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 MAP MUSIC PAGES di Marco Tagliabue

POST-PUNK 1978/1984 Dieci Tesori Nascosti

Introduzione punk, e di ancor più difficile inquadramento: non che troverete nei fogli che seguono ha davve - staremo a discettare con slancio filosofico e la ro poco da invidiare a tanti titoloni da prima pa - Il doveroso omaggio all’imprescindibile volume necessaria dose di alcool in circolo, sul suo al - gina, anche se, per gli imprevedibili giochi del di Simon Reynolds ( Post-Punk 1978-1984, Isbn lineamento o meno rispetto alla new-wave, an - fato , la carriera di molti di essi è iniziata e fi - Edizioni, pag. 715 ) si esaurisce qui: nel titolo che che perché sfidiamo chiunque a uscirne con pa - nita nell’ombra. Ci piacerebbe che, alla prova abbiamo scelto per dare un nome alla fatica alla role sensate e conclusioni accettabili. Sarebbe dei fatti, due o tre dei nostri venticinque letto - quale ci apprestiamo a mettere mano. Per il re - come aver l’illusione di uscire con due donne ri fossero disposti a farci compagnia nell’en - sto abbiamo deciso di scavare un po’ più a fon - diverse, quando in realtà è la stessa che si cam - nesimo volo pindarico… do : senza puntare verso profondità abissali, per bia la parrucca. Affidiamoci allora all’etimologia Un ultima, per quanto superflua, precisazione . carità, ma quel tanto che basta per cui difficil - del termine per dire che il post-punk nasce sul - I dieci titoli scelti (in ordine rigorosamente ca - mente troverete cenno dei nomi che ci appre - la spinta del punk per operarne un deciso su - suale) non sono sicuramente i migliori, i più im - stiamo a ripescare dall’oblio nella preziosissi - peramento attraverso la disgregazione in un in - portanti, gli irrinunciabili : rappresentano sem - ma trattazione del famigerato critico d’oltre - sieme di sottogeneri che, pur abbeverandosi alla plicemente una delle tante combinazioni pos - manica, come pure in enciclopedie, manuali o medesima fonte, prendono direzioni diversis - sibili, dettate da disponibilità e gusti persona - raccolte di dischi da isola deserta ad uso e con - sime ed in apparenza inconciliabili. Che il li (nonché dalla forzata esclusione di artisti già sumo del giovane astante o del vecchio sme - post-punk annulla la fisicità del punk e ne rap - trattati di recente, e valga per tutti almeno la ci - morato . Non siamo quindi andati a caccia su al - presenta l’evoluzione cerebrale, anche grazie al tazione dei grandi Sleepers di Painless Night ), tri pianeti : sia chiaro , pur sempre di popular mu - trasferimento delle fonti d’ispirazione dal garage, e non esauriscono certo il discorso intorno alla sic si tratta e non c’è bisogno di mettere a fer - dal beat, dal rockabilly, alla psichedelia ed al moltitudine di tesori nascosti di un’epoca fer - ro e fuoco il sistema solare per scovare qual - krautrock, dello strumento principe dalle chitarre tile come poche altre. Se avete rinvenuto in can - che pagliuzza dorata sfuggita alle pur strettis - al basso, ai sintetizzatori. Senza dimenticare na - tina o in soffitta qualche vecchia mappa ingiallita sime maglie di un sentire che, se ancora non turalmente il peso e l’influenza della musica dal tempo non indugiate a coinvolgerci: siamo si può definire comune, è comunque da tempo nera, del trasfigurato in dub, del soul tra - pronti a partire in qualsiasi momento, con qual - in via di normalizzazione. E anche se probabil - sfigurato in un funky dalle tinte quasi epiletti - siasi mezzo e con qualsiasi condizione me - mente non arriveremo mai ad ascoltare Religion che. Ma che confusione pensare che, di fatto, teorologica… dei P.I.L. in sottofondo allo spot per il cinque per il post-punk è praticamente contemporaneo al mille a favore della Chiesa Cattolica, è pur vero punk, che mentre non sono ancora definiti i con - che l’artefice di questo assalto all’arma bian - torni di un nuovo genere, qualcuno pensa già The Names – Swimming (1982) ca, e di qualche altra decina di provocazioni an - a spezzarne le linee: segnale anche questo, in cor peggiori, ha sbancato all’Isola Dei Famosi, fondo, di uno slancio innovativo che ha pochi From Brussels With Love recitava il titolo di una versione U.K., ed è stato individuato (e prez - eguali. E se buona parte dell’indie/alternative gloriosa compilazione su cassetta pubblicata nel zolato) quale rappresentante modello dell’En - rock degli anni ottanta/novanta/duemila è di novembre del 1980, attraverso la quale l’eti - glish Style per la pubblicità di un prodotto tipi - chiara discendenza new wave/post-punk, se le chetta belga Les Disques Du Crepuscule pre - co (il burro!), che il vecchio Lydon non più Rot - sue sonorità sono oggetto ormai da anni di un sentava al mondo il proprio punto di vista sul - ten è stato ben orgoglioso di interpretare. Se vero e proprio ripescaggio ai limiti del plagio, che la contemporanea scena new wave/avantgarde . molte barriere sono cadute, insomma, altret - dalla musica si estende anche alla moda ed alla Tanto amore , quindi , ma anche una dose non tanto non si può dire dello spirito rivoluziona - grafica, forse proprio di un fuoco di paglia non certo inferiore di sfortuna : la stessa che, uni - rio che ha permeato quella che, a detta di più si è trattato. Posto quindi che un brano qualsiasi ta alle insondabili vicende dell’umano sentire , d’uno, rimane la stagione più creativa della mu - di Metal Box , Unknown Pleasures o The Modern ha condannato la maggior parte dei gruppi di sica rock: una stagione che ha visto infrange - Dance , per non parlare di un Remain In Light na - cui leggerete in queste pagine ad un oblio che, re regole e preconcetti come mai era accadu - turalmente!, è più “avanti” del 90% della sbob - soltanto in taluni casi, può assurgere allo sta - to prima, sulla spinta di un’ansia sperimenta - ba di cui ci tocca riempirci le fauci in questi non to di orgoglioso culto. Almeno questa pur ma - le che ha creato alchimie strane e inimmagi - felicissimi giorni, non è certo di questi capola - gra consolazione non neghiamola ai protagonisti nabili , connubi arditi e destabilizzanti, che ha vori che avrete la pazienza di leggere nelle pros - della nostra prima scheda, i belgi Names: un sposato il bianco con il nero, ma anche il bian - sime pagine: troppo inchiostro si è già sprecato nome che difficilmente è uscito dai patri con - co con il bianco ed il nero con il nero secondo intorno ad essi, anche, in tempi non sospetti, fini e da quelli dei paesi francofoni limitrofi, no - combinazioni inedite e di incredibile effetto. Un dalle colonne di questa testata. Siamo però nel nostante l’incredibile chance offerta dall’inte - genere di per sé di difficile definizione, il post- contempo certi che la maggior parte dei nomi ressamento della Factory e del produttore

