Natale a Londra - Il Film

Domenico Palattella (31)

Ai “Nastri d’argento” del 2015 Lillo & Greg si aggiudicarono il “Nastro d’argento speciale” intitolato a Nino Manfredi con la seguente motivazione: “per le loro indubbie qualità comiche, in grado di elevare il livello delle commedie brillanti della nuova commedia all’italiana, un auspicio a continuare su questa strada cinematografica per gli impegni futuri”. Si iniziò dunque a comprendere, che l’intuizione di Dino De Laurentiis di affidare il Natale cinematografico a quella coppia così sofisticata, surreale, che sembrava inizialmente poco adatta al cinema, non fu poi così bislacca. Già i primi tentativi del 2012 e del 2013, “Colpi di fulmine” e “” ebbero riscontri positivi presso la critica specializzata, grazie all’apporto della funambolica comicità di Lillo & Greg, diventata oggi la “nuova” grande coppia del cinema italiano.

Quel “Nastro d’argento” vinto nel 2015, si basa sull’interpretazione del film “Un Natale stupefacente”(2014), il primo film autonomo della coppia dopo l’abbandono di . Al primo colpo Lillo & Greg fanno centro, il loro primo film come protagonisti assoluti è anche il primo cine-panettone in grado di vincere un importante premio a livello nazionale, merito della ventata di novità portata dal loro stile comico, lontano dalle volgarità imperanti del periodo, e con una comicità intelligente ed efficace. Si badi bene, anche la critica specializzata, vorrebbe non si parli più di , “non se questo significa un prodotto scadente: il fatto che i film interpretati da Lillo & Greg, escano proprio sotto Natale e che parte dei loro film siano ambientati durante il Natale non basta a ridurre il loro prodotto al mero ruolo di cinepanettone.

Le loro sono commedie ben scritte, ben interpretate, ben girate e ben montate, sopra la media del film comico nazionale”. Anche la loro fatica successiva, quella del Natale 2015, ovvero “Natale col boss”, aveva soddisfatto tanto la critica, quanto il pubblico, che ha risposto entusiasta, affollando le sale e decretando il meritato successo di una coppia che si è guadagnata il suo spazio cinematografico. “Natale col boss”, ottenne un considerevole successo di pubblico: secondo posto assoluto della stagione 2015, con oltre 7 milioni di euro di incassi. Rinvigorito da questo successo De Laurentiis, dopo alcuni anni di sperimentazioni, ha capito, che con la coppia a disposizione si può anche osare di più, e così insieme al suo fido regista Volfango De Biasi, ha progettato per il Natale 2016, quei trasferimenti all’estero, tanto cari almeno fino a 10 anni fa. La nuova commedia di Natale targata “Filmauro” si svolge infatti a Londra e porta il titolo di “Natale a Londra-Dio salvi la regina”, una sorta di “Ocean’s Eleven” in salsa italiana. Ritmo serrato, trama ambiziosa, comicità verbale e slapstick, sono gli ingredienti di questo film, arricchito da un cast variegato e ben assortito, anche se forse un po’ troppo affollato. La trama è presto detta, ed è quella di rapire i cani della regina intrufolandosi dentro Buckingham Palace per pagare un debito con un noto boss londinese, un plot degno dei migliori action comedy americani.

