Roberto Bernacchia, La Famiglia Giraldi a Mondolfo Fra

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Roberto Bernacchia, La Famiglia Giraldi a Mondolfo Fra LA FAMIGLIA GIRALDI A MONDOLFO TRA QUATTRO E CINQUECENTO La famiglia Giraldi non è la più antica di Mondolfo, ma sicuramente è quella che ha lasciato maggiori tracce nei secoli scorsi, grazie ad un significativo archivio di famiglia da cui sono uscite tre cronache (di Filippo Giraldi e di suo figlio Orazio), 62 lettere, 7 pergamene; al quale vanno aggiunti istrumenti notarili, lettere scritte da membri della famiglia rinvenibili in altri archivi, iscrizioni, resti manufatti. I Giraldi si carat- terizzarono sempre per una loro spiccata vocazione militare. Il luogo di provenienza della famiglia viene indicato con una certa approssimazione nella Lombardia (con questo termine si indicava in pratica nei secoli scorsi quasi tutta l’Italia settentrionale); poi i cronisti di famiglia azzardano l’ipotesi della città di Ferrara; altre città in cui erano presenti famiglie dei Giraldi erano Vercelli e Cremona. Più esattamente il primo dei Giraldi ad arrivare a Mondolfo fu, al tempo di Carlo Malatesta (ottobre 1427-settembre 1429), Alessandro Giraldi “capitano di fanterie”. Carlo Malatesta lo ricompensò per i suoi servigi dandogli “bonissime facoltà qui in Mondolfo”, probabilmente delle terre. Alessandro, poi, venuto a Mondolfo, ebbe la fortuna, o l’abilità, di sposare “una giovane d’eredità”, Antonia figlia di Allevuccio Mencoli, discendente da una vecchia famiglia mondolfese. La madre di Antonia, Bella, rimasta vedova, aveva fatto costruire nella chiesa di S. Maria degli agostiniani la cappella di S. Antonio, chiamando a decorarla con dipinti Gigliolo da Parma, pittore attivo nella Marca nei primi decenni del Quattrocento. Costui aveva dipinto una effigie del santo con le figure “al naturale” della dedicante e di sua figlia, forse nell’atto di donare la cappella medesima. L’affresco recava anche una iscrizione eseguita dallo stesso pittore, datata al 5 agosto 1327, di cui sicuramente è errato il millesimo, in quanto doveva essere appunto il 1427 (probabilmente le cronache Giraldi, o meglio la più antica seguita poi da altre, omisero una C nella cifra romana MCCC CXXVII). Basta osservare a questo proposito che vi sono appena due generazioni tra Alessandro e Giraldo, che vive alla fine del Quattrocento al © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 69 tempo di Giovanni della Rovere; quindi il fatto che nelle stesse cronache si fa menzione di Carlo Malatesta e di Gigliolo da Parma; infine che da altre fonti archivistiche risulta che Allevuccio Mencoli, sua moglie Bella e sua figlia Antonia sono personaggi storici viventi a Mondolfo nei primi decenni del secolo XV. I Giraldi ereditarono così il giuspatronato sulla cappella di S. Antonio e lo stesso santo divenne protettore della famiglia. Ancora oggi nella chiesa di S. Agostino in Mondolfo esiste un altare con pala dipinta da Claudio Ri- dolfi rappresentante i santi Antonio e Paolo eremita nel deserto. Dopo tali eventi si registra un vuoto di notizie. Delle due generazioni che seguono si conoscono appena i nomi di persona, l’ascendenza e la discendenza. Nel frattempo finiva (1462) la signoria malatestiana su Mondolfo, sostituita per un brevissimo periodo da quella dei Piccolomini di Siena. Alla morte del papa Pio II (Piccolomini, 1464) scoppiò una generale sollevazione dei sudditi di Senigallia, Mondolfo e Mondavio. Segue una specie di “interregno”, un decennio (1464-1474), in cui viene ripristinato a Mondolfo il regime comunale autonomo: i mondolfesi chiedono al nuovo pontefice Paolo II la soggezione “immediata” (senza mediazioni) alla Chiesa e il papa acconsente. Si ritorna così al vecchio comune di stampo medievale, ad una specie di piccola “repubblica”. Anche questo è un momento di silenzio sui Giraldi. Si intuisce, tuttavia, che, essendo stati in rapporto con stati regionali e legati a dinastie principesche alle quali offrivano servigi militari, questo sia stato per loro un momento di difficoltà e, forse, di isolamento nell’ambito della comunità, dal cui apparato politico essi risultano assenti. Non è escluso che in questa fase essi abbiano cercato fuori di Mondolfo degli incarichi militari per continuare a svolgere quel mestiere delle armi che più si adattava al temperamento familiare. Questo interregno finì abbastanza presto. Nell’ottobre 1474 Mondolfo, con Senigallia, S. Costanzo e il vicariato di Mondavio, viene concesso in vicariato da papa Sisto IV al nipote Giovanni della Rovere. E subito nasce un legame fortissimo tra il nuovo signore e Giraldo, l’eponimo, considerato il fondatore della fortuna della casata proprio in quanto strinse un rapporto di amicizia con Giovanni, ricevendone dei privilegi e delle esenzioni. 70 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore Giovanni gli tenne a battesimo sua figlia Giulia: un onore grandissimo che andava ripagato. Non sappiamo quali servigi Giraldo gli abbia reso. Però da un registro di atti giudiziari (Sezione di Archivio di Stato di Fano) si sa che negli anni 1484-85 gli aveva messo a disposizione la sua casa di Mondolfo come residenza del luogotenente Luca Salvolini, esercitante funzioni di giudice d’appello del piccolo stato roveresco. Lo stesso Giovanni risiedeva allora per lunghi periodi a Mondolfo, in quanto Senigallia, il principale centro del suo stato, non aveva “bona aera”, soprattutto d’estate a causa delle paludi e delle saline. Nel 1480 si stringe un importante contratto d’enfiteusi tra il cavaliere gerosolimitano Pietro Antonio de Stephanis di Mercatello, precettore di S. Marco di Fano, e il comune di Mondolfo con il coinvolgimento di tre privati cittadini. Le due parti erano state fino a quel momento in rotta a causa delle terre pubbliche usurpate in precedenza dai Malatesta e che ora entrambi gli enti, ordine cavalleresco e comune, rivendicavano. Il fatto che il precettore locale dei cavalieri (allora detti di Rodi, oggi di Malta) conceda una enfiteusi così benevola ai tre notabili mondolfesi, fra i quali Giraldo, pro indiviso col comune di Mondolfo, riguardante metà di una possessione sita nel fondo Gualdonovo, fa capire che si era addivenuti ad una composizione della lite e che in seguito erano stati instaurati dei rapporti piuttosto buoni. Giraldo ebbe in tutto dodici figli: nove femmine e tre maschi, questi ultimi assurti a una certa fama. Il padre, ricordato come persona virtuosa, saggia e liberale, pianificò il futuro dei figli e delle figlie, le quali furono tutte sposate onoratamente. Una particolare attenzione egli prestò alla carriera militare dei maschi. Come maestro d’armi chiamò un bandito di strada, un certo Battista abruzzese, che insegnò ai tre giovani a maneggiare ogni sorta di armi e anche a fare alla lotta, “nelle quali cose era singularissimo”. A questo proposito le cronache di famiglia raccontano un episodio curioso accaduto ad Annibale, il più giovane dei tre, quando nel 1517, fuggendo da Mondolfo allora in mano medicea, fu assalito in una stretta gola presso Amatrice da numerosi briganti, i quali lo fecero prigioniero portandolo quindi nel loro covo. Qui cominciarono a interrogarlo, probabilmente per sondare la posizione sociale e la situazione economica della famiglia onde chiedere una © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore 71 congrua somma per il suo riscatto. Alla domanda di dove fosse, egli rispose di essere di una terra situata tra Fano e Senigallia chiamata Mondolfo. All’udire “Mondolfo” una donna lì presente ebbe un sobbalzo, si avvicinò e, sinceratasi dell’identità del prigioniero, rivoltasi agli uomini disse loro che era stata proprio una fortuna che non gli avessero torto un capello, perché quello che avevano catturato era Annibale da Mondolfo, il più grande amico che avesse il suo uomo, Battista, capo indiscusso dei banditi annidati fra quelle montagne e che in quel momento si trovava presso un altro distac- camento. Il giorno seguente Annibale fu lasciato libero e gli furono restituiti tutti gli oggetti e denari che gli erano stati sottratti. Non che i tre giovani non avessero altre capacità da sviluppare, ma fu tale la determinazione del loro padre che essi dovettero piegarsi alla sua volontà e intraprendere quindi la carriera militare. Del primogenito Giovanni, per esempio, si dice che aveva “buone lettere d’humanità” e che si dilettava di architettura. Ed essendo stato, in una occasione, al servizio del re d’Inghilterra (probabilmente Enrico VII Tudor) insieme con suo cognato, il vescovo Golfi, nunzio apostolico inviato dal pontefice Alessandro VI, aveva donato al sovrano un disegno di sua mano rappresentante “molte cose notande” del palazzo ducale di Urbino. Benedetto, il più famoso dei tre, quando affrontò la sua prima esperienza di guerra, nel 1494, aveva 17 anni. Vi fu chiamato dal suo signore Giovanni della Rovere, che aveva avuto una condotta dal re di Francia Carlo VIII (fu in occasione della famosa calata del re francese nel regno di Napoli). Giovanni lo chiamò per questa campagna militare giudicandolo più atto alle armi che alle lettere, nelle quali pure aveva dato prova. Ancora più interessante il caso dell’ultimo dei fratelli, Annibale (o “Anniballe”), il più corpulento e più forte fisicamente. Egli stesso confessa, nel dialogo col nipote Filippo, che non ancora quindicenne, ormai morto il padre Giraldo, venne chiamato dal fratello Benedetto alla sua prima campagna militare. Pare che la cosa gli dispiacesse, in quanto riusciva molto bene negli studi e aveva fatto disegno di andare “allo studio”, vale a dire 72 © 2006 Monte Offo – Morlacchi Editore all’università (“mi levò dalla scola” e così “fui dato all’esercitio militare et all’intolerabile fatiche e stenti dell’arme”). Dei tre il più importante, l’eroe della casata, è Benedetto, che partecipò a innumerevoli battaglie e vinse memorabili duelli. Ebbe fama larghissima ai suoi tempi. Dopo aver riportato numerose ferite su tutto il corpo, morì in battaglia nel 1526 al Serraglio di Mantova (oggi in comune di Canneto sull’Oglio), mentre tentava di contrastare la discesa dei lanzichenecchi, che l’anno seguente avrebbero saccheggiato Roma. Il 1508 fu un anno fondamentale nella storia della famiglia. Allora Francesco Maria I della Rovere, figlio di Giovanni, divenne duca di Urbino, passando dal possesso di un piccolo stato ad uno stato più ampio e prestigioso (era già stato di Federico da Montefeltro, suo nonno materno).
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