NUMERO/247 in edizione telematica 14 settembre 2017 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

Dopo gli esaltanti risultati ottenuti, meglio, conquistati ripropongono all’infinito sperando che lo Stellone prima quest’anno in campo internazionale dalla nostra atletica o poi ci ridia una mano sembrano non avere le presa nel suo complesso c’è da rimanere sgomenti … . Non si sa nemmeno più cosa diavolo scrivere. Si fa Di idee nuove se ne vedono poche e spesso assai vaghe presto dire: “Non vi preoccupate, siamo pronti per un e la risposta alla crisi è ancora lontana e purtroppo anche grande futuro. Non vedete quanti atleti giovani e complicata anche da difficili rapporti con i club militari promettenti stanno arrivando” come ci ricordano con che vogliono continuare a fare gli affari loro evitando di puntiglioso sussiego ed ottimismo immarcescibile i dotti assumersi responsabilità dirette in ambito FIDAL rettori dell’atletica condizionandone parecchio italica. l’azione. Senza dimenticare che Il loro compito post queste situazioni catastrofe mondiale (e comportano crescita di dopo le non meno malumore nelle altre significative mini rotte società che si ritengono individuali nei meeting piuttosto figliastre. internazionali che contano) è stato, non E che dire dell’anarchia , quello di recitare un fin troppo evidente , onesto quanto definita nobilmente come doveroso “mea culpa” autogestione, che da anni ma quello di caratterizza la Federazione narcotizzare le con interferenze d’ogni polemiche in tutte le genere e colore da maniere possibili camarille che prendono le cominciando con il far proprie decisioni in mancare materiale informativo. Parlano poco con i autonomia, atleti che pretendono di gestirsi come giornalisti , evitano di farsi vedere troppo in giro meglio credono? Sull’argomento ne parleremo a fondo (quando lo fanno, lo fanno con l’immancabile nelle pagine interne. Qui per ora ci limitiamo ad una stereotipato sorriso sulle labbra) mentre le società semplice considerazione. Magari nostalgica ma coerente. militari (che si voglia o no, sono l’atletica azzurra) “consigliano ” i propri atleti di non esser troppo loquaci. Infatti ce li ricordiamo o no i tempi in cui la Federatletica Quando poi non possono proprio esimersi dal dire era una struttura, scusate il termine, granitica, guidata qualcosa sull’argomento, i nostri soloni federali (tali un con mano sicura da un capo che decideva ? E decideva po’ per arte ed in parte per pecunia) si presentano come i perché sapeva e decidere. E lo poteva fare anche perché soli salvatori della patria. supportato da gente con gli attributi. Un esempio per tutti:l’addetto stampa, che per la cronaca era il nostro Così , facendo proprio uno dei motti tanto consoni alla Augusto Frasca, contattava soventissimo i giornalisti, nostra cultura tipo “scurdámmoce 'o passato, simmo 'e anche quelli della stampa non specializzata e quelli di Napule paisá!” , si presentano dicendoci che “da oggi in come il Brivido Sportivo su cui scrivevo allora, poi faremo grandi cose”.Ma perché non l’hanno fatto per tenerli al corrente sui fatti di vita quotidiana sulle prima? E sì che di tempo, mezzi e potere ne hanno avuti.. novità dell’atletica nostra. In realtà le persone che guidano l’attuale atletica non Erano altri tempi direte voi, sì erano i tempi di Nebiolo. hanno la capacità di avanzare proposte che non siano quelle d’un passato ormai remoto e le ripetono e le Giors

SPIRIDON/2

RASSEGNA STAMPA

L'Europa, e non i nazisti da soli, ha ucciso oltre 6 milioni di ebrei e li ha rimpiazzati con 20 milioni di musulmani. Oggi nel mondo vivono un miliardo e 200 milioni di islamici contro 14 milioni di ebrei, pari allo 0,02 per cento della popolazione mondiale. Tutti i musulmani del mondo hanno ottenuto 7 premi Nobel. Lo 0,02 per cento dell'umanità ebraica ha ricevuto 129 premi Nobel nell'arte, nelle scienze, nell'economia, nella medicina. Per i camini di Auschwitz è andata in cenere una civiltà di altissimo valore rimpiazzata da chi addestra i bambini ad uccidere, fa saltare treni, scaraventa camion sulla folla, aerei contro gli edifici e si vanta di macellare e sgozzare donne e bambini. Non tutti gli islamici sono terroristi. Ma tutti i terroristi sono islamici. E noi abbiamo scambiato cultura contro odio fanatico, abilità creative contro abilità distruttive, intelligenza con arretratezza, ignoranza e distruzione. Gli arabi non hanno inventato l'algebra, l'hanno copiata dagli indiani. Non hanno inventato l'irrigazione, l'hanno copiata dai romani. I grandi filosofi musulmani Averroè e Avicenna rimaneggiavano Platone e Aristotele. E noi qui a chinare la testa temendo di sembrare islamofobi… Paolo Guzzanti, sul Giornale di sabato 26 agosto.

Il 28 agosto, lunedì, c'è stata una riunione internazionale a Parigi cui hanno partecipato i Capi di Stato e di Governo di quattro nazione dell'UE, Francia, Germania, Spagna e Italia. Il tema, visto all'ingrosso, era quello del rapporto tra l'Europa dell'Unione Europea e l'Africa del nord e del centro occidentale, dal Ciad al Niger e a tutti i paesi minori a sud della costiera mediterranea… L'incontro è stato il primo sul tema Europa-Africa, ma ce ne sarà tra pochi giorni un secondo e poi finirà con l'insediare una sorta di organo permanente di intervento e di gestione d'un tema che sopporterà allo stesso tempo pace e tempesta ma che si proporrà una finalità nobile e positiva per un verso, combattuta e sanguinosa nell'altro. Il finale sarà sicuramente positivo (o almeno è questo ciò che penso) ma richiederà una trentina d'anni a dir poco prima che i risultati si stabilizzino al punto massimo che avremo finalmente raggiunto. Eugenio Scalfari, su La Repubblica di giovedì 31 agosto.

Con l'Unità d'Italia, Roma si era sollevata al rango delle capitali europee. Ora è una città in stato di abbandono. Le strade sono intransitabili a causa delle buche. Nei casi più gravi, vengono tenute chiuse per evitare incidenti, ma così impedendo alla gente di raggiungere le proprie abitazioni. Vi sono lavori pubblici che attendono da quarant'anni d'esser fatti. Per la pulizia di strade e giardini, in molti casi diventati pattumiere, si ricorre al . Se un albero crolla, lo si circonda con qualche segnale di pericolo e lo si lascia per terra. Alcuni luoghi pubblici, anche i portici delle principali basiliche, sono intransitabili perché vi sono persone accampate che hanno fatto della strada la propria casa. Abusivi, questuanti e lavavetri in ogni angolo. Tolleranza e incuria regnano sovrane. I trasporti pubblici non funzionano, per cui si ricorre ai mezzi privati, con conseguenza gravi per traffico e ambiente. I vigili urbani sono da tempo un'entità astratta. Gli amministratori locali vivono sulla luna, invece di girare per le strade e constatarne le condizioni. Sabino Cassese, sul Corriere della Sera di venerdì 1 settembre.