E infatti l’omaggio al genere action comedy americano funziona bene grazie a Lillo e Greg, Nino Frassica, Ninetto Davoli, Uccio De Santis e Vincent Riotta, attori con la giusta verve per essere divertenti tanto individualmente quanto nel quadro della parodia. Allo stesso modo Paolo Ruffini e Eleonora Giovanardi interpretano gli opposti che si attraggono, lui uno sous chef senza palle, lei una donna che non le manda a dire. Capofila dell’operazione rimangono però Lillo & Greg, che come lo scorso anno sono anche autori del film, e non ci si sorprenda più di tanto, la loro è una coppia abituata in teatro e in radio a scriversi i testi da sè. Il che dimostra come Lillo & Greg non abbiano soltanto tempi comici perfetti, dato dal loro ventennale affiatamento, ma abbiano dietro di sè solide basi comico-culturali, per innovare ed innervare finalmente il genere comico all’italiana con stile ed eleganza…e tutto ciò con l’appoggio ( inusuale ) della critica contemporanea. “Natale a Londra”, quindi, nonostante metta forse troppa carne al fuoco, regge l’impianto farsesco, e soprattutto fa una cosa fondamentale, che lo eleva dalla mediocrità dilagante a buon film, non cede mai alla tentazione dell’idiozia e assolve il suo compito: diverte senza volgarità spicciole e fini a se stessi. Del film rimangono anche alcune scene dal forte impatto comico: le gag visive di Lillo & Greg, la guerra psicologica che vede coinvolto Greg dinanzi ad uno specchio, tra la parte onesta e naif di sé con quella più scafata e criminale; i calembour verbali di Nino Frassica; e una nostalgica scazzottata, omaggio tutt’altro che velato a Bud Spencer e Terence Hill. Mi si permetta, in conclusione, una menzione piena di affetto per il “nostro” Uccio De Santis, che a 50 anni arriva finalmente al successo cinematografico a carattere nazionale. E’ qui il tecnico dell’operazione furtiva, e diverte, trovando il suo spazio, con alcune battute tipiche del repertorio comico pugliese, fatto di freddure repentine e salaci giochi di parole.

Poveri ma ricchi - il Film

Domenico Palattella (31)

La classica sfida del Natale italiano quest’anno ha un netto vincitore il quale risponde al nome di De Sica. Sì, proprio lui, ancora e sempre Christian, da 30 anni uomo e attore del Natale italico per eccellenza. “Poveri ma ricchi” è la dimostrazione, oseremmo dire finalmente, che Christian De Sica quando è utilizzato al meglio delle proprie potenzialità, è sempre il comico italiano più grande degli ultimi 20/30 anni. Non ce n’è per nessuno, ma deve avere un buon soggetto dietro di sé. E quest’anno il solido soggetto dietro, c’è tutto. Il merito di questa efficace struttura narrativa è dato dal film francese cui è tratta la pellicola italiana, ovvero “Les touche”, enorme successo in terra di Francia.

Ricorrendo agli estremi patrimoniali, , il regista, mette in scena una commedia in cui i poveri diventano ricchi, conoscono i ricchi veri e, anche se i soldi proprio schifo non fanno, forse era meglio quando si stava peggio. L’adattamento italiano di Poveri ma ricchi mantiene il cognome dei protagonisti italianizzato in Tucci e il look del capofamiglia interpretato da Christian De Sica. Al fondo c’è la spocchia contro i provinciali della cintura romana, ma è una spocchia ben indirizzata a scopo comico e molto meno greve del solito, ed è controbilanciata da una grande tenerezza nei confronti di questi scombinati animati da buone intenzioni e da un affetto palpabile. Quel che più conta, si ride tanto, a pioggia, ritrovando l’umorismo “etnico” della commedia all’italiana e trapiantandolo in una contemporaneità di cui si raccontano i limiti più che le lusinghe. Forse perché siamo tutti un po’ diventati come i Tucci, cioè privi di benessere ma desiderosi della nostra fetta di felicità, possiamo riconoscerci in loro e allo stesso tempo sorridere della loro cafonaggine.

Più di tutto funziona la squadra di attori comici italiani finalmente serviti da una trama degna di questo nome e da dialoghi veramente spiritosi e non del tutto scollati dalla realtà: dai cognati Christian De Sica ed Enrico Brignano all’ottima Lucia Ocone e la divina Anna Mazzamauro, dal mitico Bebo Storti allo spassoso Giobbe Covatta al commovente Ubaldo Pantani, maggiordomo che rimanda all’adorabile Coleman di Una poltrona per due. Anche Poveri ma ricchi rischia di diventare un cult natalizio, ma all’italiana e in quota cinepanettone: un panettone ben lievitato e zeppo di canditi che lascia un buon sapore in bocca. Un sapore da commedia all’italiana, quasi d’altri tempi. Infatti Brizzi parla di un’Italia in cui la ricchezza si tende a nasconderla perché in generale attira sospetto, malevolenza e invidia. La denuncia sociale di quello che siamo, è questa la commedia all’italiana che ritorna, dopo anni, forse decenni di oblìo. Il motivo principale della fuga dei Tucci, che dalla provincia di Roma traslocano nella ricca Milano pensando di trovare il loro nuovo habitat, è proprio la maldicenza e l’invidia della gente. L’anonimato non dura perché chi si arricchisce di sdegno perisce. I veri ricchi guardano la cafonaggine di questi zoticoni con disgusto, anche perché secondo il regista la moda attuale di chi può permettersi la bella vita è basso profilo e salutismo.

