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25 APRILE - 16 MAGGIO 2021 / APRIL 25 - MAY 16, 2021 “VOLVER” A CURA DI / EXHIBITION CURATED BY: ALESSANDRA REDAELLI “HASHTAG #SEI” A CURA DI / PROJECT CURATED BY: DAVID MELIS CATALOGO A CURA DI / CATALOGUE CURATED BY: PUNTO SULL’ARTE TESTI / TEXTS: ALESSANDRA REDAELLI E DAVID MELIS PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC PROJECT: CHIARA MOCCHETTI TRADUZIONI / TRANSLATIONS: CLAIRE ANGEL BONNER Copyright © PUNTO SULL’ARTE Copyright © ph Chiara Cadeddu - pagina / page 47, 53, 54 #HASHTAG #SEI VOLVER Giorgio Laveri è un uomo dalle molte vite. Si avverte sempre un della buonanotte perché lei se ne va a cena con papà. E tu la po’ di timore – quasi di sospetto – quando ci si avvicina a osservi, gelosa e rapita da quella trasformazione, pronta – non personalità poliedriche. La convinzione comune (dettata molto appena lei sarà fuori portata – a salire sulla sedia, forzare probabilmente da un banale: “Santo Cielo, ha già un dono! Non quell’armadietto e impadronirti del tubicino misterioso, dorato, potrà certo averne due o tre…!”) è che se sei bravo in un campo, certamente magico, per poi passartelo sulla faccia e vedere nell’altro non lo sarai altrettanto. E invece non è così: la storia è quella tua buffa caricatura di clown come il volto di una costellata di personaggi dotati di una carica creativa talmente principessa. Il rossetto per una donna è ancora più evocativo di strabordante da avere bisogno di più vie per esprimersi (Paul un paio di scarpe con i tacchi a spillo, più sexy della lingerie di Klee, per fare solo un esempio, era un notevole musicista, seta. È la chiave della trasformazione, il lasciapassare mentre la prosa eccentrica e fiorita di Salvador Dalí non ha nulla dell’adultità. E noi, bambine, ancora ignare del potere seduttivo da invidiare al suo pennello). Nel caso di Giorgio Laveri, le sue della bocca, scimmiottiamo le “dive” e facciamo le labbra a molte vite si intrecciano tra cinema, teatro e arti visive. Mondi cuore, impiastricciandocele, in mancanza di meglio, con il che lui ha vissuto – e vive – intensamente e profondamente, succo delle ciliegie mature. Eppure Giorgio Laveri va molto oltre. senza risparmiarsi, fissandosene nella memoria i dettagli La decontestualizzazione dell’oggetto ha una lunga storia, apparentemente superflui (ma nulla, lui ce lo insegna bene, è nell’arte. In piena Prima Guerra Mondiale, il movimento Dada mai veramente superfluo) e intrecciando rapporti forti con le dilaga da un piccolo cabaret di Zurigo e arriva fino a New York, persone, assorbendone le emozioni, caricando il proprio cuore dove un francese molto dotato – Marcel Duchamp – troppo e la propria memoria di bagagli preziosissimi. Di quei ricordi è intelligente per non avere già capito che in quel momento, in intessuta la sua arte, sculture nate con la freschezza di pittura, non c’è gara con un certo spagnolo dal cognome istantanee scattate al momento giusto e conservate dentro un genovese (Pablo Picasso), decide di cambiare le regole del album di emozioni condivise; pezzi di quotidianità in cui ognuno gioco: prende un orinatoio, lo gira, lo firma – con un nome fittizio di noi vede qualcosa di completamente diverso, certamente, – lo rinomina Fontana e lo propone a una mostra (dalla quale ma che non possono lasciarci indifferenti.Truka , per esempio, a sarà rifiutato, ma ciò non diminuirà di un millimetro la fama me – forse in quanto donna – scatena una serie di sinapsi senza planetaria di cui è destinato a godere). È il 1917, in Europa la fine. Il bastoncino di rossetto è forse tra gli accessori del gente muore: un orinatoio è l’emblema ideale di quello che contemporaneo più ricchi di simbologie. Ti vedi piccina: arrivi Dada sta gridando a gran voce attraverso i suoi spettacoli appena alla gonna della mamma, e lei – gigantesca, vestita squinternati (conclusi generalmente da lanci di bistecche e come una regina – si sporge in avanti verso lo specchio, fa la ortaggi contro gli artisti sul palco) e attraverso l’arte sublime di “bocca strana”, si passa quella cosa rossa e pastosa sulle alcuni – Duchamp, Man Ray – che vogliono ribaltare e labbra e improvvisamente diventa un’altra persona. Sono le smantellare un mondo nel quale non si riconoscono più. Una sere in cui ti lascia con la nonna, quelle in cui non avrai il bacio nuova guerra è destinata ad assestare un altro colpo alle poche 8 certezze rimaste. La seconda grande stagione che vede al e piena di donne bellissime per cui lui, omosessuale convinto, proprio centro l’oggetto, tuttavia, non è figlia della guerra, ma del vive cotte spaventose – è un inno all’edonismo, alimentato da prospero benessere che a quella segue, soprattutto negli Stati tonnellate di pasticche e da un sacco di sesso. Ben lungi Uniti. Se è vero che la Pop Art non nasce negli Usa ma in dall’essere una denuncia del consumismo, il suo lavoro rende Inghilterra grazie alla visionarietà di Richard Hamilton, è agli Stati arte il benessere