Fiat-Chrysler Automobiles ha più che raddoppiato in un anno il valore in borsa, mentre a Wall Street la General Motors è scesa nello stesso periodo da 56,4 a 51 miliardi di dollari e Ford da 48 a 44. In Europa, Volkswagen, numero uno continentale, ha lasciato sul campo il 5,5 per cento del valore. Secondo Goldman Sachs, Fca potrebbe raddoppiare di nuovo rispetto alla performance attuale, questo grazie alla valorizzazione dei marchi Alfa Romeo, Maserati e Jeep, e all'interesse manifestato da aspiranti compratori, cinesi e non. In altri termini, la strategia di Marchionne continua a dare frutti anche ora che l'amministratore delegato ha confermato l'uscita per l'inizio del 2019, quando firmerà l'ultimo bilancio. Chi sta facendo i conti in tasca a Marchionne, come è giusto per le società quotate, calcola che quando lascerà la guida l'ad si sarà portato a casa oltre 100 milioni di euro. Si prevedono già commenti scandalizzati, magari accompagnati anche dal refrain di quanto la Fiat è costata allo Stato italiano. Errore, per quanto riguarda Marchionne: sotto di lui, a differenza delle precedenti gestioni, non ci sono stati incentivi pubblici. Piuttosto sarà bene pensare a quanto Fca ha fatto guadagnare ai piccoli investitori, agli operai, con i bonus di produttività, all'occupazione: tutto ciò di cui populisti e sindacalisti da talk-show si ergono a difensori. A sproposito, come sempre. Sul Foglio di sabato 2 settembre. K.Daifanto

NUOVO PRIMATO DI DEMATTEIS

Bernard Dematteis, nazionale azzurro e vicecampione mondiale di corsa in montagna, ha stabilito il nuovo record ufficializzato dalla FICR – Federazione Italiana Cronometristi , di ascesa al Monviso, fermando il cronometro in 1h40’47” e battendo così il precedente primato appartenuto a Dario Viale, risalente a 31 anni fa. Nel 1986 fu infatti Dario Viale, a percorrere in 1h48’54” i 1.821 metri di dislivello positivo tra la sorgente del Po a Pian del Re, a quota 2.020 metri, e la vetta del “Viso” a 3841 metri. Non ce l’ha fatta ad accompagnarlo fino alla vetta del “Re di Pietra” il gemello Martin, che è arrivato cinque secondi oltre il crono di Viale.

SPIRIDON/3

fuori tema

Da sciocchi attendersi grandi novità dalla riunione federale, chiusa da qualche ora, concentrata sull'analisi dei risultati dei Mondiali di Londra e sulle misure da assestare, più che in prospettiva olimpica, come sottolineato, più realisticamente in vista degli impegni più vicini, vale a dire i campionati europei di Berlino della prossima stagione estiva. Sintomo di diffusa confusione in ruoli e responsabilità, oltre che esilarante parentesi di collettiva presa in giro, molto s'era già compreso all'indomani di Londra con la sorprendente intervista rilasciata sulla Gazzetta da Elio Locatelli nello stesso giorno in cui era programmato l'incontro della dirigenza federale con il presidente del Coni. Già l'incipit era stato folgorante: <>. Adesso, dopo l'ultima riunione plenaria, e i relativi comunicati, nulla di rivoluzionario, ecco i risultati: rigore (?), responsabilità degli allenatori personali, periodi di verifica con i tecnici di struttura presso i centri federali (con un dettaglio da apprezzare, il ritorno dell'abbinata lessicale Centro di Formia-Bruno Zauli) non inferiori ai sette giorni mensili, interventi di tecnici di spessore internazionale nelle varie specialità. Tutto ciò, mentre nelle varie sfere territoriali, insieme con candidature più o meno esplicite volte a farsi avanti per successioni future, crescono collateralmente in progressione geometrica, in quantità e qualità – non ultima quella di Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, resa nota dall'inappuntabile Trekkenfild degli amici Brambilla-Perboni – correnti di pensiero francamente in forte disagio dinanzi alla crisi della disciplina e non raramente inclini a rendere visibile un malcontento generalizzato, anche se alla base è in buona sostanza finora sempre prevalsa una sorta di non expedit papale di radice ottocentesca: libertà di pensiero e dialettica dall'esterno, ma nessun proposito di coinvolgimento nelle faide federali, interne ed esterne, ufficiali ed ufficiose. Sul fronte delle cronache, due buone notizie: il successo registrato nelle scuole della proiezione della pellicola Una storia semplice, rievocativa della meravigliosa figura di Anna Rita Sidoti, e il premio speciale assegnato dall'Associazione europea di atletica a Roberto Luigi Quercetani per il quasi secolare impegno volto a ricostruire, con una costanza di indagine e uno spessore documentativo probabilmente ineguagliati, la storia dell'atletica mondiale. Sui fronti provinciali, si riporta l'affermazione di De Cecco, come noto disinvoltamente inserito ai vertici organizzativi dell'Uisp, alla Notturna di Lanciano, strano miscuglio di atleti squalificati, di tesserati sotto l'imbarazzante etichetta di No Doping Team e di Libera – associazione guidata da un prete che abbiamo scoperto capace (che grande invenzione, talora, Internet!) di prendere a calci e schiaffi un collaboratore richiamante il rispetto delle regole del lavoro – la stessa coprotagonista tempo addietro della complicità mediale nei confronti dei due compari Donati-Schwazer e del miserere lanciato urbi et orbi sui (a)social, proponente una colletta a favore del marciatore, la bugiarda 'vittima di complotti' possessore, in opposto al conclamato stato di indigenza, di un conto in banca, comunque guadagnato con la sua attività agonistica, lecita o illecita che fosse, superiore ai settecentomila euro. Saltando a Venezia, durante il Festival del cinema è stata ricordata, recentemente scomparsa, Maria Pia Fusco e la sua lunga attività giornalistica. Conosciuta nei circoli culturali delle prime stagioni universitarie, ne entrai nuovamente in contatto mentre ero impegnato con Vanni Lòriga alla ricostruzione dei Giochi del '60: Maria Pia aveva fatto parte del gruppo di giovani liceali e universitari romani ingaggiati come annunciatori nelle varie fasi olimpiche. 141 i selezionati dei 1.387 candidati, 92 per la lingua inglese e 49 per il francese, addestrati da Vito De Anna, speaker principe della Rai, affiancato per la terminologia tecnico-sportiva da Vito Rigassi della Radio svizzera, utilizzati dopo aver frequentato uno speciale Corso Giudici della Fidal e superato il decisivo banco di prova in occasione delle Universiadi torinesi del 1959. [email protected]

SPIRIDON/4

Adesso saremo più rigorosi: questo il succo del programma che vorrebbe rilanciare l’atletica italiana, raramente scivolata in basso come ora. E’ l’ultima spiaggia della presidenza Giomi, che ha avuto bisogno di cinque anni per rendersi conto di una situazione purtroppo anche complicata che – qualche maligno “nemico” del nostro sport – andava denunciando da tempo, inascoltato dallo stantio Consiglio Federale e da chi di dovere nell’inutile ruolo di “consigliori”. La parola d’ordine – che tra le righe ci pare leggere anche adesso – rimane “male il vertice, però abbiamo tanti giovani promettenti: diamo loro il tempo di crescere”. Peccato che siano parole che si vanno ripetendo da sei anni (limitandosi alla gestione Giomi, ma già prima era così…) e che nel frattempo siano affogati nel mare della mediocrità tanti talenti che facevano ben sperare e che, nell’ultimo ventennio, hanno fatto rimandare da un’Olimpiade alla successiva il ritorno dell’Italia atletica ad un ruolo che non sia solo di presenza. Una vocina, a questo punto, si fa strada per ricordare i tanti, troppi infortuni che hanno impedito di rispettare le attese. Verissimo: ma non sarà che la corda si spezza quando la si tira troppo? Abbiamo questo sospetto, così come quello che allenatori “fai da te” siano assurti troppo in fretta agli scranni federali. D’altronde, non è forse un vecchio adagio che i mediocri amano circondarsi di chi, valendo ancor meno, non possa rubare loro la poltrona? L’arrivo qualche mese fa di Elio Locatelli, pur sollecitando la collaborazione di tecnici stranieri affermati, finora non ha prodotto granché e fa sorridere amaro che si scopra adesso che più della metà dei cosiddetti atleti d’élite non solo non abbia raggiunto il traguardo minimo della partecipazione ai Mondiali di Londra, ma abbia anche disatteso i programmi a suo tempo concordati. Colpa dei manager? Colpa delle società militari? Senz’altro i primi hanno responsabilità non indifferenti, però è chiaro che ciascuno si muove come meglio crede finché non gli viene impedito. E qui entrano in ballo le società militari che, forti degli stipendi che pagano – e forse sarebbe ora che ne rispondessero anche ai contribuenti ... – non esercitano poteri di veto come sarebbe loro potere di fare, essendo rappresentate oltretutto nell’organigramma ffederale dal vicepresidente vicario. Altro capitolo riguarda chi va ad allenarsi all’estero e che non risulta lo faccia interamente a sue spese: stendiamo un pietoso velo se poi – vero Grenot? – decide anche di prendersi un anno sabbatico. Magari per preservarsi al palcoscenico degli anni pari non olimpici, ossia quello dei campionati continentali dove la concorrenza permette di fare anche belle figure, utili – quanto meno – a vivere poi di rendita. A chi capita di leggere Spiridon con regolarità non sfugge a questo punto che le cose dette non sono certo nuove, ma che in queste pagine si vanno ripetendo, naturalmente inascoltate, da anni. Così come della necessità di accentrare utilizzando i Centri Federali anziché decentrare come si è fatto cocciutamente in questo decennio. E dire che i ricordi dei giorni felici dovrebbero servire di indirizzo. Già, i ricordi. Ma quanti sono quelli che non sanno neppure cosa sia successo ieri e tanto meno si informano? Troppa fatica: figuriamoci poi se si tratta di andare a riscoprire le metodologie di chi allenava e vinceva. Ultima annotazione per un articolo molto interessante comparso su Sport Olimpico, a firma Gianfranco Colasante, e sul quale forse vanno fatte ulteriori riflessioni: per chi non l’avesse letto diciamo solo che l’atletica degli Stati Uniti d’America ha un bilancio federale pressoché pari – a livello di cifre, non di medaglie e risultati ... – a quello dell’atletica italiana. Nessun commento crediamo sia necessario. Giorgio Barberis