Poveri ma ricchi omaggia i tanti degli anni 80 e 90, di cui negli anni 2000 lo stesso Brizzi e il co-sceneggiatore Marco Martani presero in eredità scrivendone i copioni. Il film riprende quella comicità fatta di situazioni, cliché e bravi interpreti. De Sica è sempre esilarante e finalmente è un capo-famiglia con la testa sulle spalle, come lo è Brignano, ma a strappare applausi è soprattutto Lucia Ocone la cui cafoneria è davvero di lusso. Netto vincitore del Natale 2016, surclassata la concorrenza, con un prodotto meglio del solito, che Cinepanettone non è, bensì commedia all’italiana a tutti gli effetti. Proprio come ha voluto sottolineare Christian De Sica, non a torto, durante la conferenza stampa di presentazione del film.

Non si ruba a casa dei ladri - Il Film

Domenico Palattella (31)

“Non si ruba a casa dei ladri”: Salemme e la differenza tra una “grassa” risata e una di “classe” Quante volte si sente dire in giro, sia presso gli esperti del settore, che tra gli appassionati, “ah ma il cinema del passato era tutta un’altra cosa”. Più classe, più stile, più talento cinematografico, quello che per inteso, issò il cinema italiano, come il più importante del mondo. Soprattutto nella commedia questa differenza di stile è più evidente che mai. Forse perché non si fa più la gavetta, forse perché mancano Maestri di tale genere. Eppure nella moderna commedia all’italiana non mancano gli specialisti del genere, alcuni di essi di altissimo valore. Non è un caso che uno dei migliori attori della moderna commedia all’italiana sia ritenuto un po’ da tutti, l’attore napoletano Vincenzo Salemme.

Salemme, classe 1957, è l’ultimo grande esponente dell’arte della commedia, che vede nella lingua e nell’ambientazione napoletana la maniera migliore per esprimersi. Salemme, comico e attore sensibile e intelligente, viene da una tradizione precisa, quella di Eduardo e sa come si fanno le commedie, sa qual è il valore dei tempi, delle battute, dei passaggi di consegna. Il suo teatro, come il suo cinema, non è “vintage” ma è la ripetizione felice e creativa di un modello di commedia che ha illustri precedenti. A differenza di altri comici prestati al cinema, Salemme non si esaurisce perché la sua formula, pur sempre fondata su identici dispositivi, in qualche modo si rinnova. Anche se molto spesso le sue opere cinematografiche sono tratte dai suoi spettacoli teatrali, queste non risultano affatto datate, perché la comicità di Salemme e della sua compagnia (Carlo Buccirosso, Nando Paone, Maurizio Casagrande) tratta temi universali e fondamentali, ma anche importanti come l’eutanasia, l’autismo, i sentimenti. E tutto ciò viene creato a regola d’arte con una comicità di grande intensità, ma velata da una punta di malinconia, tipica del Salemme teatrale e cinematografico.

Gli elementi del successo di Salemme e del suo cinema, sono proprio questi, unire la popolarità alla qualità, cosa assolutamente inusuale nell’abulico cinema dei giorni nostri. Salemme nelle sue opere teatrali e cinematografiche ha sempre raccontato un’Italia lontana dai soliti cliché a cui siamo abituati, ha raccontato e racconta la vita delle piccole famiglie borghesi del sud Italia e il loro vivere tra tradizione e il veloce cambiamento. Il suo è un cinema che gioca con i cliché che immobilizzano la città e la cultura meridionale e soprattutto napoletana, trasformarli, banalizzarli, per renderli più sopportabili a tutti quelli che li vivono. Ironia sottile, curata, un mix vincente, che al botteghino sicuramente porta sempre risultati e risate, ma anche possibilità di riflettere sulla situazione sociale della società attuale.

