LA FAMIGLIA GIRALDI A TRA QUATTRO E CINQUECENTO

La famiglia Giraldi non è la più antica di Mondolfo, ma sicuramente è quella che ha lasciato maggiori tracce nei secoli scorsi, grazie ad un significativo archivio di famiglia da cui sono uscite tre cronache (di Filippo Giraldi e di suo figlio Orazio), 62 lettere, 7 pergamene; al quale vanno aggiunti istrumenti notarili, lettere scritte da membri della famiglia rinvenibili in altri archivi, iscrizioni, resti manufatti. I Giraldi si carat- terizzarono sempre per una loro spiccata vocazione militare. Il luogo di provenienza della famiglia viene indicato con una certa approssimazione nella Lombardia (con questo termine si indicava in pratica nei secoli scorsi quasi tutta l’Italia settentrionale); poi i cronisti di famiglia azzardano l’ipotesi della città di Ferrara; altre città in cui erano presenti famiglie dei Giraldi erano Vercelli e Cremona. Più esattamente il primo dei Giraldi ad arrivare a Mondolfo fu, al tempo di Carlo Malatesta (ottobre 1427-settembre 1429), Alessandro Giraldi “capitano di fanterie”. Carlo Malatesta lo ricompensò per i suoi servigi dandogli “bonissime facoltà qui in Mondolfo”, probabilmente delle terre. Alessandro, poi, venuto a Mondolfo, ebbe la fortuna, o l’abilità, di sposare “una giovane d’eredità”, Antonia figlia di Allevuccio Mencoli, discendente da una vecchia famiglia mondolfese. La madre di Antonia, Bella, rimasta vedova, aveva fatto costruire nella chiesa di S. Maria degli agostiniani la cappella di S. Antonio, chiamando a decorarla con dipinti Gigliolo da Parma, pittore attivo nella Marca nei primi decenni del Quattrocento. Costui aveva dipinto una effigie del santo con le figure “al naturale” della dedicante e di sua figlia, forse nell’atto di donare la cappella medesima.

L’affresco recava anche una iscrizione eseguita dallo stesso pittore, datata al 5 agosto 1327, di cui sicuramente è errato il millesimo, in quanto doveva essere appunto il 1427 (probabilmente le cronache Giraldi, o meglio la più antica seguita poi da altre, omisero una C nella cifra romana MCCC CXXVII). Basta osservare a questo proposito che vi sono appena due generazioni tra Alessandro e Giraldo, che vive alla fine del Quattrocento al

© 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 69 tempo di Giovanni della Rovere; quindi il fatto che nelle stesse cronache si fa menzione di Carlo Malatesta e di Gigliolo da Parma; infine che da altre fonti archivistiche risulta che Allevuccio Mencoli, sua moglie Bella e sua figlia Antonia sono personaggi storici viventi a Mondolfo nei primi decenni del secolo XV.

I Giraldi ereditarono così il giuspatronato sulla cappella di S. Antonio e lo stesso santo divenne protettore della famiglia. Ancora oggi nella chiesa di S. Agostino in Mondolfo esiste un altare con pala dipinta da Claudio Ri- dolfi rappresentante i santi Antonio e Paolo eremita nel deserto. Dopo tali eventi si registra un vuoto di notizie. Delle due generazioni che seguono si conoscono appena i nomi di persona, l’ascendenza e la discendenza. Nel frattempo finiva (1462) la signoria malatestiana su Mondolfo, sostituita per un brevissimo periodo da quella dei Piccolomini di Siena. Alla morte del papa Pio II (Piccolomini, 1464) scoppiò una generale sollevazione dei sudditi di , Mondolfo e . Segue una specie di “interregno”, un decennio (1464-1474), in cui viene ripristinato a Mondolfo il regime comunale autonomo: i mondolfesi chiedono al nuovo pontefice Paolo II la soggezione “immediata” (senza mediazioni) alla Chiesa e il papa acconsente. Si ritorna così al vecchio di stampo medievale, ad una specie di piccola “repubblica”. Anche questo è un momento di silenzio sui Giraldi. Si intuisce, tuttavia, che, essendo stati in rapporto con stati regionali e legati a dinastie principesche alle quali offrivano servigi militari, questo sia stato per loro un momento di difficoltà e, forse, di isolamento nell’ambito della comunità, dal cui apparato politico essi risultano assenti. Non è escluso che in questa fase essi abbiano cercato fuori di Mondolfo degli incarichi militari per continuare a svolgere quel mestiere delle armi che più si adattava al temperamento familiare. Questo interregno finì abbastanza presto. Nell’ottobre 1474 Mondolfo, con Senigallia, S. Costanzo e il vicariato di Mondavio, viene concesso in vicariato da papa Sisto IV al nipote Giovanni della Rovere. E subito nasce un legame fortissimo tra il nuovo signore e Giraldo, l’eponimo, considerato il fondatore della fortuna della casata proprio in quanto strinse un rapporto di amicizia con Giovanni, ricevendone dei privilegi e delle esenzioni.

70 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore Giovanni gli tenne a battesimo sua figlia Giulia: un onore grandissimo che andava ripagato. Non sappiamo quali servigi Giraldo gli abbia reso. Però da un registro di atti giudiziari (Sezione di Archivio di Stato di ) si sa che negli anni 1484-85 gli aveva messo a disposizione la sua casa di Mondolfo come residenza del luogotenente Luca Salvolini, esercitante funzioni di giudice d’appello del piccolo stato roveresco. Lo stesso Giovanni risiedeva allora per lunghi periodi a Mondolfo, in quanto Senigallia, il principale centro del suo stato, non aveva “bona aera”, soprattutto d’estate a causa delle paludi e delle saline. Nel 1480 si stringe un importante contratto d’enfiteusi tra il cavaliere gerosolimitano Pietro Antonio de Stephanis di Mercatello, precettore di S. Marco di Fano, e il comune di Mondolfo con il coinvolgimento di tre privati cittadini. Le due parti erano state fino a quel momento in rotta a causa delle terre pubbliche usurpate in precedenza dai Malatesta e che ora entrambi gli enti, ordine cavalleresco e comune, rivendicavano. Il fatto che il precettore locale dei cavalieri (allora detti di Rodi, oggi di Malta) conceda una enfiteusi così benevola ai tre notabili mondolfesi, fra i quali Giraldo, pro indiviso col comune di Mondolfo, riguardante metà di una possessione sita nel fondo Gualdonovo, fa capire che si era addivenuti ad una composizione della lite e che in seguito erano stati instaurati dei rapporti piuttosto buoni. Giraldo ebbe in tutto dodici figli: nove femmine e tre maschi, questi ultimi assurti a una certa fama. Il padre, ricordato come persona virtuosa, saggia e liberale, pianificò il futuro dei figli e delle figlie, le quali furono tutte sposate onoratamente. Una particolare attenzione egli prestò alla carriera militare dei maschi. Come maestro d’armi chiamò un bandito di strada, un certo Battista abruzzese, che insegnò ai tre giovani a maneggiare ogni sorta di armi e anche a fare alla lotta, “nelle quali cose era singularissimo”.

A questo proposito le cronache di famiglia raccontano un episodio curioso accaduto ad Annibale, il più giovane dei tre, quando nel 1517, fuggendo da Mondolfo allora in mano medicea, fu assalito in una stretta gola presso Amatrice da numerosi briganti, i quali lo fecero prigioniero portandolo quindi nel loro covo. Qui cominciarono a interrogarlo, probabilmente per sondare la posizione sociale e la situazione economica della famiglia onde chiedere una

© 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 71 congrua somma per il suo riscatto. Alla domanda di dove fosse, egli rispose di essere di una terra situata tra Fano e Senigallia chiamata Mondolfo. All’udire “Mondolfo” una donna lì presente ebbe un sobbalzo, si avvicinò e, sinceratasi dell’identità del prigioniero, rivoltasi agli uomini disse loro che era stata proprio una fortuna che non gli avessero torto un capello, perché quello che avevano catturato era Annibale da Mondolfo, il più grande amico che avesse il suo uomo, Battista, capo indiscusso dei banditi annidati fra quelle montagne e che in quel momento si trovava presso un altro distac- camento. Il giorno seguente Annibale fu lasciato libero e gli furono restituiti tutti gli oggetti e denari che gli erano stati sottratti.

Non che i tre giovani non avessero altre capacità da sviluppare, ma fu tale la determinazione del loro padre che essi dovettero piegarsi alla sua volontà e intraprendere quindi la carriera militare.

Del primogenito Giovanni, per esempio, si dice che aveva “buone lettere d’humanità” e che si dilettava di architettura. Ed essendo stato, in una occasione, al servizio del re d’Inghilterra (probabilmente Enrico VII Tudor) insieme con suo cognato, il vescovo Golfi, nunzio apostolico inviato dal pontefice Alessandro VI, aveva donato al sovrano un disegno di sua mano rappresentante “molte cose notande” del palazzo ducale di .

Benedetto, il più famoso dei tre, quando affrontò la sua prima esperienza di guerra, nel 1494, aveva 17 anni. Vi fu chiamato dal suo signore Giovanni della Rovere, che aveva avuto una condotta dal re di Francia Carlo VIII (fu in occasione della famosa calata del re francese nel regno di Napoli). Giovanni lo chiamò per questa campagna militare giudicandolo più atto alle armi che alle lettere, nelle quali pure aveva dato prova. Ancora più interessante il caso dell’ultimo dei fratelli, Annibale (o “Anniballe”), il più corpulento e più forte fisicamente. Egli stesso confessa, nel dialogo col nipote Filippo, che non ancora quindicenne, ormai morto il padre Giraldo, venne chiamato dal fratello Benedetto alla sua prima campagna militare. Pare che la cosa gli dispiacesse, in quanto riusciva molto bene negli studi e aveva fatto disegno di andare “allo studio”, vale a dire

72 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore all’università (“mi levò dalla scola” e così “fui dato all’esercitio militare et all’intolerabile fatiche e stenti dell’arme”). Dei tre il più importante, l’eroe della casata, è Benedetto, che partecipò a innumerevoli battaglie e vinse memorabili duelli. Ebbe fama larghissima ai suoi tempi. Dopo aver riportato numerose ferite su tutto il corpo, morì in battaglia nel 1526 al Serraglio di Mantova (oggi in comune di Canneto sull’Oglio), mentre tentava di contrastare la discesa dei lanzichenecchi, che l’anno seguente avrebbero saccheggiato Roma. Il 1508 fu un anno fondamentale nella storia della famiglia. Allora Francesco Maria I della Rovere, figlio di Giovanni, divenne duca di Urbino, passando dal possesso di un piccolo stato ad uno stato più ampio e prestigioso (era già stato di Federico da Montefeltro, suo nonno materno). Volendo ricompensare i tre fratelli Giraldi, che gli avevano già reso importanti servigi, indirizzò loro un privilegio col quale li ascriveva alla nobiltà del ducato, concedendo loro di fregiarsi del cognome e dello stemma roveresco e aggiungendo privilegi ed esenzioni da oneri reali e personali.

Stemma dei Giraldi della Rovere nel terzo altare a destra della chiesa di S. Agostino in Mondolfo

A seguito di ciò la famiglia prese a chiamarsi Giraldi della Rovere e cambiò il suo stemma, che originariamente aveva nello scudo un girasole: venne messo al suo posto un rovere (“la rovere”, come si diceva allora), tuttavia con l’aggiunta di un cane, legato all’albero della quercia. Si tratta di

© 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 73 uno stemma parlante, che esprime molto bene quel legame fortissimo instauratosi tra i Giraldi e la dinastia roveresca, un legame che non si sarebbe più spezzato. Il duca promise ai tre anche molte “facoltà”, ricchezze e terre, con le quali essi avrebbero potuto vivere onoratamente da gentiluomini. Questa fedeltà dei Giraldi ai duchi della Rovere venne messa alla prova nel fatidico anno 1517 (sulle cui vicende si veda la lezione dello scrivente sull’assedio di Mondolfo pubblicata nel 2000), quando Leone X Medici tolse lo stato a Francesco Maria per darlo a suo nipote Lorenzo. I Giraldi seguirono fedelmente nella disgrazia il loro signore “naturale”, pagandone temporaneamente le conseguenze con la perdita delle loro sostanze e con l’esilio, sorte alla quale furono destinati anche le donne e i bambini. Costoro, dopo un viaggio avventuroso, che iniziò all’osteria di mentre Mondolfo andava a sacco, facendo tappa in barca prima a Fano, poi fino alle foci del Po, furono ospitati a Ferrara in casa di un messer Girolamo Rinaldi, che li accolse molto benignamente mettendo loro a disposizione un vasto alloggiamento e provvedendo a tutte le loro necessità. E non fu il solo ad usare cortesia verso quei disgraziati, giacché sembra che tutti i gentiluomini dell’Italia settentrionale facessero a gara per aiutare i Giraldi con provviste e donativi: si calcola che in un anno passarono in quella casa circa 800 ducati. In tale circostanza – fanno notare le cronache di casa – si vide quanto valessero la fama e il credito morale acquistati dal loro parente Benedetto.

A rivelare quale fosse il tenore di vita dei Giraldi, pur sconvolto in quella temperie, ben si presta un piccolo episodio accaduto in casa di messer Girolamo. Dal momento che essi avevano perso tutto (case, terre, ricchezze, denaro e gioielli), costui li rivestì completamente, dalla nonna fino all’ultimo dei servitori. Fra l’altro al piccolo Filippo (l’autore della cronaca), che allora aveva otto anni, fu messa in testa una bretta di raso; egli la gettò in terra stizzito esclamando: “A casa mia io la portava di velluto!”. Subito la nonna e la madre lo rimproverarono perché non offendesse il loro munifico ospite. Ma quello, venuto a conoscenza del battibecco, fece portare immediatamente una bretta di velluto per il bizzoso Filippo.

74 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore Un tale esilio ebbe termine. Dapprima avevano potuto rientrare a Mondolfo le donne. Poi nel 1521 morì Leone X con grande giubilo dei mondolfesi. E col ritorno trionfante del duca Francesco Maria venne anche l’ora delle ricompense per quanti, a causa della loro fedeltà, avevano patito danni e traversie. Il duca concesse altri onori e privilegi ai Giraldi, concedendo loro per abitazione la rocca roveresca di Mondolfo, forse perché la loro casa aveva subìto danneggiamenti durante l’assedio e il sacco del 1517 e doveva essere restaurata. A Benedetto furono concesse delle terre nei territori di e di Casteldimezzo: in questo modo il duca teneva fede alle promesse fatte nel 1508. Si assiste, in definitiva, a un assestamento delle fortune della famiglia.

Palazzo Giraldi della Rovere in via Fratelli Rosselli (già Giraldi) a Mondolfo

Nel 1542 ebbe luogo l’ampliamento del palazzo (ovvero delle loro “case”, come essi dicevano) di Mondolfo. Filippo seniore, figlio di Gio-

© 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 75 vanni, in quell’anno acquistò dal comune un terreno, che corrisponde al sito in cui oggi sorge l’ala del palazzo che si affaccia su via Fratelli Rosselli (già via Giraldi); essa sarà chiamata “casa grande” per distinguerla dalle altre costruzioni. La precedente casa di Giraldo si estendeva più presso le mura della seconda cerchia (o del Borgo) e sarà chiamata “casaccia” (ovvero la casa vecchia), mentre il corpo di fabbrica collegante le due ali verrà designato come “casa nuova”.

Particolare di una finestra di palazzo Giraldi (sull’architrave il nome di Filippo Giraldi)

E’ da notare che già la casa di Giraldo risultava confinare su tre lati con proprietà comunali. Ciò fa sospettare che tutte le varie case dei Giraldi siano sorte su un’unica area comunale, la cui superficie si sarebbe progressivamente ridotta a causa delle alienazioni a favore della famiglia: infatti ancora nel 1542 il terreno acquistato da Filippo confinava su un lato con le stalle della comunità. Il particolare potrebbe ricollegarsi all’ubi- cazione delle loro proprietà fondiarie, come più sotto si dirà. È chiaro che i Giraldi erano già entrati nella ristretta cerchia delle famiglie oligarchiche mondolfesi che si alternavano nel governo del comune: è documentato che nel 1540 i due fratelli Giraldo e Filippo erano stati ammessi nel consiglio comunale, nel quale i membri della famiglia sedettero poi ininterrottamente per tutto il periodo dell’antico regime. Nella stessa ala fatta costruire da Filippo, nel salone del piano nobile, fu fatta dipingere un’iscrizione, la quale è un manifesto di celebrazione della gloria degli antenati: vi risalta naturalmente il nome di Benedetto. Essa è un

76 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore modo di proporre dei valori, guerrieri in questo caso, a se stessi e ai propri discendenti. Vi fu aggiunta in basso una postilla, a ricordo di una ristrutturazione del palazzo avvenuta nel 1795. Si tratta, pertanto, di una fonte epigrafica che, pur non aggiungendo nulla di nuovo, fa capire come i Giraldi coltivassero la memoria dei propri antenati.

