PosteItalianeSpA - Spedizioneinabbonamentopostale-70% -Aut.GIPA/C/RM/04/2013 Può darsicheanticamentel'uomo tre piselli, da qui la famosa frase tre piselli,daquilafamosafrase L’altro giornoduetizisuun’auto mi hanno tamponato il paraurti mi hannotamponatoilparaurti avesse piùorganisessuali: “amatevi emoltiplicatevi”, ma nonconquesteparole. “Che cazzovuoi?”. e ioglihodetto, Roberto Benigni Woody Allen

www.8-mezzo.it Parolacce. Perché le diciamo? Che effetto ci fanno in un film? Come le usa il cinema italiano? settembre 2019 numero 46 anno VII i film-evento Arte e cinema: INCHIESTE in Palestina Il cinema FOCUS Nell'anno delSignore A 50annida ANNIVERSARI IL CINEMAITALIANO? COME LEUSA CI FANNO INUNFILM? CHE EFFETTO PERCHÉ LEDICIAMO? PAROLACCE. Ugo Gregoretti, Valentina Cortese, Pietro Coccia, RICORDI n °46 settembre 2019 €5,50 sul prossimo numero in uscita a novembre 2019

Scenari Inchieste Focus Anniversari Marketing e cinema: Il cinema italiano Il cinema A 50 anni da... come riaccendere e lo sport di Hong Kong La caduta degli Dei la voglia di film? editoriale

SIAMO TUTTI “VOLGARI”? di GIANNI CANOVA

Il vocabolario della lingua italiana non convenzionale per il tema. Zingarelli ne conta 168: tanti sono Quasi a riconoscere che dovrem- i lemmi – da arrazzare a zoccola – mo riflettere tutti un po’ di più a cui viene associata l’etichetta sul rapporto che abbiamo con il “d’uso volg.”. Si presuppone – se- nostro linguaggio, e con le forme condo un antico pregiudizio – che linguistiche con cui diamo corpo le parolacce – con quel suffisso di- ai nostri stati d’animo, alle nostre spregiativo e infamante: -acce – si- rabbie, ai nostri rancori. Perché ano una prerogativa del volgo. Che le parolacce le diciamo tutti. Ci siano sinonimo di scarsa cultura e servono come sfogo o come in- di limitata capacità espressiva. Ma sulto, come intercalare. Non ci è un pregiudizio. Così come lo è chiediamo cosa diciamo davvero quello secondo cui la parolaccia quando le usiamo (ad esempio: vivrebbe in uno stretto regime di perché spesso gli organi genitali protezionismo e sarebbe usata e diventano parolacce?). Né siamo pronunciata solo in contesti li- consapevoli della genesi delle mitati (caserma, osteria, ecc) e da parolacce che usiamo (avete mai persone coetanee e dello stesso pensato al perché certi Paesi di- sesso. Non è così. Forse era così ventano insulti: mongolo, lesbica, in passato (forse: pare ad esempio bulgaro, portoghese…). Ma pro- che nel ‘700 papa Benedetto XIV prio per questo, riflettere sulla le usasse con frequenza e senza nobiltà della parolaccia e sull’uso vergogna), ma certamente non intelligente che ne ha fatto il cine- lo è ora. Ora la parolaccia dilaga, ma italiano vuole essere anche un si infiltra, appare dove meno te piccolo contributo a contrastare l’aspetti. Ne abbiamo avuto con- quella tendenza epocale per cui ferma quando abbiamo deciso il linguaggio di molti, soprattutto di dedicare a lei, alle sue appari- in Italia, sembra fare dell’insulto zioni, alle sue funzioni e ai suoi la principale se non l’unica forma usi nel cinema italiano, questo espressiva (basta sentire certe tra- numero di 8½. Il tema è piaciuto smissioni alla radio, o certi talk in a tutti, subito. Temevamo di in- tv) e della parolaccia compulsiva- contrare resistenze e perplessità, mente ripetuta l’ultima marca re- di affrontare un tema per così dire siduale dell’identità di un popolo marginale. E invece tutti coloro sempre più insicuro di sé e sem- che abbiamo coinvolto – registi pre più incapace di relazionarsi e attori, sceneggiatori e critici – con l’altro da sé. hanno confermato un interesse sommario

8½ Progetto Creativo NUMERI, VISIONI 19novanta communication partners E PROSPETTIVE DEL CINEMA ITALIANO Creative Director EDITORIALE 18 E magnatela Consuelo Ughi ‘n’ emozione! 01 Siamo tutti “volgari”? Bimestrale d’informazione Designer Giulia Arimattei, di Gianni Canova Interviste e cultura cinematografica Valeria Ciardulli, Francesco Bruni Martina Marconi, Massimiliano Bruno Iniziativa editoriale realizzata Lorenzo Mauro Di Rese Enrico Vanzina da Istituto Luce-Cinecittà Stampa ed allestimento Valentina Carnelutti in collaborazione con ANICA Arti Grafiche La Moderna Giancarlo Giannini e Direzione Generale Cinema Via Enrico Fermi 13/17 Alessandro Haber 00012 Guidonia Montecelio cover Antonia Truppo (Roma) Direttore Responsabile 19 È tutta questione Giancarlo Di Gregorio Registrazione presso il Tribunale di Roma n° 339/2012 SCENARI di misura Direttore Editoriale del 7/12/2012 di Margherita Bordino Gianni Canova Direzione, Redazione, 06 La parolaccia? Vice Direttore Responsabile Amministrazione Una nota musicale 22 La volgarità Cristiana Paternò Istituto Luce-Cinecittà Srl nella partitura ha sempre pagato Via Tuscolana, 1055 - 00173 Roma del discorso di Pedro Armocida Capo Redattore Tel. 06722861 fax: 067221883 Stefano Stefanutto Rosa [email protected] di Gianni Canova www.8-mezzo.it 24 Bastardi, pirla e idioti In Redazione 08 A che #§%@& servono di V.T. Carmen Diotaiuti di Vito Tartamella Chiuso in tipografia il 29/07/19 Andrea Guglielmino 26 Fuck, fuck, fuck! 10 Parole e cose tabù di Andrea Guglielmino Coordinamento redazionale DG Cinema di Paolo Giovannetti Iole Maria Giannattasio 28 Semel in anno 12 Io ho carta bianca. di Rocco Moccagatta Coordinamento editoriale E ci si pulisca il culo! Nicole Bianchi di Fabio Rossi 30 Roberto Benigni di Gianni Canova Hanno collaborato Pedro Armocida, Alice Bonetti, 14 Vaffa d’autore… Margherita Bordino, di Franco Montini 31 Checco Zalone Nicola Calocero, Paola Casella, di Paola Casella Francesco Castelnuovo, Interviste Antonio Costa, Elisa Fuksas, Nicola Ferrigni 32 Er Monnezza Iole Maria Giannattasio, Enrico Menduni di Carmen Diotaiuti Paolo Giovannetti, Giorgio Gosetti, Andrea Gropplero di Paolo D’Achille Troppenburg, Oscar Iarussi, Ignazio Senatore 33 Paolo Villaggio Samia Labidi, Andrea Mariani, di Antonio Valerio Spera Rocco Moccagatta, Franco Montini, Marlon Pellegrini, 34 Chi l’ha detta? Gian Luca Pisacane, Pivio, di Alice Bonetti Emanuele Rauco, Ilaria Ravarino, Fabio Rossi, Monica Sardelli, Roberto Silvestri, Antonio Valerio 37 Totò e il colonnello Spera, Vito Tartamella, Hilary a cura della Redazione Tiscione, Bruno Zambardino voci rewind latest

INCHIESTE RACCONTI DI CINEMA SCANNER RICORDI

40 Dentro la bellezza 62 L’Avventura 74 Le attività 96 Pietro Coccia di Nicole Bianchi Anna del Coordinamento (1962-2019) di Elisa Fuksas nazionale di DG cinema, Con l’obiettivo 41 Riproducibilità infinita Regioni e Film Commission rivolto verso il cielo di Antonio Costa di Iole Maria Giannattasio, di Cristiana Paternò REPRINT Monica Sardelli, 42 Un sogno senza fine Bruno Zambardino 97 Franco Zeffirelli di Cristiana Paternò 64 Il cinema italiano (1923-2019) e i valori della famiglia Affacciato sul mondo 44 L’antico richiamo di Alberto Lattuada FOCUS PALESTINA della bellezza del mistero da “Rivista del di Nicole Bianchi di Ilaria Ravarino cinematografo”, n. 5-6, 81 Sapienza nomade maggio-giugno 1966, di Roberto Silvestri 98 Ugo Gregoretti Interviste pp. 337-338 (1930-2019) Lorenzo Richelmy di Andrea Mariani 86 Audacia e tradizione Geniale esploratore, Massimiliano Finazzer Flory impegnata mai senza i suoi occhiali Didi Gnocchi di Samia Labidi di Marlon Pellegrini Giacomo Gatti ANNIVERSARI Giovanni Piscaglia 99 Valentina Cortese 66 a 50 anni da CINEMA ESPANSO (1923-2019) 48 Mercanti di film Nell’anno del Signore Flautata, surrealista, di Nicole Bianchi 88 Flatform: uno, nessuno dodecafonica, futurista 67 1969: l’anno domini e centomila di Stefano Stefanutto Rosa Interviste di Gigi Magni di Nicole Bianchi Franco di Sarro di Giorgio Gosetti Francesco Invernizzi 90 Troisi. Eccetera, eccetera INTERNET Roberto Pisoni di Hilary Tiscione E NUOVI CONSUMI