La sua è la differenza tra una “grassa” risata, volgarotta, parolacciara, infarcita di luoghi comuni; e una di “classe”, che affonda le sue radici nell’humus culturale del cinema italiano d’annata e che punta ad essere la rappresentazione della società attuale, vista anche con un pizzico di amarezza. Uscito nelle sale lo scorso 3 novembre, e avvolto da un corposo successo di pubblico, esaustivo in tal senso è Non si ruba a casa dei ladri, commedia diretta dai fratelli Vanzina, che vede un superbo Vincenzo Salemme mattatore assoluto della pellicola. Questa volta i fratelli Vanzina fanno leva su tutta la loro conoscenza della commedia all’italiana, costruendo una sceneggiatura solida che rende omaggio a molti titoli del passato: da In nome del popolo italiano a Pane e cioccolata a La congiuntura, per citare solo qualche titolo.

Per la verità la commedia cui Non si ruba a casa dei ladri somiglia di più, pur con i dovuti distinguo, è Crimen di Mario Camerini, e non solo per la trasferta di un gruppo disomogeneo in un paradiso fiscale: anche per l’agilità della scrittura, la scioltezza della regia, la galleria dei “caratteri”. Paradossalmente, Non si ruba a casa dei ladri rimanda persino a Gomorra per il ritratto consapevole dei suoi “vincenti” come straccioni che è impossibile invidiare. La coppia Simone-Lori (Ghini-Arcuri) è infatti composta da due cafoni che in fondo si detestano, e la loro ricchezza non contiene quel potenziale di emulazione che i cumenda (anche nei film dei Vanzina) suscitavano in molte commedie anni ’80 e ’90. Simone, cui regala in pari misura tracotanza e strazio esistenziale, soffre di ulcera, ha nostalgia di un passato in cui un certo pesce pipa è una sorta di Rosabella, e si rende perfettamente conto di avere accanto un’arraffona ignorante (molto ben interpretata da Manuela Arcuri).

Per contro la coppia Antonio-Daniela (Salemme-Rocca ) è davvero invidiabile per complicità e condivisione egalitaria nella buona e nella cattiva sorte. Non ci sono le solite corna da cinepanettone, e lo smignottamento è solo per recita: per avere più concessioni dalla politica, per imbrogliare un banchiere tedesco (peccato veniale, di questi tempi). E al centro della storia c’è l’etica del lavoro che si contrappone a quella dell’imbroglio, della mazzetta e del parassitismo. Questo ritorno dei Vanzina alle loro radici non è una captatio benevolentiae verso chi ha sempre pensato che gli eredi di Steno potessero fare di meglio, ma funziona perché intrattiene e fa sorridere: le battute sono intelligenti , la trama è ben costruita, la regia asseconda gli attori e il cast regge bene l’architettura narrativa, ognuno prestando la propria “maschera” in una versione leggermente inaspettata: Vincenzo Salemme è il napoletano onesto, Stefania Rocca la torinese non ingessata, Teco Celio il banchiere pieno di umane debolezze, Ria Antoniou l’estetista con il fisico da pin up e l’animo da brava ragazza. Un passo al di sopra degli altri Maurizio Mattioli, pur considerando sempre l’enorme bravura di Vincenzo Salemme, sempre il migliore quando si tratta di “fare” commedia, i cui monologhi sono da antologia, e che ricorda a tutti una delle lezioni fondamentali della commedia: che le battute possono essere impilate una sopra l’altra senza aspettare il tempo della risata televisiva, perché anche se “arrivano” in ritardo generano quell’effetto valanga che ogni attore comico (e ogni regista di commedia) sogna di ottenere.

