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Le molte vite della TR4, prima parte: TR4 e TR4A

Di Aaron Severson

Se cambi la carrozzeria di un’auto, poi dopo qualche anno cambi il telaio, dopo qualche altro anno sostituisci il motore e infine rinnovi ancora la carrozzeria, puoi dire che è rimasta sempre la stessa macchina? Questa è la domanda che si pone per la Triumph TR4 e le sue immediate eredi. Introdotta nel 1961 per rimpiazzare la TR3, la sportiva di successo della Standard-Triumph, la TR4, disegnata da Michelotti, era meno nuova di quanto il suo aspetto suggerisse; fu solo dopo altri otto anni e tre cambi di nome che divenne a tutti gli effetti una novità. In questa prima puntata, iniziamo ad esaminare la curiosa evoluzione della gamma TR, cominciando con le Triumph TR4 e TR4A degli anni 1961-1967.

(Foto dell'autore)

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LE TRIUMPH TR2 E TR3 La nascita della prima sportiva del dopoguerra della Triumph Motor Co. è una saga complicata che merita di essere esplorata più approfonditamente; limitiamoci qui a dire che, dopo parecchie false partenze, la Triumph TR2 fece il suo debutto al Salone di Ginevra nel Marzo 1953 e fu commercializzata più tardi nello stesso anno. Progettata con un budget molto risicato per i macchinari, la TR2 era una piccola auto goffa con telaio e freni non adeguatamente sviluppati, ma vantava un motore di 1.991 cc a 4 cilindri con albero a camme in testa (OHV) con una buona coppia, una versione con alesaggio ridotto del motore a canne umide di 2.088 cc adottato nella berlina Standard Vanguard e in alcuni trattori Ferguson (che la Ferguson, società madre della Triumph, produceva dal 1946). Le vendite furono subito incoraggianti e decollarono con l’arrivo della rinnovata TR3, che negli anni successivi fu migliorata con caratteristiche utili come le maniglie esterne delle portiere e i freni a disco anteriori, per la prima volta di serie su auto inglesi. La TR3 si dimostrò un solido successo commerciale, con una produzione che raggiunse circa 75.000 unità alla fine del 1962.

La Triumph TR2. Da notare la griglia (modificata nella TR3 nel corso del 1955), parabrezza asportabile, le porte “cutaway”. Tra il 1953 e la fine del 1955 furono prodotte un totale di 8628 TR2. (Foto: “Triumph TR2 ” © 2008 Brian Snelson; modificata nel 2014 da Aaron Severson per nascondere la targa e utilizzata secondo la licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic con modifiche consentite dalla licenza stessa)

La Triumph TR3 era un’auto che si potrebbe definire di un fascino particolare. Nella versione TR3A post-1957 era certamente più bella della TR2, ma difficilmente si poteva dire più gradevole di una MGA Mk1 o di una Austin-Healey 100, le sue principali rivali. Anche le “buone maniere” non erano

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it tra le principali virtù della Triumph, a causa del livello di rumore, di una guida che si prendeva troppe confidenze, e di una protezione dalle intemperie ridicola. Il vero punto di forza della TR3 era nelle pure prestazioni. Il rapporto peso-potenza era vicino a quello della più costosa Austin- Healey e permetteva alla TR3 di umiliare auto sportive ben più care. Inoltre, la Triumph aveva consumi sorprendentemente ridotti ed era una bestia selvaggia che sopportava bene i maltrattamenti, caratteristica che si prestava bene all’uso in rally o in pista. La squadra corse Triumph accumulò una notevole serie di vittorie di classe nei Rally Europei e la TR3, sostenuta da una lunga lista di optional specifici per le competizioni, divenne molto popolare tra gentlemen drivers e piloti semiprofessionisti.

Prodotta a partire da settembre1957, la Triumph TR3A era molto simile alla TR3 tranne che per la griglia più larga— ispirata dalla “Dream Car” di Michelotti presentata a Ginevra in quell’anno — e per le maniglie esterne alle portiere. (La sigla TR3A era usata ufficialmente, ma raramente adottata nel materiale pubblicitario o tecnico ufficiale dove era di solito pubblicizzata semplicemente come TR3.) Le ultime TR3 e tutte le TR3A avevano dischi anteriori Girling, una caratteristica rara all’epoca. Le ruote a raggi erano un accessorio in opzione frequentemente scelto. (foto dell’autore)

Il management della Standard-Triumph, per quanto certamente gratificato dal successo della TR3, era consapevole che i gusti degli acquirenti di auto sportive potevano essere davvero volubili, così già intorno alla metà del 1957 iniziarono i programmi per la successione della TR3 nell’ottica di introdurre una nuova auto nel 1959. Come era naturale, i primi progetti si concentrarono sul limare difetti più evidenti: fornire una migliore protezione dalle intemperie, una guida più

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it confortevole e magari anche la possibilità di un vero 2+2 (la panchetta posteriore della TR3 era stata accettata sorprendentemente bene, considerando che anche un cane appena un po’ grande si sarebbe lamentato della mancanza di spazio per le gambe). C’era anche un serio interesse nella sospensione posteriore indipendente, qualcosa che a quel tempo neanche la Jaguar aveva. Tuttavia all’epoca la Standard-Triumph aveva in ballo questioni ben più pressanti, alcune delle quali avrebbero avuto un profondo effetto sul futuro della linea TR.

Con porte “cutaway”, finestrini con aggancio a pressione, e un tettuccio abbastanza rudimentale, la protezione dalle intemperie non era un punto di forza della TR3; un hardtop rimovibile era opzionale. Una caratteristica interessante era il piccolo sportello dietro la targa posteriore, che permetteva l’accesso alla ruota di scorta posta sotto al bagagliaio senza dover scaricare i bagagli. (foto dell’autore)

ZEST , ZOOM , ITALIA Una delle decisioni più significative fu, a metà 1957, quella di confermare la collaborazione di un designer italiano di talento, . Michelotti aveva iniziato la sua carriera a metà degli anni ’30 come apprendista agli Stabilimenti Farina (fondati dal fratello maggiore di Pinin Farina, Giovanni) ed aveva aperto il suo laboratorio a Torino nel 1949. Pur collaborando con alcuni dei maggiori designer italiani, in particolare Vignale, Michelotti rimase del tutto indipendente lungo tutta la sua carriera. Fu presentato alla Standard- Triumph nei primi mesi del 1957 da un collaboratore esterno che sosteneva di conoscere un

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it designer in grado di disegnare e realizzare una auto completa in 12 settimane o meno ad un costo che, per gli standard inglesi dell’epoca, era incredibilmente basso. Il direttore amministrativo della Standard-Triumph, Alick Dick, e il capo progettista Harry Webster erano all’inizio scettici, ma presto si accorsero che non era un vanto a vanvera: Michelotti aveva grande inventiva, lavorava a basso prezzo ed era incredibilmente veloce. Secondo Webster, Michelotti impiegò meno di 24 ore non solo per creare un concetto di auto completamente nuovo che poi divenne la (la prima auto di serie che realizzò per la Triumph) ma anche per produrre un set completo di disegni in scala. Questo fu un colpo di fortuna per la Standard- Triumph, il cui capo progettista Walter Belgrove si era dimesso a fine 1955, lasciando nell’incertezza i tentativi di sviluppare un design con le forze interne.