E’ passato da poco l’otto settembre, data che a molti giovani non dice nulla, ma ai vecchi sì: è il giorno in cui Badoglio firmò l’infausto e pasticciato armistizio che consegnò nel 1943 l’Italia ai tedeschi. Il Comune di Grazzano porta ancora il suo nome, anche se i partigiani cantavano “O Badoglio, o Pietro Badoglio, ingrassato dal Fascio Littorio, col tuo degno compare Vittorio ci hai già rotto abbastanza i coglion...” Ma settembre ha altre ricorrenze: fra poco sarà l’11, data che stavolta i giovani ricordano, la strage delle torri gemelle. Poi il 20, che dà il nome a molte vie d’Italia, ma che in pochi ormai sanno essere il giorno della presa di Porta Pia nel 1870, e della fine del potere temporale dei Papi. E così via, numero e mese, chi sa sa, e chi non sa pazienza. Il 25 aprile e il 2 giugno si salvano dall’oblìo perché sono ancora di vacanza, ma il 24 maggio (“Il Piave mormorava...”, entrata dell’Italia in guerra nel 1915) e il 4 novembre (anniversario della vittoria nel 1918) sono già dimenticati dai più, come il 5 maggio (“Ei fu siccome immobile...”, morte di Napoleone) e tanti altri. L’anno è punteggiato di date importanti, pubbliche e private, anniversari, compleanni, santi, madonne, tutte destinate prima o poi all’oblìo. Mi ha sempre colpito pensare come la storia abbia continuato a fluire, lenta e inesorabile come un ghiacciaio, anche durante le peggiori tragedie, guerre, pestilenze, catastrofi. C’è sempre stato un panettiere che si alzava di notte per preparare il pane, un contadino per mungere, “un cuoco a Salò” (F. De Gregori), un maestro e degli allievi per andare a scuola, un prete per dire messa e mille, mille mamme per badare alla famiglia. È quello, il mondo senza date. [email protected] – p.g.c.

SPIRIDON/5

Giomi chiede rigore. O rigori?

Un topolino partorito dalla montagna? Paragone inadeguato se si considera che la stima del numero dei ratti sembra raddoppiare il numero degli italiani da ultimo censimento. La disfatta azzurra ai mondiali di atletica merita un colonnino nelle varie sulla Gazzetta dello Sport? Non è colpa del quotidiano sportivo ma di chi ha indetto la conferenza stampa. Le colonne del titolo sono direttamente proporzionali all’importanza della notizia. E la notizia dov’è? Giomi che annuncia maggior rigore? Che fa entrare il quasi quarantenne Lingua (due fallimenti su tre nei grandi impegni internazionali) nel gruppo elite dell’atletica azzurra. Già la collocazione delle comunicazioni a distanza di tante troppe settimane dalla fine dell’evento dava l’idea del tentativo di far sbollire la pressione. Se possibile il finale di stagione dell’atletica azzurra tra l’altro è stato ancora più deprimente, come se il paziente avesse bisogno di una congrua respirazione bocca a bocca. Azzurri assenti degli ultimi meeting internazionali (non invitati? Già in vacanza premio dopo gli ultimi brillanti risultati iridati?). Che tristezza vedere Tamberi faticare sui 2.20 e la Trost sull’1.85. Un bel ritiro (di stagione) non fu mai scritto. La diagnosi di Tilli (“Non si cura un tumore con un’aspirina”) ci sembra mai congrua. Lippi e Prandelli dopo l’eliminazione dell’Italia dai mondiali di calcio al primo turno furono pronti a tirarne le conseguenze, dimettendosi. E furono dimissioni prontamente accettate dai presidenti federali del momento. Questa volta il mandante colpevole è il presidente federale Giomi perché non si poteva certo pretendere che il 74enne Locatelli (chioccia pro tempore di Baldini) potesse invertire un trend 2015-2016 che faceva intuire una fine nota. Così lo sport formativo più importante tra le discipline azzurre se la cava con blandi moniti e torna vegli hangar dei silenzio, senza provvedimenti d’urgenza che facessero almeno intuire la drammaticità del momento. Non c’è il deus ex machina, il salvatore della patria. Le deficienze sono strutturali e forse qualcuno ha interesse, per la conservazione del posto, che si torni a parlare dell’atletica nel maggio del 2018. La preparazione è un know how che si misura giorno per giorno. A parte la riattivazione dei centri federali secondo un planning moderno e aggiornato, bisognerebbe rompere lo schematismo del rapporto allenatore-presunto campione. Si insedia ai lanci Vizzoni. A far che? A insegnare ai discoboli come si lancia? A rifinire il quarantenne Lingua? L’investimento sui team leader non è riuscito. Ci spieghi Tamberi come è riuscito a imbolsire la Trost in capo a una stagione senza capo né coda, dal punto di vista tecnico-programmatico. Dunque per l’alto culliamoci l’anniversario del 2.03 della Di Martino, ripensiamo alla Simeoni e, se vogliamo, anche alla Fiammengo, l’ennesima occasione persa. Ci fidiamo di Giomi. “Ci vuole più rigore!! E lui dov’era gli ultimi anni di scellerata gestione? Forse ci vorrebbero più rigori ma qui non è un gioco come il calcio, non c’è un arbitro che ce li dia e soprattutto gratis. Daniele Poto

Coni Centro di preparazione olimpica di Formia Intervista Locatelli, programmatica, nello stesso giorno in cui avveniva ll'incontro della dirigenza federale con il presidente del Coni. Sintomatica, oltre che di presa in giro collettiva, dello sciagurato scollamento tra i vari rami della struttura insediata nei piani nobili di via Flaminia nuova. Grenot tornerà in Florida...e le fiamme gialle? Già l'incipit è folgorante: “Io ho le mie idee, e immagino (!) che il presidente Giomi avrà le sue: dopo Londra non ci siamo sentiti”. “Il mirino è puntato su Tokyo 2020... ciò non significa che agli stessi europei o ai mondiali di Doha non si possa essere competitivi”. La solfa di sempre. Sui dubbi emersi fin dal primo momento relativi alla gestione del settore tecnico federale e alla base – intero Consiglio federale, salvo smentite, responsabile – della dissennata decisione di dividere per gruppi di età i campi d'azione assegnati ad Elio Locatelli e a Stefano Baldini, non è mai stata fatta sufficiente chiarezza.