La vera storia del “Cinepanettone”: evoluzione di un genere tutto italiano

Domenico Palattella (31)

Il termine “Cinepanettone” fu originariamente coniato in senso dispregiativo dai Critici cinematografici per indicare un prodotto comico di grande diffusione pubblica, che si caratterizzava per una certa tendenza a ripetersi nella trama e nelle situazioni, per il tipo di comicità a buon mercato, per la simpatia dei suoi interpreti, nonché per i grandi incassi nelle sale italiane. Secondo i registi Carlo ed Enrico Vanzina, considerati i padri del genere, la “formula” del cinema popolar-vacanziero anni ’80 sarebbe nata nel 1982 quando, dopo il successo commerciale del loro “Sapore di mare”, il produttore Aurelio De Laurentiis commissionò un’opera simile per l’anno successivo ma ambientata stavolta in una località sciistica, da mettere in programmazione nei cinema nel periodo natalizio. I due fratelli pensarono quindi a una rilettura contemporanea di un film del 1959 interpretato da Alberto Sordi e Vittorio De Sica (padre di Christian), “Vacanze d’inverno”, in cui il regista Camillo Mastrocinque aveva tratteggiato, sullo sfondo di Cortina d’Ampezzo, i costumi italici del tempo. Nacque così nel 1983 il primo “Vacanze di Natale” girato anch’esso tra la regina delle Dolomiti. C’è però da notare, che qui non siamo ancora in presenza del genere cosiddetto del “Cinepanettone”, più che altro è un modello, un progenitore del futuro genere popolaresco e popolare. Il primo vero “cinepanettone” è databile 1990, con Vacanze di Natale ’90, che segna anche il vero inizio del sodalizio artistico fra e Christian De Sica, i due attori per eccellenza della saga. Il “cinepanettone” dunque è un genere importante, non tanto per la qualità delle stesse pellicole ma per il fenomeno di costume epocale, che caratterizzerà tale genere fino ai tempi attuali. La ‘creatura’ ideata da De Laurentiis darà vita ad una serie infinita di ‘copie’, brutte o belle che siano, in grado di reggere allo scorrere degli anni. Perché il Cinema italiano scopre la potenza del Natale in sala, con film ad hoc che lo celebrino anche sul grande schermo: e fa niente se la qualità sarà molto spesso deprecabile, il pubblico dimostrerà di gradire e i produttori ci marceranno.

Inizialmente il genere è appannaggio esclusivo di Aurelio De Laurentiis, il Natale cinematografico è monopolio “quasi” personale. Dal 1991 al 1995 si susseguono campioni di incassi come Vacanze di Natale ’91 (1991), Anni ’90 (1992), Anni 90- Parte II (1993), S.P.Q.R.- 2000 e mezzo anni fa (1994), Vacanze di Natale ’95 (1995), tutti con la coppia De Sica-Boldi, l’unica “vera” coppia duratura del cinema italiano, dopo quelle di Franchi & Ingrassia e di Bud Spencer & Terence Hill. Dal 1996, quasi per caso, il produttore toscano Cecchi Gori, già produttore tra l’altro di capolavori epocali come Mediterraneo (1991) e Il postino (1994), cerca di interrompere questo monopolio natalizio firmato “De Laurentiis- De Sica- Boldi”, con il debutto cinematografico dell’attore toscano Leonardo Pieraccioni, e che debutto! Il ciclone (1996) si issa come campione di incassi dell’annata e al quarto posto assoluto tra i film italiani più visti di sempre (14 milioni e 300 mila presenze al botteghino ), diventato fin da subito un fenomeno di costume. Il ciclone è il primo film italiano ad aver incassato più di 70 miliardi di lire al botteghino e diventa anche il film simbolo della moderna commedia all’italiana. In realtà il suo successo si spiega con una comicità mai volgare e con il fascino accattivante del protagonista. Ciò non vuol dire che i gusti degli italiani stanno mutando e che il “Cinepanettone” puro, volgare e popolaresco, sta incominciando a segnare il passo. Vuol soltanto dire che un’alternativa al classico piatto natalizio è possibile, e soprattutto redditizio.