Il primo progetto di Michelotti entrato in produzione per la Standard fu la “subcompact” Triumph Herald, lanciata nel 1959 per rimpiazzare le Standard 8 e 10. Nella foto una Herald 1200 del 1966, che aveva un motore di 1147 cc invece del 948 cc della prima versione. (Foto: “ Triumph Herald ” © 2012 pyntofmyld; usata secondo la licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic )

La prima prova di Michelotti per una nuova auto sportiva Triumph fu la “pinnuta” Dream Car , basata sulla TR3, che la Standard-Triumph espose al Salone di Ginevra nel marzo 1957. Questo prototipo era più un concept che una seria prospettiva di produzione ma più tardi nello stesso anno la Standard-Triumph incaricò Michelotti di sviluppare una proposta per una nuova TR. Il risultato, completato ad inizio 1958, fu un prototipo chiamato in codice “Zest”. (La attribuzione di

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it nomi in codice di quattro lettere, tutti comincianti per “Z”, era una tattica sviluppata da Harry Webster per confondere la concorrenza — una decisione pratica, data la velocità con la quale i fornitori della Triumph erano assorbiti da case rivali nella metà degli anni 1950). La Zest utilizzava il più recente telaio TR3A, ma la carrozzeria aveva una forma più squadrata rispetto alla TR3, con pinne sui parafanghi posteriori, una presa d’aria sul cofano e fari parzialmente coperti dal cofano, nella griglia. La Zest era anche dotata di un hardtop in acciaio basato sul tettuccio della Triumph Herald coupe.

Il frontale della TR4 entrata in produzione ricorda molto il prototipo Zest di Michelotti, anche se quello della Zest era più stretto (in parte perché conservava la carreggiata da 45 pollici (1,143mm) della TR3), aveva una presa d’aria piatta sul cofano anziché un rigonfiamento asimmetrico, e aveva i rostri del paraurti più all’interno. (Photo: “ Triumph TR4 (front) ” © 2008 TR001; ridimensionata e modificata nel 2012 da Aaron Severson per riquadrala e nascondere la targa e usata secondo la licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported license con modifiche consentite dalla licenza stessa)

In quello stesso periodo, Michelotti creò una terza proposta su base TR3: una elegante coupé chiamata Italia (in seguito ribattezzata Italia 2000). La Italia, che debuttò al salone di Torino del 1958, non nacque a Coventry; il progetto fu il parto della mente di Salvatore Ruffino, titolare della CESAC SpA, l’importatore italiano della Standard-Triumph. Ruffino intendeva produrre una serie limitata di Italia e fondò allo scopo una società apposita, la Ruffino Spa. Dopo alcune modifiche al design originale di Michelotti, incluso il nuovo frontale privo di fari a scomparsa e una griglia più convenzionale, la Italia fu lanciata nel 1959 con carrozzeria e interni realizzati da Vignale su telaio e meccanica Triumph. (Ruffino sperava di allestire una propria linea di assemblaggio a Napoli ma non riuscì a trovare i finanziamenti necessari.) Sfortunatamente

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it l’interesse iniziale della Standard-Triumph per il progetto svanì bruscamente nel 1960, portando a battaglie legali sulla proprietà del design e azzerando ogni possibilità di una distribuzione attraverso i rivenditori americani. Ruffino gettò la spugna nel 1962 dopo aver costruito circa un terzo delle 1000 auto inizialmente previste.

Sotto la pelle, la , disegnata da Michelotti e costruita da Vignale, si basava su un telaio TR3 o TR3A. L’Italia era bella, ma costosa: il prezzo in Italia era di 2.500.000 lire, circa il 25% in più di una TR3; le poche dozzine vendute negli USA costavano $3.695, 1000 dollari abbondanti in più della TR3B, meccanicamente simile. (Photo: “ 1959 Triumph Italia 2000 ” © 2010 Rex Gray; used under a Creative Commons Attribution 2.0 Generic license )

I dirigenti della Standard-Triumph apprezzarono il prototipo Zest di Michelotti, ma gli chiesero di cambiare strada. La motivazione principale per il nuovo progetto era la necessità di fare posto a un nuovo motore: non, come ci si potrebbe aspettare, il piccolo sei cilindri che avrebbe a breve motorizzato la Standard Vanguard Six e la (sebbene pare che la Standard avesse anche se per poco considerato questa possibilità) ma un quattro cilindri DOHC completamente nuovo. Questo motore a doppio albero a camme, chiamato in codice 20X e soprannominato “Sabrina” (come una nota modella e attrice dell’epoca), aveva circa la stessa cilindrata del motore a canne umide (1.985 cc), ma superquadro e con cinque cuscinetti di banco invece dei tre del motore esistente. Sebbene pensato in particolare per le gare — a giugno la Triumph avrebbe iscritto tre auto con motore 20X a Le Mans — il 20X doveva equipaggiare le auto di produzione, non fosse altro per necessità di omologazione. Questo inizialmente sembrò un compito difficile,

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it dato che il 20X era di parecchio più ingombrante del quattro cilindri esistente, e i tecnici della Standard-Triumph ritenevano che non si sarebbe potuto utilizzare il telaio TR3A senza modifiche. A tal fine, il prototipo Zoom beneficiò di un allargamento di 4 pollici (102 mm) alla carreggiata e di 6 pollici (152 mm) all’interasse frontalmente alla paratia tagliafuoco per fare spazio al motore DOHC. Di conseguenza la Zoom appariva piuttosto diversa dalla Zest originaria, con fari che ricordavano quelli della Italia 2000 e una nuova griglia.

Sebbene la Standard-Triumph sperasse di offrire il motore DOHC 20X come opzione nella Triumph TR4, la motorizzazione standard fu il familiare OHV quattro cilindri della TR3, comunemente noto come “canne umide” per via delle canne dei cilindri staccate, la cui forma consentiva al refrigerante di circolare attraverso lo spazio tra ciascuna canna e il blocco. Progettato nel 1945, questa unità motorizzò diversi trattori Ferguson e la Morgan Plus 4, mentre una versione di 2.088 cc fu utilizzata nella Standard Vanguard. Le TR2, TR3 e TR3A mantennero la corsa di 92mm (3.62-inch) del motore Vanguard, ma con un alesaggio ridotto, 83mm (3.27-inch). La versione 2.138 cc (130 cu. in.), sviluppata in origine per motorizzare le auto ufficiali da rally e standard nella TR4, aveva alesaggio di 86 mm (3,39 in). Non c’erano differenze esteriori tra il motore da 1.991 cc e quello da 2.138 cc (122 and 130 cu. in.); dato che le camicie dei cilindri erano estraibili, scambiarli era una operazione semplice e in effetti fatta da parecchi proprietari. (foto dell’autore)

Ciò che la Zest e la Zoom avevano in comune era che nessuna delle due era una vera : entrambe rinunciavano alle porte “cutaway”, ai finestrini rimovibili e al parabrezza pieghevole della TR3 per portiere convenzionali, finestrini discendenti e un parabrezza curvo e fisso. La Zoom aveva un vero e proprio tettuccio ripiegabile e possiamo supporre che anche la Zest lo avrebbe avuto, se fosse entrata in produzione. Queste caratteristiche significavano più peso, il che rendeva la potenza del motore DOHC particolarmente attraente (sebbene nella versione di produzione

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it questo motore fosse dato come opzione e non di serie). Per la fine dell’anno, la Zoom era la favorita per diventare la futura TR.