stesso, e intanto va sempre più assottigliando Uniti che si deve il merito di averla portata alla sua apoteosi. I il limite tra oggetto comune e opera da museo, attraverso la barattoli delle zuppe Campell, le scatole di Brillo, i volti iconici riproduzione compulsiva dell’immagine (grazie prima di tutto alla delle dive sono immagini familiari anche ai bambini. Andy Warhol litografia, ma anche alla ripetizione come modus operandi) che decontestualizza l’oggetto di consumo e lo sbatte sotto i riflettori erode fino all’annullamento il concetto di unicità di cui l’arte, per per costringerci a guardarlo – e a guardarci – da un’altra secoli, aveva fatto un dogma. In Europa, però, la Pop Art è altro. angolazione. Warhol è un dandy, e nella società consumista sta Mentre Wharol, James Rosenquist e Tom Wesselmann ci come un gatto nella panna. La sua Factory – foderata d’argento rimandano oggetti – e corpi – ammiccanti e scintillanti, l’Europa 9 digerisce il movimento a modo suo e ne fa qualcosa di quel bisogno compulsivo di apparire e di essere sempre la più decisamente diverso. Già Robert Rauschenberg – americano al bella e la più desiderata. Scoprire un’opera di Giorgio Laveri di cento per cento – comincia a sporcare l’immagine, a inoculare qualche tempo fa, in cui la confezione del rossetto appariva il dubbio. Ma non a caso Rauschenberg va a Roma, conosce usata, con una ditata rossa a offuscare la lucida perfezione del Alberto Burri e ne resta folgorato. L’edonismo con lui lascia il contenitore, ha il sapore dell’epifania: quello è il ritratto di Dorian posto all’accozzaglia, alla ferita, addirittura a una sorta di Gray. Quella è la verità. Il pensiero opera qui uno scarto deciso intimismo che mai aveva sfiorato il compassato Andy (Bed è un e ciò che vediamo ora è il gesto frettoloso di passarsi il trucco racconto autobiografico che anticipa di quarantatré anni il prima di uscire, il bastoncino abbandonato senza il coperchio, capolavoro di Tracey Emin dal titolo quasi identico: My bed), ma che lentamente rotola, cade e scompare sotto al letto. O magari con artisti come lo svedese Claes Oldenburg la situazione vediamo il trucco sbavato. Se dai baci o dal pianto non è dato evolve ulteriormente. Molto diversi dall’Ago e filo che oggi svetta saperlo. Verità e vita palpitano sotto la pelle gelida e perfetta di a Milano, in piazzale Cadorna, i lavori di Oldenburg degli anni questi oggetti fatati, giganti, meravigliosamente inutilizzabili. Una Sessanta propongono una realtà ingigantita, sì, ma come affetta vita che resta sconosciuta – e questo è un punto importante – da una sorta di consunzione interiore. L’hamburger si affloscia alle opere di un collega di Laveri (americanissimo) come Jeff su se stesso, la fetta di torta precipita, il gelato cade da un lato. Koons. Anche Koons ha fatto dell’edonismo e del luccichio la Il racconto della realtà decontestualizzata non è edulcorato da sua cifra, ma è difficile immaginare un oltre dietro a pezzi come una pretesa perfezione, ma ci costringe a guardare in faccia la la ballerina del Rockefeller Center, o dietro al Rabbit (francamente consunzione. Che è tanto dell’oggetto quanto nostra. Ecco, brutto) che l’anno scorso ha avuto l’aggiudicazione record, per Giorgio Laveri si trova esattamente in questo punto di indagine un artista vivente, di 91 milioni di dollari. E neanche dietro alle della realtà. Il suo impeccabile bastoncino di rossetto, la sua sculture della serie Celebration, l’apoteosi pop del pop. I gioielli, ciliegia che ci costringe a trattenerci, perché l’istinto ci direbbe gli accessori da party, il “cuoricione” da saldi del supermercato di affondare i denti in quella polpa carnosa fino a farne schizzare per San Valentino e più di tutti i Balloon Dogs in acciaio fuori il succo, la sua penna stilografica e la sua moka scintillante specchiante sono davvero pieni d’aria come i palloncini ai quali sono come il volto di Dorian Gray: da qualche parte, in qualche s’ispirano. Koons gonfia l’immagine e ci stordisce, costringendoci stanza, esiste il ritratto che piano piano invecchia e – quasi contro la nostra volontà – a scattarci selfie mentre ci incartapecorisce. La bellezza che Laveri ci racconta è assoluta, specchiamo nei suoi tulipani giganti o nella pancia turgida della inappellabile. Truka è fascino, seduzione, icona della bellezza, sua Venere di Willendorf, ma di quell’esperienza non ci resta però è anche maschera, finzione, paura di mostrare il proprio che un sapore zuccheroso e stucchevole sulla lingua. Laveri, vero volto. Simbolo assoluto, il bastoncino di rossetto non solo invece, reinterpreta il mondo per noi, estrapolandone capitoli ci porta alla mente la bellezza, ma ce la fa vedere, fa sì che i emblematici con le sue ceramiche al terzo fuoco, e queste, nostri occhi ricostruiscano l’immagine di Marilyn Monroe, ancora dentro, sono piene di segreti, di racconti, di ricordi personali e di più presente che nei ritratti ossessivi di Andy Warhol, addirittura simbologie condivise.