Origine Del Termine L'effettiva Origine Del Lemma È Ancora Oscura
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Mafia 1 Mafia Tommaso Buscetta, mafioso pentito che collaborò con il giudice Giovanni Falcone. « La mafia non è affatto invincibile; è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. » (Giovanni Falcone) Mafia è un termine con cui ci si riferisce generalmente ad una particolare e specifica tipologia di organizzazione criminale. Il termine venne inizialmente utilizzato per indicare una organizzazione criminale originaria della Sicilia e con ramificazioni anche negli Stati Uniti, più precisamente definita come Cosa Nostra, parola che divenne pubblica al mondo durante il processo al primo pentito della mafia italoamericana, Joe Valachi. Origine del termine L'effettiva origine del lemma è ancora oscura. La prima volta che compare ufficialmente accostato al senso tuttora in uso di organizzazione malavitosa o malavita organizzata è in un rapporto del capo procuratore di Palermo nel 1865, Filippo Antonio Gualterio. Una precedente apparizione in Sicilia si ha due anni prima, nel 1863, nell'opera teatrale I mafiusi de la Vicaria, ambientata nel carcere della Vicaria di Palermo e scritta da Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca. Da questa rappresentazione si dovrebbe la diffusione di termini quali mafia, omertà e pizzo in Italia. La presenza di tale vocabolo quindi sarebbe precedente al 1865 e difatti, secondo il Pitrè[1] il termine mafiusu indicava una persona, un oggetto o un ambiente "di spicco" e nell'insieme abbia un non so che di superiore ed elevato (...) Una casetta di popolani ben messa, pulita, ordinata, e che piaccia, è una casa mafiusedda e solo dopo l'inchiesta del procuratore palermitano è obbligata a rappresentare cose cattive. Tuttavia il Pitré non ne chiarifica la sua origine. A causa della dominazione araba della Sicilia, si è cercata l'origine del vocabolo mafia - spesso forzatamente e senza chiari riscontri - proprio nella lingua dei dominatori, ciò anche perché questo vocabolo in effetti non sembra facilmente accostabile a termini di origine latina o greca. Teantativo etimologico che ovviamente presuppone un'ipotetica origine siciliana delle principali organizzazioni di questo tipo. Così secondo Diego Gambetta il vocabolo mahyas = spavalderia, vanto aggressivo)[2] o, come propone il Lo) ﻣﻬﻴﺎﺹ originario potrebbe provenire dall'arabo marfud = reietto)[3] da cui proverrebbe il termine mafiusu, che nel XIX secolo indicava una persona) ﻣﺮﻓﻮﺽ ,Monaco arrogante, prepotente, ma anche intrepida e fiera[4]. Tuttavia tale origine è messa in discussione dal fatto che non è dimostrato, né attestato l'uso del vocabolo in questione prima della seconda metà del XIX secolo, lasciando quindi 8 secoli di silenzio. In merito a ciò ricordiamo Mafia 2 quanto scritto già nel 1853 da Vincenzo Mortillaro nel suo Nuovo dizionario siciliano-italiano[5] per Mafia: Voce piemontese introdotta nel resto d'Italia ch'equivale a camorra. Nel 1959, quando il fenomeno era ormai diffuso e aveva già subìto l'evoluzione storica della Seconda Guerra Mondiale, Domenico Novacco[6] invitava ad una lettura critica del passo di Mortillaro, in quanto a suo dire la "boutade" del Mortillaro (...) era emessa nel solco d'un filo autonomistico siciliano antiunitario che dava ai sabaudi il demerito d'aver introdotto nella immacolata isola cattive tradizioni e tendenze paraispaniche[7]. Leonardo Sciascia, in un suo studio apparso nel 1972 su Storia illustrata,[8] ricostruisce con molta attenzione l'origine del termine mafia. Riprende anche la teoria in merito all'introduzione del vocabolo nell'Isola ricondotta all'unificazione del "Regno d'Italia" espressa da Charles Heckethorn[9], ripresa poi dall'economista e sociologo Giuseppe Palomba, il termine «MAFIA» non sarebbe altro che l'acronimo delle parole: «Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti». Fino a che punto sia fondato questo studio, rimane però da considerare il significato antropologico non privo di valore riguardo a un'organizzazione segreta a specchi capovolti che sarebbe nata nell'isola con finalità più o meno carbonare[10]. Sempre con un acronimo il giornalista Selwyn Raab tenta di spiegare in un romanzo storico le origini della mafia, riallacciandosi al mito dei Beati Paoli e ai precedenti moti antifrancesi durante i cosiddetti Vespri siciliani come già fece in sede di interrogatorio Tommaso Buscetta, facendone derivare la frase "Morte Alla Francia Italia Anela"[11]. Ovviamente appare del tutto inusuale che nel XIII secolo si potesse parlare nel Regno di Sicilia la lingua italiana, al punto da usarla per la realizzazione di un acronimo, costume più sovente delle rivolte popolari e dei