Le ipotesi sussurrate sono varie, non ultima che la permanenza del tecnico di Canale d'Alba nel cerchio magico della preparazione olimpica insediato al Foro Italico, come un'ospitalità prolungata o un pesce prossimo ad adulterarsi, fosse da tempo compromessa, con l'ennesimo rientro tra le mura più familiari dell'atletica quale soluzione, se non entusiasmante, accettabile. La versione più accreditata parla di un atteggiamento dubbioso di Stefano Baldini circa l'assunzione della gestione dall'a alla zeta: responsabilità eccessiva, opportunità, o necessità, di annullare, dinanzi alla complessità del ruolo, impegni personali collaterali, mancanza di garanzie di totale autonomia nella gestione malgrado le rassicurazioni presidenziali a fronte della presentazione di un progetto, partorito prima ancora delle assise elettorali, contemplante un tetto di sei milioni e mezzo di bilancio, comprensivo dell'ingaggio a tempo pieno di una serie di tecnici, progetto saltato in aria dinanzi ad alla riduzione di qualcosa meno di un terzo.

Dall'inesauribile serbatoio bibliografico di Ruggero Alcanterini, il recupero di una pubblicazione federale del 1962, Il Direttore Sportivo, 150 pagine, aggiornamento del 1° Corso per direttori sportivi organizzato a Roma nel novembre 1956 dal Comitato Laziale ed inaugurato nel Salone d'Onore del Foro Italico da Bruno Zauli. Scritti di Ottaviano Massimi (organizzazione federale), Alessandro Calvesi (preatletismo e allenamento), Bindo Riccioni (medicina), Narciso Macagni e Michele Perrone (regolamento tecnico), Cesare Bergonzoni (organizzazione di una riunione), Mario Bolletta (organizzazione di una società), Guido Vianello (propaganda). A Venezia, durante il Festival del cinema, è stata ricordata Maria Pia Fusco e la sua lunga attività giornalistica. Conosciuta nelle prime stagioni universitarie, la rividi mentre ero impegnato con Vanni Lòriga alla ricostruzione dei Giochi del '60: Maria Pia aveva fatto parte del gruppo di giovani liceali e universitari romani ingaggiati come annunciatori nelle varie fasi olimpiche. 141 i selezionati dei 1.387 candidati, 92 per la lingua inglese e 49 per il francese, addestrati da Vito De Anna, speaker principe della Rai, affiancato per la terminologia tecnico-sportiva da Vito Rigassi della Radio svizzera, utilizzati dopo aver frequentato uno speciale Corso Giudici della Fidal e superato il decisivo banco di prova in occasione delle Universiadi torinesi del 1959.

SPIRIDON/6

la sua morte ignorata dai media nazionale

Il nubifragio del 10 settembre a Palermo, dalla piena notte all'alba, ha innescato il panico, anche in via Pianell 11 sesto e ultimo piano. Pino Clemente e la moglie vedevano cadere la pioggia nella stanza da letto e nella cucina. I lavori di ristrutturazione, durati un mese circa, che avevano causato tanta fatica a Rita Lombardo Clemente, erano stati mal fatti? Intanto pioveva dentro, dopo i tuoni e il cielo color giallastro, e cercavamo su internet le informazioni meteo. Dal decubito leggo un messaggio inquietante di Lidia D'Angelo su Gigi Burruano. La signora Rita fa la finta di non riuscire a connettersi, per non sommare al panico il dolore. La famiglia Burruano, era incantata di Rita, alla quale Gigi dedicò una poesia. Il futuro attore, u 'nicu', Luigi come il padre, dentista rinomato con lo studio in via Ruggero Settimo, e Maria come la madre, di profonda religiosità. Gli altri Burruano: Gianni, Mario, Aida, Pina, Ciccio.Due episodi che sono emblematici. Pino Clemente, ex allievo del Gonzaga, fu incaricato di accompagnare la squadra di calcio a Messina, dove l'Ignatianum celebrava una ricorrenza nel segno dello sport, il 'guerriero della fede' Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dell'Ordine dei Gesuiti.Gigi Burruano era il 'nicu', all'andata e al ritorno il suoi leit motiv: le ragazze e in primo piano Alda Bruno che lo sovrastava in altezza, e di maggiore età.'Mister, è bona"! Alda Bruno sarà attrice, nel cast del regista Antonio Marsala, dalla coppia il figlio Stefano, notaio come il padre, nostro giovane amico.

A Messina, nelle partite Gigi al centro della difesa, il più piccolo di statura, dei calzettoni più lunghi. La vittoria fu merito suo, di Mario Burruano, di Randazzo, morti anzi tempo, e di una compagine affiatata, alla ribalta nel Gonzaga, il mensile dell'Istituto. Nel luglio del 1995, Pino Clemente all'Ars Medica di Roma, al primo mattino nell'attesa dell'anestesia, e nell'intervento neuro chirurgico del prof Emanuele La Torre.Rita riceve una telefonata e..."Peinu, una statua d'oro ti dovrebbero fare per quello che hai dato all'atletica". Sembrava Himan Roth, Lee Strasberg, quando parlava a Michael Corleone di Moe Greene, Alex Carro, che aveva ideato Las Vagas, città dei casinò ed era stato ucciso dal killer di Michael Corleone, Al Pacino.Gigi aggiunse: "Futtitinni e li fotterai a questi cornuti che ti stavano ammazzando". Peppino Clemente, figlio maggiore, nel viaggio in aereo aveva incontrato Gigi e lo aveva informato della operazione pessimamente riuscita al Neurochirurgico del Civico Luigi Maria Burruano e Carmelo Bene Carmelo Bene, il salentino di Campi Bisenzio, 1937-2005, grande attore teatrale, scrittore che affabulata e poeta, quando vide recitare Gigi Burruano, ebbe l'empatia, ricambiata: la mimica, le scansioni, la modulazione della voce. Anche Bene s'inebriava, ma, come testimonia la moglie, Giuliana Rossi, da cui ha divorziato: ''era troppo intelligente, beveva tanto whisky e un litro e mezzo di vino, ma nella scena era lucido e conquistava gli spettatori. Gigi si era assuefatto all'alcol, 'allitrato', suo conio delle bevute, riusciva a dare il meglio. Nel 2008 a Mondello affrontò l'ex genero che non dava gli alimenti all'amatissima figlia Gelsomina, da Rori Quattrocchi compagna anche nel teatro, che doveva mantenere i tre figli. Luigi Maria Burruano, designato come attore, volto e voce al capo mafia Bernardo Provenzano, in manette e processato con gravi imputazioni. In CorriSicilia, a lui recapitato nell'abitazione di Roma, dopo la scarcerazione,una Chiodata che sintetizziamo: "Figghiuozzu, iettala a buttigghia!"Palese il riferimento all'alcol. Dalla sorella Aida ho avuto il suo recapito, ha ricevuto CorriSicilia, l'ha letto e ha telefonato commosso: "Ti dedicherò una poesia sulla nostra Palermo, Aziza".L'aspetto ancora, spero di riceverla da Elio, il nipote che saltava con l'asta, allievo promettente di Michele Basile, caro a Carlo Spada, la testimonianza di Elio in Carlo Spada si diventa.

Il 2007 è stato l'ultimo anno di Pino Clemente a Scienze Motorie. Nel pomeriggio una intrusione nello scantinato di via Toselli, sede della Facoltà di Scienze Motorie.Aldo Siragusa, 'nasca tisa' la band, Elio e Martino Lo Cascio. Gli allievi e le allieve trepidavano nell'attesa di Luigi Lo Cascio, che non arrivò. Elio e Martino all'uditorio: "I picciotti abballanu e io mi alleno!" Mia madre ricordava a noi bambini Pino Clemente e ci esortava ad imitarlo, siamo cresciuti con questo esclamativo". Il motto-metafora fu ripetuto dai Lo Cascio allo Stadio delle Palme Vito Schifani durante la presentazione del libro di Roberto Weber (1). Il padre dei Lo Cascio, Aldo, è stato marciatore di buon livello regionale. Bruno Lo Cascio, il fratello, proclamato da Mike Bongiorno 'cervello elettronico'. Bruno, di nome e di capelli, ascendenza araba, ventenne, il 26 settembre 1957 sbancò Lascia o raddoppia?, rispondendo a tutte le domande sull'atletica, premio 5 milioni 200 mila lire. Gigi Burruano si appassionava all'atletica, il suo guru Franco Bettella, nella foto Gigi che ride, Bettella e Pino Bommarito, olimpiaco a Roma 1960. Gigi Burruano, Renzo Barbera, Roberto Ciuni e la rubata La 'bicchierata' nella nave Gigi Burruano, coi calzoni corti tifava per il Palermo. Nella maggiore età il tifo era una malattia e i suoi commenti e le sue 'cornutiate' agli arbitri e ai rosa nero infiacchiti davano coloritura teatrale alle T.V. locali che se lo contendevano. Seguiva le partite da ultras, scamiciato anche con il malo tempo. In sintonia con

SPIRIDON/7

Benvenuto Caminiti che condivideva nella 'curva' il 'fuoco' della tifoseria più accanita, a volte becera, a volte umoristica. Nel Campionato 1973-74 il Palermo era assestato a metà classifica nella , concluse al settimo posto. Nelle gare di Coppa Italia la squadra, allenata da Corrado Viciani fautore del 'gioco corto' (2), eliminò tutte le avversarie e, sorprendentemente, si qualificò per la finale con il Bologna, squadra di , allenata da Bruno Pesaola, capitano Bulgarelli.

