crescita legata a un utilizzo più ampio e intensivo della rete. Il nostro piano strategico coglie in pieno questo cambiamento. Telecom ha stanziato 14,5 miliardi di investimenti, di cui 10 in Italia nei prossimi tre anni, per guidare lo sviluppo digitale del Paese. Nessuno in Italia investe quanto noi ». Oltre al vostro c'è anche il piano del governo: siete in concorrenza o in sinergia? «Credo che un Paese che voglia attrarre investimenti debba dotarsi di un piano industriale e di un quadro di regole certe. Tradizionalmente in Italia sono mancati entrambi, ma finalmente nelle telecomunicazioni si è fatto un passo importante fissando degli obiettivi e una strategia. I target di copertura vanno interpretati come obiettivi di sviluppo del Paese. In questa ottica i nostri obiettivi, essendo orientati a sviluppare velocemente la rete, sono sinergici e complementari. Perchè questo avvenga è necessario però che ognuno faccia la propria parte: lo Stato creando le condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo della domanda; l'authority con un quadro regolatorio che punti a garantire condizioni equilibrate di mercato; i privati con i loro investimenti. La massima sinergia tra questi tre soggetti garantisce lo sviluppo. Se si mischiano i ruoli, con il rischio di creare pericolosi conflitti di interesse, usciamo dalla logica di mercato e non facciamo il bene del Paese». I concorrenti che ruolo possono avere? «Possono partecipare anche loro alla realizzazione dell'infrastruttura, come è stato fatto nella telefonia mobile. Poi c'è chi investe in tutto il Paese come noi, partecipando anche ai bandi per le regioni del Sud, e chi preferisce utilizzare le infrastrutture degli altri». La società delle rete può essere una soluzione? «Gestire la realizzazione di una rete "in condominio" non è efficiente. La rete è fatta di software, server, tecnologie diverse e quindi ciascuno deve poter scegliere in autonomia. Ogni operatore ha sue idee, strategie e modello di business. Si rischia l'impasse. La tecnologia è il primo campo di competizione tra le aziende». Dopo la lettera d'intenti tra Vodafone e Metroweb, avete archiviato il dossier? «Non capisco questa ossessione sulla proprietà della rete Telecom. Il nostro compito è trovare opportunità che creino valore per l'azienda alle giuste condizioni. Siamo la prima società del Paese per risorse e know how, come manager siamo chiamati a valorizzarli correttamente. Solo nella rete lavorano oltre 20.000 persone, risorse di cui il nostro Paese deve essere orgoglioso». Sul mercato c'è attesa per l'ingresso di Vivendi nell'azionariato. State già valutando cosa fare insieme? «Qualunque azionista è il benvenuto, soprattutto se porta valore e capacità di competere. Non è un mistero che i servizi di quadplay (telefonia fissa, mobile, Internet e tv) siano un trend del nostro settore».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 22 21/03/2015 Corriere della Sera Pag. 47 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

A che punto è la transizione verso la public company? «La governance di Telecom è un cantiere aperto. Alla prossima assemblea proporremo ulteriori modifiche dello statuto per una sempre maggior apertura al mercato. Anche questo è un modo per creare valore, valore condiviso per tutti gli stakeholder. Mi sembra che ci stiamo riuscendo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il gruppo telefonico a Piazza Affari Ieri 1,094 euro -0,09% GENNAIO 5 19 2 16 2 16 FEBBRAIO MARZO 1,158 1,097 1,036 0,975 0,914 0,853 0,792 d'Arco Foto: Giuseppe Recchi, presidente del consiglio di amministrazione di Telecom Italia Foto: Gestire la realizzazio- ne di una rete "in condomi-nio" non è un sistema efficiente Foto: La governance è un cantiere aperto. Con una sempre maggior apertura al mercato

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 23 21/03/2015 Corriere della Sera Pag. 49 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Sussurri & Grida C'è la lista, Montepaschi conferma Profumo e Viola

( f.mas. ) C'è voluta quasi una settimana di mediazioni tra la Fondazione Mps (2,5%) e i soci del patto di sindacato Fintech Advisory (4,5%) e Btg Pactual (2%) per l'ok ai 7 candidati al board di Mps per l'assemblea di aprile. Nonostante il presidente dell'ente senese Marcello Clarich e la vice Bettina Campedelli siano finiti in minoranza sulla candidatura - confermata - della manager senese di Conad Tirreno, Fiorella Bianchi, non ci sono sorprese: confermati Alessandro Profumo, Fabrizio Viola, Chris Whamond, Roberto Isolani, Fiorella Kostoris e Lucia Calvosa (proposte dalla Fondazione). Gli occhi sono puntati ora sulle liste di Axa (3,7%) e - se confermata - di Alessandro Falciai (1,7%) che si divideranno i restanti 7 posti. Alla seconda lista (su tre), a seconda dei voti, andranno 4 (o addirittura 5 ) posti: i francesi si assicurerebbero così una presa salda nella governance, anche in vista del futuro merger di Mps con un'altra banca. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ansaldo Energia, il primo bond ( c.tur. ) Mandato a sette banche per il primo bond di Ansaldo energia. La società genovese guidata dal ceo Giuseppe Zampini ( foto ) ha incaricato Unicredit, Bnp Paribas, Hsbc (coordinatori del consorzio), Imi, Credit agricole, Commerzbank e Santander (joint bookrunner) per il prestito obbligazionario fino a 400 milioni con scadenza 2022. Il road show partirà la prossima settimana per incontrare gli investitori istituzionali sulle principali piazze europee e il collocamento terminerà con la fissazione della cedola subito prima di Pasqua. L'emissione serve a rimborsare i prestiti contratti quattro anni fa. I soci, ossia il Fondo strategico con il 45% e i cinesi di Shanghai electric al 40%, si apprestano a rifinanziare l'intero debito del produttore di turbine per impianti di generazione, che vale circa 1,2 miliardi di ricavi. È stato infatti definito con lo stesso pool di istituti anche un nuovo prestito rotativo di 350 milioni. Con questo assetto patrimoniale, Ansaldo energia conta di presentarsi l'anno prossimo all'appuntamento con l'ipo a Piazza Affari. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alibaba, doppio accordo con Intesa e Unicredit Intesa Sanpaolo e Unicredit partener del leader cinese dell'e-commerce Alibaba. Obiettivo: la penetrazione nel mercato cinese dei marchi di moda, alimentare, cosmesi e infanzia delle pmi nazionali. Il tutto con la benedizione del governo di Roma che dieci mesi fa ha firmato una lettera d'intenti con il colosso fondato da Jack Ma. L'iniziativa congiunta - presentata ieri anche da Paolo Fiorentino, chief operating di Unicredit, e da Stefano Barrese, capo dell'area sales e marketing di Intesa - nasce con il brand E-Marco Polo e si avvale della piattaforma Tmall global per la vendita online dei prodotti «made in Italy», senza necessità di uffici e logistica diretta a Pechino o Shanghai. In pratica un'infrastruttura web B2C (dalle imprese ai consumatori) che consente di raggiungere centinaia di milioni di clienti, assicura Maggie We, general manager di Tmall. Con 287 miliardi di dollari le vendite retail online in Cina hanno superato quelle in Usa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 24 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato I rincari in agguato fate prima la legge di stabilità Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Nonostante tagli per circa 10 miliardi di euro nell'anno in corso, la legge di Stabilità non è riuscita a fermare la crescita della spesa pubblica. La spesa delle amministrazioni pubbliche scenderà leggermente nel 2015, da 835 a 829 miliardi di euro, per poi risalire a 850 miliardi nel 2017, una cifra sostanzialmente identica al livello di spesa (854 miliardi) che si sarebbe raggiunto se non fosse stata approvata alcuna legge di Stabilità (dati del ministero dell'Economia rielaborati da Francesco Daveri su lavoce.info ). L'incapacità del governo di aggredire la spesa, che continua ad assorbire oltre la metà del reddito nazionale, è particolarmente preoccupante perché la stessa legge di Stabilità include una «clausola di salvaguardia» che si attiverebbe automaticamente qualora venissero mancati gli obiettivi di finanza pubblica. Se nelle prossime due leggi di Stabilità (per il 2016 e 2017) il governo non riuscisse a ridurre il deficit di 17-18 miliardi circa in ciascun anno, scatterebbe automaticamente un aumento dell'Iva. L'aliquota oggi al 10% salirebbe al 12 nel 2016 e al 13 l'anno successivo; l'aliquota del 22% salirebbe in due anni al 25%. Per evitarlo - escludendo il ricorso a un aumento della pressione fiscale - sono necessari tagli di spesa pari a circa 35 miliardi in due anni. Gli effetti macroeconomici di un aumento dell'Iva potrebbero essere devastanti, uccidendo sul nascere la nostra mini-ripresa. S tudi sugli effetti di un aumento delle tasse (ma anche la recente esperienza del Giappone) mostrano che un rialzo delle imposte indirette, cioè dell'Iva, produce i maggiori effetti recessivi, significativamente maggiori di un corrispondente aumento delle imposte dirette, ad esempio sulla ricchezza o sul reddito, che pure sono recessivi. Al contrario, tagli di spesa, soprattutto se aggrediscono voci come i sussidi alle imprese, gli acquisti delle amministrazioni, il monte salari dei dipendenti pubblici, ma anche la spesa per infrastrutture, influiscono solo marginalmente sulla crescita, talvolta persino la accelerano perché convincono famiglie e imprese che il governo ha imboccato l'unica strada che può condurre a una riduzione permanente della pressione fiscale. Insomma, è solo tagliando la spesa che le tasse potranno scendere stimolando la ripresa. La ricetta è chiara: tagliare le spese, innanzitutto per evitare un aumento dell'Iva e poi per poter ridurre stabilmente le aliquote fiscali. Ma i tempi sono cruciali. È in atto una timida ripresa dell'attività economica, per ora sostenuta soprattutto dalla domanda di esportazioni grazie alla svalutazione dell'euro. Il momento per agire è oggi. Bisogna far sì che la ripresa si consolidi e per farlo non bastano le esportazioni. Dopo il cambiamento epocale intervenuto nel mercato del lavoro grazie al Jobs act occorre convincere famiglie e imprese che la pressione fiscale sul lavoro scenderà, non solo sui nuovi assunti, ma su tutti i lavoratori. E il solo modo per farlo credibilmente è tagliando la spesa (come si illustra ampiamente in queste pagine). Purtroppo il presidente del Consiglio, che pure ha capito subito l'importanza del Jobs act, pare far fatica a convincersi che tagliare la spesa pubblica è altrettanto importante. Dopo non aver fatto praticamente nulla nella sua prima legge di Stabilità, Matteo Renzi ha recentemente riaperto il capitolo della spending review annunciando la nomina di due nuovi responsabili, il professor Roberto Perotti e l'onorevole Yoram Gutgeld. Ma senza fretta: a due settimane dall'annuncio, la nomina formale non è ancora arrivata. Ma soprattutto i tagli

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 25 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

che i due nuovi commissari proporranno saranno inseriti nella prossima legge di Stabilità, cioè entreranno in vigore, se tutto va bene, fra un anno. Perché bisogna aspettare tanto? Perché non si può intervenire subito e cominciare a risparmiare già nella seconda metà di quest'anno? In alcune aree, come i sussidi alle imprese, i capitoli da aggredire e le norme da cancellare sono noti da anni. Basta farlo, 35 miliardi di tagli non sono pochi: più tardi si inizia, meno probabile è ottenerli. Ridurre gli sprechi ed evitare la corruzione negli appalti pubblici è importante ma non basta se l'obiettivo è una riduzione della pressione fiscale di cui famiglie e imprese si accorgano. Occorre riflettere a fondo sul nostro sistema di welfare, che pur essendo costoso protegge poco e male i più deboli e regala invece servizi gratuiti, ad esempio nella sanità, a chi potrebbe pagarli. Anche qui non si tratta di partire da zero: basterebbe rileggere l'eccellente Rapporto della commissione presieduta da Paolo Onofri durante il primo governo Prodi, rimasta in un cassetto per quasi vent'anni. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 26 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 2 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

I risparmi per evitare l'aumento da 16 miliardi dell'Iva previsto per il 2016 Sanità, costi standard nelle Regioni, calmiere agli acquisti degli enti locali Spesa pubblica, il governo ci riprova Meno oneri La riduzione dei tassi dovrebbe tradursi in 4 miliardi in meno di oneri sul debito statale Enrico Marro

ROMA Il governo è a caccia di 10 miliardi di euro per evitare che nel 2016 scattino le clausole di salvaguardia previste dalle ultime due leggi di Stabilità. Clausole inserite per ottenere il via libera di Bruxelles e che prevedono l'aumento dell'Iva e delle accise l'anno prossimo per un maggior gettito di 16 miliardi. Per il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, trovare risorse alternative a questo nuovo aumento delle tasse è una priorità. E ovviamente vanno trovate tagliando la spesa pubblica. Per questo il piano per la spending review sarà centrale nel Def, il Documento di economia e finanza che il governo approverà entro il 20 aprile, per poi mandarlo in Parlamento e alla Commissione europea. Due nuovi commissari? Il Def indicherà le linee guida per la legge di Stabilità del 2016. Al ministero dell'Economia e a Palazzo Chigi hanno sul tavolo il pacchetto di proposte lasciato dall'ex commissario Carlo Cottarelli. Ma devono anche sciogliere il nodo che riguarda la nomina di due nuovi commissari. Palazzo Chigi, qualche settimana fa, aveva fatto filtrare che l'incarico sarebbe andato a due dei consiglieri del premier Matteo Renzi che già si occupano della materia: Yoram Gutgeld e Roberto Perotti. Ma il relativo Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) è rimasto nel cassetto. Si è ipotizzato che Padoan si fosse messo di traverso, ma i suoi collaboratori smentiscono. E anzi dicono che «non ci sarebbe alcun problema da parte nostra» sulla eventuale nomina dei due commissari. Il Def, finalmente, quest'anno può contare su basi di partenza favorevoli. Il Prodotto interno lordo dovrebbe crescere, secondo le stime più accreditate, dello 0,8% nel 2015, contro lo 0,6% previsto dallo stesso governo alla fine del 2014. E l'anno prossimo dell'1,5%. Tante voci Per ridurre la spesa pubblica di 10 miliardi (su un totale di oltre 800 miliardi) il governo punta su un piano con molte voci. Applicazione massiccia dei costi standard a Regioni, Comuni e spesa sanitaria. Taglio delle società partecipate dagli enti locali (11 mila, secondo l'Istat, di cui 1.454 non attive). Le misure già previste dall'ultima legge di Stabilità potrebbero intanto essere rafforzate con il disegno di legge delega di riforma della Pubblica amministrazione all'esame del Parlamento. Razionalizzazione del trasporto pubblico locale, con l'obbligo di gare per l'affidamento del servizio, il taglio dei trasferimenti alle Regioni che non ottemperano e l'applicazione dei costi standard per la definizione dei trasferimenti stessi, come prevede un disegno di legge che dovrebbe arrivare presto in Consiglio dei ministri. Riassetto delle articolazioni periferiche della Pubblica amministrazione e dei corpi di polizia. Anche qui le prime novità (assorbimento del corpo forestale) potrebbero arrivare con gli emendamenti alla riforma Madia. Introduzione di severi criteri di valutazione costi benefici sulle opere pubbliche. Abbattimento delle 30 mila stazioni appaltanti e allargamento del perimetro di azione della Consip, la Centrale pubblica degli acquisti di beni e servizi, passando dai 38 miliardi presidiati ora a 50 miliardi (su un totale potenziale di 90). Migliorano i saldi Ci sono poi i capitoli più delicati. Le tax expenditure, cioè il riordino degli sgravi fiscali, pure previsto dalla delega sul Fisco, e degli incentivi alle imprese. Capitoli anche questi indicati nel piano Cottarelli del 18 marzo 2014, che puntava a tagli per ben 34 miliardi nel 2016, e che sono rimasti sulla carta. Oltre ai 10 miliardi di tagli alla spesa, il Def dovrebbe contare su 4 miliardi in meno di oneri sul debito pubblico, grazie alla riduzione dei tassi. L'aumento del Pil dovrebbe infine garantire, oltre a maggiori entrate, un miglioramento dei saldi di bilancio fondamentali per passare gli esami a Bruxelles. Il deficit potrebbe scendere quest'anno al 2,6% del Pil e nel 2016 sotto il 2%. E il debito pubblico cominciare a scendere, nel 2016 sotto il 130%.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 27 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 2 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

© RIPRODUZIONE RISERVATA 33,9 Totale Spese enti pubblici Costi politica Riduzione trasferimenti Efficientamento diretto Acquisti e appalti online Stipendi dirigenti Riorganizzazioni Spese per settori Difesa Sanità Pensioni Corriere della Sera Le tappe Il governo è a caccia di 10 miliardi di euro per evitare che nel 2016 scattino le clausole di salvaguardia previste dalle ultime due leggi di Stabilità Si tratta di clausole inserite per ottenere il via libera di Bruxelles e che prevedono l'aumento dell'Iva e delle accise l'anno prossimo per un maggiore gettito di 16 miliardi di euro Secondo il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan è necessario trovare risorse alternative per non alzare la pressione fiscale. Risorse da individuare tagliando la spesa pubblica improduttiva Per questo il piano per la spending review sarà centrale nel Def, il Documento di economia e finanza che il governo approverà entro il 20 aprile, per poi inviarlo al Parlamento europeo e alla Commissione europea

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 28 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 27 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato la crisi greca il nazionalismo (anche dei capitali) che blocca l'europa Istituzioni Quale Unione sarà mai quella che dovrebbe essere vigilata non già da un regolatore unico, ma da decine di autorità con lo sguardo al cortile di casa? Salvatore Bragantini

La stretta sulla Grecia, che oggi attanaglia l'Europa, ne determinerà il corso. In questo polverone, una cosa si vede bene: ognuno lavora per sé, nessuno per tutti. I governi descrivono l'Europa ai loro elettori come la matrigna cattiva: che al Sud impone sempre riforme e inasprisce la vita, e al Nord succhia i soldi per regalarli alle ricche cicale meridionali. Se si continua così il progetto europeo sarà snaturato, se non distrutto; torneremmo a quel dominio dei forti sui deboli che il progetto europeo vuole superare. La proposta di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Ue, per un esercito comune europeo è stata qui commentata da Ricardo Franco Levi (il 16 marzo) e da Antonio Armellini (il 19 marzo). Pur non attuabile oggi in concreto, essa mette a nudo, richiamandosi agli originari obiettivi dell'Unione, la mutazione genetica che questa ha subito negli ultimi decenni. Dall'inizio, chi aveva responsabilità operative doveva perseguire l'interesse comune europeo. Solo il Regno Unito non accetta una «unione sempre più stretta» come fine ultimo del progetto; al motto «Se non puoi batterli, mettiti con loro», Londra prima fondò la rivale Area europea di libero scambio, poi, fallita questa, entrò nella Comunità economica europea. La frase di Margaret Thatcher «Rivoglio indietro i miei soldi» rende bene un metodo volutamente distruttivo per i delicati meccanismi istituzionali della Ue. Le appartenenze nazionali, certo, hanno sempre contato; ognuno è condizionato dalla propria storia e formazione, ma ciò non autorizzava i rappresentanti delle istituzioni a favorire il proprio Paese, a svantaggio degli altri. La nomina di un leader debole come José Barroso a presidente della Commissione Ue nel 2004 e la bocciatura della proposta di Costituzione europea nel referendum francese del 2005 marcarono la fine, mai però dichiarata, dell'originario approccio europeo. Da allora dilaga quel «metodo intergovernativo» che, rinnegando lo spirito europeo, sta facendo deragliare il progetto. Le prime nomine alla Banca centrale europea, nel '98, si ispirarono ancora alla corretta logica europea; i membri del Comitato esecutivo furono scelti per le loro competenze al servizio dell'Europa, mentre gli Stati erano rappresentati, nel Consiglio direttivo, dai governatori delle banche centrali nazionali. Il crescente degrado nazionalistico si manifestò bene nelle obiezioni alla scelta di Mario Draghi come presidente. Ad impeccabili credenziali venne opposta la sua nazionalità; diamine, vogliamo dunque affidare a un italiano la Bce, che deve darci una moneta stabile? Quel degrado dilaga nell'ormai vociante opposizione tedesca ad una politica monetaria che, proprio per adempiere a quel mandato, guarda all'eurozona come un tutt'uno, anziché come miscela insolubile di 19 ingredienti diversi.La provocazione di Juncker è forse utile. Il ritorno al vero spirito europeo è difficilissimo, ma tutto è possibile a chi percepisca fino in fondo la gravità del momento; ben altro coraggio servì ai francesi, nelle rovine della Sconda guerra mondiale, per offrire, alla nemica storica in ginocchio, di condividere quanto serve per farsi la guerra, acciaio ed energia. All'Europa sull'orlo del crepaccio oggi serve quel previdente coraggio, ma non saranno i governi nazionali a volersi ridimensionare per dare maggior potere ad istituzioni autenticamente europee: i tacchini, si sa, non votano per il Natale. A ridarci la prospettiva europea non saranno le risse sui punti decimali di deficit dei negoziati attuali fra Atene e Berlino, costretti nel binario morto di regole volte a superare la diffidenza fra Stati. Potrà farlo, in un futuro speriamo non troppo remoto, solo una grande iniziativa, promossa magari da cittadini dei sei Paesi del Trattato di Roma, che affermi la necessità di istituzioni politiche per l'eurozona; essa dovrà un giorno avere un suo Parlamento, e un suo governo, cui quelli nazionali cedano compiti, poteri e risorse. Non ne usciremo se non passando dalle regole (da condominio) della vecchia Europa alle istituzioni (democratiche) della nuova.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 29 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 27 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il vento che gonfia le vele dell'antieuropeismo non è il populismo, ma il nazionalismo; sono ipocriti quei governi che lo deplorano mentre lo titillano senza scrupoli. Ne è esempio il progetto di Unione dei mercati dei capitali, promosso proprio da Juncker: quale Unione sarà mai quella che dovrebbe essere vigilata non già da un regolatore europeo, ma da una macedonia di decine di autorità nazionali, lo sguardo fisso al cortile di casa? Si pensi anche alla difficoltà di gestire un «allentamento quantitativo» che agirà sui debiti pubblici di 19 Stati: come se il Federal reserve system degli Usa dovesse raccattare titoli, dalla California al South Dakota! Un conto è non addossare ai tedeschi i debiti greci (o italiani), altro è escludere ogni ricerca dei modi per superare quella frammentazione: non mancano proposte sul tema di autorevoli istituzioni, anche tedesche. Le ignora solo una politica miope, che non osa proporle ai cittadini ai quali ha propinato una realtà rovesciata, per cui i debiti pubblici sarebbero la causa, anziché l'effetto, della crisi. Se non si inverte il senso di marcia, in Europa gli Stati forti domineranno sui deboli: ciò nuocerebbe molto non solo alla nostra debole Italia, ma anche all'Europa che Adenauer e Monnet non si limitarono a sognare. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 30 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 28 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato La Lente Tassi «zero» Come ottenere fino al 4% (senza rischiare) Marco Sabella

Trovare il giusto orientamento nella selva dei mini rendimenti. L'avvio della manovra di Quantitative easing da parte della Bce, con l'acquisto di titoli governativi (e non solo) per un ammontare di 65 miliardi al mese ha impresso un'ulteriore accelerazione a un fenomeno in atto da tempo. Si tratta del crollo dei rendimenti del mercato del reddito fisso, che ha portato il Btp a dieci anni a una cedola di appena l'1,2% e il Bund decennale di pari durata allo 0,2%. Sui mercati dell'eurozona, ormai, sono frequenti le emissioni a scadenza fino a cinque anni con tasso di interesse negativo. Che cosa possono fare i risparmiatori in uno scenario così anomalo? «Corriere Economia» affronterà questo interrogativo nel numero in edicola domani. La situazione è complessa non soltanto perché il rendimento delle obbligazioni è prossimo allo zero, ma anche perché le borse hanno già realizzato guadagni a doppia cifra da inizio anno. Gli esperti interpellati tracciano tuttavia un quadro relativamente rassicurante. Ottenere guadagni compresi fra il 2 e il 4% da un portafoglio bene diversificato è possibile, anche senza spingere troppo sull'acceleratore del rischio. Il parcheggio del risparmio sui conti di deposito online e vincolati, per esempio, è ancora in grado di offrire rendimenti netti di circa l'1%, valore elevato se si considera il contesto di un'inflazione sottozero. Le emissioni in valuta a breve scadenza possono dare ancora interessanti guadagni in conto capitale, visto che la tendenza alla svalutazione dell'euro non è esaurita. Infine tra i valori azionari da tenere d'occhio ci sono sempre le società ad alto dividendo - Eni, Enel, Terna e alcuni gruppi industriali _ che offrono un "dividend yield " in molti casi superiore al 4% lordo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 31 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 31 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'intervista il presidente di mps Profumo: «Lascio Montepaschi Dopo l'aumento mi metto in proprio» Il rimborso «I Monti bond li restituiremo pagando anche un bel po' di milioni di interessi» Daniele Manca

Si ricomincia. E questa volta in proprio. Alessandro Profumo sta per chiudere la sua esperienza al Monte dei Paschi. Non deve essere stato facile per lui, abituato a essere visto come l'artefice di una delle maggiori e più difficili integrazioni nel credito in Europa e nel mondo (quella tra l'italiana Unicredit e la tedesca Hvb, che ne ha fatto un colosso con il 3,5% del mercato europeo), passare gli ultimi anni a tentare di risollevare una delle più sofferenti banche d'Italia: il Monte dei Paschi. A zero compensi come Presidente (forte della liquidazione da Unicredit) ha trascorso 36 mesi tra Banca d'Italia, la litigiosa provincia senese, il ministero dell'Economia e Bruxelles. Tre anni a tentare di far capire che l'istituto di Rocca Salimbeni poteva essere salvato; che aver ingoiato il difficile boccone della strapagata Antonveneta non significava necessariamente morire per soffocamento; che le inchieste penali non si sarebbero tramutate nella lenta estinzione dell'istituto. E che soprattutto il sistema Paese poteva permettersi, al pari di qualsiasi altra nazione dell'Eurozona , di sorreggere le difficoltà di un'istituzione finanziaria che all'epoca era la terza banca in Italia. E che oggi si appresta a un nuovo e importante passaggio. E adesso Profumo ... «E adesso è tutto più tranquillo. Sono arrivato il 28 aprile del 2012, Fabrizio (Viola ndr. ) mi aveva appena preceduto nel gennaio come direttore generale. Pochi giorni dopo, il 5 maggio, c'erano 150 finanzieri alle porte della banca per una delle tante inchieste penali che avrebbero interessato le gestioni precedenti ... ». Un po' di aver accettato? «Pentito proprio no. Non è stata una passeggiata però». Anche perché non è finita. «Diciamo che adesso la strada è segnata e, se permette, il compito sebbene non semplice, è comunque facilitato. Per questo non ho nessun motivo per essere pentito». Non sembra convinto . «No, sono convintissimo, perché con il superamento dei passaggi rappresentati da Assemblea e aumento di capitale la parte più importante del risanamento della banca potrà dirsi conclusa». Lei usò l'espressione «servizio civile» e ci fu chi ironizzò . «In Italia ci sono maestri in questo gioco della delegittimazione. Dissero che avrei subito litigato con Viola, che volevo fare il capo di Mps, non è accaduto nulla di tutto questo e l'abbinata ha funzionato. La verità è che semplicemente volevo restituire un po' della fortuna che avevo avuto al Paese. Perché, ripeto, tre anni fa la situazione era ben diversa». Montepaschi ha avuto bisogno di un forte aiuto pubblico, ben 4 miliardi dei cosiddetti Monti Bond . «Aiuto restituito quasi completamente. E con gli interessi: esattamente 720 milioni, una prima tranche di 480 e una seconda di 240. Con il prossimo aumento di capitale restituiremo anche l'ultima parte dei Monti Bond. Lo scenario che abbiamo dovuto affrontare fu molto peggiore del previsto. E solo perché fummo ancora più pessimisti sul quadro macroeconomico che siamo riusciti a uscire dalle secche di una crisi che poteva essere fatale». Fatale...ha temuto di non farcela? «Se dicessi che ero sicuro al 100% di farcela, direi una bugia. Se devo essere sincero non ero mica sicuro sa». Addirittura... «Ma certo. Vuole mettere la percezione che c'è del Paese oggi e quella che c'era in quegli anni? L'affidabilità dell'Italia era ai minimi. Per una banca il contesto è decisivo, pensi solo al fatto che finalmente quest'anno il

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 32 22/03/2015 Corriere della Sera Pag. 31 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

primo trimestre vedrà un segno più nel prodotto interno lordo. L'eredità che avevamo ricevuto era di una banca piena di incagli, di crediti che non si riuscivano a riprendere». Ma oggi Mps è una banca più piccola . «E' più piccolo il bilancio ed, è più piccola la rete. Ma siamo più efficienti. Segniamo un più 28% nel risultato operativo». Avete però chiesto prima 5 e ora 3 miliardi al mercato . «Ce li hanno dati allora ed ora abbiamo un consorzio di garanzia che evidentemente crede in noi, crede giustamente nel fatto che questa nuova Mps sarà ancora in grado di dare soddisfazione a chi punta sulla banca». Ma avrete bisogno di un partner, di un'aggregazione.. . «E' evidente che le dimensioni della competizione sono tali che pensare di farcela da soli sarebbe presuntuoso. Starà ai soci decidere - anche per la necessità di vedere il capitale investito remunerato - ma io non avrei dubbi». A giudicare dal tempo impiegato dai soci per fare una lista dei nuovi consiglieri non hanno le idee molto chiare... l'hanno consegnata all'ultimo minuto . «Intanto li ringrazio per gli attestati di stima ricevuti. E poi qualche ragione ce l'hanno, lo Statuto pone molti vincoli, da quello di genere a quello sugli indipendenti. Fatto sta che oggi la banca ha un'ottima governance e un ottimo management». Ma dovrà cercarsi un nuovo presidente perché lei lascerà . «Sì, finito l'aumento di capitale, ritengo concluso il mio compito. Aiuterò, se mi sarà richiesto, i soci nella scelta del nuovo presidente. Sono sicuro che il Patto sarà in grado di identificare una persona di alto livello. Farò un po' in ritardo quello che da tempo sto meditando. L'imprenditore». L'imprenditore? «Sì, vorrei costruire una struttura che fornisca capitali e assistenza a imprenditori medi che vogliano crescere e diventare grandi». Auguri ... non è una tendenza molto in voga nel Paese del piccolo è bello . «Al contrario, credo che ci sia in questo Paese una gran voglia di giocare un ruolo all'altezza delle aspettative. L'Italia è piena di imprenditori che con passione e metodo vogliono fare il salto». Niente estero quindi? «Mi basta essere nell' International Advisory board del Banco Itau (la più grande banca privata in Brasile ndr. ) e nel supervisory board della Sberbank (la maggiore banca russa e dell'est Europa ndr. ). Per il resto, l'Italia, oltre che una scommessa imprenditoriale e un Paese che ha tutte le carte per tornare ai livelli che merita, per me significa anche mia moglie, mio figlio, una nuora e dei nipoti, cose che contano, non crede?». © RIPRODUZIONE RISERVATA La carriera Alessandro Profumo, 58 anni, ha iniziato ventenne al Banco Lariano, per poi passare alla consulenza in McKinsey e alla Bain È stato direttore generale della Ras e, dal 1994, è passato al Credito dove ha guidato le integrazioni con Hvb e con Capitalia Da tre anni è presidente del Montepaschi su designazione della Fondazione Foto: Alessandro Profumo, classe 1957, già Ceo di Unicredit, lascerà il prossimo luglio la carica di presidente del Monte Paschi di Siena Foto: Pochi giorni dopo l'arrivo a Siena avevo alla porta 150 uomini della Gdf per una delle tante indagini penali in corso Foto: Vorrei costruire una struttura che fornisca capitali agli imprenditori medi che vogliono fare il salto e diventare grandi

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 33 23/03/2015 Corriere della Sera Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'alleanza inedita tra Cina e Russia. Opa a settembre per ritirare il titolo. Tronchetti: assicurato lo sviluppo Pirelli, i segreti di una svolta Prima visita di Ren Jianxin nel 2012. Le garanzie sulla guida italiana Federico De Rosa

ChemChina è il nuovo socio forte di Pirelli: avrà il 65% della newco che lancerà un'Opa a settembre, il 35% sarà dei russi di Rosneft e di Coinv (Tronchetti Provera e alleati). «Garantiti sviluppo e stabilità», assicura Tronchetti, che resterà al comando operativo. Si conclude così una trattativa iniziata tre anni fa con la visita in Italia di Ren Jianxin, il capo del colosso cinese. alle pagine 12 e 13 Turchetti Bisogna riannodare i fili di una storia iniziata tre anni fa per trovare il punto di partenza del lungo cammino che ha portato alla svolta. Tutto comincia con una telefonata. Dall'altro capo c'è Ren Jianxin, il potente capo di China National Chemical Corporation. Chiede a Marco Tronchetti Provera un incontro a Milano. Vuole conoscere da vicino il mondo della Pirelli. L'imprenditore cinese ha un obiettivo, ma non lo rivela subito. Lo farà dopo aver visitato la Bicocca e Settimo Torinese, dove c'è il cuore tecnologico dell'industria degli pneumatici. Vuole comprare. Tutto. È molto determinato. Jianxin è un self , originario della zona rurale dello Dunhuang, che ha iniziato lavando teiere per diventare un big nelle pulizie industriali e, successivamente, per conto del governo centrale ha iniziato ad aggregare piccole aziende chimiche dando vita a ChemChina. A Tronchetti racconta la sua storia, da dove è venuto, le difficoltà che ha dovuto superare, mostrando un lato umano che i cinesi non hanno l'abitudine di rivelare. Lo stop a Yokohama Tronchetti stava già lavorando al futuro del gruppo per renderlo più solido, garantire la continuità e metterlo al riparo dalle mire dei concorrenti e da uno smembramento che avrebbe finito per cancellare il marchio e la storia della Pirelli. La strategia aveva un approdo finale in Asia, mercato dalle enormi potenzialità in cui il gruppo milanese è già presente, ed erano in corso colloqui con Yokohama e la coreana Hankook. Dopo aver visitato le loro fabbriche il presidente decide però che è quella con ChemChina l'alleanza da fare. Per una ragione semplice: non è un concorrente, ha le spalle larghe, un mercato potenzialmente smisurato e dal punto di vista industriale è il partner giusto per estrarre valore dalle attività del segmento «industrial» di Pirelli, che rappresentano un terzo dei volumi e un quarto del fatturato, ma che per restare competitive devono aumentare di taglia. Il colosso cinese ha una divisione, Aeolus Tyre, che produce gomme per autocarri e mezzi pesanti, a cui il gruppo della Bicocca può offrire nuovi prodotti, tecnologia e una vera strategia. Per ChemChina significherebbe proiettare Aoelus ai vertici del mercato mondiale, affidando alla Pirelli il percorso di crescita. E' lo snodo attorno a cui Tronchetti e Jianxin hanno costruito l'alleanza. Aeolus da 28° player mondiale del segmento si ritroverà 4° o 5°. E Pirelli ne sarà il primo azionista. Scontro con Malacalza C'è anche un'altra ragione per cui Tronchetti ha deciso di allearsi con ChemChina. Finora nessuna operazione di aggregazione tra competitor ha creato valore nel settore degli pneumatici. Goodyear, per fare un esempio, ha tentato di mettersi insieme a Sumitomo distruggendo valore e oggi è alle prese con le pratiche di divorzio. L'esatto contrario di ciò che vuole Tronchetti per la Pirelli, in cui nel frattempo è entrata come alleata la famiglia Malacalza, condividendo il progetto. I genovesi si metteranno però di traverso aprendo un contenzioso con i vertici del gruppo milanese. In quella fase turbolenta il gruppo di Pechino aspetterà fiducioso. Ai Malcalza succederanno Clessidra e la famiglia Rovati e questi assisteranno all'ingresso di Rosneft. È in questa fase che ChemChina rientra in partita. Viaggio a Washington I russi, così come Jianxin, conoscono il progetto a lungo termine e lo condividono. Anche la partnership con i russi però finirà per creare qualche problema. Che stavolta non si può risolvere con una trattativa. Il problema si chiama Ucraina. Rosneft e il suo presidente Igor Sechin, che è anche della Pirelli, vengono colpiti dalle sanzioni internazionali contro la Russia. Raccontano che fu Tronchetti a gestire la situazione

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 34 23/03/2015 Corriere della Sera Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

volando a Washington per spiegare al Dipartimento di Stato che quella con Rosneft era un'alleanza industriale e che Pirelli fa pneumatici e basta. Nulla che abbia a che fare con la sicurezza o la difesa. Rosneft rimane a bordo come socio e alleato. A ottobre la stretta Rosneft resta anche nel riassetto con ChemChina, affiancando i soci italiani. Non è un dettaglio da poco. Un'alleanza Russia-Cina in un'azienda a guida italiana è un unicum. Tronchetti è riuscito a creare le condizioni, mantenendo invariato l'assetto e la guida operativa della Pirelli. A trovare la formula è stato l'avvocato Michele Carpinelli e i legali dello studio Chiomenti, che insieme a un ristretto team della Lazard coordinato da Marco Samaja, e agli uomini della Mtp spa, la cassaforte di Tronchetti, da ottobre hanno iniziato a lavorare nel massimo riserbo alla rifinitura del dossier. Incontro con il premier Un'altra persona era al corrente della stretta con ChemChina: il premier Matteo Renzi, che era stato informato dell'operazione neglin ultimi giorni. La politica non ha interferito. Le polemiche sull'italianità, sull'arrivo dei cinesi, sulle garanzie occupazionali, che hanno fatto da cornice al rush finale fanno parte del gioco. Un po', forse, Tronchetti se le aspettava, anche se in Pirelli non cambierà nulla. Rispetto ai vecchi accordi con Rosneft, quelli firmati ieri saranno addirittura più stringenti, oltre a definire un nuovo equilibrio in cui i soci italiani peseranno più dei russi. Per la prima volta i patti di sindacato diventeranno parte dello Statuto della Pirelli, che verrà modificato introducendo l'obbligo del 90% di voti favorevoli in assemblea per trasferire la sede o vendere la tecnologia. Un'innovazione che è una garanzia di lungo termine per la stabilità, l'integrità e l'italianità del gruppo, di cui l'attuale management manterrà la guida operativa, con a capo Tronchetti a cui è stata affidata anche la gestione dell'intero riassetto e la facoltà di decidere quando riportare Pirelli in Borsa. A settembre partirà l'Opa per ritirare Pirelli dal listino. A lanciarla sarà un veicolo societario di cui ChemChina avrà il 65% e Tronchetti con Rosneft e i soci italiani il 35%. Ma i pesi potrebbero cambiare. Dipende dal livello di adesione all'Opa, a cui i soci italiani parteciperanno apportando capitali, dopo aver venduto però alla stessa società il 26% di Pirelli detenuto da Camfin. Ci vorranno tre anni per completare la manovra di cui Tronchetti sarà il grande regista. Il percorso è tutto definito. Anche il punto di caduta. Al termine del riassetto Pirelli potrà tornare in Borsa, con in pancia la parte pregiata dei pneumatici premium, valutati dal mercato a multipli più alti, e la quota di maggioranza della nuova realtà «industrial» che nascerà dall'aggregazione con Aeolus. © RIPRODUZIONE RISERVATA la quota di ChemChina (ma gli italiani hanno facoltà di salire al 49,9%) le quote necessarie per trasferire sede, tecnologia e produzioni 65% 90% I numeri 7,4 miliardi il valore della Pirelli dopo l'Opa Dopo il riassetto in caso di adesione totalitaria all'offerta Chi corre in Borsa negli ultimi 12 mesi Corriere della Sera NUOVE PARTECIPAZIONI Tronchetti Provera e alleati UNICREDIT INTESA SANPAOLO CHINA CHEMICAL ROSNEFT NEWCO PIRELLI NOKIAN CONTINENTAL BRIDGESTONE MICHELIN GOODYEAR +35,8 +34,9 +28,7 +28,2 +21,2 -10,2 PIRELLI TRUCK Camion e cantiere PIRELLI TYRE Auto e moto 22,6% 100% 65% 12,4% -10 -20 0 10 20 30 40 La svolta L'operazione di ChemChina comincia con una telefonata di Ren Jianxin, il numero uno del gruppo chimico cinese, a Marco Tronchetti Provera nel 2013 In seguito Jianxin visita la Bicocca e Settimo Torinese, dove c'è il cuore tecnologico della Pirelli, quindi incontra Tronchetti Provera al quale delinea i contenuti di un'eventuale operazione industriale Il colosso cinese ha una divisione, Aeolus Tyre, che produce gomme per autocarri e mezzi pesanti, piccola e poco tecnologica, a cui Pirelli può offrire nuovi prodotti e una diversa visione del mercato Per ChemChina significa proiettare Aoelus ai vertici del mercato mondiale, affidando

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 35 23/03/2015 Corriere della Sera Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

alla Pirelli la strategia di crescita. E' lo snodo attorno a cui Tronchetti e Jianxin hanno costruito l'alleanza. Aeolus da 28° player mondiale si ritroverà quarto o quinto La curiosità Trattative in tre lingue Almeno tre lingue, anzi quattro. Inglese, di ordinanza. Russo, per la presenza del socio Rosneft (il numero uno Igor Sechin fin qui vicepresidente del gruppo della Bicocca). Italiano, perché la Pirelli parla ancora tricolore. Infine, mandarino. Perché il socio entrante è ChemChina, China National Chemical Corporation, protagonista di un corteggiamento durato tre anni. Grande lavoro per i traduttori: i documenti di un'operazione che prevede il lancio di un'offerta pubblica di acquisto e la creazione di una nuova società sono tanti. Il diavolo sta nel dettaglio e nel lessico. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Il profilo Marco Tronchetti Provera, 67 anni, presidente e amministratore delegato del gruppo Pirelli oggetto di un riassetto con l'Opa dei cinesi

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 36 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LA GOVERNANCE EUROPEA L'anomalia greca e il direttorio di plastica Adriana Cerretelli

Altro ripescaggio della Grecia ieri a Bruxelles, altro esorcismo su Grexit. Un po' di ossigeno ad Alexis Tsipras dall'euro-politica battendo e ribattendo sui chiodi delle riforme che deve fare e patti che deve rispettare. Nei fatti. Sarebbe un copione stravisto, consunto nell'esasperante ripetitività delle ultime settimane se a recitarlo, invece del solito vertice formato Eurogruppo, questa volta non fosse stata soltanto una sua frazione, sia pure eccellente. Di direttorii più o meno estemporanei e/o efficaci, di geometrie variabili più o meno formali come di sgarbi volutamente o no deliberati, la storia europea è ricca in abbondanza. Ma il vertice europeo "matrioska" è un inedito. Già fare accettare ai leader Ue i summit a 28, che poi si riducono a 18 per ammettere solo i Paesi dell'eurozona, è stata un'impresa ardua e gravida di tensioni tuttora irrisolte. Estrapolare da quei 18, come è successo giovedì sera su iniziativa del presidente del Consiglio Donald Tusk, un direttorio a Sette per rispondere alla richiesta di Tsipras di porre la questione greca al massimo livello politico europeo, è un bizzarro e irrituale exploit istituzionale che non a caso ha suscitato sonore proteste di Belgio, Olanda e Lussemburgo, oltre che di Italia, Spagna, Finlandia e, fuori dall'eurozona, di Gran Bretagna e Repubblica Ceca. Sette anni di euro-crisi hanno dimostrato che la governance dell'area così come è non può andare avanti a lungo. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 l'unione monetaria va al più presto affiancata da un'unione economica e politica, in breve da un'integrazione molto più profonda e strutturata di quella raggiunta finora, per fare dell'euro una moneta normale e ricucire strappi, divergenze, eccessi di eterogeneità che dividono gli euronauti invece di compattarli. Il micro-vertice dei Sette, che ha raccolto intorno allo stesso tavolo per discutere con Alexis Tsipras di Grecia Angela Merkel, François Hollande, i presidenti di Bce, Commissione europea, Consiglio Ue ed Eurogruppo, lancia invece il messaggio opposto, fatto per scavare e non colmare i fossati nazionali. Per di più ne sfugge la logica: Germania e Francia non sono gli unici creditori di Atene, chi più chi meno lo sono tutti nell'eurozona e l'Italia è il terzo per importanza. Ma la gaffe politica compiuta per l'occasione è persino più pesante, in prospettiva, di quella finanziaria. Se davvero si vuole ricostruire la mutua fiducia intra-europea, porre le basi per un salto di qualità del processo di integrazione non si può certo procedere con leggerezza, rozze semplificazioni e doppiopesismi tra Paesi membri, infiammando i nervi scoperti di molte sovranità nazionali già in ritirata ma presto teoricamente chiamate a farsi sempre più piccole, in nome del superiore interesse della futura stabilità dell'euro. Non si può quando si sa che, con la sola eccezione della Banca centrale europea di Mario Draghi protetta dall'indipendenza statutaria, le altre istituzioni come Consiglio Ue ed Eurogruppo sono organi intergovernativi guidati da presidenti di osservanza "tedesca". La Commissione di Jean-Claude Juncker, sulla carta garante dei Trattati Ue e detentrice del potere di iniziativa e di mediazione comunitaria, viene tenuta ai margini con fastidio, proprio per la sua ansia di difendere la propria identità e potestà istituzionale. Non si può perché il vecchio direttorio franco-tedesco, motore in passato della costruzione e dei tanti successi europei, è morto con la riunificazione della Germania. Soprattutto politicamente è ormai da anni un rudere spoglio, che serve alla Merkel per mimetizzare gli straripamenti di potere e cultura tedesca in Europa e a Hollande per fornirle l'alibi e far finta di non esserne il vassallo, sia pure riluttante. Se è vero che l'interdipendenza economica e strategica europea è sempre più stringente e capillare e la sovranità nazionale l'ultima delle grandi illusioni nel mondo globale prima che continentale, non è giocando ai

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 37 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

vertici-matrioska che si favorisce il bagno di realismo di cui l'Europa ha disperato bisogno. Il problema greco è cosa seria e complessa. Ma il teorema europeo oggi è un'equazione con troppe incognite da sciogliere per trattarlo con superficialità politica. Di sicuro la Grecia è il grande peccatore che non sta ai patti da punire e redimere. Però la Francia da anni viola imperturbabile le regole anti-deficit dell'Unione europea eppure non solo non incorre nelle multe che merita grazie allo scudo tedesco ma impartisce lezioni ad Atene dal suo podio nel direttorio. Con malsani doppiopesismi l'Europa cresce sulla sabbia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 38 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 2 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Ripresa e mercati LA GIORNATA Le Borse europee volano ai massimi storici Lo Stoxx 600 ai livelli del 2000, Londra supera i 7mila punti - Balzo dell'euro che sfonda quota 1,08 Andrea Franceschi

I FONDI AZIONARI Per l'Europa decima settimana consecutiva di saldi positivi: da inizio anno raccolta netta per oltre 41 miliardi di dollari Gli investitori continuano a puntare forte sulle azioni europee. Quella di ieri è stata una seduta di rialzi sostenuti per le piazze continentali che hanno archiviato la loro settima settimana consecutiva con il segno più. Al termine degli scambi Milano era in rialzo dell'1,63%, Madrid del 2,96%, Parigi dell'1% e Francoforte dell'1,18 per cento. Da segnalare poi la performance dell'indice Ftse 100 (+0,86%) della piazza di Londra che ieri ha superato per la prima volta nella sua storia quota 7000 punti. Diversi i fattori che hanno contribuito a questa performance: le schiarite sulla crisi di Atene (vedi articolo nella pagina a fianco) hanno certamente giocato un ruolo positivo, lo stesso può dirsi dei corposi acquisti che hanno premiato i settori minerario, energetico del cemento. Se i primi due hanno beneficiato dei rialzi delle materie prime (vedi articolo a pag. 25) il comparto del cemento ha ricevuto una notevole spinta dal nuovo compromesso raggiunto tra i colossi Holcim e Lafarge per la fusione. Stoxx 600 record dal 2000 L'indice Stoxx 600, che monitora l'andamento delle principali piazze continentali si è consolidato oltre la soglia dei 400 punti, ai massimi dal 2000. Da inizio anno il paniere ha guadagnato circa il 18% sulla scommessa che le iniezioni di liquidità della Bce (Quantitative easing) avranno effetti positivi sulla ripresa economica e sugli utili aziendali (il consensus degli analisti S&P Capital IQ mette in conto una crescita del 16% dei profitti per le maggiori quotate europee). L'interesse degli investitori per le azioni europee è peraltro confermato anche dai dati sulla raccolta dei fondi azionari europei che - segnala Epfr Global - nell'ultima settimana hanno registrato 5,4 miliardi di dollari di flussi netti. Per i fondi equity europei si tratta della decima settimana consecutiva di saldi positivi. Da inizio anno la raccolta netta è stata di 41,2 miliardi di dollari. Numeri che contrastano con la performance negativa dei fondi Usa che, nonostante siano tornati ad attrarre liquidità questa settimana (una eccezionale raccolta di 14 miliardi di dollari), sono comunque in rosso di 33,2 miliardi da inizio anno. Così come sono in rosso i fondi azionari dedicati ai Paesi emergenti (11,5 miliardi di dollari). Dollaro volatile Le indicazioni fornite mercoledì dalla Fed, che ha annunciato di voler procedere per gradi al rialzo dei tassi e solo in presenza di una stabilizzazione del mercato del lavoro e una ripresa dell'inflazione, hanno influenzato l'andamento dei mercati anche ieri. Soprattutto attraverso il canale valutario. Come nelle precedenti due sedute il cambio euro-dollaro ha avuto un andamento estremamente volatile oscillando tra un minimo di 1,0655 e un massimo oltre 1,08 dollari. Un movimento innescato da una parte dalla forza dell'euro, sulla fiducia nello sblocco degli aiuti ad Atene già la prossima settimana, e dall'altra dalla debolezza del dollaro che è sceso sulla scommessa di tempi più lunghi per il rialzo dei tassi. Indipendentemente dai movimenti di giornata, buona parte degli analisti resta convinta che la divergenza di politiche monetarie tra le due sponde dell'oceano (resttrittiva la Fed, espansiva la Bce) continuerà a favorire il deprezzamento dell'euro-dollaro. Rally dei bond greci Le schiarite sulla crisi greca hanno dato una notevole spinta alla Borsa di Atene (+3%) oltre che ai bond governativi greci i cui rendimenti, dopo le tensioni dei giorni scorsi, ieri si sono nettamente ridimensionati. Notevole il calo dei tassi sui titoli triennali che ieri sono scesi dal 24 al 20 per cento. Di questa rinnovata propensione al rischio hanno beneficiato anche i BTp italiani: il differenziale di rendimento con i Bund

