Monachesimo a Capraia Nell'alto Medioevo

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Monachesimo a Capraia Nell'alto Medioevo Monachesimo a Capraia nell’Alto Medioevo Il monachesimo cristiano si sviluppò tra il III e il IV secolo d.C. in Egitto e poi si diffuse in tutto il Medio Oriente. Le sue prime esperienze sono di tipo anacoretico (uomini che vivevano in completa solitudine nei deserti come Sant’Antonio la cui vita fu narrata da Atanasio) ma, quasi contemporaneamente si sviluppò anche l’esperienza cenobitica che ebbe il suo capostipite in Pacomio. Questi nel 320 fondò a Tabennesi nell’Alto Egitto, il primo cenobio, cioè una comunità alloggiata in uno spazio recintato, assoggettata a un regime di preghiera e di lavoro, sottoposta ad un superiore. Requisiti irrinunciabili per l’appartenenza alla comunità pacomiana erano la povertà del singolo, e dunque la rinunzia ad ogni bene personale, e l’obbedienza al superiore. I cenobiti vivevano solitari ciascuno nella propria abitazione, e si riunivano solo per i pasti e per la preghiera in comune. Notizie di queste esperienze furono portate in occidente da Atanasio nel 340 durante il suo esilio in Italia e dai pellegrini che visitavano la Terra Santa. Nella seconda metà del IV secolo sorsero, in Italia e in Francia ( nell’isola di Gallinara, lungo la costa ligure e in Aquitania ) diversi cenobi che probabilmente seguivano la regola di Pacomio.1 Le isole dell’Arcipelago Toscano – Elba, Capraia, Gorgona, Montecristo, che a quel tempo erano poco abitate e quindi ideali per assicurare ai monaci l’esercizio delle loro pratiche religiose, divennero sede di cenobi. La prima testimonianza sulla presenza di monaci nelle isole dell’Arcipelago Toscano riguarda i monaci della Capraia dei quali parla Orosio quando racconta le vicende di Gildone e Mascezel nel 398 d.C.. In quell’anno il generale Gildone, al quale nel 393 l’imperatore Teodosio aveva concesso enormi poteri in Africa, avendo saputo della morte dell’imperatore, si ribellò al suo successore Onorio, imperatore d’occidente. Mascezel, fratello di Gildone e buon cristiano, spaventato dalle trame del fratello scappò in Italia presso la corte imperiale, lasciando in Africa i suoi due figli che furono uccisi da Gildone. Nella primavera del 398 a Mascezel fu affidato un esercito per combattere il fratello Gildone. Partito da Pisa e giunto nei pressi di Capraia scese a terra e prese con se alcuni monaci che lo seguirono commossi dalle sue preghiere. Per diversi giorni e notti, Mascezel e i monaci, pregarono e salmodiarono senza cibarsi. Arrivato in Africa presso il fiume Ardalione, Mascezel, dopo una notte trascorsa a vegliare tra preghiere ed inni, anche se in inferiorità numerica, sconfisse il fratello Gildone, che si diede alla fuga ma, fu poi catturato e strangolato. Dobbiamo assumere che i dettagli di questo episodio siano veritieri in quanto Orosio ebbe modo di raccogliere notizie di prima mano durante il suo soggiorno in Africa, dove 1S. Pricoco, Il monachesimo, Bari 2003, pp. 7-14. tra il 415 e il 417 d.C., per incarico di Sant’Agostino, scrisse la sua opera più famosa Le storie contro i pagani. 2 Sempre intorno allo stesso anno, Sant’Agostino ricevette, nella sua sede vescovile di Ippona, la visita dei monaci Eustazio ed Andrea che venivano da Capraia e gli portavano notizie di Eudossio, abate dei monaci dell’isola. A lui Sant’Agostino scrisse una lettera per esortarlo a usare della quiete per fomentare la pietà, non la pigrizia e a non rifiutare l’opera richiesta dalla Chiesa, cercando sempre la gloria di Dio. La lettera si chiude con questa frase: “Poiché già la precedente fama ed ora i fratelli Eustazio e Andrea, giunti da parte vostra, hanno recato fino a noi il buon profumo di Cristo che emana dalla vostra santa condotta. Di essi Eustazio ci ha preceduto in quella pace, che non è battuta da nessun'onda, come lo è la vostra isola, e non sente più desiderio della Capraia, poiché non ha più ormai bisogno di cingere il cilizio”.3 Questa lettera e la visita dei due monaci al Santo ci portano a ritenere che i monaci di Capraia avessero abbracciato la “Regola ad servos Dei” che Agostino aveva probabilmente scritto nel 391 quando giunto ad Ippona come coadiutore del vecchio vescovo, fondò il suo primo monastero.4 Una ventina di anni dopo un’ulteriore testimonianza della presenza dei monaci a Capraia ci viene fornita da un pagano, Rutilio Namaziano, nell’opera De reddito suo. Nel 416, Rutilio Namaziano, nato forse in Gallia, ma cresciuto Roma dove perse- Botticelli, Sant’Agostino guì una brillante carriera di funzionario, decise di ritornare in Gallia dove aveva dei possedimenti. Costeggiò la costa italiana e 2Orosio, Le storie contro i pagani, vol. II, Milano 2001, pp. 366-371: “Igitur Mascezel, iam inde a Theodosio sciens, quantum in rebus desperatissimis oratio hominis per fidem Christi a clementia Dei impetraret, Caprariam insula adiit, unde secum sanctos servos Dei aliquot permuto precibus suiss sumpsit: cum his orationibus ieiuniis psalmis dies noctesque continuans sine bello victoria meruit ac sine caede vindictam”. Orosio era un presbitero spagnolo che ricevette l’incarico da Sant’Agostino di scrivere un compendio della storia universale dalle origini al 416 d.C.. 3Sant’Agostino, Lettere, www.sant-agostino.it, Lettera 48, riprodotta in Appendice. 