D’altronde quello stesso anno segna incassi importanti anche superiori al Cinepanettone dell’anno precedente. L’anno dopo si rinnova la sfida tra l’alternativa Pieraccioni ( Fuochi d’artificio ) e il classico Cinepanettone targato De Laurentiis ( A spasso nel tempo- l’avventura continua ). Intanto un piccolo film quasi senza pretese come Tre uomini e una gamba, interpretato e diretto dal trio composto da Aldo, Giovanni & Giacomo sbaraglia la concorrenza e trasforma il suddetto trio da prodotto televisivo a fenomeno cinematografico di primo livello. A fine millennio, si crea una situazione destinata a rimanere immutata fino alla rottura professionale di Boldi e De Sica, del 2006. E cioè l’alternanza dei film con Pieraccioni e quelli con Aldo, Giovanni & Giacomo in concorrenza al classico “Cinepanettone”: negli anni dispari Leonardo Pieraccioni, negli anni pari il trio. Anche il tradizionale “Cinepanettone”, cerca nuove strade mettendo sotto contratto nuovi e “vecchi” comici da affiancare ai classici Boldi e De Sica. Nascono film come Paparazzi (1998), con l’aggiunta di Diego Abatantuono e Nino D’Angelo; Tifosi (1999), con lo stesso cast; Bodyguards- Guardie del corpo (1999), con l’ingresso di e Biagio Izzo; Vacanze di Natale 2000 (2000 ), con lo stesso cast. Il “cinepanettone” classico, scade nella volgarità più totale con i successivi Natale sul Nilo (2002) e (2003), mentre i vari Pieraccioni e Aldo, Giovanni e Giacomo continuano a puntare su prodotti e comicità qualitativamente e stilisticamente più elevati: Ti amo in tutte le lingue del mondo, Il paradiso all’improvviso, Chiedimi se sono felice, Così è la vita.

Nel 2006 la rottura Boldi-De Sica, porta il primo ad allontanarsi dal secondo, che rimane saldamente l’attore di punta del classico cinepanettone di De Laurentiis. Boldi comunque non rinuncia al tradizionale appuntamento natalizio, così si viene a creare la terza alternativa al cinepanettone originale. I film di Natale diventano tre e si susseguono almeno fino al 2013. I film targati De Sica-De Laurentiis, con la partecipazione in misura variabile di attori come Massimo Ghini, Sabrina Ferilli, Paolo Ruffini; il rinnovato cinepanettone di Massimo Boldi, con Enzo Salvi e Biagio Izzo presenze praticamente fisse; e la classica alternanza targata “Medusa”, di Pieraccioni e Aldo, Giovanni & Giacomo. Nel 2013 scade il contratto di De Sica con De Laurentiis, che decide di puntare tutto sulla coppia composta da Lillo & Greg. Attivi soprattutto in radio, tv e teatro, negli ultimi anni Lillo & Greg hanno iniziato anche una sfolgorante carriera cinematografica, con titoli, di grande successo, che hanno alzato il livello medio del prodotto comico-cinematografico italiano. La loro è una comicità sofisticata, surreale e mai banale. Dal 2014 dunque la situazione del “Cinepanettone” natalizio si ingarbuglia sempre di più: dall’unica offerta dell’inizio degli anni ’90, si arriva addirittura a 4 alternative di genere praticamente in contemporanea, giorno più giorno meno. Anche gli incassi sostanzialmente si equivalgono, non decretando nessun vero vincitore, per la gioia delle sale cinematografiche, che mai come nel periodo natalizio, vengono prese d’assalto.