SALVATA DALLA LEYLAND L’unico piccolo problema, come ci si poteva aspettare, erano i soldi. I profitti della Standard- Triumph erano andati in gran parte in un programma ambizioso di espansione e consolidamento, messo in moto dalla acquisizione da parte della rivale BMC della Fisher & Ludlow, che produceva gli stampi per alcune delle auto della Standard e della Triumph. Ritenendo che l’unico modo di assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti per la Standard-Triumph’s fosse internalizzare la catena di fornitura, Alick Dick iniziò una campagna acquisti di fornitori come la carrozzeria Mulliners Ltd. Di Birmingham e la Alford and Alder Ltd. (sospensioni) prima che questi potessero essere assorbiti da concorrenti. Circa nello stesso periodo, la Standard decise di abbandonare la produzione di trattori. Nel 1953, la Ferguson era stata acquisita dalla compagnia Canadese Massey-Harris. Sebbene la Standard- Triumph avesse rinnovato il contratto di fornitura con la nuova società Massey-Harris-Ferguson, le relazioni peggiorarono via via, raggiungendo il culmine con il fallito tentativo della M-H-F di soffiare la Mulliners da sotto il naso della Standard nell’estate del 1958. A metà del 1959, la Standard-Triumph divorziò dai canadesi, una mossa che nel breve periodo portò a una infusione di liquidità ma privò la Standard di un’importante fonte di reddito. La maggior parte dei proventi della separazione furono utilizzati per acquistare un impianto di stampaggio nell’area di Liverpool (che più tardi sarebbe diventato noto come Speke No. 1) e il terreno per realizzare un secondo impianto in grado di assemblare, verniciare e rifinire auto complete. Questo secondo impianto, completato nel 1969, divenne noto come Speke No. 2. Nessuna di queste fu una decisione sbagliata, ma gli investimenti svuotarono le tasche della Standard-Triumph in un momento quanto mai inopportuno. Le esportazioni, tradizionalmente un punto di forza, iniziarono a calare improvvisamente quando il governo Britannico, preoccupato dal crescere dell’inflazione, tirò i freni sul credito e sulle spese di consumo. Il volume delle vendite della Standard-Triumph sprofondò di più del 40% rispetto all’anno precedente e entro l’estate le perdite mensili della Società avevano raggiunto le 600.000 sterline (equivalenti a 1,7 milioni di dollari al cambio attuale). Sin da quando era diventato direttore amministrativo all’inizio del 1954, Alick Dick aveva dedicato considerevoli energie per trovare un partner per la Standard-Triumph, con approcci che si erano rivelati inutili con società come il gruppo Rootes, la Rover e persino con la American Motors. Dal momento che la situazione si andava facendo sempre più disperata, Dick contattò Sir Henry Spurrier della Leyland Motors, un importante fabbricante britannico di camion e autobus. Nonostante lo stato sempre peggiore dei conti della Standard, i dirigenti Leyland si mostrarono ricettivi; Sir Henry aveva preso in considerazione un rientro nel mercato dell’automobile e acquisire la Standard-Triumph era un modo molto semplice e diretto di riuscirci. L’accordo tra le due società fu annunciato a dicembre. Le molte vite della TR4, prima parte: TR4 e TR4A 9

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Nonostante la crisi finanziaria, la Standard-Triumph ritornò a Le Mans nel giugno del 1960. I prototipi TRS motorizzati con il motore DOHC non avevano concluso la gara nel 1959, ma Dick e Harry Webster decisero di provare di nuovo con tre nuove auto, tutte con carrozzeria in fibra di vetro nella forma del prototipo Zoom di Michelotti. Sfortunatamente, malgrado tutte e tre tagliassero il traguardo, non vennero incluse nella classifica ufficiale perché la loro velocità media fu considerata insufficiente.

Una delle tre TRS costruite per Le Mans; questa gareggiò nel 1959 e nel 1961, ma non nel 1960. Le TRS avevano carrozzeria in fibra di vetro e la linea era quella del prototipo Zoom di Michelotti, perciò assomigliano molto a come la TR4 sarebbe potuta apparire (a meno dei parafanghi e altri equipaggiamenti) se i problemi finanziari non avessero interferito. Le TRS erano dotate del motore DOHC di 1.985 cc (121 cu. in.)— ufficialmente definite 20X, ma spesso chiamato “Sabrina” a causa della forma “a bulbo” dei coperchi delle punterie alla estremità di ogni albero a camme che ricordava a qualcuno la formosa attrice britannica Norma Ann Sykes, il cui nome d’arte era Sabrina. (Foto: Revs Institute for Automotive Research)

Le auto dotate del motore 20X corsero di nuovo nel 1961 con migliori risultati, ma già dalla tarda estate 1960 il progetto Zoom aveva perso spinta. Sebbene la Standard-Triumph fosse sempre impegnata a rinnovare la carrozzeria — le TR3 invendute si accumulavano rapidamente nei cortili dei concessionari Triumph — c’erano pochi soldi da investire per un nuovo telaio. I piani per un passo più lungo furono abbandonati e alla fine questo si dimostrò non necessario, dato che i progettisti scoprirono, tardivamente, che il motore 20X poteva essere infilato nel telaio della TR3A. Tuttavia la Standard decise che la carreggiata più larga era da mantenere, dato anche che questo richiedeva solo modifiche minime al telaio e all’assale.

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Questo nuovo input — carreggiata più larga, stesso passo — faceva sì che il prototipo Zest fosse troppo piccolo e lo Zoom troppo grande, così la Standard-Triumph tornò da Michelotti e gli commissionò una versione “salomonica”. Con la consueta velocità Michelotti propose un amalgama dei due progetti precedenti. Aggiunse anche alcuni minimi miglioramenti, inclusa la rimozione della presa d’aria sul cofano sostituita da un bulbo asimmetrico, che consentiva di ricavare lo spazio necessario ai carburatori pur con un cofano basso. Nonostante i vincoli finanziari della Standard, qualche modifica meccanica passò l’esame, incluso un nuovo sterzo a cremagliera (con un piantone dello sterzo telescopico e collassabile chiamato “Impactoscopic”) e un cambio a quattro marce con le marce basse sincronizzate, di nuova progettazione. Queste modifiche erano giustificabili come razionalizzazioni di produzione: lo sterzo era un adattamento di quello della Herald, mentre il cambio sincronizzato su tutte le marce aveva delle evidenti applicazioni in altri prodotti. Una altra modifica significativa fu la standardizzazione del motore da 2.138 cc (130 cu. in.) a canne umide, prima dato in opzione, la cui maggiore coppia avrebbe compensato l’aumento di peso del nuovo modello. Questa modifica era utile e non particolarmente impattante, dato che il motore di maggior cilindrata differiva da quello di 1.991 cc (121 cu. in.) solo nel diametro delle camicie dei cilindri; la versione 2100 era già disponibile come opzione sulla TR3A.