PUNTI DI VISTA 100 Genio e spregiudicatezza. GEOGRAFIE Così il cinema diventa 52 Il non-Ritorno di Attila meme di Pivio 92 L’isola che c’è di Carmen Diotaiuti di Oscar Iarussi 54 Il Corbucci di Bong e quello di Quentin MARKETING di Francesco Castelnuovo COMPLEANNI DEL CINEMA ITALIANO

56 Mistero Bellocchio 94 80 anni di Carlo Cecchi 102 Non drammatizziamo di Emanuele Rauco Lo stile non esagera mai è solo questione di Stefano Stefanutto Rosa di marketing di Nicola Calocero CINE GOURMET 95 Renato Scarpa, 80 anni sotto il segno 58 Matteo Garrone: della Vergine 104 BIOGRAFIE “A Pinocchio di Gian Luca Pisacane la pappa al pomodoro, a me gli spaghetti” di Andrea Gropplero di Troppenburg voci - inchieste cover

SCENARI

06 La parolaccia? 18 E magnatela 30 Roberto Benigni Una nota musicale ‘n’ emozione! di Gianni Canova nella partitura del discorso Interviste di Gianni Canova Francesco Bruni Massimiliano Bruno Enrico Vanzina 31 Checco Zalone 08 A che #§%@& servono Valentina Carnelutti di Paola Casella di Vito Tartamella Giancarlo Giannini Alessandro Haber Antonia Truppo

19 È tutta questione 32 Er Monnezza 10 Parole e cose tabù di misura di Carmen Diotaiuti di Paolo Giovannetti di Margherita Bordino

22 La volgarità 33 Paolo Villaggio 12 Io ho carta bianca. ha sempre pagato di Antonio Valerio Spera E ci si pulisca il culo! di Pedro Armocida di Fabio Rossi

24 Bastardi, pirla e idioti 34 Chi l’ha detta? 14 Vaffa d’autore… di V.T. di Alice Bonetti di Franco Montini

Interviste Nicola Ferrigni Enrico Menduni 26 Fuck, fuck, fuck! 37 Totò e il colonnello Paolo D’Achille di Andrea Guglielmino a cura della Redazione Ignazio Senatore

28 Semel in anno di Rocco Moccagatta

4/5 scenari

R LA P A O L A C C IA? UNA NOTA MUSICALE NELLA PARTITURA DEL DISCORSO di GIANNI CANOVA

A dispetto del luogo comune che vede in esse sempre e solo un disvalore o un sintomo di involgarimento del linguaggio, le parolacce o le locuzioni oscene hanno un immenso potenziale espressivo. Nel cinema come nella vita.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? ficati e sfumature diverse. E de- e indignate (cane!, verme!, lupo clinarsi nei campi semantici più affamato!). Accanto alla parolac- disparati. Perché non è detto che cia zoomorfa, l’epiteto infernale: la parolaccia debba evocare per Che l’inferno ti inghiotta! Al diavo- forza scenari escrementizi (stron- lo le leggi! Corna del diavolo! Sputa zo!), atti sessuali (fottiti!) o organi l’osso, satanasso! Tizzone d’inferno! genitali (coglione!: chissà perché Questo è un inferno, dannazione! la parte del corpo che contiene il Barba del diavolo! Una locuzione seme della vita diventa un insul- idiomatica come mandare al dia- to…?). La più longeva narrazione volo genera insomma nell’univer- seriale dell’Italia moderna (il fu- so texiano una costellazione di metto che porta il nome del suo insulti dal sapore deliziosamente eroe, Tex Willer, edito da Bonelli retrò, segni linguistici di un’Italia a partire dal lontano 1948!) ha una beneducata che fa arrivare le sue retorica dell’insulto e dell’impre- propaggini fino a noi. cazione deliziosamente aulica e C’è parolaccia e parolaccia, in- castigata: gli appellativi insultanti somma. Ci sono i Vaffa! di Beppe attingono spesso a parole compo- Grillo (il primo lo pronuncia nel ste di stampo vetero-ginnasiale film di Dino Risi Scemo di guerra, Sgombriamo subito il campo da subordina tutto a quell’effetto, al- (piantagrane!, guastafeste!, scan- ed è indirizzato a una mosca ron- un equivoco: quello secondo cui le trimenti la forza espressiva si ottun- napolli!), tali da stendere un velo zante e fastidiosa che si posa sulla parolacce sarebbero una disdice- de, si logora, si spreca. (…). Bisogna ironico estraniante anche sulle sua mano in un’oasi nel deserto vole abitudine volgare. Non è così. soltanto preoccuparsi che la parola situazioni più “hard”. libico) e ci sono le parolacce o le Non è sempre così. A sostenerlo, non perda la sua forza, cioè sia usata Ma la fenomenologia texiana locuzioni oscene che “imprezio- con autorevoli argomentazioni, è nel momento giusto: se diventa d’u- dell’insulto e dell’imprecazione siscono” i testi “alti” di un poeta un intellettuale colto nonché scrit- so corrente e anodino, non suonerà sperimenta anche soluzioni più ribelle come Fabrizio De Andrè tore raffinato come Italo Calvino. più con quel rilievo cromatico che originali ed ardite, raggruppabili (il nano che “ha il cuore troppo, In un articolo apparso sul “Corrie- costituisce il suo valore”. in due grandi categorie: quelle troppo vicino al buco del culo” o re della Sera” del 12 febbraio 1978, Una nota musicale nella partitura di tipo zoomorfo e quelle di tipo il trans di Prinçesa che dice di sé poi ripubblicato in Una pietra so- del discorso: non si potrebbe descri- diabolico infernale. Ecco allora, “sono la femmina camicia aperta, pra (Einaudi, 1980). Calvino – pur vere meglio l’uso della parolaccia da un lato che il Nemico diventa piccole tette da succhiare”). cosciente dell’aspetto conserva- nell’eloquio di certi comici e nella verme, cane, lupo, sciacallo, gorilla, Sfidando il luogo comune che tore e regressivo delle parole osce- sceneggiatura di certi film. La pa- serpente, coyote; il cinese è micro- vede nelle parolacce sempre e ne – difende con argomentazioni rolaccia libera, scarica, rigenera. bo o moscerino; e la donna, di vol- solo un disvalore o un sintomo di lucidissime il loro insostituibile È una concessione che chi la pro- ta in volta, pitonessa, pollastrella, involgarimento del linguaggio, in valore e la loro icasticità espressi- nuncia fa alla parte più primordia- gatta, pantera, colombella, serpente questo numero di 8½ cerchiamo va, arrivando addirittura a tessere le di sé: quella parte istintuale che in gonnella. Tex si rivolge ai suoi di riflettere e indagare sul ruolo un elogio della parola corrente con tutti abbiamo imparato a tenere avversari secondo un repertorio che le parolacce hanno avuto e cui ormai tutti in Italia denomi- a bada e a nascondere, ma che di faunistico che va dai toni ironi- hanno nel cinema italiano. Nella niamo l’organo genitale maschi- tanto in tanto – legata com’è alle co-sarcastici (galletto, piccioncino, convinzione che la ricerca ci riser- le. “La nostra lingua ha vocaboli pulsioni primarie della vita – non canarino) alle invettive rabbiose verà più di una sorpresa. di espressività impareggiabile: la può non venire a galla con tutta la stessa voce cazzo merita tutta la sua irruenza esplosiva. Ha notato fortuna che dalle parlate dell’Italia un fine linguista come Ferdinan- centrale le ha permesso di imporsi do Dogana che in italiano molte sui sinonimi dei vari dialetti (…). Va parolacce sono composte da con- dunque rispettata, facendone un sonanti occlusive (P/B, T/D, K/G): uso appropriato e non automatico; cazzo, puttana, baldracca. In ge- se no, è un bene nazionale che si nere, esse vengono articolate “cre- deteriora, e dovrebbe intervenire ando una completa chiusura del Italia Nostra”. Proseguendo il suo tubo fonatorio, seguita da una sua ragionamento, Calvino sottolinea rapida apertura. L’aria che giunge come la forza espressiva della pa- dalla trachea incontra dapprima rolaccia dipenda molto dal modo un’occlusione che ne aumenta in cui viene usata: “La locuzione la pressione intraorale; l’ostaco- oscena serve come una nota mu- lo viene poi improvvisamente sicale per creare un determinato rimosso e l’aria è violentemente effetto nella partitura del discorso espulsa, provocando una sorta di parlato o scritto. Questo implica piccata esplosione”. Certo: l’esplo- una speciale orchestrazione, che sione può assumere forme, signi-

6/7 A CHE #§%@& SERVONO

di VITO TARTAMELLA*

Perché le diciamo? Cosa significano? Quali effetti hanno? Le loro 5 funzioni: enfatizzare, descrivere, imprecare, maledire e insultare.