Il Presidente Renzo Barbera chiamò a raccolta i tifosi, capo popolo il suo amico Gigi Burruano. Come da tradizione, la finale all'Olimpico dove svetta il Cupolone. Si organizzò a prezzi modici il viaggio in nave, da Napoli a Roma si suol dire che tutti i Santi aiutano, perché tutte le strade portano a Roma. Renzo Barbera, poiché la nave era carica oltre il consentito, si assunse la responsabilità di irmare una liberatoria. Gigi, per galvanizzare la tifoseria, offrì da bere sbandierando 10 mila lire, come ricorda Ignazio Arcoleo, giocatore del Palermo e del Genoa e allenatore nel 1995-1998 del Palermo dei 'picciotti', tutti palermitani e siciliani.I palermitani urlarono dal primo al 120 esimo minuto, quando l'arbitro Gonella s'invento il rigore del pareggio. Dopo i rigori capitan Bulgarelli issò la Coppa. Gigi Burruano non risparmiò all'arbitro gli epiteti più ingiuriosi. Nella nave il dondolio non placò la rabbia. Gigi offrì ancora da bere a tutti.A poche miglia dall'arrivo al Porto il comandante presentò il conto a Gigi, che lo girò al Presidente Barbera. Gli allenatori dell'US Palermo, sezione Atletica, temevano ripercussioni. Erano in attesa dei 'picciuli', garantiti dall'assessore Pullara per risanare in parte le 'tasche' (il rimborso spese) di addetti e atlete. La visita al segretario del Palermo Camillo Bellomo confermò che per la sezione le casse erano vuote.Il gruppetto degli scalognati salì le scale del Giornale di Sicilia, bussò alla porta del Direttore e Presidente della sezione che era immerso nel coordinamento delle pagine.Roberto Ciuni ascoltò con un sorriso alla Alain Delon e: "Renzo Barbera è un mio amico, un nobile uomo, ma ha un difetto: è il più sfegatato tifoso del Palermo". Il giorno dopo Ciuni si dimise. La sezione proseguì nella sofferenza economica, la coalizione delle società, Atletica Pallavicino, Pol Beethoven, si dissolse. Si continuò con poche atlete, una in particolare, Margherita Gargano parteciperà all'Olimpiade di Montreal 1976, prima siciliana, con la maglia dell'US Palermo, come Giovanni Frangipane. Torniamo al commiato. Luigi Lo Cascio, accanto a mamma Aida: ''Ci ha fatto ammazzare dalle risate". Toni Sperandeo, Don Tano Badalamenti, I Cento passi: "Gigi, Gigi, Gigi lo spettacolo continua!" Luigi Lo Cascio ha raccontato che il regista Marco Tullio Giordana cercava l'attore che raffigurasse Peppino Impastato, l'inventore di Radio Aut che sbeffeggiava 'Don Tano seduto' e la mafia dei malaffari (droga e edilizia abusiva, pizzo). Il regista: "È Luigi Lo Cascio, giovane attore teatrale, nel ruolo di Peppino Impastato resterà nelle cineteche, con Gigi Burruano, tuo nipote!" -Mettilo alla prova.nel ruolo del padre.

1) Roberto Weber, 1952, Trieste. Esperto dei sondaggi, fondatore di SWG, dal 2013 Presidente di Ixè, richiesto dai talkes, Agorà, per verificare le tendenze e le percezioni sui fatti nazionali e internazionali. Un frammento da Perché correre: il corpo è il teatro della corsa. Ha molto gradito i libri delle scarpette Chiodate che, una pagina sì e una pagina sempre, hanno la corsa come fondamento. (2) Le trame dei passaggi per irretire gli avversari.Luigi Maria Burruano, lasciato il teatro, è stato protagonista e comprimario nelle fiction più coinvolgenti. Prima di cedere ad una crisi cardiaca: "Ho preso la vita a morsi!"

SPIRIDON/8

Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

Circa trent'anni fa, Miss Maria Ward di Huntingdon, con sole settemila sterline di dote, ebbe la fortuna di conquistare Sir Thomas Bertram, di Mansfield Park, nella contea di Northampton e di essere, in questo modo, elevata al rango di Lady, moglie di un baronetto, con tutti gli agi e le conseguenze derivanti da una casa sontuosa e da una rendita considerevole. Tutta Huntingdon commentò l'importanza del matrimonio, e suo zio, l'avvocato, ammise che le mancavano almeno tremila sterline per poter legittimamente aspirare a tanto. La giovane aveva due sorelle che avrebbero tratto beneficio dalla sua ascesa sociale… Da Mansfield Park, di Jane Austin (Steventon 1775- Winchester 1817), Economica Newton, Roma 1998.

L'acquedotto fa anche da ponte fra una montagna e l'altra. Le dieci arcate che scavalcano la valle se ne stanno tranquille nei loro mattoni secolari, e continuano a portare acqua corrente da un capo all'altro di Spoleto. Per la terza volta vedo un'opera costruita dagli antichi, e l'effetto di grandiosità è sempre lo stesso. Una seconda natura, rivolta alla pubblica utilità: questa fu per loro l'architettura, e nella stessa maniera si presentano l'anfiteatro, il tempio e l'acquedotto. Solo adesso avverto come avessi ragione nell'esecrare tutte quelle stravaganze, quali per esempio il Winterkasten sul Weissenstein, un nulla destinato al nulla, un gigantesco trofeo zuccherino, e così dicasi di mille e altre cose. Tutte cose nate morte, perché ciò che è privo di reale consistenza interiore è materia senza vita, non può avere né raggiungere la grandezza. Dal Viaggio in Italia, di Wolfgang Goethe (Francoforte sul Meno 1749-Weimar 1832), BUR, Milano 1991.

Due sere dopo Giovanni Drogo montò per la prima volta di servizio alla terza ridotta. Alle sei del pomeriggio si schierarono nel cortile le sette guardie: tre per il forte, quattro per le ridotte laterali. La ottava, per la Ridotta Nuova, era partita in precedenza perché c'era parecchia strada da fare. Il sergente maggiore Tronk, vecchia creatura della Fortezza, aveva condotto i 28 uomini per la terza ridotta, più un trombettiere che faceva 29. Erano tutti della seconda compagnia, quella del capitano Ortiz, a cui Giovanni era stato assegnato. Drogo ne prese il comando e sguainò la spada. Le sette guardie montanti erano allineate a piombo e da una finestra, secondo la tradizione, il colonnello comandante le osservava. Sulla terra gialla del cortile esse formavano un disegno nero, bello a vedersi. Il cielo spazzato dal vento risplendeva sopra le mura, tagliate diagonalmente dall'ultimo sole. Una sera di settembre, il vice- comandante, tenente colonnello Nicolosi, uscì dal portone del comando, zoppicando per un'antica ferita, e si appoggiava alla spada. Quel giorno era di servizio, per l'ispezione, il gigantesco capitano Monti; la sua voce rauca dette il comando, e tutti insieme, assolutamente insieme, i soldati presentarono le armi, con un potente scroscio metallico. Si fece un vasto silenzio. Da Il Deserto dei Tartari, di Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno 1906- Milano 1972), La Medusa degli italiani, Mondadori Editore, Milano 1945.