Per fare meglio comprendere la situazione attuale, partendo dall’anno 2014 elenchiamo le produzioni italiane ascrivibili a tale genere. Nel 2014 escono nelle sale La scuola più bella del mondo, con Christian De Sica e Rocco Papaleo- produzione Cattleya; Ma tu di che segno sei?, con Massimo Boldi, Vincenzo Salemme e Gigi Proietti- Key’s film; Il ricco, il povero, il maggiordomo, con Aldo, Giovanni e Giacomo- Medusa film; Un Natale stupefacente, con Lillo & Greg- Filmauro di De Laurentiis. Nel 2015 si rinnova la tetra-sfida con Vacanze ai Caraibi ( De Sica-Ghini ); Matrimonio al Sud ( Boldi-Izzo-Salvi ); Il professor Cenerentolo ( Pieraccioni ); Natale col boss ( Lillo & Greg ). Quest’anno la situazione è rimasta immutata, anche perché l’offerta natalizia così fissata è redditizia per tutti: produttori, attori, sale cinematografiche. Massimo Boldi è in sala dal 1 dicembre con Un Natale al Sud, coadiuvato dai soliti Enzo Salvi e Biagio Izzo; la “strana” coppia De Sica-Brignano sarà in sala dal prossimo 15 dicembre con Poveri ma ricchi; gli stessi giorni usciranno anche Fuga da Reuma-Park, ultima fatica di Aldo, Giovanni & Giacomo; e Natale a Londra, con Lillo & Greg, Nino Frassica e il “nostro” Uccio De Santis.

Il tema del Natale nel cinema italiano

Domenico Palattella (31)

Il tema del Natale, sempre altamente centrale nelle vaste produzioni hollywoodiane, ha avuto, almeno inizialmente, uno scarso utilizzo nel cinema e nello spettacolo italiano, anche se questi pochi casi sono stati ben esplicati e hanno mostrato una visione tutta italiana delle festività natalizie. La menzione per “La vita è meravigliosa”(1946), di Frank Capra è d’obbligo, come è d’obbligo affermare che questo capolavoro sia il film di Natale per eccellenza, con James Stewart perfetto nell’immagine della speranza e della bontà che stanno nella natura della festività più celebre al mondo: pur se il film cela, nella propria struttura di parabola dickensiana, un acre pessimismo di fondo che il lieto fine non riesce a stemperare.

L’anno dopo la risposta italiana al Natale buonista visto dall’altra parte dell’Oceano, è “Natale al campo 119”, una risposta che si lega perfettamente con il neorealismo, che aveva reso grande il nostro cinema. Il tema del Natale “all’italiana” dunque, si lega al realismo degli italiani ancora internati nei campi statunitensi nel Natale del 1945 (per fortuna sarebbero tornati a casa pochi mesi dopo).

Il film racconta ovviamente una storia ambientata due anni prima, la nostalgia di un ennesimo Natale passato lontano da casa e dai propri cari. I racconti dei prigionieri si fondono con la magia del Natale e con i loro ricordi dell’Italia, ora comici, ora commoventi. Fino all’invocata notizia della liberazione che conclude il film. Un cast strepitoso, costellato di stelle di primissimo piano: Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo e Carlo Campanini. A questo punto, però c’è da osservare come a livello italiano, da acuto osservatore della realtà, sia stato il grande Eduardo De Filippo a cogliere, forse più di ogni altro artista il sentimento che il Natale suscita nel cuore della gente comune. Nato in una città dove tale ricorrenza è sempre stata oggetto di culto particolare a volte anche eccessivo, trovò naturale e quasi inevitabile descriverlo. Ovviamente lo fece a modo suo, da drammaturgo, creando una commedia realistica, completa, impegnata, tra le più apprezzate e conosciute del suo vasto repertorio: “Natale in casa Cupiello”.

Strano, ma vero, è forse l’unica commedia di Eduardo De Filippo, a non aver avuto la sua trasposizione cinematografica, ma ne ha avute due per la televisione, una nel 1962 e una nel 1977, sempre interpretata e diretta dal suo leggendario autore. La commedia è riuscita nel corso degli anni a mantenere intatta la sua vitalità e il suo forte messaggio natalizio, diventando una tradizione fissa delle festività natalizie dell’italiano del secolo scorso, e di quello del nuovo millennio. Rimasto nella memoria collettiva il tormentone ““Te piace ‘o presepio?”, che Eduardo ripete continuamente nel corso della commedia.