Correva l’anno 1967, e due psicologi dell’Università del Nevada, Allen e Beatrice Gardner, decisero di fare un esperimento mai tentato: insegna- re il linguaggio dei segni (quello dei sordomuti) a uno scimpanzé di 10 mesi, Washoe. A 5 anni d’età, Washoe conosceva 132 parole, e le usava in bre battuta “Francamente, mia frasi semplici, come “fammi-uscire-fretta”. Un giorno Washoe conobbe cara, non m’importa un accidente” un’altra scimmia. Per dire che non le piaceva mimò i gesti “sporca-scim- (“Frankly, my dear, I don’t give a mia”: il segno “sporco” era quello per indicare gli escrementi. “Scimmia damn”) che Rhett Butler spiattel- ci fa visualizzare gli escrementi in di merda”, insomma. lò a Rossella O’Hara, suscitò il pri- modo diretto, abbassante o offen- Una scoperta eccezionale: anche gli animali possono imparare le mo scandalo del cinema e passò sivo. Lo stesso avviene per i ter- parolacce. Perché sono uno strumento formidabile. Sono le parole che alla storia. mini che si riferiscono al sesso: se usiamo per esprimere le emozioni più forti: rabbia, disgusto, eccitazio- Il turpiloquio è anche il linguaggio espressi in modo triviale, evocano ne, disprezzo, gioia. della ribellione giovanile: fa senti- il sesso in modo esplicito, eviden- re diversi dai benpensanti. Ed è il ziando il nostro lato animalesco - Ecco perché le volgarità sono già presenti nel più antico poema della linguaggio della schiettezza: chia- che cerchiamo sempre di negare - storia, l’Epopea di Gilgamesh (2600 a.C.) e non c’è lingua al mondo ma le cose col loro nome, elimi- e le nostre ansie. Le parole oscene che ne sia priva. Sono così radicate che, si è scoperto, nel nostro cervel- nando i formalismi. È per questo entrano negli ambiti più delicati lo esistono aree specializzate nel controllo delle volgarità. che, negli ultimi 30 anni, i politici come un elefante in una cristalle- Le parolacce sono una parte così antica e profonda della nostra vita (e usano sempre più un linguaggio ria: ecco perché è vietato dirle. del cinema), perché sono la reazione a situazioni importanti, quelle che triviale: per apparire sinceri, striz- favoriscono o mettono a rischio la nostra sopravvivenza. zando l’occhio agli elettori (“par- 3) IMPRECARE. Quando ci lo come te perché sono come te”). rovesciamo il caffè sul vestito Ma in concreto, a che diavolo servono le parolacce? Hanno 5 funzioni: Ma spesso è un’arma di distrazio- nuovo, oppure ci martelliamo un enfatizzare, descrivere, imprecare, maledire e insultare. ne di massa, per nascondere le dito per sbaglio, esplodiamo in un proprie difficoltà o la mancanza “Porca troia!” (o simili). Sono pa- 1) ENFATIZZARE. Dire “Che cosa vuoi?” è diverso rispetto a “Che caz- di idee. role o frasi cristallizzate, che non zo vuoi?”. Il contenuto è lo stesso, ma la seconda frase esprime anche hanno un significato letterale: ser- l’emozione del parlante, (rabbia, irritazione). Le volgarità servono ad 2) DESCRIVERE. Perché “feci” vono soltanto a esprimere la forte attirare l’attenzione, a sorprendere o a far ridere, come ben sanno Chec- si può dire, mentre “merda” no? emozione che stiamo vivendo. co Zalone e Carlo Verdone. Per questo il cinema le ha usate come effetti Si riferiscono allo stesso oggetto, In origine, però, le imprecazioni speciali e colpi di scena fin dai tempi di Via col vento (1939): la cele- ma solo il secondo è tabù, perché avevano un significato religioso:

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? erano giuramenti. “Per Giove” si- gnifica infatti “Che Giove mi ful- mini se mento”. Le imprecazioni (letteralmente: “pregare contro”) # servivano a segnalare un solen- ne impegno davanti alla divinità. Oggi, invece, la loro forza serve a sfogare un dolore, chiedere aiuto, % intimidire un avversario. E funzio- nano davvero. Nel 2009 Richard § Stephens della Keele University ha fatto un esperimento con 70 volontari, che dovevano immer- gere la mano in un secchio d’ac- qua fredda (5 °C): chi lo faceva imprecando, riusciva a resistere @ al gelo per il 30% di tempo in più.

4) MALEDIRE. Le maledizioni possono esprimere, a seconda dei casi, un comando (“vaffanculo”), un desiderio (“ti venisse un can- cro”), un’esortazione (“che vada- no a cagare”). Tutte sono però un sortilegio, simile alla magia nera: & si basano infatti sulla credenza che il malaugurio possa realizzarsi davvero. E questo in parte avvie- ne: perché costringono il destina- tario a immaginarsi in una sgrade- vole prospettiva.

5) INSULTARE. Dire a qualcuno che è uno stronzo significa liqui- darlo con un giudizio negativo. Gli insulti feriscono perché ci fanno sentire sminuiti, emargina- ti e rifiutati, abbassando la nostra autostima. Di una persona si può insultare qualunque cosa: l’a- spetto fisico (grassone), le origini etniche (terrone), il comporta- mento (rompiballe), l’intelligenza (idiota)... Certamente le ingiurie pesano come pietre; ma sono un progresso, perché consentono di esprimere l’aggressività senza causare danni irreparabili. Come diceva Sigmund Freud, “Colui che per la prima volta ha lanciato all’avversario una parola ingiurio- sa invece che una freccia è stato il fondatore della civiltà”.

* www.parolacce.org

8/9 PAROLE E COSE TABÙ

di PAOLO GIOVANNETTI

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? Le parolacce nella letteratura italiana, da Dante Alighieri ad Aldo Nove.

“Tanto giovane e tanto puttana: / friggitrice in cui cucina le Spinaci- te quattrocentesca del Burchiel- ciai la nomina...”. Siamo nel 1965, ne, ma in fondo appagata perché è lo, che non a caso è stato detto e il poeta Giovanni Giudici non sempre più ricca di punti Star. precursore del Surrealismo e di teme di mettere in piazza un luogo Siamo alla fine di un lungo tra- cui sono possibili versi “assurdi” comune maschilista: quasi inevi- gitto, appunto. Un sistema isti- del genere: “Ser Domenico Fava, tabile frutto dell’insicurezza virile tuzionale che a poco a poco si del buon vino / che mi mandasti, davanti a relazioni fra sessi in pie- apre alla cosa oscena, e la dice e i’ ne lavai le coglie [i coglioni] / a na trasformazione. Eppure, ben la assapora cogliendovi un valore una miccia mia che avie le doglie, sei anni dopo nell’indimenticata paradossalmente tragico. Se negli / ché era sul partorire un lepretti- Canzone del sole di Mogol-Battisti Anni ’30 Gadda per suggerire la no”. All’opposto, il cinquecente- il concetto sarà sì esattamente lo parola fighetta doveva prenderla sco Pietro Aretino è trasparente e stesso (“Cosa vuol dir ‘sono una alla lontana attraverso una dot- mimetico, cioè teatrale e narrati- donna ormai’? / Ma quante brac- tissima ed esilarante perifrasi vo: “Perch’io prov’or un sì solen- cia t’hanno stretto [...] / per diven- (“Una allitterazione un po’ da ne cazzo / che mi rovescia l’orlo tar quel che sei”), però l’epiteto sin vergüenza, grata [...] al nostro della potta, / io vorrei esser tutta ingiurioso non figurerà. “Alto” e orecchio di ‘porcelli’: alla quale si quanta potta, / ma vorrei che tu “basso” si scambiano i ruoli – i scoscende [...] ogni volta: previa fossi tutto cazzo”. ruoli presunti, voglio dire, anche metatesi [...], solo a udir il nome In fondo, in un certo Otto-Nove- perché ormai è difficile capire chi d’un nostro oceanista e memo- cento certi fenomeni continue- stia su e chi stia giù. Davanti alla rialista oceanico: e magellanico”), ranno a manifestarsi: nel piacere stessa materia, il poeta ufficia- sessanta anni dopo molto sarà per le “bassezze” dialettali della le usa la parolaccia e una lingua cambiato, e nessun Pigafetta sarà modernità (da Porta-Belli a Pa- ostentatamente parlata, mentre il (più) invocato per arrivare lì. solini-Testori fino a neodialettali cantante pop e il suo paroliere per- Ma questa è solo una parte della come Fernando Bandini o Franco corrono dell’eufemismo. storia. Nella tradizione letteraria Loi), si alterna il gusto per la scena Non sarà un punto d’arrivo, quello italiana, parole e cose tabù hanno al limite dell’indecenza e la curio- di Giudici, ma poco ci manca. Più a lungo prosperato senza eccessi- sità per una lingua diversa, affa- esattamente, potremo dire che vi problemi, in mondi però sepa- scinante perché intrinsecamente il definitivo sdoganamento pub- rati. Si tratta della poesia comi- mostruosa. Del resto, in un settore blico di una lingua dis-femica av- co-realistica, giocosa, ai confini come quello dell’audio-video ita- viene in modo quasi ufficiale con del dialettale, ma anche dell’uni- liano, oggi, tutto sembra essersi l’antologia Gioventù cannibale, ne- verso “generico” del comico. Se in normalizzato, se pensiamo a Go- gli Anni ‘90 del secolo scorso. “L’i- Dante – come credo tutti sappia- morra e a L’amica geniale, entram- deale della mia vita è [...] farmi un no – c’è un diavolo che “avea del bi in mero napoletano (la parolac- sacco di seghe guardando giù dal- cul fatto trombetta”, ciò avviene cia “narrativa” vi è per contratto la finestra [...]. Poi mi sveglio [...] perché le convenzioni della come- inclusa), ma anche a un film come e vado a comperare delle cose da dìa sono favorevoli a questi usi, sia Il traditore di Bellocchio, recitato Pam”. Cazzifighe e merci balzano verbali sia situazionali. E infatti, a quasi tutto in siciliano (palermi- in primo piano, contemporanea- ben vedere, spesso non si tratta tano), e con sottotitoli. Miracoli mente; e contemporaneamente solo di nominare, ma anche di rac- dei neo-neorealismi d’oggi! Non ambiscono a una nuova purezza, contare quello che ruota intorno ne sarei così sicuro, però. Sinto- al rango di sublime dal basso cui alla cattiva parola. In effetti, i due maticamente forse, il CD di Mi- dalla rivoluzione romantica in poi livelli andrebbero distinti, anche chael Nyman che mette in musica tutti gli oggetti “altri” tendevano. se (appunto) non sono del tutto gli aretiniani Sonetti lussuriosi non Il cannibale più intelligente, Aldo separati. Nel dominio comico-re- più di dieci anni fa è stato diffuso Nove, lo sapeva benissimo: il suo alistico, e insieme dialettale, agi- con fascetta “parental advisor”: a Woobinda e poi Superwoobinda sce spesso il gusto per il termine segnalarne la presunta pericolo- (1996 e 1998) finivano per declina- bizzarro e sonoramente gustoso, sità. A dispetto di tutto, un cazzo re “liricamente” sia la pornodiva se del caso osceno, praticato per e una figa lasciati a se stessi fanno inconsapevole, Rosalba, che “h[a] ragioni quasi soltanto eufoniche sempre la loro porca figura. sempre un cazzo in bocca”, sia o cacofoniche (ma è la stessa Hamburger Lady, sfigurata dalla cosa...). Tale, per esempio, è l’ar-

10/11 IO HO CARTA BIANCA. E CI SI PULISCA IL CULO!

di FABIO ROSSI

Il cinema italiano, nella sua duplice funzione di specchio della società, da un lato, e di anticipatore dall’altro, ben si presta a esemplificare tutti gli usi del turpiloquio nella nostra lingua.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? Strumenti liberatori, semplici minchione, poppe, “Mannaggia ai intercalari, corpi contundenti, mortacci tui!”, beccaccione, baga- coesivi sociali, marcatori di alte- scia e il semicensurato “Non rom- rità e molto altro ancora sono le pere i co…!”. Più ardito era il pre- parolacce, come del resto funzio- cedente film di De Sica, Sciuscià: nalmente e socialmente variegati “a fijo de na mignotta!”, “a mi- sono gli usi dei linguaggi, verbali gnottoni!”. La rappresentazione e no. Ogni parola, potenzialmen- degli strati più popolari, a partire te, può essere usata come paro- dal Neorealismo e dintorni, non la offensiva, secondo i contesti, può non portare con sé certo timi- come, viceversa, ogni parolaccia do ricorso al turpiloquio, sebbene può essere desemantizzata e ri- meravigli il diretto troia maledetta corretto e il distacco dalla vita, tipico dell’antilingua calviniana, genera- dotta a mero segnale discorsivo: nel melodramma matarazziano no la sacrosanta reazione del precoce Moretti, in Ecce bombo (1978): “Ca- cazzo, minchia, fica non sono che Angelo bianco (1955). Meno inat- care, non cagare, fica non figa. Queste non sono parolacce, è linguaggio gli esempi più frequenti, talmen- tesi, per via del tema postribolare, dei giovani. Noi giovani parliamo così”. Moretti intende restituire digni- te comuni in ogni tipo di parlato sono “Ma vva’ ffanc…”, zoccola, tà e purezza alla parola, spogliandola delle incrostazioni eufemistiche. (non necessariamente collo- “Porco Giuda!”, “’sto cavolo di Le vere parolacce non sono cazzo, fica o cacare, ma trend negativo, cioè quiale) da popolare ogni dialogo sedile”, mignotta, bùggere, fro- le parole che contraffanno la realtà, perché “le parole sono importanti” filmico che si rispetti, italiano o cio, puttane e il raro, per l’epoca, (Palombella rossa, 1989). doppiato, dagli Anni ‘80 in poi. “Ma so una Madonna!”, in Adua Se l’appartenenza etnica, come quella politica, il credo religioso, le di- Addirittura, certe parolacce, usa- e le compagne (1960) di Antonio namiche di genere e l’orientamento sessuale generano tristemente, da te in certi contesti, diventano Pietrangeli. Nello stesso anno, lo sempre, stereotipi altamente offensivi, il moto detabuizzante e contro indiscutibili complimenti nel scandaloso e censuratissimo La l’ipocrisia sociale degli ultimi anni si riflette in numerosi film, a partire gruppo dei pari: fijo de na mignot- dolce vita esibisce frocio, puttana, dalla riappropriazione orgogliosa (ma solo se usata all’interno del grup- ta tra amici maschi romani vale stronzo e mignottona. po dei pari) di nigger, rigergalizzato in nigga, o di queer. Su quest’ultimo, senz’altro “uomo in gamba e de- Fa quasi da apripista del periodo la realizzazione filmica italiana più felice è la memorabile battuta di En- gno di stima, che non si lascia ab- di maggiore tolleranza lessicale, nio Fantastichini in Saturno contro di Ferzan Özpetek, 2007: “Gay io? No, bindolare da nessuno”. Non sono inaspettatamente, Luchino Vi- io sono frocio!”. Più di recente, l’eccellente Bangla (2019, di e con Phaim le parole in sé, ad esser offensive, sconti, con Gruppo di famiglia in Bhuiyan) si riappropria (sempre all’interno del gruppo dei pari) di ban- bensì l’intenzione di offendere, un interno (1974), in cui il turpilo- gla “proveniente o originario del Bangladesh” e di negro: “noi ci chiamia- come sanno bene i linguisti (ma quio, nelle nobili bocche di Hel- mo così. Lo fanno i froci, non lo possiamo fare noi?”. anche i giuristi) che si occupano mut Berger e , è Ben minore tolleranza si ha per la bestemmia, in cinema e in tv. Benché di pragmatica, vale a dire la bran- necessaria metafora del degrado dal 1999 non costituisca più, in Italia, reato penale, l’impatto sociale del- ca che studia il rapporto, sempre valoriale e sociale: “brutta stron- la bestemmia resta fortissimo, scatenando, spesso, l’allontanamento dinamico e rinegoziabile, tra la za, spiegami un po’ cos’è questa del personaggio televisivo macchiatosi del(l’ex) reato. Nei film fa scal- lingua e i suoi utenti. Il cinema ita- vaccata e cerca di non raccontare pore ogni volta, da Amore tossico (1984, di Claudio Caligari), a L’ora di re- liano, nella sua duplice funzione fregnacce se non vuoi farmi incaz- ligione (2002, di Marco Bellocchio), a Anche libero va bene (2006, di Kim di specchio (talora deformante) zare sul serio […]. L’appartamen- Rossi Stuart). della società, da un lato, e di anti- to dei miei coglioni, dolcezza, Più tardivo, ma poi d’ascesa non meno deflagrante, è l’ingresso del turpi- cipatore dall’altro, o meglio con- l’appartamento, battona. [...] Ma loquio nel doppiaggio italiano, con atto di nascita nel 1971, in Conoscenza densatore creativo di spunti pre- come ti permetti, piccolo imbe- carnale, di Mike Nichols. Spiazza tuttora, però, la schizofrenia, tipica del cocemente intercettati, poi subito cille, rottinculo che non sei altro, doppiaggese italiano, di disseminare gergalismi e parolacce le più fanta- criticamente elaborati e reimmes- di parlarmi in questo modo!”. siose (riascolate il doppiaggio di Clerks - Commessi, 1994 di Kevin Smith, si infine in circolo (anche a mo’ di Di lì a poco, senza più tante raf- per credere, o qualunque film di Spike Lee doppiato), pronunciate con mode o tormentoni linguistici), finate ambizioni socio-psicolo- un’inappuntabile ortoepia cruscante, del tutto inadatta all’ambientazio- ben si presta a esemplificare tutti giche, metaforiche o metalingui- ne sociale di quei film. Fottiti e fottuto sono da anni una vera e propria gli usi del turpiloquio, reale o sup- stiche, il turpiloquio filmico avrà (ridicola) marca doppiaggese, con tanto di prese in giro televisive, al- posto, nella lingua italiana. essenzialmente due funzioni, fino meno a partire dai sublimi Chiquito e Paquito (ovvero i comici Adolfo Prima dell’allentamento dei freni ad oggi: far ridere e compiacere Margiotta e Massimo Olcese). della censura, cioè a partire dagli le attese erotiche e coprolaliche Oggi, come si diceva, la parolaccia sembra un ingrediente imprescindi- Anni ‘70, il turpiloquio si incontra dei maschi italici, a mo’ di col- bile del cinema italiano, soprattutto quello comico (a partire dai casi in- di rado al cinema, soprattutto se lante socio-identitario gergale. superati di Amici miei e Febbre da cavallo) o d’ambientazione malavitosa, messo a confronto con la lettera- Con qualche significativa ecce- grazie al cielo perlopiù in dialetto: ciò sia ascritto a onore della maggiore tura, ben più libera perché meno zione di approfondimento cri- vocazione realistica del nostro cinema in presa diretta, rispetto a quello di massa e quindi meno vincolata tico. Tra queste ultime spicca lo doppiato. Dal 1981 la parolaccia la spunta talmente sulla censura da figu- alla facile ricezione e agli incassi. sproloquio joyciano di Benigni, rare addirittura in un titolo, sebbene sotto forma di espressione idioma- Non mancano peraltro i casi si- nel freudiano Berlinguer ti voglio tica: Culo e camicia, di Pasquale Festa Campanile. Certo, però, a proposi- gnificativi. Ben più censurato La- bene, 1977, di Giuseppe Bertolucci: to di culo, è impossibile trovare oggi, se la memoria non m’inganna, un dri di biciclette (con gli innocenti “La… la merda de la maiala de… de capolavoro degno della miglior parolaccia del cinema di sempre, ovvero coglionare, cornuto, fregnaccia e gli stronzoli ne’ cculo, de le poppe la risposta liberatoria, e l’unica veramente possibile, alla supponenza be- fregnone) rispetto all’omonimo pien di piscio” ecc. ecc. cera di chi dice “io ho carta bianca”, cui Totò rispondeva: “E ci si pulisca romanzo, nel quale compaiono: I tabù sociali del politicamente il culo!” (I due colonnelli, 1962, di Steno).

12/13 VAFFA D’AUTORE… di FRANCO MONTINI

La parolaccia fa ridere? Perché i genitali sono diventati insulti? C’è differenza tra usare queste parole sul grande schermo e nella vita? La parola a Nicola Ferrigni (sociologo), Enrico Menduni (massmediologo), Paolo D’Achille (linguista), Ignazio Senatore (psichiatra).

NICOLA FERRIGNI (sociologo)

“Non mi pare che il cinema uti- Insomma, quasi più della pa- ne, o che palle! per esprimere un lizzi la parolaccia in maniera rolaccia, conta il contesto in sentimento di noia non suscita- esagerata ed esasperata. Ov- cui è utilizzata. no alcuna rimostranza. viamente anche nei film se ne È esattamente così. La paro- ascoltano - osserva il professo- laccia in bocca a persone reali A proposto di palle, perché re associato della Link Campus o personaggi del cinema che si molte parolacce hanno lega- University - ma con una fre- esprimono per abitudine utiliz- mi e parentele con gli organi quenza non diversa, ovvero né zando certe parole non si nota. riproduttivi? maggiore, né minore, da quanto Le stesse parole espresse in un Spesso la parolaccia ha che fare avviene nella realtà. La presenza contesto raffinato o pronuncia- con il tabù del sesso, che, in della parolaccia in certi film, mi te da aristocratici signori ed ele- particolare nella cultura e nei riferisco ai B-movie e in parti- ganti signore assumono un’altra costumi italiani, assume sem- colare al , è qua- connotazione. pre una connotazione di brutto, si inevitabile, ma non produce di sporco, di proibito. Gran par- sorpresa e tanto meno scanda- In ogni caso certe parole, an- te delle barzellette che circola- lo proprio perché te l’aspetti. che quelle ritenute più volga- no abitualmente fanno riferi- Come sociologo mi ha invece ri, più si ascoltano, più perdo- mento esplicito o implicito alla colpito l’uso della parolaccia e no la loro carica eversiva. sessualità. Il sesso da noi è visto più in generale di un linguaggio Anche la parolaccia è legata al ancora come qualcosa di cui scorretto e volgare nel mondo comune senso del pudore, che vergognarsi, di cui non si può ideale e perbenista dei supere- è un sentimento in continua parlare apertamente e, proprio roi. Se al cinema si è imposto un trasformazione. Con il tempo questi condizionamenti, que- personaggio come Deedpool, alcune espressioni che erano ste proibizioni, sollecitano da incarnazione di un eroe sbruffo- giudicate volgari sono entrate a una parte la curiosità e dall’altra ne, scorretto, maleducato, che si far parte di un linguaggio comu- la voglia di reagire ad una sorta esprime abitualmente con il tur- nemente utilizzato. L’espressio- di censura. In questo senso la piloquio, il fenomeno colpisce e ne che casino! per alludere ad una parolaccia può assumere perfi- fa riflettere”. situazione di chiasso e confusio- no un senso liberatorio.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? ENRICO MEDUNI (massmediologo)

“L’uso della parolaccia nel cinema si concretizza attraverso tre diver- si registri. L’uso comico, dove la parolaccia, spesso affidata alla spal- la piuttosto che al protagonista, è per così dire al fine di provocare una risata. L’uso verista, dove l’espressione volgare è se- gno di ignoranza, simbolo di una condizione popolare, come acca- de, ad esempio, in certi film di Pasolini. Infine, c’è l’uso drammatico, dove la parolaccia viene usata soprattutto dalle gang criminali e dalla mafia, quasi a sottolinearne la caratterizzazione trasgressiva rispetto alle regole del perbenismo e del quieto vivere”.

Quali di questi tre registri è oggi utilizzato maggiormente dal cinema? Prevale l’uso drammatico; sia nel cinema americano, per la buona salute di cui godono generi quali il , il poliziesco, il noir; sia in Italia, per lo sviluppo di serie come Gomorra e Suburra, prodotti ca- ratterizzati da uno stile iperrealistico, molto caricato, nei confronti del quale anche il linguaggio è obbligato ad adeguarsi.

Invece la parolaccia fa sempre meno ridere. Al cinema se ne ascoltano sempre moltissime, talmente tante che non ci si fa più caso. Paradossalmente colpiscono di più film dove la parolaccia non c’è. Per farla notare bisogna ricorrere a certi stra- tagemmi, a certe ipocrisie. Penso ai duetti televisivi fra Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, dove lei pronuncia certe parole cariche di allu- sioni e doppi sensi e Fazio finge di scandalizzarsi. Ma è un giochino ormai troppo stantio, frutto di sceneggiatori con poche idee. Ricor- do l’impressione che fece la prima volta che alla radio si udì la parola cazzo pronunciata provocatoriamente da Cesare Zavattini, ma erano altri tempi.

Esiste una differenza fra l’ascolto di una parolaccia al cinema e nella vita reale? Certamente: il cinema è una rappresentazione, uno spettacolo nel quale, per quanto sia possibile immedesimarsi, resta qualcosa di costruito. Sentire una pallottola che sibila su uno schermo è ben diverso di sentirla fischiare davvero alle nostre orecchie. Assistere ad un litigio e ad uno scambio di insulti per strada non può non su- scitare qualche apprensione. Nella vita reale la parolaccia è un’ar- ma che possiamo utilizzare per colpire qualcuno o dalla quale, a volte, siamo colpiti. In entrambi i casi, resta qualcosa che può fare molto male. La stessa parola al cinema ci lascia, il più delle volte, del tutto indifferenti.

14/15 PAOLO D’ACHILLE (linguista)

“Rispetto al passato, oggi l’uso La parolaccia è usata soprat- lizzate anche dal personale ec- In certi casi l’uso della paro- della parolaccia al cinema fa tutto nei dialetti. clesiastico. Esiste una tradizione laccia diventa inevitabile: sa- molto meno notizia e impressio- Nella comunicazione verbale, di scurrilità comiche che risalgo- rebbe impossibile doppiare in ne perché, nel corso degli anni, la parolaccia rappresenta un no al 1200; si potrebbero citare un corretto italiano certi film molte espressioni sono state per elemento di vivacità e dove il le opere dell’Aretino o i sonetti americani recitati in slang. così dire sdoganate”. linguaggio è più spontaneo e co- del Belli, spesso giocate con rime Sentire le gang delle perife- lorito, come appunto accade con alternative fra organi genitali ma- rie metropolitane esprimersi Il cinema è stato il motore i dialetti, l’uso della parolaccia è schili e femminili. in maniera elegante farebbe di questo sdoganamento o più frequente. Per altro ci sono senz’altro ridere. Certe espres- semplicemente si è limitato a dialetti dove la parolaccia as- A proposito, perché gli or- sioni si possono tradurre prenderne atto? sume anche significati altri: nel gani sessuali alludono così esclusivamente ricorrendo alla Sono accadute entrambe le romanesco diventa spesso una frequentemente a significa- parolaccia. Nel tempo, nei con- cose - risponde lo storico della forma di confidenza, quasi un ti denigratori. fronti del linguaggio, la censura lingua italiana, docente presso valore. Nel dialetto toscano può In realtà non sempre, anzi in si è molto allentata, anche se l’Università Roma Tre - in alcuni assumere significati fantasiosi. alcuni casi il significato può oggi, in nome del politicamen- casi, usando certe espressioni, il anche essere positivo. A volte te corretto, in particolare nei cinema le ha rese popolari e per In ogni caso l’uso della paro- dipende dall’uso del singola- confronti di vocaboli ed espres- certi versi innocue, in altri casi ha laccia può essere utilizzato re o del plurale dello stesso sioni che hanno per oggetto le preso ispirazione dalla realtà e ha anche in maniera artistica. vocabolo. Sei un coglione è un donne, o più in generale la di- trasferito sullo schermo linguag- Non c’è dubbio; fin nei più an- insulto, ma dire di una persona versità, c’è il rischio che le ma- gi, espressioni, vocaboli già di uso tichi testi della lingua italiana che ha i coglioni esprime un ap- glie tornino a rinserrarsi. comune nella vita di tutti i giorni. appaiono parolacce, a volte uti- prezzamento.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? IGNAZIO SENATORE (psichiatra)

“Il cinema - spiega Ignazio Senatore nella doppia veste di psichiatra e critico cinema- tografico - ha mostrato più volte che la parolaccia sul grande schermo non si esprime solo verbalmente, ma anche attraverso i gesti. Penso alla celeberrima scena de I vitel- loni nella quale Alberto Sordi mostra ad un gruppo di operai il braccio ad ombrello o il gesto delle corna in Febbre da cavallo. Come sosteneva Freud, la parolaccia è un motto di spirito, che rimanda al proibito e che può essere intrepretata, a seconda dei casi, come una regressione infantile o una liberazione”.

In alcuni casi è anche un sintomo di malattia, penso al film The square di Ruben Ostlund e alla scena in cui un uomo si abbandona al turpiloquio durante una elegante cena di gruppo. Il personaggio in questione è in effetti vittima della sindrome di Tourette, una malat- tia neurologica che, per cause ancore misteriose, provoca, fra l’altro, una disinibizione verbale che spinge al turpiloquio, come accade appunto nel film citato.

Al cinema, come in altri ambiti, la parolaccia può essere usata in vari modi, con va- lenze diverse che le conferiscono un peso più o meno grave. La parolaccia può assumere la valenza di un insulto, di un’imprecazione, di una male- dizione. L’espressione sei uno stronzo è un dichiarato atto di ostilità, che difficilmente può passare inosservato. L’espressione e che cazzo! è una semplice interlocuzione che non comporta conseguenze. A te e li mortacci tua suona come una sorta di abbandono al destino. Come si capisce, a seconda del contesto, le differenze sono notevoli.

Intanto le parolacce sono sempre più usate anche in altri settori: dalla musica alla politica. Canzoni come Bella stronza di Masini o Mi sono rotto il cazzo di Anastasio sarebbero sta- te semplicemente inimmaginabili solo qualche anno fa. Se oggi non suscitano meravi- glia è perché evidentemente si è registrato un enorme cambiamento nella sensibilità sociale. Anche i vaffa di grillina memoria hanno assunto una connotazione diversa da quella originale.

Insomma, la parolaccia sembra perdere progressivamente le proprie potenzia- lità eversive. Al cinema viene usata prevalentemente nel tentativo di far scattare una risata. Nei film comici è una facile scorciatoia a cui si ricorre nei momenti di difficoltà. Spesso e volen- tieri viene usata senza alcun reale rapporto con la realtà. I tifosi che nel film L’arbitro apostrofano Lando Buzzanca con sei un cornuto non possiedono alcuna convinzione, né tanto meno certezze che la moglie lo tradisca. Ma quella parolaccia, cornuto, usata in funzione di insulto, vuole solo esprimere e riassumere ironicamente il disappunto per le decisioni prese dall’arbitro.

16/17 E MAGNATELA ‘N’ EMOZIONE!

Tre sceneggiatori e quattro attori raccontano il proprio rapporto con la parolaccia. Perché la si scrive? Perché si decide di farla recitare? Come la si interpreta? Si pensa al pubblico quando si sceneggia o si recita una “brutta parola”? Le testimonianze di Francesco Bruni, Massimiliano Bruno, Enrico Vanzina, Valentina Carnelutti, Giancarlo Giannini, Alessandro Haber, Antonia Truppo.

1. ‘Effetto parolaccia’ nel cinema: punto di vista da addetto ai lavori e da spettatore. 2. Nella vita privata le appartengono? 3. Le condivide nel lavoro dei colleghi? 4. Film in cui una parolaccia ha fatto la differenza?

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? È TUTTA QUESTIONE DI MISURA di MARGHERITA BORDINO

FRANCESCO BRUNI re un certo tipo di personaggi, ma impone sul set in maniera autori- far risuonare una lingua più bella. anche all’interno di un film dram- taria e violenta. 4. Una scena che mi ricordo 1. Mi fa ridere la maggior parte matico. Nel mio ultimo film, Tutto 3. Quando sento che qualcuno molto bene è in Mery per sempre, delle volte e qualche volta mi può quello che vuoi, c’era già un copio- non si è appoggiato a tre o quattro quella in cui Michele Placido, disturbare, se c’è eccessivo com- ne in cui c’erano delle espressio- stilemi linguistici specialmente siccome i suoi studenti sono dei piacimento. È una questione un ni volgari, soprattutto la parola romaneschi questa cosa mi col- ragazzi carcerati, dicono sempre po’ delicata, lo dico soprattutto da ‘cazzo’. I ragazzi recitando ne ag- pisce positivamente. Nel cinema “minchia”, e lui a un certo punto scrittore. Se uno vuole restituire giungevano. Quando ho visto il degli Anni ’70 la parolaccia aveva tira fuori un sonetto di Giuseppe una visione reale di certi ambienti, montato mi sono reso conto che un effetto catartico, liberatorio, Gioachino Belli dal titolo Er pa- faccio l’esempio mio con i ragazzi in scene abbastanza crude ricor- contro l’Italia perbenista e un po’ dre de li santi in cui è elencata una romani di oggi, questo strumento reva ben 11 volte e ha dato fastidio bacchettona illuminata dalla De- serie di maniere in cui si può dire è assolutamente necessario per- anche a me. Ho lavorato di mon- mocrazia Cristiana, aveva il suo e intendere la parola ‘cazzo’. Una ché è il loro modo di parlare. Se taggio e ne ho eliminate la metà. effetto ‘rivoluzionario’. Adesso lista bellissima che ti dà l’idea che si ascolta una persona per strada Temevo che potesse dare fastidio purtroppo è entrata così tanto nel anche in un turpiloquio ci può es- che parla, magari alterata (ma non anche al pubblico. Non è censura, parlare comune che mi viene vo- sere un’inventiva poetica. Questa è detto), la parolaccia è frequen- è tutta questione di misura! glia di citarla, non a caso in Scialla cosa diventa poesia in quanto in- tissima. Al cinema questa cosa ha 2. Mai, assolutamente. Detesto si- e in Tutto quello che vuoi ho messo ventiva verbale. un effetto potenziale sia nel senso tuazioni di tensione, non mi piace a contraltare dei personaggi che comico sia nel senso osceno. È avere quel tipo di tono in una di- parlano in questa maniera altri a volte un linguaggio necessario scussione. Non mi piace per nulla che usano un linguaggio molto nella commedia per rappresenta- neanche la figura del regista che si colto. C’era anche un desiderio di

18/19 non danno fastidio, devo dire la verità! 3. Dietro la parolaccia c’è, in un certo qual senso, un mondo e per noi che siamo nati a Roma ha un significato particolare perché certe volte inventiamo dei veri e propri tormentoni. Quando facevo Boris (la serie televisiva) avevo dei tormentoni dietro un personaggio, che da scrittura era invece un perso- naggio geniale, scritto da Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo. Hanno scrit- to ‘sto Martellone che era un personaggio summa di quello che ci fa schifo da vedere al ci- nema o in televisione. Il classico cabarettista che usa la parolac- cia, ha una concezione malsana di questo mestiere e lì era neces- saria perché faceva parte dell’es- sere becero, della critica sociale che c’era nella scrittura di quella serie. Mi piace meno quando è gratuita, lì non mi fa più ridere e a volte può diventare anche fastidiosa. 4. Penso a Totò che si rivolge all’ufficiale tedesco e tu spetta- tore in quel momento stai con Totò che dice no al nazista. Tifi per lui e ti attacchi a una paro- laccia che non ti fa tanto ridere, è lo squillo di rivolta di un per- sonaggio che sostieni. Ci sono MASSIMILIANO anche alcuni film di Verdone o BRUNO Il marchese del Grillo con Alber- to Sordi, dove faceva obiettiva- 1. Personalmente mi fanno ri- mente molto ridere lui che dice- dere. Alle volte sono anche va le parolacce. C’è un termine molto amare. Altre volte se usato molto da Fantozzi che una battuta la immagini sen- è ‘merdaccia, che è diventato za parolaccia non fa ridere. E parte del linguaggio xnormale, poi ci sono alcuni film in cui le si capisce cosa vuol dire, una parolacce sono usate in tono persona che non ha il coraggio drammatico. Ricordo una sce- di affrontare il fatto che lo stan- na meravigliosa di Magnolia in no schiacciando sotto ai pie- cui vuole farsi di, è uno che non ha le palle in dare dei medicinali dal farma- qualche modo. Quel termine è cista, che è restio: c’è un diver- uscito fuori da un film: ‘lei è una bio e lei dice molte parolacce merdaccia’. Oltre la parolaccia e lì ne cogli la disperazione, lei ci sono anche dei gesti che dal in quel momento sta male. In cinema poi sono entrati nel par- quel caso le parolacce mi hanno lare comune. Penso ad Alberto fatto commuovere. Sordi che fa la pernacchia e poi 2. Non le trovo necessarie. A vol- gli si ferma la macchina. te sono liberatorie e altre volte sono usate inconsapevolmente come brutto modo dire. A me

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? ENRICO VANZINA

1. La parolaccia è un modo di dire della lingua parlata e anche scritta, come tutte le parole, chi le scrive, chi le recita, chi le ascolta, le deve contestualizzare. Ci sono delle parolacce che in alcuni momenti rappresentano esattamente un pensiero o un modo di esprimersi, uno slang, e se vengono utilizzate nel punto e nel momen- to giusto sono perfette. Se pensiamo che la parolaccia più famosa la pronunciano Gassman e Sordi nel finale de La grande guerra, quindi in un film drammatico, capiamo che entra a piedi pari, e in maniera perfetta, anche nel dramma, oltre che nella commedia. Ogni tanto alcune di queste parolacce possono anche far ridere per- ché fanno ridere nella vita normale. 2. Non in modo specifico, può succedere. Delle volte una parolaccia può scappare anche come abbreviazione di una parola corrente. La gratuità talvolta è quella che rende la parolaccia antipatica. 3. Ci sono dei pessimi scrittori di scene, dei pessimi narratori. Se una parolaccia apparentemente innocua viene usata in un certo tipo di dialogo stride, non rappresenta nulla perché fuori contesto: perché intellettua- lizzata nella bocca di qualcuno che invece parla in un altro modo? Queste parole mi danno fastidio. 4. Io ho fatto un film in cui c’erano diverse parolacce, uno dei primi che ho scritto con mio padre, Febbre da cavallo. E ogni parolaccia non suonava mai come tale. Ci sono dei film dove tu capisci che l’autore sfrutta la parolaccia per avere consenso ma quando ciò accade per me è davvero pietoso. Se noi prendiamo la maschera che dice più parolacce di tutti, che è Er Monnezza, ebbene questo personaggio non è quasi mai volgare perché sta in un contesto assolutamente perfetto. Lo stesso Bombolo, il suo socio e scudiero, dice delle parolacce che sono talmente popolarmente e vernacolarmente azzeccate che non stonano mai. A seconda del dialetto le parolacce cambiano moltissimo, ad esempio in toscano la parolaccia diventa un po’ più fastidiosa perché al limite della bestemmia, lì dà fastidio. Il ‘vaffa’ detto da un napoletano o da un romano è quasi una paro- la innocua. Nella maggior parte dei film americani di azione, , gangster è un continuo intercalare di ‘fuck’. Mentre, all’estero la parolaccia è cruda, dura, in italiano ha una dimensione più umana. E c’è una grande differenza di resa: il doppiatore è chiamato a dire una parolaccia, invece, in un film in lingua originale, quella parolaccia fa parte del personaggio e dunque è più naturale, spontanea, e per questo può fare ridere.

20/21 LA VOLGARITÀ HA SEMPRE PAGATO di PEDRO ARMOCIDA

VALENTINA CARNELUTTI

1. La volgarità non mi piace, ma le parolacce sono come uno che cade: fanno ridere. L’ ‘effet- to parolaccia’ è quello che per me non funziona. Delegare alla parola scurrile il compito di su- scitare una reazione, di sortire appunto un effetto, è una stra- tegia misera, i cui limiti sono subito evidenti. 2. Eh sì, cazzo! 3. Ci vuole misura, in tutte le cose. E soprattutto ci vogliono contenuti, le parolacce da so- le non bastano. L’esagerazio- ne non è nel loro uso ripetu- to ma nell’abuso, nel loro fare le veci di qualcosa che manca. La ripetizione in sé spesso è fo- riera di comicità, ma è proprio necessario ripetere le parolac- ce? Non è forse più interessan- te, curioso, stimolante cercare altre parole? Trasformare voca- boli e locuzioni in quello che per pigrizia si chiede alle parolac- ce? (Ma poi, chi ha inventato la parola ‘parolaccia?’) 4. ‘La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!’

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? GIANCARLO GIANNINI

1. La volgarità ha sempre funzionato, dipende poi il tipo di misura in cui si accetta. Basta pensare a Travolti da un insolito destino nell’azzur- ro mare d’agosto di Lina Wertmüller dove, senza le parolacce, il film avrebbe avuto un altro senso. Proprio da Lina viene questa frase: ‘La volgarità ha sempre pagato’. 2. Certo ne faccio un uso largo e inventivo. 3. È il senso della vita, dell’etica e della misura, quanto pesa una cosa e quanto pesa l’altra. Lina stessa ha fatto cose considerate spesso vol- gari ma c’è modo e modo di raccontarle, come fare il film porno o il film erotico, c’è una bella differenza. Lì sta proprio il limite, difficile da capire, di quando un film è bello, un capolavoro, o è carino. Quando è carino è una stronzata, un capolavoro è impossibile da fare, speriamo di fare un film bello che è già qualcosa. 4. Mi viene subito in mente Il bestione di Sergio Corbucci quando canto per strada: ‘Strangers in the night ma vaffangulo, Strangers in the ni- ght, signorina io italianski, sicilianski, volere venire a danzare con me? E ora sono rimasto solo in questa Varsavia, triste, sconsolata, fredda e di merda! Strangers in the night, rivaffangulo Strangers in the night…’.

ALESSANDRO HABER ANTONIA TRUPPO

1. Se nel discorso il gioco funziona, e non è disturbante perché fa parte 1. La parolaccia spesso fa ridere! Diciamo la verità: quando ci vuole di quel momento, di quella situazione, di quel sentimento, ben venga una parolaccia, solo una parolaccia può esprimere il senso di una pa- la parolaccia. Altrimenti quando è voluta diventa finta, non serve, ed rolaccia! Breve e coincisa o molto estesa e ben argomentata, il segreto è come quando devi fare una scena di sesso: certe volte sono più ecci- della ‘parolaccia comica’ sta nel tono con cui la si pronuncia. tanti due mani che si toccano, che si sfiorano… 2. Personalmente mi piacerebbe vivere senza ma purtroppo, ammet- 2. La parolaccia è un sentimento, può essere anche un’incavolatura, to, ne faccio ancora un uso piuttosto smodato. un’esclamazione di felicità: ‘Cazzo, che meraviglia!’, cioè capito? ‘Por- 3. Non lavorando in banca e non ricoprendo ruoli di grande responsa- ca puttana, sì l’ho vinto’, oppure: ‘Ma vaffanculo, merda, sei uno stron- bilità verso il prossimo, tra attori e registi, nessuno ‘va a sciacquarsi la zo’. Cioè arricchisce un gergo, un modo di parlare, una musicalità. lingua in Arno’ prima di arrivare sul set! La parolaccia appartiene, per 3. Sì, certo, ma se non è voluta e se non è fine a se stessa. E comun- lo più, al mondo dialettale, si sa. Voglio dire che è strano immaginare que dipende da chi la dice perché ci sono persone che le dicono e non una parolaccia ben scandita, senza cadenza e in dizione perfetta! Che sono volgari. Io ad esempio non credo di essere volgare perché se dico senso avrebbe? Eppure, ahimé, ho sentito con le mie orecchie atto- una parolaccia ho un’ironia sotto. ri, ma specialmente attrici, ‘perdere le staffe coloritamente’, diciamo 4. Amici miei nella scena di Adelina, quando mi fanno uno scherzo così, in scena o nella vita, in dizione perfetta e con voce diaframma- e mi fanno credere che lei mi abbia tradito. Ecco lì le dico di tutto, e tica. Dico francamente che, nell’udir cotante parole, ho sempre pen- sulla tomba… sato: ’U Maronna! E magnatella n’ emozione!’. Che tradotto significa: ‘Oh mamma! Lasciati andare!’. Perché il pensiero colorito e sponta- neo è per forza dialettale. E pure per questo è comico. 4. Purtroppo, non ricordo di preciso l’espressione in lingua originale ma quando John Travolta, in Pulp Fiction dice: ‘Non è neppure lo stes- so fottuto campo da gioco!’. Cosa possiamo dire? Togliendo quel ‘fot- tuto’ il senso non cambierebbe?

22/23 BASTARDI, PIRLA E IDIOTI di V.T.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? Cercando su IMDB si contano 36 titoli a tinte forti nel cinema italiano. Tra questi non solo B-movie ma anche film d’autore.