LA TRIUMPH TR3B Malgrado fosse meno elaborata di quanto ipotizzato all’inizio, mettere in produzione la nuova TR costava ancora troppo; solo il costo per le nuove macchine sfiorava il milione di sterline (2,6 milioni di dollari), un sacco di soldi per la Standard-Triumph dell’epoca. Una volta conclusa la fusione con la Leyland, la primavera seguente, la dirigenza — già preoccupata dalla percepita mancanza generale di attenzione ai costi — prese in esame diverse misure di riduzione delle spese, inclusa la possibilità di utilizzare finestrini fissi a tendina anziché i finestrini scorrevoli. Tuttavia il consiglio di amministrazione alla fine considerò che queste modifiche sarebbero state dei falsi risparmi e approvò il progetto così come presentato. Battezzata ufficialmente TR4, la nuova auto sportiva entrò in produzione nell’agosto 1961, con quasi due anni di ritardo sui programmi. Ma c’era ancora una complicazione, questa volta dall’estero. Sebbene si potesse ritenere che le comodità introdotte nella TR4 fossero appetibili nel cruciale mercato statunitense, i concessionari Triumph negli USA erano preoccupati che i loro clienti potessero considerare la nuova auto come un segnale di “rammollimento” della Triumph. Parte del fascino della TR3 per gli statunitensi era proprio il suo essere dura e pura: i clienti negli USA che volevano una decappottabile grossa e comoda avevano altre alternative. Anche la possibilità del cambio automatico, presa in considerazione all’epoca, ricevette una risposta negativa.

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Una rara Triumph TR3B, proposta solo nel 1962 e solo per il mercato nordamericano. La Standard-Triumph abbandonò il programma originale di unire il telaio TR4 con la carrozzeria TR3A — cosa non difficile, richiedendo solo di modificare i parafanghi per renderli compatibili con la carreggiata della TR4 — e così la TR3B entrata in produzione era essenzialmente una TR3A con il cambio sincronizzato (tranne le prime 500 prodotte) e il motore da 2.138 cc (130 cu. in.) della TR4 . (Foto: “ Triumph TR3B 2.2L ”; © 2014 SG2012; utilizzata secondo la licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic )

L’opzione del cambio automatico fu abbandonata, ma la Standard-Triumph accettò di continuare la produzione della TR3 per un ulteriore anno in parallelo alla nuova TR4. La cosa fu meno negativa di quanto avrebbe potuto essere perché le carrozzerie dei due modelli erano prodotti in fabbriche differenti: le lamiere della TR3 venivano dalla Mulliners a Birmingham (e dalla sua sussidiaria, la Forward Radiator Co.), mentre la TR4 era costruita negli ex-impianti della Hall Engineering a Speke, che la Standard aveva acquistato nel 1959. Le carrozzerie erano poi trasportate su strada alla fabbrica di Canley-Fletchamstead a Coventry per l’assemblaggio finale. Sarebbe stato semplice accoppiare la vecchia carrozzeria con il nuovo telaio. E in effetti la Triumph costruì due prototipi “TR3B” esattamente in questo modo, solo adottando parafanghi più larghi e una nuova griglia a causa della maggiore carreggiata. Tuttavia si decise di non proseguire per questa strada cosicché la TR3B entrata in produzione era in pratica come l’ultima TR3A, fatta eccezione per il nuovo cambio sincronizzato su tutte le marce e il motore da 2.138 cc (130 cu. in.) che prima era proposto solo come opzione — una combinazione potenzialmente interessante per un uso in pista.

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La TR3B non entrò in produzione sino a marzo 1962, probabilmente per permettere lo smaltimento delle TR3A ancora invendute. Come poi si dimostrò, la TR3B avrebbe avuto vita molto breve.

LA TRIUMPH TR4 La Triumph TR4 debuttò finalmente nel settembre 1961. Nel Regno Unito aveva un prezzo base di 750 sterline, 51 più della TR3A, il che per la prima volta spinse il prezzo incluso di tassa di acquisto sopra il tetto delle 1.000 sterline (per l’esattezza 1.032£ 5s 3d). Tuttavia, come accaduto anche in precedenza, poche TR furono vendute nel mercato domestico. La maggior parte fu esportata negli USA, dove il prezzo di listino della TR4 era di 2.849$, 174$ più della TR3A (o della TR3B, che non sarebbe apparsa sino alla primavera successiva) [N.d.t. in Italia fu messa in vendita a 2.235.000 lire, 255.000 lire in più della TR3A] . Sebbene la TR4 fosse più cara, il suo posizionamento sul mercato non era sostanzialmente cambiato: il suo prezzo si collocava ancora circa a metà tra la MGA roadster e la Austin-Healey 3000 Mk II.

Una delle prime TR4 con hardtop, riconoscibile dal bulbo sul cofano corto. A partire da qualche momento nel 1962, il bulbo fu allungato fino ad arrivare circa al bordo posteriore del cofano. Sugli hardtop delle prime TR4 il pannello centrale, così come la sezione posteriore, erano in alluminio, ma presto vennero prodotte in acciaio. Sia hardtop che parabrezza erano asportabili, sebbene questa fosse una operazione macchinosa e le auto con hardtop di serie non avessero il tettuccio installato. Anche così, la versione con hardtop costava in UK circa 50 sterline più della versione con tetto apribile e 150$ in più negli USA (Photo: “Triumph TR4 1961 ” © 2010 Mick dal Northamptonshire, England (Lumix); usata secondo la Creative Commons Attribution 2.0 Generic license )

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Sui cataloghi USA c’erano tecnicamente due TR4: la versione convertibile con tetto apribile e la coupé con hardtop. Quest’ultima non era propriamente un modello diverso, ma una convertibile con un hardtop semi-permanente installato al posto del tettuccio apribile. Possiamo ipotizzare che la ragione di proporre la versione con hardtop come un modello separato fosse per facilitare l’omologazione per le gare: le TR3 con hardtop erano state ammesse nella classe GT e non nella categoria sports cars, una distinzione che la società voleva senza dubbio mantenere. L’hardtop era un nuovo oggetto in due parti, concepito da Michelotti e già adottato nel prototipo Zoom. Il pannello centrale che costituiva il tetto, in acciaio tranne che nelle prime unità prodotte, poteva essere rimosso senza togliere la sezione posteriore, dando un effetto molto simile al tettuccio rimovibile della successiva Porsche 911 Targa. Sfortunatamente, il pannello centrale era troppo grande per essere riposto nel bagagliaio, lasciando così gli occupanti in balia dei capricci del tempo. Per ripararsi da acquazzoni improvvisi, un pannello di vinile con aggancio a pressione conosciuto come “Surrey top” era offerto come opzione, ad un costo aggiuntivo.

Ancora una TR4 del 1961 con hardtop, questo con il “Surrey” top opzionale installato. Gli appassionati attuali e anche alcuni giornalisti dell’epoca chiamano Surrey top l’intero hardtop in due parti, ma la fabbrica usava questo termine solo per il pannello agganciabile in vinile, che era una opzione a pagamento per le auto in versione hardtop. (Foto: Nicola Marras)

Qualunque fosse il tipo di tettuccio scelto, la TR4 aveva un abitacolo più largo e più confortevole e un bagagliaio più grande della TR3. Il nuovo modello era ancora un due posti secchi, ma erano offerti un set di cuscini che potevano essere posti nell’area dietro i sedili, fornendo uno spazio almeno teorico per un bambino piccolo o per un cane di media taglia e ragionevolmente accondiscendente. Il sistema di ventilazione era dotato di bocchette a livello viso, rare nelle auto britanniche dell’epoca, e un nuovo e più potente riscaldatore era offerto come opzione. In aggiunta ai finestrini scorrevoli, c’era anche un tettuccio molto migliorato con una finestratura posteriore in tre sezioni che migliorava la visibilità posteriore. Il contenuto di questo articolo è protetto dalla licenza definita a questo indirizzo : www.triumphinitaly.it/disclaimer.html 14

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Il frontale della TR4 di serie assomiglia al prototipo Zest di Michelotti, mentra i parafanghi posteriori e la coda univano le forme del Zoom con le luci di coda della Zest (le TRS, basate sulla Zoom, avevano tre bulbi indipendenti per lato nei fanali posteriori). Nella versione convertibile, la TR4 beneficiava di un nuovo tettuccio con pannelli laterali più grandi per una migliore visibilità. Sebbene molto migliorato rispetto a quello della TR3A, il tettuccio era ancora complicato da installare per cui la Triumph lo riprogettò per la TR4A. (Foto: “ 1962 Triumph TR4 ” © 2014 Greg Gjerdingen; modificata 2014 da Aaron Severson per nascondere la targa e utilizzata sotto Creative Commons Attribution 2.0 Generic license con modifiche consentite dalla licenza stessa)

Il primo indizio che la TR4 era ancora la stessa belva sotto il nuovo abito italiano era la qualità della guida. Sebbene gli ammortizzatori fossero un po’ più soffici che nelle TR3 (le molle erano le stesse), la TR4 manteneva una tenuta di strada dura e oscillante quanto bastava per minacciare la stabilità su superfici sconnesse. La TR4 si era un po’ civilizzata — lo sterzo era più preciso e la carreggiata più larga e la migliore distribuzione dei pesi rendevano la guida su strade lisce più agile che mai — ma le superfici sconnesse tiravano fuori il carattere selvaggio della Triumph, conseguenza non solo delle molle più rigide ma anche della mancanza cronica di corsa delle ruote posteriori del vecchio telaio. Alcuni critici si lamentarono del fatto che lo sterzo più rapido rendeva la TR4 piuttosto nervosetta, in particolare considerata la sensibilità dello sterzo ai sobbalzi. Alcuni fan della Triumph rimasero senza dubbio delusi nell’accorgersi che la TR4 non era più veloce della TR3A. Il motore da 2.138 cc (130 cu. in.) aveva una potenza di 105 cavalli lordi (78 kW; 100 hp/75 kW netti) e 172 Nm (127 lb-ft) di coppia, quindi 5 cv (3 kW) e 14 Nm (10 lb-ft) in più del motore da 1.991 cc (122 cu. in.) della TR3A, ma questi incrementi erano cancellati dalla maggiore area frontale e dal maggiore peso, 35 kg in più (78 lb) secondo i dati ufficiali della casa. Le prestazioni misurate erano infatti quasi immutate: 0-60 mph (0-97 km/h) in 10-11 secondi con una velocità massima di circa 175 km/h (110 mph). Questi erano valori molto buoni confrontati con le Le molte vite della TR4, prima parte: TR4 e TR4A 15

TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it altre sportive dell’epoca — ai guidatori delle Porsche 356, a parte la Carrera, conveniva essere cauti ai semafori — ma non di un margine così preminente come prima, facendo sì che alcuni giornalisti si domandassero quando sarebbe stato disponibile il motore DOHC Le Mans. Purtroppo, la risposta fu “mai”, sebbene il precedente motore da 1.991 cc (121 cu. in.) a canne umide fosse dato in opzione per chi voleva gareggiare nella classe sotto i 2,0 litri. Nonostante tutto, la Triumph TR4 era una delle auto più sportive disponibili nella sua classe di prezzo, offrendo una forte accelerazione, una guida agile e freni di prima categoria. Rivali come la Sunbeam Alpine o la Alfa Romeo Giulietta Spider erano un po’ più vivibili sulle strade nel mondo reale, ma non avevano alcuna possibilità contro la Triumph in qualsiasi tipo di confronto diretto. La TR4 beneficiava anche di un assortimento completo di accessori da competizione (la maggior parte dei componenti per la TR3/TR3A erano compatibili) così come dell’overdrive Laycock de Normanville, opzionale ma frequentemente installato. L’overdrive era utilizzabile su ogni marcia tranne la prima, dando quindi alla TR4 un cambio a 7 velocità, molto pratico nei rally. L’overdrive poteva anche essere ordinato assieme a un differenziale da 4,10 (al posto del 3,70 standard), migliorando quindi l’accelerazione. Anche al suo massimo, la TR4 non raggiunse mai la popolarità della TR3A ma il timore che i clienti del nord America si sarebbero allontanati dal nuovo modello si rivelarono infondati. La TR3B, introdotta nella primavera del 1962, sopravvisse per solo 7 mesi e vendette solo 3.331 esemplari, il che ne fa oggi un modello molto raro.

LA TR4 IN GARA Nell’agosto 1961, poco prima dell’inizio delle vendite della TR4, la Leyland licenziò il consiglio di amministrazione quasi al completo e pretese le dimissioni di Alick Dick, che fu rapidamente sostituito da Stanley Markland. Una prima vittima della nuova amministrazione fu il programma corse, cancellato quasi in contemporanea al debutto della TR4. Altre vittime furono i programmi di partecipazione a Le Mans e il motore 20X, entrambi ritenuti troppo costosi e di limitato interesse commerciale. Nonostante ciò la TR4 aveva un evidente potenziale sportivo. Nel 1962 il “competition department” fu riaperto sotto la direzione di Graham Robson, che sarebbe poi diventato un famoso e autorevole scrittore nel settore automobilistico. Il budget era di appena 16.000 sterline (circa 45.000$) [N.d.t. meno di 30 milioni di lire], sufficiente solo per quattro TR4, ognuna dipinta in “powder blue”. All’inizio queste auto erano quasi di serie ma nell’arco di due anni lo divennero sempre meno, grazie a pannelli alleggeriti in alluminio e diverse modifiche al motore. Le auto ufficiali vinsero un buon numero di premi, ma la classe 2,5 litri era divenuta più ostica e la carriera delle TR4 nei rally europei fu breve. Nel 1964, la Standard-Triumph decise che la TR4 non era più competitiva e la ritirò dalle competizioni, a favore della Spitfire e della 2000 berlina.