Restò sull'erba umida, di fronte alla sua tenda. Il sole al tramonto scherzava sulle sue tempie abbronzate e il vento della sera gli scompigliava la barba. Il desiderio del suo sguardo divenne rapacità mentre guardava in basso la lunga valle verde. La sua fame di possesso si fece passione. <<È mia>> cantava <>. Pestò col piede la terra soffice. Poi la sua esultanza divenne un acuto spasimo che gli attraversò il corpo come un fiume ardente. Si gettò col volto sull'erba e accostò la guancia agli steli bagnati. Le sue dita afferrarono l'erba bagnata, la strapparono e la strinsero ancora. I suoi fianchi batterono pesantemente la terra. La furia lo abbandonò, e rimase freddo, stupito e spaventato di sé stesso. Si levò a sedere e si asciugò il fango dalle labbra e dalla barba… Per un attimo la terra era stata la sua donna… Era stanco. Il suo corpo era indolenzito come se avesse sollevato una roccia, e quel momento di passione lo aveva spaventato. Su un fuoco davanti alla tenda cucinò la sua magra cena, e quando venne la notte sedette sul terreno e guardò le fredde bianche stelle, e sentì la terra palpitare. Il fuoco si spense e divenne carbone. Joseph sentì coyote gridare sulle colline, le piccole civette stridere passando, e intorno a sé sentì i topi dei campi che correvano tra l'erba. Poco dopo una luna color miele salì dietro le colline di levante. Prima di essere uscito dalle colline il volto dorato sogguardava fra grandi tronchi di pini. Per un attimo un pino nero e acuminato trafisse la luna, poi essa continuò a salire e se ne staccò. Da Al Dio sconosciuto di John Steinbeck (Salinas 1902-New York 1968), Oscar Mondadori, Milano 1980.

SPIRIDON/9

Casa Acsi Atletica: raduno nazionale a La Maddalena

Dal 21 al 28 agosto scorso nella splendida cornice dell’ isola di La Maddalena si è tenuto il Raduno Nazionale ACSI Italia Atletica per il settore giovanile e assoluto. Oltre 100 atleti provenienti dalle varie componenti della “costellazione” Acsi si sono allenati insieme, in base alle loro specialità, per dar modo ai loro tecnici di confrontarsi ed analizzare le prestazioni dei gruppi e dei singoli atleti.

Ospiti della Scuola Mariscuola di La Maddalena, le sedute in pista si sono alternate con incontri in aula che hanno portato a stabilire una programmazione tecnica unica per tutte le associazioni, con il coordinamento del direttore tecnico di Acsi Italia Atletica Mauro Berardi.

A fare gli onori di casa Ilaria Marras, consigliere di ACSI Atlethic Sport La Maddalena e direttore tecnico di ACSI Atletica Sport Toscana, che ha coordinato il raduno per la parte logistico- burocratica. Grazie all'impegno dell'Acsi maddalenina l’evento ha ottenuto un coinvolgimento della popolazione e delle istituzioni locali che è andato ben oltre le aspettative.

I giovani atleti e le varie compagini tecniche hanno iniziato il raduno con una cerimonia di apertura nella sala consiliare alla presenza del sindaco Montella, del comandante della capitaneria di porto, del comandante della scuola sottufficiali di La Maddalena, del commissario straordinario dell’Ente Parco ed altre rappresentanti degli Enti locali.

Alle consuete pratiche in pista, per tutti gli atleti, si sono aggiunti allenamenti in location abitualmente esclusive immersi in contesti naturalistici unici, con momenti di relax in barca tra le isole dell’arcipelago maddalenino. Gran finale di raduno con tutti i partecipanti protagonisti insieme di una manifestazione di “atletica in piazza” con salto in alto, salto in lungo e getto del peso. Per monitorare lo stato di crescita tecnica degli atleti e verificare lo stato di avanzamento della programmazione stabilita sono già in fase di preparazione altri due raduni a carattere nazionale, uno per l’inverno ed uno per la primavera 2018 rispettivamente organizzati a Roma, a casa ACSI Italia Atletica, e a Montelupo Fiorentino, dove opera ACSI Atletica Sport Toscana. (Jacopo)

Tre chilometri e mezzo, con circa 1.000 metri di dislivello positivo che Daniel Yeuilla divora in poco più di tre quarti d’ora. Un lungo sprint nella Valsavarenche, dal rifugio Tetras Lyre fino al Vittorio Emanuele, con traguardo posto appena sopra. Yeuilla parte indietro ed è costretto a inseguire. Solo al Vittorio Emanuele riprende la testa della corsa e inizia a imporre un ritmo elevato. È lì che incrementa il margine per vincere in 46’03”, una prestazione che non batte il record di Dennis Brunod (41’25” del 2015), ma che ritocca il limite fatto registrare nel 2016 da Henri Aymonod, quando chiuse in 46’24”. Alle spalle del vincitore è stata lotta serrata per il podio con quattro atleti racchiusi in 14 secondi. Secondo Mattia Ronconi, all’arrivo in 46’30” e terzo Francesco Carrara, tre secondi più lento. Quarta posizione assoluta per Massimo Gaggino in 46’40” e quinto Matteo Giglio in 46’44”. La gara femminile è andata a Chantal Vallet della Polisportiva Sant’Orso, ventottesima assoluta. La valdostana ha vinto in 54’44”, a precedere Katarzyna Kuzminska giunta in 55’04” e Ornella Bosco in 55’19”. Quarta piazza assoluta per Christiane Nex in 58’05” e quinta Denise Alleyson in 1 ora 02’11”.

SPIRIDON/10

Un’ altra porta che si chiude

Ci è stata segnalata un altro amaro colpo all’atletica italiana, o almeno, ad una delle manifestazioni “vetrina” dell’atletica del nostro Paese nel mondo. Parliamo della Maratona di Carpi, la “Maratona d’Italia”. Come si legge sul sito della Gazzetta di Modena, la Maratona sembra sia stata definitivamente cancellata in attesa della conferma ufficiale da parte degli organizzatori. La gara sarebbe andata in scena l’8 ottobre nella sua 30ª edizione. Invece nulla, niente maratona: le motivazioni non sono state rese note, ma si potrebbero facilmente rintracciare in qualche crisi di reperimento di fondi. Una gara che ha vissuto il suo periodo migliore dagli anni ’90 sino al 2012, dove si sono alternate vittorie prestigiose con tempi importanti. Proprio nel 2011 il record della manifestazione con 2h08’36” da parte dell’ugandese Nicholas Kiprono Kurgat. Maria Guida detiene invece il record femminile con 2h25’57”. Negli ultimi 4 anni le prestazioni si erano invece sensibilmente alzate (nel 2014 vittoria maschile con 2h41’06” e l’anno scorso 3h07’18” per la vittoria femminile).