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 39 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 2 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

tedeschi (spread) ieri è tornato a 101 punti. © RIPRODUZIONE RISERVATA LO SPREAD Differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato decennali rispetto al Bund. In punti base Ieri 150 140 130 120 110 100 90 80 02/01/2015 Febbraio Marzo Spagna 99 Italia 101 2 25 Italia 126 Spagna 101 Andamento ora per ora 110 105 100 95 Apertura Lo spread di ieri Chiusura 105 99 106 101 La fotografia sui mercati I FONDI AZIONARI Per l'Europa decima settimana consecutiva di saldi positivi: da inizio anno raccolta netta per oltre 41 miliardi di dollari LE BORSE Variazioni % di ieri Atene Ase +2,87% DA INIZIO +-9,90% ANNO Milano Ftse Mib +1,63% DA INIZIO +21,91% ANNO Francoforte Dax +1,18% DA INIZIO +22,78% ANNO Parigi Cac 40 +1,00% DA INIZIO +19,07% ANNO Madrid Ibex 35 +2,96% DA INIZIO +11,09% ANNO Fonte: BofAML Global Research, EPFR Global I FLUSSI SUI FONDI AZIONARI Dati da inizio anno in miliardi di dollari -33,219 41,242 8,275 17,082 Usa Europa Giappone Internazionali Foto: LA FOTOGRAFIA SUI MERCATI

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 40 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 11,12 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Alimentare. Nel 2014 i ricavi del gruppo di Alba a 8,4 miliardi, in aumento di 300 milioni (+3,1%): utile ante imposte di 907 milioni (+14,1%) Ferrero cresce con Asia e Stati Uniti I nuovi investimenti sono arrivati a 537 milioni, dei quali 458 per potenziare gli stabilimenti Emanuele Scarci

IL TREND Performance molto positiva per Kinder Ferrero e Rocher, bene Tic Tac e Nutella In lieve aumento anche gli occupati MILANO Un business sempre più dolce per Ferrero. Il colosso dolciario di Alba fa un altro passo in avanti e chiude l'esercizio 2013/14 (al 31 agosto) con miglioramenti su tutta la linea. La lussemburghese Ferrero International, holding del gruppo Ferrero, ha approvato il bilancio consolidato relativo all'esercizio chiuso al 31 agosto 2014, con un fatturato consolidato di 8,41 miliardi di euro, in crescita del 3,9% rispetto agli 8,1 miliardi dell'esercizio precedente. Il risultato d'esercizio di Ferrero, a fronte di un risultato operativo sostanzialmente stabile, beneficia di un miglioramento del risultato finanziario, con un utile prima delle imposte di 907 milioni di euro, in crescita del 14,2%. Rispetto a soli tre anni prima, il 2011, il fatturato è aumentato di 1,2 miliardi e l'utile ante-imposte di una cinquantina di milioni. Ferrero è il gruppo alimentare italiano più grande, I dati di bilancio non comprendono la turca Oltan, big mondiale nella produzione delle nocciole, acquisita (un'operazione unica per Ferrero) da Alba a metà luglio 2014 e che fattura circa 500 milioni di dollari. In una nota la società spiega che «nonostante le difficoltà del contesto internazionale, la crescita è stata frutto di uno straordinario dinamismo nello sviluppo dei nuovi mercati: le vendite dei prodotti Ferrero hanno confermato e, in alcuni casi migliorato, i risultati degli scorsi esercizi in Asia, Russia, Stati Uniti, Canada, Brasile, Messico e Turchia. In forte crescita anche i mercati del Medio Oriente. Buoni e, in alcuni casi, ottimi, i risultati raggiunti nei mercati "core" di Regno Unito, Polonia, e Germania. Sostanzialmente stabili o in lieve riduzione, a causa della crisi economica, i principali mercati del Sud Europa». Come l'Italia che con Ferrero Spa ha fatturato 2,547 miliardi, in calo del 5,6%, sostanzialmente per la contrazione del mercato domestico mentre l'export ha mantenuto le posizioni con 780 milioni. In termini di prodotti, la performance nel mondo è stata particolarmente positiva per Kinder Joy (in Italia Kinder Merendero), Kinder Bueno, Kinder Sorpresa e Ferrero Rocher, che hanno spinto la crescita complessiva nei diversi mercati, rispettivamente con un incremento di volumi del 29%, del 10%, del 9% e del 6%. Buone anche le performance di Tic Tac e Nutella. Da sola la crema di gianduia spalmabile genera ricavi per 1,7 miliardi, nonostante i suoi 50 anni. La multinazionale piemontese più dolce continua a macinare investimenti, anche per non perdere il passo con i big player. I nuovi investimenti realizzati da Ferrero nell'ultimo esercizio sono stati di 537 milioni di euro, dei quali 458 milioni (5,4% delle vendite) indirizzati al potenziamento delle attività industriali e produttive, principalmente in Italia, Germania, Canada, India, Brasile, Messico e Cina. I mercati emergenti oramai sono un'opzione ineludibile: qualche mese fa il ceo Giovanni Ferrero, in un'intervista, ha detto che entro il 2020 il 70% della crescita del mercato dolciario sarà trainato da Asia, America Latina, Est europeo e Russia. Insomma, Alba per continuare a essere uno dei player mondiali del dolciario, in concorrenza con giganti del calibro di Mars e Hershey, deve premere il pedale dello sviluppo internazionale. E l'obiettivo è di raddoppiare il fatturato in un decennio. Oggi il gruppo della Nutella conta su 74 società consolidate, con venti stabilimenti. I prodotti Ferrero sono presenti direttamente o tramite distributori autorizzati, in oltre 160 paesi. L'organico medio si è attestato a 24.836 unità, in lieve aumento.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 41 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 11,12 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

© RIPRODUZIONE RISERVATA Dati consolidati di Ferrero International; chiusura d'esercizio al 31 agosto. Dati in milioni di euro 7.000 7.500 8.000 8.500 9.000 2011 2014 8.100 7.670 7.218 Fatturato 8.412 900 800 850 900 950 2011 2014 795 878 860 Utile ante imposte 907 350 400 450 500 550 2011 2014 525 446 401 Nuovi investimenti 537 Foto: LE PERFORMANCE DEL GRUPPO

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 42 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 21 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'intervista. Parla l'ad, Piero Montani - Pronta la cessione di 1,5 miliardi di Npl «Carige pronta a crescere, da sola o con altri» Marco Ferrando

«Siamo pronti a fare la nostra parte, da soli o con altri. Perché il piano è congegnato per tornare alla crescita in una prospettiva stand alone, ma anche per cogliere in una posizione di forza le eventuali occasioni che potrebbero presentarsi con il risiko bancario. A partire dalle popolari». Un anno dopo il piano industriale confezionato per accompagnare l'aumento da 800 milioni, l'ad di Carige Piero Montani presenta così, a Il Sole 24 Ore, il nuovo documento approvato l'altroieri in cda, destinato ad affiancare - di nuovo - un aumento da 850 milioni. I contenuti, in fondo, sono simili; il contesto, invece, è radicalmente mutato: «La banca ha dovuto sopportare la gogna mediatica dello scandalo Berneschi, ma ha retto anche grazie a una struttura a cui sono grato, viste le condizioni in cui ha operato. Poi è arrivata la bocciatura della Bce, che ha generato una situazione di incertezza da cui siamo usciti solo nei giorni scorsi ma che ci ha consentito di completare un'operazione-verità sul nostro portafoglio crediti. Inevitabilmente il piano dello scorso anno ha subito alcuni ritardi, ma ora ci sono tutte le premesse per tornare a creare reddito». Continua pagina 23 Continua da pagina 21 Per l'utile, però, ci vorrà ancora pazienza: il piano lo fissa al 2017. Ma la strada è quella, ormai. Un anno e mezzo fa, questa banca aveva problemi di liquidità, di patrimonio e di redditività: i primi due ora sono risolti, quindi ci si può concentrare sul terzo. Non è facile, di questi tempi, fare utili per le banche. E neanche per Carige, che già negli ultimi tempi era riuscita a salvaguardare una redditività minima grazie al carry trade con i Fondi Ltro della Bce, che ora abbiamo dovuto restituire. Ma il piano è credibile e il mercato l'ha capito, visto che il titolo ha chiuso in rialzo (+0,57%, ndr) nonostante l'altroieri abbiamo ritoccato al rialzo l'ammontare dell'aumento. Perché l'avete fatto? In fondo, la Bce non ve l'ha chiesto e alla fine "rischiate" di trovarvi con un Common equity tier 1 superiore di oltre 100 punti base a quello richiesto da Francoforte. Perché vogliamo essere tranquilli rispetto alle cessioni che comunque fanno parte del piano: il termine per concludere il rafforzamento patrimoniale è fissato al 26 luglio, e se non avremo offerte convincenti su Creditis e Banca Ponti, i due asset in vendita, potremo permetterci di rifiutarle senza compromettere i ratio. Quindi, alla fine, Banca Ponti potrebbe rimanere nel perimetro del gruppo? Premesso che tutti gli asset in vendita sono ritenuti non core, su Banca Ponti è in corso una due diligence che sarà prolungata al 15 aprile: chi siederà in consiglio al momento di valutare le offerte prenderà la decisione definitiva. Potrebbe non esserci più lei? L'altra novità che ha coinvolto la banca in questi mesi è stato l'arrivo della famiglia Malacalza, una buona notizia. Quando saranno ultimati il trasferimento della quota che fa capo alla Fondazione e l'aumento, si farà il punto e si chiederà loro quale spazio desiderino avere in consiglio. Prevede grosse novità? Non tocca a me dirlo. So solo che il consigliere delegato deve avere la fiducia del primo azionista e che la banca è alla vigilia di una svolta importante, che la vedrà passare da una guida sostazialmente pubblica, con la Fondazione socio di maggioranza, a un assetto privatistico. Come sono i suoi rapporti con la famiglia Malacalza? Ottimi. Andrea C. Bonomi, che lei conosce bene visti anche i trascorsi comuni in Bpm, ha una quota nella banca? Potrebbe ancora essere interessato ad acquisirla?

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 43 21/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 21 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Non mi risulta. Torniamo al piano industriale: è fatto per salvaguardare l'autonomia di Carige o per facilitare un'aggregazione? Come tutti i documenti strategici, è congegnato per una prospettiva stand alone. Ma anche per mettere la banca in condizione di approcciare il riassetto del settore da una posizione di forza; e non escludo che possa farlo, visto anche l'imminente risiko tra le popolari. Entro fine 2016 puntate a cedere fino a un miliardo e mezzo di sofferenze, con minusvalenze di 200 milioni: i valori di libro e quelli di mercato si stanno riavvicinando? In questi ultimi mesi abbiamo catalogato e prezzato i nostri 6 miliardi di sofferenze, un'operazione che ci ha consentito di portarle non così lontane dai valori a cui sono state vendute da altre banche nelle operazioni più recenti. Qui una bad bank di sistema potrebbe aiutare? Come no. Contiamo di vendere i nostri npl entro il 2016: se al momento di farlo ci sarà la bad bank la prenderemo sicuramente in considerazione. E poi costituirete una newco con un partner esterno per gestire altri 2,5 miliardi di sofferenze di piccola taglia. Sì, ma in quel caso i crediti resteranno sui libri della banca: puntiamo però a migliorare il tasso di recupero dal 3, al 5,5%. Infine, la Fondazione: con il vostro azionista storico i rapporti ultimamente sono stati piuttosto tesi. Non è vero, semplicemente per una lunga fase abbiamo avuto interessi diversi. Ora che tutto si è chiuso positivamente, devo riconoscere al vertice dell'ente la capacità di gestire con sangue freddo una situazione non facile. .@marcoferrando77 © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Ferrando Foto: CARIGE Foto: AGF Al timone. L'ad Piero Luigi Montani

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 44 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LA CAMPAGNA CINESE Se Pechino punta 100 miliardi sull'Italia Rita Fatiguso

di Rita Fatiguso Quindici anni fa le grandi società cinesi in Italia si contavano sulle dita di una mano. Conglomerate statali con sedi commerciali, nulla di più. Siti produttivi, zero. Ora l'Italia è invece il primo Paese europeo su cui la Cina investe. Servizio pagina 2 PECHINO Quindici anni fa le grandi società cinesi in Italia si contavano sulle dita di una mano. Conglomerate statali con sedi commerciali, nulla di più. Siti produttivi, zero. Le attività cinesi erano quelle degli immigrati dal Fujien e dallo Zheijiag: ristoranti, società di import-export, small commodities, abbigliamento e affini. Se qualcuno avesse detto che la Banca centrale cinese stava rastrellando sul mercato azioni blue chip si sarebbe pensato a uno scherzo. E, invece, in pochi mesi, di recente, Zhou Xiaochuan, il Governatore che sostiene di aver immobilizzato in Italia almeno 100 miliardi in asset tra partecipazioni e investimenti finanziari, ha superato il 2% in Eni, Enel, Prysmian, Mediobanca, Generali, Fiat, Telecom, più facile dimostrare chi non c'è, in ossequio a una strategia precisa: privilegiare la diversificazione dell'investimento valutario, spostando qualche granello delle riserve - 3mila miliardi di dollari - dai certificati di deposito americani ad altri asset. Colpi come Ansaldo energia-Shanghai electric e State Grid- Cassa depositi e prestiti-Reti hanno dato una scossa imprimendo un'accelerazione che ha portato l'Italia al primo posto nel 2014 per gli investimenti cinesi: è stata il primo mercato dell'Eurozona, con ben 2,490 miliardi nell'energia, 598 milioni nei macchinari industriali, a seguire nel settore alimentare e agrobusiness 50 milioni e nei prodotti di consumo 32. Gli investimenti diretti cinesi erano quasi inesistenti fino al 2004, poi la media è stata di poco meno di 1 miliardo all'anno. A partire dal 2009 i flussi d'investimento sono triplicati a quasi 3 miliardi, prima di triplicare ancora nel 2010 oltre i 10 miliardi. Tanto per favore un paragone, in totale dal 2009 i flussi d'investimenti cinesi in Europa sono stati di 55 miliardi. Oggi questa cinese è una realtà consolidata e l'arrivo in massa di altre banche cinesi oltra alla storica Bank of China che ha due filiali, Icbc in fase di raddoppio, China construction bank, Agricoltural bank sta a testimoniare il cambio di passo. Ieri durante il China Development Forum Tian Guoli il numero uno di Bank of China ha detto che il QE sarà un grande vantaggio per queste realtà cinesi. In contemporanea, aggiungiamo noi, un euro che in un anno ha perso un quarto del valore sul renminbi incentiverà ulteriori mosse da parte di Pechino. Per non parlare del gran numero di aziende a contenuto tecnologico acquistate da cinesi con M&A di aziende ad alto valore aggiunto trattori per l'agroindustria, pompe idrauliche. Oggi Snam entra nel mercato cinese con PetroChina ma anche per operare su mercati terzi. C'è di più: la tanto vagheggiata mossa del Cic, il fondo sovrano cinese potrebbe verificarsi quest'anno, con l'ingresso come azionista in Cassa, il nostro fondo sovrano, sempre per le infrastrutture, quindi dentro F2i. La sleeping beauty europea si è svegliata, dal 2000 In Italia nel periodo 2000 - 2014 gli investimenti cinesi italiani si sono concentrati principalmente nei seguenti tre settori: nell'energy con 2,660 miliardi di dollari, nel settore dei macchinari industriali con 835 milioni e nel settore automotive con 600 milioni. Seguono i prodotti e servizi di consumo con 191 milioni, l'IT con 101 milioni, il real estate con 68 milioni e il settore alimentare e agricoltura con 51 milioni. La tipologia di operazioni di M&A è cambiata negli ultimi cinque anni, una delle più rilevanti tendenze è la crescita delle piccole e medie operazioni di M&A realizzate spesso da investitori finanziari che però si affianca ai megadeal, come quello in corso tra Pirelli e China Chem.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 45 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

La flessione del mercato interno cinese nel 2013 e 2014, e il boom dei viaggi dei cinesi all'estero nello stesso periodo - per ragioni di turismo, studio ed emigrazione - stanno spingendo, adesso, sull'immobiliare. Se i cinesi di Insigma sono rimasti a bocca asciutta con i treni di Ansaldo breda di Finmeccanica finiti ai giapponesi, in Italia ci sono grandi societa come Huawei Hisense Haier. E la moda? Fosun è entrata in Caruso, e domani, a Pechino, sfila Marisfrolg che, per chi non lo sapesse, è il marchio di ZhuChongYun, l'imprenditrice di Shenzhen che ha comprato Krizia. Anche nella moda, è solo l'inizio. © RIPRODUZIONE RISERVATA La presenza cinese a Piazza Affari e il peso degli investitori esteri in Europa Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su banca dati S&P Capital Iq LA PRESENZA CINESE IN ITALIA Le partecipazioni di People's Bank of China a Piazza Affari. Quote % L'INDICE FTSE A PIAZZA AFFARI Gli ultimi dodici mesi Fiat Chrysler Automobiles 2,00 1,90 1,95 2,00 2,05 2,10 Enel 2,07 Telecom Italia 2,08 Prysmian 2,02 Saipem 2,03 Mediobanca 2,001 Eni 2,10 Generali 2,01 MAR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC GEN MAR 2014 2015 APR FEB 22.000 23.000 21.000 20.000 19.000 18.000 100 Miliardi Investimenti finanziari e partecipazioni in Italia della Banca centrale cinese 23.176 20/03/2015 LE ULTIME 10 GRANDI OPERAZIONI CINESI IN EUROPA Data UE Target Valore ($ Mln) Stato Settore Nov. 2014 CDP Reti 2.792 Italia Energy Ott. 2014 Nidera NV 2.000 Paesi Bassi Ag e Food Lug. 2014 PizzaExpress 1.483 Regno Unito Ag e Food Mag. 2014 Caixa Seguros 1.380 Portogallo Finance and Business Services Gen. 2014 Chiswick Park 1.285 Regno Unito Real Estate Feb. 2014 Peugeot SA 1.100 Francia Automotive Giu. 2014 10 Upper Bank Street building 740 Regno Unito Real Estate Ott. 2014 Hilite International GMBH 629 Germania Automotive Ott. 2014 Espirito Santo Saude 611 Portogallo Health and Biotech Dic. 2014 Ansaldo Energua Spa 532 Italia Industrial Equipment Foto: LA PRESENZA CINESE A PIAZZA AFFARI E IL PESO DEGLI INVESTITORI ESTERI IN EUROPA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 46 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Intesa sulla governance con Chem China: management, sede e ricerca in Italia, servirà il 90% del capitale per cambiare Opa Pirelli, spunta la clausola salva-Italia Domani l'annuncio: cinesi al 65% e italiani al 22,6% Antonella Olivieri

Comunque vada, Chem China sarà l'azionista di maggioranza di Pirelli. Ma la difesa dell'essenza dell'italianità della Bicocca - sede, ricerca&sviluppo e management - è consegnata alla clausola, concordata con i cinesi, di fissare al 90% del capitale il quorum per cambiare lo statuto a riguardo. In caso di adesione totalitaria all'Opa che sarà annunciata domani, Chem China avrebbe il 65%, la cordata italiana guidata da Marco Tronchetti Provera il 22,6% e Rosneft il restante 12,4%. Servizi e analisi pagine 2 e 3 L'ultimo baluardo a difesa dell'italianità di Pirelli è appeso alla perizia degli avvocati. Patti intricatissimi, da tradurre in cinese, ma anche in russo - visto che gli interlocutori al tavolo con Marco Tronchetti Provera & C. sono il prossimo socio di maggioranza Chem China e l'ultimo partner internazionale Rosfneft - che cercano di far da contraltare con la governance alla potenza dei capitali emergenti. Pirelli già oggi è poco italiana se si guarda a produzione e mercati di sbocco: su entrambi i fronti lo è appena per il 6%. Nell'azionariato stabile lo è solo per il 13%. Troppo poco per difendere l'azienda dalle mire dei concorrenti che, dato che il settore delle gomme ormai è molto concentrato a livello mondiale, se riuscissero a conquistare la Bicocca, per motivi Antitrust, dovrebbero necessariamente rinunciare a "pezzi" della pregiata preda, inglobando solo il possibile. Scenario per nulla irrealistico considerato che Pirelli è relativamente piccola per capitalizzazione di Borsa (Continental viaggia a oltre 45 miliardi, Bridgestone a 30, Michelin quasi a 17) e che Rosneft, alle prese con le difficoltà dell'embargo alla Russia, non avrebbe potuto intervenire per organizzare la difesa. Affidarsi all'abbraccio cinese, con la rinuncia all'ultima parvenza di italianità della proprietà, sarebbe stata - a quanto risulta - anche una mossa per mettere al riparo l'azienda dal rischio "spezzatino": un anno fa le voci davano in movimento la tedesca Continental, oggi sul mercato circolavano anche altre ipotesi. Il passaggio della maggioranza in mani cinesi è un dato di fatto perchè comunque vadano le cose ChemChina sarà sempre l'azionista preponderante della Bicocca. L'accordo però è stato fatto a condizione di preservare l'essenza dell'italianità di Pirelli: sede e cervello in Italia. Vale a dire gestione del business, anche per la parte che riguarda la joint nelle gomme per camion e macchinari pesanti, al management di Pirelli e ricerca & sviluppo in Italia. Presidi da inserire nello statuto societario con la maggioranza bulgara del 90% per poterli cambiare. Il che significa che il baluardo all'essenza dell'italianità resisterà fino a quando ci sarà qualcuno in Italia interessato a farlo valere e fino a quando i cinesi saranno convinti che il marchio del "made in Italy" sia un valore aggiunto e non invece un vincolo da eliminare. Percentuali che dovranno passare la ratifica dei consigli che si stanno susseguendo in questo week-end, ma sulle quali è già stato raggiunto un sostanziale accordo. Nello schema dell'operazione in cantiere - i dettagli si dovrebbero conoscere lunedì, presumibilmente prima della riapertura dei mercati - la costante è che Chem China avrà comunque la maggioranza. In percentuali variabili a seconda dell'esito dell'Opa che sarà lanciata da una newco a maggioranza cinese, con la componente italo-russa in minoranza. Nella fase iniziale Chem China rileverà la quota di riferimento di Camfin in Pirelli per una cifra intorno a 1,8 miliardi: tolti 400 milioni di debito (che sarà rimborsato), restano 1,4 miliardi. Rosneft ne tratterrà una parte e reinvestirà il resto insieme ai soci italiani (la cordata privati-banche guidata da Tronchetti) nella newco che lancerà l'Opa a 15 euro, per un controvalore totale di 7,1 miliardi. Nella newco, Chem China metterà 2,2 miliardi di equity, la compagine italo-russa circa 1,1 miliardi (cioè i proventi netti risultanti dalla vendita della quota di Camfin).

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 47 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Nell'ipotesi in cui l'Opa raggiungesse il 100% delle adesioni, Chem China avrebbe il 65% del capitale, l'ex Camfin il 35% così suddiviso: la compagine tricolore al 22,6% - miracoli della finanza, più del 13% che ha in mano oggi - e Rosneft con la restante quota del 12,4%. Se invece l'Opa non riuscisse a raccogliere la totalità del capitale la Pirelli farebbe capo alla newco, nella quale ci sarebbe una sostanziale pariteticità tra il socio cinese e il blocco italo-russo: 51% al primo, 49% agli altri. In questo caso Pirelli potrebbe essere delistata o meno a seconda che la maggioranza raggiunga o meno la percentuale dei due terzi del capitale sufficiente a consentire la fusione con la newco non quotata. La composizione del board dovrebbe variare di conseguenza a seconda dell'esito dell'Opa e quindi delle percentuali di capitale azionario in mano ai due blocchi. Nel caso in cui fosse possibile ritirare Pirelli dal listino di Piazza Affari, il processo di riassetto post-Opa marcerebbe più spedito. In ogni caso si avrà la separazione tra una società dei camion destinata a fondersi con la quotata Aeolus che fa capo a Chem China e una società delle gomme auto e moto concentrata nel segmento d'alta gamma "premium". Quest'ultima tornerebbe in Borsa dopo quattro anni (forse a Londra), con i cinesi che scenderebbero sotto il 50%, pur restando sempre il socio maggioritario. Nel caso in cui ci fosse il delisting di Pirelli a seguito dell'Opa, ma per qualche motivo "Pirelli Tyre" non fosse riportata in quotazione allora ci sarebbe il diritto (sotto forma di un'opzione put) degli altri soci rimasti nel capitale a rivendere le loro quote a Chem China allo stesso prezzo dell'Opa di oggi, presumibilmente, appunto, intorno ai 15 euro. Allo stato pare non si registrino defezioni nella variegata compagine tricolore che accompagna Tronchetti a seguirlo anche in quest'ultima avventura. Se la scommessa industriale della joint cinese per i camion si rivelerà azzeccata e se le gomme premium da sole spuntassero multipli più alti in Borsa, ci sarebbe sen'altro ancora da guadagnare. Con qualche tristezza per i limiti del sistema-Paese, ma questa è un'altra storia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Catena societaria e numeri di Pirelli 16 15 14 13 12 11 10 9 COME CAMBIA LA NUOVA STRUTTURA DI CONTROLLO PIRELLI TYRE Auto e Moto PIRELLI TRUCK MAGGIORANZA MINORANZA China Chemical Nuove Partecipazioni Spa Intesa Sanpaolo NEWCO Unicredit Neftgarant (Rosneft) Ri-quotazione tra qualche anno Fusione con la controllata di China Chemical quotata in Asia OPA Dati in milioni di euro CONTO ECONOMICO (*) stime Bloomberg IL GRUPPO IN BORSA RICAVI NETTI REDDITO OPERATIVO REDDITO NETTO 2012 2013 2014* 6.150 6.100 6.050 6.000 6.072 6.146 6.067 2012 2013 2014* 900 850 800 750 792 791 870 2012 2013 2014* 400 350 300 250 387,1 303,6 355,5 MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC GEN 2014 2015 FEB MAR 15,23 20/03/2015 +35,98% Variazione % Foto: CATENA SOCIETARIA E NUMERI DI PIRELLI

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 48 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato GOVERNANCE GLOBALE Una nuova Bretton Woods (Cina inclusa) Guido Rossi

Una grave e apparentemente irrisolvibile situazione economica globale, accompagnata da un disordine politico e culturale, sta distruggendo sulla sua strada democrazie liberali e Stati autoritari e ripristinando guerre e inaudite violenze. Per porre termine a questa situazione s'è a volte richiamata la necessità, invocata anche su questo giornale, di una seconda Conferenza di Bretton Woods. La prima fu convocata nel 1944, per ricreare un sistema economico internazionale e stabilire un ordine finanziario globale che portò, oltre al resto, alla creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Il sistema di Bretton Woods fornì sicurezza e tranquillità ai mercati, sicché i decenni degli anni '50 e '60 del secolo scorso furono messi al sicuro da possibili crisi, garantiti dai tassi di cambio fissi, da elementi di controllo pubblico sulla finanza e sui sistemi bancari nei vari Paesi . Il risultato di Bretton Woods fu sostanzialmente l'accordo tra due Stati le cui politiche erano essenziali per la stabilità finanziaria globale: da un lato gli Stati Uniti, il principale creditore mondiale, e dall'altro la Gran Bretagna, il maggior debitore; il primo si accordò di assistere i Paesi che dovevano combattere con un corrente deficit di bilancio e il secondo fu d'accordo nel rinunciare alla svalutazione competitiva della moneta. Comparata la situazione ad oggi, la Cina risulta il maggior creditore del mondo e gli Stati Uniti il maggiore debitore, ma né l'una né l'altro sono sembrati finora, se non a parole, disposti a impegnarsi per un interesse extranazionale, sicché il disordine appare oramai stagnante e gli interessi dei singoli Stati nazione ovunque prevalenti su quelli mondiali. La collaborazione a Bretton Woods fra l'Inghilterra, con John Maynard Keynes e gli Stati Uniti, con Harry Dexter White, creò i fondamenti economici per una lunga pace globale. Il programma ripetuto più volte da White fu che era tempo di costruire un "New Deal for a New World". Continua pagina 21 Continua da pagina 1 Purtroppo, invece, gli Stati Uniti, forti del loro potere politico e militare, rifiutarono la proposta di Keynes, di creare una moneta internazionale, e imposero il dollaro americano come mezzo di pagamento nel commercio e nelle operazioni finanziarie internazionali. E così, il meccanismo di Bretton Woods andò via via dissolvendosi, a cominciare dagli anni 70 del secolo scorso, a partire dalla mancata convertibilità col dollaro voluta da Nixon e una sempre più diffusa tolleranza verso una totale libertà finanziaria, unita al fenomeno della privatizzazione del sistema, terminata nella crisi del 2008. Questa crisi, ancora dominata dalla architettura finanziaria globale del dollaro, ha impedito che venisse apportata qualsivoglia necessaria riforma, decisamente osteggiata dagli Stati Uniti, alle istituzioni di Bretton Woods. Ma nel frattempo la Cina, già lo scorso anno, aveva creato l'Asia Infrastructure Investment Bank (Aiib), una banca di investimento e di sviluppo che lavorerà con le banche multilaterali esistenti per il finanziamento delle infrastrutture asiatiche. Si sono ora aggiunti, quali membri fondatori della Banca, Italia, Francia e Germania, oltre che l'Inghilterra, suscitando una rabbiosa reazione da parte dello stesso presidente Obama. Non corre dubbio che l'egemonia americana nella Banca Mondiale e nel Fondo Monetario Internazionale subirà dalla Banca cinese una forte concorrenza, capace di metterne in discussione il potere internazionale non solo in Asia. Ritengo inoltre che le idee degli esponenti politici cinesi al riguardo siano di estrema importanza, sia per la loro attuale originalità, sia per dare un significato più consistente ad una importante politica di sostegno nei confronti della Cina, fors'anche per una rinnovata e non utopica Bretton Woods. Mi riferisco, in particolare alla proposta già avanzata negli anni 40 del secolo scorso da J.M. Keynes, e recentemente più volte ripresa dal Governatore della Banca Centrale cinese Zhou Xiaouchuan, di sostituire il dollaro come mezzo di pagamento

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 49 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

nel commercio e nella finanza internazionale con una moneta internazionale. Una moneta globale servirebbe a garantire una stabilità generale, con un meccanismo automatico adatto a combattere gli sbilanci dei singoli Paesi, nonché ad assicurare l'esistenza di un prestatore di ultima istanza, che possa creare politiche anticicliche e stabilizzare la crescita del Prodotto Lordo Globale. Non sarebbe questo, tra l'altro, uno strumento fondamentale per realizzare quello in cui Bretton Woods ha fallito, cioè politiche finanziarie ed economiche globali che eliminino le pesanti diseguaglianze finora create e garantire una vera pace? Dopo la giusta adesione dell'Italia all'iniziativa cinese, importanti risultano altresì le parole a commento rilasciate martedì scorso dal presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che ha accolto molto favorevolmente la pianificata partecipazione di un numero di Paesi dell'Unione europea nella nuova Banca cinese, così esprimendosi: «Ritengo che la partecipazione sia buona; più Paesi ne prendono parte e meglio è». Queste dichiarazioni mi confermano che le ultime decisioni sull'Aiib del governo cinese offrono all'Unione europea su un piatto d'argento l'occasione per riprendere la posizione di valenza internazionale che si merita, e potrebbe certamente in questo modo costituire uno straordinario punto di incontro per un nuovo progetto di politica economica globale. Questa nuova dimensione politica europea toglierebbe tra l'altro qualsiasi consistenza e attrattiva agli euroscettici e ai tentativi autonomisti perseguiti nei vari Paesi, con aggregazioni affrettate e improbabili, che tra l'altro possono, in questo momento di diffuse violenze, diventare pericolose. © RIPRODUZIONE RISERVATA Guido Rossi

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 50 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato LA FINE DEL NOVECENTO INDUSTRIALE Prede e predatori nel nuovo capitalismo Paolo Bricco

di Paolo Bricco La vicenda Pirelli ha un valore paradigmatico. La sua acquisizione da parte di Chem China rappresenta la definitiva uscita dal Novecento industriale italiano. E l'ingresso nelle nuove mappe di un capitalismo globalizzato in cui Europa e Cina si affrontano con durezza. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 L'operazione sancisce la fine di un secolo lungo segnato per il nostro Paese dalla capacità di essere uomini di fabbrica e da una spinta all'internazionalizzazione che hanno sempre dovuto fare i conti con un capitalismo familiare interessato al controllo dell'impresa e dotato di minori capitali rispetto ai concorrenti stranieri. Un profilo, dunque, molto italiano. Ma l'operazione di Chem China su Pirelli è anche l'ulteriore prova del nuovo confronto fra grandi aggregati politico-territoriali, in cui il nuovo soggetto forte della globalizzazione - la Cina - sceglie di assimilare pezzi tecnologici e manifatturieri occidentali, secondo scelte di politiche industriali a cui invece l'Unione Europea - lacerata da micro politiche nazionali - non riesce a replicare. Qualcosa che, dunque, riguarda tutta l'Europa. «Questo episodio - riflette Franco Amatori, decano degli storici economici della Università Bocconi - si iscrive in una vicenda di lungo periodo in cui la spinta a crescere sui mercati esteri, essenziale fin dagli anni Cinquanta vista la piccola dimensione del mercato italiano, ha sempre avuto un freno in due caratteristiche del nostro capitalismo nazionale: l'ansia di controllo della famiglia fondatrice sull'impresa e i mezzi finanziari inferiori alle ambizioni». Franco Amatori, che ha avuto modo di raccogliere la testimonianza di Leopoldo Pirelli poco prima della sua scomparsa otto anni fa e che poi ha avuto accesso al suo archivio, ricorda il passaggio a vuoto del 1971. Allora si arrivò a pochi centimetri dalla fusione fra Pirelli e Dunlop. In quel passaggio storico Michelin aveva il predominio commerciale e tecnologico. L'operazione Pirelli-Dunlop aveva una significativa ragione industriale: i prodotti erano complementari. Ma Dunlop aveva un azionariato diffuso. Era una public company. «Leopoldo - rammenta Amatori - non se la sentì di vedere la sua quota diluita in una nuova impresa in cui avrebbe faticato non a comandare, ma anche solo a determinare l'indirizzo strategico». C'è la questione del desiderio del controllo. E c'è il tema dei soldi. Ai Pirelli e alla Pirelli degli anni Settanta e Ottanta - «assolutamente centrali nel sistema di Mediobanca», secondo Giandomenico Piluso, docente di Storia di impresa all'Università di Siena - non si attaglia il giudizio severo che, su quel mondo ormai prossimo all'autunno, avrebbe formulato nel 1991 Napoleone Colajanni nel saggio pubblicato da Sperling & Kupfer "Il capitalismo senza capitale". Ma, di certo, Leopoldo comprese la differenza delle regole e delle misure in gioco quando nel 1988 provò ad acquisire negli Stati Uniti la Firestone. Un mondo - fra Akron in Ohio, Chicago e Wall Street - in cui non valeva la frase di Enrico Cuccia «le azioni si pesano, non si contano». Il tentativo di scalata fallì per l'offerta dei giapponesi di Bridgestone, di gran lunga migliore sotto il profilo finanziario. Il tema della capacità finanziaria al servizio dell'espansione internazionale - cruciale in ogni periodo storico, anche quando i mercati erano più chiusi come negli anni Ottanta - rappresenta una continuità di lungo periodo per la Pirelli, che in questo appare davvero paradigmatica della fisiologia del nostro capitalismo. Fra il 1990 e il 1991 l'impresa italiana imposta una scalata alla Continental. Una operazione che non ha una origine ostile. «Dopo una fase iniziale positiva - sottolinea Amatori - i negoziati prendono una brutta piega non soltanto quando Pirelli mostra di volere comandare non rispettando il principio di condivisione del potere proprio del capitalismo renano, ma soprattutto quando la proposta finanziaria viene formulata parte in denaro e parte conferendo la Pth, la holding quotata ad Amsterdam che racchiudeva delle attività internazionali. A quel punto, il sistema tedesco, formato in particolare da Deutsche Bank, da Volkswagen e da Bmw, dice no». Nella continuità di lungo periodo, gli anni Novanta e gli anni Duemila sono stati segnati sul piano micro dalla leadership familiare e societaria di Marco Tronchetti Provera che, nonostante il vulnus rappresentato dall'investimento in Telecom Italia, ha perversato in Pirelli nella strategia di

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 51 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

risanamento e di sviluppo, di razionalizzazione delle procedure e dei processi interni e di internazionalizzazione. Questa consistenza industriale ha fatto il paio con il binomio formato dal controllo della società attraverso catene societarie e dalla ricerca di investitori in grado di apportare, appunto, nuovi capitali. Una ricerca di nuovi capitali, all'interno delle ragioni e degli interessi sia della famiglia che dell'impresa, che alla fine ha appunto portato all'arrivo dei cinesi. Invece, sul piano macro, nella dialettica fra particolare e generale fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta in Europa è successo qualcosa i cui effetti perdurano ancora oggi. E che mostrano le cause dell'assenza di una risposta sistemica europea - di qualunque genere, beninteso - di fronte a una Cina che procede, rispettando le regole del mercato, come un cingolato, in questo come in altri casi. Fra il 1985 e il 1994 Jacques Delors da presidente della Commissione Europea prospettò la necessità di politiche industriali comunitarie. «Il suo consigliere Alexis Jacquemin - nota Franco Mosconi, docente di Economia industriale all'Università di Parma - dimostrò che era necessario abbandonare politiche industriali difensive su base nazionale. I singoli Stati preferirono, invece, procedere in autonomia. Il risultato è che, oggi, manca una politica industriale comunitaria, all'interno della quale si muovano i grandi gruppi industriali come Pirelli, che non sono italiani, ma europei». Che non erano italiani, ma europei, viene da dire. Dato che, ora, sono cinesi. «Pirelli doveva crescere. Aveva bisogno di capitale nuovo, per aprire per esempio un mercato come quello cinese che, fra il 2020 e il 2025, varrà quanto quello europeo», afferma Roberto Crapelli, amministratore delegato di Roland Berger Italia. Che aggiunge: «Non ha più senso parlare di Paesi. Ormai il confronto è fra piattaforme produttive di grandi dimensioni, soprattutto alla luce delle nuove tecnologie Industry 4.0. Dunque, anche le policy devono misurarsi su queste scale. I cinesi si muovono con decisione. L'Europa non sempre sa che cosa vuole dalla sua identità manifatturiera». E se non lo sa l'Europa, figuriamoci l'Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA GLI ACCORDI MANCATI Il tentativo di fusione con Dunlop Nel 1971 si arrivò a un passo dalla fusione Pirelli-Dunlop, due aziende che avevano prodotti compementari. L'assetto societario era però differente: Dunplop era una public company. E Leopoldo Pirelli non se la sentì veder diluita la priopria quota in un big che avrebbe fatto fatica a governare. La scalata a Continental Tra il 1990 e il 1991 Pirelli impostò una scalata non ostile su Continental. I negoziati, dopo una prima fase costruttiva, presero una brutta piega quando Pirelli mostrò di voler comandare non rispettando il principio di condivisione del potere proprio del capitalismo renano dando vigore all'opposizione di Deutsche Bank, Vw e Bmw.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 52 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 3 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Dopo tre riassetti finanziari è arrivata l'intesa industriale Marigia Mangano

Tre riassetti finanziari e uno, quello preannunciato con Chem China, più industriale. È la cronaca degli ultimi sei anni di Pirelli, con il gruppo degli pneumatici al centro di rivoluzioni "azionarie". Ma soprattutto è la sintesi della battaglia personale portata avanti da Marco Tronchetti Provera che senza aver dalla sua la forza della liquidità che possono vantare vecchi e nuovi partner, sembra ora prossimo ad ottenere quella stabilità azionaria necessaria per poter gestire la nuova fase di Pirelli. Migliorare ancora non sarà impresa facile perchè Pirelli ha già conquistato livelli di redditività importanti che i prezzi di Borsa riflettono, con il valore del titolo raddoppiato nel giro di tre anni. Ma è altrettanto vero che se l'obiettivo, nell'ambito del grande accordo italo-russo-cinese, è dividere il segmento gomme per camion dai pneumatici per auto e moto ci sono almeno due elementi da mettere in conto. Il primo è di natura squisitamente finanziaria. Separare le due componenti porterebbe il gruppo Pirelli a creare una società pura di pneumatici consumer premium, avvicinandosi ai multipli da prima della classe di Nokian. E se si andassero oggi ad applicare i multipli del gruppo finlandese all'Ebitda della parte consumer, la creazione di valore sarebbe sensibile. Il secondo è di natura industriale. Pirelli da tempo cercava un partner per la divisione gomme per camion. E il gruppo cinese, attraverso Aeolus ha già una attività nel comparto. L'unione con la divisione truck di Pirelli potrebbe così raddoppiare le dimensioni del gruppo in tale segmento, fino a collocarsi ai primi posti tra i produttori mondiali, oltre che elevare la qualità dei pneumatici per mezzi pesanti in Cina. Senza contare, e questo vale sia per la parte "truck", sia per la parte "premium", che l'intesa con Pechino apre le porte del mercato cinese, una grande, enorme, opportunità per la Pirelli made in Italy. E qui, appunto, emerge la principale diversità del riassetto in corso rispetto ai precedenti. La prima alleanza firmata da Tronchetti Provera risale al 2009 e coinvolgeva la famiglia Malacalza. Il socio genovese, dalla sua, aveva quella forza finanziaria e quella liquidità che andavano a «rafforzare» la proprietà, fino ad allora sostanzialmente rappresentata da Tronchetti e dal patto di sindacato. Il matrimonio con il socio genovese è però poi finito a carte bollate e nel 2013 è stato decisivo l'intervento di UniCredit, Intesa Sanpaolo e del fondo Clessidra per sbrogliare la complicata matassa che si era venuta a creare. Una cordata di partner finanziari che ha accompagnato, se vogliamo, la fase di transizione della Pirelli, con una proprietà più debole rispetto al passato per il venir meno di quel capitalismo fatto di patti di sindacato che per anni aveva garantito il controllo. Dopo soli dodici mesi il terzo passaggio: l'ingresso con il 13% indiretto di Pirelli del socio Rosneft. Probabilmente, se non fosse subentrata la crisi Ucraina e il crollo del rublo il percorso sarebbe stato diverso. Ma tali vicende hanno imposto un cambio di marcia improvvisa. Questa volta però con un riassetto che incide profondamente sulla proprietà, dato che Chem China è pronta a prendere in mano il controllo di diritto della Pirelli. Un prezzo alto da pagare. Ma quali sarebbero state le alternative? Se si esclude l'opzione Cdp, legata più a scelte di politica, le possibilità erano sostanzialmente due: la cessione ai fondi di private equity o la vendita ai big europei e americani. Ma in entrambi i casi il risultato sarebbe stato, probabilmente, uno smembramento della Pirelli, vuoi per la natura e la strategia dei soggetti coinvolti(private equity), vuoi per i problemi legati all'Antitrust (i vari Continental , Bridgestone e Michelin). © RIPRODUZIONE RISERVATA Marigia Mangano

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 53 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 7 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Bankitalia. L'analisi del vicedirettore Panetta «Il credit crunch si allenta, ma le Pmi ancora in difficoltà» Rossella Bocciarelli

IL NODO BAD BANK Sempre più urgente un intervento normativo per agevolare lo smobilizzo dei crediti deteriorati, senza escludere un ruolo dello Stato Roma «Le banche devono accrescere, nel loro stesso interesse, la capacità di fornire sostegno finanziario all'economia reale». L'esortazione viene da Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d'Italia ed esponente del supervisory board nella Vigilanza Bce, che ieri è intervenuto a un convegno dell'Associazione per gli studi di banca e borsa ed è tornato sulla necessità di un intervento normativo per agevolare lo smobilizzo dei crediti deteriorati, senza escludere a priori un possibile ruolo dello Stato. I dati più recenti, ha osservato, indicano un miglioramento nella disponibilità dei prestiti:«Gli intermediari segnalano un allentamento dei criteri di erogazione del credito, si riduce la quota di aziende che lamentano carenza di finanziamenti; la contrazione dei prestiti alle imprese si va attenuando» ha rimarcato. E ha aggiunto che a questo miglioramento stanno contribuendo in misura rilevante gli interventi di politica monetaria del sistema, in particolare il Qe . Tuttavia, la normalizzazione del mercato del credito non è ancora completa e a farne le spese sono soprattutto le imprese più piccole: «L'aumento dei flussi di credito - ha spiegato Panetta - si registra soprattutto per i debitori meno rischiosi, quali le imprese grandi e maggiormente patrimonializzate. Le aziende di minore dimensione, specie quelle caratterizzate da fragilità degli equilibri economici e patrimoniali, continuano invece a mostrare difficoltà nell'accedere a finanziamenti esterni». In questo contesto, nel quale, pure, «emergono segnali di ripresa dell'economia, nell'area dell'euro e in Italia» secondo il dirigente Bankitalia occorrerà «evitare politiche pro-cicliche» e gestire le regole esistenti con flessibilità:«Laddove si rilevino fallimenti del mercato- ha osservato - l'intervento pubblico non va escluso a priori». E il mercato non riesce a gestire da solo lo smaltimento delle sofferenze.«Se lasciata alle sole forze di mercato- ha detto - la gestione dei crediti deteriorati rischia di avere tempi lunghi.In un tale scenario, un intervento da parte delle autorità può consentire di risolvere i problemi di coordinamento fra banche e di accelerare lo smaltimento delle partite deteriorate, evitando che un fallimento del mercato finisca per frenare l'economia». Secondo l'esponente del Direttorio, peraltro,la cessione dei crediti in sofferenza «risulterebbe vantaggiosa per famiglie e imprese, che beneficerebbero di una maggiore disponibilità di credito e della ripresa economica; per il sistema bancario, che vedrebbe ridotto il peso delle partite anomale, con benefici sul fronte dei relativi costi operativi e dell'onerosità della raccolta; per lo Stato, che dal rilancio congiunturale ricaverebbe un maggior gettito fiscale». Panetta ha poi spiegato che i possibili interventi in materia di cessione di crediti in sofferenza, attualmente allo studio «sono incentrati su soluzioni di mercato; le loro caratteristiche saranno definite nelle prossime settimane, anche nel confronto con operatori specializzati e con le stesse banche». Quanto al grado di coinvolgimento dello Stato, esso «può essere diverso ed è oggetto di dialogo con le istituzioni europee, al fine di vagliare la coerenza degli interventi con le regole sugli aiuti di stato della Commissione europea». In ogni caso, ha sottolineato il dirigente Bankitalia, il quadro normativo europeo è cambiato nello scorso biennio e dunque soluzioni come quelle adottate in passato in altri paesi non sono percorribili; senza contare il fatto che «quelle soluzioni hanno comportato un impiego di ingenti risorse pubbliche che porrebbe anche problemi di opportunità e di bilancio». Vantaggi importanti,secondo Panetta «deriverebbero poi da misure, anch'esse allo studio, in grado di ridurre la durata delle procedure esecutive per il recupero dei crediti, che nel nostro paese è assai più lunga della media europea e rappresenta una delle principali cause dell'accumulo dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 54 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 7 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

LO SCENARIO Migliora il credito Secondo il vicedirettore generale di Bankitalia Pennetta si registra un miglioramento nella disponibilità dei prestiti, a cui ha contribuito la politica monetaria, in particolare il Qe. Tuttavia, la normalizzazione del mercato del credito non è ancora completa e a farne le spese sono soprattutto le imprese più piccole Soluzioni per le sofferenze «Se lasciata alle sole forze di mercato- ha detto Panetta - la gestione dei crediti deteriorati rischia di avere tempi lunghi». Per questo il vicedirettore suggerisce «un intervento da parte delle autorità» per consentire di risolvere i problemi di coordinamento fra banche e accelerare così «lo smaltimento delle partite deteriorate».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 55 22/03/2015 Il Sole 24 Ore - ed. NOVA24 Pag. 19 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Privatizzazioni. Domani cda sul bilancio 2014 Poste pronta alle pulizie sui conti in vista dell'Ipo Piano tariffe all'Authority Laura Serafini

IN VISTA DELLA BORSA Il primo bilancio di Caio potrebbe registrare svalutazioni per circa un miliardo. Mercoledì l'esame dei rincari sul settore dei recapiti Il cda di Poste Italiane si appresta ad esaminare il bilancio 2014, il primo dopo la nomina del nuovo ad Francesco Caio. La riunione è convocata per domani e martedì, i giorni antecedenti la riunione del consiglio dell'Authority per le comunicazioni che dovrà esaminare la proposta di Poste Italiane per rivoluzionare il settore dei recapiti. Il riserbo sui numeri è massimo, ma dalle prime indicazioni che trapelano anche Caio, alla stregua di altri Ceo nominati lo scorso anno al vertice di controllate del Tesoro, si appresta a fare un'operazione verità sui conti. In sostanza, una pulizia di bilancio in vista della variazione di rotta sulla strategia già annunciata. Il nuovo amministratore delegato avrebbe messo in carico sull'esercizio 2014, che lui ha ereditato a partire da maggio dello scorso anno, una serie di svalutazioni. L'ordine di grandezza ipotizzabile - visto che fino all'ultimo momento le correzioni sono possibili - sarebbe intorno al miliardo di euro (negli anni precedenti le svalutazioni erano nell'ordine di 500 milioni). Il combinato disposto tra adeguamenti di valore ed erosione dei margini determinata dal comparto postale (che nel primo semestre aveva già portato un risultato operativo negativo per 36 milioni contro un risultato positivo per 150 milioni l'anno precedente)determinerebbe una contrazione del risultato netto consolidato rispetto al 2013, pari allora a 1 miliardo, ben oltre il 50 per cento. Sulla contrazione dell'utile ha inciso molto un forte calo della corrispondenza.Dovrebbe comunque essere garantito il pagamento di una cedola al ministero dell'Economia. Nel precedente esercizio era stato praticamente raddoppiato il pay-out, riconoscendo all'azionista un dividendo di 500 milioni. Le svalutazioni dovrebbero interessare, in particolare, l'arcipelago delle numerose controllate (attive in una grande varietà di business spesso con risultati piuttosto modesti)che il nuovo management non ha fatto mistero di voler razionalizzare e/o dismettere. Tra queste - oltre alla quota in Alitalia già svalutata per 75 milioni nel semestre - c'è, come è noto, il Mediocredito centrale-Banca del Mezzogiorno, che ha un valore di carico di circa 130 milioni. Le partecipazioni che potrebbero ricadere nel mirino delle svalutazioni hanno un valore complessivo di carico di 500-600 milioni, se si esclude Poste Vita (che una valore di 1,2 miliardi), una vera e propria gallina dalla uova d'oro che certo non è in lista per la cessione. Altre correzioni di valore potrebbero riguardare crediti e ammortamenti. L'approvazione del bilancio è un passaggio importante per il gruppo guidato da Caio anche in vista dell'Ipo, ipotizzata per novembre. Ma altrettanto lo sarà la decisione che l'Authority per le comunicazioni è si appresta ad assumere sul riassetto del settore dei recapiti: la riunione del consiglio è fissata per mercoledì, anche se non si può dare per scontato che si chiuda in giornata e la delibera finale potrebbe anche slittare. L'Autorità si dovrà esprimere sul rincaro delle tariffe (da 0,7 euro a 3 euro per la posta prioritaria, e 1 euro per la posta ordinaria che viene reintrodotta con obbligo di consegna entro 4 giorni)e sulla possibilità che la posta sia consegnata a giorni alterni sul 25% del territorio nazionale, ovvero in 4 mila comuni (la metà dei comuni italiani). L'Authority ha una serie di perplessità ad accettare il combinato disposto di aumento dei prezzi e contestuale taglio del servizio (pur avendo ben presente quanto ormai la posta sia divenuta residuale nel mondo delle comunicazioni). Il confronto tra società e uffici dell'Autorità è andato avanti in questi giorni, seppure in modo informale, per arrivare a una soluzione di compromesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 56 23/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato FISCO E COSTITUZIONE La proroga unica certezza nella Babele delle tasse* Enrico De Mita

Il caos fiscale ha superato ogni limite di sopportabilità. Siamo a un anno dalla approvazione della legge delega e, tolto qualche decreto legislativo approvato dal Governo, c'è voluta la proroga e non da escludere che ci sarà la proroga della proroga. La proroga, del resto, è diventata istituto fondamentale del diritto tributario. L'intervento della Corte costituzionale (37/2015) è stato sul punto alquanto contraddittorio, perché mentre altre volte ha dichiarato legittima la proroga per lo stato di disorganizzazione dell'amministrazione, o quando ha addirittura salvato il raddoppio dei termini, con la recente sentenza della scorsa settimana ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tre diverse proroghe al conferimento degli incarichi a funzionari delle tre agenzie mettendo l'amministrazione in una situazione di paralisi che verrà superata con qualche leggina. Questo tema dell'organizzazione delle amministrazioni fu posto a fondamento della riforma del 1971. Ma si è fatto poco o niente. Manca una politica tributaria del governo come abbiamo più volte scritto su queste colonne. Le leggi, specie quando sono leggine dirette a risolvere qualche problema di gettito, vengono fatte con la complicità del governo. Gli interventi minuti portano quasi sempre lo stesso titolo: disposizioni urgenti in materia di perequazione, di efficientamento (sic!) e potenziamento delle procedure di accertamento e di lotte alla evasione fiscale. Il Governo annuncia interventi di sapore propagandistico, come la dichiarazione precompilata (che pone nuovi problemi perché il 90% delle dichiarazioni dovrà essere integrato) una fantomatica imposta locale e gli 80 euro che creano una discriminazione nei confronti dei soggetti esclusi, con tanti saluti alla parità di trattamento. Ma la parità di trattamento in un sistema caotico come quello italiano è una utopia che peraltro si risolve in una delle cause più formidabili dell'evasione fiscale. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 La confusione politica richiede idee s emplici e chiare; il legislatore se ne occupa solo nei titoli delle leggi. Ci vorrebbe una strategia del governo, che parta da un dibattito parlamentare. Il governo dovrebbe darsi una linea e proporre un programma che venga poi attuato gradualmente. Solo così può riacquistare la fiducia dei cittadini. Il tributo è pietra angolare del sistema democratico. E se non ci si muove in questa direzione si dà spazio alle proposte demagogiche come quella che prevede un'imposta unica con una sola aliquota per tutti del 15 per cento. Occorre eliminare le imposte distorsive come l'Irap. Programmare la riduzione graduale delle aliquote: l'eccessivo livello dell'aliquota è causa tecnica di evasione. L'insopportabilità del carico fiscale mette l'operatore di fronte a questa alternativa: o evadere o chiudere bottega. Smetterla di modificare continuamente le imposte. Mettere mano a leggi generali sull'attuazione delle imposte a carattere tendenzialmente stabile. Invece sono proprio le leggi sull'accertamento che vengono continuamente modificate con l'illusione di combattere l'evasione. La lotta all'evasione si fa principalmente con un ordinamento fondato sulla semplificazione e sulla sopportabilità. In una lettera molto incisiva scritta a questo giornale domenica 15 marzo un lettore, nel denunciare il caos fiscale con una critica ai nuovi e indefiniti tributi alle distorsioni provocate dal federalismo fiscale, ha chiesto l'aiuto di persone che conoscono il sistema fiscale. La riforma fiscale del 1971 fu preparata da un gruppo di studiosi che con la relazione Cosciani preparò la riforma. Oggi l'amministrazione (e il governo) si chiudono nel proprio guscio e gli interventi dei tecnici non si fanno sentire. Si può dire che c'è una specie di rassegnazione che è l'atteggiamento generale verso la politica.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 57 23/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'amministrazione si era illusa di risolvere il problema dei suoi funzionari saltando l'obbligo del concorso. Ma è stata fermata dalla Corte costituzionale. Le dichiarazioni di buona volontà non sono servite a coprire un pasticcio che non è solo giuridico. L'asse della politica fiscale si è spostato nel Parlamento, mentre la strategia fiscale la deve disegnare il governo, avvalendosi dei tecnici. I ritardi per provvedere in tempo vengono risolti con la proroga che complica ulteriormente le cose. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 58 23/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 16 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA LUIGI SCORDAMAGLIA FEDERALIMENTARE «Grandi attese dall'accordo sui dazi tariffari e sulle Igp» Nicoletta Picchio

roma «L'impatto è ancora da valutare, perchè mancano alcuni passaggi importanti che riguardano le barriere non tariffarie. Ma il potenziale dell'accordo economico-commerciale tra la Ue e il Canada è enorme. La parte su cui è già stato trovato l'accordo, che riguarda principalmente i dazi e la protezione dell'indicazione geografica, fissa una serie di regole che sono fondamentali per il nostro export e la tutela del made in Italy». Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, non ci sta a vedere i prodotti della buona tavola italiana collocati in basso, in modo immeritato, nelle classifiche dell'export. E ha messo tra i punti principali della sua presidenza l'aumento dell'export e dell'internazionalizzazione, la difesa del made in Italy e la lotta alla contraffazione, a partire dall'italian sounding, cioè quelle parole che evocano il made in Italy per prodotti che italiani non sono. Un esempio per tutti, il parmesan. Con l'accordo Canada-Ue, che secondo le recenti dichiarazioni del commissario europeo al Commercio, Cecilia Malmstrom, dovrebbe essere operativo a gennaio 2017, per l'Italia si aprono in Canada grandi opportunità. «Oggi il nostro export è di 634 milioni di euro, penso che l'obiettivo di avvicinarsi al raddoppio possa essere raggiunto entro la fine del decennio», dice Scordamaglia. In questi giorni si terrà la missione italiana a Toronto, Montreal e Vancouver dedicata proprio alle aziende dell'alimentare, decisa proprio in funzione della prossima apertura degli scambi. Canada, ma non solo: si sta discutendo anche l'accordo tra Ue e Usa, anche se gli esiti e i tempi sono più incerti. «L'intesa raggiunta con il Canada può essere un prototipo da prendere come riferimento per le trattative con gli Stati Uniti. Anche se su alcuni aspetti, come la protezione dell'indicazione geografica e le normative sanitarie, gli Usa sono meno disponibili a fare concessioni», dice Scordamaglia. Quali sono i punti principali dell'intesa con il Canada già definiti? È stato chiuso l'accordo quadro sulle tariffe e sulle regole per la protezione dell'indicazione geografica. Ci sono tre aspetti prioritari: su quest'ultimo punto, l'indicazione geografica, sono stati definiti 145 prodotti in cui la Ue ha ottenuto la protezione. In questo elenco l'Italia ne ha più degli altri paesi, 39. In secondo luogo è stata decisa la coesistenza tra marchi come il Parmigiano Reggiano e il prosciutto di Parma accanto al Parmesan e Parma Ham che sono stati registrati in Canada negli anni passati, mentre da ora in avanti non sarà più possibile farlo. Infine, c'è un esplicito divieto all'italian sounding, e cioè ad utilizzare nomi che evochino l'italianità di un prodotto fatto altrove. E questo per noi è molto importante. È proprio l'italian sounding uno degli aspetti che più penalizza i prodotti italiani: è una battaglia che va fatta a livello internazionale? Canada, Stati Uniti e non solo: l'uso di nomi che evocano l'italianità è diffuso nel mondo e va combattuto. Non a caso questa battaglia è uno dei punti centrali del piano del governo per la promozione e la difesa del made in Italy. Nel negoziato con gli Stati Uniti questo aspetto va sottolineato: si tratta di una difesa del consumatore. Rispetto ad altri paesi abbiamo molto terreno da recuperare: ma oltre alle regole dobbiamo anche affrontare il problema strutturale della nostra distribuzione all'estero... Si, certamente. Sono le grandi aziende produttrici italiane che devono organizzarsi, creare piattaforme logistiche per aggregare e distribuire anche i prodotti delle pmi. Ora c'è una maggiore sensibilità delle grandi aziende su questo tema, ma bisogna organizzarsi e in tempi rapidi. Cosa resta ancora da discutere dell'accordo Ue e Canada? Una parte molto importante riguarda gli allegati tecnici sulle barriere non tariffarie, per esempio sanitarie e venerinarie. A seconda di quello che sarà definito, l'accordo potrà avere un impatto più ridotto oppure più

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 59 23/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 16 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

ampio. Resta comunque un importante passo avanti e un'occasione straordinaria per l'Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Presidente. Luigi Scordamaglia

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 60 21/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL CASO Tra il Dragone e il Cremlino FEDERICO FUBINI

CHEMCHINA sta per conquistare Pirelli e la domanda non è perché un'azienda controllata da Pechino voglia una delle ultime multinazionali italiane. A PAGINA 2 ROMA. Chemchina è sul punto di conquistare Pirellie la domanda oggi nonè perché un'azienda controllata dal governo di Pechino voglia una delle ultime multinazionali italiane. La domanda, piuttosto, è perché non sembrino interessati concorrenti esteri soggetti alle regole del mercato e della trasparenza. Gli azionisti rilevanti della Bicocca sono pronti ad un'operazione con un «partner industriale internazionale», eppure dagli americani di Goodyear, dai giapponesi di Bridgestone, dai tedeschi di Continental, o dagli indiani di Apollo Tyres, apparentemente viene solo silenzio. Non è la prima volta che un gruppo di Stato di Pechino guarda a un marchio europeo o italiano, né sarà l'ultima. Con posizioni più o meno rilevanti, spesso di controllo, sono già in Volvo, sono nelle società della rete elettrica e dell'autorità fluviale di Londra, nella prima compagnia di assicurazione portoghese e da un anno hanno il 14% della francese Psa Peugeot-Citroën. Negli ultimi mesi poi da Pechino sono affluiti investimenti per svariati miliardi anche in imprese italiane di prima fascia. A maggio scorso Shanghai Electric ha comprato il 40% di Ansaldo Energia dal Fondo Strategico Italiano per 400 milioni. A luglio State Grid Corporation of China ha preso il 35% delle reti infrastrutturali italiane del gas e dell'elettricità - una quota che dà diritto di veto - in cambio di due miliardi alla Cassa depositi e prestiti. Negli stessi mesi la banca centrale di Pechino ha fatto qualcosa di inusuale per lei. Sulle principali piazze finanziarie del mondo la People's Bank of China compra regolarmente quote di grandi gruppi, ma sempre in quantità così piccole da restare invisibili. A Piazza Affari invece ha optato per partecipazioni appena sopra il 2%, la soglia alla quale scatta l'obbligo di venire allo scoperto, in tutte le principali società: Eni, Enel, Fca (ex Fiat), Telecom Italia, Prysmian. È stato come dire: «Guardateci, noi siamo qui». Visto da Pechino, forse era un gesto di sostegno e fiducia in un Paese guardato con scetticismo da tanti altri grandi investitori globali. Da Milano, o da Roma, si notò invece anche un altro dettaglio: la sola blue chip italiana da cui i cinesi si tennero alla larga in quell'operazione di avvicinamento italo-cinese, con tanto di scambio di visite fra primi ministri, fu proprio Pirelli. Allora una spiegazione che molti ipotizzarono fu di natura politica: Pechino voleva tenersi alla larga perché quello era territorio altrui. Metà esatta della società che controlla Pirelli, la Camfin, appartiene alla russa Rosneft, mentre l'altra metà è di una costellazione italiana che fa capo a Marco Tronchetti Provera. E Rosneft non è un socio qualunque. È il più grande gruppo petrolifero di Mosca, è a controllo pubblico, e il suo amministratore delegato Igor Sechin è amico, consigliere ed ex collega nel Kgb del presidente russo Vladimir Putin. Quell'accordo voluto da Tronchetti Provera con i russi è relativamente recente: fu reso noto il 17 marzo di anno fa, esattamente nelle ore nelle quali il parlamento della Crimea dichiarava la sua indipendenza dall'Ucraina e chiedeva l'annessione alla Russia. I soldati di Mosca erano già nella penisola sul Mar Nero da tre settimane. Per i cinesi entrare in una Pirelli a controllo condiviso da Rosneft sembrò allora un gesto di sfida alla Russia che non fa parte del loro linguaggio internazionale. Per Tronchetti allearsi con Sechin a crisi russo-ucraina già aperta si è dimostrato un gesto di scarsa preveggenza. La sostanza è comunque che oggi gli equilibri sono già mutati. Igor Sechin siede nel consiglio di Pirelli e nel suo comitato strategie (quello che gestisce le partecipazioni), ma è sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti, mentre Rosneft lo è anche dall'Unione europeae dunque dall'Italia. Il gruppo russo non può più finanziarsi all'estero, eppure è oberato da debiti per 60 miliardi di dollari.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 61 21/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Vedremo se davvero resterà in Pirelli anche dopo l'eventuale presa di controllo cinese, come sembra in queste ore. Resta il dubbio di fondo: l'Italia di oggi piace a investitori non particolarmente trasparenti, portatori di priorità influenzate dai loro governi, ma interessa molto meno a quei Paesi ai quali il nostro vuole somigliare. Forse è solo che il capitale nel ventunesimo secolo funziona davvero così. O, forse, sta solo all'Italia farlo funzionare in modo più intelligente anche per sé. La catena di controllo di CamÞn e Pirelli Intesa Sanpaolo Nuove Partecipazioni Spa* CamÞn 12% 12% 50% 50% 26,193% 76% Pirelli & C. S.p.a FONTE *HA COME ZIONISTA Unicredit Nefgarant (Rosneft) Coinv L'OPERAZIONE FINANZIARIA Restano da definire i dettagli, ma il piano prevede che la quota di controllo di Pirelli di Camfin passi in una nuova società con i cinesi poi ci sarà l'acquisto di tutta Pirelli in Borsa

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 62 21/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'ECONOMIA In pensione più tardi di quattro mesi a partire dal 2016 ROBERTO MANIA

A PAGINA 31 ROMA. L'importo medio della pensione dei dirigenti italiani è circa quattro volte quello dell'assegno dei lavoratori dipendenti, 50 mila euro l'anno contro 12 mila. Per pagare le pensioni dei dirigenti, però, l'Inps deve andare a prendere le risorse dal Fondo lavoratori dipendenti o degli atipici perché quello speciale dei dirigenti ex Inpdai è perennemente in rosso, dai 3 ai 4 miliardi negli ultimi anni. È uno dei paradossi del sistema previdenziale documentato dalla seconda puntata dell'operazione trasparenza avviata dall'Inps con la gestione di Tito Boeri. Dopo aver sottoposto ai raggi X il Fondo volo con i privilegi dei piloti in cassa integrazione dorata da oltre 10 mila euro al mese, l'Istituto di Via Ciro il Grande ha preso in esame l'ex Fondo Inpdai e ha stimato che se le pensioni dei dirigenti venissero ricalcolate con il metodo contributivo (attualmente in vigore per tutti, nella forma pro rata) anziché con i criteri favorevoli di alcuni decenni fa, gli importi scenderebbero in media di oltre il 23 per cento. È un altro tassello dell'Italia dei privilegi pensionistici che solo le ultime riforme hanno cominciato a ricomporre a unità. Anche dal punto di vista dell'età per l'accesso alla pensione. Tanto (è di ieri la relativa circolare dell'Inps) che dal primo gennaio del 2016 l'età pensionabile arriverà per gli uomini a 66 anni e sette mesi (65e sette mesi, per le donne), quattro mesi più del requisito ora in vigore. L'aumento dell'età di quiescenza non è altro che l'applicazione automatica di un codicillo introdotto nel 2010 dal governo Berlusconi che lega l'età pensionabile all'incremento delle aspettative di vita. In sostanza più invecchia la popolazione più a lungo si deve lavorare per mantenere in equilibrio finanziario il sistema previdenziale. Con il rischio, tuttavia, di rinviare sine die l'occupazione dei più giovani. Proprio per questo è possibile che con la prossima legge di Stabilità il governo introduca elementi di flessibilità per l'accesso al pensionamento prevedendo penalizzazioni per chi decidesse di lasciare prima il lavoro. E ieri il presidente Boeri ha detto che «a giugno l'Inps farà una proposta per una maggiore flessibilità nell'accesso alla pensione». Certo non torneranno i trattamenti favorevoli che nel 2002 hanno condotto al default dell'Inpdai e, l'anno successivo, alla sua incorporazione all'interno dell'Inps. I dirigenti, infatti, hanno potuto andare in pensione pagando fino al 1996 un'aliquota contributiva inferiore a quella dei lavoratori dipendenti (del 25,35 per cento contro il 32,70 per cento); oppure ottenendo un assegno pensionistico pari all'80% dell'ultima retribuzione con 30 anni di contributi anziché 40 come gli altri lavoratori. E l'Inps, come detto, ha ricalcolato le pensioni attualmente in essere dei dirigenti con il metodo contributivo, questa peraltro è una vecchia proposta proprio di Boeri. Così un dirigente andato in pensione a 58 anni nel 1990 con un assegno di 3.585 euro, nel 2015 ha ottenuto una prestazione di circa 1.521 euro lordi al mese più alta di quella che avrebbe ottenuto con le regole contributive. Mentre un dirigente andato in pensione a 63 anni nel 2013 si vedrebbe ridurre l'importo di 676 euro al mese. Pensione percepita Le pensioni degli ex dirigenti di azienda 56 57 58 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 0 59 60 61 62 63 64 65 66 Calcolata in base ai contributi versati Pensione mensile lorda in euro (anno 2015) Età Foto: AL TIMONE Il presidente dell'Istituto nazionale previdenza sociale, Tito Boeri

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 63 21/03/2015 La Repubblica Pag. 30 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL PUNTO Troppe tasse pesano sul Tfr ecco perché anticiparlo non conviene Scatta la chance offerta dal governo ma uno studio della Cgia calcola oneri tra 230 e 700 euro VALENTINA CONTE

ROMA. Troppe tasse sul Tfr, l'anticipo non conviene. Lo dice anche la Cgia di Mestre, ma i lavoratori con buona probabilità ne sono già convinti, visto che i consulenti del lavoro segnalano sin qui richieste bassissime. Se alla zavorra fiscale ci aggiungiamo poi il pasticcio del governo e il ritardo del decreto attuativo pubblicato solo tre giorni fa, con i primi soldi visibili in busta paga da aprile nelle grandi imprese e da giugno nelle piccole anziché da marzo, il flop è fatto. L'ufficio studi degli artigiani veneti calcola l'aggravio di tasse annuo «tra i 230 e i 700 euro», per chi sceglie di avere ora la quota di liquidazione (e per tre anni, fino a giugno 2018, senza possibilità di revoca), anziché ritirarla alla fine del rapporto di lavoro oppure investirla nei fondi di previdenza integrativa. «L'operazione rischia di non decollare», commenta la Cgia. Ovviamente «l'aggravio tenderà ad aumentare al crescere del livello di reddito del soggetto richiedente». E questo perché quel pezzetto di Tfr si cumula con il reddito da lavoro, dunque viene tassato con l'aliquota marginale Irpef e non con il ben più conveniente prelievo finale, in media attorno al 23%. In più, «quando aumenta lo stipendio si riducono gli effetti economici delle detrazioni per i figli a carico e quelli legati agli assegni familiari». E poi, mentre la liquidazione di fine carriera è scevra da addizionali comunali e regionali, «l'anticipo mensile no». Chi ha un reddito imponibile di 15 mila euro, ne pagherà 236 extra al fisco. Chi ne vanta 80 mila, ne verserà 623 in tasse aggiuntive. Conviene? Sulla carta no. Ieri intanto è stato definito il testo della convenzione tra Tesoro, ministero del Lavoro e Abi (banche) che consentirà alle piccole aziende bisognose (sotto i 50 dipendenti) l'accesso alla garanzia di Stato per i finanziamenti agevolati, da tradurre in liquidità per quanti faranno richiesta del Tfr anticipato. Ma che vedranno, se tutto va bene, tra tre mesi. Foto: IL PREMIER Renzi ha insistito per dare la possibilità di anticipare in busta paga il Tfr

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 64 22/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA Renzi: "No a dimissioni per gli avvisi di garanzia non caccio gli indagati" Intervista al premier. "Lupi ha preso una decisione saggia" L'accusa di D'Alema: arrogante. La replica: vecchia gloria > GOFFREDO DE MARCHIS

IDUE pesie le due misure non esistono. «Ma stiamo scherzando? Ho sempre detto che un avviso di garanzia non può giustificare le dimissioni.E lo confermo». Significa che Matteo Renzi non chiederà ai sottosegretari indagati di lasciare il governo.E non lo farà con il candidato in Campania De Luca, condannato in primo grado. Dopo la settimana dell'inchiesta Grandi Opere che ha travolto Lupi, il premier e segretario del Pd risponde alle accuse di doppiopesismo nel rapporto tra politicae giustizia. Ma ieri mattina ha accolto a Ciampino le bare dei morti nell'attentato di Tunisi. SEGUE ALLE PAGINE 2 E 3 < PAGINA ROMA «PER carità - dice - il Pd, l'inchiesta sulle infrastrutture, gli attacchi di D'Alema: tutto importante. Ma oggi penso soprattutto al dolore dei familiari delle vittime. La vicenda di Tunisi è terribile ma rafforza la nostra analisi: la comunità internazionale non può far finta di nulla su ciò che accade in Libia, perché lì pare sia nato l'attentato al Museo Bardo. Da qui al 17 aprile, quando incontreremo Obama, dobbiamo intensificare gli sforzi per verificare se la soluzione diplomatica è ancora in piedi o no». Dopo le dimissione di Lupi, non tocca anche ai sottosegretari indagati? Cinque sono del Pd (Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo, Bubbico e Faraone) e uno del Ncd (Castiglione)? «Assolutamente no». Fa la faccia feroce con gli esponenti di altri partiti e perdona quelli del suo? «Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia.E se parliamo di faccia, le dico con sguardo fiero che per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione. Se si dice che è la più bella del mondo, poi bisogna almeno leggerla, altrimenti non vale. Quindi perché dovrebbe dimettersi un politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali: è un principio di decenza oltre che di buon senso». Lupi però, dopo il pressing di Palazzo Chigi, non è più ministro. «Il suo caso è diverso, non è nemmeno indagato. Ha fatto una valutazione giusta e saggia secondo me. Una scelta personale e molto degna: dare le dimissioni in politica non è così frequente». Non può chiedere la stessa saggezza agli altri politici coinvolti nelle inchieste? «Ho chiesto le dimissioni a Orsoni quando, patteggiando, si è dichiarato colpevole. Ho commissariato per motivi di opportunità politica il Pd di Roma nonostante il segretario locale fosse estraneo alle indagini. A suo tempo avevo auspicato il passo indietro della Cancellieri sempre con una motivazione strettamente politica. Altro che due pesi e due misure: le dimissioni si danno per una motivazione politica o morale, non per un avviso di garanzia». Questa "dottrina" non vale per De Luca, condannato e candidato governatore? «Lui ha fatto una scelta diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie». Tanto vale allora cambiare la legge Severino. «La modifica della Severino non è all'ordine del giorno, non è un tema in discussione». La sua lotta alla burocrazia si è fermata davanti ad alcune porte. Ercole Incalza stava al ministero anche nell'anno del suo governo. Non è compito della politica fare piazza pulita prima dei magistrati? «Incalza, che per me è un cittadino innocente fino a quando non sarà condannato, ha lavorato con noi fino alla scadenza del suo contratto. Fine 2014, punto. Indipendentemente dalle indagini, un eccesso di permanenza al potere negli stessi posti non è mai positivo. Ma la vera strada per combattere la burocrazia non è tanto la rotazione dei dirigenti, quanto la semplificazione. Rendere più trasparenti e comprensibili le decisioni della pubblica amministrazione, semplificare il codice degli appalti, mettere online in modo chiaro tutti i dati dei ministeri: questo consente il controllo sociale dei cittadini».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 65 22/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Don Ciotti dice: con la responsabilità civile dei giudici siete andati come razzi, con la legge anticorruzione siamo a carissimo amico. «Voglio troppo bene a don Luigi per fare polemica con lui. Mi aspettavo però che ieri spendesse mezza parola sulla declassificazione del segreto di Stato o sul fatto che l'Autorità Nazionale Anti Corruzione fino a un anno fa non esisteva, era solo il comma di un articolo di legge, e Cantone era un giudice di Cassazione». Resta il fatto che la lotta all'illegalità sembra un punto debole del suo governo. «In questo anno abbiamo fatto molto e molto abbiamo proposto. Il raddoppio dei tempi della prescrizione sulla corruzione è un messaggio chiaro: non si pensi di farei furbi e tirarla per le lunghe. L'autoriciclaggio e il falso in bilancio sono due nostre proposte di legge, che prima non c'erano. Sulla responsabilità civile dei magistrati trovo che sia un fatto di civiltà, di cui vado orgoglioso. Poi, intendiamoci, tutte le critiche vanno bene: non è un caso che la commissione Gratteri, che io ho istituito qualche mese fa, stia per formalizzare alcune proposte di cui stiamo discutendo con il ministro Orlando». Ma la legge contro la corruzione arranca. Non lo dice solo don Ciotti. «Si può essere a favore o contro un governo ma non si può essere contro la realtà: in un anno abbiamo sbloccato partite ferme da anni a cominciare da Anac, segreto di Stato, responsabilità civile. Su questi temi accetto consigli da tutti, ma non prendiamoci in giro. Il problema non sono le leggi, ma farle rispettare. Mandare in galera chi ruba sul serio e difendere gli innocenti che sono sbranati dal circo mediatico-politico del "si deve dimettere perché lo stanno indagando"». Metterete un altro dirigente dell'Ncd alle Infrastrutture? «Le valutazioni sul ministro si fanno al Quirinale». Ha un identikit? «Il ministro che verrà non è importante in una logica interna di partiti, ma sarà decisivo per far ripartire l'Italia. Vogliamo uno bravo, il colore della tessera non ci interessa. Perché la crescita non sia microscopica occorrono gli investimenti pubblici e privati. Non serve Keynes, basta la logica. Gran parte di questi investimenti passano da lì». L'associazione proposta ieri da D'Alema sembra la premessa di una scissione. «D'Alema ha utilizzato un lessico che non mi appartiene. Espressioni che stanno bene in bocca a una vecchia gloria del wrestling , più che a un ex primo ministro. Credo fosse arrabbiato per Roma-Fiorentina: ha capito che il vero giglio magico è sceso in campo all'Olimpico... Compito del Pd è cambiare l'Italia, sia che D'Alema voglia sia che D'Alema non voglia. E noi lo faremo». È recuperabile il rapporto con i dissidenti «Una parte della minoranza ha questa simpatica abitudine di trattarci come usurpatori, come se fossimo entrati nottetempo al Nazareno scassinandolo. Prima o poi accetteranno il fatto che se ci siamo noi, e non più loro, è perché ci hanno scelto gli iscritti, ci hanno votato gli elettori alle primarie e ci hanno sostenuto gli italiani con una percentuale di consensi che non si vedeva dal 1958». D'Alema arma la minoranza: deve assestarle dei colpi e lasciarle i segni. Potete stare nello stesso partito? «Scommetto che non ci sarà alcuna scissione. Il Pd è un luogo aperto al confronto. Nessuno può pretendere di avere la verità in tasca. La mia proposta è quella di discutere e confrontarsi sul modello di partito, sull'identità della sinistra che cambia in Europa e in Italia. Cuperlo ha picchiato duro su di me ma ho apprezzato la sua analisi. Il dibattito ha bisogno di tutti. Non cacciamo nessuno. Da qui al congresso del 2017 abbiamo due anni per discutere di come irrobustire il Pd uscendo dalla logica dei talk e dei tweet e gustando la fatica di ascoltarsi». Ha festeggiato la richiesta di archiviazione per suo padre Tiziano? «Sono contento per lui. So quanto ha patito dal punto di vista umano. Ma i magistrati di Genova devono ancora pronunciarsi e dunque non ho titolo per parlare: rispetto il lavoro dei giudici sul serio, col mio silenzio. Penso solo che mio padre oggi avrà i titoli sui giornali perché la sua vicenda fa notizia». Non le fa piacere? «Ma tanta gente che viene indagata e poi assolta finisce stritolata dalle circostanze esterne. Non è colpa dei magistrati, che devono fare indagini. Non è colpa dei giornalisti, che devono dare notizie. Ma una soluzione va trovata perché le persone meritano di essere giudicate in tribunale e non

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 66 22/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

dall'opinione pubblica». PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.governo.it Foto: "ORSONI, CANCELLIERI E DE LUCA Sono intervenuto su Orsoni e chiesi il passo indietro della Cancellieri per motivazioni politiche. De Luca? Ha fatto una scelta diversa, si sente forte del risultato delle primarie. Ma la Severino non la cambieremo Foto: DON CIOTTI E D'ALEMA "Nella lotta all'illegalità abbiamo fatto molto. Spiace che don Ciotti non lo riconosca. D'Alema? Sembra una vecchia gloria del wrestling più che un ex premier. È che ci considerano usurpatori A BRUXELLES Matteo Renzi venerdì scorso al termine del Consiglio europeo, da dove ha seguito l'epilogo del caso Lupi

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 67 22/03/2015 La Repubblica Pag. 12 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Pirelli alla stretta finale ma la morsa russo-cinese mette all'angolo gli italiani Rosneft vuole sganciarsi da Camfin e giocare in proprio Forse già stasera il via libera all'offerta di Chem China GIOVANNI PONS

MILANO. Il piano di Marco Tronchetti Provera per consegnare il controllo del gruppo Pirelli ai cinesi di Chem China è molto articolato e presenta anche alcuni punti deboli. Come il fatto che i russi di Rosneft hanno chiesto di sganciarsi dai soci italiani di Camfin e di giocare la partita in proprio. E comunque per il buon esito dell'operazione sarà decisiva la quantità di azioni della Bicocca che verrà consegnata all'Opa obbligatoria lanciata dal nuovo veicolo societario in via di costituzione. Per capirne di più occorre analizzare le diverse tappe dell'operazione che sarà annunciata stasera o domattina dopo il via libera di tutti i cda delle società coinvolte. La prima mossa prevede la vendita del 26% di Pirelli oggi custodito da Camfin alla Newco che verrà capitalizzata al 65% dai cinesi di Chem China e al 35% dai soci italiani e russi già presenti dentro la Camfin. In pratica, con uno scambio contestuale, la Newco verserà 1,9 miliardi alla Camfin per il 26% di azioni Pirelli e i soci italiani italiani e russi pro quota ne reinvestiranno 665 milioni nella scatola dove i cinesi verseranno gli altri 1,235 miliardi. Il completamento di questa prima fase fa scattare la seconda, e cioè il lancio dell'Opa obbligatoria poichè oggetto di cessione è un pacchetto azionario superiore al 25%, soglia sensibile secondo la nuova normativa sulle offerte pubbliche. Il prezzo dell'Opa sarà lo stesso a cui passa di mano il 26% e cioè 15 euro per ogni azione Pirelli, ma non è così attraente come potrebbe sembrare. Diverse case di investimento hanno infatti pubblicato report che indicano in 18 o anche 20 euro il prezzo giusto di Pirelli se si considera lo scorporo della divisione "truck" (pneumatici per veicoli pesanti) operazione che in effetti rientra nei progetti di Tronchetti Provera e del partner cinese. Bisognerà dunque vedere quante azioni verranno effettivamente consegnate all'Opa e a questo riguardo sarà decisivo il superamento della soglia del 67% del capitale Pirelli. L'uscita della società dalla Borsa scatta infatti quando un solo azionista possiede almeno il 95% del capitale. Nel caso della Pirelli basta che il solo azionista Malacalza, titolare del 7% delle azioni, decida di non aderire all'Opa per far saltare il piano di "delisting". Ma con almeno il 67% in mano la Newco potrà promuovere una fusione tra sè stessa e la Pirelli, farla approvare dall'assemblea straordinaria (necessaria una maggioranza di 2/3 dei presenti) e procedere per questa via all'uscita del nuovo gruppo da Piazza Affari. Al contrario con un pacchetto azionario inferiore al 67% tutto diventa più difficile e la Pirelli potrebbe anche restare quotata in Borsa rendendo il percorso di vendita dei "truck" alla Aelion (controllata da Chem China) molto più complicato. Tuttavia la vera partita per il futuro controllo della Pirelli si giocherà sulle quote della Newco post Opa. Gli accordi prevedono che i soci italiani e russi digiuntamente avranno l'opzione di salire dal 35 al 49% con i cinesi sempre al 51%. Ma in pratica si verranno a formare tre blocchi di azionisti. Gli italiani (Tronchetti, Sigieri Diaz, Rovati, Unicredit e Intesa Sanpaolo) con un iniziale 17,5%, i russi di Rosneft con un altro 17,5% e i cinesi con il 65%. A seconda di quante azioni Pirelli verranno consegnate all'Opa gli italiani e i russi potranno salire congiuntamente al 49% e i cinesi scendere al 51%. Dunque si tratta di capire quanti soldi Rosneft e i soci italiani saranno disposti a versare oltre i 665 milioni iniziali ed è facile pensare che le disponibilità dei russi saranno maggiori. Certo i tre gruppi di azionisti saranno legati tra loro dai patti parasociali che le parti stanno negoziando in queste ore e che prevederanno anche meccanismi di uscita, conferma della gestione a Tronchetti Provera nei prossimi cinque anni e altro. Ma è chiaro che in prospettiva sarà molto difficile per i soci italiani far fronte a un'alleanza russo-cinese tra l'altro già siglata a livello politico. LA STORIA LA NASCITA NEL 1872 La Pirelli nasce a Milano su iniziativa di Giovanni Battista

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 68 22/03/2015 La Repubblica Pag. 12 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Pirelli. Su idea di Francesco Casassa, produce anche cavi sottomarini, giochi e perfino borse di acqua calda LE GARE D'AUTO DEGLI ANNI '20 La sua presenza nelle gare automobilistiche porterà, negli anni, a importanti affermazioni in Formula 1, Rally e nelle Mille Miglia. I piloti sono testimonial delle linee di abbigliamento I ROBOT ARRIVANO NEL 2000 Per fabbricare pneumatici, nel 2000 arriva anche una catena di montaggio con dei robot intelligenti (nella foto, un canotto griffato Pirelli in vendita negli anni '60)

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 69 22/03/2015 La Repubblica Pag. 12 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL RETROSCENA Malacalza tira il freno, è deciso a non vendere MASSIMO MINELLA

GENOVA. Per ora non vende. Casomai, compra. L'Opa cinese su Pirelli non ha alcun effetto su Vittorio Malacalza. Anzi, potrebbe addirittura stimolarlo a limare verso il rialzo la sua quota del 7 per cento, raggiunta al termine di un'aspra contesa legale con l'alleato di un tempo, Marco Tronchetti Provera. Avevano camminato insieme sulla strada del business per anni, prima di trovarsi su posizioni differenti, divergere e separarsi. Ognuno per la propria strada, con Malacalza però sempre nel capitale. E adesso? Sulla carta il 7 per cento della famiglia genovese potrebbe addirittura arrivare a bloccare il "delisting" del titolo, obiettivo finale dell'operazione. Una volta scattata l'offerta pubblica di acquisto, infatti, il titolo può essere tolto dalle contrattazioni se la risposta arriva almeno al 95% del capitale. Ma i legali di Pirelli, a cui non sfugge questa eventualità, sarebbero già corsi ai ripari per trovare soluzioni alternative. Se infatti con l'Opa si riuscisse a raggiungere almeno il 6667% del capitale, allora potrebbe essere proposta una fusione fra il veicolo che lancia l'operazione, non quotato, e la Pirelli. Questo, secondo precedenti già andati in porto e mai contestati dal punto di vista legale, potrebbe comportare l'uscita dalla Borsa della quotata (Pirelli). L'operazione, però, dovrebbe essere approvata dall'assemblea straordinaria dei soci con i due terzi dei presenti. Ed ecco perché controllare almeno il 66% delle azioni può garantire la realizzazione del progetto e quindi il "delisting" del titolo azionario. Ma come reagirà la famiglia genovese di fronte a tutto questo? L'impressione è che la posizione di Malacalza sia sostanzialmente di attesa. Uno "stare alla finestra" aspettando di valutare gli eventi e capirne l'orientamento. Il fatto che Tronchetti abbia individuato un partner cinese quasi non dispiace a Malacalza. Anche se si tratta di soggetti diversi, lui i cinesi li conosce molto bene. Soprattutto quando si tratta di fare del business. A lungo produttore d'acciaio e in grado di ricavare dalla vendita dei suoi impianti oltre un miliardo di euro, Malacalza non ha mai smesso di essere un "trader", uno dei più attenti su questo versante in un mercato ciclico che garantisce grandi guadagni, ma espone anche a rischi quando la congiuntura diventa negativa. Anche per questo, già una decina d'anni fa, ha individuato proprio l'Asia come suo alleato nella sfida globale dell'acciaio. Insieme al colosso siderurgico Baosteel, infatti, la famiglia genovese ha dato vita a una joint venture paritetica, Baosteel Italia, con sede a Genova, che commercializza in tutta Europa acciaio di qualità prodotto dal gruppo asiatico. Figurarsi quindi se Vittorio Malacalza può avere adesso qualche preclusione per quanto riguarda una Pirelli cinese. D'altra parte, anche lui è stato socio di Tronchetti Provera e chiusa la sua pagina ha visto aprirsene altre e quindi non si sorprende più di tanto. Ora, però, bisogna capire tempi e metodi dell'operazione che riguarda il gruppo guidato da Tronchetti. E valutare appunto AZIONISTA Vittorio Malacalza è il secondo azionista di Pirelli dopo Camfin come procedere. Di certo, non ci sarà da parte della famiglia genovese un'adesione immediata. Per ora, quindi, bocce ferme, più avanti si sceglierà la strada migliore. In fondo, è stato così anche per Carige, con i vari concorrenti a rincorrersi per mesi, e un Malacalza che, in silenzio, dalla finestra è sceso in strada, ha bussato alla porta della Fondazione Carige e si è assicurato il 10,5 per cento di capitale della banca, con un investimento tutto sommato contenuto, 66,2 milioni di euro, tenuto conto che con questo esborso è diventato il primo azionista di Carige. Ora, con l'aumento di capitale da 850 milioni, Malacalza farà ovviamente la sua parte, confermando l'investimento (poco meno di 90 milioni), ma cercando anche di salire fino alla soglia massima oltre la quale diventerebbe obbligatorio far scattare l'Opa, il 24 per cento. L'ultimo dei suoi pensieri, infatti, è proprio quello di lanciare un'Opa su Carige, vista la natura del suo progetto, presentato fin dall'inizio in chiave "inclusiva", cioè tesa ad allargare il più possibile la platea degli investitori, grandi e piccoli azionisti, se possibile rappresentanti del territorio, senza comunque escludere altri soggetti.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 70 22/03/2015 La Repubblica Pag. 12 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'impressione, insomma, è che la famiglia genovese sia ora soprattutto concentrata sulla banca ligure. Per vendere le azioni Pirelli c'è ancora tempo e probabilmente alla fine anche Malacalza finirà per aderire. In fondo, come diceva Chiambretti, comunque vada, sarà un successo. Le azioni sono in carico a un valore di 6,2 euro (per un controvalore superiore ai duecento milioni) e vendere a 15 significa quasi triplicare il proprio investimento. I soci Pirelli 26,193 2,002 %51,197 Mercato 5,066 4,608 6,98 3,954 CAMFIN Fil Limited Harbor Int Edizione Srl MALACALZA Mediobanca FONTE: Consob PER SAPERNE DI PIÙ www.camfin.com www.chemchina.com

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 71 22/03/2015 La Repubblica Pag. 26 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Pensioni flessibili in uscita il piano entro l'estate reddito minimo agli over 55 Il ministro Poletti: lavoriamo con l'Inps. Possono bastare 1,5 miliardi Camusso: trattate con noi. Landini: l'età per ritirarsi va ridotta Le risorse si possono reperire risparmiando all'interno della protezione sociale VALENTINA CONTE

ROMA. Una specie di «reddito minimo» per quanti perdono il lavoro, ma sono lontani dalla pensionee non hanno nient'altro.È questa la «flessibilità sostenibile» a cui pensa il presidente dell'Inps Tito Boeri.E che troverà forma compiuta nella «proposta organica» che l'istituto di previdenza presenterà a giugno, articolata «sull'asse assistenza-previdenza». «Potrebbe bastare un miliardo e mezzo» per proteggere la fascia d'età 55-65 anni, calcola Boeri. Da reperire risparmiando all'interno della protezione sociale, ad esempio guardando alle gestioni speciali. «È un po' di tempo che abbiamo detto che va fatta una riflessione sul tema delle pensioni», risponde ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. «Boeri ci sta lavorandoe noi insieme a lui: è un tema all'ordine del giorno, siamo disponibilissimi ad affrontarlo». Il nodo è quello di «flessibilizzare in uscita il sistema», ribadisce Poletti, proprio per tamponare «il problema sociale più acuto», gli over 55 che «rischiano di trovarsi in una terra di nessuno». Boeri «sta facendo le simulazioni, poi vedremo il da farsi». Perplessi i sindacati. Susanna Camusso (Cgil), pur apprezzando le intenzioni, sottolinea che il confronto con Boeri non può sostituire quello con il governo, «perché noi abbiamo un problema di cambiamento della legge Fornero». Carmelo Barbagallo (Uil) teme il rischio «di spaventare pensionati e pensionandi» e chiede al ministro Poletti un incontro sulla previdenza. Maurizio Landini (Fiom) dice che occorre fare tre cose «molto precise». E cioè «abbassare l'età pensionabile, ripristinare le pensioni di anzianità a partire dai lavori più pesanti e non rimanere solo con il contributivo, perché i giovani così non hanno più la pensione». Ingiustizie che «vanno colpite» perché «se si va in pensione a 70 anni si satura il mondo del lavoro».E «noi il 28 marzo siamo in piazza proprio per questo». «L'aggancio all'aspettativa di vita, voluto dal governo Berlusconi, se non viene corretto ci porterà ad aziende popolate da settantenni», concorda Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera. Ma l'idea di «tosare» gli assegni in essere liquidati con il retributivo «può essere pericolosa». Secondo Boeri però «al di sopra di un certo importo è necessario intervenire, anche se non è mai bello». Per Damiano sarebbe preferibile «affrontare per prima cosa i privilegi di chi ha goduto di contribuzioni più basse e regole più generose di anticipo pensionistico». Come i dirigenti, andati in quiescenza con l'80% della retribuzione e soli 30 anni di contributi. «Partiamo da qui, se non vogliamo colpire i soliti noti che hanno dato già più del dovuto», sostiene Damiano. «Un attacco diretto e demagogico», si difende Federmanager, riferendosi ai dati diffusi da Boeri tre giorni fa. In base ai quali non solo la pensione dei dirigenti viene foraggiata dai fondi di dipendenti e precari, ma se fosse calcolata con il metodo contributivo oggi in vigore sarebbe più bassa del 23%. I PUNTI FLESSIBILITÀ Secondo una prima stima di Boeri, presidente Inps, serve un miliardo e mezzo per dare un reddito minimo agli over 55 ANTICIPO Un'altra soluzione per aiutare quanti perdono il lavoro e sono lontani dalla pensione è l'anticipo con un assegno più basso RISORSE I soldi necessari per il reddito minimo o per l'anticipo possono arrivare da altri fondi Inps o da un prelievo sulle pensioni d'oro Foto: IL CONFRONTO La leader Cgil Susanna Camusso e il ministro del Lavoro Poletti FOTO:ANSA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 72 22/03/2015 La Repubblica Pag. 26 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL PUNTO Repliche alla tv Marcorè e Golino attori sindacalisti "Tutte le emittenti paghino le royalty" Le stelle del nostro cinema nella cooperativa Artisti 7607 "Sky e Rai non collaborano" ALDO FONTANAROSA

ROMA. Sul palcoscenico di un teatro e davanti a una telecamera ci sanno stare. Ora hanno imparato anche il difficile lavoro del sindacalista. Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Neri Marcoré, Franca Valeri, Valeria Golino, Cinzia Mascolo sono braccia e mente di "Artisti 7607", la cooperativa che chiede il rispetto pieno di un diritto fondamentale della categoria. Nell'era del digitale, del satellite e della tv via web, mentre si moltiplicano i programmi e i canali, vogliono sapere quante volte un loro film o una fiction vada in replica, per rivendicare quello che spetta a un attore - importante o anche sconosciuto - come royalty. La cooperativa "Artisti 7607" ha preso sulle spalle un lavoro molto duro che prevede, tra le altre cose, un continuo pressing sugli editori televisivi perché forniscano la creta, la materia prima sulla quale lavorare. In altre parole, le emittenti devono dare agli attorisindacalisti i dati precisi sul numero delle repliche dei film e delle serie tv. E non tutte stanno collaborando. Cinzia Mascolo, la "Valeriana" di Viaggi di Nozze di Verdone, presidente della cooperativa, racconta: «Mediaset è stata disponibile. Ci ha girato le informazioni dal novembre 2013, data del nostro inizio attività, al dicembre 2014. La Rai, invece, ci dà solo due mesi: novembre e dicembre 2013. Peraltro da Viale Mazzini ci sono arrivati a malapena i titoli dei film e delle fiction, ed ora spetterà a noi rintracciare i nomi degli interpreti. In compenso Sky, che pure vanta l'offerta più ricca e continua di trasmissioni, non ci ha mandato un solo dato». In passato, quando i diritti degli attori erano tutelati dal solo Imaie, qualcosa non ha funzionato. Ancora Mascolo dice: «Un giorno Elio Germano si è visto recapitare un assegno da un euro per "Faccia d'angelo", la mini- serie tv in cui interpretava da protagonista Felice Maniero, boss della mala del Brenta. Devo aggiungere altro?». La storia di "Artisti 7607" è raccontata nel libro di Francesco Schlitzer, "Imbizzarriti" (i cui diritti andranno alla onlus L'Altra Napoli). Foto: LA STAR Franca Valeri in prima linea nella società cooperativa "Artisti 7607" che tutela i diritti degli attori

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 73 22/03/2015 La Repubblica Pag. 28 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Lettere Commenti & Idee SCENDE L'EURO SALE LA UE MOISÉS NAÍM