Epigrafe nel salone di palazzo Giraldi

A proposito, invece, delle proprietà fondiarie, sappiamo dall’istru- mento d’enfiteusi del 1480, citato in precedenza, che i Giraldi possedevano beni in località Gualdonovo, toponimo di per sé pieno di significato. Da un altro istrumento, sempre del 1480, si apprende che Giraldo disponeva di terre anche a Castel Bisciaro (nuovo nome dato nel tardo medioevo all’antico Casteldimare proprio perché ridotto in ruderi e quindi ricettacolo di rettili: sorgeva verso il mare nei pressi di villa S. Irene). Da fonti successive risulta che qui la possessione dei discendenti di Giraldo comprendeva più di 60 some di terra, equivalenti a circa 80 ettari. Queste ed altre proprietà fondiarie della famiglia insistono sugli stessi luoghi in cui nell’alto e pieno medioevo esistevano delle terre pubbliche, che in seguito finiranno in possesso al monastero di S. Gervasio, alla

© 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 77 famiglia dominante degli Offonidi e alla comunità di Mondolfo. Gli altri luoghi sono: Monte Raldo (collina dell’odierno cimitero), dove essi avevano un podere anch’esso equivalente a circa 60 some di terra con vigna, colombara, casette, loggia, cortile, stalla e cisterna; il fondo Fornace (di incerta ubicazione, ma in cui ugualmente si rinvengono terre comunali); il fondo Bonacesco (nome deformato nell’attuale “Buona Cesta”!) e poi Valle del Pozzo, S. Gervasio, Rio Vaccaro, Fonte del Buzzo, Marotta, Piana di S. Maria. Attraverso quali canali alcune presumibili terre pubbliche, o di origine pubblicistica, finirono ai Giraldi? Il primo di questi possibili canali è rappresentato dai Malatesta, in quanto durante il periodo della loro signoria essi avevano usurpato talune di queste terre, soprattutto quelle godute dalla comunità mondolfese, concedendo quindi, come già sappiamo, delle “facoltà” ad Alessandro Giraldi. Un altro canale potrebbe essere quello dei cavalieri gerosolimitani, forse attraverso usurpazioni: l’accomodante enfiteusi del 1480 sembrerebbe confermare una tale ipotesi; infine il comune di Mondolfo, che verso la fine del medioevo vende alcune sue terre, senza trascurare del tutto i Della Rovere, che nei primi tempi della loro dominazione potrebbero aver messo mano su alcune terre pubbliche. Nel 1589 fu decisa una divisione di beni tra i fratelli Girolamo, Orazio, Giovanni Francesco e Filippo figli di Filippo seniore. Dal relativo documento si apprende quali fossero le rispettive quote del patrimonio familiare. Fra l’altro fu divisa anche la proprietà delle case in Mondolfo.

A Girolamo toccò la casa nuova, dove già si diceva la casaccia. Orazio e Filippo ebbero pro indiviso i tetti della casa grande e della torretta con le stanze attigue, la sala di sopra con le tre stanze attorno e lo stanziolo della torretta, le scale ascendenti e discendenti, l’atrio da basso con una camera, il cortile e la cisterna vecchia. A Giovanni Francesco rimasero la loggia e la stalla da alto e da basso, la torretta dal pianterreno al secondo solaio, due camere al pianterreno e parte del cortile. La torretta e la loggia sono due elementi architettonici scomparsi dall’attuale fisionomia del palazzo.

78 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore Fra tanti uomini d’arme vi fu un membro della famiglia che seguì una vocazione religiosa: Claudio Giraldi, pronipote di Giovanni e figlio di Giovanni di Filippo, studente a Bologna, il quale, fattosi frate cappuccino contro il volere dei suoi parenti, morì nel 1590 in odore di santità all’età di 36 anni. Ancora nella seconda metà del Cinquecento i membri della famiglia assunsero incarichi militari. In questi si distinse il capitano Orazio Giraldi, autore fra l’altro di due cronache di famiglia, morto nel 1605. Egli servì particolarmente dapprima come alfiere e sergente maggiore Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele Filiberto di Savoia nel presidio di Chivasso, poi come capitano nella cittadella di Torino negli anni 70 e 80 del secolo XVI. Tornato in patria, si mise al servizio dell’ultimo duca di Urbino Francesco Maria II della Rovere. A spiegazione del legame con il Piemonte, che po- trebbe essere stata la loro terra d’origine, va detto che i Giraldi si erano im- parentati con Leonardo della Rovere, signore di Vinovo e Cinzano (al quale Filippo padre di Orazio dedica la sua cronaca nel 1558), che aveva sposato Giovanna figlia di Annibale Giraldi. Orazio sposerà a sua volta Felice, figlia naturale di Leonardo. Quantunque gli incarichi militari si rinnovino ancora nel Seicento, si chiude allora il periodo più interessante e meglio documentato della storia della famiglia, che si estinguerà definitivamente a Senigallia nel corso dell’Ottocento. Orazio, del resto, cronista e militare, appare come il tipico rappresentante della casata. Alcuni aspetti della sua personalità potrebbero sembrare discutibili: per uno schiaffo dato a un sarto di Chivasso era stato condannato a una pena pecuniaria, poi rimessagli dallo stesso Emanuele Filiberto nel 1578. Ma che i Savoia riponessero piena fiducia in lui lo dimostra il fatto che a un certo punto gli conferirono una lettera patente che ne faceva il comandante supremo nella lotta contro il brigantaggio infestante i loro territori. Del resto i Giraldi sono proprio questo: un misto di virtù guerriera, irruenza, privilegio, letteratura e un po’ di aura mitica. E’ così che essi hanno contribuito a formare una cultura locale nel contesto della società di antico regime.