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Dai dati ufficiali Triumph la lunghezza complessiva della TR4 è di 153.6 pollici (3.901 mm), ma la maggior parte dei test fatti all’epoca forniscono un valore di 156 pollici (3.962 mm), probabilmente misurato includendo anche i rostri dei paraurti. Il passo è 88 pollici (2.235 mm), lo stesso della TR3, ma la carreggiata della TR4 è 49 pollici (1.245 mm) anteriore, 48 pollici (1.219 mm) posteriore, circa 4 pollici (102 mm) più larga rispetto alla TR3. Il peso in ordine di marcia è circa 2.240 lb (970 kg) per una convertibile con overdrive; la versione hardtop era forse 25 lb (11 kg) più pesante. Da notare il bulbo “lungo” su questa auto, che si estende all’indietro più della versione “corta” sul modello del 1961. Ci furono in effetti due versioni del cofano long-bulge nella vita della TR4, sebbene la differenza sia più evidente con il cofano alzato, poiché i rinforzi e i fermi sotto il cofano sono diversi. (Foto: “1962 Triumph TR4 ” © 2014 Greg Gjerdingen; usata secondo la Creative Commons Attribution 2.0 Generic license )

Le cose andarono diversamente negli USA, dove le TR4 era ben presenti nei campionati dello Club of America (SCCA). La spinta iniziale venne dal pilota che spese settimane a fare pressioni su Mike Cook, al tempo responsabile advertising della Triumph US, per fornirgli una TR4 per le gare della stagione 1962. Cook e Martin Tustin, il presidente della Standard-Triumph US, alla fine cedettero ma la TR4 ufficiale fu distrutta durante una sessione di prove poco dopo essere stata consegnata. La Triumph US non aveva intenzione di fornire una seconda auto, perciò Tullius e il suo amico Ed Diehl misero insieme una TR4 con le parti da tre diversi rottami e con questa auto Tullius vinse il campionato nazionale SCCA E-Production del 1962. Motivata da questa vittoria, la Triumph Nord America decise di iscrivere tre auto alla 12 ore di Sebring del 1963, preparate da R.W. “Kas” Kastner. Kastner, che aveva vinto il campionato SCCA F- Production Pacific del 1959 con una TR3A, era stato il service manager per il distributore Triumph della West Coast, la “Cal Sales”, diventando poi Western Zone service manager quando la “Cal Sales” fu acquisita dalla Standard-Triumph nel 1961. Kastner si dimise quando gli venne detto che

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it in quanto dirigente Triumph non poteva più gareggiare, ma fu attirato dal progetto Sebring: le auto per Sebring furono preparate nel garage di casa di Kastner a Manhattan Beach, California, a sud di Los Angeles. Le TR4 si classificarono prima, seconda e quarta nella loro classe a Sebring, e dopo questo risultato Kastner fu nominato responsabile del nuovo “U.S. competitions department”.

Mole delle Triumph TR4 oggi montano cerchi sport Minilite o a raggi, ma questi ultimi erano una opzione a pagamento; i cerchi di serie della TR4 erano in acciaio da 4.5×15. Neanche gli pneumatici radiali erano di serie, ma erano una scelta saggia perché i pneumatici a tele incrociate di serie non erano omologati per la velocità massima della TR4. All’interno, sedili e tappezzeria in pelle e cruscotto in legno erano opzionali, così come i cuscini posteriori per trasformare la area dietro ai sedili in una vaga approssimazione di un sedile posteriore. Da notare che, a differenza dalla TR3, il bagagliaio della TR4 scende sino quasi all’altezza del paraurti, una soluzione positiva per i bagagli ma che comportò la cancellazione dello sportello separato per la ruota di scorta della TR3. (Foto: “Triumph TR4 (1965) ” © 2013 Steve Glover; usata secondo la Creative Commons Attribution 2.0 Generic license )

Più tardi nello stesso anno Bob Tullius portò una delle auto di Sebring in un altro campionato nazionale SCCA, questa volta in D-Production, dove la SCCA aveva da poco riclassificato la TR4. (Dal 1960, la SCCA aveva classificato le auto sulla base delle prestazioni relative piuttosto che della cilindrata, così non era raro che auto fossero spostate in su o in giù di una classe per mantenere la competitività). Tullius vinse il campionato SCCA nel 1964. Gentlemen drivers e piloti semi- professionisti raccolsero grandi successi con la TR4, grazie anche al programma di assistenza piloti di Kastner, che forniva piccoli premi in denaro ai piloti che vincevano o si piazzavano per coprire in parte il costo degli pneumatici, della benzina e della manutenzione.

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LA TR4 “INDIPENDENTE ” La Triumph TR4 fu soggetta a un certo numero di modifiche “in corsa” durante la sua vita, tra cui dischi anteriori Girling leggermente più piccoli, una geometria delle sospensioni rivista, sedili più imbottiti e una graduale sostituzione dei carburatori S.U. HS6 con nuovi Stromberg 175CD, prodotti dalla Zenith ma progettati dalla Standard-Triumph. La sostituzione dei carburatori era motivata non dalle prestazioni, ma dai costi: secondo Harry Webster, il direttore tecnico, la Standard stava pagando un notevole extra per i carburatori HS6 sin da quando la BMC comperò la Skinners Union a metà degli anni ‘50.

Ci sono piccolo indizi esterni che fanno distinguere la Triumph TR4A dalla TR4: una nuova griglia, un nuovo badge (resuscitando il vecchio logo Triumph con il mappamondo) e luci di posizione con un profilo cromato sino alle portiere. Il paraurti anteriore era un poco più alto, anche se è difficile notarlo senza vedere la TR4 e la TR4A fianco a fianco. (Foto: “ MHV Triumph TR4A 01 ” © 2009 MartinHansV; ridimensionata e usata secondo la Creative Commons Attribution 3.0 Unported license )

Nel frattempo, I tecnici della Triumph stavano lavorando su un progetto più complesso: un nuovo telaio. La Triumph aveva ben presenti le critiche sulla guida ruvida della TR4 e sul comportamento anomalo sullo sconnesso ed era determinata a risolvere questo problema, senza danneggiare però l’handling. La soluzione ovvia erano le sospensioni posteriori indipendenti che erano state prese in considerazione durante lo sviluppo della TR4 ma rimandate per motivi di costo. Nel 1962 tuttavia fu evidente che la TR4 sarebbe diventata a breve il solo modello a ponte rigido della Standard- Triumph: le piccole Herald/Vitesse e la futura Spitfire avevano già bracci oscillanti (sebbene questi

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it presentassero problemi dinamici) e la società stava sviluppando una sospensione a bracci trasversali braccio per la nuova berlina 2000 che avrebbe rimpiazzato la Standard Vanguard alla fine del 1963. Era quindi logico che anche la TR seguisse l’esempio e il fatto che la Standard- Triumph stesse rapidamente tornando al profitto fu fondamentale. Era lecito dubitare che la Leyland avrebbe tollerato tale spesa, se i conti della Triumph fossero stati ancora in rosso.