IDUE valori più importanti dell'economia mondiale sono in calo, un calo rapido e inaspettato. A luglio 2014 un barile di petrolio costava 114 dollari, ora ne costa 46. Un euro costava 1,36 dollari e ora 1,08: nell'ultimo anno la moneta unica ha perso circa il 23 per cento del suo valore nei confronti del dollaro statunitense e il 19 per cento rispetto alla media delle altre dieci valute più importanti. La maggior parte degli esperti prevede che fra non molto un euro varrà quanto un dollaro, e continuerà a scendere. Le conseguenze del crollo del prezzo del petrolio sono note: non altrettanto si può dire della svalutazione della moneta europea. Ma i due processi sono ugualmente importanti: sia il prezzo dell'energia che quello dell'euro, la seconda valuta più utilizzata al mondo, influiscono sui prezzi di quasi tutti i prodotti che consumiamo, dai dentifrici alle automobili e ai pomodori. Prima di parlare dei motivi della discesa dell'euro e di quali conseguenze avrà è utile sgombrare il campo da "un'idea zombie" sul valore delle monete (Agnes Quisumbing definisce "idee zombie" le teorie che non muoiono nonostante sia già stato dimostrato che non hanno fondamento). Non è scontato che un Paese si indebolisca se la sua moneta si svaluta. In alcuni casi, la svalutazione della moneta rafforza l'economia: se l'euro perde valore rispetto al dollaro, una bottiglia di vino spagnolo, un aereo francese o un'auto italiana nel resto del mondo costeranno meno, incoraggiando le vendite dei prodotti e facendo crescere le esportazioni. E questo è un bene per l'occupazione e l'economia in generale. Sull'altro versante, la svalutazione dell'euro rende più cari i beni prodotti al di fuori dell'Eurozona, per esempio un iPhone, un macchinario industriale o una vacanza a Disneyworld. Per fortuna dell'Europa, l'impatto sui prezzi dei prodotti importati arriva in un momento in cui la minaccia per il continente non è l'inflazione bensì il contrario, la deflazione (nel 2004i prezzi in Europa sono scesi dello 0,02 per cento). Questa malattia dell'economia consiste in una caduta persistente dei prezzi dovuta all'inadeguatezza della domandae conducea una stagnazione cronica, come quella che affligge il Giappone. La svalutazione della moneta è un buon antidoto contro la deflazione. Non tutte le svalutazioni producono effetti positivi. Quando la moneta perde valore rispetto alle altre a causa di una fuga di capitali provocata da una sfiducia nell'economia del Paese, la svalutazione è nociva. E lo è anche quando contribuisce a far esplodere l'inflazione e a frenare gli investimenti e la crescita. È quello che sta succedendo in Russia o in Venezuela, due dei Paesi più colpiti dalla caduta dei prezzi del petrolio e da altri problemi. Perché l'euro si sta deprezzando? La ragione principale è che la Banca centrale europea sta iniettando liquidità monetaria per stimolare gli investimentiei consumi, mentre la sua omologa statunitense, la Federal Reserve, sta tirando i remi in barca; anzi, lascia intendere che potrebbe alzare i tassi di interesse per contrastare le pressioni inflazionistiche generate da un'economia in crescita e da un tasso di disoccupazione che si avvicina al limite oltre il quale la scarsità di lavoratori provoca aumenti dei prezzi. Nulla si muove più rapidamente del denaro. Di fronte a questa nuova situazione economica (anzi, anticipandola), gli investitori hanno spostato i soldi dagli Stati Uniti all'Europa. Dall'inizio dell'anno è entrata nei fondi di investimento europei la cifra record di 35,6 miliardi di dollari, mentre dai fondi americani sono defluiti 33,6 miliardi. Da gennaio a oggi le Borse europee hanno superato quelle americane, sia in termini di aumenti del prezzo delle azioni quotate sia in termini di volume degli afflussi di fondi. Questi movimenti sono determinati dall'aspettativa che le grandi imprese esportatrici statunitensi,a causa del "dollaro forte", che rende i loro prodotti più cari all'estero, vedranno ridursi entrate e utili, e di conseguenza anche il valore delle azioni. Secondo un sondaggio della rivista Duke/Cfo , due terzi delle imprese esportatrici americane affermano che l'apprezzamento del dollaro le ha danneggiate. Ma c'è anche un altro fattore che

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 74 22/03/2015 La Repubblica Pag. 28 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

avrà un impatto enorme. Da anni le imprese americane non finanziarie stanno accumulando liquidità in proporzioni colossali e possono usare questa liquidità per comprare altre imprese. E ora, con l'euro che costa meno, costano meno anche le imprese europee per chi ha dollari in abbondanza: dobbiamo aspettarci un'ondata di acquisizioni di grandi imprese europee. Questi sono solo alcuni effetti della svalutazione dell'euro, ce ne sono molti altri. Ma in definitiva, se qualcuno si chiede se la svalutazione dell'euro sia un bene per l'Europa, la risposta è semplice: sì. Twitter @moisesnaim (Traduzione di Fabio Galimberti)

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 75 23/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

GLI USA TEMONO LA RESA EUROPEA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI

NEW YORK LA NOTIZIA della scalata cinese alla Pirelli arriva pochi giorni dopo un'altra. ALLE PAGINE 20 E 21 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK. La notizia della scalata cinese alla Pirelli arriva pochi giorni dopo un'altra, che ha messo in allarme gli Stati Uniti: l'adesione di quattro paesi europei alla nuova Banca Asiatica d'Investimenti in Infrastrutture, voluta da Pechino per "sfidare" l'egemonia Usa sulla Banca mondiale e il Fondo monetario. Da Washington si moltiplicano le accuse agli europei: «ingenui, incoerenti», sono le espressioni più cortesi usate dalla Casa Bianca. L'Amministrazione Obama non è contraria per principio agli investimenti cinesi in Occidente. Anzi, li considera benefici per "riciclare" in parte l'attivo commerciale che la Cina accumula con le sue esportazioni. Il riciclaggio del surplus di bilancia dei pagamenti tradizionalmente avveniva acquistando Buoni del Tesoro americani, creando una simbiosi fin troppo soffocante tra il massimo debitore sovrano (Usa) e il massimo creditore sovrano (la Repubblica Popolare). E' meglio - sottolineano i consiglieri economici di Obama come Michael Froman - se la Cina diversifica i suoi investimenti, aumentando il portafoglio azionario. Ma l'Occidente - proseguono - deve avere una visione strategica dei propri interessi. Quando la sicurezza nazionale o la salvaguardia della propria superiorità tecnologica lo richiedono, deve saper dire di no ai capitali cinesi. L'ingresso della Cina in infrastrutture nevralgiche come il porto di Atene; o l'elenco di partecipazioni nei "campioni nazionali" dell'economia italiana (da Ansaldo a Reti, più le partecipazioni di minoranza in Eni, Enel, Telecom, Saipem), visti da Washington sono altrettanti punti interrogativi. A casa sua, il governo degli Stati Uniti ha deciso da tempo quali sono i settori strategici, quali le regole di politica industriale che giustificano le barriere. Un episodio chiave avvenne nel 2005, quando Washington sbarrò la strada all'acquisizione di una compagnia petrolifera californiana, Unocal, da parte dell'ente di Stato China National Offshore Oil Corp. L'energia è uno di "quei" settori. Altra pietra miliare, anno 2012, è l'inchiesta del Congresso su due colossi delle telecom cinesi, Huawei e Zte, accusati di spionaggio industriale, anche a fini militari. Da allora la penetrazione di Huawei e Zte attraverso investimenti in aziende Usa è bloccata. L'ultima parola spetta al Committee on Foreign Investment in the United States (Cfius), un'agenzia governativa che è la cabina di regìa, dove si elabora e si gestisce la strategia sugli investimenti esteri. Per Washington non va sottovalutato il fatto che tuttora il 90% degli investimenti esteri diretti compiuti dalla Cina fanno capo ad aziende di Stato, che quindi rispondono a un disegno politico. Non per questo l'America è refrattaria ad ogni sorta d'investimenti. Anche quando passano in mani cinesi dei "trofei", dei simboli, dei pezzi di storia. Come l'hotel Waldorf Astoria di recente acquistato per quasi due miliardi dalla compagnia assicurativa Anbang, diretta dal nipote di Deng Xiaoping. Un risvolto "politico- strategico" esiste anche lì: il Waldorf è da un secolo la residenza newyorchese dei presidenti americani, nonché di tanti leader stranieri quando vengono all'assemblea annua Onu; ora l'intelligence Usa medita di ricorrere ad altri alberghi per evitare intercettazioni e simili sorprese... Due importanti think tank americani, l'American Enterprise Institute e la Heritage Foundation, hanno una mappatura degli investimenti esteri cinesi, che rivela un cambiamento profondo in soli quattro anni. Mentre il totale cresceva del 30% e oggi sfiora i 90 miliardi, la composizione ha subito una metamorfosi. Ancora nel 2010 la strategia mirava all'accaparramento di energia, miniere, e materie prime agricole: questi tre settori assorbivano 70% del totale. Oggi è cresciuto il peso dell'immobiliare, e si è decuplicato l'investimento in tecnologie da 0,9% a 9,7%. Per l'Amministrazione Obama un obiettivo comune dell'Occidente dovrebbe essere quello di consolidare il ruolo della Cina come "responsible stakeholder" (azionista e partner responsabile); anche per contrastare le spinte nazionaliste e protezioniste che risorgono sotto Xi Jinping, e rendono il mercato interno cinese più chiuso alle nostre imprese (l'accusa è nel Libro Rosso della Camera di Commercio europea a Pechino). Il massimo allarme è scattato per l'operazione della

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 76 23/03/2015 La Repubblica Pag. 1 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Banca asiatica Aiib. Concorrente locale della Banca mondiale, l'Aiib finanzierà opere pubbliche, grandi infrastrutture. «Con quale trasparenza finanziaria? Con che garanzie per la sostenibilità ambientale, i diritti dei lavoratori?» si è chiesto Obama criticando David Cameron, Angela Merkel, François Hollandee Matteo Renzi per essere entrati in quella banca. «Da decenni lavoriamo per migliorare la qualità dei progetti finanziati dalla Banca mondiale - aggiunge la Casa Bianca - e nulla garantisce che quei progressi siano imitati dalla nuova istituzione progettata a Pechino». L'inquietudine di Obama ha anche una motivazione più profonda. E' la prima volta che la Cina fa un passo concreto verso la costruzione di un sistema alternativo alla Pax Economica Americana, quella fondata a Bretton Woods nel 1944 con Fmi, Banca mondiale e Gatt (poi Wto). La Casa Bianca si chiede se gli europei abbiano capito in quale disegno sono entrati. I CASI IL WALFORD ASTORIA E' l'hotel newyorkese dove fanno tappa i presidenti americani. È finito alla cinese Ambang I CAVI DI HUAWEI Ottobre 2012, il Congresso Usa "non esclude" che Zte e Huawei minaccino la sicurezza degli Usa PER SAPERNE DI PIÙ www.pirelli.com www.chemchina.com

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 77 23/03/2015 La Repubblica Pag. 20 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

GIUSEPPE BERTA, STORICO E DOCENTE DELLA BOCCONI: CAMBIA LA STRUTTURA ECONOMICA L'INTERVISTA "Milano senza industria non è più una città-guida" ROBERTO MANIA

ROMA. «Milano è una città senza più vocazione. L'operazione Expo è stata concepita per riaffermare un ruolo nazionale e internazionale di Milano, una porta aperta sul mondo. Ma finora questa operazione non è stata declinata: Milano non manda più messaggi al Paese». Per Giuseppe Berta, professore di storia contemporanea alla Bocconi, autore del recentissimo "La via del Nord. Dal miracolo economico alla stagnazione" (Il Mulino), la vendita della Pirelli va letta all'interno di questo contesto. Milano ha perso la grande industria, non esprime più l'efficienza dell'amministrazione, e non rappresenta più l'avamposto di quella che è stata la questione settentrionale. Cosa significa, per Milano e per l'Italia, una Pirelli controllata dai cinesi? « È un ulteriore tassello che si aggiunge al mutamento della configurazione strutturale di Milano: la Pirelli ai cinesi, i grattacieli agli arabi del Qatar. È il segno di un'Italia che possiede cose da vendere. Questa però non è attrazione degli investimenti. Attrazione degli investimenti vuol dire partecipare ad attività economiche promosse dall'Italia, qui siamo di fronte alla mera alienazione di parti del nostro apparato manifatturiero». Tronchetti resterà alla guida del gruppo fino al 2021. Non è una garanzia perché l'headquarter rimanga in Italia? «Dal punto di vista di una prospettiva economica di mediolungo periodo, il 2021 è dietro l'angolo. Noi siamo immersi in una fase di turbolenza degli assetti capitalisti. Non c'è nulla di garantito. E possiamo stare certi che i cinesi si giocheranno tutte le loro carte». Dunque, abbiamo già perso un altro tassello della nostro industria? «Al momento abbiamo perso il controllo di un pezzo di industria italiana. Così aumenta la precarietà della struttura economica del nostro Paese. Ma d'altra parte io davo per scontata la cessione di Pirelli ai russi di Rosneft. Quell'operazione fu raccontata come un passaggio di Pirelli verso una public company. Ma non era vero. Ora l'arrivo dei cinesi non mi genera alcun stupore. Certo, noto un'accelerazione di mutamento dovuta al fatto che siamo un Paese che ha ancora tanti asset industriali e che subisce gli effetti di una drammatica caduta dell'economia. Quest'anno il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,6% contro l'1,3% dell'eurozona. Vuol dire che se noi cominciano a camminare, gli altri stanno correndo». Ma se Milano e il Nord perdono la capacità di spingere lo sviluppo del Paese, qual è il nostro futuro industriale? «Stiamo assistendo alla destrutturazione degli assetti economici dell'Italia. Pensi all'operazione di Landini: è solo una via di fuga, chiudere gli occhi di fronte alla propria crisi e giocare la carta del movimento sociale. È la cultura industrialista della Fiom? Stiamo assistendo a uno sfarinamento della società nella quale non si assiste più a movimenti unitari. La grande impresa, pubblica e privata, ha tenuto insieme il Paese». Vuol dire che senza grandi imprese si indebolisce anche l'unità del Paese? «Esattamente. Siamo un Paese senza una prospettiva autonoma di sviluppo». Un "nobile decaduto" che vende le sue proprietà? «Non è tanto questo il punto. La veritàè che le nostre medie imprese non riescono a fare massa critica. Avremmo bisogno di un numero di medie imprese almeno dieci volte superiore a quello attuale e con un fatturato che arrivi ai due miliardi di euro. Questo permetterebbe alle nostre medie aziende di esercitare un'influenza sul Paese». È la classe politica la responsabile di questo declino? «Credo che sia venuto meno il rapporto di interazione tra politica, economia e amministrazione. La vicenda Lupi, l'unico (ex) ministro milanese nel governo, è emblematica da questo punto di vista: la burocrazia che si appropria dell'agenda della politica. Qui c'è lo smarrimento del Nord. Il Nord è scomparso dal linguaggio della politica, anche la Lega ha ormai abbandonato la questione settentrionale».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 78 23/03/2015 La Repubblica Pag. 20 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Perché, secondo lei? «Perché non si crede più che il Nord possa guidare questo Paese. E d'altra parte all'insofferenza nei confronti della politica, Milano e la Lombardia contrapponevano l'efficienza delle decisioni e la qualità dell'amministrazione. Ora non più: prima il caso Formigoni, poi Lupi...». L'EXPO L'Expo è stata concepita per riaffermare un ruolo nazionale e internazionale. Ma l'obiettivo è lontano GLI STRANIERI Noi siamo in una fase di turbolenza degli assetti capitalisti. E i cinesi si giocheranno le loro carte GIUSEPPE BERTA Storico dell'impresa LA LEGA Il Nord è scomparso dal linguaggio della politica. La Lega ha abbandonato la questione settentrionale LE IMPRESE Avremmo bisogno di un numero di medie imprese almeno dieci volte superiore a quello attuale Foto: I GRATTACIELI A fine febbraio il fondo sovrano del Qatar ha acquisito la totalità delle azioni dell'area di Porta Nuova a Milano, dove tra l'atro ha sede l'Unicredit Tower Foto: LA MODA La storica casa di moda Krizia è stata rilevata lo scorso anno dalla cinese Marisfrolg Fashion, fondata da Zhu Chongyum, leader del pret-à-porter di fascia alta

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 79 21/03/2015 La Stampa Pag. 12 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato VERSO L'APPUNTAMENTO DI MILANO Intervista "L'Expo non sarà solo una sfilata di marchi" Letizia Moratti: "E' un'occasione di scambio culturale A casa mia troveranno ospitalità alcuni contadini" FABIO POLETTI MILANO

Letizia Moratti è a New York. L'ex sindaco di Milano e co-fondatrice della Fondazione San Patrignano è intervenuta alle Nazioni Unite all'assemblea di «Change the world model Un», davanti a 1800 giovani di 90 Paesi chiamati a discutere di «Diritti umani, risorse idriche, energia e sicurezza del cibo». Un tema che porta diritto a Expo 2015 che si inaugura tra 41 giorni e che Letizia Moratti volle a Milano, quando nel 2006 avanzò la candidatura della città al Bureau International des Expositions a Parigi. Presidente Letizia Moratti, perchè allora puntò sul cibo come tema per Expo 2015 a Milano? «Il Bie chiedeva che ogni Paese che aspirava ad aggiudicarsi l'esposizione puntasse sulle proprie competenze specifiche. E l'Italia ha la competenza sulla produzione e sulla distribuzione del cibo, m a h a p u r e c o m p e t e n z e scientifiche. Cose evidentemente riconosciute». «Nutrire il pianeta» è un tema globale. Da Expo 2015 arriverà all'Onu la Carta di Milano che vuole essere una piattaforma per affrontare il tema del cibo nel mondo. In questi giorni se ne parla all'Onu lì a New York... «Discutere di cibo e acqua significa andare al cuore delle condizioni più basilari che rendono possibile la vita dell'uomo sul nostro pianeta. Ma è pure una sfida culturale per ridare centralità a questioni che negli ultimi decenni sono state marginalizzate nel dibattito politico e istituzionale. Quando venne presentato il dossier di Milano per Expo c'era la visione di un posizionamento strategico dell'Italia rispetto a questi temi. Accompagnato da progetti importanti poi non tutti realizzati. Si parlava di aiuti per orti urbani in Senegal, il miglioramento di produzioni in Niger e l'aiuto alle donne del Togo a trasformare la materia prima come i p o m o d o r i p e r p o t e rl a co m mercializzare». Una delle critiche al modello Expo è quello della presenza dei grandi brand commerciali. Come risponde? «Ci sono i grandi ma anche i piccoli brand. Penso al microbirrificio partner di Expo o alla presenza di Coldiretti. Il filo conduttore di Expo è sempre stato il cibo come opportunità di conoscere culture e storie diverse. Non a caso a o t t o b re q u a l c h e m i gl i a i o d i agricoltori, contadini e pescatori saranno ospitati nelle case di famiglie milanesi compresa la mia». In nove anni attorno a Expo Milano è successo tanto altro. Più di un arresto, le tangenti tanto da rendere necessario l'intervento di Raffaele Cantone dell'Autorità anticorruzione. Si poteva fare qualcosa di più? «Avevo chiesto leggi più severe su appalti e subappalti ai due diversi governi con cui ho avuto a che fare durante il mio mandato. Avevo scritto una lettera a Berlusconi e a Prodi su questo, ma non ho mai avuto risposta». La crisi economica, i ritardi iniziali nei lavori, qualche lite istituzionale hanno cambiato nel corso degli anni l'idea di quello che sarebbe stata l'esposizione. Teme che questo possa avere un risvolto negativo nel risultato finale? «Questo lo vedremo. Ma noi siamo bravissimi a correre l'ultimo miglio in questa gara per cui il mondo ci guarda. Io sono ottimista che gli sforzi fatti siano premiati da un Expo diversa dal passato». Però non ci saranno quella torre alta 200 metri che si doveva vedere da tutta la città, altri progetti si sono persi per strada. «Di proposte ce n'erano tante. Ma quello che ci interessava non era avere un simbolo fisico come l'Atomium dell'esposizione di Bruxelles. La cosa davvero importante era far diventare il cibo un elemento di conoscenza e amicizia tra i popoli. Nel mio ultimo discorso al Bie di Parigi ricordo di aver parlato di sviluppo sostenibile. Un tema di cui stiamo ancora discutendo. E di cui parlano questi giovani qui a New York all'Onu. Come ci ricordano programmi e agenzie delle Nazioni Unite, da Fao a buona parte dei Millennium Development Goals: garantire una distribuzione equa e un accesso a tutti al cibo, rappresenta il pilastro su cui costruire un mondo libero da povertà e conflitti. Perchè ancora oggi 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e ogni due ore 700 bambini sotto i 5 anni muoiono a causa della malnutrizione». L'iniziativa diventata realtà n Era il 2006 quando Letizia Moratti, sindaco di Milano, avanzò la candidatura di Milano come sede dell'Expo al Bureau International des Expositions a Parigi n La votazione e la proclamazione finale per la scelta della sede dell'Expo avvenne il 31 marzo 2008: Smirne (Turchia) ottenne 65 voti, Milano 86. Il tema proposto per l'Expo è «Nutrire il pianeta, energia per la vita»

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 80 21/03/2015 La Stampa Pag. 12 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il tema del cibo e dell'acqua riguarda le condizioni più basilari per la vita dell'uomo sul pianeta È un successo che alimentazione e produzione siano elementi di amicizia tra i popoli Letizia Moratti Ex sindaco di Milano 41 giorni Mancano all'inaugurazione dell'Expo, che si aprirà il 1° maggio mesi L'Expo sarà aperta dal 1° maggio al 31 ottobre 800 milioni Sono le persone che soffrono di fame nel mondo Ogni due ore 700 bambini sotto i 5 anni muoiono per malnutrizione Foto: STEFANO PORTA /ANSA Foto: Sono ancora in corso i lavori per completare i padiglioni dell'Expo

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 81 22/03/2015 La Stampa Pag. 5 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'INCHIESTA SULLE GRANDI OPERE La storia Orte-­Mestre, la Nuova Autosole tra sprechi e affari Il più costoso dei progetti nell'indagine di Firenze La norma ad hoc dopo il no della Corte dei Conti GIUSEPPE SALVAGGIULO

Altro che «Autostrada del Sole del XXI secolo»: delle grandi opere su cui indaga la Procura di Firenze, l'autostrada Orte-Mestre è solo la più costosa (10 miliardi su 25), e la più adatta a raccontare un sistema che il presidente dell'Autorità anticorruzione Cantone definisce «criminogeno». Il progetto nasce nel 2001, in piena euforia da legge obiettivo. Berlusconi ha tracciato la mappa sulla lavagna di Vespa: 196 opere strategiche in dieci anni, il 40% nei primi cinque recita il contratto con gli italiani. Dopo 14 anni le opere finite sono l'8%. E la OrteMestre non è ancora partita. Come racconta Roberto Cuda in «Strade senza uscita» (Castelvecchi), a economisti e ambientalisti parve subito una follia: previsioni di aumento di traffico infondate (secondo la Kpmg, sono in media sovrastimate del 30%) e non avvalorate da esperti indipendenti; esistenza di soluzioni alternative low cost, adeguando le strade esistenti; alto impatto ambientale attraversando 6 aree protette e consumando 380 milioni di metri quadrati di suolo, di cui l'86% agricolo. «Un viaggio straordinario lungo l'art. 9 della Costituzione - dice Luca Martinelli, autore per Altreconomia di un videoreportage lungo il tracciato -: risale il Tevere fino alle sorgenti, lambisce il Parco del Casentino poi inizia la discesa verso la Romagna e raggiunge Venezia attraversando le valli di Comacchio e del Mezzano, straordinari esempi di bonifica, e infine il Parco del Delta del Po e la bellissima Riviera del Brenta». Nessuna obiezione ha mai fermato il sogno di quello che il presidente dell'Anas Pietro Ciucci ha definito «il progetto infrastrutturale più importante d'Italia». A sognare sono in tanti: banche, cooperative, finanzieri, costruttori. Dieci anni fa la cordata delle coop rosse guidata da Lino Brentan del Pd (poi arrestato per corruzione) e sostenuta da un'associazione presieduta da Bersani, fu battuta da quella di Vito Bonsignore: ex Dc, Udc, Pdl. Tra il 2009 e il 2010, tutte le carte della Orte-Mestre sembrano a posto, compresa la controversa valutazione ambientale, approvata sulla base di uno studio commissionato da Bonsignore a una società amministrata da suo fratello. Il «project financing» prevede che il privato finanzi l'opera e riscuota i pedaggi della concessione. Ma quello all'italiana (vedi BreBeMi) è diverso: se si va in perdita, ci pensa lo Stato. Solo che il governo Berlusconi non ha 1 miliardo per far partire i lavori, la crisi spaventa e le banche tergiversano. La musica non cambia con Monti. Per fortuna nel 2013 al mi5nistero arriva Lupi, che si batte come un leone, spingendosi a definire la Orte-Mestre «un'opera strategica perché si aggancerà al corridoio europeo baltico-adriatico». La smentita della Commissione Ue non impedisce al Cipe (governo Letta, 8 novembre 2014) di approvare l'opera con un generoso contributo pubblico salito a 1,8 miliardi (20% del costo totale). Una settimana dopo Lupi e Bonsignore fondano il Ncd. Nel frattempo la Orte-Mestre è diventata bipartisan, anzi tripartisan: centrodestra, Lega, Pd. Tanto che Bonsignore consegna la guida del suo consorzio al dalemiano Antonio Bargone. Tutti d'accordo, meno la Corte dei Conti che nel luglio 2014 boccia la delibera del Cipe: lo sgravio fiscale è abnorme e illegittimo. Poche settimane dopo sarà il governo Renzi, con un comma ad hoc nel decreto Sblocca-Italia, a sanare l'illegittimità (ora si attende il sì della Corte dei conti). Tutto risolto? Non secondo pm fiorentini e carabinieri del Ros, che proprio sul più bello arrestano Incalza e indagano Bonsignore e Bargone per aver promesso al superburocrate l'assegnazione della lucrosa direzione lavori al suo sodale Perotti in cambio di «un favorevole iter delle procedure amministrative relative al finanziamento dell'opera». Al di là dei reati, le intercettazioni documentano la solerzia con cui il trio si adoperava per l'approvazione di norme su misura, tali da rendere l'opera fattibile e profittevole per i privati. E forse lo sarebbe, ma a spese dei contribuenti. Si può fare finta di niente? Dimissionato Lupi, la risposta spetta a chi, a Palazzo Chigi, erediterà il dossier grandi opere. La vicenda e gli attori bipartisan 1,9 miliardi Lo sconto fiscale in favore dei privati deciso dai governi Letta e Renzi per la costruzione dell'autostrada Orte­Mestre. La Corte dei conti lo aveva bocciato perché esagerato e illegittimo Maurizio Lupi Ministro delle Infrastrutture dal 2013, grande sponsor dell'opera, tanto da riuscire a

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 82 22/03/2015 La Stampa Pag. 5 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

far approvare uno sgravio fiscale molto generoso e una norma ad hoc Vito Bonsignore Imprenditore, politico (Dc, Udc, Pdl, Ncd), promotore della autostrada OrteMestre, indagato dalla Procura di Firenze per induzione indebita nei confronti di Ercole Incalza Antonio Bargone Ex sottosegretario dei governi Prodi e D'Alema, di cui era stretto collaboratore, è presidente del consorzio promotore di Bonsignore. Anche lui è indagato con la stessa ipotesi di reato ADRIA CODIGORO AREZZO ORVIETO BOLSENA COMACCHIO 64 10 16 km km di gallerie miliardi aree di servizio il costo previsto di ponti e viadotti

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 83 22/03/2015 La Stampa Pag. 19 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato il caso Da Pechino tre miliardi di investimenti L'Italia è la meta preferita dopo Londra Dagli yacht Ferretti alla moda di Krizia, tra le prossime prede c'è Borsalino GIANLUCA PAOLUCCI TORINO

La prossima preda potrebbe essere Borsalino. Una delle sei cordate che (finora) si sono fatte avanti per mettere le mani sullo storico marchio del Made in Italy è infatti cinese. Niente di sorprendente, se si considera che lo scorso anno l'Italia è stato il secondo Paese in Europa per ammontare di investimenti cinesi. Da Pechino, secondo i calcoli di Bloomberg, sono arrivati quasi 3 miliardi di euro, l'Italia è seconda solo alla Gran Bretagna. Più curiosa, piuttosto, un'altra circostanza. Se mai dovesse andare in porto, l'affare Borsalino rappresenterebbe quasi un'eccezione nello shopping cinese in Italia. Che invece di comprare i «gioiellini» - veri o presunti della moda e dell'alimentare Made in Italy come hanno fatto a mani basse dagli arabi ai francesi, ha preferito concentrarsi su settori molto meno glamour. Industria, energia, infrastrutture, telecomunicazioni. A parte Krizia (pagata 35 milioni) o l'8% di Ferragamo, gli olii d'oliva Sagra e Berio o gli yacht Ferretti (75 milioni), l'elenco degli investimenti di Pechino in Italia è fatto di nomi meno noti, ma ben più pesanti. Praticamente ignorato il mattone amato da arabi e fondi Usa, il principale investimento fatto finora è il 35% di Cdp Reti, pagato 2,1 miliardi dal gigante pubblico State Grid Corporation. Cdp Reti è una società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti che, a sua volta, detiene i pacchetti di controllo di Terna e Snam. Ovvero la rete elettrica del Paese e il sistema di approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione del gas in Italia. Poi c'è il 40% di Ansaldo Energia, passato da Finmeccanica a Shanghai Electric Group. E ancora, l'ingresso della People's Bank of China in una lunga serie di società quotate, sempre prendendo poco più del 2% del capitale. Ovvero, la soglia che fa scattare l'obbligo di dichiarare il possesso dei titoli. L'elenco è questo: Eni, Enel, Fca, Telecom Italia, Prysmian, Generali. Un segnale di presenza, diciamo. Letto dagli ottimisti come manifestazione di fiducia nel sistema-Paese, ma che ha sollevato anche qualche interrogativo. Di certo non c'è nessun dossier di vendita di asset italiani che non faccia un giro dalla parti di Pechino, Hong Kong o Shanghai. Oltre a Borsalino, un gruppo cinese starebbe valutando ad esempio il Molino Stucky, hotel veneziano già di Bellavista Caltagirone. Ultimamente va di moda anche il calcio, per dire: fantomatici compratori cinesi appaiono qua e là praticamente in ogni trattativa, senza escludere Inter prima e Milan adesso. L'unico affare andato in porto nel mondo del pallone, guarda caso, è quello che ha visto il passaggio della società che detiene i diritti della Serie A, la Infront, al gruppo Dalian Wanda, guidato da un ex militare. Valutazione, secondo le indiscrezioni, un miliardo di euro. Altro elemento certo è che l'amore per l'industria italiana è scattato di recente: secondo i dati della Farnesina, fino al 2012 il flusso degli investimenti diretti in Italia dalla Cina era pari a 147 milioni di euro. Cosa è cambiato in pochi anni nella visione di Pechino - da rilevare che gli investimenti più importati provengono da imprese statali - che ha reso l'Italia così appetibile? «Dopo anni di crisi, forse il gigantesco cartello "Saldi" appiccicato sopra la Penisola», scherza un banker. 147 milioni Gli investimenti cinesi in Italia nel 2012 Da allora un'impennata 35 per cento La quota cinese in Cdp Reti, finora l'investimento più grosso in Italia Foto: Affari in Borsa La banca cinese People's Bank of China è entrata in molte società italiane quotate, tra cui: Eni, Enel, Fca, Telecom, Prysmian e Generali Foto: AFP

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 84 23/03/2015 La Stampa Pag. 11 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Intervista "Atene deve accettare la linea dell'Ue Ma il prezzo degli aiuti è troppo alto" L'economista Papadopoulos: l'austerità ha rovinato una generazione FRANCESCO MAGRIS

Konstantinos Papadopoulos, professore di economia all'Università «Aristotele» di Salonicco, Ph.D presso l' Università di Lovanio, i conti pubblici della Grecia sono preoccupanti. Tuttavia, la loro reale consistenza non è molto chiara, forse a causa una cattiva abitudine del Paese di confondere le statistiche. Ci potrebbe dare delle cifre precise? «Non sono completamente d'accordo quando ci si riferisce, in modo ironico, alle "statistiche greche". La dimensione del debito pubblico è stata certamente, e forse volutamente, sottostimata prima dell'entrata del Paese nell'eurozona nel 2000, e pure nel biennio 2008-2009, sfruttando certe ambiguità nella definizione tecnica da attribuire al "settore pubblico". Ma l'istituto di rilevazione statistica greco è indipendente e negli ultimi cinque anni siamo stati monitorati dalla troika e dall'Eurostat. La situazione è drammatica: il tasso di disoccupazione è del 27% (quello giovanile pari al 50%) e il debito pubblico si eleva a 315 miliardi di euro, ossia il 176% del Pil, frutto del susseguirsi negli anni di colossali disavanzi di bilancio. Nel 2014, ad esempio, il deficit secondario è stato di 4,5 miliardi». Le riforme invocate dalla troika sono drastiche. Cosa viene richiesto alla Grecia e che cosa è disposta a fare? «Le richieste risalgono al Memorandum del 2012 e si ponevano l'obiettivo di accelerare le riforme del mercato del lavoro, del sistema previdenziale e della politica tributaria oltre a procedere a privatizzazioni di massa e a una robusta ricapitalizzazione del sistema bancario con fondi privati. Nel dicembre 2014, il governo di coalizione di Samaras e di Venizelos ha chiesto due mesi di proroga per l'adempimento degli impegni, al quale era condizionato l'esborso della tranche finale da parte della troika di un prestito di 7,2 miliardi di euro, essenziale per combattere il gap di liquidità. Ma a gennaio ha vinto Syriza, le cui promesse anti-austerità non erano in linea con lo spirito del memorandum. All'inizio di marzo il Ministro delle Finanze Varoufakis ha presentato una lista di riforme per tutelare le fasce della popolazione più colpite dalla crisi. Nessun riferimento alle riforme che costituivano il nucleo della negoziazione». Con il quantitative easing della Bce i Paesi europei si finanziano a tassi molto contenuti. La Grecia invece non ha accesso ai mercati finanziari ma riceve aiuti direttamente dall'Europa. Non sarebbe più opportuno accordare pure ad essa tale possibilità? «Purtroppo la Bce non vuole accettare il titoli di Stato greci come collaterale: sono considerati troppo rischiosi. Se la Grecia accettasse i suggerimenti del Gruppo di Bruxelles (come il nuovo governo chiama la troika), i buoni del tesoro i aumenterebbero di credibilità e potrebbero partecipare al Qe. Se le finanze pubbliche fossero più solide, si aprirebbe la possibilità di accedere ai mercati internazionali. A oggi non è possibile, per il persistente problema di liquidità e i lunghi e infruttuosi negoziati». Il problema è proprio quello della liquidità per le spese correnti. Dopo che lo Stato ha attinto a man bassa alle casse previdenziali, la Banca Centrale Greca ha creato un fondo pubblico di riserva. È sufficiente? «Molte persone hanno ritirato i propri depositi per aprire conti all'estero, aumentando l'asfissia bancaria. Le banche stanno facendo ricorso ai fondi d'emergenza (Ela) della Bce». I problemi della Grecia possono veramente minacciare il processo di integrazione europeo, nonostante la sua taglia ridotta ? «Non credo sia un problema di taglia ma riguarda l'architettura stessa dell'Europa. L'ideale di una confluenza dei vari Stati in un'Unione prospera e solidale di paesi inspirata a un ideale di economia sociale dimercatosièarenato di fronte all'esigenza di criteri di convergenza fiscale, ritenuti necessari per un'area valutaria comune». Il principio di solidarietà ha ceduto il passo ad una deriva individualista, secondo la quale ciascuno paga i suoi debiti e i suoi errori ed è pienamente responsabile delle proprie azioni? «L'approccio individualista ha senso fra paesi simili. Non è il caso dell'Europa, dove alcune nazioni, per crescere, devono spendere di più, e quindi necessitano di sostegno da parte dei loro partner. Ma l'aiuto alla Grecia, pure in termini di bassi interessi richiesti sui prestiti concessi, è stato subordinato all'adozione di misure oltremodo austere che stanno rovinando un'intera generazione e forse pure quella futura. Un prezzo da pagare troppo alto».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 85 23/03/2015 La Stampa Pag. 11 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Ci possono essere nuovi aiuti per la Grecia solo se il Paese si impegna davvero a risolvere i suoi problemi con riforme concrete Thomas Oppermann Capogruppo del Partito socialdemocratico tedesco 315 miliardi L'ammontare del debito pubblico greco, che vale il 176% del Pil. La disoccupazione viaggia attorno al 27 per cento 60 per cento Il tasso di popolarità del governo Tsipras, che ha vinto le elezioni combattendo contro le politiche di austerità 7,2 miliardi L'ammontare del prestito concesso ad Atene, fondamentale per combattere l'attuale mancanza di liquidità della Grecia 2 per cento L'economia greca rappresenta solo una piccola parte di quella europea: il Pil di Atene ammonta poco più di 240 miliardi Foto: Protagonisti AngelaMerkel Sotto Tsipras (a destra) e Varoufakis Foto: VIRGINIA MAYO/AP

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 86 23/03/2015 La Stampa Pag. 17 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA 4 domande a Angelo Castelli Avvocato/ tutto SOLDI / LAVORO IN CORSO «Lehman, far causa adesso o mai più» LUIGI GRASSIA

Sul crac di Lehman Brothers sta per scattare la tagliola della prescrizione. I risparmiatori traditi fanno ancora in tempo a tutelare i loro diritti in tribunale? «Se vogliono farlo devono muoversi subito» dice l'avvocato Angelo Castelli di Formia, massimo esperto di tutela del risparmio in Italia, vincitore di 255 cause o accordi stragiudiziali, che hanno permesso ai suoi clienti di recuperare 91 milioni di euro dai fallimenti di Lehman, oltre che da quelli dell'Argentina, di Cirio e di Parmalat, con sentenze che in diversi casi hanno fatto giurisprudenza. «Un termine di prescrizione per Lehman, quello per annullamento, è già scaduto nel 2013 - spiega Castelli -. Un altro termine, per inadempimento contrattuale, scade nel 2018, e visti i tempi della giustizia si tratta di una scadenza vicina». Contro chi va intentata la causa? E con quali prospettive di successo? «Bisogna citare in giudizio le banche, è inutile insinuarsi al passivo. E si è creata una giurisprudenza che porta alla vittoria in tribunale se ci sono i requisiti. La banca è responsabile di inadempimento contrattuale se ha venduto al cliente i titoli rischiosi che la stessa banca aveva in portafoglio. E non può obiettare di averlo fatto in buona fede, godendo la Lehman della tripla A fino al giorno del default, perché i Cds (cioè i credit default swap, con cui il mercato misura la rischiosità di un investimento) avevano acceso da mesi e mesi la luce rossa sui titoli Lehman. La responsabilità della banca in questo conflitto di interessi è ancora più forte se aveva aderito a Pattichiari». Ci sono altre circostanze che giocano a favore del cliente? «Si può chiedere la risoluzione del contratto per nullità e il rimborso dell'investimento se il contratto di compravendita non è stato firmato dal legale rappresentante della banca. Non basta che lo abbia firmato un altro dipendente o un promotore finanziario». E chi sarebbe, di preciso, il «legale rappresentante» della banca abilitato a firmare? «Spesso si tratta del direttore dello sportello. A un altro dipendente può essere affidata la procura a fare le veci del legale rappresentante. Ma se queste condizioni non sono rispettate il contratto di compravendita dei titoli Lehman Brothers è nullo. Per adesso questo principio è stato affermato da una singola sentenza del tribunale di Milano».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 87 23/03/2015 La Stampa Pag. 18 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato SANDRO DE POLI / tutto SOLDI / LAVORO IN CORSO / L'INTERVISTA "General Electric punta sull'Italia Qui costi bassi e competenze" Trasferita a Brindisi una produzione che si realizzava in Olanda "La paga oraria di un ingegnere in Cina è di un dollaro più alta" TEODORO CHIARELLI TORINO

I conti del 2014 saranno chiusi ufficialmente a giugno, ma già si sa che saranno estremamente positivi, almeno per quanto riguarda le nuove assunzioni (oltre 400) e gli investimenti in Italia (450 milioni di euro). Del resto General Electric Italia, appendice tricolore del colosso Usa da 107 miliardi di euro, presente in 100 Paesi con 307 mila dipendenti, ha sempre presentato bilanci in utile. «E anche questa volta non ci smentiremo», sorride l'amministratore delegato Sandro De Poli - Abbiamo avuto inoltre una crescita sia degli ordini che del fatturato». Milanese, 57 anni, da 33 anni in Ge dopo gli esordi alla Siemens, De Poli guida la controllata italiana (oltre a quella israeliana) che ha quasi 12 mila dipendenti, 23 sedi e stabilimenti, ricavi per oltre 2 miliardi e un giro d'affari di 7,5 miliardi di euro. Due le controllate principali: Oil&Gas a Firenze (ex Nuovo Pignone) e Avio Aero a Torino. La prima produce tecnologia per l'estrazione, la raffinazione e il trasporto di petrolio e gas. La seconda, ex divisione aeronautica di Avio, rilevata nell'agosto del 2013 per 1 miliardo di euro, è un centro di eccellenza nel campo delle trasmissioni meccaniche e nelle turbine di bassa pressione. Ingegner De Poli, quali saranno le vostre prossime mosse? Altre acquisizioni in vista? «Se intendiamo operazioni come quella di un anno e mezzo fa, non vedo all'orizzonte un'altra Avio. Ma possiamo crescere ugualmente. Abbiamo spostato dall'Olanda all'Italia, per la precisione a Brindisi, una parte delle lavorazioni dei motori di aeroderivati. Diventerà un polo di eccellenza mondiale nelle turbine a gas di derivazione aerea, appunto, e nella propulsione navale». E funziona? «Quest'anno abbiamo realizzato lì 5 turbine per la Marina Usa. E speriamo di aggiudicarci la commessa, valore 200 milioni, per il rinnovo delle Fregate della flotta militare italiana francese». L'Italia, quindi, può essere competitiva nell'alta tecnologia? Anche al Sud? «Dobbiamo sfatare certi pregiudizi. Io dal mio osservatorio posso assicurarle che l'Italia è estremamente competitiva per un gruppo multinazionale come Ge. Soprattutto nell'alta tecnologia». Faccia un esempio. «A Cameri, provincia di Novara, la Avio Aero ha realizzato il laboratorio più avanzato al mondo per la stampa in 3D di metalli. I prossimo motori aerei dovranno ridurre le emissioni e quindi pesare meno. Noi siamo gli unici in grado di realizzare pale delle turbine che pesano la metà rispetto a quelle tradizionali grazie alla tecnologia di stampa in 3D». Ma il costo del lavoro non è troppo alto? «Non è vero. Abbiamo ingegneri estremamente qualificati. Oltre la metà dei dipendenti del Pignone sono ingegneri e sa qual è la verità? Che a parità di competenze hanno un costo per noi più basso rispetto ai loro colleghi cinesi». Sembra una barzelletta. «E invece no. La nostra manodopera, perdoni il termine improprio, ad alto contenuto tecnologico nel rapporto qualitàcosto è più competitiva di quella tedesca o francese. In Cina abbiamo visto che da qualche tempo il costo orario di un ingegnere è di un dollaro superiore rispetto a un ingegnere italiano. Ecco perché dico che investire in Italia conviene». Conviene? «Certo che sì. Noi abbiamo come General Electric la possibilità di riempire le fabbriche che abbiamo qui, di portare più lavoro e di assumere. A Piombino, ad esempio, stiamo discutendo di realizzare la terza piattaforma per assemblare moduli di power generation per il mondo oil & gas. Significano alcune centinaia di nuovi posti di lavoro. E la nuova turbina a gas che stiamo realizzando è interamente pensata e "made in Italy". Con destinazione il mondo». Si è detto che le nostre università non funzionano. «Le università italiane, soprattutto quelle tecniche, sono meglio di come vengono descritte. Il mio figlio maggiore si è laureato il 18 dicembre al politecnico di Milano e il 18 febbraio ha iniziato a lavorare come ingegnere gestionale. E papà non lo ha aiutato. Sa che cosa ha detto il "ceo" mondiale di Ge, Jeffrey Immelt, a Matteo Renzi lo scorso giugno in occasione della sua visita in Italia?». Ovviamente no. «Ha detto: invidio la competenza degli ingegneri che avete in Italia». Ma allora che cosa c'è che non va nel nostro Paese? «Purtroppo sono parecchie le cose che finiscono per renderlo meno attrattivo. Prima di tutto la burocrazia. Ma anche un fisco esageratamente ondivago, che aggredisce i deboli e non

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 88 23/03/2015 La Stampa Pag. 18 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

attacca i forti. Poi la giustizia civile: sai quando cominci e non sai quando finisci. Quindi la giustizia penale legata al fisco». Del jobs act che cosa pensa? «Ha dei contenuti altamente condivisibili. Ho sempre pensato che i posti di lavoro si creano con un mercato aperto. La prima riforma va nella direzione auspicata. La delega fiscale, se passasse come era stata scritta all'origine sarebbe una buona cosa. Invece abbiamo assistito a rinvii, ritardi, ritocchi: peccato, sono queste le cose che all'estero non capiscono di noi». Le basta? «Poi c'è la riforma della scuola per renderla più internazionale. E bisogna integrare di più università e aziende. Se il governo porterà a casa tutto questo, l'Italia entrerà veramente nel ventunesimo secolo. Al di là di tutto mi sembra che Renzi stia facendo un grande sforzo per rilanciare l'immagine dell'Italia nel mondo. Un grande lavoro di marketing. Non basta, ma aiuta». Al vertice Sandro De Poli (nella foto a destra), milanese di 57 anni, è da 33 anni in Ge dopo gli esordi alla Siemens. De Poli guida la controllata italiana (oltre a quella israeliana) di un gruppo che ha quasi 12 mila dipendenti, 23 sedi e stabilimenti, ricavi per oltre 2 miliardi e un giro d'affari di 7,5 miliardi di euro General Electric COSÌ NEL MONDO 2 mld Cifre in euro I RICAVI 107 miliardi 50 mld - LA STAMPA Usa Canada e America Latina Europa Asia-Pacifico Medio Oriente e Africa 307.000 i dipendenti 11.600 i dipendenti 9 mld 19 mld 17 mld 9 mld 7,3 mld Il volume d'affari COSÌ IN ITALIA *I dati sono riferiti al 2013 Oltre 100 i Paesi in cui è presente 400 assunzioni General Electric Italia nel 2014 ha continuato ad ampliare l'organico: i dipendenti sono quasi 12 mila 450 milioni L'ammontare degli investimenti effettuati dalla divisione italiana di General Electric nel 2014

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 89 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato [ L'INCHIESTA ] Così governo e Bankitalia vogliono cambiare le banche Adriano Bonafede

Eravamo abituati a pensare a un mondo delle banche ingessato e sclerotizzato, sempre uguale a se stesso, con indubitabili virtù ma anche con innegabili vizi, che risaltano sempre di più ora, dopo l'avvio dell'Unione bancaria: bassa capitalizzazione e (in molti casi) difficoltà a reperire capitale di rischio quando necessario (ancor più se dovessero esserci future crisi), bassa redditività per gli azionisti. Ma da qualche mese il gesso si è spezzato, il vecchio mondo sta crollando. segue a pagina 8 segue dalla prima E, anche se non conosciamo ancora la forma che prenderà, possiamo cercare di immaginarlo seguendo le orme che troviamo sul terreno. Credito non bancario. L'anno scorso abbiamo visto l'introduzione dei mini bond per le piccole e medie imprese, un modo per bypassare il credito bancario e trovare i fondi necessari allo sviluppo. E il direct lending , i prestiti diretti, da parte delle assicurazioni, un vecchio istituto che era caduto in disuso e che ora è stato rivitalizzato. Infine, persino i credit fund , fondi che fanno finanziamenti, materia fino a quel momento rigorosamente riservata alle banche sulla base del testo unico. Il decreto legge sulle popolari . Ma all'inizio del 2015 abbiamo visto altre novità, ancora più rilevanti. L'anno è cominciato con uno scoppiettante decreto legge che obbliga le dieci principali popolari - quotate e non - con attivi oltre gli 8 miliardi, a trasformarsi in Spa divenendo quindi più contendibili rispetto alla regola una testa-un voto vigente nel settore cooperativo. Un fulmine a ciel sereno per una categoria che è riuscita per anni a sabotare nel segreto delle commissioni parlamentari ogni proposito di pur minima riforma e che ancora adesso sta lottando per ridurne l'impatto introducendo ad esempio un limite al possesso azionario del 5 per cento, simile a quello già vigente in Unicredit. Le banche di credito cooperativo. A stretto giro di posta è arrivato anche il processo di autoriforma delle banche di credito cooperativo. Qui si va verso un polo centrale federativo, partecipato da tutte le Bcc, che si farebbe carico di risolvere il problema di eventuali aumenti di capitale necessari. Il modello ideale, ma al momento difficilmente ripetibile sul suolo italiano, sarebbe quello del Credit Agricole: questa banca è in effetti una confederazione di federazioni di banche di credito cooperativo ma nel corso del tempo ha sviluppato un brand così forte da essere percepita all'esterno come una grande banca. L'autoriforma delle Fondazioni Proprio nei giorni scorsi è arrivato il protocollo d'intesa tra l'Acri, associazione delle fondazioni e il ministero dell'Economia per un processo di autoriforma che dovrebbe essere graduale e durare alcuni anni. Il principale fine da raggiungere è quello di ridurre il peso di una singola azienda bancaria sul patrimonio delle fondazioni. Il limite previsto sarà di un terzo dell'attivo patrimoniale, e a essere colpiti saranno soprattutto la Compagnia di San Paolo (su Intesa Sp) e Cariverona (su Unicredit). Tra le novità più rilevanti dell'accordo con il governo anche l'impossibilità di indebitarsi, salvo limitate esigenze temporanee: è chiaro qui il riferimento indiretto alle fondazioni Mps e Carige che per partecipare agli aumenti di capitale della propria banca di riferimento hanno finito con il bruciare la maggior parte del proprio patrimonio, che dovrebbe invece essere appannaggio della comunità locale. La bad bank Da mesi si parla della possibilità di cedere a una bad bank la montagna di sofferenze delle banche (circa 185,5 miliardi a fine gennaio) che oggi frena il credito. Il governo pensa adesso a una soluzione "leggera" - che sia accettabile per la Commissione europea, poco incline ad aprire la strada a nuovi aiuti di Stato per varare in tempi rapidi un intervento che faciliti lo sblocco, per questa via, di nuovi finanziamenti per l'economia. La Exim Bank Nelle scorse settimane era stata introdotta per decreto legge la possibilità, per la Sace, che da tempo la reclamava, di ottenere una licenza bancaria per creare un istituto creditizio in appoggio alle esportazioni italiane. In sede di conversione del decreto - evidentemente nato nelle stanze della presidenza del Consiglio hanno però pesato le argomentazioni sia della Cdp che della Banca d'Italia. La Cdp, sotto il cui controllo è posta la Sace, tramite il suo presidente Franco Bassanini, ha reclamato in un'audizione in Parlamento l'eventuale decisione in merito alla creazione di un istituto di credito, non necessariamente dentro la Sace. La Banca d'Italia ha invece fatto vedere che il testo de decreto era scritto in modo tale da obbligarla a rifiutare l'autorizzazione, ai sensi del