moti carbonari del XIX secolo. Secondo Santi Correnti[12], che pure rigetta le origini del termine dall'arabo, sarebbe un termine piuttosto recente, forse derivato dal dialetto toscano, trovando un riscontro nella parola maffia. Di simile avviso Pasquale Natella[13] che ricorda come a Vicenza e Trento si usasse il vocabolo maffìa per indicare la superbia e la pulizia glottologica (...) va subito applicata in Venezia ove a centinaia di persone deve essere impedito di pronunciare S. Maffìa (...). La diceria copriva, si vede, l'intera penisola e nessuno poteva salvarsi; in tutte le caserme ottocentesche maffìa equivaleva a pavoneggiarsi e copriva il colloquio quotidiano così in Toscana come in Calabria, dove i delinquenti portavano i capelli alla mafiosa. Sul piano storico e antropologico va comunque osservato che in origine al fenomeno, attecchito sul territorio siciliano, veniva assegnato proprio questo termine esteso poi alle potenti organizzazioni associative a livello mondiale. Rimane comunque il fatto che nell'uso comune il termine mafia è ormai diffuso su larga scala. Per antonomasia e senza qualificazioni si riferisce tuttavia all'organizzazione che ha avuto origine nell'isola come insieme di piccole associazioni sviluppate in ambito agreste. Tali aggregazioni rette dalla legge dell'omertà e del silenzio consolidarono un'immensa potenza in Sicilia e riemersero dopo la seconda guerra mondiale[14]. Analisi La mafia in certi casi adotta comportamenti basati su un modello di economia statale, ma è parallela e sotterranea. L'organizzazione mafiosa trae profitti e vantaggi da numerosi tipi di attività criminali. I capimafia (spesso a causa della latitanza) comunicano principalmente in modo scritto, con i pizzini, poiché non sempre sono in grado di comunicare di persona a tutti i loro sottoposti (capifamiglia, picciotti). Un'organizzazione di potere Le analisi moderne del fenomeno della mafia la considerano, prima ancora che una organizzazione criminale, una "organizzazione di potere"; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare politici, nonché del supporto di certi strati della popolazione. Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite. Quindi il termine "mafioso" può essere utilizzato nel linguaggio comune per definire, per esempio, un sindaco che dia concessioni edilizie solo ai suoi "amici" o un professore universitario che fa vincere borse di studio a persone Mafia 3 anche eventualmente valide ma a lui legate, o la nomina da parte di un governo di altissimi dirigenti anche eventualmente capaci ma "politicamente vicini" alla maggioranza di cui il governo è espressione. Rapporti con la politica Molti politici sono stati indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, tra cui Renato Schifani, Marcello Dell'Utri, Salvatore Cuffaro, condannato in via definitiva a 7 anni di reclusione. Giulio Andreotti ha avuto rapporti con la mafia, ma è stato prescritto. Luciano Violante ha affermato che il colonnello Mario Mori gli aveva detto che Vito Ciancimino voleva incontrarlo.[15] Molti comuni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa. Organizzazioni di stampo mafioso in Italia In Italia il fenomeno mafioso ha assunto diversi caratteri e ha acquistato forme diverse, con strutture e codici seppur simili diversi da regione a regione e talvolta da provincia a provincia. Accade anche che la distribuzione - e relativo controllo - territoriale appaia complesso e in continua evoluzione e talvolta anche singoli quartieri della medesima città conoscano diverse tipologie organizzative. Complice di questo spezzettamento è l'organizzazione a clan delle principali mafie e dei gruppi mafiosi. I clan spesso hanno legami di tipo familiare e questo fa sì che le attività dell'organizzazione rispecchino gli interessi di una determinata famiglia. In Italia le organizzazioni principali si concentrano soprattutto nel Meridione, dove la diffusione dei gruppi di stampo mafioso è capillare, anche se non mancano organizzazioni simili o colluse con le principali mafie al centro o al nord Italia. Alcune di queste organizzazioni sono Diffusione dell'estorsione mafiosa nelle province storicamente insidiate nei rispettivi territori, ma quasi tutti i fenomeni italiane nell'anno 2008, secondo un sondaggio di [16] non vanno oltre il XIX secolo. Una singolare prospettiva è quella Confesercenti . offerta dalla Camorra, unica vera eccezione, fenomeno malavitoso diffuso in Campania, ma che secondo alcuni autori avrebbe un'origine da ricercarsi altrove[17]. Difatti l'uso del termine camorra sarebbe attestato già nel XVII secolo[18], mentre la derivazione etimologica da gamurra ribasserebbe ulteriormente la sua esistenza fino al Medioevo[19]. Dal passo del Mortillaro[5] si