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ventura, quella dei Names, ini - gia. Entrambi i brani, fluidi, ipnotici ed inebrianti, The Names ziata nei giorni di Natale del restituiscono nella miglior forma possibile l’at - 1977 con l’incontro dei due per - titudine romantica della wave europea dei pri - sonaggi-chiave, il chitarrista Marc mi anni ottanta, ma il supporto 7” che li ospi - Deprez ed il bassista Michel Sor - ta non riesce ad andare oltre le 4.500 copie ven - dinia, l’effigie provvisoria di The dute, forse anche a causa della scarsa spinta Passengers ed il repertorio di Vel - promozionale della Factory, troppo impegnata vet Underground e Richard Hell da in quei mesi a gestire il dopo Ian Curtis. Non saccheggiare per affilare stru - andrà meglio, purtroppo, con il singolo suc - menti ed intenzioni. Con l’in - cessivo, l’ancor più accattivante Calcutta/Po - gresso in formazione di Cristophe stcards , edito nel gennaio 1982 da Factory Be - Den Tandt le tastiere non sono nelux con un ritardo di otto mesi rispetto alla più mero accessorio ed il sound registrazione, avvenuta questa volta a Bruxel - sposa umori tipicamente europei les, per il puntiglioso lavoro di produzione a di - in sintonia con le coordinate stanza di Mr. Hannett. Nonostante la recensione wave di gruppi quali Ultravox!, Ma - entusiastica di NME, che cita a proposito che Martin Hannett, oltre a quello più scontato ma gazine, Sound e Comsat Angels. Il solito demo è “difficile resistergli”, le vendite saranno an - non meno importante del solito John Peel . Una cattura l’attenzione della WEA belga e pone le cora più deludenti di quelle già fallimentari di carriera bruciata in quattro anni, un mazzo di sin - premesse di un contratto lampo per un solo sin - Nightshift . Dopo l’unica esibizione in Inghilter - goli ed un bellissimo e dimenticato, Swim - golo. Spectators Of Life/White Life/The Drive ra , al Venue di Londra il 16 febbraio 1982, e la ming , pubblicato forse con eccessivo ritardo per vede la luce in formato 7” nell’ottobre 1979 e registrazione della “inevitabile” John Peel ses - una scena di riferimento che si era appena esau - viene ampliato in un meno evanescente 12” il sion con quattro brani inediti che anticipano il rita con , Wire, Magazine e algida mese successivo da Celluloid. Alla dinamica nuovo album, tutto è ormai pronto per quella che compagnia , nel momento in cui i New Order sta - spontaneità della title-track, forse troppo com - resterà l’unica testimonianza sulla lunga di - vano per fare il botto virando verso l’elettroni - merciale per un pubblico post-punk, ma deci - stanza dei Names, il lavoro che, complice il so - ca danzereccia di Blue Monday ed i Cure, ripu - samente off-limit per un pubblico mainstream, lito Hannett, li consegnerà ad una storia che liti dai nerissimi gorghi metafisici di Faith o Por - si contrappongono le pulsanti frequenze elet - poco o nulla ha da invidiare a quella con la S nography , si affacciavano al disimpegno pop da troniche dei due brani posti sul retro: inutile dire maiuscola. Ideato come un’opera compatta, con classifica di Let’s Go To Bed . Una sfortuna che che le vendite sono molto al di sotto delle at - la successione dei brani intercalata da strani non sottende solo mere ragioni spazio-tempo - tese della WEA, che scarica la band senza trop - gorgoglii, per dare un senso di continuità in una rali, ma che esplode in tutto il suo fulgore an - pi complimenti. Poco importa, dal momento che sorta di dimensione acquatica, nonostante la che in occasione della prima vetrina importante una delle (tante) copie invendute viene recapi - rigida suddivisione in una parte “Diurne”, più rit - per la band, un’esibizione al Beach Club di Man - tata direttamente da Sordinia nelle mani di Rob mata, e una “Notturne”, più dimessa, Swimming chester di spalla agli il 29 lu - Gretton, manager dei Joy Division, al termine di (Les Disques Du Crepuscule, 6/82) è un glio del 1980, nei giorni in cui negli attigui Straw - un concerto dei mancuniani al Plan K di Bru - di glaciale e inquietante bellezza, in grado di di - berry Studios Martin Hannett metteva mano al xelles il 17 gennaio 1980. Sarà una semplice spensare violente spinte emotive in atmosfere loro primo singolo su Factory. Una fetta di pal - stretta di mano con Tony Wilson, l’unico con - di antico fascino mitteleuropeo. Merito delle ta - coscenico usurpata senza avviso e all’ultimo mo - tratto ammesso in casa Factory, il lasciapassare stiere, soprattutto, mai roboanti o sopra le ri - mento da tre gloriosi reduci, Steve Morris, Pe - per il singolo di debutto con la gloriosa label, ghe, ma persistenti in sottili giochi chiaroscu - ter Hook e Bernard Sumner, alla loro prima ap - Nightshift/I Wish I Speak Your Language , che ve - rali, merito del cantato, scarno ma espressivo, parizione live post Joy Division con una ragio - drà la luce nel novembre 1980 con il contribu - e di una base ritmica pesante e ossessiva, per - ne sociale ancora da definire –si presenteran - to determinante di Martin Hannett in sala di re - fettamente il linea agli stilemi post-punk. Me - no per questo come The No-Names, altro ama - ro scherzo del destino…- ed un futuro luminoso con il marchio di New Order che adotteranno di lì a poco. Sarà per tutti questi motivi o sarà an - che per quella puzza sotto il naso, che fa in fret - ta a diventare vera e propria intransigenza, che gli inglesi sono soliti mostrare verso tutto ciò che esula dai confini del Regno, specie in quel - le dottrine di cui, a torto o a ragione, ritengono di essere gli unici portabandiera , fattostà che i Names vissero e morirono nel più completo anonimato, accontentandosi di un posto nella memoria di chi attraversò quell’era con spirito impavido e senza tappi sulle orecchie . Gente come James Nice, per esempio, che nemmeno molti anni dopo, con la sua label Les Temps Mo - dernes (LTM) –sempre sia benedetta!- avrebbe votato il proprio tempo e le proprie risorse al re - cupero ed alla riedizione del verbo più nobile e oscuro dei primi anni ottanta europei. Si deve a lui, naturalmente, la possibilità di reperire tut - to il materiale pubblicato dai Names in digita - le ed a prezzi accessibili, grazie alle raccolte Swimming+Singles (contenente tutte le regi - strazioni ufficiali) e Spectators Of Life (con ma - Crisis teriale inedito, live e alternate-tracks). Un’av -

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rito di un sound che, pur in una sostanziale ri - quindi, che per poter es - gidità di forme, espone una spiccata varietà cro - sere serenamente con - matica attraverso gli epici crescendo emozionali segnata ai posteri nella di Discovery, Floating World, The Fire o Light , le consueta ristampa in di - evoluzioni oniriche di Life By The Sea , i soffer - gitale dell’opera omnia ti dissidi interiori di White Shadow o Shanghai (due le edizioni, Nous Gesture , per giungere fino al capolavoro (This Is) Sommes Tous Des Juifs Et Harmony , violente cadenze marmoree che non Des Allemands , Ourou - sfigurerebbero nel cimitero di Closer . Già, Clo - bouros 1997 e Holocaust Crisis ser e i Joy Division, pietra di paragone scomo - Hymns , Apop Records da e inevitabile per i Names in generale e per 2006), ha dovuto supe - Swimming in particolare, e chissà in che misura rare, in primo luogo, la violenta e sprezzante ne - da Guerra Mondiale ha portato un cambiamento ciò sia imputabile ad una mano pesante quale gazione dei suoi artefici, le cui resistenze han - definitivo nei processi mentali e di comprensio - quella di Martin Hannett, produttore storico e no impedito, per anni, la diffusione di quel pu - ne dell’essere umano” . Crediamogli. Ma è dei quinto membro occulto degli eroi tristi di Man - gno di canzoni ad un pubblico più ampio rispetto Crisis che vogliamo parlare e del loro essere chester, piuttosto che a limiti oggettivi dei Na - ai fortunati possessori dei vinili originali. Alla avanti, essere già post-punk, negli anni in cui mes stessi. Ma, seghe mentali a parte, Swim - base di tutta questa fiele, va detto, motivazio - il punk sta completando la sua opera di di - ming rimane opera maestra e imprescindibile ni unicamente ideologiche che nulla hanno a che struzione senza dipingere nuovi scenari. Un oriz - per ogni cultore che si rispetti della galassia spartire con l’indubbio valore artistico di quel - zonte, insomma, almeno a livello propositivo, al wave dei primi anni ottanta. Un anno e mezzo la scarna produzione. In mezzo alla confusione quale i Crisis tendono forse ingenuamente in dopo la sua pubblicazione, siamo più o meno che regnava sovrana ed al generale e genera - mezzo al caos generale, esibendo al tempo stes - intorno all’ottobre del 1983, fallito il botto at - lista slancio anarcoide che caratterizzava il punk so suoni che, quantomeno nella fase più ma - teso di Swimming , nel solito, completo anoni - settantasettino, poche formazioni esternavano tura, costituiranno agile superamento delle ori - mato reso ancor più amaro dall’incidente mo - posizioni politiche precise. Fra queste, i Crisis gini del punk. Un superamento che non è an - tociclistico occorso al batterista Luc Cappelle, esibivano un vero e proprio furore militante di cora manifesto nel primo parto vinilico della per i Names è tempo di un ultimo squillo di trom - dichiarata ispirazione marxista, in ragione del band, il 7” Holocaust/PC 1984/No Town Hall del ba. Il canto del cigno, pubblicato già a bocce fer - quale non si sottraevano ad un forte presen - 1978, che propone tre brani grezzi, diretti, ener - me con il solito, riprovevole ritardo, è il singo - zialismo nelle fila di associazioni quali Inter - gici i quali, anche attraverso un canto colmo di lo The Astronaut/Revenge/Shining Hours (Les Di - national Marxist Group o Socialist Workers Par - rabbia, quasi urlato, non si vergognano di tra - sques Du Crepuscule, 12”), che non fa altro che ty e sui palchi di manifestazioni come Rock Agai - dire chiare discendenze settantasettine. Ma già acuire il rimpianto per una band che avrebbe me - nist Racism o Anti-Nazi League Carnival. Peccato dalla pubblicazione successiva, il 7” White ritato ben altra messe . che quelle stesse istanze verranno completa - Youth/UK 79 del 1979, solide ed articolate im - mente rinnegate nel giro di pochi anni con palcature chitarristiche, talvolta devianti in fra - l’esperienza Death In June, caratterizzata, fin dal - seggi da brividi, unite ad un basso più cavernoso Crisis – Hymns Of Faith (1980) l’inizio, da un’ambigua iconografia militaresca e ad un utilizzo della voce più freddo, distaccato, e da fin troppo scontate accuse di filo-nazismo. quasi insensibile, definiscono il passaggio a so - Tutta la storia dei Crisis, o quantomeno quella Un’etichetta, spesso gratuita, che nello stesso norità più complesse e articolate . Una migra - che può godere dei crismi dell’ufficialità, sta co - periodo si erano visti affibbiare anche Joy Di - zione che tocca il punto di approdo con il mini modamente nel lato di una C90. Meno di qua - vision, Siouxsie And The Banshees, Throbbing album Hymns Of Faith del 1980: sette canzo - rantacinque minuti, dunque, per tre singoli ed Gristle e via santificando ed a proposito della ni che sfiorano il punk con l’iniziale On T.V. , un un mini album: l’intera discografia di una band quale lo stesso Douglas P., cercando di fare fi - brano senza fronzoli con una bella chitarra in che non ha certo il solo merito di avere custo - nalmente un po’ di chiarezza, ebbe a dire “Non secondo piano, per definire strutture più arzi - dito, nelle penne e nell’armamentario dei lea - c’è nessun significato politico in quello che fac - gogolate nella successiva Laughin’ , sovrappo - ders Douglas P. e Tony Wakeford, il nucleo che ciamo, m’interessa l’infinita malinconia insita in sizioni vocali ed un accattivante refrain, o nel avrebbe originato i controversi (ma sublimi) De - certi periodi storici, la componente emotiva finale affidato a Kanada Kommando , tecnica, ath In June. Un’esperienza molto significativa, che li ha caratterizzati; in particolare la Secon - energia ed un tocco di elettronica qua e là. In

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mezzo l’ingannevole attacco di armonica di Back In The USSR , che libera immediatamente un bra - Robin Lee Crutchfield no dalla struttura tipicamente post-punk, saturo di energia compressa, di claustrofobia latente, di una tecnica chitarristica che, giocoforza, non può vantare alcuna parentela con il carattere ap - prossimativo del punk. Così è anche per Afraid , con il basso in bella evidenza e deliziose trame chitarristiche per un brano in cui prevale la com - ponente strumentale, come pure avviene nella successiva Frustration , rigida, pesante, quasi claustrofobica, con le solite chitarre in bella evi - denza. Manca all’appello solo Red Brigades , ti - tolo di per sé esplicito, con il tono declamato - rio, quasi militaresco, della strofa che libera un refrain più diretto, in grado di stemperare la ten - sione per un testo decisamente sopra le righe. Quando nel 1981 esce il 7” postumo Aliena - tion/Bruckwood Hospital l’avventura dei Crisis è già un ricordo sbiadito per i pochi che hanno avuto la fortuna ed il coraggio di assistervi e del tutto cancellato per i due protagonisti, che con il meraviglioso 12” Heaven Street stanno per dare inizio alla storia dei Death In June. I due brani del singolo, presumibilmente risalenti al primo periodo della band, con i loro suoni rab - biosi e la loro energia diretta, riportano indie - tro le lancette dell’orologio alle radici punk dei Crisis, come a voler chiudere idealmente un cer - chio che si è fatto appena in tempo a tratteg - giare.

Dark Day – Exterminating Angel (1980)

L’amico che mi vendette la sua copia in vinile di Exterminating Angel caldeggiò l’acquisto di - cendo che, a suo parere, si trattava della co - lonna sonora ideale per commettere un suici - dio. Non ho mai voluto approfondire gli eventuali messaggi in codice che celava un consiglio così spassionato, tantomeno le ragioni che lo spin - gevano ad elargirmelo, fattostà che quell’as - surda motivazione esercitò immediatamente un’irresistibile attrazione sul sottoscritto, fa - cendogli capire che quel disco avrebbe fatto sen - z’altro al caso suo. Evidentemente, qualsiasi cosa volesse sottendere, il mio amico non ave - va tutti i torti. “Non sono solo, ci muoviamo sem - pre in tre: me, me stesso ed io” (Me, Myself & I) “E’ intrappolato dentro sé stesso. Si è costruito una gabbia dentro di sé, con la propria mente. E’ l’unica cosa che possiede” (Trapped). Gli anni ottanta di Robin Lee Crutchfield iniziano così, nella maniera più agghiacciante possibile, una bomba a minare le fondamenta di quella che sa - rebbe divenuta la decade del pragmatismo as - soluto, dell’edonismo sfrenato . Sembra in ef - fetti di essere su un altro pianeta, fra i solchi solazione infinita, di un respiro affannoso, di un formance art movement che si snoda fra le gal - di uno degli album più malati che ci possa es - tedio claustrofobico, di un lamento straziante lerie alternative di Soho e dintorni. Sarà la mu - sere dato di ascoltare, colonna sonora di un vuo - che inscenano, nell’unico modo possibile, la col - sica a catturarlo, e proprio nel luogo e nel mo - to umano ed emotivo che è condizione esi - pa di esistere, di aver ritirato un gettone di pre - mento in cui sta per dipingere una delle sue sta - stenziale; di un male di vivere, o meglio di so - senza nell’unica vita che ci viene data. Robin gioni più buie e controverse, quella della No pravvivere –agli altri e perfino a sé stessi- che sbarca nella Grande Mela alla metà degli anni Wave newyorkese, volendolo come membro fon - è veicolo per una discesa a precipizio nei giro - settanta, un provinciale come tanti deciso a datore, assieme ad Arto Lindsay, dei DNA. Con ni più torbidi dell’animo umano . Un resoconto sfondare in quel mondo ancora in via di defi - Ikue Mori alla batteria, i tre disegnano le tra - lucido e spietato di un vuoto morale, di una de - nizione che ruota intorno al conceptual and per - iettorie spastiche di quello che rimane, proba -

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Robin Lee mentale più armonica con synth e chitarra im - Basement 5 – 1965/1980 (1980) Crutchfield pegnati in un gioco più innocente. La stru - mentale Crown Of Thorns è l’ennesima danza Dopo tanta oscurità, finalmente un raggio di macabra, mentre No, Nothing, Never (“Sei mai sole . Il sole è quello della Giamaica, ma la sua sceso nell’oscurità dove nessuno è benvenuto?” ), luce è filtrata attraverso la polvere di una Lon - negazione assoluta, chiude il primo lato con un dra che pochi anni di politica thatcheriana stan - brano lungo e compiuto, un synth-pop glaciale no già riducendo ad un cumulo di macerie . Che con una spiccata componente ritmica ed un ruo - punk e reggae siano sempre andati a braccet - lo quasi esclusivo delle tastiere nel creare un to non è certo una novità ma, nonostante Po - tappeto plastico ma, a suo modo, avvolgente. lice & Thieves dei Clash, Jah War dei Ruts o Joh - Nella seconda voce femminile, accreditata ad nny Was degli Stiff Little Fingers, l’interscambio una “Mistery Woman”, sembra di riconoscere interessa soprattutto una generica sfera cul - Laurie Anderson. Laughing Up Your Scene inau - turale piuttosto che quella più prettamente mu - bilmente, il capitolo più importante dell’intera gura la seconda facciata con l’ennesima discesa sicale. Gli stessi brani citati , che ben testimo - vicenda, ma prima ancora che la band porti a agli inferi in un avvolgente sudario sintetico, niano l’adesione al reggae da parte del circui - rapido compimento quel processo di autodi - mentre Flightless Birds mescola gli stessi in - to punk, realizzano nella quasi totalità dei casi struzione cui sembra irreversibilmente deputata, gredienti cercando di costruire un edificio ar - un’incursione nel genere, quando non diretta - destino comune a tutti i protagonisti di quella monico dal senso più compiuto. Crib Death è mente nel repertorio di un artista giamaicano, fulminea esperienza, Crutchfield saluta tutti e un synth-pop marziano e inanimato, un palaz - piuttosto che una vera e propria fusione fra i due se ne va per intraprendere il progetto Dark Day. zo di vetro retto da progressioni meccaniche, poi stili. Per il sound meticcio e caleidoscopico dei Il suo nome rimarrà legato ai DNA ed alla No la strumentale Diving Belle e la prigione sinte - Clash di Sandinista! o per le claustrofobie in sal - Wave per il misero spazio del singolo di debutto tica di Me, Myself & I con le tastiere a tessere sa dub dei Public Image di Metal Box bisogne - You & You/Little Ants , edito da Lust/Unlust nel sibili lancinanti. Uninvited Guests , più scarna e rà attendere, nonostante il ridotto scarto tem - 1978, e di Egomaniac’s Kiss/Lionel/Not Mo - minimale, è preludio alla chiusura in grande sti - porale, che l’esaurimento della spinta rivolu - ving/Size , i quattro brani inclusi nella leggendaria zionaria della prima ondata punk sviluppi nuo - raccolta di Brian Eno (Antilles, Robin Lee vi orizzonti nei suoi stessi protagonisti, in ogni 1978), ma tanto basterà ad appiccicargli un mar - Crutchfield caso bianchi influenzati dalla musica nera . Un chio che, per quanto glorioso, costituirà gioco - discorso diametralmente opposto è quello che forza per i decenni a seguire il proprio principale riguarda i Basement 5, la band di all blacks alla biglietto da visita. Dark Day forgia il proprio quale dedichiamo questo capitolo, dispensatrice sound sulle tastiere di Crutchfield, le stesse che di un ibrido originalissimo ed efficace fra irruenza nei DNA venivano costantemente messe in om - punk e spirito reggae che ha avuto modo, pur - bra dalla schizofrenia chitarristica e vocale di troppo, di delinearsi solo attraverso i solchi di Lindsay e dall’elementare tribalismo percussi - un unico lavoro sulla lunga distanza, l’album vo della Mori. Nel 1979 esce il manifesto pro - 1965/1980 (Antilless/Island, 1980). Uno dei grammatico del nuovo corso, il singolo Hands prodotti migliori della stessa filosofia che ha par - In The Dark/Invisibile Man (Lust/Unlust) realiz - torito Sandinista! o Metal Box , capolavori a fian - zato con la partecipazione di Nancy Arlen dei co dei quali non teme brutte figure, con l’origi - Mars e Nina Canal dei Gynecologists in una for - nalità delle carte rovesciate, ovvero del punto mazione che rimarrà instabile per espressa vo - di vista nero su una cultura essenzialmente bian - lontà del leader. Quando l’anno successivo vede, ca . Non l’unico, certo (anche se i Bad Brains ar - per modo di dire, la luce l’album Exterminating le di Trapped , con il sax ospite di Steven Brown riveranno solo dopo ed i Living Colour molto più Angel , sempre nella fila di una scuderia glorio - dei Tuxedomoon ad acuire il senso di dispera - tardi, per rimanere in ambito di derivazione sa come la Lust/Unlust di Charles Ball, accanto zione, come un urlo di dolore proveniente da un punk ), ma il primo (e probabilmente il solo nel - alle tastiere elettriche e sintetiche di Crutchfield antro profondo e inaccessibile, in un brano im - la stagione new wave), il più originale e, natu - ci sono la batteria di Barry Friar e la chitarra di ponente e marziale, le tastiere a tracciare mae - ralmente, quello più ingiustamente dimentica - Phil Kline. La copertina dell’album incornicia, in stosi fondali di ghiaccio e la voce in cerca di una to. I Basement 5 nascono nel 1978 allorché un severissimo bianco e nero, l’immagine del profondità in precedenza solo sfiorata. Dopo il Don Letts, mitico DJ del Roxy oltre a cineasta volto di Robin intento a riflettersi in uno spec - 12” Trapped/The Exterminations 1-6 (Lust/Un - in erba (il suo Movie , girato con mez - chio con espressione torva ed enigmatica, qua - lust, 1980), con sei differenti remix di brani pro - zi di fortuna sui palchi e dietro le quinte del Roxy, si a fissare la propria immagine per l’ultima vol - venienti dall’album sul secondo lato, ed una se - rimane uno dei documenti più genuini del - ta prima di abbandonare il corpo. La musica rie di concerti a New York e dintorni che ha an - l’epoca) e tante altre cose, riceve 1500 sterli - prende a materializzarsi in questo panorama che un’appendice europea a Leuven, Rotterdam ne dal manager della Island Chris Blackwell per spoglio ed inospitale, in un’atmosfera tetra e e Amsterdam, Robin scioglie il progetto per ri - reclutare una risposta nera a & Co. opprimente, attraverso melodie lapidarie rette formarlo un paio d’anni dopo sottoforma di duo Dopo un breve periodo di rodaggio che vede an - da iterazioni scarne e ossessive delle tastiere, con l’altro synth di Bill Sack. Sarà occasione per che la presenza fra le fila della band dello stes - fragili trame chitarristiche, una batteria secca un nuovo album, Window (Plexus Records, so Letts in qualità di cantante, la formazione si e meccanica, una voce glaciale, indolente, as - 1982), fedele ai temi del predecessore e solo stabilizza intorno alla voce di Dennis Morris, fo - sente che il più delle volte è mesto recitativo. in parte negli esiti artistici. La storia dei Dark tografo di scena, fra gli altri, per Bob Marley e Il breve strumentale Raven’s Wing apre le dan - Day che ci interessa finisce qui: l’incarnazione Sex Pistols, al basso di Leo Williams, all’enig - ze con un gelido minuetto , Forced Landing ag - successiva, a metà anni ottanta, sarà sotto - matico J.R. alla chitarra ed all’ex batterista di giunge una voce che sembra provenire da un forma di ensemble acustico di musica medie - 101ers e PIL Richard Dudanski. Ed è proprio in manichino inanimato, Arp’s Carpet accosta a vale da camera (!) con un album, Darkest Be - apertura di un concerto dei . quel rantolo di ghiaccio le frasi minimali di chi - fore Dawn , pubblicato inizialmente solo su al Rainbow Theatre di Londra che i Basement tarra e synth, che si inseguono in una stanza cassetta, che dovrà attendere il 1989 e la vo - 5 debuttano dal vivo, seguiranno altre date nei dalle pareti a specchio. Chameleon mostra, in lenterosa label Nigh Eve per vedere finalmen - sobborghi della metropoli ed un breve tour in un’atmosfera al solito pesantissima, le parvenze te la luce in un più accessibile, ma comunque Portogallo sempre al seguito della cricca di Joh - di una canzone: la voce più umana, la base stru - limitato, formato digitale. nny Lydon. Nel frattempo arriva il contratto uf -

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ficiale con Island Records ed un produttore d’ec - cile e pesante, la metropoli caotica dei quartieri 1980) è forse anche qualcosa di più. Angoscia cezione, il mitico Martin Hannett di casa Fac - di Ladbroke Grove o Notthing Hill già immorta - allo stato puro. Un incubo spietato e disar - tory, per quella che, abbiamo detto, rimarrà l’uni - lata dai Clash di White Riot : “Sarà sicuramen - mante. Un’aggressione alla sfera emotiva. ca produzione della band (non consideriamo il te un’estate torrida, la temperatura sta salendo Rabbia, desolazione e disperazione. Claustro - mini In Dub , di poco successivo, contenente i rapidamente. I ragazzi sono già in strada con le fobia statica e assenza di ossigeno : non è aria remix in chiave dub di alcuni brani presenti nel - mani che prudono, non basta un soffio di ven - quella che si respira . Sono le polveri sottili di l’album). Dirà Hannett a proposito di to a raffreddare il calore che hanno dentro. (…) un mondo completamente asettico, di una ci - 1965/1980 : “Devi suonarlo a volume molto alto Scontri in America, scontri in Iran, scontri a Lon - viltà tecnologica nella quale le macchine han - per apprezzarlo in pieno. E’ stata la mia produ - dra; corri e armati fin quando il Palazzo sarà spaz - no annullato qualsiasi residuo di umanità e tut - zione più difficile, lo devo confessare, la più pe - zato via…” . No Ball Games e Hard Work danno to sembra marciare nell’unica direzione possi - sante. Era la fine di agosto e c’erano 28° al - un ritratto spietato delle condizioni imposte dal bile, nella corrente di un vortice che trascina, l’ombra. E’ stato l’album più ‘fisico’ al quale ab - “nuovo corso” nella vita e nel lavoro, tendenti insieme alle anime abbandonate al proprio de - bia mai collaborato. Mettere le linee di basso al all’annullamento dell’individualità nel segno di stino, sentimenti e vecchi fogli di giornali. Ma posto giusto è stato un lavoro duro. Mi sembra - una politica del “produci, consuma e crepa”: Pindrop non è solo sofferenza, è anche pas - va di trasportare dei mattoni. Ma alla fine ne è “Vivi in un buco al nono piano, una piccola ca - sione, emozione, piacere perverso : la paura valsa la pena.” Il basso, innanzitutto, sempre mera con vista. Questa è la vita moderna per l’uo - esercita un fascino che a volte supera il terro - mo moderno, l’attua - re e attrae come il canto delle sirene. Per qual - zione del nuovo piano che recensore d’epoca (Paul Morley, NME

Basement 5

governativo. (…) Porta 10/80), addirittura, un debutto di portata pari Basement 5 la famiglia a fare un a Unknown Pleasures dei Joy Division. Ma non bel giro sull’ascensore si sarebbe trattato di una voce isolata: qualcun in primo piano con linee profonde e cavernose di lusso, dimentica l’odore della spazzatura e gli altro (Terry Senal, Sounds 10/80), oltre al de - a tracciare ritmiche reggae/dub alle quali si ac - slogan della strada. Troppi spazi vuoti, troppe fac - butto dei Joy Division, avrebbe citato anche gli coda una batteria secca, serrata, senza fronzoli; ce malate: così vaghi in cerca della tua prossi - Wire di 154 come pietra di paragone. Dopo ol - un ampio uso di echi e riverberi nei brani in cui ma preda, come un vero uomo moderno” . Too tre vent’anni di semiclandestinità, Pindrop è da è più marcata la componente dub ( No Ball Ga - Soon rincara la dose all’intera umanità: “I bisogni qualche tempo finalmente disponibile nella pre - mes ) e un utilizzo della chitarra in funzione “rit - elementari di ogni essere umano vengono cal - ziosa ristampa di LTM, che affianca ai brani del - mica” in quelli nei quali è più palese la matri - pestati per riempire le pagine di un libro di sto - l’album originale una dozzina di bonus tracks ce reggae ( Immigration, Union Games, Too ria. I razzi partono per la luna, e ci arriveranno pescate dai primi, rarissimi, EP. Lasciarselo scap - Soon, Omega Man ). La sei corde non eccelle in molto presto… ”. Immigration rinnova il senso pare anche questa volta sarebbe poco meno di particolari virtuosismi anche quando la misce - di un dolore atavico : “Vivi in Inghilterra (…) a un delitto. Dick Witts, percussionista di impo - la punk/reggae è perfetta e non mostra ingre - 5000 miglia di distanza dal fratello Danny e da stazione classica, forma i Passage nella Man - dienti che prevalgono sugli altri: sovente si li - Granny May. (…) Il fratello Danny e Granny May chester ribollente del 1978. Nella primissima mita a seguire il fluire del brano in un’unica cor - non li hai mai visti nella tua vita, ma in qualche formazione, che non registra la presenza di una rente magmatica (Riot, Hard Work ), altrove rie - modo sai che sono parte di essa. (…) Un gior - chitarra, le sue tastiere sono affiancate dal bas - sce a ritagliarsi misurati spazi da protagonista no ricevi una lettera che ti dice che Granny è mor - so di Tony Friel, già all’opera nei Fall di Mark E. (Last White Christmas, Heavy Traffic ). La voce è ta, vedi tua madre spegnersi un po’ alla volta e Smith, e dalla batteria di Lorraine Hilton. Witts il principale veicolo per esternare la rabbia mu - provi una rabbia strana perché sai che, non fos - co-presenta in quegli anni “What’s On”, la ce - tuata dal punk: sempre calda, avvolgente e rab - se stato per l’immigrazione, la tua famiglia sa - lebre vetrina di Granada TV su rock e nuove ten - biosa, qualche volta perfino “rappata”. Un di - rebbe una sola e tua madre sarebbe stata un po’ denze giovanili diretta da Tony Wilson, futuro scorso a parte meritano i testi, che gettano uno più forte”. boss di casa Factory. Ciononostante le strade sguardo lucido e disincantato, ma soprattutto dei due, almeno artisticamente, non si incon - di angolazione “nera”, sulla condizione giova - treranno mai ed i Passage troveranno asilo nei nile negli anni dell’Inghilterra thatcheriana. The Passage – Pindrop (1980) box di partenza della più accomodante Object Riot aggiorna il “There’s A Riot Going On” di Sly Music, la label pioniera del Manchester sound & The Family Stone alla Londra degli scontri fra La risposta inglese a Exterminating Angel dei di quegli anni fondata da Steve Solamar degli bande rivali e della polizia con il manganello fa - Dark Day di R.L.Crutchfield? Pindrop (Object, Spherical Objects. Dopo qualche data cittadina

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1979 arrivano le prime defezioni: Tony Friel ab - tastiere. From The Heart spalanca le porte de - bandona per tentare la fortuna con la sua nuo - gli inferi e Locust ne accompagna implacabil - va creazione, i Contact. Per un breve periodo la mente la discesa fino ad una sorta di finale li - sorella di Lorraine, Martine, imbraccia il basso beratorio. E’ solo un’illusione perché con del dimissionario ma, dopo il fermo imposto a 2711 , 16 Hours e Carmen si realizza che non Witts da un incidente stradale, i Passage si dis - esiste alternativa all’angoscia . A Certain Way solvono in nulla . Nel luglio del 1980 Witts ri - To Go e Prelude , in chiusura, allentano un po’ forma la band alla stregua di un progetto soli - la morsa, ma siamo decisamente lontani da ogni sta e si chiude , in compagnia di un tecnico del segnale di presenza umana. Nonostante una suono , nei Graveyard Studios di Manchester. Pin - partenza così devastante, una di quelle che, in drop , album di debutto dei Passage, sarà il ri - genere, non possono far altro che alimentare The Passage sultato di settanta ore di registrazioni auto - un irreversibile processo di autocombustione, prodotte su un misero quattro piste. Fear , pau - la storia dei Passage, nel frattempo riorganiz - ed una breve puntata nel Nord Ovest, che si ri - ra, sembra lanciare in apertura un messaggio zatisi in forma di gruppo intorno alla figura di corda soprattutto per lo show all’Eric’s di Li - che, anche nel titolo, inquadra perfettamente il Witts, si protrarrà fino al 1983 ed al quarto al - verpool con i Joy Division come band di supporto clima dell’album: un velocissimo giro di basso bum originale Enflame (Cherry Red). Sarà eser - (!) , i Passage pubblicano nel dicembre dei 1978 cupo ed ossessivo, linee di synth come raso - cizio impossibile, naturalmente, mantenere in - l’EP di debutto New Love Songs , comprenden - iate inferte direttamente al cuore da una tatte la tensione e la forza distruttiva di Pindrop te quattro brani equamente ripartiti fra la pen - scheggia di ghiaccio, un ritmo serrato ed ipno - nei lavori che seguiranno, e quell’incredibile de - na di Witts e quella di Friel. Il dischetto vende tico ed il canto disperato di una voce plastica, butto sarà destinato a rimanere un episodio iso - circa tremila copie, ma riesce a far parlare di asettica, quasi meccanica. L’ascoltatore viene lato, una storia unica e speciale. I capitoli suc - sé soprattutto in virtù delle proteste scatena - calato in un’atmosfera inquietante che non lo cessivi, For All And None (Night And Day, 1981) te da qualche testo un po’ troppo maschilista . abbandonerà fino all’ultimo brano ed oltre, i suoi e Degenerate (Cherry Red, 1982), registreran - Nel gennaio del 1979 Paul Morley, dalle colonne sensi, il suo intelletto sembrano subire un’ag - no il progressivo avvicinamento della band ad del NME, presenta Passage, Spherical Ob - gressione alla quale è impossibile opporre re - un sound che, pur mantenendo un innegabile jects e Joy Division come le tre nuove band più sistenza: all’inizio prevale una sensazione di pa - marchio di fabbrica, si sarebbe avviato ad un pro - promettenti provenienti da Manchester. Colpi - nico, l’impressione di un labirinto senza usci - cesso di normalizzazione che, esaltandone le sce soprattutto, nel gruppo di Witts, l’assenza ta, ma, poco alla volta, riesce a prevalere l’istin - componenti elettroniche e ritmiche anche in fun - di una chitarra: un trio formato da basso, bat - to di sopravvivenza, la volontà di recuperare l’in - zione danzereccia, avrebbe perfino condotto al teria e tastiere elettroniche è cosa piuttosto inu - telletto e di trovare un frutto della ragione in mez - piccolo successo indipendente del singolo suale in quegli anni oltre a scomodare, peri - zo a tanto sfacelo. Il copione è sempre lo stes - XoYo . Non abbastanza per farne delle star, ma colosamente, ingombranti fantasmi del passato . so e prosegue con minime variazioni di tono: nemmeno per distruggere un culto. Basti pensare, ad esempio, a ciò che è rimasto scorre Troops Out e si tira un sospiro di sollie - di Emerson, Lake & Palmer dopo il ciclone del vo nonostante una frenesia ancora maggiore, punk. Nell’ottobre del 1979 viene pubblicato, Carnal e Watching You Dance avvolgono nelle PragVEC – No Cowboys (1980) sempre per la piccola Object, il secondo EP loro spire sintetiche fino a far mancare il respiro, About Time , prodotto da David Cunningham dei Hunt inscena un esperimento elettronico con un Nel momento in cui leggerete queste righe do - Flying Lizards e contenente, anche questa vol - ritmo spezzato mentre, in Anderton’s Hall è la vrebbe essere finalmente disponibile, via Mute ta , due brani ciascuno per Witts e Friel. Dopo base ritmica che scompare quasi completa - Records, l’agognata ristampa dell’opera omnia una data con i Cabaret Voltaire, alla fine del mente per liberare gli effluvi glaciali di voce e dei PragVEC, due singoli ed un album che sta -

PragVEC

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tevano vantare poco gloriosi trascorsi in un’an - cor meno gloriosa band dal nome programma - tico di The Derelicts. Il gruppo, dedito ad un re - pertorio quasi esclusivo di cover di matrice rhy - thm’n’blues, si sciolse nel 1976 dopo un’esi - stenza effimera e anche abbastanza inutile, la - sciando ai nostri l’amaro in bocca di non aver mai avuto occasione di cimentarsi con materiale originale. Susan, solare e versatile, si era ap - pena trapiantata in una casa popolare nel quar - tiere londinese di Shepherd’s Bush dopo un’in - fanzia trascorsa nella cattolicissima natia Du - blino: una strana commistione di spirito prati - co ed ingenuità post-adolescenziale la costrin - geva ad inseguire un lavoro serio insieme al so - gno di formare una band. John, più umbratile e spigoloso, lavorava già in una libreria ed, insieme alla chitarra, mostrava una grande predilezione per la pittura e la Guinness. Nell’anno che Su - san e John trascorsero cercando di affinare le proprie penne e le proprie idee, l’esplosione del punk eliminò anche le ultime reticenze che la ragione opponeva alla realizzazione del balza - no progetto. La musica era di tutti e tutti po - tevano formare una band, così il febbraio del 1978 vide i PragVEC al nastro di partenza, dap - prima in formazione a due –Susan voce e synth, John chitarra e synth- e poi, dall’estate se - guente, con l’organico allargato al basso di Da - vid Boyd ed alla batteria di Nick Cash. Una sala prove in una cantina di North Kensington ed uno sfratto che avrebbe trasferito la band in un ap - PragVEC partamento al quindicesimo piano , con lunghi spostamenti in ascensore ed ovvi problemi di decompressione…poi la solita processione ranno diligentemente su un unico supporto ar - bene” Susan), di quelli che fai fatica a pro - alle porte della label di turno con il solito na - gentato insieme, magari, a qualche altra suc - nunciare e figuriamoci a tenere a mente, di quel - stro in mano: “Troppo progressivi” avrebbe sen - culenta prelibatezza. Solo così verrà posta la pa - li che non significano niente, non evocano nien - tenziato l’AR della Virgin, “Non abbastanza com - rola fine ad un’ingiustizia che, da oltre venti - te e non ispirano nemmeno particolare simpatia merciali” tutti gli altri… Complice anche la man - cinque anni, imprigiona l’arte di uno dei più ori - (“Non volevamo un nome che suggerisse che era - canza di un manager, l’autoproduzione e l’eti - ginali gruppi post-punk negli scaffali dorati dei vamo profondi o avessimo un sacco di cose da chetta personale Spec Records –un’altra parola pochi che possiedono i vinili originali o che sono dire. Non abbiamo un’immagine collettiva, non abbreviata! - si sarebbero rivelate le uniche so - disposti a rincorrerli, a prezzi tutt’altro che ac - abbiamo un manifesto” John), o di dichiarazio - luzioni. Nonostante gli inizi poco incoraggianti, comodanti, fra i banchi virtuali dell’e-bay di tur - ni del tipo “tutte le mie canzoni sono canzoni di le idee erano già abbastanza chiare: a chi le no. Una, è proprio il caso di dirlo, benedetta rie - odio” (Susan) o, ancora, “la nostra musica è solo chiedesse che sarebbe successo se i PragVEC dizione in digitale alla quale aveva già messo una riflessione sul sado masochismo implicito in avessero raggiunto il successo, Susan si limi - mano qualche anno fa John Studholme, chi - ogni relazione” (John), ma il cammino iniziò in tava a rispondere che avrebbero fatto un sac - tarrista e cervello della band, prima che un tu - salita e per di più con il piede sbagliato . Un per - co di soldi, prontamente rimbeccata da John che more annullasse, oltre la sua vita, anche la pos - corso accidentato che sarebbe proseguito tut - puntualizzava che li avrebbero subito spesi tut - sibilità che il dischetto vedesse la luce in tem - to curve ed asperità, senza rettilinei che per - ti. Preceduto dall’EP Wolf (Spec, 1978) e dal sin - pi relativamente brevi. Grazie alla testardaggi - mettessero di scrutare l’orizzonte o tratti pia - golo Expert (Spec, 1979), sei canzoni in tutto ne degli ex compagni Susan Gogan e Nick Cash, neggianti che lasciassero tirare il fiato, per quei che sarebbero state riunite in un unico lavoro i tempi sembrano finalmente maturi per onorare, tre quattro anni a venire fino all’inevitabile split titolato al gruppo dall’etichetta francese Cel - insieme alla memoria del povero Studholme, del 1981. Quando si misero in testa l’idea mal - luloid sul finire dello stesso anno, No Cowboys uno dei grandi album dimenticati della new wave sana di formare i PragVEC, Susan e John po - arrivò nei primi mesi del 1980, sempre via Spec inglese. Chi si ricorda oggi dei PragVEC? Più del - Records, con lo strano numero di catalogo di “re - la loro arte astratta, patrimonio davvero di po - SPECt 1”. Un album senza copertina rigida, chi, sono forse serviti a creare curiosità intor - il disco avvolto in un pieghevole nella busta di no alla band il passaggio di Jim Thirlwell che, politene, con una grafica ambigua che sembra prima di diventare Foetus e tante altre cose, tro - implicare alla compilation più che all’opera di vò il tempo di prestare un proprio diabolico synth un singolo artista. Ed una musica che, al pari artigianale alle sessions di No Cowboys o, tut - dell’involucro che l’avviluppa, sfugge o quan - t’al più , la citazione che ne fecero gli appena tomeno fuorvia ogni catalogazione, quasi fos - un po’ più famosi Half Man Half Biscuit, tito - se una versione un po’ più addomesticata di cer - lando un brano PragVEC At The Melkweg . Sarà ta no wave newyorkese. Regna un’atmosfera pia - PragVEC stata forse colpa di un nome volutamente non - cevolmente caotica all’insegna di una creativi - sense (“sono solo due parole abbreviate, le ho tà libera e senza confini: la parola d’ordine sem - lette da qualche parte e mi pareva suonassero bra essere “destrutturazione”. Ogni brano è