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 90 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

testo unico bancario. Piccole crepe, poi corrette, che però non impediscono di vedere che il percorso verso un complessivo ridisegno del credito in Italia è sposato dal governo Renzi e condiviso nella sua sostanza anche dalla Banca d'Italia. E si tratta certo di un programma ambizioso, che non ha preso la strada di una sola grande riforma ma di tanti piccoli ma successivi step, di cui il più maggiore è certamente la trasformazione in Spa delle grandi popolari. Ma qual è il fil rouge che lega questo percorso di rinnovamento dell'intero settore e, soprattutto, da dove viene l'input del cambiamento e qual è il suo approdo finale? Le mosse del governo, dirette o indirette, rispondono ad almeno tre esigenze: «La prima è fornire più credito alle imprese e rilanciare l'economia - spiega Fabrizio Pagani, capo delle segreteria tecnica del ministro dell'Economia -. La seconda è quella di rispettare le indicazioni della vigilanza europea in funzione dell'Unione bancaria. La terza, ma non ultima, deriva dalla necessità di trovare un altro assetto di sistema dopo gli anni di crisi, rendendo più solide le banche». Non c'è dubbio che questa volta il "ce lo chiede l'Europa", in questo caso la Bce, sia vero. E che il governo agisca in accordo, a grandi linee, con la Banca d'Italia per portarlo avanti. Volendo risalire all'indietro, ancor prima della vigilanza europea, c'è stato un risveglio dei regolatori in tutto il mondo, dal G20 in giù, dopo la crisi globale. Un'attenzione crescente è stata posta sulla solidità delle banche e sulla robustezza del loro capitale e l'asticella è stata continuamente spostata verso l'alto. Il timore dei regolatori, anche italiani, soprattutto per le popolari e per le banche di credito cooperativo, è che - in presenza di nuove crisi - molte di queste non sarebbero state più in grado di fronteggiare l'esigenza di ulteriori aumenti di capitale. Da qui l'apertura del capitale a soci, come i fondi, che sono già presenti nel loro capitale (con una media del 20 per cento) ma che potrebbero essere indotti a fare maggiori investimenti se potessero contare su una maggiore partecipazione al controllo. Ma non si tratta soltanto di un'imposizione formale, cervellotica, di regole più stringenti a chi fa credito. I regolatori, anche quelli italiani, non sottovalutano il ruolo dei mercati, che in questi anni si sono abituati ad attendersi dagli istituti bancari prove di grande solidità patrimoniale e che non vedono bene chi non può fornirle. Una maggiore solidità è richiesta anche in vista delle nuove regole europee sulla "risoluzione" delle crisi bancarie: in futuro non si potrà più pensare al salvataggio pubblico di un'azienda bancaria in crisi se prima non avranno pagato di persona gli azionisti e soltanto dopo che si sarà passati per il "purgatorio" di un piano di ristrutturazione. FONTE UBS, S. DI MEO, BNP PARIBAS, CREDIT AGRICOLE SA, SOCIATA GENERALE, DEUTSCHE BANK, INTESA SANPAOLO, UNIONE BANCHE IT., BANCO POPOLARE, MEDIOBANCA, MPS, UNICREDIT, DANSKE BANK, SWEDBANK, NORDEA, BBVA, SANTANDER, CREDIT SUISSE GROUP, LLOYD BANKING GROUP, RBS GROUP, HSBC, Foto: La nuova sede della Bce a Francoforte, inaugurata la settimana scorsa non senza proteste e scontri con i dimostranti anti-austerity [ I PROTAGONISTI ] Qui sopra, il presidente della Bce, Mario Draghi (1) e il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco (2)

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 91 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Intervista Starace: "L'Enel crescerà ancora" Marco Panara

Enel è un gruppo complesso. Le utility giapponesi, coreane e cinesi sono molto grandi ma anche molto domestiche, quelle americane sono più piccole, le europee sono le più internazionalizzate, ma l'unica che per numero di mercati è paragonabile a Enel è Gdf Suez. Essere su tanti mercati con tante tecnologie diverse nella produzione (per l'Enel praticamente tutte, dal nucleare al geotermico) e nella distribuzione, vuol dire essere un gruppo particolarmente complesso. Francesco Starace, da un anno numero uno del gruppo, ritiene che questa complessità sia un fattore di forza su cui puntare. «I consulenti spingono per la specializzazione, il che se per molti settori è giusto per il nostro è letale. Dobbiamo anzi diversificare mercati e tecnologie perché ci rende più immuni dai rischi e aumenta la creazione di valore». segue a pagina 4 con un articolo di Luca Pagni Segue dalla Prima «Eallora noi innanzitutto ci concentriamo per estrarre valore da tutte le attività che abbiamo accumulato e non ancora valorizzato appieno e subito dopo cominciamo a investire sulla crescita geografica e tecnologica». Il paradosso (apparente) di Starace è che a suo parere il modo di affrontare la complessità è renderne semplice la gestione. Ovvero definire organizzazione e linee strategiche in modo tale che le scelte ne derivino quasi automaticamente. La costruzione di questi pilastri è avvenuta con due passaggi, il primo nell'estate scorsa che ha ridefinito l'organizzazione del gruppo e il secondo con la presentazione del piano industriale avvenuta giovedì a Londra. «L'Enel è diventata una grande multinazionale per accumulazione, con le tante importanti acquisizioni estere fatte negli anni scorsi. Ora lo è anche nel modello organizzativo». C'è molto del nuovo amministratore delegato in questa evoluzione. Starace si è formato soprattutto in Abb, multinazionale svizzero-svedese il cui capo negli anni '90, Percy Barnevik, è stato l'inventore dell'organizzazione a matrice, secondo la quale un gruppo multinazionale è organizzato verticalmente per linee di business e orizzontalmente per geografia. Un modello adottato oggi da gran parte delle multinazionali e che Starace ha già sperimentato con successo nella sua esperienza al vertice di Enel Green Power. Nell'organizzazione a matrice qual è la divisione dei compiti? «Noi abbiamo cinque linee di business: generazione globale, energie rinnovabili, infrastrutture e reti, trading globale, upstream del gas. Il compito di chi le guida è di occuparsi delle "macchine", dell'efficienza degli impianti, della diffusione delle migliori pratiche, della scelta degli investimenti, dove e cosa, e della realizzazione degli investimenti. Tutte queste attività sono distribuite in quattro aree principali: Italia, Iberia, America Latina ed Est Europa, e i vertici di ciascuna area hanno la responsabilità del mercato, degli affari istituzionali e regolatori e di tutte le funzioni di supporto. E' loro compito massimizzare i ricavi, minimizzare i costi operativi e assicurare i flussi di cassa». Alla holding cosa resta? «Tipicamente amministrazione, finanza e controllo, personale e organizzazione, comunicazione corporate , legale, affari europei e audit . In più abbiamo creato una nuova direzione che si occupa di innovazione». Ma l'innovazione non è affare di chi gestisce i business? «Ci sono due tipi di innovazione, quella in continuità, che vuol dire applicare a tutte le attività che facciamo le tecnologie più avanzate ed efficienti. Poi c'è l'innovazione in discontinuità, ovvero quelle trasformazioni profonde che quando arrivano cambiano i modelli di business». Mi fa qualche esempio? «Nel nostro settore un impatto enorme avrà l'utilizzo diffuso dell'energia elettrica per la mobilità. E' un mercato che oggi non c'è ma che diventerà importantissimo nei prossimi anni. Un altro esempio è l'Internet delle cose, che trasformerà radicalmente il mercato dei consumi energetici». Che effetto ha avuto la nuova organizzazione sulla prima linea di manager? «Tranne tre persone che hanno conservato la posizione che avevano, tutte le altre sono cambiate. Cinque manager sono usciti dal gruppo, pochissime sono state le immissioni dall'esterno, per il resto c'è stata rotazione in alcune posizioni e la crescita di manager interni per tutte le altre». Subito dopo la riorganizzazione c'è stata la separazione delle attività spagnole da quelle in America Latina. C'è una connessione? «Sì. La decisione è un effetto diretto del nuovo modello organizzativo, che impone una logica. Ci ha fatto capire che l'America Latina da una parte e Spagna e Portogallo dall'altra seguivano traiettorie

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diverse. In America Latina c'è ancora carenza di energia e di reti e c'è una crescita demografica vivace. Lì insomma si deve crescere quantitativamente. Nella penisola Iberica invece come nel resto dell'Europa Occidentale la domanda è statica e deve crescere la qualità più che la quantità. C'è un lavoro da fare sulle tecnologie e sulla riduzione dei costi e si devono fare i conti con la regolazione europea. Sono problematiche diverse che richiedono strategie e management diversi. Queste valutazioni ci hanno portato a decidere la separazione delle attività e a valutare cosa fare del 92 per cento di Endesa: è una percentuale che non ha molto senso, o si ha il cento per cento oppure si rilancia sul mercato una grande impresa spagnola. E' questa la scelta che abbiamo fatto e che il mercato ha apprezzato». Cosa cambierà per l'America Latina? «Abbiamo avviato una riorganizzazione di Enersis (che controlla tutte le attività in quell'area, ndr ) che è di notevole complessità. Sotto la capogruppo ci sono 80 società interconnesse, alcune delle quali quotate. Abbiamo incontrato gli azionisti di minoranza e siamo tutti d'accordo che una riorganizzazione è opportuna, ora aspettano da noi una proposta che arriverà tra poche settimane». Quali altri effetti ha avuto la nuova organizzazione sulle vostre scelte? «Ci ha spinto per esempio a rivedere le decisioni su che cosa vendere e cosa no. Era stato fissato un obiettivo di riduzione del debito da raggiungere anche con alcune cessioni, e tra queste c'erano le attività rumene e quelle slovacche. Avendo scelto di aumentare il flottante di Endesa riducendo la nostra quota, abbiamo potuto decidere di non procedere con la cessione delle attività in Romania». Perché non quella delle attività in Slovacchia? «Qui entrano in azione le linee strategiche del piano industriale. Una di queste dice che noi punteremo sulle attività che hanno un ritorno certo nel lungo periodo e quindi regolate, come nel caso delle reti, oppure, nella generazione, assistite da contratti di vendita a lungo termine. In Romania gestiamo il 33% della distribuzione, attività coerente con le linee strategiche, in Slovacchia invece siamo i primi nella generazione ma la nostra produzione non è legata a contratti di vendita a lungo termine». Quindi una delle linee strategiche del piano industriale è la riduzione del rischio di mercato. Oltre alla cessione della Slovacchia cosa ne deriva? «Una fondamentale indicazione sugli investimenti che andremo a fare, che saranno esclusivamente in attività con ritorni certi per un periodo lungo. Il che vuol dire essenzialmente reti perché sono regolate, rinnovabili perché sono legate a contratti e generazione tradizionale dove ci siano queste condizioni». Rimanendo sulla crescita, quali sono le altre linee strategiche che seguirete? «Se il primo peccato capitale da evitare è investire in produzione senza aver venduto il prodotto, il secondo è il gigantismo degli investimenti. I grandi schemi sono diventati sempre più difficili da realizzare in tempi accettabili e quindi noi punteremo su operazioni di scala meno imponente. Non faremo più investimenti colossali in gigant e s c h e c e n t r a l i idroelettriche o nucleari o a carbone, faremo invece un numero più elevato di investimenti medi o anche piccoli, il che aumenta la complessità della gestione ma ci ri paga con una maggiore flessibilità e una più ampia possibilità di scelta». Chiarito in che cosa investire si tratta ora di stabilire dove. In Spagna per esempio non avete mostrato interesse per le attività che eOn ha messo in vendita. «Ci saranno altre opportunità, la regolazione spinge per un consolidamento e guarderemo con attenzione le opportunità che si creeranno. Ma per la Spagna come per l'Italia e il resto d'Europa ci sono una serie di fattori dei quali tenere conto. Il primo è che il continente ha capacità di generazione in eccesso e infrastrutture di distribuzione mature. In più la demografia non cresce. Quello che possiamo aspettarci più che un aumento della domanda di energia sono processi di sostituzione, con l'energia elettrica che sostituirà altri tipi di energia e, nella produzione dell'energia elettrica, rinnovabili e gas che sostituiranno nel tempo altri tipi di generazione. In questo contesto perché ripartano gli investimenti nella generazione è necessario che si crei un mercato dell'energia a lungo termine, il che richiede un cambiamento delle politiche regolatorie fin qui adottate. Intanto c'è molto da fare sull'altro fronte, quello delle reti, dove una maggiore armonia regolatoria aiuterebbe, ma nelle quali c'è comunque un grande spazio di avanzamento tecnologico con la digitalizzazione dei sistemi e le reti intelligenti. A questo noi dedicheremo risorse importanti». In Europa quindi efficienza e digitalizzazione. In America Latina più generazione e più reti. In Cina avete fatto un paio di accordi, sono la premessa per entrare in quel mercato? «Abbiamo fatto un accordo con la Zte per approfondire insieme le possibili evoluzioni tecnologiche, e un accordo con la Bank of China che ci ha aperto

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 93 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

una importante linea di credito non vincolata a investimenti in Cina, dove peraltro non pensiamo di investire. Guardiamo invece con attenzione ad altri paesi asiatici: Indonesia, Malesia, Filippine, India, Medio Oriente». E l'Africa? «Il continente si è svegliato e noi siamo interessati a partecipare al suo sviluppo, la nostra attenzione è per il Sud Africa, l'Africa Orientale, l'Egitto e il Marocco. Di investimenti significativi fuori dall'attuale perimetro però cominceremo a parlare tra due anni, la prima fase del piano è orientata alla creazione di valore nelle aree dove siamo presenti, poi si passerà al resto». Dopo le vendite già annunciate delle attività slovacche, di quote di minoranza delle attività negli Stati Uniti e di altre partecipazioni per circa due miliardi, lei ha annunciato cessioni già individuate per altri due miliardi e da individuare per un ulteriore miliardo. L'obiettivo è fare cassa o di altra natura? «Alcune cessioni come abbiamo già visto sono legate agli obiettivi strategici che ci siamo dati, per esempio la riduzione del rischio di mercato, altre possono dare maggiore coerenza alla struttura dei nostri business. Ma abbiamo fissato anche un nuovo orientamento di fondo: nel nostro settore in genere si cede qualcosa perché c'è da ridurre il debito o per qualche altra emergenza, invece una certa rotazione delle attività deve essere fisiologica. Quindi ne abbiamo fatto una policy, ci sarà un ciclo di rotazione sana del portafoglio non legato a particolari problemi ma finalizzato alla creazione di valore. Il che avrà l'effetto positivo di tenere in tensione il gruppo, perché nessuna posizione sarà garantita per sempre». Il punto debole di Enel è il debito, che avete ridotto più delle aspettative a 38 miliardi (dagli oltre 44 di fine 2013) ma che resta assai rilevante. Quale sarà la vostra politica nei prossimi anni? «Il nostro debito è prevalentemente rappresentato da obbligazioni, la riduzione va quindi pianificata tenendo conto delle scadenze. Ridurremo più rapidamente l'indebitamento lordo, di circa dieci miliardi nel periodo del piano attraverso un utilizzo più efficiente del capitale operativo». Ma qual è la misura ottimale del debito netto? «Quella attuale, pari a 2,5 volta l'ebitda è già equilibrata. In realtà più che la dimensione del debito quello che conta è la sua sostenibilità nel tempo, e il nostro impegno sarà far capire ai mercati quali sono le realistiche prospettive di crescita dell'ebitda del gruppo. Vedrà che tra qualche tempo qualcuno comincerà a dire che abbiamo un debito troppo basso». ENEL, EDF, E.ON, IBERDROLA, GDF SUEZ, S. DI MEO, Foto: Patrizia Grieco (1), presidente dell' Enel ; Guido Bortoni (2), presidente dell'Authority per l'elettricità; Borja Prado (3), a capo di Endesa , la partecipata spagnola del gruppo; nella foto grande a destra, l'ad Francesco Starace

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 94 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Intervista Telecom, Patuano accelera "Banda larga senza stranieri" Giovanni Pons

Telecom Italia vuole realizzare in prima persona il Piano del governo per portare la banda ultralarga in tutto il Paese. Può farlo da sola accelerando gli investimenti previsti da qui al 2020, ma preferirebbe farlo con Metroweb avendo la maggioranza e senza coinvolgere altri operatori. Le trattative con Franco Bassanini, presidente della Cdp, si sono riaperte: l'ad Marco Patuano spiega ad Affari & Finanza le sue strategie. alle pagine 2 e 3 con un articolo di Stefano Carli Segue dalla Prima Dottor Patuano, il governo ha presentato il suo Piano strategico per la diffusione della banda ultralarga nel paese che prevede obbiettivi giudicati da tutti ambiziosi ma sfidanti. Tuttavia non è ancora chiaro chi lo realizzerà. «Il Piano del governo per lo sviluppo della banda ultralarga è fatto bene ma si è sovrapposto alle discussioni intorno al veicolo che dovrà realizzarlo e il tutto ha generato dei messaggi fuorvianti. Per sgombrare il campo dagli equivoci voglio innanzitutto dire che con il piano industriale di Telecom Italia si arriva al 2020 agli stessi obbiettivi fissati dal governo, cioè portare una connessione in fibra all'87% delle unità immobiliari. Di queste il 55% sarà collegato con la tecnologia Fttc (fibra fino agli armadietti in strada) e il 30-35% con Ftth (fibra fino dentro gli appartamenti)». E allora per quale motivo avete avanzato una manifestazione di interesse per entrare nel capitale di Metroweb, la società che ha realizzato la rete in fibra a Milano? «Nelle nostre intenzioni Metroweb fungerebbe da acceleratore, per anticipare di circa un triennio gli 1,4 miliardi di investimenti nella rete Ftth che normalmente Telecom Italia svilupperebbe da sola dal 2018 al 2020. Inoltre attraverso Metroweb si potrebbe realizzare la cosiddetta "equivalence of input", cioè la garanzia che tutte le richieste di allacciamento provenienti dagli operatori verrebbero trattate alla stessa maniera, processate in una società autonoma. Bisogna però capire che si tratta di due cose diverse che vanno trattate su due piani diversi: una cosa è il piano industriale che stiamo realizzando. Altra cosa è l'ipotesi di acquisto di una società che opera nel settore che può avvenire o meno, ma questo non incide sullo sviluppo della nostra rete». Ma anche Vodafone è interessata a Metroweb e ha già firmato una lettera di intenti. Voi escludete una coabitazione all'interno dello stesso veicolo? «Comprendo la mossa di Vodafone ma mi sento di escludere l'ipotesi della coabitazione. Non esiste un solo caso al mondo in cui una soluzione consortile abbia funzionato. Il motivo è presto detto: per realizzare il Piano ci vuole un operatore che svolga senza impedimenti un'attività operativa articolata e complessa. Poi occorre un quadro regolatorio adeguato e soci finanziatori che si facciano garanti del rispetto delle regole». Dunque anche voi avete ripreso a trattare con Metroweb ma non volete altri soci operativi e almeno il 51% della società fin da subito. Giusto? «Il tavolo di conversazione con i due soci FSI e F2i è aperto, abbiamo chiarito l'intenzione di realizzare un piano industriale ambizioso che dovrà comunque ottenere il preventivo assenso da parte di tutte le authority». E per quanto riguarda il nodo del 51% fin da subito, sul quale si erano in un primo momento interrotte le conversazioni, ritiene possa essere superato? «Non vi è dubbio che l'operatore che partecipa a Metroweb deve avere nelle sue mani il controllo operativo del progetto. Le modalità con cui si può arrivare a questo obbiettivo sono diverse e sono attualmente oggetto di discussione». Nel caso non riusciste a trovare un accordo non vi è il rischio di sovrapposizioni con altri operatori nelle aree più interessanti dal punto di vista economico? «È possibile e qualora sorgesse questo problema spero prevalga il buon senso. A noi non mancano certo le risorse, i due miliardi raccolti settimana scorsa con il bond convertibile possono essere anche utilizzati per accelerare gli investimenti sulla banda ultralarga. Siamo molto flessibili sotto questo punto di vista e l'indebitamento ormai è sotto controllo». Poiché le cifre che girano sono le più disparate, secondo i vostri calcoli quanti soldi servono per realizzare tutta la rete di nuova generazione ipotizzata dal governo? «Se si parla delle aree A e B identificate dal Piano governativo come quelle a maggior ritorno di mercato una modalità efficiente di copertura può essere realizzata con 2,5-3 miliardi di euro; ovviamente questo è possibile grazie alla pianificazione di un mix di copertura Fttc e Ftth secondo le esigenze attese della domanda. Per coprire anche le aree C (a medio bassa

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densità abitativa) occorreranno degli incentivi mentre per le D (rurali), quelle a fallimento di mercato, all'interno delle quali abita il 15% degli italiani, si può andare solo con un determinante intervento pubblico». L'obbiettivo finale del 35 o addirittura 45% di rete in fibra a 100 Megabit al secondo nel 2020 quindi è raggiungibile? «É raggiungibile anche se la sola domanda di ultra-internet fisso potrebbe non essere del tutto sufficiente a coprire i costi. Ma ciò non ci spaventa perché con il progredire della tecnologia le reti non saranno più definibili nettamente tra fissa e mobile. In futuro la rete a banda larga servirà anche a sviluppare la rete mobile di 5° generazione che utilizzerà antenne più piccole per coprire zone più concentrate con altissima capacità sia mobile che wi-fi. Dunque una diffusione della fibra molto capillare può diventare un vantaggio nel medio periodo». A proposito di torri, le avete scorporate e volete procedere spediti verso la quotazione entro l'estate. Sinergie con le torri televisive? «La quotazione è ormai deciso che venga realizzata entro l'estate. Con la diffusione della rete mobile 4G poseremo altre 4-5 mila antenne che andranno a integrare quelle già esistenti e ad aumentare il valore della società. Non vedo sinergie significative con le torri televisive, anche perché queste generano un campo elettromagnetico molto più elevato rispetto a quelle telefoniche». Dal fronte governativo sono emersi a più riprese timori per le difficoltà a mantenere in Telecom un azionariato con un'importante presenza italiana. E questo fatto potrebbe rappresentare un problema anche per il futuro della rete di nuova generazione. «Telecom Italia è una public company, già oggi i principali azionisti sono i fondi internazionali. Stiamo dimostrando con i fatti che gli investimenti li stiamo facendo, e in maniera significativa. Per la rete di nuova generazione la soluzione sono regole e governance chiare fin da subito». È un fatto che entro giugno, con la conclusione dell'operazione Telefonica-Gvt, il gruppo francese Vivendi riceverà azioni Telecom Italia pari all'8,3% dei diritti di voto e diventerà il vostro primo socio. Sicuro che non cambi proprio nulla al vostro interno? «Avremo un azionista all'8% che per una public company non è poco, quindi Vivendi sarà un azionista molto importante. Con Vincent Bollorè, presidente e azionista di Vivendi, avevamo avuto discussioni molto interessanti sotto il profilo industriale quando stavamo preparando un'offerta per Gvt. Le sinergie che potranno essere sviluppate dipenderanno da quale sarà la futura strategia industriale di Vivendi, partendo dal fatto che oggi è un gruppo presente nel mercato della Tv con Canal Plus e della musica con Universal». A proposito di Tv, quando partirete con la commercializzazione dell'offerta congiunta con Sky, che porterà la pay tv nelle case via banda larga? «La partenza è prevista per dopo Pasqua». Conferma che state lavorando a un accordo simile anche con Mediaset Premium e con Netflix? «In Italia non esiste la Tv via cavo, dunque sarà la fibra a portarla nelle case della gente. È il cliente che guida la domanda, sarà lui a decidere se vorrà vedere Sky, Mediaset Premium o eventualmente Netflix o altri servizi che cercheremo di aggiungere al nostro bouquet». Dica la verità, c'è qualcuno che spinge per fare una fusione con tutto il gruppo Mediaset? «Nessuno ha mai fatto pressioni per promuovere operazioni non di mercato. E poi la nostra strategia è chiara, siamo trasportatori di contenuti di altri». Altri gruppi come Telefonica hanno invece comprato società televisive, Vodafone ha esaminato l'opzione Liberty e qualcuno dice che stanno parlando con Sky. British Telecom è entrata nel mobile e produce contenuti televisivi. Chi vincerà? «Sono chiaramente strategie differenti, ma il giudizio di merito varia da mercato a mercato. L'integrazione TV Tlc o la partnership possono essere entrambe vincenti a seconda dei mercati». Tra gli operatori tlc sembra sia partito il tanto atteso consolidamento europeo. Chi ha in mano le carte giuste? «Le compagnie telefoniche più piccole dovrebbero accorparsi tra di loro, mentre vedo più difficile un matrimonio tra big del settore. Qualcosa comunque accadrà. Bt ha comprato l'operatore mobile EE che era di proprietà di Orange e Deutsche Telekom. La prima in cambio della propria quota ha preso per la maggior parte cash, i tedeschi invece si sono fatti pagare interamente in azioni. Per motivi diversi entrambi potrebbero voler giocare la partita del consolidamento. Meno probabile lo faccia invece Telefonica, che è presente in Spagna e Sudamerica, è appena entrata in Germania ma ha venduto Irlanda, Repubblica Ceca, Gran Bretagna e Italia». Voi avete sempre l'incognita Brasile, un paese dove pensate di crescere ancora molto e dove sono ancora possibili operazioni straordinarie. La fusione con Oi è ancora d'attualità? «Operazioni di grande rilevanza non possono essere fatte se non nella chiarezza di governance con la controparte. Abbiamo

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bisogno che le condizioni siano quelle giuste e al momento non sembrano esserci. Abbiamo più volte dimostrato che siamo un gruppo manageriale prudente nelle nostre scelte strategiche». Se non altro grazie al Brasile avete ottenuto chiarezza nel vostro azionariato. Facendo un'offerta per Gvt avete costretto Telefonica a scegliere tra voi e il consolidamento brasiliano. «In effetti quella su Gvt era una situazione "win-win" per noi. Se andava in porto avremmo creato il primo operatore integrato brasiliano, in caso contrario Telefonica avrebbe dovuto scegliere». Sicuro che non vi serve un aumento di capitale? Il debito è ancora alto e in bilancio c'è ancora tanto avviamento. «Dopo un bond convertendo da 1,3 miliardi e altri 2 miliardi di bond convertibile al tasso dell'1,125 la situazione patrimoniale è stata messa in sicurezza. Per quanto riguarda gli avviamenti la situazione economica prospettica sta migliorando e dunque si riduce la possibilità di nuove svalutazioni che derivino dalle condizioni di business. Il gruppo sta lavorando bene: nel 2013 la capitalizzazione di Telecom Italia era di 11,5 miliardi, oggi supera i 20 miliardi». S. DI MEO, FONTE OCSE, Foto: Nei grafici qui sopra, la crescita dei nuovi abbonati a banda larga di Telecom Italia nel mobile, dove cresce la componente Lte e nella fibra ottica Nelle foto qui sopra, l'ad di Fsi Maurizio Tamagnini (1) l'ad di F2i Renato Ravanelli (2) il presidente di Vivendi Vincent Bollorè (3) Foto: Nella foto, l'amministratore delegato di Telecom Italia Marco Patuano : "Non vedo sinergie significative tra le torri per la telefonia mobile e quelle delle tv", ha dichiarato Nel grafico qui sopra, il gap italiano in Europa sulla banda larga: siamo in fondo alla classifica per tasso di penetrazione

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 97 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato [ IL PERSONAGGIO ] Jacques Granjon "L'outlet a casa con Vente-Privee" Anais Ginori

a pagina 6 Jacques Granjon "L'outlet a casa con Vente-Privee" Saint-Denis Èil più grande outlet d'Europa. Ogni giorno 3,5 milioni di persone entrano nel sito VentePrivee a caccia di prodotti di marca venduti sottocosto. Non sono semplici clienti ma "soci" che in base alla loro iscrizione ricevono vantaggi e offerte. Tutto nasce a Saint-Denis, periferia nord di Parigi, dove fino a vent'anni fa c'era la tipografia del prestigioso giornale Le Monde . Ora al posto delle rotative ci sono uffici e opere d'arte. Il fondatore e presidente di Vente- Privee, Jacques-Antoine Granjon, è un assiduo collezionista. Sulle porte delle stanze, sono scritti i nomi dei vari artisti esposti nella sede, da David Lachapelle a Erwin Olaf e Jill Greenberg. "Diciamo che ho una predilezione per le cose belle", dice Granjon, che davanti al suo ufficio ha un carrello dorato che ruota su un piedistallo firmato dall'artista Sylvie Fleury. L'opera racchiude la sua filosofia di marketing. "Quando entrano sul sito, i nostri clienti hanno l'impressione di trovarsi in uno spazio esclusivo, personalizzato". Vente-Privee non accetta banner o pubblicità di altri marchi. Tutto è studiato per mettere in risalto le vendite del momento, che di solito durano pochi giorni. Nonostante lo stile da rocker, con capelli lunghi e catenine al collo, Granjon, 54 anni, è cresciuto da figlio della borghesia nel sedicesimo arrondissement , quartiere chic di Parigi. Ma è un ribelle. Presto rifiuta di mettersi sui binari che formano le élite del paese: fallisce il concorso per entrare a SciencesPo, preferisce trascorrere le notti nelle discoteche, e si butta a fare un mestiere non particolarmente intellettuale: il destoccaggio. Un'attività che lui reinventa completamente. Insieme ad altri soci ha infatti l'idea di creare un club privato online: nel 2001 viene così fondato VentePrivee e nel 2004, con la diffusione della banda larga in Francia, il sito comincia davvero a funzionare. Granjon trasferisce su Internet la sua esperienza come grossista nella gestione di fine serie per le grandi marche facendo leva su un duplice concetto: l'evento e l'esclusività. Come molti nel settore, sa bene che uno dei problemi dei marchi è smaltire i propri stock, proteggendo l'immagine e la rete di distribuzione tradizionale. "E' un compito delicato perché, se fatto in modo sbagliato con una politica commerciale troppo al ribasso - spiega - può danneggiare il marchio e il lancio di nuovi prodotti". Convincere i brand a "svendere" i loro stock in una vetrina online all'inizio non è stato facile, racconta Granjon. Vente-Privee ha potuto fare leva su una forte competenza digitale, visto il suo ruolo da pioniere nell'e-commerce in Francia. Il cuore del sito è la digital factory all'interno del palazzo di Saint-Denis. Un centro di produzione audiovisiva di 3.800 metri quadrati, con 60 studi fotografici e video, cinque studi di registrazioni. E' da qui che ogni giorno escono 15mila fotografie per i cataloghi e ogni mese vengono incise 60 colonne sonore per la promozione delle vendite. "Adottiamo i codici del lusso - racconta Granjon - come l'estrema cura dei materiali promozionali, il rapporto one to one, la qualità del servizio". Le condizioni per i marchi sono sempre le stesse: le vendite sono limitate (al massimo 2 o 3 per marca ogni anno), la durata dell'operazione è limitata - in media da 3 a 5 giorni - e l'accesso viene riservato ai soli membri del sito. Tre o cinque giorni nei quali un socio può comprare di tutto e "cambiare il suo aspetto e la sua vita". Nella collaborazione con le aziende, Vente-Privee può anche garantire un circuito chiuso, in cui i brand possono controllare i clienti finali, ricevendo anche commenti e informazioni sull'acquisto. "Per paradosso, iniziamo il lavoro al capolinea del percorso commerciale di un prodotto. E siamo noi a dovergli in qualche modo dare una seconda chance". I rapporti si invertono: è l'offerta che crea la domanda. L'azienda compra stock di invenduti di oltre 2600 brand e vi costruisce sopra il proprio margine operativo. Ormai nel grande outlet di VentePrivee non c'è più solo moda, ma anche arredamento, gastronomia, elettronica, gioielleria, prodotti culturali, viaggi, intrattenimento. L'estate scorsa, sono state vendute persino delle automobili con il meccanismo del "club privato". Il sito ormai conta su 24 milioni di membri in otto paesi d'Europa, di cui 2 milioni iscritti solo in Italia. La clientela è a maggioranza femminile: non a caso il logo di Vente-Privee è di un fiammante rosa shocking. "Lavoriamo sul desiderio, la frustrazione, la curiosità e anche una certa dipendenza". Molti soci, ricorda Granjon, cliccando su Vente-Privée si ritrovano a comprare oggetti

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 98 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

di cui non hanno davvero bisogno o il cui l'acquisto non era pianificato. "E' un modello basato sulla fiducia. Fiducia nello sconto e nel prodotto" conclude il presidente Granjon. Nonostante l'espansione all'estero, Vente-Privée resta saldamente radicata in Francia, dove può contare su 15 milioni di soci, e solo il 20% del fatturato è fatto all'estero. "In Italia c'è ancora un ritardo sull'e-commerce e sulla logistica che accompagna la vendita online. Ma sono sicuro che ci sarà presto uno sviluppo importante, con nuove opportunità". Nel nostro paese, dove Vente-Privee è stata lanciata nel 2008, resiste ancora il modello degli outlet veri e propri, stabilimenti fuori città, spesso un po' nascosti. "E' difficile convincere alcuni brand italiani che, esponendosi sul nostro sito, non danneggiano la loro immagine e la loro rete di distribuzione" nota Granjon. Con un fatturato di 1,7 miliardi nel 2014 e 2.100 dipendenti, Vente-Privée organizza anche tutta la spedizione dei prodotti. Ogni giorno escono 150mila pacchi dai suoi centri logistici. Vicino allo Stade de France è in costruzione un nuovo palazzo progettato dallo studio Wilmotte: sulla facciata apparirà un'opera dell'artista italiano Pucci de Rossi, mentre a Beaune, nel centro della Borgogna, è stato acquistato un magazzino di 10mila metri quadrati tutto dedicato al vino. Dal 2006, quando si è lanciata nel settore enologico, Vente- Privée ha conquistato la leadership del vendita online di vino in Francia e anche in Italia il settore sta crescendo notevolmente. Il sito ovviamente deve stare al passo con l'acquisto via smartphone, tavolette, in un continuo adattamento all'evoluzione dell'e-commerce. "Siamo sempre sulla frontiera della mutazione. E' un po' stressante ma amo il mio lavoro". Granjon è diventato uno dei personaggi più noti della new economy francese. L'anno scorso François Hollande è venuto a visitare gli uffici di Saint-Denis, esempio di impresa di successo che assume in una banlieue in crisi e un Paese dove la disoccupazione continua a crescere. Il presidente di Vente-Privee ha ricordato al leader socialista la necessità di armonizzare il sistema fiscale europeo. Le startup francesi, spiega, subiscono la concorrenza sleale di società straniere che non hanno gli stessi pesi fiscali. "Ma non sono abituato a lamentarmi", precisa Granjon, che non pensa a uno sbarco negli Usa. "Troppo forte la tradizione dei mall, degli outlet: non c'è spazio per il nostro modello". E' anche un convinto europeista, ricordando che siamo al centro di "un mercato di 500 milioni di persone, con uno stile e una qualità di vita unici". Granjon è la prova che la Francia non va così male, e che comunque ha ancora nuove storie imprenditoriali da raccontare. "Rispetto ad altri paesi, la Francia ha grandi professionalità, infrastrutture, savoir faire. C'è un enorme potenziale da liberare grazie a un modello meno statalista". A Granjon non dispiacerebbe un Jobs Act alla francese. "Purtroppo non ne vedo ancora le premesse". Il mondo cambia, non tutti se ne sono accorti. S. DI MEO Foto: Jacques-Antoine Granjon , fondatore del sito VentePrivee, visto da Dariush Radpour

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 99 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

LA RIFORMA DIMENTICATA SULLE CENTRALI DEGLI APPALTI Federico Fubini

Vorrà pur dire qualcosa se nella classifica sulla corruzione percepita, l'Italia è penultima con la Grecia nell'Ocse. Vorrà pur dire qualcosa se la dinamica della sua economia negli ultimi dieci anni nel frattempo è stata la più debole dopo la Grecia. È appena il caso di ricordare ciò che è sotto gli occhi di tutti: un Paese segnato in modo endemico da tangenti, burocrati deviati e accordi sottobanco non cresce per il semplice fatto che vincono spesso i progetti sbagliati per le ragioni sbagliate. La corruzione è il modo più efficiente di dilapidare risorse certo non infinite come il talento, il capitale e l'energia degli italiani. Ovviamente però ci risiamo e, a parole almeno, è di nuovo allarme. Questa volta è il caso dell'ex burocrate Ercole Incalza. Quasi in simultanea è anche quello delle figure di vertice della Ragioneria dello Stato coinvolte nel (sospetto) riciclaggio di denaro del patron del Parma Calcio. Prima ancora sono venuti il vicepresidente di Confindustria per la legalità Antonello Montante, dimessosi per le accuse dei pentiti di ; il presidente della Camera di Commercio di Palermo Roberto Helg, paladino dell'anticorruzione, preso con una tangente da 100mila euro; e casi ancora più pervasivi come Mafia Capitale, l'Expo di Milano, il Mose di Venezia. Per tutti vale naturalmente la presunzione di innocenza, eppure gli indizi di cronaca dicono qualcosa di più: la corruzione è una questione etica, certo, ma anche un problema strutturale. Un governo che vuole combatterla deve agire su questo secondo livello, anziché condannare e affidarsi a reazioni insufficienti o emotive. Un anno fa, nel clamore del caso Expo, il bravissimo Raffaele Cantone fu messo in gran fretta a capo dell'Autorità anticorruzione. Ora si lascia intendere che potrebbe lasciarla per diventare ministro delle Infrastrutture, come se ancora una volta bastasse spostare un volto credibile nel punto più caldo. Non è così: se un pensionato come Incalza è arrivato a dettare legge, significa che l'intera struttura dell'amministrazione è debole e da rivedere. La stessa idea di aumentare le pene per la malversazione non basta, perché il problema è a monte. Ed è qui che, per assenza di metodo, si sta facendo troppo poco. È noto a esempio che gli appalti gestiti da una miriade di enti locali sono una grande fonte di abusi. L'ex ministro Maurizio Lupi nel giugno del 2014 disse che il governo avrebbe creato poche centrali appaltanti, per dare trasparenza e ridurre le occasioni di reati. Da allora è seguito il silenzio. Allo stesso modo, la maggioranza ha già rinviato due volte il passaggio alle poche, grandi centrali appaltanti sulle forniture di beni e servizi e i piccoli Comuni continueranno a fase da sé. Stesse considerazioni per le diecimila municipalizzate, su cui la pressione dell'esecutivo finora è minima. Grandi flussi di denaro e un gran numero di piccoli e grandi cacicchi in un Paese disarticolato creano ciò che è sotto gli occhi di tutti. La condanna non basta più. È tempo di agire.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 100 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato villaggio globale General Electric il rilancio sul petrolio la scommessa ad alto rischio Arturo Zampaglione

alle pagine 12 e 13 General Electric il rilancio sul petrolio la scommessa ad alto rischio New York Asoli 41 anni, Paolo Simonelli è uno dei manager italiani di più alto profilo internazionale. Nato a Firenze, trasferitosi a Londra quando aveva dieci anni (a seguito del padre che lavorava con la banca Imi), laureatosi in business alla Cardiff University, Simonelli è entrato nel gruppo General Electric a 21 anni grazie a Paolo Fresco, l'ex- vice-presidente di GE International. Da allora la sua carriera è stata rapida e brillante: adesso è chief executive della divisione "Oil & Gas" della multinazionale e braccio destro del capo del gruppo, Jeffrey Immelt, di cui - secondo Business Week - potrebbe essere un candidato alla successione. Ma Simonelli ha anche un compito difficilissimo: la sua divisione, che negli anni della crisi di Wall Street permise alla GE di evitare il peggio, controbilanciando le perdite del ramo finanziario, è alle prese con il crollo del petrolio. In pochi mesi il greggio è passato dai 100 dollari al barile a circa 50, e i contraccolpi si sono fatti sentire su tutte le attività collegate, a cominciare dall'industria che produce le apparecchiature per la perforazione e l'estrazione. Gli analisti ipotizzano che il comparto ridurrà gli investimenti di 40 miliardi di dollari, taglierà 100mila posti di lavoro e procederà a un consolidamento. La Halliburton di Houston, nel Texas, che nel passato era stata guidata dall'exvicepresidente repubblicano Dick Cheney, ha deciso di comprare per 35 miliardi di dollari i rivali della Baker Hughes nella speranza di ridurre i costi. La Schlumberg ha visto passare in pochi mese le sue quotazioni a Wall Street da 118 dollari agli 81 della settimana scorsa. E in tutto questo che fa la GE? "Noi consideriamo questa nuova situazione come una opportunità", dice imperterrito Paolo Simonelli che non solo si prepara a annunciare una maxi-commessa da 850 milioni di dollari da parte della Eni Ghana Exploration & Production per alcuni giacimenti offshore, ma vuole approfittare della situazione per investire in nuove tecnologie, per migliorare l'efficienza produttiva e per ingrandire il business. Certo, è una scommessa rischiosa, ma rientra perfettamente nella strategia di lungo termine delineata da Immelt e dai suoi collaboratori. Fondata alla fine dell'Ottocento da Thomas Edison, la General Electric è sempre stato un simbolo del capitalismo industriale americano. Ancora oggi, dopo 118 anni, il titolo fa parte dell'indice Dow Jones L'azienda, che ha sede a Fairfield, nel Connecticut ha 300mila dipendenti, una capitalizzazione di Borsa di 256 miliardi di dollari e produce di tutto: apparecchiature mediche e motori diesel, reattori nucleari e tecnologie biofarmaceutiche, robot e turbine eoliche, turbine e locomotori. Gli ultimi 15 anni non sono stati facili né per l'azienda né per Immelt: quando fu scelto per sostituire il leggendario Jack Welsh ai vertici del gruppo, "Jeff", come viene chiamato da amici e colleghi, non pensava che ci sarebbero stati tanti traumi in poco tempo. Quattro giorno dopo il suo insediamento, l'America subì gli attacchi dell'11 settembre, in cui morirono un paio di dipendenti del gruppo e che costarono 700 milioni di dollari al suo ramo assicurativo. Poi arrivò la tempesta del 2007-2008 che mandò all'aria gli sforzi che aveva fatto Welsh per entrare nel settore finanziario e dei mutui subprime. La GE si trovò in difficoltà. Le quotazioni a Wall Street persero il 30 per cento in dieci anni. E per risalire la china Immelt ha venduto le attività finanziarie e le industrie di elettrodomestici, puntando sul settore industriale e in particolare sul ramo petrolifero. Adesso la divisione Oil & Gas è la terza del gruppo, con un fatturato di 19 miliardi di dollari, che rappresenta il 12 per cento del bilancio complessivo e il 20 per cento del business industriale (rispetto al 4 per cento di 10 anni fa). Il "cuore" del settore Oil & Gas della GE è la Nuovo Pignone di Firenze, di cui l'anno scorso è stato festeggiato il 60mo compleanno. Era il 1954, infatti, quando grazie all'interessamento dell'allora sindaco Giorgio La Pira, l'Eni di Enrico Mattei rilevò la Pignone, rilanciandola e specializzandola nella produzione di macchinari per l'energia. E nel 1994 fu la GE ad acquistarla: una integrazione che nel complesso si rivelò facile, anche perché la Pignone aveva la licenza per le turbine a gas americane. "In questi 20 anni - ha detto Simonelli parlando alle celebrazioni alla Stazione Leopolda - l'azienda ha intrapreso un percorso che l'ha trasformata: da fornitore di macchinari, siamo oggi anche un interlocutore globale lungo l'intera catena del valore del settore del petrolio

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 101 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

e del gas, affiancando i clienti, grazie a tecnologie e servizi estremamente avanzati, nelle sfide più importanti del mondo dell'energia". Dei 45mila dipendenti in tutto il mondo della GE Oil & Gas, 5.700 - tra cui molti ingegneri super-specializzati - sono in Italia: soprattutto a Firenze, ma anche a Talamona-Sondrio, Massa, Bari Vibo Valentia e Casavatore-Napoli. Gli investimenti del 2014 in Italia sono stati pari a 165 milioni di dollari per le attività di ricerca e sviluppo e oltre 87 milioni di dollari per opere sugli stabilimenti. Certo, tutti i calcoli che Immelt e Simonelli avevano fatto al momento di spendere 10 miliardi di dollari per potenziare le attività a monte del petrolio appena due anni fa, erano basati su livelli di prezzo del greggio di 100 dollari. E ora con il barile in discesa libera? Già nel dicembre scorso la GE aveva ipotizzato per il 2015 la prima riduzione del fatturato del settore in 5 anni (meno 5 per cento). "Saranno anni difficili", ha confermato a Business week il responsabile finanziario del gruppo Jeff Bornstein. Ma a dispetto di tante nubi, la strategia non cambia: GE continuerà a puntare sull'industria petrolifera, magari anche con nuove acquisizioni. L'unica differenza è che Simonelli e i suoi collaboratori si specializzeranno sempre più nelle tecnologie per l'estrazione sottomarina e per il controllo a distanza delle attrezzature attraverso sensori e robot. Del resto è proprio quello che chiedono i clienti della GE Oil and Gas. "Per noi è essenziale rimanere competitivi", ha dichiarato Eldar Saetre, chief executive della Statoil norvegese, che ha rafforzato i legami con la multinazionale americana, soprattutto per l'acquisto di apparecchiature sottomarine sicure dal punto di vista ambientale. "Ripeto: per noi e per tutto il comparto è una occasione per diventare più efficienti", ripete Simonelli, che proprio grazie a questa "scommessa" potrebbe aspirare a diventare, un giorno, numero uno di tutto il gruppo. S. DI MEO Foto: Jeffrey Immelt (1), Ceo della Ge ; Paolo Simonelli (2), capo della divisione Oil & Gas; Jack Welsh (3), famoso ex Ceo del gruppo Foto: L'avvio della costruzione dell'impianto petrolifero offshore Subsea Wellheads della General Electric in Nigeria, poche settimane fa

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 102 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato economia italiana Da Trenitalia, a Marcegaglia è arrivata la rivoluzione dei big data Christian Benna

a pagina 21 Da Trenitalia, a Marcegaglia è arrivata la rivoluzione dei big data Milano Basta guasti improvvisi e treni soppressi all'ultimo minuto: con Big Data a bordo i pendolari potranno tirare un sospiro di sollievo. Perché Trenitalia, in piena corsa verso la quotazione in Borsa, sta per lanciare un piano di "digital transformation" che promette di rivoluzionare la manutenzione del materiale rotabile, cambiare volto al sistema di prenotazioni e favorire l'interoperabilità tra rotaia, gomma e sistema delle metropolitane. Il progetto è ambizioso. E soprattutto va controcorrente rispetto a un Made in Italy che, pur sentendo il profumo di ripresa, procede con il freno tirato rispetto agli investimenti in Ict. La società del gruppo Ferrovie dello Stato ha messo in campo più di 10 milioni di euro per viaggiare secondo i principi della "predictive analytics". In sostanza, a bordo di 9 mila treni saranno montati sensori in grado di raccogliere informazioni sullo stato di salute delle locomotive, milioni di dati che saranno poi estrapolati, analizzati e utilizzati dal cervello di un software "predittivo". Si tratta di uno dei primi esperimenti su rotaia di manutenzione dinamica al posto di quella consueta a carattere preventivo. «Ogni anno spendiamo 330 milioni di euro tra ricambi e rimessa a nuovo di pezzi a usura ripetuta - dice Enrico Grigliatti, Cfo di Trenitalia - Conoscere in anticipo il deterioramento di ogni parte della macchina ci consente una migliore gestione di magazzino e una manutenzione ad hoc. Tanto più che oggi il 60% dei costi di verifica dei treni è ciclico, fatto da manutenzioni programmate, ma il restante 40% è correttivo, ovvero quando si verificano guasti imprevedibili, facendo lievitare le spese alle stelle e infuriare i passeggeri. Ecco, Big Data ci servirà per sapere in anticipo come e quando intervenire». I treni di nuova generazione sono già dotati di diagnostica preventiva. Su quelli regionali, spesso datati e non sempre all'altezza di un sistema di trasporto moderno, l'innovazione permette di ridurre i costi e diminuire i disagi senza intervenire - con investimenti molto più importanti - sul rinnovo del parco rotabile. La svolta digital di Trenitalia riguarda anche il sistema di prenotazioni, con due royalties card (in arrivo per maggio) per l'acquisto dei biglietti: la prima (anche di credito) è rivolta all'alta velocità la seconda (di debito) per il trasporto regionale. «Un sistema di prenotazione digitale consentirà di conoscere meglio i nostri clienti, e fornire loro servizi aggiuntivi. Il tema è anche quello dell'interoperabilità, già sperimentato in Piemonte, con un biglietto unico di viaggio su più mezzi». Compito non semplice visto che in Italia ci sono 24 sistemi di tornelli differenti. Ma l'armonizzazione digitale promette risparmi e una logistica più efficiente. Big Data promette si lustrare i conti di Trenitalia, ma soprattutto si presenta come caso scuola, in un settore dove l'investimento e le tariffe sono condizionati dagli accordi con le Regioni, e i margini per migliorare i servizi sono spesso molto risicati. La svolta di Trenitalia non è isolata. Lo conferma Luisa Arienti amministratore delegato di Sap in Italia, la multinazionale dei software gestionali che punta a sviluppare il mercato della digital transformation delle imprese. «In questi anni di crisi, ci sono state aziende, soprattutto medio-grandi, che non solo sono cresciute ma hanno raddoppiato il fatturato grazie alla capacità di accogliere la rivoluzione digitale. E credo che presto entreranno nella partita anche le Pmi». Negli ultimi anni, tuttavia, in Italia, gli investimenti per l'Ict non hanno brillato. E anche per il 2015, lo stima la Digital Innovation Academy del Politecnico di Milano, il budget a disposizione sarà ulteriormente ridotto, un po' sotto la quota del 2% del fatturato. «Serve maggiore consapevolezza del fatto che il digitale non è soltanto una possibile opportunità di innovazione, ma una vera necessità, un fenomeno 'disruptive' in grado di cambiare tutte le regole della competizione. Da questo punto di vista nessuno può chiamarsi fuori», spiega afferma Mariano Corso, co- responsabile scientifico della Digital Innovation Academy. Tra le priorità di investimento per il prossimo anno, stando alle analisi di "The Innovation Group, c'è Big Data con il 41% delle preferenze seguito da digital e social marketing (27%), cloud computing (27%) e mobilità 17%. «Non esistono più settori tradizionali da contrapporre a quelli digitali - dice Corso - ogni business può essere oggetto di una trasformazione digitale. Gli stessi prodotti fisici sono sempre più trasformati o sostituiti da servizi software». E infatti le grande

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 103 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

trasformazioni digitali, laddove sono in corso, spuntano nei settori della old economy che punta rinverdirsi utilizzando cloud, big data e smart working. Trenitalia, ma non solo. I coils in acciaio sfornati dal gruppo Marcegaglia sono riconosciuti e tracciati in modo digitale. «Se un rullo è sul punto di rompersi - ha detto Emma Marcegaglia, vicepresidente ad del gruppo, nel corso del Forum Sap svoltosi a Cernobbio a inizio marzo - riusciamo a saperlo in anticipo e a intervenire. Il nostro obiettivo è digitalizzare tutti i processi di produzione, e ora stiamo studiando nuove soluzioni nell'efficienza energetica». Vecchio business, ma modo completamente nuovo per affrontare la sfida della competitività è anche quello delle Acciaierie Bertoli Safau, società del gruppo friulano Danieli. Dice Alessandro Trivillin, amministratore delegato dell'azienda: «Il nostro è un prodotto taylor made, pensato e costruito insieme al cliente. Ad esempio, l'automotive sta lavorando su nuovi motori a pressioni elevatissime, fino a 270 bar. Noi dobbiamo adeguarci e sviluppare acciaio altamente performante per le case automobilistiche. Quindi stiamo digitalizzando tutta la filiera, dalla supply chain al rapporto integrato con clienti e fornitori». Enel, invece, sfrutta Big Data come scudo contro i tentativi di frode, e ha introdotto strumenti di machine learning e un algoritmo in grado di individuare comportamenti anomali e/o fraudolenti sulla rete elettrica. Altro caso è quello di Snam Rete Gas che utilizza app, tablet e presto anche la realtà aumentata per la gestione in tempo reale degli interventi tecnici, sugli impianti così come presso l'utenza finale. Un progetto che si inquadra nella strategia di "mobility e collaboration" dell'azienda per rendere più efficiente gli oltre 2 milioni di appuntamenti presso gli utenti, di cui 600.000 interventi di manutenzione e 100.000 in reperibilità. 1 2 3 S. DI MEO, FONTE: THEW INNOVATION GROUP, GENNAIO 2015 [ I PROTAGONISTI ] Qui sopra, l'ad di Trenitalia Vincenzo Soprano (1), Emma Marcegaglia (2) ad e vicepresidente del gruppo siderurgico. Paolo Mosa (3) ad di Snam Rete Gas Foto: Nelle foto qui sotto, da sinistra, lavori di manutenzione sul materiale rotabile, una acciaieria e una rete di metanodotti. Sono i casi presentati al Sap Forum di Cernobbio a inizio marzo

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 104 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 25 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Intervista Spence: "Investire sull'Italia? Certo, purché non disperda l'opportunità che ha di fronte" SECONDO L'ECONOMISTA AMERICANO, PREMIO NOBEL 2001, SUL NOSTRO PAESE SI CONCENTRA UNA SOMMA DI FATTORI POSITIVI SENZA PRECEDENTI: CAMBIO, TASSI BASSI, PETROLIO LOW- COST E ANCHE "UNA GRINTA SULLE RIFORME CHE MI FA BEN SPERARE SUI PROSSIMI ANNI" Eugenio Occorsio

Quando Michael Spence, allora preside di Economia a Stanford, fu insignito a Stoccolma del premio Nobel insieme a Joseph Stiglitz e George Akerlof, nel dicembre 2001, l'America e il mondo erano sotto choc per il terribile attentato alle Torri Gemelle di New York di poche settimane prima. Tutti tremavano, temevano il peggio, e invece l'America per prima e subito dopo anche l'Europa e il resto del mondo, seppero riprendersi rapidamente con caparbietà e decisione, e gli anni che seguirono furono fra i più brillanti del dopoguerra. Dopodiché, nel 2008, nuovo tonfo in una crisi che invece, almeno in Europa, si sta rivelando molto più complicata da vincere. «Ora c'è la possibilità decisiva perché avete la situazione più favorevole che si possa immaginare», spiega l'economista, nato nel New Jersey nel 1943, che nel frattempo si è trasferito alla Business School della New York University. «L'Europa, e direi soprattutto l'Italia, è al centro di una congiunzione di fattori "abilitanti" alla ripresa quale forse non si era mai verificata. Se non coglierete l'occasione, potreste non perdonarvelo mai». Spence conosce molto bene l'Italia, che visita con grande frequenza, e periodicamente tiene lezioni alla Bocconi e conferenze in giro per il nostro Paese. Professore, perché dice che l'Italia parte ulteriormente avvantaggiata in un contesto europeo già potenzialmente molto positivo? «Perché uno dei fattori favorevoli è il basso cambio dell'euro, che favorisce i Paesi a forte vocazione all'export, e l'Italia è in questa posizione più di chiunque altro in Europa a fianco della Germania. Anzi, forse è pure meglio posizionata della Germania perché esporta proprio quei beni in cui il fattore prezzo, se si affianca al fattore qualità che è riconosciuto pressoché in tutto il mondo, può fare la differenza: design soprattutto nell'arredamento, moda, alimentare di pregio ma anche meccanica strumentale e altre pregiate produzioni di precisione. E poi perché l'Italia è molto più degli altri dipendente dalle forniture estere di energia, specie idrocarburi, il cui andamento declinante dei prezzi - altro fattore primario che favorisce lo sviluppo - è sotto gli occhi di tutti. Mi lasci aggiungere un'ulteriore peculiarità dell'Italia: avete un governo complessivamente forte e stabile che sembra finalmente aver intrapreso con decisione il cammino delle riforme, sia quelle direttamente attinenti l'attività economica come il Jobs Act, sia quelle istituzionali rivolte a creare le condizioni di contorno per rendere più semplice e flessibile il cammino dei provvedimenti e il rapporto fra autorità centrali e decentrate. Tutte misure cruciali per promuovere la crescita: ovviamente non dovete fermarvi qui, anzi il cammino è appena cominciato, però mi sembra che il vostro Paese sia partito con il piede giusto. E, ripeto, le circostanze in cui opera sono straordinariamente fortunate. Insomma, se me lo chiede, investirei in Italia». La Federal Reserve però sembra aver tirato il freno, la settimana scorsa, sui rialzi dei tassi americani, spaventata proprio dall'eccessiva rapidità della svalutazione dell'euro rispetto al dollaro. E non a caso, la valuta europea ha riguadagnato diversi decimali rispetto a quella americana. Quali sviluppi potrà avere questa circostanza inaspettata? «Veramente non era inaspettata. Anzi, si pensava che Janet Yellen avrebbe fatto cadere la parola "pazienza" di fronte alle proposizioni riguardanti i rialzi dei tassi, e così è stato. La pazienza era motivata con la necessità di tenere i tassi americani a zero, una procedura inconsueta che è durata ben sei anni e mezzo. Ora la "pazienza" non c'è più e i tassi potranno risalire tornando a un fisiologico andamento. Certo, la Fed non ha detto quando, anzi ha escluso che possa farlo nella prossima riunione di aprile. La maggior parte degli economisti pensa che lo farà in giugno, e anche io sono di quest'idea. Purché non intervengano fattori di disturbo come un ulteriore drastico crollo dell'euro. Secondo me intorno alla parità si può trovare un ragionevole punto di equilibrio. La Fed è preoccupata di battere la deflazione e riguadagnare un minimo di inflazione, poco sotto il 2%, alla pari della Bce, però ha altre preoccupazioni che

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 105 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 25 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Francoforte per statuto non è tenuta ad avere». Se si riferisce al doppio mandato della Fed, stabilità dei prezzi e tenuta dell'occupazione, il fatto che si sia scesi al 5,5% di disoccupati in America, la metà del 2010, non significa che gli obiettivi sono stati conseguiti? «Non del tutto. Vede, la Fed, e la Yellen in particolare per cultura e sensibilità, è attenta anche alla composizione dell'occupazione, e oggi troppi americani sono sottopagati o hanno orari estremamente ridotti. A loro si pensa al momento di lasciare che il dollaro ricominci a salire. Per fortuna, dalle ultimissime rilevazioni, stanno migliorando i salari medi. È una buona notizia, oltre che per gli interessati, perché così si riporta un po' d'inflazione nel sistema e si rilancia la domanda interna». Spostandoci in Europa, qual il potenziale distruttivo che vede nell'incertezza sulla Grecia? «Un accordo alla fine si troverà purché, come sembra, venga cercato al massimo livello politico possibile, e siamo tutti sollevati dal fatto che proprio oggi la Merkel e Tsipras si incontrano. Perché se lasciano negoziare Varoufakis e Schaeuble, irrimediabilmente diversi come sono al limite dell'incomunicabilità, un accordo non lo troveranno mai». S. DI MEO, FONTE: THOMSON REUTERS DATASTREAM, MARIO DRAGHI, PRESIDENTE DELLA FED, JANET YELLEN, BCE, ABS, Foto: Un'immagine della Borsa italiana , a Piazza degli Affari a Milano Foto: Michael Spence, Nobel per l'economia 2001, attualmente docente alla NYU

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 106 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 30 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Roma Intervista "Fondi di credito e Eltif le strade di Bruxelles verso l'economia reale" PARLA GIORDANO LOMBARDO PRESIDENTE DI ASSOGESTIONI OSSERVATORIO PRIVILEGIATO PER STUDIARE LE DINAMICHE IN ATTO E LE PROSPETTIVE SULLO SCACCHIERE INTERNAZIONALE DEI MERCATI. I TEMI AL CENTRO DEL DIBATTITO AL SALONE DEL RISPARMIO Paola Jadeluca

«Ci aspettiamo di registrare 16mila iscritti, il Salone del risparmio è diventato l'evento finanziario più importante su scala annuale»: Giordano Lombardo, presidente di Assogestioni, si prepara all'appuntamento milanese ideato e realizzato dall'associazione da lui guidata. «L'elemento più importante di questo Salone è che non ci sono solo gli operatori del settore, ma anche famiglie e studenti, abbiamo coinvolto persino gli studenti delle scuole superiori in attività formative spiega Lombardo - è dunque un appuntamento professionale, certo, ma anche dedicato all'educazione finanziaria». L'industria del risparmio gestito in Italia sta conoscendo un lungo periodo di boom, richiamato anche dalla stampa finanziaria straniera. «Si tratta fondamentalmente di risparmio di tipo nuovo, tradizionalmente le famiglie italiane indirizzavano i risparmi nel mattone o nei titoli di Stato. Ora queste due forme di risparmio mostrano di non poter più sostenere capacità di rendimento di un tempo. La domanda, dunque, s'è indirizzata verso nuovi strumenti finanziari che richiedono però un intervento più professionale, vincolato a gestioni professionali. Il fai-da-te non è la soluzione, la necessità oggi andare su strumenti finanziari nuovi contenendo allo stesso tempo gli elementi di rischio e di volatilità offrendo al contempo rendimenti adeguati» Nella raccolta dove è diretta la quota principale del risparmio? «Certamente il fondo è lo strumento più diffuso, io dico sempre il più democratico, a disposizione di tutte le tasche. Ovviamente ci sono anche risparmiatori che ricorrono a gestioni patrimoniale, altri a forme assicurate come le unitlinked: nel suo complesso tutto il mondo del risparmio gestito sta beneficiando di nuove soluzioni. La raccolta diversificata, su gestioni separate, va anche sul canale istituzionale, una parte del risparmio è veicolato anche dai fondi pensione e della previdenza integrativa». Tutto questo risparmio potrebbe essere indirizzato verso l'economia reale. Molti passi avanti sono stati fatti, per esempio il decollo dei minibond, ma ci sono ancora aree di intervento. «L'obiettivo primario della gestione del risparmio è di offrire rendimenti adeguati e diversificati. Una premessa d'obbligo doverosa. Questo obiettivo però può essere coniugato con il canalizzare una parte di risparmio verso il sistema Paese con nuovi prodotti in corso di approvazione a livello europeo, come per esempio i fondi di credito e gli Eltif. Questi ultimi costituiscono una innovazione molto importante perché pensati appositamente per l'investimento in infrastrutture e altre asset class di lungo periodo. In Italia, dove le piccole e medie imprese costituiscono la maggioranza del tessuto produttivo, i fondi specializzati in investimenti in Pmi potrebbero diventare una specializzazionetipica dell'industria finanziaria italiana. Certo, non possiamo dire che attraverso questa strada verrà risolto il problema della crescita economica ma nei prossimi 5-10 anni l'industria del risparmio gestito giocherà un ruolo sempre più centrale per lo sviluppo dell'economia reale» A breve dovrebbe sbloccarsi la quotazione dei fondi mobiliari d'investimento. Si è parlato di Big Bang del risparmio gestito. «È un tema che riguarda la distribuzione dei prodotti, indubbiamente un passo avanti positivo, che perònon sostituisce il ruolo di advisory del consulente. Infatti, la distribuzione dei prodotti di risparmio gestito ai sottoscrittori in Italia, come nel resto dell'Unione europea, è principalmente realizzata dalle banche e dalle reti di promotori. Dall'altra si stanno affermando grazie ad Internet, canali complementari innovativi che facilitano l'incontro tra risparmiatore e intermediario, ma il consulente diventa sempre più una figura chiave. Il rischio, piuttosto, è che passi un messaggio sbagliato, che il fondo comune di investimento quotato diventi uno strumento di trading. E non è questo l'obiettivo della quotazione» E' come oggi con gli Etf. «Esatto, sono fondi quotati, utilizzati anche nei portafogli istituzionali ma non possono essere considerati strumenti di trading, lo trovo una contraddizione al motivo per cui sono stati creati: i fondi sono strumenti di investimento di lungo termine» Quale può essere l'impatto del Qe sull'intera industria italiana del risparmio gestito? «Le azioni delle banche

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 107 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 30 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

centrali, Qe compreso, hanno portato una grande quantità di liquidità sui mercati e l'effetto diretto è stato l'abbassamento dei tassi. Non è un caso che i fondi più venduti siano stati i flessibili e i multiasset, prodotti che affidano le scelte di allocazione e gestione all'asset manager. Questa situazione è destinata a durare più di un ciclo economico, se questo è vero resterà elevata la domanda di rendimenti più efficienti. La sfida e la responsabilità dell'industria in questo contesto sono continuare a mantenere rendimenti soddisfacenti cercando di contenere il rischio e la volatilità di mercato per i risparmiatori. Si parla spesso di rendimento ma il grande valore aggiunto della gestione professionale è la gestire e contenere il rischio» FONTE: ASSOGESTIONI, S. DI MEO Foto: Maurizio Bufi presidente Efpa Foto: [ I BIG ] Foto: Giordano Lombardo (1) Pres. Assogestioni; Pier Carlo Padoan (2) ministro Economia Foto: I fondi più venduti sono stati i flessibili e i multiasset, prodotti che affidano le scelte di allocazione e gestione all'asset manager

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 108 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 59 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato [ L'INTERVISTA ] "Certificati a rischio contenuto per puntare sull'energetico" NICOLA FRANCIA, RESPONSABILE PRODOTTI QUOTATI DI UNICREDIT: "SE SI PENSA CHE IL PREZZO DEL PETROLIO SI STABILIZZI UN'OPPORTUNITÀ È QUELLA DI INVESTIRE SU STRUMENTI CHE VENDONO VOLATILITÀ" (m.man.)

Roma Il calo del petrolio, ma forse è più corretto parlare di crollo, considerato che ha perso oltre il 50% in sei mesi, ha portato benefici alle economie dei paesi importatori di energia e ha reso meno costose le nostre soste dal benzinaio. E in qualità di investitori, come si può sfruttare il suo ribasso? Scommettere su un rimbalzo, su un ritorno alle quotazioni del greggio degli ultimi anni, oppure cavalcare il tema dell'energia a basso costo? E con quali strumenti si può investire, magari senza correre il rischio di "scottarsi" troppo, se le nostre previsioni di un rialzo o di un ribasso dovessero rivelarsi errate? Nicola Francia, responsabile prodotti quotati di UniCredit, non ha dubbi: «Se si pensa che il grosso della discesa del petrolio sia ormai avvenuto e che i prezzi debbano stabilizzarsi o risalire, un'alternativa per investire senza assumere posizioni lunghe (in acquisto) sul petrolio o sui titoli petroliferi, è utilizzare strumenti che vendono volatilità». Una strategia che è alla base degli ultimi certificate emessi da Unicredit, certificati che hanno per sottostanti azioni del comparto energetico e indici legati al petrolio e che appartengono alle tipologie Express e Cash Collect, entrambe con protezione condizionata del capitale. «Sono strumenti che si collocano un po' a metà strada tra le azioni e le obbligazioni: si assumono dei rischi, ma più contenuti rispetto all'azionario puro, perché si ha una protezione condizionata se il prezzo del sottostante non supera al ribasso un livello prefissato. Nel caso dei Cash Collect, si punta a cedole potenziali durante la vita del certificato, con la possibilità di ottenere il rimborso anticipato del capitale, se il sottostante dovesse muovere al rialzo». Perché vendere volatilità? «Nell'attuale contesto, il petrolio e i titoli del settore energetico presentano una volatilità relativamente elevata, laddove la volatilità dei mercati azionari è, al contrario, bassa. La volatilità implicita a breve del petrolio è circa al 50%, a un anno è al 33%, a due anni, che è l'orizzonte temporale coperto dai nostri certificati, siamo al 26%. Questa curva di volatilità invertita segnala l'aspettativa da parte del mercato di una sua graduale riduzione, che corrisponde ad una stabilizzazione dei prezzi. Vendendo volatilità, si incassa un premio che viene corrisposto all'investitore sotto forma di cedola periodica o di maggiorazione del capitale a scadenza». Le due tipologie di certificate che proponete sono legate a differenti aspettative sui mercati? «Sono due strumenti molto simili, entrambi puntano a una stabilizzazione delle quotazioni e offrono la possibilità di rimborso anticipato. Tuttavia, il Cash Collect offre la possibilità di ricevere una cedola trimestrale ricorrente, mentre l'Express consente di capitalizzare un premio con osservazioni semestrali fino alla scadenza, sotto forma di valore di rimborso». Qual è l'investitore tipo per queste emissioni? «Ci rivolgiamo a investitori evoluti oppure a investitori che si avvalgono della consulenza di private banker, promotori finanziari o consulenti finanziari indipendenti. Sono investitori che hanno un profilo di rischio adeguato a questo strumento, che è a capitale condizionatamente protetto». Che ruolo possono avere questi certificati in un portafoglio? «Il mondo della consulenza professionale guarda con molto interesse a questi strumenti. Sono emessi direttamente sul mercato Sedex di Borsa Italiana, sono molto liquidi e i prezzi molto reattivi rispetto ai movimenti del sottostante, potenzialmente adatti, quindi, non solo al cassettista, ma anche al trading. In queste fasi di mercato, poi, alcuni investitori particolarmente sofisticati, piuttosto che professionisti che svolgono un ruolo di advisor per i loro clienti, utilizzano queste strategie come forma di protezione. Se uno specifico titolo ha realizzato una buona performance, monetizzano il guadagno, vendendo il titolo e reinvestono il ricavato in strumenti di questo tipo: continuano, se il sottostante resta al di sopra della soglia prefissata, a incassare cedole e, in più, ottengono una protezione, sia pure condizionata, del capitale». Quali sono i sottostanti delle vostre ultime emissioni dedicate al petrolio? «Abbiamo individuato tre macrotemi legati all'andamento del petrolio. Si può investire sul solo petrolio, attraverso l'indice S&P Gsci Crude Oil, oppure scegliere l'indice

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 109 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 59 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

S&P Gsci Energy che comprende petrolio di tipo Wti, Brent, gas naturale e benzina verde. Il secondo macrotema è rappresentato dalle azioni di società petrolifere, offriamo la possibilità di investire su singoli titoli, gli italiani Eni, Erg e Saipem e azioni internazionali come Gas de France Suez, Total e Royal Dutch Shell, oppure di utilizzare un indice settoriale europeo, lo StoxxEurope600 Oil & Gas. L'ultimo macrotema è il mercato azionario russo, rappresentato dall'indice RDX - Russian Depositary Index - che misura l'andamento di 15 certificati di deposito su titoli russi quotati alla borsa di Londra, un indice nel quale i titoli di compagnie del settore energetico hanno un peso elevato». Quale tipologia di sottostante è più trattata? «Sembra sia apprezzata la possibilità di investire direttamente in un indice rappresentativo del petrolio; a livello di singoli titoli, invece, gli investitori italiani tendono a preferire i sottostanti domestici». S.DI MEO BRENT Foto: Il prezzo di un barile di Brent - dopo essere crollato a 45 dollari, anche in conseguenza del rafforzamento del dollaro - in febbraio è risalito a 60, per poi tornare a quota 52-53 dollari . Sul trend futuro del prezzo gli analisti sono divisi Foto: Nella foto Nicola Francia di Unicredit

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 110 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

La sindrome del Gattopardo Il parere del Consiglio di Stato non chiarisce se le retribuzioni degli alti burocrati siano soggette a revisione. E intanto... Alla scuola Sna si impara a non farsi tagliare lo stipendio sergio rizzo

P er Angelo Rughetti è l'ennesima dimostrazione che il Paese è in piena sindrome del Gattopardo. «Sono in tanti a lavorare per fare in modo che tutto cambi perché nulla cambi. Dalle Province alla formazione di Stato, dalla Rai alla spesa dei fondi per il Sud. Da un lato c'è chi come noi fatica ogni giorno per fare un passo in avanti e dall'altro coloro che in nome del benaltrismo e l'esegesi delle fonti normative sperano che passi la nottata e tutto torni com'era prima», sbotta il sottosegretario alla Pubblica amministrazione dopo aver letto un parere sfornato dal Consiglio di Stato il 23 febbraio. Anche se sarebbe più giusto definirlo un «non» parere. L'argomento è uno dei più pelosi in assoluto: gli stipendi degli alti burocrati pubblici che insegnano alla Sna, la neonata Scuola nazionale di amministrazione. La riforma approvata dal parlamento l'11 agosto ha soppresso cinque scuole create negli anni per la formazione degli amministratori e la contestuale attribuzione delle loro funzioni a un'unica struttura sul modello della mitica Ena francese. Fra le scuole chiuse c'è la Scuola superiore dell'economia e delle finanze, che ha per certi versi una storia particolare. Giova ricordare qualche nome dell'elenco dei docenti ordinari del cosiddetto «ruolo ad esaurimento» tuttora presente nel sito di quell'organismo. C'è Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto dell'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, oggi presidente della società immobiliare pubblica Invimit e già titolare nel 2011, prima dei tagli imposti dai governi di Mario Monti e Matteo Renzi (che hanno abbassato il tetto massimo prima a 300 mila e poi a 240 mila euro), di uno stipendio da 583 mila euro annui. C'è Marco Pinto, anch'egli ex collaboratore di Tremonti. C'è Marco Milanese, ex braccio destro del superministro, sospeso dalle funzioni, a causa del suo coinvolgimento in alcune inchieste giudiziarie per decisione dell'ex direttore della scuola Giuseppe Pisauro, il quale come prevede la legge ha potuto privarlo solo di metà della retribuzione (il che significa 97.166 euro). Ci sono poi l'ex parlamentare del Pdl Maurizio Leo, già dirigente delle Finanze nonché assessore al Comune di Roma e l'ex presidente della commissione Trasporti della Camera Ernesto Stajano. Insieme a loro un piccolo manipolo di superburocrati meno noti, in posizione di fuori ruolo ma pagati piuttosto profumatamente per disposizioni ministeriali dalla Scuola, con compensi che all'epoca arrivavano a superare di slancio i tetti fissati in seguito. E qui sta il punto. Perché la riforma dello scorso anno prevede che «il trattamento economico è rideterminato con decreto al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Sna», che a sua volta «viene determinato sulla base di quello spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità». Vale a dire, al massimo poco più della metà del famoso tetto dei 240 mila euro. Verissimo, ammette il «non» parere del Consiglio di Stato, chiamato dal governo a dire la sua proprio su quel decreto appena scritto. Ma bisogna chiedersi, argomenta l'estensore Damiano Nocilla, ex segretario generale del Senato, se la riforma ha o meno abrogato un decreto legislativo del 2009 (governo Berlusconi) che prescrive: «i docenti a tempo pieno della scuola, in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo, per il tempo dell'incarico conservano il trattamento economico in godimento». Trattamento, precisa il «non» parere, che «può essere ben diverso e superiore rispetto a quello dei docenti universitari». La risposta alla domanda? Ovvia: «la supposta abrogazione dell'art.10, co.2, d.lg.s. n. 178 del 2009 non sembra possa evincersi sic et sempliciter». Per non parlare, aggiunge Nocilla, del fatto che «l'immediata abrogazione della disposizione rischierebbe di privare la Sna di tutti quei docenti provenienti da carriere il cui trattamento è migliore in termini retributivi rispetto a quello dei professori universitari, con immaginabili ripercussioni sull'organizzazione e l'impostazione dei corsi». Ragion per cui il decreto va riscritto, e come nel gioco dell'oca si riparte dal via. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 111 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: In cattedra Vincenzo Fortunato

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 112 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL PUNTO Forse c'è la ripresa? Il Fisco sia generoso: ora tagli le tasse DANIELE MANCA

Deve essere una bella soddisfazione per un ministro poter annunciare che il tempo dell'austerità sta per finire, e che rivedrà al rialzo le stime di crescita per quest'anno dal 2,4% al 2,5%. È accaduto, con la presentazione della Finanziaria, a George Osborne, cancelliere dello Scacchiere inglese. Ma quelle parole per gli inglesi hanno avuto un suono probabilmente ancora più soave perché accompagnato dall'annuncio di un ulteriore taglio delle tasse. Certo, a maggio a Londra si vota. E in campagna elettorale le promesse valgono per quello che sono, semplici parole. Ma la lezione inglese è un'altra, e si fa fatica a capirla dalle nostre parti. Meno austerità non significa automaticamente più spesa. Anzi. Nel caso specifico si tramuta in tagli alle uscite pubbliche meno pesanti. Quei tagli alla spesa che a Londra sono iniziati nel 2010 (stretta di bilancio) associati a una riduzione della imposizione fiscale. Al di là delle troppo spesso esibite certezze degli economisti, sarà difficile capire se sia stato questo mix di tagli a rilanciare l'economia inglese o il fatto di poter contare su una politica monetaria e di bilancio sganciata dall'Europa (oggi il deficit rispetto al Pil è del 5% contro l'11% degli anni della crisi). Ma il segnale dato da Osborne è chiaro: va restituita ai cittadini e ai risparmiatori la capacità di decidere della maggiore quota possibile dei propri introiti. Come accade nella vita, quasi mai contano soltanto le idee, quanto la loro applicazione e realizzazione. Più che la retorica su austerity sì, austerity no, conta chi l'ha subita fino ad ora. E se guardiamo al nostro Paese, famiglie e imprese il loro prezzo lo hanno pagato, lo Stato italiano non ancora. Soltanto se lo farà al più presto i cittadini potranno ricevere il loro premio che ha un nome preciso: si chiama «taglio delle tasse». @daniele_manca © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 113 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA Personaggi L'hacker-ingegnere di Chrome Privacy Siamo nelle mani della principessa di Google MARTA SERAFINI

Parisa Tabriz, 32 anni, è la security princess di Chrome, il motore di Google. Hacker, ingegnere, veglia sui bug e sulle falle. Le differenze di genere? Non hanno un futuro: spariranno anche nel mondo maschile dell'informatica. La vera sfida del nostro lavoro - dice - è conciliare la difesa con la privacy dei clienti. A pagina 17 Al campus di Google a Mountain View Parisa Tabriz è nel pieno di un'emergenza. È appena stata scoperta una falla nel sistema operativo di una nota marca di computer diffusa in tutto il mondo. Davanti a Tabriz si prospettano ore e ore di lavoro. Ma Parisa non è il tipo che si scompone troppo. Occhi neri sempre in movimento, maglia nera traforata e ballerine gialle, un sorriso le illumina il volto. A soli 32 anni questa donna è la responsabile della sicurezza di Chrome, il browser di Google, motore di ricerca più usato al mondo. Nel suo tempo libero è facile trovarla mentre scala una montagna («il free climbing è come l' hacking : devi arrivare in un punto e devi decidere come farlo», spiega), con una macchina fotografica in mano o mentre prepara dolci (a Bologna ha seguito un corso per fare il gelato). In pratica lei è la paladina del benessere informatico di miliardi di persone. Una delle 30 pioniere del tech under 30 secondo Forbes , cresciuta nella periferia di Chicago da mamma polacca e padre iraniano, maggiore di due fratelli maschi, per arrivare fin qui ha studiato duro. E ha conciliato il suo interesse per l' hacking e per la cultura che vuole la Rete libera e gratuita con il suo lavoro in uno dei più potenti colossi della Silicon Valley. Ma soprattutto Parisa ha sfatato in pieno lo stereotipo che vuole le donne incapaci di padroneggiare il linguaggio informatico. Come è arrivata a Mountain View? «Entrambi i miei genitori lavorano in campo medico (il padre è dottore e la madre infermiera , ndr). Quando ero al liceo, non avevo le idee molto chiare. Ero in dubbio se scegliere medicina o qualcosa che avesse a che fare con la matematica e le scienze. Così ho optato per ingegneria». A che età ha avuto il primo computer? «Ero al college, se non ricordo male. Avevo anche parecchi amici che iniziavano a muovere i primi passi nel mondo della programmazione. Prima ho imparato a padroneggiare il web design, poi il coding e infine la sicurezza informatica e l' hacking anche se ai tempi non esisteva un corso universitario apposito. In quel periodo ho anche fatto il mio primo sito su una piattaforma di hosting gratuita che solo anni dopo, ironia della sorte, ho scoperto avere delle falle di sicurezza. Poi ho fatto una internship in cyber security . E l'estate dopo, nel 2012, ero in Google». Molti descrivono la Silicon Valley come un ambiente in cui domina la cultura frat pack (sessista). Che ne pensa? «Quando ero piccola ero un tom boy , un maschiaccio che faceva molto sport e non corrispondevo certo allo stereotipo della bambina tutta rosa e fiocchi. Sono la maggiore di due fratelli maschi e questo mi ha aiutato. All'università un ragazzo mi ha detto che se avessi avuto un posto di lavoro sarebbe stato solo perché sono una donna. Ma ci sono anche stati uomini che mi hanno sostenuto». A Google le donne sono il 30%. Come si combatte il gender gap? «C'è molto da fare. Il punto di partenza sono i bambini, ed è per questo che partecipo appena posso alle convention di hacking per le scuole. Insegnare fin da piccoli a padroneggiare il codice è una strada. Altro punto sono i modelli. Una ragazza che decide di fare questo mestiere non deve per forza aderire allo stereotipo che ci vuole tutte magre e un po' matte. Ma non è solo una questione di genere. Bisogna supportare tutti i tipi di diversità». Sul suo biglietto da visita si legge come qualifica Security princess.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 114 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

«È successo per scherzo. Quando ho iniziato a Google ero un ingegnere a capo di un team dedicato alla sicurezza. Un titolo generico, insomma. Poi, in Giappone mi sono trovata davanti dei colleghi formali che davano importanza allo scambio delle credenziali. E così mi è venuta l'idea. Io che sono l'opposto di una principessa». Perché ci sono poche donne hacker? «Sicuramente ha a che fare con il gender gap nel tech ma forse c'è dell'altro. Anche se sono poche però non vuol dire che non siano molto abili. Penso a Joanna Rutkowska, che ha presentato le sue scoperte di vulnerabilità davanti ai migliori hacker di tutto il mondo. Ma anche Kristin Paget in grado di hackerare le auto. Ci vuole solo tempo e presto avremo la parità anche in questo campo». La pirateria è uno dei pericoli più grandi. In che cosa consiste il suo lavoro? «Fondamentale per noi è segnalare agli utenti tutti i malware e i tentativi di phishing cui incappano quando usano Chrome. Se troviamo pagine che hanno delle vulnerabilità dobbiamo cambiare il codice dopo aver fatto le verifiche. E questo significa tenere gli occhi aperti costantemente aggiornando le liste nere. Vogliamo che i nostri utenti non debbano preoccuparsi della sicurezza. Lo facciamo noi al posto loro, in modo che possano impiegare il loro tempo in modo più utile». Per il suo lavoro sarà costretta a pensare come un black hat, un hacker cattivo. Non la disturba? «Beh, essere un hacker significa avere una capacità. Tanti pensano che si tratti di un'abilità incredibile ma non è nemmeno così complicato. Quello che cambia è il modo in cui decidi di usare questo dono. Puoi diventare un cracker (un hacker cattivo) per motivi politici o economici o puoi mettere le tue competenze al servizio di un progetto migliore.». Le sarà capitato di dover valutare diversi hacker. Come decide chi è bravo e chi no? «Faccio un semplice test che non ha nulla a che vedere con i computer. Chiedo al candidato di hackerare un distributore di bevande. Se, ad esempio, siamo in Messico, basta inserire una moneta da due euro e il gioco è fatto». Nella ricerca delle falle coinvolgete anche persone all'esterno? «Certo, facciamo degli hackathon ( delle gare di hacking , ndr) con compensi fino a 30 mila dollari per chi individua bug e falle. E fino ad oggi abbiamo pagato 1,25 milioni di dollari per risolvere più di 700 problemi». Le è stato chiesto di aiutare la Casa Bianca per la sicurezza informatica. Ha mai incontrato Obama? «No». Ok. Allora cosa pensa dell'incontro di qualche settimana fa tra il presidente e i colossi del tech? A chi spetta occuparsi della sicurezza degli utenti? «Abbiamo molte responsabilità sulle spalle. Sono contenta che ci siano dei tentativi di accordo con il governo. Ma il mio compito è pensare alla sicurezza di tutti gli utenti di Chrome, non solo degli americani» Quale sarà la sfida più grande dei prossimi anni per la Silicon Valley? «Conciliare privacy e sicurezza. In fondo siamo come medici che cercano sempre nuove cure». @martaserafini © RIPRODUZIONE RISERVATA GLI ITALIANI E LE MAIL Mail ricevute ogni giorno (1 su 4 è una newsletter) 940 milioni Media caselle di posta possedute da ognuno 2,4 Fonte: Email Marketing - Experience Report 2015 - Mag News S. A. LE CASELLE DI POSTA PIÙ UTILIZZATE Google Microsoft Libero 53,0 % 37,1 % 32,4 % Mentre sono al pc per svago Mentre sono al pc per lavoro Mentre si rilassano sul divano aziendale 32,4 % @ @ @ QUANDO CONSULTANO LE MAIL 53,0 % 32,4 % 37,1 % Foto: Top Parisa Tabriz Foto: Hacker Parisa Tabriz, 32 anni, è Security

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 115 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

princess di Google. In pratica si occupa della sicurezza informatica di Chrome, il browser di Big G che è il motore di ricerca più usato al mondo. Il suo team individua le falle pericolose per gli utenti . Tabriz è stata inserita da Forbes fra le trentenni più influenti del tech Fondatori Larry Page e Sergey Brin

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 116 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA Ian Bremmer Poche illusioni il greggio resterà mini massimo gaggi

La tecnologia ha contribuito in maniera sostanziale ad abbattere i costi del petrolio. Anche per questo il livello dei prezzi al barile si manterrà nel prossimo futuro tra 40 e 60 dollari. Ne è convinto Ian Bremmer, fondatore di Eurasia. a pagina 3 La riduzione del dividendo pagato agli azionisti è cosa normale per un'impresa quando il business nel quale opera perde colpi e calano i profitti. Non nel settore petrolifero: la Shell non taglia i dividendi dal 1945, la ExxonMobil li ha incrementati ogni anno per oltre tre decenni. La scelta «rivoluzionaria» fatta qualche giorno fa dall'Eni dovrà alla fine essere seguita anche dalle altre majors o le compagnie pensano di assorbire gli effetti del crollo dei prezzi del greggio in attesa di una loro almeno parziale ripresa? Siamo in una inverse bubble , una bolla che sgonfia troppo i prezzi dopo quella che li ha gonfiati eccessivamente? Lo chiedo a Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, il maggior centro di analisi dei rischi geopolitici ed economici internazionali, reduce da una full immersion da Calgary, capitale canadese dell'energia. «Non posso entrare nel merito di come le singole compagnie reagiranno a questo calo choc dei prezzi - risponde Bremmer -. Ognuno farà le sue scelte. Quello che so per certo è che una risposta dovranno darla perché il sistema dei prezzi dell'energia è cambiato in modo radicale e strutturale. Non vedo bolle in giro. Si pensava che i prezzi sarebbero risaliti per un crollo della produzione - e quindi dell'offerta - americana. E invece, nonostante i prezzi siano da mesi attorno ai 50 dollari al barile rispetto ai 110 di non molto tempo fa, l'estrazione degli Stati Uniti non è, fin qui, affatto diminuita. Cali potranno esserci in futuro, ma saranno brevi e limitati. A questo punto tutte le majors , anche le supermajors , devono rimboccarsi le maniche: qualcuna diversificherà impegnandosi di più in attività alternative, altre risponderanno aumentando la loro efficienza produttiva e investendo di più in tecnologie. Avverrà soprattutto nel fracking . C'è anche chi restringerà il suo perimetro di attività. L'ho appena visto a Calgary: compagnie che ormai eravamo abituati a considerare globali che chiudono molte attività internazionali. Ci sarà anche chi dovrà tagliare i dividendi. Non c'è una risposta uguale per tutti. Ma tutti dovranno fare qualcosa di incisivo». Eppure il crollo dei prezzi ha messo fuori mercato molti siti produttivi nei quali i costi di estrazione sono elevati. Nei soli Stati Uniti sono stati chiusi ben 684 pozzi petroliferi, rispetto a un anno fa. Perché la produzione non cala? «Perché la tecnologia continua a migliorare e riduce i costi di estrazione. Perché il mercato è sempre più decentrato. E perché c'è una tendenza a mantenere attiva la produzione anche quando non è remunerativa. I fattori in gioco sono tanti. Ad esempio il regime di tassazione del North Dakota che offre sussidi quando i prezzi scendono. Poi, anche quando opti per la chiusura di un pozzo, passa molto tempo tra la decisione e l'attuazione. Ripeto, qualche effetto di questi tagli lo vedremo nella produzione dei prossimi mesi, ma sarà poca cosa». Ci sono anche analisti convinti che, con un accordo Washington-Teheran sul nucleare, le sanzioni potrebbero cadere consentendo all'Iran di aggiungere un altro milione di barili alla produzione mondiale. Sostengono che in questo caso i prezzi del Brent e del West Texas, oggi attorno a quota 54 e 44 dollari, potrebbero scendere rispettivamente sotto quota 50 e, addirittura, sotto quota 40 per il greggio texano. «Io credo che i prezzi resteranno deboli ma non in modo così estremo. I fattori geopolitici internazionali porteranno a una stasi o a una lieve contrazione della produzione, non a un suo ulteriore aumento. La guerra civile in Libia ha strozzato la ripresa della produzione. E l'esito delle elezioni in Nigeria potrebbe alimentare nuove tensioni e scontri destinati a incidere negativamente sull'estrazione. Quanto all'Iran, anche in caso di accordo, non credo che il Congresso Usa accetterà tanto presto di togliere le sanzioni. Se, invece, il negoziato non porterà a nulla, Obama non potrà più opporsi all'adozione di sanzioni aggiuntive. Insomma,

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 117 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 1 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

diciamo che in materia di prezzi io sono un po' più bullish di altri. Ma solo un po': penso che nell'orizzonte limitato che siamo in grado di prevedere avremo quotazioni oscillanti tra i 40 e i 60 dollari al barile». Nessuna possibilità che l'Opec o altri - a suo tempo l'Arabia Saudita aveva trattato con Russia e Messico senza arrivare a nulla - si mettano d'accordo per limitare la produzione e far salire i prezzi? Non pensa, come sostengono i sauditi, che il calo delle quotazioni sia stato eccessivo, anche per l'effetto psicologico delle varie «teorie dei complotti» come quella che vorrebbe Arabia e Usa alleati contro Mosca? «Non credo ai complotti: questi prezzi sono frutto delle forze di mercato. I russi ostentano autonomia e forza, Putin vuole dimostrare che può continuare a produrre a pieno regime. I sauditi sono stati sorpresi dalla rapidità del calo dei prezzi. L'Opec è totalmente frammentata, non è più nemmeno un'organizzazione. Se vedremo accordi in futuro, saranno fuori dal vecchio "cartello", l'Arabia con qualche altro grosso produttore. Ma ormai il maggiore sono gli Stati Uniti, che hanno interesse a tenere i prezzi bassi. Sarà così per almeno due anni». Per Paesi consumatori come l'Italia solo vantaggi, d'accordo. Ma per gli Usa che sono anche produttori? E nel Golfo, dove gli sceicchi erano diventati di certo troppo ricchi, non si rischiano rivolte per il brusco calo di queste ricchezze? «Per l'America vedo quasi solo vantaggi. Certo, il Texas soffrirà un po', perderà posti di lavoro, ma la benzina a buon mercato aumenta il reddito disponibile dell'intero ceto medio Usa, da tempo sotto pressione. Quella americana è un'economia con un motore incredibilmente diversificato: il basso costo dell'energia è il suo miglior carburate. I sauditi e gli emirati certamente soffriranno. All'inizio il prezzo lo pagheranno soprattutto l'Egitto, il Libano e la Giordania: i Paesi che ricevono massicci sussidi dalle nazioni arabe petrolifere. Questi aiuti verranno tagliati, con nuovi rischi di instabilità. Non sono cose da poco: è per una situazione simile che Cuba è crollata e si è aperta al mercato Usa. Poi, se il petrolio resterà a lungo a 50 dollari, i problemi economici e sociali potranno diventare gravi anche nelle capitali arabe del Golfo. Un'instabilità della quale dovremo preoccuparci, e anche parecchio, visto quello che è successo dopo la "primavera araba". Ma non è un problema immediato». © RIPRODUZIONE RISERVATA La frase Compagnie che consideravamo globali sono costrette a chiudere molte attività internazionali Foto: Eurasia Il fondatore e attuale responsabile, Ian Bremmer

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 118 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 21 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'intervista Il presidente in carica di Assogestioni: i tassi bassi sono l'occasione storica per far incontrare l'interesse dell'industria e dei risparmiatori Crescita & Risparmio «Così le famiglie possono essere il motore della ripresa» Lombardo: in arrivo fondi di lungo termine e fondi di credito. Ma ci vuole un piano complessivo per sostenere fiscalmente i privati che si impegnano per il futuro Seimila studenti sono passati dal Salone negli ultimi cinque anni GIUDITTA MARVELLI

Numeri importanti anche nei primi mesi del 2015. La raccolta positiva dei fondi continua anche dopo i record dei 12 mesi passati. «La necessità di trovare alternative di investimento in un contesto di tassi di interesse così bassi sosterrà ancora a lungo l'industria del risparmio gestito», dice Giordano Lombardo, che proprio in questi giorni compie un anno alla guida di Assogestioni, l'associazione delle sgr attive sul mercato italiano. Lombardo, che è anche alla guida di Pioneer im (la fabbrica dei fondi di Unicredit), è stato eletto alla fine del marzo scorso poche ore prima della conferenza inaugurale del Salone del Risparmio, che nel 2015 giunge alla sua sesta edizione. «Con 150 marchi presenti, 110 conferenze e 110 stand, 70 ore di formazione professionale, 16 mila visitatori e sette aree di interesse tematico, il Salone sta diventando un format degno di interesse nel resto d'Europa», dice Lombardo, Non esiste, infatti, nessun'altra manifestazione così grande nel settore della finanza che offra anche un tempo tanto ampio (una giornata su tre) di apertura al pubblico indistinto. «Nei cinque anni precedenti abbiamo coinvolto con iniziative ad hoc anche seimila studenti - dice Lombardo -. E i risparmiatori del futuro sono sempre più ospiti d'onore di queste giornate. La conferenza di apertura presenta i dati di una ricerca sull'educazione finanziaria e sul loro atteggiamento nei confronti degli investimenti. Un tema importantissimo». L'attenzione al nuovo ritorna nei temi e nel titolo del Salone. «Il riferimento - dice Lombardo - è agli asset alternativi in via di approvazione a livello europeo e nazionale che possono offrire alle famiglie inedite opportunità di diversificazione, ma anche alle strade che il risparmio può prendere per aiutare la ripresa dell'economia reale». In gestazione ci sono i fondi a lungo termine (Eltif, la sigla per gli addetti ai lavori), veicoli adatti all'impegno in investimenti ultradecennali come, per esempio, quelli collegati alle infrastrutture, e i fondi di credito, ovvero strumenti che possono - al pari delle banche - fare prestiti alle aziende. Due categorie di prodotti che non possono certamente sostituire i tradizionali impegni delle famiglie medie in bond, azioni e liquidità - chiarisce Lombardo - ma che aprono ulteriormente il ventaglio delle opportunità e, appunto, aggiungono nuove cinghie di trasmissione al rapporto, finora poco fluido, tra risparmio privato e crescita economica. Cambi «Molte cose stanno cambiando già adesso -spiega Lombardo -. Il panorama dei tassi a zero crea una sorta di allineamento tra gli interessi dell'industria e quelli delle famiglie a caccia di rendimenti senza spingere troppo sulla leva del rischio». L'analisi della raccolta rivela che, fatti salvi i monetari, tutte le categorie dei fondi vengono vendute e acquistate. Vanno bene i prodotti multi-asset e flessibili, ma anche gli azionari e i bilanciati. Non c'è più quell'interesse esclusivo solo per gli obbligazionari che per tanti anni ha caratterizzato il nostro sistema: «Questo significa che la consulenza funziona meglio di quanto non fosse prima e anche che, da parte loro, i clienti sono più consapevoli», dice ancora Lombardo. Idee Il Salone, che si apre alla presenza del ministro Pier Carlo Padoan e con un intervento dell'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, è anche, nelle intenzioni dell'industria, un modo per mettere all'attenzione della società civile e della politica una riflessione sul valore del risparmio. «Nel 2014 i nuovi flussi nei fondi italiani

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 119 23/03/2015 Corriere Economia - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 21 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

hanno rappresentato il 15% di tutti quelli monitorati a livello europeo: parliamo di una crescita importante, che forse meriterebbe una maggior considerazione», dice ancora Lombardo. Negli ultimi provvedimenti del governo Renzi per rilanciare il Paese ci sono alcune idee - per esempio il credito di imposta concesso a casse previdenziali e fondi pensione sugli investimenti di lungo termine - che, a giudizio dei gestori di patrimoni, possono aiutare il sistema. «Manca, e noi auspichiamo che ci si possa arrivare, l'apertura di un discorso che porti ad una razionalizzazione complessiva delle tasse sugli investimenti, in grado di premiare e sostenere le scelte di lungo termine. Segnali che facciano sentire ai cittadini che anche per lo Stato il risparmio è un motore del futuro e non solo un serbatoio per il Fisco», conclude Lombardo. © RIPRODUZIONE RISERVATA L'identikit LE QUOTE INVESTITE NELLE VARIE TIPOLOGIE DI FONDI Azionari 10,4% Bilanciati 31,0% Obbligazionari 29,9% Monetari 2,0% Flessibili 10,8% Hedge 0,4% Immobiliari 2,7% Non classificato 12,8% 2014 2015 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC GEN -1.516 11.816 18.804 7.068 7.145 13.835 15.252 12.688 8.573 12.437 9.168 8.953 9.116 Totale 1.584 miliardi Dati in milioni LA RACCOLTA NETTA DELL'INDUSTRIA DEL RISPARMIO GESTIBILE