Si pensava che il ragazzo proveniente dalla ASA Biagioli di Prato, considerata negli anni 1970, la succursale giovanile della fiorentina Assi Giglio Rosso, fosse stato uno dei tanti fenomeni che improvvisamente spuntano sui prati della nostra atletica, invece osservando la sua progressione iniziata nel 1981 quando aveva appena 18 anni, ci si accorse che Riccardo Fortini nato a Ponte a Signa alle porte di Firenze il 3 aprile 1957, un marcantonio alto 1.93 e 72 di peso (con un differenziale altezza record-statura di 27 centimetri), già nel 1974 a 17 anni, passato nelle fila della società maggiore, aveva superato i 2 metri (2.05), mentre l’anno dopo a 18 anni aveva saltato addirittura 2 metri a 16,misura che pochi potevano permettersi in Italia. Particolare non trascurabile: Riccardo calzava scarpe n. 47.Il ragazzo era allenato dal prof. Renzo Avogaro che insegnava all’Istituto Tecnico Industriale di Firenze, con preside l’ing. Giorgio Buti, il quale accortosi dei progressi straordinari che il ragazzo faceva ne aveva programmato la crescita in modo da poter puntare alla partecipazione dei Giochi Olimpici di Montreal del 1976, quando avrebbe avuto 23 anni.Ma Riccardo non voleva aspettare e il 9 maggio a Firenze, durante la fase di recupero del CdS superò inaspettatamente i m 2.21 che rappresentavano la terza misura di sempre oltre i 2,20 ottenuta in Italia, superato da Enzo Dal Forno, primatista con m. 2.22 e da Giordano Ferrari. La misura costituiva anche il muovo primato italiano juniores. Riccardo aveva cominciato la gara a m. 2,03 e quindi aveva superato in rapida successione i 2,08, 2,10, 2.13 e 2,17 e infine 2,21 sempre alla prima prova, Aveva avuto poi l’ardire di attaccare il primato di Dal Forno, ma , ormai deconcentrato aveva desistito dopo un primo tentativo malamente riuscito.La gara era stata programmata per il sabato ma fu interrotta per un temporale quando ai 2 metri erano rimasti in tre. Si riprese il giorno dopo e Fortini fece subito 2.02 poi proseguì e si fermò a 2.21, nuova miglior prestazione italiana e “minimo olimpico”. Il risultato sorprese i tecnici e fra questi Avogaro che aveva programmato per Fortini un lavoro per l’affinamento del suo “fosbury”, e che invece si vedeva tutto anticipato.Ma Fortini veniva dalla terra di Franco Bitossi, il ciclista chiamato “cuore matto” e quindi era sotto certi aspetti ingovernabile: quando era in pedana non lo teneva più nessuno. Con il m 2.21 di Firenze Fortini entrò nella lista dei migliori “under 20” di sempre guidata da Valeri Brumel (1961) con m 2,25 e della quale facevano parte John Thomas (Usa), Jack Wszola, Dwight Stone e altri fra americani e russi. In casa nostra la lista dei migliori era guidata da Enzo Dal Forno (2.22), Giordano Luciano Ferrari (2.20) e Erminio Azzaro (2.18)Il 18 maggio a Firenze si svolse il consueto meeting internazionale. Per Fortini sarebbe stato l’esordio in campo internazionale tanto che avrebbe incontrato l’americano Tom Woods, terzo al mondo dopo il primatista Stone e Brumel. Era l’occasione buona per dare l’assalto al primato di Dal Forno.Vinse il giovane polacco Wszola con m. 2,21 sull’americano Wood (2.19), mentre al terzo posto si classificarono lo statunitense Livers e il nostro bravo Fortini entrambi con m. 2,16.A Livorno il 13 giugno si disputò la seconda giornata dei campionati regionali. L’atleta dell’ASSi Giglio Rosso in quella gara che rimarrà “storica” cancellò dalla lista dei primatisti italiani Enzo Dal Forno, esibendosi al terzo tentativo oltre l’asticella dei m. 2,23, superando anche Rudy Bergamo che nel frattempo l’aveva raggiunto a m. 2.22Fortini stabilì quindi il nuovo primato italiano assoluto e quello juniores e si classificò al terzo posto nelle graduatorie stagionali europee e al nono in quelle mondiali. Adesso la sua preparazione era tutta rivolta ai Giochi di Montreal per i quali era stato giustamente convocato. L’emozione dell’olimpiade fu fatale a Roberto che il 30 luglio non riuscì a superare i m. 2,05, e così pure Raise, fallendo una qualificazione che riuscì invece a Bergamo che saltò m. 2.18 insieme ad altri sette concorrenti. Sarebbe bastato un salto normale per accedere alla finale olimpica vinta dal polacco Wszola (m. 2,25). Dopo l’esperienza olimpica Riccardo Fortini perse l’estro e anche la voglia di gareggiare. Problemi fisici e anche il divorzio dal suo allenatore storico, Renzo Avogaro, rallentarono la sua attività e dopo un paio di anni passati sotto le cure di Rinaldo Calcini, decise di abbandonare l’attività.Si impiegò presso un ente locale ma il male che lo affliggeva non lo abbandonò.Tempo fa ebbi modo di sentirlo al telefono per interesse del CONI, ma ebbi da lui delle risposte confuse ed evasive. Nell’agosto del 2009 Riccardo Fortini, il ragazzo del Ponte, ci lasciò con il rimpianto di tutti quanti lo avevano conosciuto e ne avevano apprezzato le straordinarie doti. (Pallicca)

SPIRIDON/11 e per concludere …

Un popolo di ‘cortomiranti’

“[Sull’Italia] Conosci la terra dei limoni in fiore, dove le arance d’oro splendono tra le foglie scure, dal cielo azzurro spira un mite vento, quieto sta il mirto e l’alloro è eccelso?” (Johann Wolfgang Goethe)

Goethe della nostra amata Italia scriveva questo. Noi italiani amiamo credere che sia così che ogni straniero vede il nostro paese. Siamo come affetti da una sorta di egocentrismo ai limiti dell’imbarazzante. E’ vero, ci piace lamentarci, ma per qualche motivo siamo convinti di essere l’invidia del mondo intero, che in ogni altro paese la gente non veda l’ora di essere come noi. Ogni qual volta si presenti una discussione, un confronto, ci guardiamo attorno e ci diciamo che chiunque vorrebbe vivere nella nostra terra, mangiare il nostro cibo, col nostro olio, il nostro vino, godere della nostra arte, della nostra musica e della nostra cultura. Siamo persuasi che ogni italiano frequenti l’Università, visiti mostre, suoni uno strumento, vesta Giorgio Armani e legga il Financial Times, mangi ogni giorno le tagliatelle fatte in casa, beva i migliori vini comprati a prezzi ragionevoli, cammini in centri storici immacolati, gusti il miglior espresso e sia impiegato in un lavoro estremamente gratificante, come il fashion designer. Mentre gli altri -gli stranieri- sono condannati dal tempo inclemente, dal grigiore della fabbrica, la fatica dello studio e la ripetitività della burocrazia, e appena possono vengono qua, nel Bel paese, a godere del sole e delle spiagge, a mangiare pasta al dente e a divertirsi coi giovani nelle discoteche della riviera. Insomma, che non ci sia nessun motivo per cui uno straniero non dovrebbe amare l’Italia e desiderare, nel proprio cuore, di poter consumare qui la propria esistenza, sorseggiando un ottimo vino invecchiato e perdendo lo sguardo nelle bellezze dei nostri paesaggi. Siamo convinti che non ci sia nulla di meglio. Ma -naturalmente- non è così. Questa visione, in declino ma sempre dura a morire, è sbagliata, controproducente, superficiale e al limite della xenofobia. E prima di renderci conto che non siamo il centro del mondo, dovremmo davvero capire che la realtà non è quella che crediamo. Non è così che il resto del mondo ci vede e non è così che siamo.

Sarebbe facile cominciare dalla corruzione. Perché, ci vada o meno, è davvero così che il mondo ci vede. Agli occhi del mondo l’Italia non è solo mandolino e baffi neri -stereotipi che già ci sono tanto odiosi- ma è, dopo il calcio, corruzione, corruzione e corruzione. E’ un paese in via d’imbarbarimento, è mafia, illegalità, chiusure, arretratezza, leggi ad personam, politica venduta, assenza di giustizia, più che un paese dei sogni, una repubblica delle banane. E se è vero che non siamo tutti dei ladri e dei disonesti, è vero anche che attributi del genere non a torto ci appartengono. Ci lamentiamo dei politici corrotti senza capire che possono truffarci grazie a un potere che noi gli abbiamo conferito. Non ci rendiamo più davvero conto che in Italia non sono i candidati a essere impresentabili, ma gli elettori. Come in una sorta di trance ripetiamo che “tanto sono tutti uguali, tanto sono tutti ladri” mentre affoghiamo in trasmissioni televisive al limite del demenziale. Cresciamo le nostre opinioni a pane e bugie, pane e inutile gossip politico senza riuscire a vedere che il dolore che proviamo al piede non è dovuto ad altro che alla zappa che noi stessi ci abbiamo tirato. Val la pena citare ancora Goethe, che della nostra amata Italia scriveva anche questo:

“L’Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole. Onestà ovunque cercherai invano, c’è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida, e i capi dello Stato, pure loro, pensano solo per sé.”