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come un telo, all’inizio ben piegato e compresso, beccata. La voce di Susan è sempre molto elet - quasi una parolaccia, è quello giusto e non cam - che, mano a mano che si apre allarga la sua su - trica, qualche volta fredda e perfino asettica, nei bierà. Scorrono così i tappeti strumentali di Hap - perficie rivelando di volta in volta lati inediti, nuo - frequenti raddoppi vocali con quella di John pare pey Valley , con synth e batteria a rendere il ter - ve canzoni nella canzone. Non è raro, del resto, di ascoltare una versione dei B52’s in acido. Dal - reno scivoloso, le frenesie più controllate di che sia la canzone stessa ad essere fatta a pez - le sincopi quasi spastiche di Laugh , con un Mens Casual Wear 1962 , lo scambio di insulti zi e rimontata senza seguire il libretto di istru - synth che spernacchia in odor di Pere Ubu, al fra chitarra e sax di Breaking Point , in cui la fu - zioni. Lo strumento principe è sicuramente il gran dualismo chitarra/synth di Third Person , ria sembra placarsi un attimo in un’atmosfera synth, il cui suono cupo, frenetico, convulso o solo leggermente più canonica, all’apoteosi di comunque piuttosto movimentata . Your Your Lay schizoide conferisce quasi sempre l’impronta ritmi, suoni e rumori di Nervous , nervosa come Lay , curiosa e accattivante, quasi interamente al brano, la chitarra è il suo interlocutore prin - dice il titolo, frammentaria e disordinata, piena strumentale, concede qualcosa all’ascolto, By cipale anche se conosce pochi momenti da pro - di finestre strumentali, all’insegna di una con - The Sea e Uh Oh Erotic sprofondano nuovamente tagonista, basso e batteria sono impegnati a fusione piuttosto orgogliosa di sé, il clima, irreale nella solita aria di piacevole nonsense , di anar - tessere ritmi sostenuti, il sax a dare qualche im - e schizofrenico, molto arty se non sembrasse chia sonora e creativa, fino al momento in cui,

The Beakers

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fra tastiere elettroniche e percussioni assorti - Smith (chitarra e voce, quasi omonimo del lea - 1983, un paio di album, cinque singoli ed un EP, te, fa la sua comparsa, fra lo stupore genera - der dei Fall), Francesca Sundsten (basso), Ge - non trovò niente di meglio che un profondissi - le, perfino un’armonica a bocca. Welcom Home orge Romansic (batteria) e Jim Anderson (sax mo oblio ad attendere alle proprie gesta e tra - e My Name’s Eddie richiamano un senso di an - e voce) se ne erano andati lasciando ai posteri sformare la band in uno dei segreti meglio ri - goscia, fra chitarre e synth abbandonate in giri l’EP Life Elsewere ed il singolo Red Towel , più posti di tutto post-punk inglese. E, probabil - cupi e ossessivi, mentre in You’re The Gun e Ci - alcuni pezzi sparsi su un paio di compilation del mente, in una delle formazioni più sottovalutate gar-ettes riesplodono rabbia e velocità. Un’esi - periodo, ovvero l’LP Seattle Syndrome e la cas - di sempre , e non solo in Inghilterra. Un oblio che stenza all’insegna del live fast die young quel - setta Subpop#5 , una delle prime manifestazioni sarebbe diventato definitivo se la mai troppo lo - la dei PragVEC, un’attitudine molto punk per una di vita di quella che sarebbe diventata la label data Acute Records non avesse pensato, nel cor - band che con il punk non c’entra nulla. Quat - simbolo della grunge generation . Tutto materiale so del 2008, a porre un paio di toppe ad una tro anni vissuti pericolosamente nell’indifferenza ormai introvabile, naturalmente, e che, esauri - delle tante nefandezze della storia, dapprima generale: in mezzo tre Peel Sessions, come ta la spinta del ricordo dei non pochi fans che con la ristampa di singoli ed EP nella raccolta nemmeno Siouxsie o i Joy Division…anche que - i Beakers ebbero all’epoca, avrebbe condannato Memory Span poi, ed è cronaca davvero recente, sta volta il vecchio John ci aveva visto giusto. la band all’oblio perenne se il buon Calvin Joh - con quella integrale dei due album ufficiali, sep - nson non lo avesse ripescato dalla notte dei pur con discutibile scelta di mischiare i brani di tempi riunendolo, insieme a qualche inedito ed entrambi senza rispettare le scalette originali , The Beakers – Four Steps Toward A a registrazioni live, in questo album postumo de - nel freschissimo Flood Bank . Snobbati in vita Cultural Revolution (1980/1981) stinato ad essere celebrato come una delle ri - da pubblico e critica a dispetto di un album di stampe più importanti degli ultimi anni. I Bea - debutto, Therapy (Red Records, 1981), di rara Sul finire del 2004, in pieno riflusso punk , kers erano potentissimi ed avrebbero avuto tut - bellezza ed intensità e di un successore, Ul - la K Records di Calvin Johnson, con la pubbli - te le carte in regola per sfondare al pari dei Gang tramarine (Red Records, 1983), solo un gradi - cazione di Four Steps Toward A Cultural Revo - Of Four, con i quali condivisero un tour, toccando no più in basso, i Lines si sono presi una bel - lution a nome dei misconosciuti Beakers, die - l’apice della loro sfortunatissima carriera, o dei la rivincita verso coloro i quali ne avevano de - de l ’impressione di cavalcare fin troppo spu - Minutemen, dei quali, pur con minimo scarto doratamente l’onda lunga del recupero di quel - temporale, seppero fornire non pochi elemen - le sonorità tornate improvvisamente in voga. Un ti premonitori. I diciassette brani di Four Steps sospetto decisamente infamante , oltretutto , per Toward A Cultural Revolution , mediamente mol - una label la cui ormai fondata tradizione aveva to brevi, esprimono al meglio quella grande per - fino a quel momento preservato da ogni dub - sonalità che, unita ad un pizzico di fortuna ed bio circa più o meno esplicite connivenze con a qualche calendario in più, avrebbe potuto evol - qualsivoglia logica commerciale . Per essere vere in molteplici direzioni che, purtroppo, oggi l’opera prima di un gruppo di debuttanti, co - possiamo soltanto immaginare. Provate ad munque, il disco sbaragliava completamente la ascoltare l’iniziale Red Towel , per esempio, for - pur agguerritissima concorrenza e suonava più se il punto più alto della loro arte, e provate a fresco di qualsiasi altro fenomeno più o meno non perderci la ragione. Ma la stessa cosa si The Lines revivalistico impazzasse in quel periodo . Un può dire per molti dei brani al fulmicotone che sound dissonante, anfetaminico e spigoloso seguono, dalla title track a Bones , da Walking completamente perduto fra schizofrenie punk a What’s Important? , nei quali è addirittura pal - cretato anzitempo una fine ingloriosa tornando funk e astrazioni post punk, referenti più diretti pabile il fantasma dei . Quando ad occupare le pagine dei giornali in pieno 2008, Talking Heads e Gang Of Four, caratterizzato dal - questo modello degenera su ritmi più convulsi ovvero a vent’anni esatti dal primo passo uffi - la costante presenza di un sax schizzato che lo ed arrabbiati ( Thinking Postmodern , Third In B , ciale della band su un dischetto a 45 giri. Whi - avvicina anche ai Contortions di James Chan - Use Your Fingers ) è il ricordo dei Minutemen a te Night/Barbican , uscito nel 1978 con mezzi ce. Una ritmica pressante sorretta da un bas - riaffiorare, mentre l’incredibile cover del classico di fortuna e ristampato un anno dopo su eti - so pulsante ed una batteria metronomica ac - della disco music Funky Town (proprio quella!) chetta Illegal, è il primo 7” autoprodotto dei Li - compagna i passaggi sghembi di una chitarra dimostra coraggio, ironia e verve interpretativa nes: due brani certo non destinati a passare alla tutta sincopi, schizzi e frasi dissonanti in un cli - senza barriere. Bellamente ignorati in vita, i Bea - storia nei quali, accanto a qualche pillola ener - ma epilettico da funky bianco tutto nervi e scat - kers sono un pezzo di storia perduta e, grazie getica di marca wave, sopravvivono pesantez - ti rabbiosi, mentre una voce istrionica e de - al Cielo, ritrovata. C’è solo da sperare che que - ze retaggio di un passato non del tutto can - clamante, a mezza strada fra e D. sta tardiva scoperta renda finalmente giustizia cellato. Farà meglio, un anno e mezzo dopo, il Boon dei Minutemen, ed i fraseggi convulsi di alla band, restituendo ad essa, quantomeno in nuovo 45 On The Air/Dance For A Drop Of Blo - un sax, ora free ora più diabolicamente melli - termini di visibilità, almeno una piccola parte di od/Not Through Windows che esibisce, nei pri - fluo, mantengono elevata anche la componente quello che il destino le aveva tolto. mi due brani, toni più smaccatamente wave, e cerebrale di ogni brano. Una specie di miraco - nel terzo un interessante recupero di atmosfere lo, insomma, ed una vera e propria lezione per di marca tipicamente sixties. Nel 1980 tocca tutti i Rapture, Erase Errata, Black Eyes e com - The Lines – Therapy (1981) all’EP Cool Snap! segnare un altro passo di av - pagnia nevrotica che infestavano in quei gior - vicinamento all’album di debutto e, soprattut - ni le pagine della stampa specializzata. La nuo - Chissà…forse fu proprio una Peel Session quel - to, alla definizione di un sound sempre più per - va band sulla quale puntare ad occhi chiusi? La lo che mancò ai Lines per assurgere dal nulla sonale. Se la title track è uno strumentale grez - vera next big thing ? Peccato che andando a spul - più totale allo status, quanto meno, di piccolo zo ed energetico al punto giusto, Don’t Need Sur - ciare fra le note interne, parte delle quali scrit - e prezioso culto. Invece nemmeno il vecchio gery mostra “deviazioni” pop che, di lì a qual - te da quel dei che si John si accorse di loro o, più probabilmente, con - che anno, avrebbero potuto tranquillamente fare professava uno dei più grandi fan del gruppo, siderati gli anni in cui si svolgevano i fatti, il suo bella mostra di sé in un ideale best della C86 ci si accorgeva che i Beakers, da Seattle, Wa - intuito di solito sopraffino fu distratto dagli aro - generation, e False Alarm evidenzia quelle spi - shington, avevano vissuto una sola estate, quel - mi della troppa carne al fuoco e dalla qualità me - golosità che avrebbero definito le produzioni la fra il 1980 ed il 1981 precisamente, ed era - dia, poco meno che eccelsa, di tutto ciò che gi - maggiori. Saranno infatti i successivi 7” Nerve no arrivati allo scioglimento per ragioni miste - rava dalle parti dei suoi piatti. Così lo sfortunato Pylon/Over The Brow e Transit/Part II , editi en - riose senza avere neppure raggiunto l’agogna - combo londinese guidato da Richard “Rico” Con - trambi nel 1981, a costituire un ponte ideale to traguardo dell’album di debutto. Mark H. ning, dopo sei anni di carriera fra il 1978 ed il con il debutto sulla lunga distanza di qualche

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gnisce in sottofondo, preannuncia, nella pro - gressione urticante della spigolosissima base ritmica, echi del math-rock di Don Caballero & Co, lasciando intravedere, al tempo stesso, i fan - tasmi di certo kraut-rock ancora lontano dal ri - flusso; Disenchanted , invece, si gioca tutta sul - l’elettronica, in mezzo a fasci sintetici fastidiosi come zanzare. Con Bucket Brigade si cerca un graduale ritorno alla forma canzone, almeno a livello di struttura, pur attraverso una base rit - mica acceleratissima e dissonanze di varia na - tura ed entità. The Landing , purissima dark wave, si sviluppa attraverso una ritmica rallentata, ma sempre in primo piano, delicate aperture stru - mentali ed una celestiale melodia, all’insegna di un concetto superiore di armonia, fino al sug - gestivo finale con il crescendo degli strumenti e gli affascinanti vocalizzi di Rico. The Gate pro - segue sulla stessa linea con uno strumentale di grandissimo impatto e suggestione: il ritmo rallentato e solenne, quasi marziale, voci ed ef - fetti in sottofondo, una tromba protagonista con densi richiami Morriconiani. Con Have A Hearth la base ritmica torna ad essere nervosa, ac - celerata, spigolosa e la chitarra a tessere fra - gili trame scheletriche, mentre la voce gentile e melodiosa è in perenne contrasto con l’in - cedere del brano. No Hiding chiude il lavoro con un brano delicato e soffuso all’insegna della dol - cezza e di un recondito senso di armonia. Il se - condo album, Ultramarine , due anni dopo, pro - seguirà nella ricerca di un suono più atmosfe - rico, più lineare e positivo ma non sempre al - trettanto brillante. Poi l’oblio. Accostati a Talking Heads, Josef K, Gang Of Four, A Certain Ratio, Feelies, Joy Division, Cure, i Lines in realtà non appartennero a nessuna scena e forse fu pro - prio questo, alla lunga, a decretarne l’infausto destino. Non fecero mai un tour da headliners, ma aprirono per bands quali Cure, Bauhaus, Bir - thday Party, Sounds. Parlarono raramente con la stampa e non ebbero mai nemmeno un ri - chiamo in copertina. I loro sei anni di storia, ne - anche pochi dopotutto, sono tutti in Memory Span e Flood Bank , le nuovissime ristampe in CD. Ai pazzi, come chi scrive, la ricerca dei vi - nili originali dalle parti di E-Bay e dintorni…a tut - ti, invece, il caldissimo invito a non lasciarsi scappare anche questa occasione. The Lines

Blurt – In Berlin (1981) mese successivo, grazie alla perfetta fusione hrenheit 451 dei nostri giorni. Come Home , in fra l’enfasi di certe atmosfere piacevolmente apertura, è già un manifesto: ritmica nervosa, Ted Milton, voce sassofono e anima dei Blurt, malinconiche e l’energia di una base ritmica che scheletrica e pulsante, una chitarra in funzione arrivò a In Berlin (Armageddon Records, 1981), ha ormai assorbito la miscellanea di stili e ci - essenzialmente ritmica che punzecchia, graffia, ovvero al debutto sulla lunga distanza della pro - tazioni, più o meno dotte, di ispirazione wave, scolpisce mantenendosi sempre un passo die - pria creatura, alla interessante età di 38 anni. compresi certi trend dub molto in voga all’epoca . tro basso e batteria; la voce, quasi un falset - Interessante, ma molto poco punk, tanto meno Therapy esce sul finire del 1981 ed è un mez - to, a stendere un velo di armonia, di gentilez - post-punk… Prima di scoprire la musica aveva zo miracolo. Nel perenne contrasto fra l’anima za, in un brano altrimenti ruvido, ispido, ta - scritto poesie, aveva tentato la strada delle arti romantica e sognatrice del canto di Rico Con - gliente. In Blow A Kiss la base ritmica rimane concettuali e visive, aveva fatto cabaret e fre - ning e la componente più nervosa e dissonante sempre in primo piano ma smussa gli angoli e quentato il cinema in qualche parte di secon - di una base ritmica da manuale, si svela uno si fa essa stessa melodia, la voce è gentile do o terzo piano, ma, soprattutto, era stato bu - dei grandi misteri irrisolti del post-punk inglese, come si addice ad ogni love song che si rispetti, rattinaio per più di quindici anni, girando per l’Eu - uno dei suoi lasciti più fulgidi, tramandato come splendidi gli arrangiamenti e le aperture stru - ropa molto di più e molto più a lungo di quan - memoria preziosa dai pochi che ebbero la for - mentali. Istintcticide e Disenchanted rivelano to non avrebbe fatto successivamente grazie alla tuna di venirne a contatto, al pari di un libro im - l’anima più sperimentale della band: la prima, sua musica. Fu proprio il teatro dei burattini a parato a memoria e salvato dal rogo di un Fa - un brano strumentale con una voce che gru - metterlo in contatto per la prima volta con Tony