A differenza della TR3A, la sigla TR4A apparve in tutto il materiale promozionale Triumph e nelle pubblicità assieme, quando applicabile, al badge “IRS” che proclamava la presenza delle nuove sospensioni indipendenti. LA TR4A aveva anche uno scarico sdoppiato (principalmente per ridurre il rumore, anche se contribuiva a un leggero aumento di potenza) e un nuovo tettuccio, più facile da chiudere, alloggiato nella area della panchetta posteriore anziché nel bagagliaio. Il nuovo tettuccio era molto più pratico, ma sostanzialmente impediva l’uso del sedile posteriore opzionale. (Foto: “ Triumph TR4A 01 ” © 2008 Arnaud 25; distribuita per l’utilizzo pubblico dall’autore e modificata nel 2012 da Aaron Severson per nascondere la targa)

Per certi aspetti, con il nuovo telaio la TR4 diventava quello che sarebbe potuta essere se la Standard non avesse avuto problemi di bilancio pochi anni prima. Il telaio fu quasi completamente riprogettato, mantenendo lo stesso passo ma con barre laterali di nuova forma e più rigide. La sospensione anteriore usava ancora doppi bracci oscillanti e molle a spirale, ma la corsa delle molle venne aumentata e la geometria dell’avantreno rivista per mantenere l’altezza dal suolo. Al posteriore, i soli componenti in comune con la versione precedente furono gli ammortizzatori a leva, mantenuti perché non c’era spazio per quelli telescopici. Le molle posteriori erano a spirale, meno rigide e sostenute da un braccio trasversale con boccole in gomma che sosteneva anche il

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it differenziale. Come sulla berlina Triumph 2000, le ruote posteriori erano collegate a grosse sospensioni a bracci trasversali in alluminio, che garantivano una escursione maggiore e un centro di rotazione più basso rispetto agli assi oscillanti della Herald e della Spitfire, per ridurre i cambiamenti di camber e il sollevamento che potevano rendere queste auto difficili da controllare in situazioni al limite. Allo stesso modo, il rapporto di sterzata della TR4 fu ridotto di circa il 20% per ridurre la forza sullo sterzo e rispondere alle lamentele sul suo nervosismo. Per compensare il peso addizionale del nuovo telaio e sospensioni, la potenza del motore fu aumentata di circa il 4% grazie a un nuovo collettore di aspirazione e a un sistema di scarico sdoppiato che consentiva anche di eliminare gran parte del caratteristico rombo del motore. Fu anche introdotta una valvola PCV per soddisfare gli standard di emissione della California. Il doppio scarico e silenziatori, come è logico, aggiungevano ulteriore peso portando l’aumento di peso totale legato al nuovo telaio, secondo i dati ufficiali, a 112 lb (50 kg). A parte l’aumento di peso, il costo di queste modifiche era (con riferimento ai prezzi di listino in UK) di 50 sterline (circa 140$) [N.d.t. circa 87.000 lire, ma in Italia la differenza fu di sole 15.000 lire] più la tassa di acquisto. Questo rese perplessi alcuni dei concessionari statunitensi perché spingeva il prezzo della TR4 negli USA sopra il tetto dei 3000$ [N.d.t. circa 1.900.000 lire, in Italia fu messa in vendita a 2.250.000 lire]. Indubbiamente gran parte delle TR4 erano già vendute a un prezzo maggiore – l’aggiunta di riscaldamento, radio, overdrive e qualche altro accessorio portava il prezzo a circa 3300$ [N.d.t. oltre 2 milioni di lire] più il trasporto — ma Genser-Forman, il distributore Triumph per il Nord-Est degli Stati Uniti, era convinto che il prezzo base più alto fosse comunque un pericoloso handicap psicologico. Dopo molto lavoro di persuasione, la Standard-Triumph accettò di rendere la sospensione posteriore indipendente opzionale e non di serie negli USA. Mantenere il vecchio telaio era in pratica impossibile, ma i progettisti della Standard riuscirono a combinare il ponte rigido e la balestra esistente con il nuovo telaio, eliminando il braccio trasversale della sospensione indipendente.

TR4A E TRIUMPH SUPER SPORT Questo modello rivisto, ora chiamato Triumph TR4A, debuttò a Ginevra nel marzo del 1965. Oltre al nuovo telaio e al motore modificato, aveva alcune altre modifiche meccaniche ed estetiche meno rilevanti, in particolare profili laterali cromati, cruscotto rivestito in legno e un serbatoio di recupero per il radiatore. Tutte le TR4A avevano le nuove sospensioni posteriori indipendenti, tranne negli USA dove erano date come opzione al costo di 147$. Sfortunatamente, i registri della Triumph non dicono quante auto vennero prodotte senza la sospensione posteriore indipendente. Le prove su strada dell’epoca conclusero che la sospensione posteriore indipendente era un passo nella giusta direzione, ma non la soluzione definitiva ai difetti di tenuta di strada della TR4. La qualità era molto migliorata ma ci furono commenti negativi sul fatto che le molle posteriori erano ora troppo morbide, arrivando a fine corsa su bruschi avvallamenti e mostrando un evidente

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it affondamento in accelerazione. Così come nella 2000, i semiassi scanalati splined (che si adattavano ai leggeri cambi di traiettoria allungandosi o accorciandosi seguendo la sospensione) potevano bloccarsi e non scorrere più quando erano sotto sforzo. Per quanto riguardava la maneggevolezza, la tenuta su strade non perfettamente lisce era migliorata, ma il rollio era più pronunciato e si manifestava una propensione ad allargare la coda se si rilasciava l’acceleratore in curva, una caratteristica comune delle sospensioni a bracci trasversali. Correggere questo era complicato dallo sterzo poco diretto e alcuni critici lamentarono che le boccole in gomma nella sospensione posteriore e nello sterzo causavano troppa deflessione nelle manovre brusche.

L’interno della Triumph TR4A aveva alcuni controlli secondari modificati, nuovi sedili, una leva del cambio più corta e la leva del freno a mano spostata sul tunnel della trasmissione. Il rivestimento in noce del cruscotto era ora di serie (era dato in opzione sulle prime TR4, e da una statistica personale, certamente non scientifica, si potrebbe concludere che il cruscotto in legno è molto più comune ora di quanto lo fosse quando queste auto era nuove). Il piantone dello sterzo, così come nelle prime TR4, è regolabile. (Foto: “ Triumph TR4A 03 ” © 2008 Arnaud 25; distribuita per l’utilizzo pubblico dall’autore e modificata nel 2012 da Aaron Severson per nascondere una targa sullo sfondo)

Il nuovo telaio aveva pro e contro per l’uso in pista. Su circuiti immacolati, le sospensioni posteriori indipendenti non davano vantaggi particolari rispetto al ponte rigido, essendo più pesanti e più care da preparare per le gare. Inoltre il ritardo nella presentazione della TR4A non consentì la omologazione del nuovo modello per la classe “D-Production”. Kas Kastner, informato dai funzionari SCCA che il nuovo modello avrebbe potuto essere iscritto solo nella classe “Modified”,

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TRIUMPH IN ITALY www.TriumphInItaly.it molto più dura, agì di conseguenza creando una TR4A “Triumph Super Stock” con pannelli alleggeriti, sospensione messa a punto e un motore profondamente modificato che sviluppava circa 160 hp (119 kW); con questa auto Charlie Gates vinse il campionato nazionale classe D- Modified nel 1965. La TR4A vinse anche la classifica costruttori a Sebring nel marzo 1966.