4 Sant’Agostino, Regola, www.sant-agostino.it, riprodotta in Appendice. Le notizie su Sant’Agostino e le sue opere sono tratte dal sito sopradetto. quella provenzale con delle piccole imbarcazioni, scrivendo un diario di viaggio. Quando scorse da lontano le isole di Capraia e di Gorgona non poté fare a meno, lui pagano, di mostrare la sua avversione verso il cristianesimo che si era ormai imposto come religione di stato. Con questi versi parla dei monaci di Capraia: “Avanzando nel mare già si vede innalzarsi la Capraia isola in squallore per la piena di uomini che fuggono la luce. Da sé con un nome greco si definiscono “monaci”, per voler vivere soli, senza testimoni. Della fortuna, se temono i colpi, paventano i doni. Si fa qualcuno da sé infelice per non esserlo? Che pazza furia di un cervello sconvolto è mai questa: temendo i mali, non sopportare i beni? O dei misfatti esigono da sé la pena, a se stessi galera, o nero fiele ne gonfia i tristi visceri, così assegnò diagnosi di eccesso di bile Omero alle bellerofontiche ansie ipocondriche. Colpito infatti dai dardi di un crudele dolore, il giovane si dice abbia preso in disprezzo il genere umano”.5 Queste tre testimonianze indicano che la comunità di monaci a Capraia doveva essere piuttosto numerosa e che essa doveva godere di un certo prestigio, anche se sviluppatasi da pochi decenni. I monaci di Capraia compaiono anche nella Passio6 di Santa Giulia, riportata dagli Acta Sanctorum dei Padri Bollandisti alla data del 22 maggio, che racconta il martirio della Santa e la traslazione del suo corpo. La Passio, che si fa risalire al VII secolo, narra che Giulia fosse una nobile ragazza cartaginese di fede cristiana del V sec. d. C. che, caduta in schiavitù, fu acquistata da un commerciante, un certo Eusebio, e condotta in Siria. Giulia era una ragazza molto devota e dedita alle pratiche del digiuno, che Eusebio, sebbene pagano, rispettava perché adempiva ai suoi compiti di umile serva. Durante un viaggio verso la Gallia Eusebio, che aveva portato con se la schiava Giulia, giunse al Capo Corso ( forse a Nonza dove esiste una chiesa a lei dedicata ) e attratto dai sacrifici che i locali pa- Santa Giulia e la storia del suo martirio gani stavano compiendo in onore degli dei scese a terra per unirsi a loro. Alcuni locali, avendo scoperto che Giulia non era scesa a terra 5R. Namaziano, Il ritorno, a cura di Alessandro Fo, Torino 2004, pp. 32-33. 6Il termine Passio indica genericamente l’antico racconto della vita di un santo. informarono della sua presenza a bordo il loro capo, un certo Felice Saxo. Questi chiese ad Eusebio di vendergli la schiava ma Eusebio rifiutò dicendo che per alcun prezzo voleva rinunciare ai servigi di Giulia. Allora Felice Saxo fece imbandire un lauto banchetto al quale invitò Eusebio che, per le abbondanti libagioni, cadde in un profondo sonno. Quindi Felice Saxo fece prelevare Giulia dalla nave e la sottopose a torture sempre più crudeli chiedendogli di abiurare alla sua fede. Ma Giulia era ormai pronta al martirio e non cedette alla tentazione. Alla fine fu crocifissa. Gli angeli portarono la notizia della sua morte ai monaci di Gorgona che subito si imbarcarono e con il favore del vento si diressero al Capo Corso. Trovato il crocifisso ne fecero scendere il corpo di Giulia che caricarono sulla loro imbarcazione e sempre con il favore del vento fecero ritorno verso la loro isola. Durante la navigazione venne loro incontro un’imbarcazione dei monaci di Capraia che erano meravigliati della velocità dell’imbarcazione dei monaci di Gorgona. Si accostarono e chiesero per quale grazia del Signore la loro imbarcazione si muovesse così veloce. I monaci di Gorgona raccontarono loro quanto era successo ed allora quelli di Capraia chiesero di essere benedetti con le reliquie della Santa e se ne tornarono lieti a Capraia. Il corpo della Santa giunto a Gorgona fu imbalsamato e il 22 maggio fu calato in un degno sepolcro. Nel 762, la moglie di Desiderio, l'ultimo re dei Longobardi, volle che le reliquie della santa fossero portate da Gorgona nella città di Brixia, oggi Brescia. Le reliquie furono dapprima portate a Livorno e poi traslate a Brescia. Santa Giulia è la patrona della Corsica e di Livorno.7 Questa pia leggenda, nella quale è impossibile discernere i dati storici, testimonia ancora una volta la presenza dei monaci nelle isole di Capraia e di Gorgona.
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