Roberto Bernacchia

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Le case dei Giraldi a Mondolfo

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GENEALOGIA DELLA FAMIGLIA GIRALDI DI MONDOLFO (RAMO PRINCIPALE)

Alessandro Giraldi (...1427-1429...) sposa Antonia Mencoli di Mondolfo

Giovanni

Benedetto sposa Antonia Valentini di Mondoflo

Giraldo († 1500) sposa Giovanna Ricci da Novilara

Benedetto Giovanni Annibale (1477-1526) (1472-1512) (1495-1527) sposa Bionda Negusanti da Fano

Filippo (1509-1559) sposa Laura Baviera da Senigallia

Orazio (1539-1605) sposa Felice della Rovere da Vinovo-Cinzano

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Note bibliografiche

Le fonti manoscritte sulla storia della famiglia Giraldi sono costituite da tre cronache, i cui originali si conservavano un tempo nell’archivio di famiglia in Mondolfo, ereditato da una famiglia di Senigallia, con cui i Giraldi si erano imparentati:

Alcuni fatti di Francesco Maria Feltro della Rovere, duca d’Urbino dettata da Filippo Giraldi (seniore, figlio di

Giovanni fratello di Benedetto), cronaca in forma di dialogo tra l’autore e lo zio Annibale e con epistola dedicatoria a Leonardo della Rovere del 1558, di cui si conserva copia del sec. XVII nella Biblioteca

Apostolica Vaticana, Ottob. Lat., 3153, ff. 90r-156v;

[Cronaca] di Orazio Giraldi figlio di Filippo del 1564, di cui si conservava copia dattiloscritta presso Adalgiso Ricci di Marotta e che ricalca la precedente;

Libro de alcune memorie pertinente a nostra casa Giralda, et per mio particulare notate da me Horatio Giraldi da

Mondolfo, et cominzato questo libro in questo dì .XXI. di maggio 1591, originale ora nell’archivio Giraldi della Rovere (privato) di .

Le 62 lettere del periodo 1520-1839, fra cui alcune dei duchi Della Rovere e di altri principi italiani dirette ai

Giraldi, ugualmente nell’archivio Giraldi della Rovere di Pesaro. Si vedano in proposito A. Alippi, L’archivio della famiglia Giraldi della Rovere in Mondolfo (Pesaro), in «Rivista

delle biblioteche e degli archivi», XIV (1903), pp. 136-138; V. Palmesi, Mondolfo e mondolfesi.

Spigolature, 1903, p. 47; Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, II, a cura di G. Pesiri [et al.], Roma 1998, p. 95.

Alcuni istrumenti notarili (dal 1480) si conservano inoltre presso la Sezione di Archivio di Stato di Fano. Lettere

autografe di Benedetto Giraldi si trovano sia presso l’Archivio di Stato di Firenze, Ducato di Urbino, cl. I, 254, sia presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Ms. 375, Monumenti rovereschi, t. IV.

A. RICCI, Mondolfo dai tempi antichi ad oggi. Cenni di storia e di cronaca, Ancona 1955.

R. BERNACCHIA, Alcune proprietà fondiarie dei cavalieri gerosolimitani e una lite con la comunità di Mondolfo

nel 1472, in «Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le », 85 (1980), pp. 135-158.

R. BERNACCHIA, Benedetto Giraldi da Mondolfo, in «Incontro», n. 13-14 (luglio 1981), pp. 11-13.

R. BERNACCHIA, L’assedio di Mondolfo del 1517, in 3° Corso di formazione storico-culturale. Mondolfo, 1-29

ottobre 1999, a cura di R. Bernacchia, Mondolfo 2000, pp. 11-20.

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