Il motore da 2,138 cc (130 cu. in.) in una Triumph TR4A per il mercato americano, distinguibile dalle versioni precedenti per i nuovi collettori, un nuovo radiatore a circuito chiuso (con un serbatoio di recupero refrigerante in plastica), e i tubi per la valvola PCV sul breather cap. L’auto nella foto ha carburatori Zenith-Stromberg 175CD, ma alcune TR4A negli anni 1966-67 ritornarono agli S.U. HS6, forse per motivi di disponibilità dei componenti. Le prestazioni sono le stesse, ma gli S.U. costavano molto di più alla Triumph. Il motore TR4A aveva 109 cavalli lordi (81 kW) — 104 hp (78 kW) net — e una coppia di 132 lb-ft (179 N-m), un aumento di circa il 10% rispetto alla versione 1.991 cc (122 cu. in.) della TR3A. (Foto: “ Triumph TR4 late US engine ” © 2012 Akela NDE; usata secondo la Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 France license )

L’introduzione della TR4A rianimò un poco le vendite nel 1963-1964, ma il consuntivo del 1965— poco meno di 14.000 unità — era inferiore del 30% dal picco di vendite della TR4 nel 1962. Le vendite nel 1966 si ridussero a circa 11.000 unità, come nel 1964. Alcuni potenziali acquirenti erano attirati dalla molto meno cara Spitfire Mk2 o, a partire dal tardo 1966, dalla nuova GT6 coupé a sei cilindri, basata sulla Spitfire, ma c’era da fare i conti anche con la MGB e la Sunbeam Alpine Series V da 1.725 cc (105 cu. in.). La TR4A era ancora più veloce di queste rivali ma il suo margine si stava erodendo rapidamente. È vero che ottenere una sport car significativamente più veloce costava ben di più, ma la TR4A non era più l’affarone che era stato. Per rimanere competitiva aveva bisogno di più cavalli. Le molte vite della TR4, prima parte: TR4 e TR4A 23

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APPENDICE : LA DOVÉ GTR4 Sebbene la Standard-Triumph avesse messo in produzione sin dall’inizio una versione hardtop della Triumph TR4, ci fu un tentativo, che ebbe vita breve, di creare una versione GT più spaziosa e comoda: la Dové GTR4, prodotta dalla L.F. Dove & Company Ltd. a Wimbledon, uno dei maggiori distributori Standard-Triumph.

Harrington fece un coraggioso tentativo con la GTR4 di creare una 2+2, ma il passo non modificato faceva sì che la panchetta posteriore fosse limitata al più a persone con le gambe corte e particolarmente agili. Sebbene ci sia almeno un proprietario che ha allestito la sua GTR4 con l’aspetto di una auto da corsa ufficiale, lo storico Jon Marshall, che ha studiato approfonditamente questa auto, sostiene che le voci ricorrenti secondo cui Dové aveva preparto alcune auto per una partecipazione a Le Mans, poi abortita, sono false. La squadra corse della casa certamente non ha mai sponsorizzato la GTR4, anche se una versione fastback della Spitfire (non collegata alla GTR4) corse a le Mans nel 1964 e 1965. (Foto: “ Dove GTR4 (based on Triumph TR4) ” © 2013 Andrew Bone; usata secondo la Creative Commons Attribution 2.0 Generic license )

La Dové GTR4 era una conversione della TR4 standard con un nuovo tetto fastback progettato e costruito da Thomas Harrington Ltd., un carrozziere con sede nel Sussex che lavorava prevalentemente per il gruppo Rootes. Non è chiaro come sia nata la idea della Dové, ma potrebbe essere stata proposta dal progettista capo della Harrington, Clifford Harrington, come un seguito alla Harrington Alpine Le Mans, una conversione fastback della Sunbeam Alpine fatta dalla ditta nel 1962-1963. Dove ne fu convinto e le prime GTR4 furono prodotte all’inizio del 1963.

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Analogamente alla Alpine Le Mans, il nuovo tetto della GTR4 era in fibra di vetro con un lunotto posteriore apribile per una migliore versatilità nel carico del bagaglio. Dal momento che la conversione richiedeva di riposizionare il bocchettone del serbatoio, Harrington ne approfittò per installare un serbatoio maggiorato. Tutto ciò aggiungeva circa 400 lb (180 kg) al peso in ordine di marcia della TR4, così alcune GTR4 furono prodotte con un motore leggermente ritoccato (opzione del costo di 35 sterline) e parecchie ricevettero la trasmissione con rapporto 4,10 con overdrive. Autocar testò una GTR4 nel giugno 1963 a la trovò meno veloce di una normale TR4 nell’accelerazione 0-60 mph, ma più veloce una volta superate le 80 mph (129 km/h), il che faceva pensare che il nuovo tetto, aldilà delle considerazioni estetiche, riduceva la resistenza aerodinamica. Il problema della GTR4 era il prezzo: 1.093 sterline [N.d.t. 1.093.000 lire] il prezzo base, 1.250 sterline [N.d.t. 2.100.000 lire] con la tassa di acquisto, che non includeva il blueprinted engine (un motore molto più ottimizzato e performante) o altre opzioni. Il costo era di circa 300 sterline (800$) [N.d.t. 520.000 lire] più della TR4 hardtop, il che limitò grandemente le vendite. La chiusura del dipartimento carrozzeria di Harrington pose fine al progetto dopo il 1964, ma la L.F. Dove continuò per altri due anni, producendo alcune conversioni sulla base del nuovo telaio TR4a nel 1965 e nel 1966. Il numero totale di Dové prodotte non è noto, ma Hon Marshall stima che siano state prodotte circa 55 esemplari, includendo circa forse 10 GTR4A. La Standard-Triumph era sicuramente al corrente della GTR4 ma per quanto ne sappiamo non ebbe nessun serio interesse nel progetto. Quando la Dové fu lanciata, la Società stava già lavorando sul suo progetto di GT fastback, basato non sulla TR4 ma sulla più piccola . Nel maggio 1964 il consiglio di amministrazione della Standard stabilì che la versione a sei cilindri di questa auto, chiamata GT6, sarebbe stata la risposta della Triumph all’imminente MGB GT, un progetto del quale la Standard era recentemente venuta a conoscenza. Possiamo ritenere che il motivo principale per non produrre una versione GT della TR4 fu il costo. Al suo lancio, la GT6 costava quanto una TR4A convertibile e solo 25 sterline meno di una MGB GT; una TR4 GT sarebbe senza dubbio costata ben di più, limitando il suo potenziale commerciale.

NOTE DEL TRADUTTORE L’intero testo è copyright ©2012–2020 Aaron Severson. Tutti i diritti riservati. Tradotto con il permesso dell’autore. La versione originale dell’articolo (in inglese) è stata pubblicata per la prima volta il 22/10/2012 sul blog Ate Up With Motor ed è disponibile all’indirizzo https://ateupwithmotor.com/model- histories/triumph-tr4-tr4a/ . L’articolo è stato concepito per i lettori americani e quindi mostra anche le unità di misura adottate oltreoceano. Quando possibile, ai prezzi in dollari e/o sterline è stato affiancato il prezzo di listino in Italia o il valore corrispondente in lire secondo il cambio in vigore all’epoca.

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