Successivamente, il Natale “italiano”, cinematograficamente parlando, ha sempre descritto avventure dedite al lato consumistico dell’italiano medio, al lato vacanziero, che è comunque parte integrante dell’essenza italiana del Natale. Antenato dei “Vacanze di Natale”, che andranno di moda dagli anni ’80 in poi, “Vacanze d’Inverno” del 1958, diretto da Camillo Mastrocinque e interpretato da Vittorio De Sica e Alberto Sordi, è il vero e proprio antenato dei “cinepanettoni” dei giorni nostri. Vengono qui descritti, in un divertente film a episodi intrecciati, le avventure di personaggi diversi, bizzarri, umani e curiosi, alle prese con le vacanze natalizie nella località sciistica di Cortina D’Ampezzo. Scelta non casuale, proprio in quei mesi, Cortina avrebbe ospitato, nel 1958 le prime Olimpiadi invernali ospitate dall’Italia, e in pieno boom economico l’italiano non può certo esimersi dal divertirsi anche a Natale, come se fosse una piccola estate, in montagna anziché al mare: e il cinema non si tirò certo indietro.

Per lunghi anni poi, il tema del Natale nel cinema italiano venne un po’ messo da parte, fino a quando l’intuizione del produttore De Laurentiis aprì le porte del cinema al Natale, inserito nella facile e spicciola commedia di costume. Il 1983 è l’anno di “Vacanze di Natale”, con Jerry Calà, Christian De Sica e Stefania Sandrelli, film rilevante non tanto per la qualità della stessa pellicola, che a dir la verità non è neanche brutta, anzi piuttosto gradevole, ma per il fenomeno di costume epocale, che caratterizzerà tale genere fino ai tempi attuali. La ‘creatura’ ideata da De Laurentiis darà vita ad una serie infinita di ‘copie’, brutte o belle che siano, in grado di reggere allo scorrere degli anni. Perché il Cinema italiano scopre la potenza del Natale in sala, con film ad hoc che lo celebrino anche sul grande schermo: e fa niente se la qualità sarà molto spesso deprecabile, il pubblico dimostrerà di gradire e i produttori ci marceranno.

Eppure non mancano le occasioni importanti, di qualità, come il crudele, ma splendido “Regalo di Natale”(1986) del maestro Pupi Avati, con Diego Abatantuono e Carlo Delle Piane, nel quale il cineasta bolognese descrive la provincia indigena senza pietà o infingimenti, licenziando una parabola ch’è pietra tombale su ogni sentimento, a cominciare da quello dell’amicizia; oppure ancora, il pungente “Benvenuti in casa Gori”(1990, girato da Alessandro Benvenuti nel 1990, il film ruota attorno ad un pranzo di Natale trasformato in un vero e proprio gioco al massacro in famiglia.

Cinica ed originale, la pellicola venne tutt’altro che esaltata dalla stampa dell’epoca, per poi farsi ricordare ed apprezzare con il passare degli anni; e poi degno di nota, con Paolo Villaggio, per una volta lontano dai panni del ragionier Fantozzi, è “Ho vinto la lotteria di capodanno”, del 1989. Alla regia troviamo , poi diventato 10 anni dopo ‘padre’ del cinepanettone, per una pellicola che astutamente giocò con quello che 25 anni fa era ancora un vero e proprio sogno ad occhi aperti. La Lotteria Italia. Miliardaria, e in grado di trasformare la vita del vincitore. Altri tempi, in cui a riempire le casse dello Stato erano solo e soltanto la schedina del Totocalcio, quella del Totip, e la Lotteria, per l’appunto.

Chiudo infine con un toscanaccio del cinema italiano, Paolo Virzì, autore di “Baci e abbracci”. E’ la fine degli anni 90 e il regista viene dal boom di “Ovosodo”, tanto da cercare una facile conferma. Che non arriva del tutto. Tra equivoci più o meno scontati, una famiglia toscana accoglie in casa un ristoratore fallito, alla vigilia di Natale, credendo sia il nuovo fidanzato della figlia. Evidente l’omaggio a “Trainspotting” di Danny Boyle, con il poster che ricorda Ewan McGregor disteso sulle rotaie, per un titolo che chiude questa ‘carrellata’ natalizia all’italiana.