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 120 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

PERCHÉ A PIAZZA AFFARI CI VUOLE UNA SCOSSA Andrea Di Biase

PERCHÉ A PIAZZA AFFARI CI VUOLE UNA SCOSSA Più capitale di rischio e meno debito, specie se il denaro è preso a prestito dalle banche. È questa la strada consigliata alle aziende italiane per cogliere al meglio i segnali di ripresa dell'economia, gettando allo stesso tempo le basi per una crescita solida e duratura. Come sottolineato dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle ultime considerazioni finali le imprese italiane sono ancora troppo dipendenti dal credito bancario e «avrebbero bisogno di un aumento del patrimonio di circa 200 miliardi e una pari riduzione dei debiti». Un obiettivo ambizioso ma che mai come ora sembra essere alla portata, visti gli effetti prodotti dal Qe della Bce sui tassi di interesse, che sta scoraggiando gli investimenti sui titoli a reddito fisso, e a fronte di un risparmio delle famiglie che appare ancora tonico nonostante i morsi della lunga crisi: oltre 133 miliardi, secondo Assogestioni, la raccolta netta nel 2014 dell'industria del risparmio gestito in Italia. Insomma non si può certo dire che manchino le risorse da investire. Il problema è che molto spesso questa liquidità prende altre strade. Come evidenziato da Guido Salerno Aletta su Milano Finanza del 3 gennaio scorso, nel 2014 oltre 100 miliardi di risparmi degli italiani, invece di entrare nel circuito produttivo attraverso il mercato dei capitali domestico, sono stati investiti in asset stranieri. Secondo alcuni osservatori una fetta importante di responsabilità per questo mismatching tra risparmio interno ed esigenze di capitale delle imprese l'avrebbe Borsa Italiana, da anni ormai parte integrante del London Stock Exchange Group (la cui proprietà fa capo alla borsa di Dubai e alla Qatar Investment Authority). Nonostante gli sforzi messi in campo negli ultimi anni dalla società di gestione del mercato per incentivare le imprese italiane a quotarsi a Piazza Affari (si pensi al programma Elite), i risultati non sembrano essere incoraggianti. Secondo uno studio realizzato dal centro di ricerca Baffi-Carefin dell'Università Bocconi redatto in collaborazione con Equita Sim e presentato lo scorso 22 gennaio, tra il 2008 e il 2014 le ipo completate a Piazza Affari sono state solo 13, mentre quelle ritirate sono state 17 (Sisal, Intercos, Italiaonline, Favini, Fedrigoni e Rottapharm, solo per citare i casi più recenti), dunque più della metà (57%) delle 33 operazioni annunciate. Colpa della crisi? Di certo le turbolenze che hanno investito l'economia e i mercati finanziari del vecchio continente nei sette anni presi in esame hanno fatto la loro parte. Non può tuttavia sfuggire che nello stesso periodo (si veda la tabella in pagina) le altre borse europee hanno registrato un tasso di insuccesso per le ipo annunciate più basso rispetto a quello di Piazza Affari: dal 9% di Parigi al 46% di Madrid, passando per il 28% di Londra. Una peculiarità tutta italiana, dunque, che l'ad di Borsa Italia, Raffaele Jerusalmi, in una recente intervista ha provato a spiegare facendo riferimento alle «condizioni di estrema volatilità dei mercati» a fronte delle quali le ipo sono state ritirate, ma evidenziando anche le responsabilità delle banche collocatrici per avere creato negli imprenditori aspettative di prezzo eccessive, che al momento decisivo non si sono poi concretizzate. Responsabilità che nel mondo delle banche d'affari c'è invece chi ritiene siano proprio della società di gestione del mercato i cui sforzi non sarebbero sufficienti per fare in modo che le medie imprese italiane che decidono di quotarsi siano poi effettivamente seguite e comprate dai gestori di tutto il mondo.A sostegno di questa tesi viene fatto notare come oltre il 65% dei volumi scambiati a Piazza Affari in termini di controvalore si concentri su dieci soli titoli, cinque dei quali appartenenti al comparto bancario e finanziario (Unicredit, Intesa, Mps, Generali e Bpm). Una situazione analoga a quella della Bolsa de Madrid, dove questa percentuale arriva addirittura al 70%, ma superiore a quella delle borse di Francoforte e Parigi, dove il peso dei primi 10 titoli del listino per controvalore scambiato, impattano rispettivamente per il 49,10% e per il 45,5% del listino. Inoltre è sempre più evidente il trend intrapreso dalle società di gestione dei mercati regolamentati che stanno diversificando sempre più il business verso prodotti a più alto valore aggiunto (clearing su derivati, creazioni di indici), tanto che l'attività tradizionale pesa su Lse per solo il 25% del fatturato. Secondo un altro punto di vista, le colpe non sarebbero tutte di Borsa Italiana e poco cambierebbe se anche al posto dell'Lse ci fosse una proprietà italiana più

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 121 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

attenta alle esigenze del sistema Paese. Questo perché, specie quando si parla di aziende di medie e piccole, a fare la differenza non sarebbero tanto gli investitori esteri quanto la presenza di soggetti nazionali di tipo di istituzionale, che invece sul mercato scarseggiano. Anzi, il fatto che oggi siano circa duemila le società di gestione internazionali che investono sul listino di Borsa e che la componente istituzionale estera sul mercato italiano è pari al 95% sarebbe più un rischio che un'opportunità. L'esperienza della crisi ha infatti dimostrato che, essendo gli investitori esteri per loro natura più sensibili al rischio Paese, quando questo è percepito come più alto, tali soggetti dirigono i propri capitali su altri mercati, con tutto ciò che ne consegue in termini di volumi e prezzi per il listino italiano. Quello che manca, dunque, è uno zoccolo duro di investitori italiani capaci di dare maggiore liquidità ai titoli delle medie imprese quotate e a invogliare così anche altre aziende a quotarsi. Da questo punto di vista le responsabilità sono principalmente delle istituzioni, che in questi anni non sono state capaci di creare un contesto normativo e fiscale in grado di incentivare l'investimento in equity da parte degli investitori istituzionali italiani. Come sottolineato dall'head of investment banking di Equita Sim, Andrea Vismara, in apertura del convegno tenutosi all'Università Bocconi a fine gennaio, il trattamento fiscale riservato agli investitori domestici in titoli azionari quotati, è tutt'altro che favorevole. Non solo per via della Tobin tax, introdotta dal governo Monti, che si è dimostrata inutile dal punto di vista del gettito fiscale e dannosa per il mercato azionario italiano, ma anche per come sono attualmente modulate le aliquote sulle plusvalenze. Gli investimenti nelle imprese sono infatti tassati a un livello molto più elevato rispetto agli investimenti in titoli di Stato e persino agli investimenti in immobili che, a 5 anni dall'acquisto, non sono più soggetti a imposte sul capital gain. Al contrario, chiunque invece impieghi il proprio capitale in azioni o obbligazioni emesse da una impresa che cresce e crea occupazione, mantenendo l'investimento per due giorni o per dieci anni pagherà invece il 26% del capital gain, senza alcuna differenziazione sulla base del periodo dell'investimento. Questo incoraggia gli italiani che risparmiano molto a investire quasi esclusivamente in titoli di Stato e sul mercato immobiliare, a scapito dell'economia reale e della costruzione di un portafoglio di investimenti diversificato. Anche, ma non solo per questo motivo, i fondi pensione e le casse previdenziali italiane continuano a dedicare una minima parte dei loro patrimoni alle imprese italiane mentre in altri Paesi come il Giappone, i principali fondi pensione hanno deciso di aumentare drasticamente gli investimenti in azioni e obbligazioni domestiche, a sostegno dell'economia produttiva. Come si può notare dalla tabella relativa alla composizione del portafoglio delle principali classi di investitori istituzionali italiani, redatta dal centro di ricerca Baffi-Carefin della Bocconi e relativa al 2013, i fondi pensione italiani, pur avendo un patrimonio in gestione di circa 86 miliardi di euro, avevano investito in titoli azionari quotati a Piazza Affari solo 700 milioni. Un po' di più hanno fatto gli enti di previdenza che hanno investito in azioni circa 1,9 miliardi (ma solo perché nel dato riportato sono compresi anche titoli azionari di emittenti esteri). In questo senso la recente autoriforma varata dalle Fondazioni di origine bancaria d'intesa con il ministero dell'Economia potrebbe essere un primo segnale di svolta, visto che tali enti dovranno diversificare il proprio portafoglio, ancora prevalentemente concentrato sulla banca conferitaria, liberando risorse da investire anche sul mercato azionario. C'è poi un terzo aspetto, di certo non trascurabile, che secondo altri osservatori avrebbe frenato finora un compiuto sviluppo del mercato dei capitali italiano. Non può infatti non essere notato il fatto che, a differenza dei mercati più sviluppati, dove esiste una pluralità di broker e case d'affari indipendenti che si prendono cura delle medie imprese quotande e quotate, in Italia anche in questa fetta del mercato, e non solo per le blue chip, sono pressoché dominanti i principali gruppi bancari nazionali, che affiancano alla tradizionale attività creditizia anche servizi di investment banking per le imprese che vogliono quotarsi. Un doppio ruolo che comporta spesso corti circuiti, che con la normativa e i regolamenti attualmente in vigore vengono gestiti (ma non risolti) semplicemente evidenziandone l'esistenza in poche pagine del prospetto informativo dell'ipo. E infine va sottolineata la scarsezza di report e analisi sulle medium e small cap. Sui mercati anglosassoni più o meno tutte le società godono di una copertura da parte di almeno una casa di ricerca. In questo modo i potenziali investitori possono farsi un'idea, almeno di massima, sulle potenzialità di un'azienda. Ma non solo, in molti casi ci sono market maker che danno liquidità al titolo,

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 122 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

garantiscono un corretto equilibrio tra denaro e lettera e controllano, per quanto possibile, le oscillazioni repentine e ingiustificate. (riproduzione riservata) Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali 460.307 428.869 356.213 Primi 10 su totale Piazza Affari GLI SCAMBI IN ITALIA... 65,47% Unicredit Intesa Sanpaolo Fiat Chrysler Generali Telecom Italia Banca Mps Saipem Banca Pop. di Milano GRAFICA MF-MILANO FINANZA 190.034 181.986 126.978 102.509 78.324 73.211 65.450 0 100000 200000 300000 400000 500000 14,6% 13,6% 11,3% 6,03% 5,77% 4,03% 3,25% 2,48% 2,32% 2,08% Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali 458.330 449.155 423.662 Primi 10 su totale Bolsa ... IN SPAGNA... 70,1% GRAFICA MF-MILANO FINANZA Bbv Argentaria B. Santander Telefonica Amadeus It In De Diseno Text. B. Popular Espanol 144.197 140.266 130.131 109.245 104.828 82.627 76.346 0 100000 200000 300000 400000 500000 15,2% 14,8% 14% 4,77% 4,64% 4,31% 3,61% 3,47% 2,73% 2,53% Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali 364.106 354.328 292.098 250.627 Primi 10 su totale Cac ... IN FRANCIA... 45,5% GRAFICA MF-MILANO FINANZA Bollore Total Sanofi Bnp Paribas Societe Generale Axa Airbus Group Lvmh Orange Schneider Electric 209.391 168.968 153.630 142.891 130.232 119.030 0 100000 200000 300000 400000 Controvalore medio degli ultimi sei mesi e incidenza su volumi totali Primi 10 su totale Xetra ... E IN GERMANIA 49,1% GRAFICA MF-MILANO FINANZA Daimler Bayer Allianz Siemens Basf Deutsche Bank Volkswagen Sap Deutsche Telekom Bmw 289.849 272.980 269.873 267.879 267.363 223.200 209.623 197.642 177.445 160.542 0 100000 200000 300000 6,09% 5,74% 5,67% 5,63% 5,62% 4,69% 4,41% 4,15% 3,73% 3,37% IL PORTAFOGLIO DEGLI INVESTITORI ITALIANI NEL 2013 In miliardi di euro Fonte: Banca d'Italia, Consob, Covip, Acri GRAFICA MF-MILANO FINANZA Asset Management Banche, Sgr, Sim Fondi pensione Enti previdenziali Compagnie assicurazione Fondazioni bancarie Totali 4,4 15% 23,9 34% 0,7 5% 1,9 8% 57,8 32% n.a. - 89,6 28% 7,2 25% 32,6 46% 1,4 11% 5,6 22% 43,6 24% n.a. - 91,7 28% 17,4 60% 14,1 20% 10,9 84% 17,5 70% 81,3 44% n.a. - 143,9 44% 29,0 100% 70,6 100% 13,0 100% 25,0 100% 182,7 100% n.a. - 325,3 100% 143,29 639,6 - 86,0 - 61,1 - 541,8 - 26,8 - 1.5 €tn - Azioni italiane Obbligazioni italiane Fondi comuni italiani TOTALI Assets Under Management IPO COMPLETE / RITIRATE 2008-2014 Fonte: Dealogic GRAFICA MF-MILANO FINANZA Boerse Frankfurt Bolsa de Madrid Borsa Italiana Euronext Paris London Stock Exchange Swiss Exchange Totale 66 13 13 68 137 11 308 12.901 9.639 6.870 8.865 58.003 2.712 25 11 17 7 52 2 114 27% 46% 57% 9% 28% 15% #IPOs Completate Ritirate Mercato Valore € milioni #IPOs % incidenza su Ipo annunciate

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 123 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

GLI INDICI DI PIAZZA AFFARI A CONFRONTO NELL'ULTIMO ANNO Base 100 = 20 marzo 2014 GRAFICA MF-MILANO FINANZA FTSE Italia Mid Cap FTSE Italia Star FTSE MIB Mar 14 Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen 15 Feb MNar Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/borsa

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ORSI & TORI Paolo Panerai

Il sottosegretario all'Economia, Paolo Baretta, ha confermato di essere un politico affidabile e attento alle critiche e alle domande dell'opinione pubblica sulla riforma delle banche popolari. Così, con prontezza, ha risposto alle domande e alle critiche pubblicate su queste colonne nel numero di sabato 14. Sia con un suo testo sia con un'intervista al canale televisivo Class Cnbc. Le sue idee sono pubblicate all'interno di questo numero. Gli spunti interessanti sono molti, ma è necessario sottolinearne uno su tutti: la possibilità di mantenere lo spirito della mutualità, scorporando la banca, che deve diventare una spa, dalla cooperativa, così come fu fatto a suo tempo con lo scorporo dell'azienda bancaria dalle casse di risparmio trasformate in fondazione. Baretta dice: la possibilità è emersa nel dibattito e vale la pena di non lasciare cadere l'idea. Quindi l'esponente del Governo che ha seguito passo passo la riforma delle popolari, con sensibilità, si preoccupa che il valore della mutualità non vada disperso per quelle popolari che non si sono quotate sul mercato. Il decreto del Governo non contiene nessuna controindicazione allo scorporo. Si dice che la Banca d'Italia e la Bce non sarebbero d'accordo. Se così fosse, la Banca d'Italia rinnegherebbe decenni e decenni di storia in cui i governatori, da Menichella in poi, hanno sempre esaltato i valori della mutualità e comunque dovrebbe spiegare perché per ubbidire a una legge che impone ad alcune popolari, anche non quotate in borsa, di trasformarsi in spa non dovrebbe poter avvenire lo scorporo ammesso dal codice civile e, per esempio, successivamente distribuire ai soci della cooperativa pro quota le azioni, salvo eventualmente un 5- 10% che potrebbe essere conservato dalla cooperativa, da trasformare poi, se si vuole, in fondazione. C'è da sperare che in Via Nazionale il direttorio della banca centrale italiana voglia prendere carta e penna per far sapere all'opinione pubblica e alle centinaia di migliaia di azionisti delle popolari se questo divieto esiste ed eventualmente quale ne sarebbe la ragione, visto che l'Italia è un Paese a economia di mercato, democratico e dove è consentita la libera iniziativa nel rispetto delle leggi dello Stato. Dottor Kissinger, come è andato l'incontro con il presidente Xi Jinping? L'ex segretario di Stato americano, l'uomo dall'intelligenza superiore, artefice della democrazia del ping-pong nel 1972 con il presidente Richard Nixon e Chou En-lai, cammina con passo sicuro nonostante l'età nella hall del St. Regis a Pechino. È circondato dai suoi collaboratori, ma nel ricordo di una storica conferenza organizzata da Capital Club e per la comune amicizia con Siro Maccioni di Le Cirque, si sofferma a parlare. È stato appena ricevuto, martedì 17, dal capo assoluto della Cina, che lo ha invitato per preparasi al primo viaggio di Stato che compirà negli Stati Uniti a settembre. Henry Kissinger da anni è alla testa di una delle più ricercate società di consulenze nel mondo e, pur avendo voluto restare fuori dalla politica, sa come va la politica mondiale, ne conosce tutti i segreti, e appunto può dare consigli anche al capo supremo di quella che sta per essere, se non lo è già, la più grande potenza economica del mondo. «L'incontro è stato molto cordiale e del resto come poteva non esserlo. Il presidente mi ha accolto come "the old friend of China"», risponde con il suo vocione profondo. Oltre a voler conoscere il punto di vista di colui che fece il miracolo di ristabilire relazione fra Stati Uniti e Cina, il presidente Xi voleva mandare un messaggio distensivo all'America dopo le frizioni che sono emerse in particolare con il presidente Barack Obama sul nuovo ruolo che la Cina intende avere nelle grandi aziende americane della tecnologia e nella promozione con l'adesione dei maggiori Paesi europei (fra cui l'Italia) di Aiib, l'Asian infrastructure investiment bank. Quello di internet e delle tecnologie commesse è ancora oggi un primato assoluto americano. Ma la Cina non ama essere inferiore a nessuno neppure nella tecnologia. In più c'è stato il forte avvicinamento fra la Cina e la Russia quando gli Stati Uniti hanno imposto anche all'Europa la decisione di sanzioni pesanti verso la Russia. Il primo risultato è stato un contratto da 400 miliardi di dollari di valore per la fornitura di gas alla Cina da parte della Russia, in larga parte regolato in Rmb, la moneta cinese, nel programma di globalizzazione della stessa. Ma i giornali cinesi, da sempre non in sintonia con l'Unione Sovietica prima e con l'Urss poi, sono pieni di resoconti sulle opportunità di sviluppo delle relazioni fra i due Paesi con titoli come questi:

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SinoRussian ties driven by complementarity e con il disegno di una stretta di mano; oppure: Mosca and Beijing tap potential of small business cooperation. E a Pechino sanno bene che questa evoluzione non piace affatto a Obama. Quindi attraverso Kissinger il presidente Xi cerca di ricreare un clima migliore per la sua prossima visita. Anche perché, di fatto, la Cina è il maggior azionista degli Stati Uniti (se così si possono chiamare i detentori di larga parte dei Treasury bill americani) e quindi il debitore va trattato bene. «Le due parti», ha detto il presidente cinese, «gestiscono differenze e fatti a sensibilità diverse ma in una costruttiva volontà di cooperare!». E Kissinger: «Dalle due parti si lavora per la pace, il progresso e lo sviluppo, il che determina la possibilità di creare un nuovo modello di relazioni fra i maggiori Paesi e ciò è nell'interesse sia della Cina che degli Stati Uniti». Siamo quindi alla vigilia di un nuovo cambiamento degli assetti e del mondo, dopo il fenomeno voluto della globalizzazione e dopo la decisione di far entrare la Cina nel Wto, cioè nell'organo che regola gli accordi del commercio internazionale e le tariffe doganali? I fermenti sono molti e si colgono bene a Pechino, dove la globalizzazione e le regole del Wto hanno determinato uno sviluppo forsennato, accelerandolo a un livello che lo stesso padre della nuova Cina, Deng Xiaoping, non avrebbe mai immaginato. Ma la Cina ha ancora circa 400 milioni di persone che non muoiono di fame, come succedeva e succede in India, ma che certo non sono ancora inserite in una società del benessere come si può concepire nel mondo occidentale. «La globalizzazione è stata voluta dal mondo occidentale guidato dagli Stati Uniti perché la macchina di produzione dei beni di consumo si stava fermando. C'erano già troppe lavatrici nel mondo occidentale, tanto per intenderci, e i tempi della loro sostituzione non garantivano alle fabbriche di poter continuare a essere attive», ha spiegato con effica( segue da pagina 3 cia proprio a Pechino, Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico in missione per poter far crescere l'export in Cina e gli investimenti cinesi in Italia. «Funzionale alla globalizzazione è stato l'ingresso della Cina nel Wto. Si è creato in questo modo nel mondo uno sviluppo nuovo ma foriero anche di problemi che poi si sono scaricati nello scoppio della bolla finanziaria». Calenda, che grazie al lavoro fatto insieme all' Ita-Ice porta a casa risultati concreti per la firma di contratti di aziende italiane con aziende cinesi, si riferisce al periodo in cui il mondo è cresciuto a Occidente e Oriente senza inflazione. Estimatore di questo apparente miracolo, non previsto in nessun libro di teoria economica, era stato l'allora presidente della Federal Reserve americana, Alan Greenspan, il quale sosteneva, cogliendo nel vero ma senza prevederne le conseguenze, che l'ingresso nel sistema produttivo mondiale di 400-500 milioni di cinesi avrebbe fatto crescere così tanto la produttività da generare appunto una forte crescita senza inflazione. La Federal Reserve di Greenspan ha alimentato questo fenomeno immettendo molta liquidità nel sistema, che alla fine si è concentrata nella speculazione finanziaria esasperata delle banche e finanziarie americane, fino al caso Lehman. In Cina il vorticoso sviluppo ha favorito arricchimenti impensabili ma anche fenomeni di corruzione che ora la determinazione del presidente Xi sta mettendo a nudo. Il rigore inevitabilmente crea un rallentamento dello sviluppo, ma rende più sana la crescita di cui comunque la Cina ha bisogno. «Non si può dire oggi di quanta crescita abbia bisogno la Cina per evitare rischi sociali», ha sostenuto Calenda. «Ogni Paese ha bisogni diversi. Per esempio l'Egitto se cresce meno del 5% crea disoccupazione. Per la Cina può bastare il 6% di cui si parla, anche se la crescita del primo trimestre viene indicata al 7%? Occorrerà vedere quale sarà la crescita dei consumi interni, che comunque costituiscono una grande opportunità per il sistema manifatturiero italiano e per i prodotti classici del made in Italy». Infatti, ancora oggi il 25% delle esportazioni italiane in Cina è rappresentato da macchinari, che sono utili all'industrializzazione del Paese che tuttavia comincia a essere avanzata. Per questo nei programmi di promozione dell'Italia in Cina (e non solo) Calenda è riuscito a far stanziare oltre 250 milioni contro i 23 che aveva trovato quando entrò nel Governo Monti. Larga parte va al sostegno del fashion e del vino. Quindi di prodotti di consumo, nella convinzione che appunto i consumi interni cinesi debbano crescere e cresceranno. Ma cresceranno anche gli investimenti cinesi in Italia, che conteggiando tutto hanno probabilmente già raggiunto, secondo Calenda,i 15 miliardi. Una spinta importante, anche se non voluta dal Governo presieduto da Matteo Renzi, sta avvenendo per un passaggio di partecipazioni in Italia di aziende russe a gruppi cinesi. In prima linea la Bank of China, guidata da Tian Guoli, profondamente convinto che

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 126 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

l'Italia debba essere un Paese di approdo dei capitali cinesi per acquisire tecnologia e capacità manageriale dalle pmi italiane a vantaggio delle pmi cinesi, che contrariamente a quanto si può pensare rappresentano oltre il 42% del prodotto interno lordo (pil). Un assaggio di quanto sta per avvenire è il probabile passaggio della quota posseduta in Pirelli dalla russa Rosneft a gruppi cinesi con la regia di Bank of China. È questo l'effetto, deleterio, delle scelte politiche di Obama, che ha preteso di cambiare i confini del mondo di influenza della Russia con le promesse all'Ucraina, spingendo l'Ue (anche per la pressione in tal senso della Polonia) e la Nato a ipotizzare che un Paese da sempre legato alla Russia potesse essere sottratto al controllo di Vladimir Putin. Il motivo è sempre lo stesso: il tentativo di esportare il modello di democrazia occidentale, come se la democrazia fosse un prodotto e non l'evoluzione della coscienza di se stessi dei popoli. Sono i casi dell'Afghanistan, i casi dell'Iraq, i casi più recenti della Libia (con una partecipazione attivissima di Francia e Inghilterra al tentativo di ridurre il ruolo petrolifero dell'Italia), della primavera dell'Africa del Nord, riuscita solo in Tunisia, dove la capacità di autodeterminarsi dei tunisini era superiore a quella di tutti gli altri Paesi, messa a dura prova però dagli integralisti con i recenti attentati. E per fortuna che in Egitto c'era la struttura forte dell'esercito, altrimenti si sarebbe determinato il disastro di non avere, con gli integralisti al potere sotto le piramidi, nessuna forza militare in grado di contrastare la follia dell' Isis. Le insensate sanzioni economiche verso la Russia riguardano direttamente l'Italia, così come la destabilizzazione della Libia e degli altri Paesi africani e arabi, dai quali nasce il flusso inarrestabile di migrazione. Si capisce quindi perché Kissinger ha parlato a MF-Milano Finanza della necessità di creare un nuovo modello di relazioni fra i grandi Paesi e che quindi la visita a settembre del presidente cinese Xi sia molto importante anche per il resto del mondo. Sicuramente ci saranno frizioni, che Xi cerca di moderare non solo avendo messo in campo Kissinger (e occorre vedere se Obama, diventato sempre più estremista in questo pezzo di fine mandato, lo ascolterà). Un altro passo importante è stato ricevere nei giorni scorsi il presidente di Harvard, Drew Gilpin Faust, con la quale, consapevole dell'influenza della prima università americana, ha usato parole simili a quelle dette a Kissinger. Ecco come si fa anche politica estera. Negli ultimi anni l'Italia ha guadagnato posizioni e credibilità in Cina, sia per il lavoro dell'ambasciata guidata negli ultimi anni da Alberto Bradanini, sia per la determinante visita circa un anno fa del presidente Renzi, sia per la costituzione del Business Forum ItaliaCina, di cui tuttavia è stata annullata la sessione prevista per metà marzo non potendo più essere presidente per la parte italiana Andrea Guerra (non essendo più imprenditore) e per l'indisponibilità per altri impegni del vicepresidente Federico Ghizzoni di Unicredito, mentre Tian Guoli, presidente per la parte cinese, era disponibile. Il prossimo Business Forum si terrà l'8 giugno a Milano, all'interno dell' Expo, mentre una nuova missione ci sarà fra un mese, in occasione della visita ufficiale del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Con lui dovrà esserci anche il nuovo ambasciatore, non ancora scelto, in quanto Bradanini rientra a Roma per limiti di età. Pechino è diventata ormai una sede quasi più importante di Washington, anche per capire dove andrà il mondo e la Gran Bretagna ha sorpreso i cinesi mandando come ambasciatore una donna, Barbara Woodward, che parla perfettamente cinese. (riproduzione riservata) Paolo Panerai

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 127 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 9 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA La storia ci darà ragione Caroline Roth Cnbc

Quando Thomas Jordan, il numero uno della Banca Nazionale Svizzera, annunciò, a sorpresa, la decisione di eliminare il tasso di cambio minimo di 1,20 franchi per euro, gli operatori non gli risparmiarono feroci critiche. Adesso, a poco più di 2 mesi di distanza da quella decisione, Jordan la difende a spada tratta e spiega addirittura che il franco resta ancora sopravvalutato e soprattutto non esclude nuovi interventi Domanda. Mister Jordan, r i f a r e b b e quella scelta? Risposta. Era l'unica possibile considerando il mercato internazionale dei cambi: a gennaio il tasso minimo era diventato inadeguato. Una volta che ci siamo convinti che il tetto non fosse più sostenibile abbiamo dovuto muoverci molto velocemente. D. Eppure sono arrivate critiche anche feroci. R. È stata la decisione giusta e penso che adesso sia chiaro praticamente a tutti. Non era più una situazione sostenibile e posporre l'intervento anche di un paio di mesi avrebbe avuto costi enormi e potenzialmente causato molte perdite per l'economia svizzera. D. Molti sostengono che la vostra credibilità ne abbia sofferto. R. Al contrario. Siamo convinti che ne avrebbe sofferto se avessimo rimandato la decisione all'estate. L'impatto sui bilanci sarebbe stato devastante. D. C'è stato un forte dibattito in Parlamento sulla trasparenzae affidabilità della Banca Nazionale Svizzera. R. Siamo molto trasparenti, spieghiamo tutte le nostre decisioni, pubblichiamo anche report molto dettagliati e spieghiamo regolarmente le nostre decisioni alle commissioni parlamentari. D. Come mai non avete ulteriormente tagliato i tassi oggi? Perché avete tenuto la vostra politica monetaria in stallo, nonostante la pressione sul franco svizzero sia ancora molto alta? R. Siamo già andati molto lontani abbassando i tassi a -0,75 punti base, dal momento che siamo l'unica banca centrale, insieme a quella danese, ad avere una tasso di interesse così basso. Quindi adesso aspettiamo e vediamo quale sarà l'impatto di questa manovra. D. Come ha sottolineato, non siete l'unica banca centrale ad avere tassi negativi. Questo cosa significa per una piccola economia come quella svizzera? R. Ovviamente abbiamo spill over da parte di altri Paesi, le piccole economie hanno difficoltà in questo momento ad aggiustare la propria politica monetaria. Quindi per noi è molto importante poter abbassare i tassi nominali. Ci deve essere una differenza tra i tassi svizzeri e quelli degli altri Paesi, come è sempre stato. D. I tassi negativi stanno funzionando? R. Se la Svizzera avesse tassi più alti sarebbe un invito a investire nel franco. Il franco è largamente sopravvalutato, quindi nel tempo questo esperimento dovrebbe aiutare ad alleviare la pressione e a deprezzare la moneta. D. Come previsto avete tagliato le aspettative di crescita e di inflazione. È quasi sorprendente che vi aspettiate ancora un 1% di crescita per la Svizzera quest'anno. La vostra economia è forse più resistente di quello che si crede? R. In dicembre ci aspettavamo una crescita al 2% del pil, adesso siamo scesi all'1%. Si tratta di una correzione significativa. Probabilmente l'economia svizzera è più flessibile di altre, nonostante questo è un calo importante; ora per molte industrie svizzere è il momento di adeguarsi a questa nuova situazione, specialmente per il settore manifatturiero e per le aziende export oriented. Siamo di fronte a una situazione molto complessa, è un grosso cambiamento e ora è difficile adeguarsi a questa condizione. D. Avete anche tagliato l'aspettativa per il tasso di inflazione, pure senza parlare di deflazione. R. Abbiamo un'inflazione negativa, che resterà tale almeno per il 2015 e il 2016. È meno di quanto vorremmo, ma ci sono due shock: uno è il prezzo del petrolio, l'altro è il tasso di cambio. Quindi sarà molto difficile fare qualcosa in merito nel breve termine. L'inflazione è più bassa del nostro obiettivo, ma quello che non vediamo è il rischio di una spirale deflazionistica. Non ci aspettiamo che questo basso livello di inflazione abbia un impatto profondo sul comportamento dei consumatori che non rimanderanno i propri consumi. Per questo la speranza è che l'inflazione risalga. D. Qual è il rischio maggiore per la Svizzera? R. Russia e Grecia sono ovviamente importanti fonti di rischio, non di per sé, ma nel caso abbiano un impatto sull'economia globale, soprattutto su quella europea. Gli influssi sulla Svizzera sarebbero importanti, è ovvio che il rischio geopolitico esiste. D. A suo avviso, dunque, il vostro mandato si è rafforzato. R. Operare nel settore delle banche centrali è stato difficile negli ultimi sette anni. Ci sono state molte

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 128 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 9 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

discussioni in Svizzera riguardo alle nostre decisioni sui tassi di interesse. Ma è stato molto importante spiegare all'opinione pubblica e, in particolare, alle aziende le nostre motivazioni. Ci sembra che abbiano capito. (riproduzione riservata) EURO/FRANCO 22 dic '14 20 mar '15 Foto: Thomas Jordan Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/svizzera

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 129 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 11 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA Se Pechino fiuta l'affare Mariangela Pira

L'interesse dei cinesi nei confronti di Pirelli non sorprende affatto Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia, che proprio su MF-Milano Finanza aveva spiegato come stia cambiando la filosofia degli investimenti cinesi in Europa, orientati sempre più ad asset industriali e meno a quelli finanziari. Dopo gli acquisti di partecipazioni nelle principali blue chip di Piazza Affari da parte della banca centrale cinese, e il salvataggio di gruppi come Ferretti o Ansaldo, arriva l'opa nei confronti di una società quotata a Piazza Affari. Protagonista è il gruppo statale China National C h e m i c a l Corporation, che fa parte della classifica Fortune 500 e si definisce la più grande società chimica cinese, la 19ma a livello globale. Nel 2013 gli asset totali di Chem China sfioravano i 41 miliardi di euro e il fatturato oggi è circa 70 miliardi. Ecco come stanno cambiando gli investimenti cinesi in Europa Domanda. L'ha sorpresa la mossa su Pirelli di China National Chemical Corporation? Risposta. È una cosa normalissima.I cinesi nel settore automotive comprano tutto quello che si può acquistare perché le loro macchine sembrano quelle di Topolino. Sono riusciti a fare passi da gigante su internet,a dominare negli smartphone e creare imprese molto forti nelle biotecnologie e nell'aerospaziale. Sugli pneumatici però sono nella parte bassa del mercato e sono anche soggetti all'antidumping americano. D. L'unico compratore possibile per Pirelli poteva dunque essere solo cinese. R. O russo. Ma visto che in questo caso tra i venditori c'è anche un gruppo russo, l'acquirente non può che essere cinese. Ciò sottolinea anche il forte legame Russia-Cina. D. Ma stavolta investono direttamente in Borsa con un'Opa, non era mai successo prima in Italia. R. È un'operazione industriale, come altre prima di questa, seppure su gruppi non quotati. Gli altri investimenti in società quotate erano stati fatti dalla Banca centrale cinese ed erano investimenti finanziari, idem per quelli fatti tramite la Cdp. Questa invece è una cooperazione industriale. D. Come hanno fatto in Francia con Club Med. R. Esatto. In Italia è la prima ma dopo Club Med in Francia e Smithfield negli Usa, non dimentichiamolo. Stessa metodologia. Ma non dobbiamo guardare il dito. C'è un movimento in atto. Nella maggior parte dei settori maturi alla fine sono i cinesi a comprare, dai server dell'Ibm alla Volvo, dalla Motorola a un pezzo di Peugeot, da Ansaldo Energia a Ferretti. Che poi succeda sul mercato o fuori non vuol dire nulla. Hanno bisogno di comprare e in questo caso per ottenere ciò che gli serve è necessaria un'Opa. D. Nell'ultimo anno c'è stata una forte accelerazione degli investimenti cinesi in Europa e il fenomeno continua in modo deciso. Cosa significa in prospettiva quanto stiamo vedendo su Pirelli? R. I cinesi vedono l'euro ai minimi e l'Europa in difficoltà, e hanno bisogno di marchi e know-how. Cosa c'è nel settore meglio di Pirelli oggi? Negli pneumatici la Cina sta addirittura peggio dell'India. Nell'auto è la stessa cosa, gli indiani infatti stanno facendo belle macchine a partire da Jaguar.È il solo settore in cui i cinesi comprano tutto quello che è in vendita. E dall'altra parte c'è Pirelli che ha bisogno dei loro soldi. D. L'Europa costa poco insomma. R. Per i cinesi l'Europa non costa nulla e l'euro è svalutato.I cinesi hanno i soldi e il potere per fare tutto ciò che vogliono. D. Non è così negli Usa però. R. Tenete presente che lì i cinesi non possono fare acquisizioni strategiche perché esiste un meccanismo che si chiama Cfius che li blocca.È un organo interministeriale presieduto dal Tesoro cui partecipano anche i ministeri del Commercio e della Difesa, oltre alla Cia. Quando Cfius dice no è no e i cinesi neanche ci provano. Detto questo non credo che l'organo americano avrebbe bloccato l'acquisizione di un gruppo di pneumatici. D. Lei vedrebbe un meccanismo come il Cfius anche in Europa? R. A volte c'è da porsi il problema. In Cina non puoi comprarti ciò che vuoi. C'è un'asimmetria che non va bene e andrebbe eliminata. Loro possono comprare le nostre banche ma non viceversa, questa è la verità. E ora siamo troppo deboli per imporre qualsiasi cosa. Non c'è alcun organo che possa valutare l'importanza strategica o se e perché loro possono comprare. Il mercato degli pneumatici forse non è così importante ma in questo momento sto pensando ad altri settori. Compri i saloni dei parrucchieri,i bar, gli appartamenti,e arrivi a Pirelli. È un processo lungo e l'abbiamo voluto noi. D. La questione che preoccupa in questi casi è la cessione del know-how, cui ovviamente i cinesi sono

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 130 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 11 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

interessati. R. GM ai tempi si rifiutò di vendere Saab per non cedere i brevetti. La lasciò fallire piuttosto che vender loro il know-how. Non so se hanno fatto bene. D. In che senso? R. Secondo me qui non è tanto questione di know-how, quanto di distribuzione e branding. Io non penso vengano a conoscenza di chissà quali segreti strategici.E comunque la direzione d'ora in poi sarà questa, dalle aziende di Stato a quelle industriali compreranno tutto quello che è in vendita. D. In base alla sua esperienza, come valuta questo shopping cinese rispetto anche al valore industriale del nostro Paese? R. Come l'ennesimo segnale di capitolazionee della lenta resa di una classe imprenditoriale. O delocalizziamo,o portiamo le aziende fuorie le rendiamo meno italiane,o vendiamo.A volte falliscono, vedi Ilva o le due Ansaldo. Della Fiat, di Pirelli, delle altre aziende storiche del dopoguerra italiano è rimasta forse solo Piaggio. Per ora. (riproduzione riservata) Foto: Alberto Forchielli

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 131 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 12 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato RIASSETTI Pirelli parla mandarino Manuel Follis

Si pensava che la Pirelli del futuro avrebbe parlato russo e invece in tre giorni è cambiato tutto e salvo sorprese dell'ultimo minuto la galassia della Bicocca si spingerà ancora più a Oriente e parlerà mandarino. Guardare dall'alto l'operazione che porterà il colosso cinese China National Chemical Corporation (ChemChina) a detenere la maggioranza del veicolo che lancerà l'opa su Pirelli finalizzata al delisting fa un po' impressione, visto che si tratta del quarto riassetto in cinque anni. Le negoziazioni in corso comporterebbero il trasferimento dell'intera partecipazione di Camfin in Pirelli al prezzo di 15 euro per azione a una newco di diritto italiano, controllata da ChemChina (che gode alle sue spalle della regia di Bank of China) con contestuale, e probabilmente parziale, reinvestimento nella newco degli azionisti Camfin (tra cui figurano i soci storici di Marco Tronchetti Provera come le famiglie Rovati e Sigieri Diaz). Successivamente dovrebbe essere lanciata un'opa totalitaria, sempre al prezzo di 15 euro (per un valore superiore a 5 miliardi), che porterebbe al delisting di Pirelli. Le azioni della società hanno chiuso a Piazza Affari in rialzo del 2,21% a 15,23 euro, ma nel corso della seduta di venerdì 20 marzo sono arrivate a toccare quota 15,81, facendo segnare i nuovi massimi storici. L'operazione, ha spiegato Camfin in una nota, «è finalizzata a garantire stabilità, autonomia e continuità nel percorso di crescita del gruppo Pirelli che manterrebbe gli headquarter in Italia». ChemChina è un colosso da 244 miliardi di yuan di fatturato (circa 36 miliardi di euro), al 19esimo posto tra le big mondiali della Cina e al 355esimo nella classifica 500 di Fortune. Si tratta di un'azienda statale nata nel 2004, guidata da Ren Jianxin e controllata dalla Sasac, il braccio del governo di Pechino cui fanno capo buona parte delle industrie di Stato cinesi. L'azienda opera in sei diversi settori, che vanno dalla chimica dei nuovi materiali alla gomma (tyre, appunto), ed è presente in 140 Paesi con 118 controllate, tra cui nove quotate, 6 divisioni e 24 centri di ricerca, con 140 mila dipendenti. Da quando ChemChina ha intrapreso un cammino di crescita globale, la strategia ha comportato una serie di acquisizioni all'estero. Dall'Europa all'Australia, ChemChina ha fatto parecchio shopping negli ultimi anni: tra le operazioni più importanti, l'acquisizione della francese Adisseo e dell'australiana Qenos (rispettivamente nel 2005 e nel 2011), l'acquisto della norvegese Elkem e di una quota di controllo nell'israeliana Makhteshim Agan, sesto produttore mondiale di pesticidi. Adesso invece è il turno di Pirelli. L'obiettivo dichiarato, però, è «integrare le culture delle aziende acquisite, valorizzando le rispettive peculiarità industriali e senza atteggiamenti ostili». Un messaggio rassicurante che rende verosimili le indiscrezioni secondo cui la governance e i patti della nuova Pirelli garantirebbero che il controllo rimanga nelle mani dell'attuale presidente Marco Tronchetti Provera, almeno per i prossimi anni. Un aspetto non secondario, visto che i primi interventi politici sul tema hanno avuto come obiettivo proprio la difesa dell'italianità dell'azienda. «Vediamo come si configura l'operazione, per noi è molto importante che le attività della Pirelli restino radicate in Italia e che la Pirelli resti un componente essenziale e trainante del tessuto economico italiano», ha spiegato il vice ministro allo Sviluppo Economico, Claudio de Vincenti, commentando la vicenda e il possibile ingresso di un gruppo nel capitale della Bicocca. Bisogna guardare bene l'operazione, in sé, ha aggiunto, ma «il fatto che i capitali esteri siano attratti dall'Italia è una cosa positiva, ovviamente dipende da come si configurano gli investimenti». L'ingresso dei cinesi consentirà prima ai soci di Camfin e successivamente con il lancio dell'offerta a tutti gli azionisti Pirelli di monetizzare la propria partecipazione al prezzo di 15 euro. Oltre a Rosneft, che ha il 50% di Camfin, gli altri soci sono Nuove Partecipazioni (Tronchetti Provera e altri), Intesa Sanpaolo e Unicredit. Di fatto è quasi scontato che ChemChina sostituirà Rosneft (che è entrata nella partita al prezzo di 12 euro) come azionista di riferimento della Bicocca con Camfin che potrebbe incassare quasi 2 miliardi (permettendo non solo a Rosneft di monetizzare, almeno parzialmente, l'investimento). «Pensiamo che gli attuali azionisti di riferimento (con la probabile eccezione di Rosneft) terranno le loro quote nella società virtualmente ferme, anche se Camfin vende le sue quote in Pirelli», spiegano gli analisti Banca Akros.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 132 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 12 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Dell'opa su Pirelli potrebbero beneficiare, tra gli altri, la famiglia Malacalza (6,98%) o Mediobanca (4%). Uno degli aspetti singolari della vicenda è il passaggio di una società italiana dai russi ai cinesi, così come sembra stia avvenendo nella telefonia. Nel caso specifico sarà Rosneft a beneficiare della liquidità di ChemChina (vendendoa 15 euro azioni compratea 12, con un guadagno del 25%), mentre qualora effettivamente Wind finisse per unirsi in matrimonio con3 Italiae H3G finisse per avere la maggioranza assoluta del nuovo operatore, sarebbe Vimpelcom (russa) a incassare liquidità da parte di Hutchison Whampoa. «Noi siamo felicissimi di collaborare con la Cina su tutti i formati», è stato il commento del ministro dell'Industria e del Commercio russo Denis Manturov. Al di là dei dettagli del riassetto Pirelli, che saranno resi noti con il via libera all'operazione che partirà da Nuove Partecipazioni e poi seguirà con gli altri soci fino a Camfin, resta la sensazione che un altro grande gruppo italiano stia per lasciare il Paese. Pirelli è senza dubbio uno dei simboli dell'industria italiana a livello internazionale, dagli pneumatici della Formula 1 alle bellezze immortalate nel calendario, ormai famoso in tutto il mondo. È vero che Pirelli, come molte altre aziende italiane, nel tempo ha espanso molto la sua attività all'estero, sia delocalizzando la produzione (solo due stabilimenti su 19 sono in Italia) sia appunto aprendo il capitale agli stranieri e facendo entrare i russi di Rosneft con il 50% in Camfin ma l'uscita dall'Italia - e dalla borsa- di una società del pedigree e della storia di Pirelli fa comunque impressione. (riproduzione riservata) PIRELLI & C. 22 dic '14 20 mar '15 quotazioni in euro Var.% sul 22 dic '14 15,2 € +37,6% I RIASSETTI DI PIRELLI Giugno 2009 Giugno 2010 Luglio 2010 Agosto 2012 Dicembre 2012 Giugno 2013 Ottobre 2013 Giugno 2014 Agosto 2014 Marzo 2015 Camfin apre il capitale alla famiglia Malacalza Malacalza cresce nella galassia della Bicocca e entra anche in Gpi Il mattone esce dall'orbita Pirelli, nasce Prelios Scontro nell'azionariato tra Tronchetti Provera e Malacalza La Mtp da Sapa diventa Spa. Entrano Rottapharm e Sigieri Diaz Opa di Lauro 61 su Camfin. Malacalza fuori dalle holding e dentro Pirelli Si scioglie il patto Pirelli, Camfin verso il delisting Altri accorpamenti e semplificazioni della galassia Mtp Entra Rosneft in Camfin, in trasparenza diventa primo azionista Possibile opa su Pirelli insieme al colosso cinese Chem China LA COMPOSIZIONE DELLA GALASSIA PIRELLI Fidim (Rovati) Carlo Acutis Massimo Moratti Alberto Pirelli Gwm (Sigieri Diaz Pallavicini) Intesa Sanpaolo Unicredit Rosneft Malacalza Investimenti Edizioni srl Mediobanca Istituzioni italiane Investitori Istituz. Internaz. Retail e altri 7% 4,6% 4,1% 2,6% 43,6% 11,9% 50% 12% 12% 6% 6,2% 11% 22,4% 50% 76% 52% 26,2% Pirelli & C. Spa 52 52 52 52 52% Mtp 100% Tronchetti 0 50 50 50 50% Coinv 26 26 26 26 26 26 26 26 2 ,2% Camfin 76 76 76 76 76 76 76 76% Nuove Partecipazioni Foto: Marco Tronchetti Provera Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/pirelli

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 133

SCENARIO PMI

12 articoli 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 10 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Per crescere prima e meglio ci vuole più «womenomics» Il lavoro femminile aumenta, ma l'impatto sul Pil è ancora limitato Fabrizio Galimberti

Quali sono le fonti della crescita economica? Per crescere ci vogliono braccia, macchine e cervelli. Le braccia sono l'occupazione, il lavoro; le macchine sono il capitale: macchinari, case, capannoni, ponti, strade...; i cervelli (terzo e importante elemento) sono la produttività: quella "polverina magica" di cui abbiamo parlato in passato (Il Sole Junior, 30 giugno e 7 luglio 2013) che combina lavoro e capitale in modi sempre più produttivi, con il progresso tecnico, l'organizzazione del lavoro, la qualità delle istituzioni... Abbiamo dimenticato un altro fattore di produzione: le risorse, cioè terra, mari, minerali.... Ma oggi vogliamo concentrarci sulle... donne. Cosa c'entrano le donne con la crescita? C'entrano, eccome. Perché, quando si parla di braccia e di cervelli, questi fattori della produzione possono essere declinati al maschile e al femminile. Il capitale umano è forse il capitale più importante di tutti e per far crescere l'economia bisogna che questo capitale sia (come si diceva del rancio dei soldati) "ottimo e abbondante". Il capitale umano (braccia e cervelli) crea il capitale fisico (macchine e costruzioni) ed elabora la "polverina magica" che fa lievitare l'economia. Il problema è che di questo capitale umano la metà - quella femminile - è scarsamente utilizzata. Anche là dove la popolazione non cresce, o addirittura diminuisce (come è il caso della Germania o del Giappone) quel che è importante, per la crescita economica, non è il numero di abitanti, ma il numero di lavoratori. Andiamo a vedere la popolazione in età di lavoro (da 15 a 64 anni) e calcoliamo la quota di occupati su quel totale, divisa fra uomini e donne. Un po' in tutti i Paesi, la quota di occupazione femminile è più bassa di quella maschile. Se questa quota crescesse più rapidamente (in effetti è andata crescendo, anche se rimane più bassa) ne beneficerebbe la crescita, economica e sociale. Il problema è importante anche perché con l'invecchiamento in corso della popolazione (la natalità è bassa e la gente vive più a lungo) coloro che lavorano dovranno mantenere stuoli crescenti di anziani. I rimedi, se non si vuole tassare ancora di più chi lavora, sono tre: allungare l'età di pensionamento, ridurre i trattamenti di pensione, o aumentare il numero di coloro che lavorano. Certamente, dei tre rimedi quello di gran lunga preferibile è l'aumento dell'occupazione. E il modo più diretto di farlo è quello di ricorrere a un particolare "giacimento": il giacimento del lavoro femminile, attirando nella forza lavoro le donne che ne sono tenute al margine. Il grafico mostra come in Italia il tasso di occupazione femminile sia particolarmente basso. Il numero di donne occupate è andato aumentando (vedi il confronto fra gli andamenti dell'occupazione maschile e femminile in Italia e in America) ma molta strada resta ancora da fare. Per l'Italia, insomma, c'è una buona notizia e una cattiva notizia: l'occupazione femminile aumenta ma il numero di donne occupate è troppo basso. Perché l'occupazione femminile aumenta? L'aumento dipende essenzialmente dalla composizione dell'attività economica. In tutti i Paesi, e anche in Italia, diminuisce la quota di attività che è legata alla produzione di "cose" (manifatturiero, agricoltura e costruzioni) e aumenta la quota dei servizi (pubblici e privati). La produzione di cose era tradizionalmente dominata dal lavoro maschile, spesso pesante, mentre la produzione di servizi è più accessibile alle donne. Inoltre, la scolarizzazione femminile è andata procedendo più rapidamente di quella maschile, e questo ha reso le donne più "impiegabili" di prima. Perché il tasso di occupazione femminile in Italia è così basso? La risposta si divide in due. Il problema è generale: il tasso di occupazione complessivo (maschi e femmine) è basso. In percentuale della popolazione in età di lavoro, nel 2013, gli occupati maschi erano in Italia il 65,8%, contro una media di 73,2% per i Paesi Ocse. Un classamento basso, che dipende da difetti di fondo del sistema economico italiano, che non riesce a produrre posti di lavoro: molte imprese nascono ma non riescono a crescere, per ostacoli alla concorrenza,