Sputiamo in faccia al nostro diritto al voto, “alla sovranità che appartiene al popolo” [Costituzione, art. 1] appropriandoci a torto del diritto alla lamentela. Come diceva Leopold von Sacher-Masoch, “Chiunque permetta lui stesso di essere frustato, merita di essere frustato”. Questa è la realtà: il nostro disinteresse ci ha trascinati in una politica masochista in cui chi addormenta il nostro cuore con le falsità più dolci acquista il diritto a far il proprio interesse sulle nostre ‘felici’ spalle. E se noi italiani per primi non abbiamo il coraggio, -o per meglio dire- la voglia di riscattarci, di estirpare dalla nostra povera Italia questa corruzione che la sta divorando, non abbiamo più alcun diritto di indignarci nel sentire barzellette straniere come “ ‘La conosci quella dell’italiano onesto?’ ‘No.’ ‘Neanch’io’”.

Ma non è solo questo. Nel cosiddetto ‘immaginario collettivo’, nella visione della gente comune, il nostro paese è come uno straordinario laboratorio di beni di consumo, in cui vengono concepiti i migliori articoli che allietano la nostra quotidianità. I due fondamentali settori del Made in Italy, vale a dire il sistema-casa e il sistema-persona. Ci sono le piastrelle, i mobili, i

SPIRIDON/12 marmi, l’illuminotecnica, i rubinetti e le macchinette del caffè, la cui venerazione si scopre all’ingresso del paese, a partire dal tassista, dal poliziotto, dall’albergatore, tutta gente semplice che ama l’Italia attraverso i suoi prodotti. Lo fanno anche i professionisti, gli ingeneri amano l’innovazione dei progetti, gli architetti le armonie delle forme, i tecnici il trattamento dei prodotti. E poi ci sono l’industria tessile, l’abbigliamento, le calzature, la pelletteria, la gioielleria… Infine i prodotti alimentari, che insieme alla nostra cucina completano l’idillio: l’Italia è un paese dalla straordinaria qualità della vita, invidiato, apprezzato, blandito e imitato. Ma naturalmente il quadro ha bisogno di molte correzioni. Innanzitutto, il Made in Italy non è frutto solo dell’ingegno. Ci sono fango, sudore e lacrime, nei nostri prodotti. Amiamo scomodare Michelangelo per ogni sciarpa, Raffaello per ogni cravatta, ma ci sono gli operai alle macchine, i custodi ai magazzini, gli autisti per i camion, i contabili, tutte persone che rendono realizzabile il sogno, che fanno vincente la scommessa della qualità, “del bello fatto bene”. Il genio non è solo ispirazione, è anche disciplina, che noi spesso sottovalutiamo e scordiamo di considerare. E non è tutto. Non basta concepire un articolo per sostenerne il mercato, né sono sufficienti le merci per suscitare ammirazione. Sono prodotti che vanno sostenuti, protetti, la cui qualità non deve essere abbandonata, la cui esclusività deve essere difesa. Non è difficile concedersi un esempio. Le Gallerie statunitensi, in cui prevale il senso della collezione privata, traboccano di meravigliose opere d’arte. Uomini ricchi e famosi celebrano il loro successo attraverso l’acquisto di quadri e statue. L’America, quasi priva di una storia artistica, sublima questa mancanza impadronendosi di capolavori che non sono frutto del suo passato, li mantiene, li espone, ne ha cura. E poi ci siamo noi, noi e la nostra amata Italia, che detiene il maggior numero di siti appartenenti al patrimonio dell’umanità, e molto, molto altro, che abbandoniamo la nostra arte, chiudiamo i musei per assenza di personale, costringiamo capolavori incommensurabili in cantine che puzzano di stantio, impolverati, sottratti al pubblico e spesso non ancora catalogati. E dunque è questa la domanda: chi ama davvero l’Arte? Chi l’acquista, la espone, ne ha cura, o chi l’abbandona, la lascia cadere a pezzi, la dimentica sotto uno strato di polvere e di ragnatele? Chi investe nella sua manutenzione, costruisce musei, assume storici e archeologi competenti, o chi lascia che quadri meravigliosi vengano rubati, ignorati e distrutti dal tempo? La gestione di Pompei dovrebbe essere sufficiente a spiegare la cosa. Dovremmo abbandonare l’idea degli stranieri buzzurri e bovari, e renderci conto che chi vuole realmente ammirare i capolavori italiani è spesso costretto ad andare all’estero. Non basta? Prendiamo in esame i prodotti gastronomici italiani. Ci crogioliamo nel compiacimento della nostra ottima cucina, gli spaghetti, i ravioli, la mozzarella, la pizza, i dolci. Eppure siamo incapaci di difenderli. Il mondo strabocca di marchi rivoltanti come Pizza Hut e Domino Pizza, è pieno di ristoranti che portano vergognosamente l’attributo di ‘italiani’, gestiti da messicani, indiani e bengalesi che l’Italia non l‘hanno mai vista e che osservando una cartina probabilmente si convincerebbero che la Corsica appartiene ancora al Bel paese. La leggendaria pizza italiana viene insultata da imbarazzanti invenzioni come la pizza coi würstel, con le patatine e con l’ananas. I nostri vini, spesso ormai ridotti a vergognosi ‘mischioni’ con coloranti e correttori di acidità, vengono prodotti allo stesso modo in Cina. Ancora una volta: chi ama il cibo italiano? Chi lo dissipa, chi non ha cura neppure di proteggerlo, o chi, pur arricchendosi, lo diffonde?

Non è il luogo di produzione a garantire la qualità, non è la provenienza a causare il tutto esaurito. Non basta la bellezza del nostro paese, ci vuole confort, sicurezza. Ci vuole qualità. E la qualità è anche poter parcheggiare con facilità, servizi pubblici puliti, un conto adeguato. Se per prendere un gelato tocca stare un’ora nella metropolitana di Roma, allora tanto vale non prenderlo, ché lo stesso gelato lo si potrà gustare l’anno dopo a Berlino. Se le strade sono un disastro, se l’illuminazione è carente, se l’ordine pubblico è inesistente le conseguenze sono immediate: gelatai, elettricisti, guide turistiche, così come storici, archeologi, studiosi d’arte, andranno a cercare lavoro dove c’è domanda, cioè altrove.

C’è un altro aspetto del Made in Italy che non deve essere dimenticato. Ci sono altri prodotti italiani, come i trapani, i torni, le macchine elettriche, la cui produzione è caratterizzata da qualità, lunga durata e prezzi ragionevoli, che sono stati condannati e tralasciati in quanto non sufficientemente ‘estetici’ -un tesoro trascurato a vantaggio di articoli più accattivanti- che per questo all’estero non sono affatto conosciuti. Eccetto gli addetti ai lavori quasi nessuno identifica l’Italia con la meccanica strumentale, l’opinione pubblica internazionale del nostro paese verte quasi totalmente sull’immagine della moda, dell’alimentazione e del calcio. Le nostre facoltà di Ingegneria valorizzano ogni anno talenti indiscutibili, eppure preferiamo diffondere il fascino della lingerie piuttosto che la complicazione di un centro di lavoro a controllo numerico. A oggi la meccanica incorre in un doppio ostacolo, la recessione in casa e la concorrenza dall’Asia, fenomeni che naturalmente sono estremamente collegati. E dunque, cosa può fare un ingegnere, o un meccanico? Andar dove c’è richiesta, e quindi non qui.

In conclusione, se da una parte l’immagine di corrotti e disonesti ce la siamo guadagnati, la simpatia generata dal nostro paese non ha poi risvolti utili. Siamo percepiti come gaudenti ma non possiamo permettercelo, immersi nella bellezza per quanto incapaci di tutelarla. Attenti in alcuni campi ridotti, e grossolani e distratti in tutti gli altri. Ci crediamo scaltri, ma siamo come l’uomo che mentre entusiasta taglia il tronco di un albero non si rende conto che molto presto gli cadrà addosso. Ci manca maturità, praticità, e serietà. Tra i molti classici, è doveroso citare la ‘massima’ di Winston Churchill:

“Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e le guerre come se fossero partite di calcio.” Marilena Carpi de’ Resmini

che amano giocare a golf ricordiamo che il 28 ottobre 2017 SPIRIDON ITALIA organizza al Golf & Country Club le Pavoniere di Prato

la XXV edizione del TROFEO DELLA LANA

S tratta d’uno Stableford ad hcp a categorie su 18 buche più speciale graduatoria per artiglieri in sevizio ed in congedo di cui alleghiamo programma: