Itinerari Sentimentali Per Le Contrade Di Milano
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ITINERARI SENTIMENTALI PER LE CONTRADE DI MILANO IV TESTO DI P. M EZZAN O TTE Edizione fuori commercio curata da ALDO GALBiATI con i tipi delle officine d'Arti Grafiche E. Milli per la BANCA POPOLARE DI MILANO L’atrio di Porta Ticinese (circa 1840). (Raccolta stampe Bertarelli) L’APOSTOLO BARNABA A PORTA TICINESE Il cristianesimo, secondo l’antichissima tradizione, entrò in Milano silenziosamente da Porta Ticinese, nell’anno di Cristo 52; e ancora oggi al n. 8 della piazza S. Eustorgio si addita il luogo, dove, in vista della cinta romana e della porta antica al Carrobbio, era il primo fonte battesimale della città; dove, si sosteneva, l’apostolo Barnaba aveva battezzato i primi mi lanesi addottrinati nei misteri della fede e aveva celebrato una prima messa. Reliquia preziosa, ancora oggetto di venerazione nel diciottesimo secolo quando a quelle acque si attribuivano virtù miracolose; tenuta in gelosa considerazione presso gli apologisti del rito ambrosiano, che con Barnaba primo vesco vo metteva le sue radici nella città. La prima croce inalzata da S. Barnaba sarebbe ricordata nel nome del Borgo di Santa Croce (invece secondo altra leg- 5 In Piazza S. Eustorgio - doveva il sacro fonte. (Fotografia Cardini, Milano) genda sarebbe stata innalzata il 13 marzo 52 presso i bastioni di Porta Orientale dove fu poi la Chiesa di S. Dionigi). Storia o leggenda? « Questa venuta e questo episcopato (dell’apostolo Barnaba) » scrisse Carlo Bascapè « non possia mo affermare con argomenti probabili in guisa da non bra marne altri più probabili ancora:... ». Se l’origine apostolica della Chiesa milanese può essere contestata, non è però messa in dubbio la remota antichità del rito ambrosiano, che doveva essere anteriore allo stesso Ambrogio, se Sant’Agostino gli fa dire: « Quando sono a Roma digiuno il sabato; a Milano non digiuno ». 6 II sepolcro del cardinale Branda di Castiglione in Castiglione Olona. (Raccolta stampe Bertarelli) L’OFFICIO DI SANT’AMBROGIO Ma del rito ambrosiano e dei suoi privilegi i milanesi fu rono in ogni tempo gelosi custodi: e ancora nel quindicesimo secolo per poco il cardinale Branda di Castiglione per tanti meriti insigne, accusato, a ragione o a torto, di aver tentato di sopprimerlo, per poco non lasciò la vita in una sedizione popolare. 7 Il fattaccio, oggetto di una dotta epistola latina, zeppa di classiche citazioni, stesa da un testimonio oculare, l’umanista Tobia dal Borgo, è brevemente ricordata dal Corio: « In que sto anno medesimo (1440) Brando da Castiglione cardinale di Piacentia volle disperdere l’officio de Sancto Ambrogio. Il modo fu che havendo in comenda l’abadia, cacio li Moniti Am brosiani e li misse Monaci Certosini »; i Milanesi, aggiunge, ricorsero al Duca, che senza troppi complimenti licenziò i cer tosini con energiche misure per i riottosi: « sotto pena dii foco ». Ma il peggio fu poi, quando il cardinale, trovandosi in cit tà coi suoi familiari per le feste natalizie, — nativo di Casti glione Olona, discendeva da antica famiglia milanese — si fece prestare dal preposito di S. Tecla un libro (« libellus » se condo l’epistola) custodito presso la basilica, ritenuto autogra fo di Sant’Ambrogio : e per Natale vi fece celebrare la messa cantata alla romana. Connettendo i due fatti, il popolo ne tras se le conseguenze che avvaloravano i sospetti e se ne accese il malumore. Il dì della Epifania (1441) era, come gli altri anni, grande ressa in Sant’Eustorgio, davanti alla vuota arca dei Re Magi. Si sparse la voce che il cardinale stava per partire: il Barba rossa, si diceva ad alta voce, ci ha spogliato di queste gloriose reliquie, ma questi fa di peggio; ci porta via anche quelle di Ambrogio. Il preposito di Santa Tecla, vista la mala parata, era passato nel campo dei malcontenti e invece di calmare gli animi gittava olio sul fuoco, eccitando gli esaltati a farsi giu stizia. Lasciata la chiesa, la folla si addensa minacciosa, in torno alla casa dei Brandi. Impaurito il cardinale gitta da una finestra il conteso libretto: ma i facinorosi non si contentano: il libro, si vocifera, non è quello cercato o gli sono state strap- 8 Ricostruzione elei sacello di S. Barnaba al fonte (prog. di F. M. Ricchino, 16 nov. 1621 - al piede firma di approvazione del card. Federico Borromeo). (A. S. C., Race. Bianconi) paté molte carte; vogliono avere il prelato nelle mani e mi nacciano di dare alle fiamme la casa; quando l’accorrere di vo lonterosi e risoluti soccorritori riesce a mettere in fuga i rivol tosi. Un disgraziato resta in mano alla giustizia e pagherebbe per tutti, impiccato ad una finestra del palazzo, senza l’inter vento generoso del Cardinale che lo nasconde nelle sue stanze e di notte gli agevola la fuga. Che poi Branda tendesse realmente alla soppressione del rito Ambrosiano è per lo meno discutibile : e si ricorda che pri ma del 1432, a Castiglione, suo luogo natale da lui ricostruito e ornato, a somiglianza di quanto Pio IV aveva fatto per Pien- za, aveva fondato una scuola di canto e rito ambrosiano. Sic ché, si dice, al rito ambrosiano non poteva essere avverso. Co munque dopo quella movimentata Epifania, secondo il Corio, lasciò Milano e più non vi fece ritorno. 9 San Carlo Borromeo distribuisce ai poveri il frutto della vendita del principato d’Oria - tela di Gio. Batta Crespi il Cerano. (Raccolta stampe Bertarelli) LA FONTE L ’antichissima fonte accessibile da una triplice gradinata, chiusa in rustico tempietto, fu ricostruita dal cardinal Fede rico Borromeo con eleganza di ornato secondo i disegni che ne rimangono nella raccolta Bianconi; e vi pose la prima pie tra nell’ottobre del 1623 « con l’assistenza del governatore (Don Gomez Suarez di Figueroa e Cordova, duca di Feria), tribunali e città, con infinito popolo concorso a quella di vina fondazione » (Torre) e il cardinale Borromeo che i con temporanei celebravano quale « eccellentissimo oratore » pre dicò dalla loggetta o pulpito detto di S. Pietro Martire a lato della facciata della basilica. 10 San Carlo Borromeo in una. stampa del primo Seicento. (Raccolta stampe Bertarelli) Era appena compiuto il grazioso tempietto, e annuncian dosi la peste famosa, il 22 maggio 1630 si vide accorrere folla di popolo e clero secolare alla sacra fonte e genuflettersi e fare voto solenne per la liberazione della città dal flagello; la città si assoggettò a penitenze e quattro giorni di digiuno. Ma pur troppo anche queste adunate ad altro non riuscivano che a 11 diffondere maggiormente il contagio. Ancora ai tempi di La- tuada il tempietto era in onore anche per le reliquie che cu stodiva, fra l’altre una fiala con sangue di S. Carlo, ivi depo sta, crediamo nel 1630, finché vennero i cisalpini a piantare in luogo di croci alberi della libertà: sconsacrata e abbando nata la fonte, appena ne restò memoria nei disegni della rac colta Bianconi e nel testo delle antiche iscrizioni lette dal- l’Alciato e dal Puccinelli. Ma qualcuno se ne ricordò nel secolo scorso: ne scrisse il sacerdote Don Rota, benemerito rievocatore di antichità mi lanesi, e sul muro esterno della casa al N. 8 della piazza fu collocata nel 1881 una lapide che ricorda San Barnaba e il cardinale Federico. Notiamo con soddisfazione che nella nostra città, troppo indaffarata per preoccuparsi di minuzie, la lapide ha finora resistito: forse per dimenticanza, e diremmo, per lodevole eccezione. Perchè a Milano le iscrizioni commemorative perio dicamente spariscono. Chi sa, a mo’ d’esempio dove è finita la lapide di marmo del Duomo che, in via Velasca, ne ricordava l’apertura per merito del governatore spagnolo o quella che ricordava Gerolamo Cardano in Via della Chiusa? IL PIANTO DEL CARDINAL FEDERICO La fonte di S. Barnaba conferiva un crisma di santità alla Porta Ticinese, sicché i solenni ingressi degli arcivescovi si facevano di preferenza da quel quartiere. Cortei spettacolari, dove il prelato procedeva su bianca chinea, sotto un ricco e pesante baldacchino, che otto gentiluomini della famiglia Confalonieri reggevano per antico privilegio, seguito da im menso stuolo di clero, autorità, armigeri e popolo : e dopo una Il Cardinale Federico Borromeo. (Raccolta stampe Bertarelli) sosta alla basilica di Sant’Eustorgio, per il borgo della Cit tadella, il Corso di Porta Ticinese, il Carrobbio, le Corsie di San Giorgio e della Palla, le contrade della Lupa, dei Pen- nacchiari e dei Mercanti d’oro, muoveva alla Metropolitana. Così il 23 settembre 1565, di domenica, entrava in Milano in età di ventisei anni Carlo Borromeo, seguito dal clero in pompa magna, dal governatore, Duca d’Albuquerque, dai magistrati, dalla nobiltà, da un numero quasi infinito di po polo, anche accorso dalle terre vicine. 13 Spettacolo nuovo per Milano, dove da sessantanni più non risiedeva nessun arcivescovo, dove la sedia episcopale era diventata prebenda della casa d’Este che qui mandava vi carii, in tutto indaffarati, fuorché nell’esercizio del sacro mi nistero. Tutto concorreva a esaltare l’entusiasmo popolare; si gri dava : sarà un altro Sant’Ambrogio. E parevano opporsi le po tenze infernali, « Si udivano dall’altra parte lamentevoli stre piti e grida di persone spiritate, che muggivano come be stie, ululavano e stridevano quasi che fosse loro di tormento estremo la presenza di questo santo Arcivescovo : cose che fu rono notate per molto meravigliose ». Così il Giussani, apolo gista del Santo. Dell’ingresso di Federico Borromeo è la minuta descri zione lasciata dal suo biografo, il Rivola. Movendo da Roma il 23 luglio del 1595, ricevuto durante il percorso con magni ficenza dal granduca di Firenze, dal Duca di Parma, poi dal conte di San Secondo, trovò in Milano « solennissimo ap parecchio, che superò di gran lunga i trionfi fatti nei passati secoli per l’introito di altri arcivescovi ».