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 135 22/03/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 10 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

cattive infrastrutture, vincoli burocratici, pesantezza del fisco, scarso rispetto dei valori di mercato... . Ma la differenza fra Italia e media Ocse nel tasso di occupazione, che è di circa 7 punti per gli uomini, diventa di 10 punti per le donne. Abbiamo bisogno quindi di altre ragioni per spiegare la minorità del lavoro femminile. La risposta è allora legata non alla domanda di lavoro (delle imprese) ma all'offerta di lavoro (delle lavoratrici). Qui le ragioni sono culturali. La figura tradizionale della donna legata alla casa è dura a morire e il lavoro femminile viene guardato, magari inconsciamente, con sospetto. Là dove l'emancipazione della donna è meno pronunciata (come vedete dal grafico, Spagna, Italia e Grecia sono agli ultimi tre posti nel tasso di occupazione femminile) la presenza nella forza-lavoro è più bassa. I rimedi? Certo, si potrebbe dire: date tempo al tempo. L'occupazione femminile sta aumentando per conto suo, per le ragioni sopra dette. Ma molto si può - e si deve - fare per accelerare questo processo. Le ragioni 'culturali' accennate prima stanno svanendo rapidamente, specie per le generazioni più giovani, ma permangono ostacoli a una maggiore partecipazione femminile: primo, il problema di conciliare maternità e lavoro. Nei Paesi ove più diffuso è il ricorso ad asili nido, l'occupazione femminile è più alta. E naturalmente, la cura dei figli e della casa può essere più equamente distribuita fra uomini e donne, con norme che prevedano congedi di paternità e non solo di maternità. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Occupati Italia, 1977-2014. In milioni Occupati Usa, 1977-2014. In milioni Tasso di occupazione donne, in % della popolazione femminile Nota: in età di lavoro: 15-64 Fonte: elaborazioni del Sole 24 Ore su dati Ocse Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Istat, Bls - Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Istat, Bls Le ragioni culturali che ostacolano il lavoro delle donne stanno svanendo, ma permangono ostacoli a una maggiore partecipazione femminile: primo, il problema di conciliare maternità e lavoro Braccia, macchinari e cervelli sono le fonti della crescita economica. Braccia e cervelli (il capitale umano), rappresentano la risorsa più importante, in grado di organizzare il lavoro in modo sempre più produttivo Purtroppo la metà del capitale umano, quella femminile, è scarsamente utilizzata . Eppure, con più donne al lavoro, il pil crescerebbe non solo in maniera diretta, ma anche indiretta, grazie alla domanda aggiuntiva di servizi PER SAPERNE DI PIÙ Il lavoro femminile in tempo di crisi.ppt - di Linda Laura Sabbadini, Capo Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali - Vedi sito Istat.it Rapporto sulla coesione sociale - Vedi: http://www.lavoro.gov.it/Notizie/Documents/Rapporto%20Coesione%202013%20%20Volume%20I_30dicemb re%20ore%2013%20(2).pdf Why Gender Matters in Economics, di Mukesh Eswaran, Princeton University Press, 2014 Gender Equality as Smart Economics: A World Bank Group Gender Action Plan, Banca Mondiale, Washington - Vedi: http://siteresources.worldbank.org/INTGENDER/Resources/GAPNov2.pdf Foto: NOI E GLI ALTRI: LE DONNE E IL MONDO DEL LAVORO

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 136 19/03/2015 La Repubblica - ed. Firenze Pag. 3 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Imprese, le magnifiche 813 su cui puntare La ricerca di Banca CR Firenze sulle eccellenze dell'economia toscana per finanziarne i progetti di sviluppo MAURIZIO BOLOGNI

MENTRE l'economia delle aziende affondava, questi "campioni" dell'imprenditoria facevano affari d'oro. Nel periodo più nero della crisi, tra il 2008 e il 2012, i loro fatturati sono cresciuti in media del 34,2%, mentre la marginalità (Ebitda) del loro business è salita in media del 12,2% all'anno. Sono le eccellenze dell'economia toscana, 813 imprese "campione" come appunto le definisce una ricerca commissionata da Banca CR Firenze, che ritiene di dover scommettere su queste aziende, finanziandone i progetti di sviluppo, nella convinzione che la loro azione possa suscitare un effetto traino nei confronti di chi invece fa meno veloce, arranca, si è fermato. Il progetto si chiama "Per la Toscana. Opportunità sul territorio" ed è stato presentato ieri agli addetti ai lavori. E' un'indagine sui dati economici e socio-demografici delle eccellenze, per individuare i comportamenti vincenti, da estendere poi alle aziende "potenziali campioni". Soprattutto aziende familiari, tante pmi, moltissime imprese di fornitura e quindi non brand. Lo studio commissionato all'Università di Firenze da Banca Cr Firenze e dalla Direzione Regionale Toscana, Umbria, Lazio e Sardegna di IntesaSanpaolo traccia l'identikit dei "campioni" con non poche soprese. Il 36% delle magnifiche 813 ha un fatturato tra i 2 e i 5 milioni di euro, il 27% tra i 5 e i 10 milioni di euro, il 28% tra i 10 e i 30 e solo il restante 9% ha un fatturato che supera i 30 milioni di euro all'anno. Di queste 813 iper virtuose, 484, rappresentative di tutti i settori economici, sono state poi contattate e intervistate. L'istantanea che se ne è ricavata racconta che oltre il 90% è saldamente in mano alle famiglie proprietarie, ma gli imprenditori dichiarano apertura a contributi esterni sia per quanto riguarda il management (favorevole il 39% degli intervistati) che per quanto riguarda l'entrata di nuovi soci (favorevoli 35%). Più della metà delle aziende ha poi la produzione collocata in Toscana e solo una su cinque all'estero, ma nelle intenzioni questa percentuale potrebbe salire nei prossimi 3-5 anni al 26%. Il l 78% produce per fornitori di 1° e 2° livello o per produttori finali e solo il 20% vende direttamente al consumatore finale ed è quindi un brand. La ricerca identifica due serie di driver dell'eccellenza competitiva delle aziende "campioni": quelli di dinamismo aziendale (priorità strategica alla ricerca centrata sul prodotto, prodotti con qualità certificata, competenze manageriali nel marketing) e quelli di eccellenza reddituale (internalizzazione della ricerca, rete di vendita diretta). «Il nostro studio è un punto di partenza - ha detto Pierluigi Monceri, direttore generale di Banca CR Firenze e capo anche della direzione regionale di Intesa - Così la banca si pone come agente del cambiamento. Anche del territorio». Foto: LAPROPRIETÀ Oltreil90%delleaziendedellaricerca sonosaldamenteinmanoallefamiglie proprietarie,magliimprenditorisi dichiaranoapertiacontributiesterni

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 137 23/03/2015 La Stampa Pag. 16 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato OSSERVATORIO MECSPE La storia / tutto SOLDI / LAVORO IN CORSO La piccola impresa meccanica torna ad assumere [W. P.]

Operai specializzati e conduttori di impianti e macchinari, ma anche profili di elevata esperienza e titolari di un percorso di studi adeguato. Sono questi i segnali positivi sul fronte occupazionale lanciati dal comparto della meccanica e della subfornitura italiana, soprattutto da aziende che investono in formazione e innovazione. Il numero di addetti nel 2014, rispetto al 2011, si è mantenuto complessivamente stabile per il 62,1% delle aziende e il 26,8% ha dichiarato addirittura una crescita. Solo l'11,1% ha dovuto ridurre l'organico. E le previsioni per il 2015 vedono ben otto aziende su dieci intenzionate a mantenere stabile il livello occupazionale, mentre circa una su sei prevede aumenti di personale e una manciata di aziende prevede cali. I dati elaborati dall'Osservatorio Mecspe realizzato da Senaf , che verranno presentati alla Fiera internazionale delle tecnologie per l'innovazione questa settimana (Fiere di Parma, 26 -28 marzo 2015), quest'anno riguardano nove settori, dalle macchine utensili alla stampa in 3D. L'indagine ha coinvolto piccole aziende con fatturati inferiori ai dieci milioni di euro (84,3%) e con meno di 50 dipendenti (86,7%) e rivela che soddisfatte dell'andamento aziendale sono quelle che hanno puntato sulla formazione. Sono quasi nove su dieci (89,8%) gli imprenditori che hanno investito nell'aggiornamento dei dipendenti. In particolare, il 27,6% ha dedicato "fino a 10 ore", il 25,7% "tra le 11 e le 20", il 15,5% "tra le 21 e le 30" e "oltre le 31 ore" poco più di un quinto (21,1%). I profili più ricercati sono quelli di operai specializzati (30%) e di conduttori di impianti e macchinari (26%); il 60% richiede in generale esperienza specifica e sul fronte istruzione il 73,2% gradisce il titolo di studio, con preferenza per il diploma. Tra gli strumenti utilizzati per la ricerca di operai e tecnici specializzati, il 40,2% si affida alle Agenzie di ricerca del personale, ma anche la scuola è un punto di riferimento importante, in particolare gli istituti tecnici (37,4%) e gli istituti e scuole professionali (31,8%). In misura nettamente inferiore le aziende scelgono di pubblicare inserzioni (18,5%), monitorano i propri concorrenti strappando risorse dal loro bacino dipendenti (9,1%) e ricorrono agli uffici di collocamento (5,2%). Per soddisfare i flussi intermittenti di lavoro e assumere per far fronte ai picchi della domanda, le aziende si rivolgono alle agenzie interinali (42,3%) mentre quasi due aziende su dieci (19,6%) scelgono invece dei prestatori d'opera occasionali. Una quota molto alta (37,4%), invece, preferisce spesso di non assumere, un dato in crescita di sette punti rispetto allo scorso anno, anche se l'avvento del Jobs act potrebbe operare un ripensamento. Nel primo trimestre 2015 le aziende del settore hanno previsto di assumere 29.140 persone, con contratti a tempo determinato per il 52% e a tempo indeterminato per il 33% dei casi, così distribuite: industrie meccaniche ed elettroniche (28,2%); industrie metallurgiche e di prodotti in metallo (16,6%); industrie alimentari (14,5%); industrie tessili, dell'abbigliamento e calzature (11,8%); chimico-farmaceutiche (9%); legno e mobile (3,7%). Foto: IMAGOECONOMICA Foto: La meccanica crea lavoro

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 138 22/03/2015 Avvenire Pag. 20 (diffusione:105812, tiratura:151233) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

MUTUI Abi-imprese-consumatori intesa su congelamento

Saranno giorni decisivi, i prossimi, per chiudere l'accordo Abi imprese consumatori per il "congelamento" per 3 anni della quota capitale di prestiti e mutui, per cittadini e imprese. Per le Pmi - recita la bozza d'intesa anticipata dall'agenzia Ansa - potranno accedere solo quelle senza «posizioni debitorie classificate dalla banca come 'sofferenze", "inadempienze probabili"».

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 139 22/03/2015 Il Manifesto Pag. 1 (diffusione:24728, tiratura:83923) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato QUESTIONE MERIDIONALE Il buio a Mezzogiorno Pierluigi Ciocca

Il declino che l'Italia vive si configura nel Mezzogiorno come un vero e proprio collasso, economico e sociale, mai prima sperimentato nella storia d'Italia in tempi di pace. Letti insieme, i dati più aggiornati disponibili tracciano nella loro oggettiva, fredda crudezza un quadro sconvolgente. Dal 2008 il Pil («reale») è caduto dell'8% al Centro-Nord (CN), del 14% al Sud (con punte "greche" del 16% in Molise e Basilicata). I consumi privati hanno subìto una flessione del 6% al CN, del 13% al Sud, con la componente alimentare scemata del 15% al Sud. CONTINUA |PAGINA 5 Gli investimenti hanno ceduto del 24% al CN, del 33% al Sud. Il Pil pro- capite medio a prezzi correnti del Meridione è sceso da 18mila euro l'anno a 17mila, ovvero al 56% rispetto al CN. L'occupazione totale è diminuita del 2% (320mila unità) nel CN, del 19% (670mila unità) al Sud. Il tasso dell'occupazione giovanile è del 28% nel Mezzogiorno, del 48% al CN. A fine 2014 il tasso di disoccupazione era del 9% al Nord, del 12% al Centro, del 21% al Sud. La spesa per opere pubbliche al Sud si è ridotta a 2 miliardi di euro (prezzi 2005) nel 2014, rispetto ai 10 miliardi del 1992 e a 11 miliardi, sempre nel 2014, nel CN. Fra il 2007 e il 20013 la quota delle famiglie in condizione di povertà assoluta è passata dal 3 al 6% nel CN, dal 6 al 12% nel Meridione. Fra il 2001 e il 2011, al netto degli stranieri, la popolazione è rimasta invariata al CN, mentre è calata di 260mila unità al Sud, con i figli per donna pari (nel 2012) a 1,46 nel CN, a 1,36 nel Sud. Fra il 2001 e il 2013 su base netta sono emigrate dal Mezzogiorno 700mila persone, 188mila delle quali laureate. Ciò che è più grave, il Sud rischia la desertificazione industriale. Fra il 2007 e il 2013 la quota della manifattura sul Pil è diminuita dal 14 al 12% nel Mezzogiorno. Il valore aggiunto manifatturiero per addetto si è ridotto del 3% al Sud, dell'1% al CN. Ciò è avvenuto a seguito di una caduta della produzione del 27% al Sud e del 16% al CN e di un precipitare degli investimenti manufatturieri del 54% nel Meridione, rispetto alla loro diminuzione del 25% nel resto d'Italia. Governi, partiti, sindacati, imprese devono tornare a porsi con assoluta priorità questa nuova Questione Meridionale, da troppo tempo nei fatti disattesa! Quando l'intera economia si deteriora l'area meno solida soffre in modo accentuato. Il rilancio complessivo dell'economia, in termini sia di domanda (investimenti) sia d'offerta (produttività di trend), è quindi il presupposto mancando il quale il Sud non può progredire. Questo rilancio stenta. Se c'è, la ripresa ciclica è molto debole, si cifra comunque in decimi di punto percentuale, rispetto a una caduta del Pil di quasi 10 punti dal 2008. Ma va pensata e realizzata un'azione specifica, pubblica e privata, per il Mezzogiorno. Con piena evidenza sono gli investimenti nelle infrastrutture, materiali e immateriali a doversi rilanciare con urgenza nel Sud: messa in sicurezza del territorio e tutela dell'ambiente, utilities, istruzione e sanità, trasporti e comunicazioni, legalità e giustizia, amministrazione. Deve unirvisi l'impegno degli uomini migliori. Lo Stato non può fungere da occupatore d'ultima istanza. Il reddito di cittadinanza non risolve. Non valgono i trasferimenti, gli sgravi, i sussidi. Sfiora il ridicolo l'idea di uscire dall'euro - una buona moneta, da non confondere con una cattiva Europa - per un assurdo ritorno alla lira, se non a ducati, piastre, tarì del Borbone di Napoli! Se le imprese private continuassero a non contribuire alla crescita e neppure a rispondere positivamente in un migliorato contesto, di necessità tornerà a proporsi il ruolo di supplenza dell'impresa pubblica, segnatamente nell'industria. L'impresa pubblica - Eni dal 1953, Enel dal 1962, soprattutto Iri già dall'anteguerra (rinvio a «La storia dell'Iri» nei sei volumi Laterza) - fu decisiva nell'industrializzazione del Mezzogiorno. Lungo tale via, obbligata per fuoruscire dalla miseria, nel 1951-1971, in soli 20 anni, il Pil pro- capite (corretto) delle regioni meridionali si moltiplicò di oltre tre volte e si innalzò dal 54% al 72 % rispetto al livello del Centro-Nord.

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 140 21/03/2015 ItaliaOggi Pag. 26 (diffusione:88538, tiratura:156000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Bando Inail, attenti alle collegate: possono asciugare i fondi Roberto Lenzi

Bando Inail Isi, le aziende devono stare attente alle novità introdotte dal regolamento Ue 1407/20013 che ha introdotto il concetto di impresa unica. Il rischio è quello di dichiarare di avere possibilità di chiedere fondi, senza considerare che le collegate potrebbero avere esaurito il plafond disponibile. Gli aiuti concessi da Inail sono sottoposto alla normativa comunitaria «de minimis». Le imprese interessate a ottenere le agevolazioni, entro il 7 maggio, le possono verifi care se hanno i requisiti per ottenere i contributi a fondo perduto del 65% per migliorare la sicurezza dei lavoratori. Fino al 2013,con il regolamento 1198/2006, le imprese conteggiavano gli aiuti ottenuti in «de minimis» in base alle concessioni che avevano ricevuto nell'ultimo triennio, facendo attenzione a non superare il tetto massimo di 200 mila euro imposto dalla normativa. In altri termini, l'impresa che aveva usufruito di aiuti «de minimis» pari a 90 mila euro poteva richiedere un nuovo aiuto sul bando Inail per un importo ulteriore massimo di 110 mila euro. Questo calcolo era quindi abbastanza semplice. Con l'avvento del reg. 1407/2013, invece, l'impresa che è controllata da altra società deve conteggiare gli aiuti di ambedue i soggetti, come se fossero, appunto, un'impresa unica. Se, ad esempio, anche l'altra azienda ha ottenuto contributi «de minimis» nel triennio per 90 mila euro, una sola delle due può richiedere ulteriori 20 mila euro. Se invece l'altra ne avesse già ottenuti per 140 mila euro, questo impedirebbe ad entrambe le imprese di accedere al bando Inail. Se l'impresa fa parte di un gruppo più ampio, diciamo 3 imprese che negli anni precedenti, con il vecchio regolamento, hanno tutte ottenuto 200 mila euro di aiuti «de minimis» l'una, la nuova domanda potrà essere presentata solo nell'anno in cui la somma dei residui totali scenderà sotto i 200 mila euro. Questi esempi fanno capire che la partecipazione al bando Inail necessita di una verifi ca in più rispetto a quanto succedeva nei bandi assoggettati al regolamento 1998/2006; il tetto massimo è lo stesso di 200 mila euro nel triennio, ma i soggetti da controllare sono spesso più di uno. Concetto di impresa unica. Per determinare se le imprese sono da assoggettare al calcolo di impresa unica il regolamento 1407/2013 prevede che deve essere considerato l'insieme delle imprese, fra le quali esiste almeno una delle relazioni di collegamento riportate di seguito: a) un'impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un'altra impresa; b) un'impresa ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un'altra impresa; c) un'impresa ha il diritto di esercitare un'in uenza dominante su un'altra impresa in virtù di un contratto concluso con quest'ultima o in virtù di una clausola dello statuto di quest'ultima; d) un'impresa azionista o socia di un'altra impresa controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con altri azionisti o soci dell'altra impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest'ultima. Scelti alcuni criteri dalla defi nizione di pmi. Il regolamento Ue, per defi nire il concetto di impresa unica, ha copiato alcuni requisiti per le «imprese collegate» all'interno della defi nizione delle piccole e medie imprese (Pmi) di cui alla raccomandazione 2003/361/ CE della Commissione e all'allegato I del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione. A questo si è aggiunta la Corte di giustizia dell'Unione europea che ha stabilito che tutte le entità controllate (giuridicamente o di fatto) dalla stessa entità debbano essere considerate un'impresa unica. Il concetto di impresa unica si ferma a un unico stato, senza considerare in caso di multinazionali le imprese collegate con imprese che hanno unità operative in un altro stato, anche se facenti parte dello stesso gruppo. Quindi tre imprese di tre stati diversi possono ottenere 600 mila euro in de-minimis anche se collegate tra di loro. Raffronto regolamenti AZIENDE (dello stesso gruppo) Concesso 2013 (in assenza di altri aiuti nel triennio) Ipotesi di contributo richiedibile se operasse ancora il vecchio regolamento 1198/2006 ALFA 90.000 euro 110.000 euro 0 euro BETA 80.000 euro 120.000 euro 0 euro GAMMA 100.000 euro 100.000 euro 0 euro TOTALE GRUPPO 270.000 euro 330.000 euro 0 euro Concesso 2013 Ipotesi di contributo ri- Richiedibile Richiedibile nuovo bando con regolamento 1407/2013

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 141 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 19 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Seat riparte senza debiti e punta sulla sua rete per portare le Pmi sul web STABILIZZATO IL NUOVO ASSETTO AZIONARIO LA SOCIETÀ PUÒ ORA CONCENTRARSI SUL CORE BUSINESS: SVILUPPARE NUOVI SERVIZI ALLE IMPRESE NEI CAMPI DEL MARKETING E DELLA PUBBLICITÀ GRAZIE ANCHE AGLI ACCORDI CON GOOGLE E FACEBOOK Luigi Dell'Olio

Per Seat Pagine Gialle è iniziata la prova d'appello. Chiusa positivamente la parentesi del concordato preventivo durato oltre un anno e mezzo, la "nuova" società può tornare al mestiere di media agency, rivisitato alla luce delle nuove potenzialità offerte dal Web, soprattutto in un'ottica di marketing locale. Il compito è reso più agevole grazie al fatto che la compagnia è stata sgravata dai debiti (oltre un miliardo e mezzo di euro accumulato a partire dall'operazione di leverage by out condotta da un gruppo di fondi private nel 2003), anche se non sarà facile recuperare il terreno perduto in questi anni, che hanno visto crescere la concorrenza. Il concordato preventivo ha mutato a fondo gli assetti proprietari, con i creditori finanziari che si sono trasformati nei nuovi azionisti tramite conversione dei bond e del debito, alla quale ha fatto seguito un aumento di capitale iper-diluitivo. Attualmente i soci di riferimento sono due fondi specializzati nelle conversioni di debito in capitale - Golden Three e Avenue Capital che secondo le più recenti com unicazioni Consob hanno in mano rispettivamente il 26,1% e il 23,9% del capitale. La parte restante è fortemente frammentata, con Royal Bank of Scotland al 4,2% e Bennet Management Corporation a poco meno del 3,4%, tutto il resto in mano a piccoli e piccolissimi azionisti. Il bilancio 2014 ha risentito dello scossone, con il fatturato che si è attestato a quota 388,9 milioni, il 18,1% in meno rispetto al 2013, più che dimezzatosi nel confronto a cinque anni. In forte contrazione anche l'Ebitda (-63,5% sul 2013 a quota 32,6), mentre l'Ebit è risultato negativo per 25,5 milioni. Ritornata in bonis, e centrati nello scorso esercizio gli obiettivi del piano, Seat può tornare a concentrarsi sugli aspetti industriali del business. "Abbiamo investito massicciamente per rinnovare gli elenchi, che per 15 milioni di italiani sono uno strumento quasi esclusivo per reperire informazioni e fare scelte di consumo", spiega Mauro Gaia, direttore commerciale, marketing e vendite, di fatto il numero due dell'azienda. "Di pari passo stiamo crescendo sui nuovi prodotti, dal direct al Web marketing, grazie a una rete di 100 uffici sul territorio che raccolgono le esigenze di comunicazione delle aziende e mettono a punto campagne pubblicitarie su tutti gli strumenti, dalla carta stampata alla radio, a Internet". Quest'ultimo è il canale destinato a crescere maggiormente nelle intenzioni della società, che ha in cassa 107 milioni di euro per i nuovi investimenti. "Il nostro obiettivo è portare le potenzialità delle tecnologie offerte dai grandi operatori internazionali fino al punto vendita della singola azienda, con costi accessibili e investimenti misurabili", prosegue il manager, che ricorda come già oggi Seat Pagine Gialle sia la prima Web agency italiana con circa 100mila siti realizzati ogni anno. "A fine 2014 abbiamo siglato un accordo con Facebook che permette alle Pmi di programmare campagne pubblicitarie a livello anche molto locale, in grado di raggiungere un target selezionato di persone", aggiunge Gaia. "Il servizio sta riscuotendo successo, così come riceviamo riscontri positivi dalle collaborazioni con altri partner come Google, Sky, Rai e Gambero Rosso". Tornando agli aspetti finanziari, il turnaround non è finito: per l'anno in corso, l'amministratore delegato Vincenzo Santelia ha indicato un obiettivo di Ebitda a 12 milioni; l'accelerazione arriverà solo nel 2016, con il ritorno all'utile netto è atteso nel 2018. A quel punto sarà concluso il processo di ristrutturazione e si valuterà l'eventuale rinnovo dell'impegno da parte dei nuovi soci di riferimento. Gli investitori hanno apprezzato i dati del bilancio 2014, soprattutto sul fronte della posizione finanziaria e la sensazione è che vi siano spazi di ripresa per il titolo quotato a Piazza Affari: in mancanza di copertura da parte degli analisti, vale come benchmark il valore dell'azione stimato dall'advisor Kpmg a quota 0,0031 euro, corrispondenti a circa 200 milioni di euro per tutta la società (un valore molto lontano dai livelli raggiunti durante la bolla della New Economy). Rispetto a quei valori, Seat è salita di circa il 50%, anche se a fronte di brusche oscillazioni. S. DI MEO, GOLDENTREE, AVENUE CAPIATAL, ROYAL BANK OF SCOTLAND, BENNET MANAGEMENT

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 142 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 19 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

CORPORATION, ELVIS LEIGH, Foto: Nei grafici a sinistra, l'andamento in Piazza Affari del titolo Seat Pagine Gialle e i maggiori azionisti della società post concordato preventivo Foto: Qui sopra, Vincenzo Santelia (1), ad di Seat Mauro Gaia (2), direttore commerciale

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 143 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 43 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Valvitalia, dopo la comasca Silvani altre due acquisizioni entro l'anno GRAZIE ALLE RISORSE INIETTATE DAL FONDO STRATEGICO DI CDP L'AZIENDA HA RIPRESO IL RUOLO DI AGGREGATORE DEL SETTORE IN ITALIA CHE È ALLE SUE STESSE ORIGINI: NASCE INFATTI UNA DECINA DI ANNI FA DALL'UNIONE DI 10 IMPRESE DELL'OIL&GAS Filippo Santelli

Milano Le acquisizioni sono nel suo Dna. Nel 2002 è nata proprio così, aggregando cinque produttori di valvole per il settore del petrolio, del gas e dell'energia. Altri cinque li ha assorbiti negli anni successivi. E anche ora che Valvitalia è diventata il primo gruppo italiano del settore, con undici stabilimenti, sei dei quali nello Stivale, 1.200 dipendenti e clienti in oltre cento Paesi, il piano di crescita non è finito. Anzi, a fine 2013 il Fondo Strategico Italiano, il veicolo controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti, ha rilevato il 49,5% della società, attraverso un prestito convertendo da 151 milioni di euro. E i primi effetti della nuova iniezione di liquidità si sono visti lo scorso dicembre, quando Valvitalia ha comprato da un fondo americano la Silvani di Como, storico produttore di impianti antincendio per l'industria dell'Oil & Gas. Un'aggiunta che porta il fatturato consolidato del gruppo oltre quota 450 milioni di euro: «L'obiettivo è raddoppiarlo entro il 2016, quando vorremmo quotarci in Borsa», dice dal quartier generale di Rivanazzano, provincia di Pavia, il 56enne fondatore e amministratore delegato Salvatore Ruggeri. «Stiamo valutando altre acquisizioni, una o due dovrebbero arrivare nel corso dell'anno». L'espansione, spiega il manager, ha un preciso senso industriale: estendere la gamma di prodotti che l'azienda è in grado di offrire. «One stop shop», così lo definisce: «Portare al cliente un insieme completo di soluzioni, dalle valvole, ai filtri, ai raccordi, agevola le trattative, specie in mercati difficili come il Qatar o la Nigeria. E ci permette di offrire sconti e condizioni migliori». I concorrenti per queste commesse sono multinazionali dai fatturati miliardari, Cameron, Emerson Electric o Flowserve. Veri e propri giganti contro i quali i piccoli e specializzati operatori italiani, nonostante la qualità dei loro prodotti, fanno fatica a misurarsi. Ma che un campione nazionale può riuscire a battere, come dimostra la gara appena vinta da Valvitalia per il gasdotto Tanap. Per la pipeline che porterà il gas azero, attraverso la Turchia, verso Grecia e Italia, l'azienda fornirà centinaia di valvole di grosse dimensioni. Dal punto di vista finanziario i margini per proseguire la campagna acquisiti sono solidi. Il rapporto tra debito e Ebitda, a fine 2014 arrivato a 77 milioni di euro, è di uno a uno. «Abbiamo linee di credito già autorizzate per 200 milioni, utilizzate solo per metà», aggiunge Ruggeri. Le difficoltà, semmai, potrebbero arrivare dal crescente appeal delle medie imprese italiane del settore. Eccellenze con ampi margini di crescita, che fanno gola sia a soggetti industriali che finanziari. Attorno a Petrolvales per esempio, azienda Varesina la cui quota di maggioranza è in vendita, si è scatenata una vera e propria asta. Da cui Valvitalia, nonostante le possibili sinergie di mercato, ha deciso di ritirarsi. «Cerchiamo di portare avanti trattative private con imprese con cui siamo già in relazione spiega Ruggeri - molti imprenditori preferisco vendere a noi piuttosto che a una multinazionale estera o a un fondo». Anche dopo l'acquisizione infatti il vecchio marchio viene conservato e la dirigenza lasciata al suo posto: «Non vogliamo stravolgere realtà che funzionano, ma aiutarle a espandersi. Con noi la Silvani è passata da cinque a 50 mercati, incassando subito un ordine importante in Est Europa». L'altra incognita è il prezzo del petrolio ai minimi, che potrebbe impattare sugli investimenti globali in infrastrutture. L'80% del fatturato di Valvitalia viene infatti dal settore idrocarburi, fetta in cui il gas conta a sua volta per un 80%. Ma secondo Ruggeri non sarà necessario differenziare, visto che il mercato vale comunque 34 miliardi di euro l'anno: «L'impatto si vedrà al limite tra 24 o 36 mesi, ma solo se il barile restasse su questi livelli. Nel frattempo i progetti finanziati vanno avanti e il nostro portafoglio ordini copre tutto il 2016». Il manager vede anzi uno spazio per la crescita organica. Dalle aree in cui l'azienda è forte, come Nord America e Medio Oriente, verso nuovi mercati come Africa Occidentale, Russia e Iran, specie se verranno alleggerite le sanzioni che hanno colpito questi Paesi. L'espansione, interna e esterna, dovrebbe far lievitare il gruppo verso quota 1.700 dipendenti. Una dimensione che Ruggeri, dopo anni al vertice di multinazionali

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 144 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 43 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

del settore, è convinto di poter conciliare con una struttura snella, molto più reattiva e meno costosa di quella dei concorrenti: «Siamo un'azienda gestita da manager, ma con una cultura di stampo familiare». VALVITALIA S.DI MEO Foto: Qui sopra, Salvatore Ruggeri fondatore e ad di Valvitalia

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 145 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 44 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato [ IMPRESA ITALIA ] Biolchim fa shopping e diversifica nell'home garden IL MAGGIORE IMPULSO ALLE STRATEGIE DI ESPANSIONE DOPO L'INGRESSO NEL CAPITALE DI WISE SGR CHE OGGI CONTROLLA ASSIEME AL MANAGEMENT L'AZIENDA BOLOGNESE. UNA NUOVA OPERAZIONE IN CANADA Veronica Ulivieri

Nuovi prodotti per l'agricoltura biologica, acquisizioni di imprese straniere, apertura a nuovi settori. Biolchim, impresa del bolognese attiva da quarant'anni nel settore dei fertilizzanti per l'agricoltura professionale, cresce e guarda al futuro. Dopo il cambio di strategia e la riorganizzazione partiti nel 2008 con l'arrivo dell'ad Leonardo Valenti e l'ingresso, quattro anni dopo, della società di private equity Wise Sgr che oggi controlla l'azienda insieme al management, è partita la campagna acquisti. Nell'agosto 2014 l'acquisizione di Cifo, marchio storico - anch'esso bolognese del segmento del giardinaggio, poi a gennaio scorso l'ingresso nel capitale, come socio di minoranza, della West Coast Marine Bio Processing, impresa canadese che produce e commercializza estratti delle particolari alghe marine Macrocystis, ingredienti preziosi per i fertilizzanti, ma anche chiave che apre le porte verso altri settori. L'operazione con Cifo ci ha consentito di ampliare la nostra capacità produttiva e di accaparrarci un'importante fetta di mercato anche nel segmento Home & Garden, in cui non eravamo presenti. Con l'acquisizione del 43% del capitale della West Coast Marine Bio Processing, che presto salirà al 49%, invece, abbiamo puntato sull'integrazione a monte, garantendoci l'accesso a materie prime fondamentali per le nostre formulazioni». Oggi Biolchim ha 90 dipendenti e un fatturato di 43 milioni, a cui si aggiungono altri 90 dipendenti di Cifo, che nel 2014 ha fatturato circa 30 milioni di euro. Dal 2008 ad oggi, l'export è passato dal 10% al 50% del fatturato, e grazie alle recenti acquisizioni l'azienda è presente oggi in oltre 65 Paesi. Un processo di crescita in cui Wise Sgr, che ha investito in Biolchim 16 milioni di euro, ha giocato un ruolo di primo piano. «Investiamo in Pmi italiane che hanno delle eccellenze e che sono però un po' carenti dal punto di vista della commercializzazione. Uno dei modi per aggiungere valore è proprio aumentare la scala delle aziende, mettendo a fattor comune tecnologie, prodotti complementari, management e quindi la capacità di affrontare meglio i mercati esteri. Abbiamo scelto Biolchim perché il settore dei biostimolanti agricoli è destinato a crescere molto in futuro ma al momento ancora frammentato», spiega Michele Semenzato, partner di Wise Sgr. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Segui Impresa digitale anche su: http://www.repubblica.it/ economia/rapporti/ impresa-digitale/

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 146 23/03/2015 La Repubblica - Affari Finanza - ed. N.11 - 23 marzo 2015 Pag. 27 (diffusione:581000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato [ I DATI ] L'indice Ism si raffredda negli Usa mentre l'Eurozona inizia a correre (l.d.o.)

Visto nell'ottica dei mercati finanziari, che continuano a confidare nella "droga" dei tassi zero garantiti dalla Fed, potrebbe anche essere una notizia positiva. Dal punto di vista dell'economia reale, però, gli ultimi segnali che arrivano dagli Stati Uniti indicano che la crescita sta perdendo vigore. L'ultimo Monthly Report di Tendercapital si sofferma in particolare sulla debolezza del settore manifatturiero, con l'indice Ism (basato su rilevazioni di oltre 300 aziende del settore, su dati relativi a occupazione, scorte e nuovi ordini) sceso a febbraio a quota 52,9 punti rispetto ai 53,5 di gennaio. Mentre, al contrario, l'Ism non manifatturiero ha indicato una prosecuzione della crescita. «Il quadro che emerge - sottolineano gli analisti di Tendercapital - evidenzia una fase in cui la crescita economica statunitense rimane sostenibile, ma a un ritmo inferiore rispetto alle attese di fine anno a causa del permanere di un dollaro forte rispetto alle altre valute, con effetti negativi sull'economia a stelle e strisce nel medio periodo". All'opposto dall'Ism Index europeo arrivano segnali di rafforzamento del ciclo economico, rafforzati dal miglioramento degli indicatori sulla fiducia dei consumatori. «Nelle prossime settimane ci aspettiamo un movimento rialzista dei listini grazie alle buone prospettive di un possibile accordo definitivo tra Europa e Grecia, da negoziarsi entro il 30 giugno 2015, e al cessate il fuoco tra Ucraina e Russia dagli accordi di Minsk 2», è la previsione degli analisti relativamente all'Eurozona.

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 147 21/03/2015 Milano Finanza - ed. N.57 - 21 marzo 2015 Pag. 12 (diffusione:100933, tiratura:169909) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Da Prelios al tandem con Rovati: i progetti di Sigieri Diaz Stefania Peveraro

Èuna fase di grande attività per Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, pronipote del generale Armando Diaz. L'ultima novità è il suo coinvolgimento nell'opa che Marco Tronchetti Provera sta organizzando su Pirelli assieme ai suoi soci in Camfin (famiglie Rovati e Sigieri Diaz appunto, Unicredit e Intesa Sanpaolo) e al partner industriale cinese. Ma questa è solo l'ultima di una serie di iniziative che vedono protagonista Sigieri Diaz in tandem con Luca Rovati, con quest'ultimo che, dopo la cessione del suo gruppo farmaceutico Rottapharm Madaus alla svedese Meda, è ora interessato a nuovi investimenti. «Se nella prima operazione su Camfin sono stato in prima linea», commenta Diaz, «già la seconda operazione, quella che un anno fa ha visto l'uscita di Clessidra da Camfin e l'ingresso dei russi di Rosneft, mi ha visto in seconda linea. Quanto a quest'ultima evoluzione, a dire la verità sono quasi uno spettatore, nel senso che seguirò Tronchetti nell'operazione, ma è lui a gestirla dall'inizio alla fine». Sigieri Diaz è invece davvero protagonista in altre tre operazioni che sta mettendo a punto. Innanzitutto, per restare nel mondo Pirelli, c'è il dossier Prelios. Il gruppo immobiliare è oggi controllato al 20,6% da Pirelli&C e al 29,4% da Fenice (che a sua volta fa capo a Pirelli per il 62,5%, a Intesa, a Unicredit e al veicolo Feidos 11). Tale assetto è stato trovato a fine 2012, a valle di un'operazione di ristrutturazione del debito del gruppo e di ricapitalizzazione e che ha visto Pirelli affiancata dalle famiglie Rovati, Diaz della Vittoria Pallavicini e Conretto Bourlot, riunite nel veicolo Feidos 11, di cui Diaz controlla il 48% attraverso Gwm. «Pirelli ha dichiarato più volte di voler uscire da Prelios, quindi Feidos 11 giocherà un ruolo chiave nel nuovo assetto azionario e nella nuova governance», spiega Sigeri Diaz. «Al momento non c'è ancora nulla di definito. Potremmo decidere di incrementare la quota o di vendere a un nuovo investitore. È una partita che si giocherà nei prossimi mesi». Più avanti è invece l'alleanza con Luca Rovati per la creazione di una grande property company. Rovati infatti ha appena fondato Atlantica Properties, società immobiliare che tramite Fidim sarà dotata di circa 300 milioni di capitale e che grazie alla leva avrà una disponibilità per investimenti di almeno 600 milioni. Atlantica Properties sarà gestita da Altantica Real Estate, newco fondata da Sigieri Diaz e da Clemente Di Paola. Quest'ultimo è l'ex responsabile della direzione immobiliare di Cdp, oltre che cofondatore di Investire Immobiliare Sgr (gruppo Banca Finnat) ed ex dirigente di Ipi (allora braccio immobiliare del gruppo Fiat). «L'idea è fare una decina di investimenti nei cosiddetti trophy asset e, una volta scaduti i contratti con gli attuali conduttori, questi immobili potranno essere trasformati e valorizzati», racconta Diaz. Il primo asset sarebbe già pronto a entrare in portafoglio. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, infatti, con un'offerta da 57 milioni (che ha battuto la proposta di Inail da 53 milioni) proprio Atlantica Properties ha vinto la gara per l'acquisto di un immobile in piazza del Popolo a Roma attualmente occupato dal Comando dei Carabinieri e di proprietà del fondo di Bnp Paribas- Reim sgr. «Una volta costruito il portafoglio, l'idea è quotare Atlantica Properties e raccogliere i capitali per finanziare lo sviluppo immobiliare degli asset già acquisiti», aggiunge Sigieri Diaz. Il quale in questi mesi sta seguendo però soprattutto il lancio del nuovo fondo di private equity Armònia, dedicato alle medie imprese italiane, che sarà gestito dalla neonata Armònia sgr. In attesa che Banca d'Italia dia l'autorizzazione a operare (il via libera è atteso tra aprile e maggio), Diaz sta predisponendo la squadra, insieme con i soci Alessandro Grimaldi (cofondatore ed ex senior partner di Clessidra sgr), Francesco Chiappetta (avvocato di fiducia di Trochetti Provera) e l'immancabile Luca Rovati. «L'obiettivo di raccolta del fondo è 700 milioni di euro, di cui circa 250 saranno investiti dai fondi Gmw», conclude Diaz. «Contiamo poi di raccogliere presto altri 200 milioni da investitori istituzionali italiani e i restanti 250 milioni da investitori esteri. Dopo l'estate saremo pronti per il roadshow internazionale. Il fondo potrà investire al massimo 100 milioni di euro di equity in ogni singola operazione, ma potremo anche aumentare la taglia». (riproduzione riservata) Foto: Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 148 21/03/2015 Il Sole 24 Ore - PLUS 24 Pag. 9 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato PIAZZA AFFARI In attesa delle grandi Ipo scalpita il listino delle Pmi Per Poste Italiane si dovrà attendere forse fine anno; sull'Aim gli scambi sono limitati Lucilla Incorvati

Se l'Europa in questo momento sembra essere in vetta alle preferenze di chi investe nel mercato azionario, anche Piazza Affari spera di poterne beneficiare. Così per il caffé Segafredo, da tempo in animo di quotarsi, il debutto in Borsa è ormai prossimo. La società ha chiesto proprio qualche giorno fa alla Consob il via libera per l'Ipo. Mentre per quella più attesa soprattutto dal mondo dei piccoli risparmiatori (si spera sia quella più liquida e con flottante capiente, ndr) si dovrà attendere ancora. Poste Italiane, che ha annunciato il suo progetto di quotazione ormai più di un anno fa, difficilmente debutterà a Piazza Affari prima della fine del 2015. Così dall'inizio dell'anno alle due società che si sono quotate sul Mta, vale a dire Banzai (il 16 febbraio sullo Star) e Ovs (il 2 marzo scorso), si sono aggiunte altre tre Ipo che hanno riguardato Pmi. In particolare Italian Wine Brand che ha portato in Borsa per la prima volta il vino italiano, Mobyt e Digittouch (qualche giorno fa) nel settore digital, hanno di fatto ingrossato le fila dell'Aim, dedicato alle piccole società. Un listino che da quando è partito (2012) a oggi presenta la maggior vivacità. Ne fanno parte 60 società, in particolare quelle con capacità di sostenere anche quei business che cercano capitali per lo sviluppo di nuove tecnologie e per l'apertura ai mercati internazionali. Borsa Italiana ha favorito l'accesso con un percorso più semplice e meno costoso. Secondo l'osservatorio Aim Italia curato da IrTop, partner equity markets di Borsa Italiana e leader nell'informazione finanziaria, delle 60 società la gran presenza si concentra tra Lombardia con una quota pari al 33% del mercato, seguite dal Lazio (23%), dell'Emilia-Romagna (15%), del Piemonte (5%) e del Friuli Venezia-Giulia (3%). Le lombarde presentano un giro d'affari di 308 milioni, una market cap complessiva di 546 milioni, una raccolta totale pari a 223 milioni(48%), di cui 97 milioni di euro raccolti tra il 2014 e primi mesi del 2015. Nel 2014 la Lombardia si colloca al primo posto fra le regioni italiane con il 41% di nuove quotazioni (9 su 22). Anche il Lazio però ha una forte posizioni (14 aziende) con Gala, la società più grande quotata su AimItalia,tra i primi 10 operatori nazionali nella vendita di energia elettrica al mercato libero. Molto rappresentato anche il settore Digital che può contare su 13 società (market cap vicina ai 40 milioni, ricavi per 17 milioni, un Ebitda di 3milioni di euro ed un Ebitda margin del 21%). Non tutto è oro però quello che luccica. Da un punto di vista delle performance di Borsa (si veda la tabella in pagina) su 60 società a oggi solo 18 società presentano un risultato positivo. La meglio performante è stata FrendyEnergy (ma anche una delle prime sul listino) che dalla quotazione ha superato il 100%, seguita da MondoTv France che, quotata il 25 marzo 2013, oggi presenta una performance vicina al 68 per cento. Tra quelle quotate nell'ultimo anno che sono in area positiva ci sono Bio.on (quotata il 24 ottobre scorso) con un + 86,6%, Expert System che ha debutto a Piazza Affari il 18 febbraio del 2014 ed è a + 32 per cento. Eppure se non mancano gli investitori istituzionali, spesso esteri, che hanno acquistato posizioni su questi titoli, il mondo dell'Aim resta un mondo quasi sconosciuto ai piccoli risparmiatori. Gli scambi sono molto limitati, sono titoli spesso giudicati poco liquidi e per questo anche con un certo profilo di rischio. Solo per fare un esempio nell'ultimo anno il titolo più scambiato è stato la già citata MondoTv France nell'ultimo anno ha scambiato per 19.562 contratti pari a un controvalore di 51,97 milioni di euro. Per favorire l'accesso dei piccoli investitori è allo studio l'avvio di fondi di fondi che investono proprio in queste Pmi, sull'esempio di quanto accaduto nel Regno Unito. Ma per ora tutto tace. © RIPRODUZIONE RISERVATA LE PERFORMANCE DELLE 60 SOCIETÀ QUOTATE ALL'AIM titolo Prezzo Di Collocam. Data di collocam. var. % prezzo collocam. Agronomia 1,00 6 mag. 14 -37,60 Ambromobiliare 6,60 23 dic. 11 -11,36 Axelero 5,50 11 dic. 14 -3,64 Bio.on 5,00 24 ott. 14 86,60 Blue Note

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 23/03/2015 - 23/03/2015 149 21/03/2015 Il Sole 24 Ore - PLUS 24 Pag. 9 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

3,12 22 lug. 14 -21,15 Digital Magics 7,50 31 lug. 13 -31,33 Digitouch 2,30 16 mar. 15 3,48 Ecosuntek 21,00 8 mag. 14 -35,33 Energy Lab 1,80 20 mag. 14 1,11 Enertronica 2,60 15 mar. 13 38,38 Expert System 1,80 18 feb. 14 32,00 Fintel Energia 2,30 25 mar. 10 55,48 First Capital 1,03 22 dic. 10 -8,88 Frendy Energy 1,05 22 giu. 12 100,72 Gala 12,50 10 mar. 14 -9,76 Giorgio Fedon 6,36 18 dic. 14 27,52 Go intenet 2,75 6 ago. 14 35,20 Greenitaly 10,00 27 dic. 13 -2,50 Gr. Green Pow 10,50 22 gen. 14 -43,81 Hi Real 1,00 19 gen. 11 - 93,80 Ikf 1,00 8 mag. 09 -92,55 Imvest 0,00 1 apr. 11 - Ind. Stars of Italy 10,00 22 lug. 13 0,30 Iniziat. Bresciane 21,00 15 lug. 14 4,76 Innovatec 3,50 20 dic. 13 -56,43 Ital. Wine Brands 10,00 29 gen. 15 3,20 Italia Independent 26,00 28 giu. 13 41,69 KI Group 6,50 18 nov. 13 -54,00 Leone 4,80 18 dic. 13 -38,46 Lucisano Media 3,50 16 lug. 14 -44,00 Mailup 2,50 29 lug. 14 25,92 Mc-Link 7,65 22 feb. 13 -10,00 Methorios 1,40 14 lug. 10 -59,29 Microspore (ex Sacom) 9,70 24 apr. 13 -72,89 Mobyt 2,40 5 mar. 15 -0,83 Modell. Brambilla 2,50 5 dic. 14 9,20 Mondo TV France 0,11 25 mar. 13 67,93 MP7 Italia 2,50 7 lug. 14 -29,20 Net Insurance 20,10 19 dic. 13 0,10 Neurosoft 7,60 8 mag. 09 -13,49 Notoriious Pictur 3,00 23 giu. 14 -11,00 Plt Energia 2,70 4 giu. 14 -24,81 Poligraf. Printing 1,03 16 mar. 10 -84,50 Primi sui motori 22,00 26 lug. 12 - 42,18 Rosetti Marino 30,00 12 mar. 10 22,07 Ruota 1,00 30 lug. 12 -17,95 Safe Bag 2,25 12 set. 13 -36,00 Soft Strategy 0,00 9 ago. 11 - Softec 16,00 5 mar. 12 -43,75 Sunshine Capital 1,00 24 gen. 14 -10,00 TBS Group 2,50 23 dic. 09 -30,44 TE Wind 1,25 11 ott. 13 -33,92 Tech-Value 4,15 5 ago. 14 -32,29 Tecnoinvest 3,40 6 ago. 14 -2,94 Triboo Media 4,00 11 mar. 14 -1,00 Valore IT Hp 0,00 28 apr. 11 - Visibilia (ex Pms) 6,40 16 mar. 10 -92,81 Vita 0,94 22 ott.10 -86,04 Vrway 5,34 23 lug. 09 -76,59 WM Capital 1,00 23 dic. 13 0,00 Analisi delle 60 società quotate in ordine alfabetico con performance dal collocamento, in valori percentuali Nota: le variazioni sono state calcolate dal prezzo Ipo salvo i tre titoli Imivest, Soft strategy, Valore it, dove la prima quotazione era sul vecchio mercato MAC; sono quindi calcolate dal primo prezzo di chiusura

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