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Wilson, il futuro padre padrone di casa Facto - candosi buona parte delle royalties presenti e ry . La scena di Manchester era ancora una ne - future. Il 13 dicembre 1980 i Blurt suonarono bulosa quando Wilson lo scritturò per So It Goes , alla Free University di Berlino nell’ambito del fe - un programma di Granada TV dedicato alle arti stival “Rock Against Junk” in compagnia di Gang teatrali. Ted, insieme al suo armamentario di car - Of Four, PVC ed altri. Dalle registrazioni di quel tapesta, partecipò allo show nell’estate del concerto, effettuate in maniera professionale 1978, in una memorabile edizione alla quale grazie ad uno studio mobile, vennero confe - presero parte anche i Wire. Un segno del de - zionate le otto tracce che sarebbero confluite stino? Fu proprio a Wilson, che nel frattempo su In Berlin , la cui memorabile copertina, raffi - aveva mollato la televisione per coltivare la sce - gurante tre grossi sacchi di spazzatura color na rock della propria città, che Ted, appena for - rosa shocking, ben pasciuti al pari di quei ma - mati i Blurt con il fratello Jake alle percussio - iali che inconsciamente richiamano, avrebbe fat - ni e Pete Creese alla chitarra, inviò i nastri del - to bella mostra di sé nei negozi nell’aprile del le prime registrazioni della band. A dispetto del - 1981. Il blues scorticato di , la provenienza geografica dei tre ( “i più meri - il free jazz di Albert Ayler, il funky spastico e al - dionali di casa Factory” ) e delle forti divergen - lucinato dei Contortions di James Chance, il ze che presentava il loro sound (materia grez - crossover primitivista e multietnico del Pop za ed abrasiva forgiata dai sussulti del sax di Group di Mark Stewart , erano i paragoni che ri - Milton, alternati alla sua voce rozza e sguaia - correvano più frequentemente nelle recensioni ta ) rispetto a quello che caratterizzava la label, d’epoca per descrivere un album lontano mil - Wilson rimase stregato dal progetto e ne colse le miglia da un concetto puramente estetico di in pieno lo spirito e l’originalità, offrendo albergo bellezza. In Berlin non è quindi un album “bel - a quattro registrazioni dal vivo della band in una lo”, né tanto meno un capolavoro nel senso più delle altrettante facciate del doppio 10” A Fac - Blurt tradizionale del termine: è un’opera violenta e tory Quartet (Factory, 1980), condiviso da Ro - coraggiosa, grezza e spasmodica, spiazzante e yal Family And The Poor, Durutti Column e Ke - liberatoria che confeziona una colonna sonora vin Hewick. Nelle note di copertina i Blurt ven - pitale, all’Institute Of Contemporary Arts il 20 ossessiva ad un mondo ossessionato, ad un nero presentati come una “sax-based dance giugno, con A Certain Ratio, Durutti Column e universo che è sul punto di scoppiare. Sudicio, band…fronted by former anarcho beat poet” ma, Section 25, oltre a qualche “Factory Night” spar - graffiante, urticante, velenoso sono gli aggettivi nonostante le scarse affinità con il modello clas - sa fra Manchester e dintorni. La pubblicazione che più si addicono ad un sound che vuole es - sico di una band post punk, l’accoglienza ri - del primo singolo, intanto, subiva continui rin - sere un pugno nello stomaco al buon gusto, un servata da critica e pubblico fu davvero molto vii tanto che, alla fine, i Blurt furono costretti a dito medio rivolto al comune sentire: in assenza calorosa. Anche Ted Milton cominciava a sen - far uscire Get/My Mother Was A Friend Of An Ene - del basso la base ritmica poggia interamente tirsi bene in quei panni che in fondo non era - my Of The People nel mese di agosto per la pic - sul drumming meccanico e tribale di Jake Mil - no i suoi : “Nonostante tutto di me provenga dal - colissima Test Pressing. Ma la goccia che fece ton, la chitarra di Pete Creese è secca, os - la parte sbagliata –l’età, il teatro, la poesia- que - traboccare il vaso fu l’annullamento, all’ultimo sessiva, monocorde, mai uno slancio tanto sti ragazzi, alla fine, non mi lasciano nemmeno istante, di un tour in Belgio, Olanda e Germa - meno un assolo, solo riff ipnotici e circolari che il tempo di respirare” . L’idillio con Tony Wilson nia con A Certain Ratio e Section 25 per pro - percorrono il brano dall’inizio alla fine senza sus - durò poco: un’apparizione al “Factory by Mo - blemi di natura organizzativa imputabili ad sulti. Insieme formano un tappeto dissonante onlight” showcase a Londra nell’aprile del una gestione non proprio accorta da parte del - che è palestra per le evoluzioni sfrenate e stre - 1980 in compagnia di A Certain Ratio, Kevin He - la Factory. Ted, con il suo carattere un po’ sel - gate del sax di Ted Milton. Quando la sua boc - wick e Joy Division, un’altra, sempre nella ca - vatico, se ne andò sbattendo la porta e gio - ca è priva della naturale appendice, bofonchia fiumi di parole in tonalità virtuose che ne fan - no primo attore di un teatro dell’assurdo, che Blurt contribuiscono a disegnare le canzoni, a dar loro una forma visiva, un’immagine diversa per ogni sensibilità diversa. Ogni brano è una marionetta e Ted torna ad essere il mastro burattinaio, il gran cerimoniere. Jazz, funky, blues, rhythm’n’blues sono le facce diverse di una stes - sa medaglia, sono l’anima punk di un quasi qua - rantenne che ha cominciato la sua rivoluzione. Una rivoluzione che ha portato la sua creatura fino ai nostri giorni e lui, ultrasessantenne, i ca - pelli bianchi rasati sulle tempie, le smorfie del viso che si confondono con le rughe quando sof - fia dentro la sua macchina infernale, con la stes - sa carica esplosiva di quei giorni, quando ba - stava un niente per dare fuoco alla miccia…

Second Layer – World Of Rubber (1981)

Triste destino quello di . C’è da scommettere che, oltre alla ventata gelida della morte sul viso ancora da ragazzino, in quel mattino londinese del 26 aprile 1999, quando

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decise di farla finita buttandosi sotto un con - quel momento gli dettava il cuore. Il dramma pri - Adrian Borland voglio della metropolitana alla stazione di Wim - vato che permea i testi dei Sounds, accompa - bledon, sia stata l’inevitabile dose di impro - gnandosi ad un suono arioso ed immateriale, peri da parte dei viaggiatori stizziti delle ore di melodico e senza pensieri, trova nei Second La - punta a spingerlo nella fossa , quei poveri dia - yer il lato oscuro sul quale sfogare la tensione voli costretti a far tardi in ufficio o a saltare l’ul - accumulata, l’urlo strozzato in gola, l’energia re - timo attimo di svago al caffè prima di rinchiu - pressa. I Second Layer sono l’altra faccia del - dersi nella prigione della catena di montaggio. la medaglia, quella più autentica e dolorosa, E chissà quanti di essi, onesti cittadini fagoci - sono la realtà che si cela dietro le quinte quan - tati dalle lancette dell’orologio, avevano sognato do lo spettacolo vorrebbe essere rassicurante. una vita senza schemi poco meno di vent’an - World Of Rubber (Cherry Red, 1981), primo e uni - ni prima, in pieno furore adolescenziale, magari co lavoro sulla lunga distanza del duo compo - proprio sulle note dei Sounds, con la voce di sto da Adrian Borland, voce e chitarra, e da Gra - Adrian, già prigioniero del proprio disagio inte - ham Bailey, basso, synth e drum-machine, riore, a cantare parole come “Sono stanco e ma - nomi che oltretutto non compaiono mai nei cre - lato…Ho imparato a vivere con queste trappo - dits rendendo impossibile ogni collegamento le…Non posso scappare da me stesso” (I Can’t con il gruppo madre, viene preceduto dagli EP Escape Myself). Era l’anno di Jeopardy (Korowa, Courts Or Wars (1979), punk minimalista bom - 1980), nastro di partenza della band e debut bardato da una drum machine, e State Of Emer - album fra i più fulgidi dell’intero decennio, e per gency (1980), rumore dissonante in un assal - i Sounds sembrava legittimo anche qualche ti - to all’arma bianca, ed avrà un seguito nel 1987, mido sogno di gloria, grazie anche all’interes - con un modesto EP omonimo, allorché Borland, samento della Wea per il tramite della sua co - in uno dei soliti momenti di confusione totale, stola “indie” Korowa Records. Forse fu proprio tenterà di dare nuova vita alla sua deforme crea - per questo, ovvero per non intaccare le speranze tura cercando di avviare nel contempo anche tivo. Save Our Souls e Distortion sembrano scol - di successo cercando di garantire alla band le una carriera solista. La copertina, significati - pite nelle medesime pietre cimiteriali che ani - maggiori potenzialità commerciali possibili, va e drammatica , riprende in ombra il busto mano le copertine dei Joy Division: drum ma - che Adrian scelse di dare il via al side project nudo di due manichini di donna , le braccia ta - chine e basso in dialogo serrato a tessere fon - sperimentale Second Layer via Cherry Red Re - gliate , come novelle Veneri di Milo , e la testa dali sincopati con la chitarra, elemento di di - cords, confinando al repertorio della nuova en - rapata a zero , come un’offesa –la peggiore- ad sturbo, che punge e sfrigola in sottofondo, le tità tutti gli elementi meno mainstream del suo - ogni richiamo ad un senso classico di bellezza, voci spettrali, l’atmosfera cupa e opprimente. no che in quel momento gli stava a cuore, e fa - come un elemento di disturbo che questa vol - Underneath The Glass è un lungo mantra indu - cendone l’unica depositaria del suono che in ta non si può nascondere. Ma, nello specifico, strial-wave che si muove fra clangori metallici, la testa rapata a zero è anche voci trattate, una sezione ritmica a mille e la chi - un indice di spersonalizzazione, tarra più nervosa che mai. Zero cerca uno spi - di omologazione, di riduzione di raglio di luce con una traccia più tradizionale, due figure diverse a due copie almeno nell’impostazione del canto, anche se della stessa figura. Come per i in profondità sembra ribollire il solito magma dis - prigionieri dei campi di stermi - sonante, nervoso e nevrotico, con gli strumenti nio, è l’azione di un potere for - a tessere aspre ragnatele. Nella seconda par - te che trasforma gli esseri uma - te del brano la furia si placa e si stende un tap - ni in manichini senza pensiero, peto elettronico come una camera di decom - senza speranze e senza aspet - pressione. Japanese Headset è incubo puro: elet - tative. E la musica di World Of tronica e rumori accompagnano una voce stroz - Rubber è il grido di dolore di un zata in una sorta di delirio industriale. Black Flo - manichino che cerca di alzare la wers è una chiusura funerea che si sviluppa len - testa. Definition Of Honour , in ta e magnetica da un semplice pattern della apertura, traccia le coordinate di drum machine, con lievi colate sintetiche in sot - un album rigido, minimale, sof - tofondo, una chitarra in arpeggio, il basso do - ferto, nevrotico con la ritmica mato, qualche timida distorsione, mentre la voce spezzata della sua drum ma - di Adrian sembra ripetere sconsolata lo stesso chine, il basso che pulsa os - verso, ormai definitivamente vuotata, lacerata, sessivamente, la chitarra che al - inaridita in un pianto senza lacrime . Mi ero ri - terna riff a stridori dissonanti: promesso di non fare classifiche e cercherò di un’atmosfera pesante, satura e rimanere fedele a questo proposito. Dirò sol - claustrofobica condita da ru - tanto che se c’è un disco che mi ha spinto a morismi metallici, con la voce raccogliere le forze ed a trovare volontà e tem - angosciata di Adrian Borland po per mettere mano al fiume di parole che sta - che tratteggia i contorni del - te terminando di leggere, questo è World Of Rub - l’inevitabile santino di Ian Cur - ber , un capolavoro assoluto che non può e non tis. In Bits ricalca più in breve il deve essere dimenticato. E chi ha orecchie per brano precedente, mentre Fixa - intendere… tion innalza di un altro livello il senso di angoscia, con un ritmo Nel decennale della scomparsa, dedico questo più sostenuto, chitarre di carta articolo al ricordo di Fabrizio De Andrè. Perché vetrata e un ampio spazio per di - anche queste, a modo loro, sono quasi tutte sto - Adrian Borland gressioni strumentali di grande rie di magnifici perdenti. fascino e coinvolgimento emo - 

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