L’ultimo film non ha scandalizzato 1982). Dunque, non tutte pellicole come John il bastardo (Armando nessuno. Anzi, è stato un successo: di quarta categoria. E alcune han- Crispino, 1967), Una forca per un I bastardi di Pizzofalcone, una serie no sbancato il botteghino: “I soliti bastardo (Amasi Damiani, 1968) tv. Segno che ai titoli scurrili siamo idioti” (2011) e il suo sequel hanno Django il bastardo (Sergio Garro- ormai abituati. Del resto, il feno- incassato quasi 20 milioni di euro. ne, 1969) e Sono Sartana, il vostro meno non è recente: il primo titolo Quali parolacce sono state usate in becchino (Giuliano Carnimeo, volgare - Il bastardo, regia di Emi- questi 36 titoli? C’è una discreta va- 1969) esprimono le passionali con- lio Graziani-Walter - risale all’e- rietà lessicale: i lemmi volgari sono trapposizioni fra buoni e cattivi. poca del cinema muto, il 1915. È 18, con una preferenza per “bastar- Se i titoli triviali negli Anni ‘60 furo- un drammone tratto dal romanzo do” (9 titoli) e “sbirro” (6), che da no sei (c’è anche I bastardi di Duc- Antony di Alexandre Dumas padre. soli assorbono il 41,6% dei film. cio Tessari, 1968), il vero boom, più Ed è passato alla Storia non per il Seguono idiota, figo, fottere, cornuto che negli Anni ‘70 (7 casi) si è re- titolo, osé per l’epoca, ma perché e casino (2). Tutte le altre (becchino, gistrato negli Anni ‘80, con 9 titoli. era interpretato dal celebre tenore cazzo, cretino, culo, deficiente, merda, E, anche in questo caso, per motivi Piero Schiavazzi. mortacci, porco, puttana, scemo e artistici: il successo della Comme- Ma quante sono state, nella Storia stronzo) appaiono una sola volta. dia all’italiana scanzonata e gode- del cinema italiano, le pellicole Al netto di termini gergali di in- reccia, espressa in un linguaggio con titoli scurrili? Sono un esca- tensità media, registi e produttori popolare. Da Il casinista (Pier motage per attirare l’attenzione hanno puntato su parole a tinte Francesco Pingitore, 1980) a Culo e degli spettatori, o uno strumento forti. Oltre a bastardo, c’è puttana camicia (Pasquale Festa Campani- espressivo al servizio della narra- (Puttana galera! di Gianfranco le, 1981), da I fichissimi (Carlo Van- zione? Sono solo B-movie o anche Piccioli, 1976), stronzo (Stronzi, zina, 1981, altro campione d’incassi film di qualità? 2014, Mario Palladino), fottere (ol- con 9 miliardi di lire) a Mortacci Ho fatto una ricerca su Imdb.com, tre al film di Monicelli c’è Addio (Sergio Citti, 1989). il più completo database cinema- fottuti musi verdi di Francesco Ca- Dopo questa indigestione, il fe- tografico. Ho escluso il cinema paldo, 2017), cazzo (La solita caz- nomeno è calato negli Anni ‘90 porno, che per natura non ha tabù zata, Ettore d’Alessandro, 2000), (2 titoli), ed è ripreso di recente: 5 linguistici, e 4 titoli italiani pro- culo, merda. Sarebbe interessante titoli negli anni 2000, 6 dal 2010 a dotti all’estero: Vaffanculo (Por- approfondire come questi termini oggi. Il picco del linguaggio spin- togallo, 2012), Ciao pirla! (Spa- siano riusciti a superare il vaglio to, insomma, non è di oggi ma ri- gna, 2013), Che cazzo fai (USA, censorio delle Commissioni di sale a 30 anni fa. 2013), e House of Stronzo (USA, revisione cinematografica: ancora È anche per questo che le volgarità 2018). Segno, comunque, che il nel 1982 la pellicola W la foca (Nan- sono più frequenti nelle comme- nostro turpiloquio ha varcato i do Cicero) fu sequestrata per un die (52,8%): servono per far ride- confini. titolo solo allusivo. re. Nell’altra metà dei casi, invece, Il risultato? I titoli a tinte forti sono I titoli senza filtro sono iniziati ne- portano un crudo realismo nei film stati 36 nell’ultimo secolo. Sono gli Anni ‘60, quando i movimenti d’azione o criminali (25%), nei we- un’eccezione e non la regola. Ma è giovanili ruppero il formalismo stern (11,1%), nei film drammatici una lista significativa. Tra loro c’è del linguaggio, adottando il tur- (8,3%) o nei documentari (2,8%: un film selezionato per il Festival piloquio come strumento di con- Sono un soldato di merda, Massimo di Cannes del 1985, “Scemo di guer- testazione, democrazia e schiet- Coppola, 2004). ra” di Dino Risi. “Cari, fottutissimi tezza. Anche in ambito erotico. Il Un’ultima osservazione. Ai 36 titoli amici” di Mario Monicelli (1994), pioniere fu Antonio Pietrangeli, italiani se ne aggiungono altri 60 di che ricevette una menzione spe- che nel 1964 diresse Il magnifi- film esteri (i dettagli su parolacce. ciale al Festival di Berlino. E “Porca co cornuto, commedia sul tarlo org). E non perché inglesi o france- vacca” (1982) fu diretto da Pasqua- della gelosia con Ugo Tognazzi e si siano più triviali di noi: in molti le Festa Campanile, già premiato a . casi, invece, sono stati i nostri di- Cannes. Senza dimenticare Steno Ma c’è anche una ragione artistica stributori ad aggiungere pepe a ti- (“Piedone lo sbirro”, 1973) e Lu- dietro i titoli impudichi: il succes- toli originali innocenti. Cosa non si ciano Salce (“Vieni avanti, cretino”, so dello spaghetti-western. Titoli fa per attirare gli spettatori.

24/25 FUCK, FUCK, FUCK!

di ANDREA GUGLIELMINO

Da “fottuto” a “Cristo”, tutti i luoghi comuni e le stranezze del doppiaggese.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? In Baciami ancora, il film girato da Gabriele Muccino dopo l’espe- rienza americana, Vittoria Puccini e Stefano Accorsi litigano dicendo “Fottiti!” e “Fottiti tu!”. Diciamo che l’esperienza americana si sente. Perché in realtà, in Italia, nessuno litiga dicendo “Fottiti!”, preferendo il più familiare e semplicissimo “Vaffanculo”. Eppure, il “doppiaggese” qui prevale, con un grande classico, messo in luce non solo da eminen- ti studiosi ma anche dalla satira, si veda l’esempio dei comici Massimo Olcese e Adolfo Margiotta (Chiquito y Paquito), con il loro scambio di battute che mette in luce i luoghi comuni relativi all’adattamento: “Dici a me, amico?”, “Sì, dico a te! Fottiti!”. Rispetto ai film italiani, quelli doppiati, e specie quelli americani, con- tengono molte parolacce, quindi nasce l’esigenza di “variare”. Secondo uno studio della Treccani del 2016, le forme più frequenti sono caz- zo, merda, stronzo, vaffanculo, culo e puttana. Le uniche parolacce più frequenti nei film italiani sono casino e il dialettale minchia (che ovvia- mente, come sinonimo regionale, non ha corrispettivi nei film america- ni o stranieri). Cazzo è molto spesso usato come rafforzativo (es. “Quel cazzo di poliziotto”). Il doppiaggese inoltre si rivolge spesso alla sfera del sacro, con largo utilizzo di Dio, Oddio, Diavolo ma soprattutto Cristo. Qui diventa tutto particolarmente complicato, perché le lingue anglo- buco di culo! Fottiti! Gesù! Esci da quella fottuta macchina!), viene resa fone non hanno il concetto di bestemmia. Certamente vengono richia- come “Vaffanculo stronzo! Scendi dalla macchina! Scendi dalla macchina, mate spesso le figure religiose invano, ma senza offenderle. In Italia, la stronzo!”. Oppure: “I’m fucked! I’m fucked! I’m fucked! I’m fucked!” (Sono bestemmia sarebbe il modo più “naturale” per tradurre questo genere fottuto! Sono fottuto! Sono fottuto! Sono fottuto!) che diventa, nel di espressioni, ma è vietatissimo usarla. Il risultato è che ci ritroviamo doppiaggio: “È la fine! È la fine! È la fine! È la fine!”. Non si tratta solo spesso con tanti “Cristi” sullo schermo che nella vita reale nessuno use- di addolcire il tutto ma anche di utilizzare espressioni che sono effet- rebbe in questo modo. tivamente più comuni alla nostra lingua. A volte, sorprendentemente, Di fronte a una lunga sequela di insulti i traduttori preferiscono omet- si va nella direzione inversa, ovvero si accentua la volgarità dei dialoghi tere o ammorbidire come in una battuta tratta da Le iene (e come indica per rendere il film più vicino al genere “demenziale”. Vengono cari- Fay Ledvinka, traduttrice specializzata in dialoghi cine-televisivi, nel cati di risvolti spregiativi o volgari termini tendenzialmente neutri, ad suo What the fuck are you talking about? – Traduzione, o missione e censura esempio, in Love Actually, il “cute bird” (uccellino grazioso) origina- nel doppiaggio e nel sottotitolaggio in Italia - Eris edizioni). E precisamente le diventa una “bella passera” e “minx” (civetta) viene trasformato in “You fuckin’ asshole! Fuck you! Jesus! Get the fuck out of the car!” (Fottuto “vecchia maialona”. Si rileva spesso la presenza di espressioni che comprendono parolac- ce e che non trovano riscontro nella produzione dei dialoghisti italiani, come “rompere il culo”, “andare fuori dalle palle/dal cazzo”, “pezzo di stronzo/di idiota/di imbecille”, “fottersi il cervello”, eccetera. Nessuna appartiene realmente al repertorio di espressione italiano: vengono tra- dotte per lo spettatore in modo “trasparente”, a volte per scelte legate alla sincronizzazione, che portano a preferire, ad esempio, un “ti spacco il culo” a “ti faccio un culo così”. Chiudiamo con alcune corrispondenze tipiche: “talking shit” (parlare merda) si traduce di solito con “sparare cazzate”, “Prick” con “Cazzo- ne” o “Coglione”, “Pussy” (letteralmente: fighetta), con “Cacasotto” o “Codardo”, “Bitch” può tradursi in vari modi a seconda del conte- sto: “troia” e “puttana” ma anche semplicemente “stronza”, “Mother- fucker” (letteralmente “fottimadre”) è di solito tradotto con “stronzo” o “figlio di puttana”, “Holy crap!” (merda santa) semplicemente con “merda!”, “Piss off” (pisciati fuori) con “fuori dalle palle”.

26/27 A pensarci bene, il Cinepanettone, equivoci. Senza dimenticare i trai- appuntamento natalizio per anto- ler, da sempre vero pezzo forte della nomasia, ha sempre più avuto a che promozione Filmauro, girati sul set fare con il carnevale. Sovvertiva il e supervisionati direttamente da decoro del consueto consumo ci- in persona. nematografico, scatenava gli istinti “Iside, famme na pompa!” gri- più triviali, liberava e sfrenava il dato a tutto volume da Christian linguaggio, insomma disinibiva De Sica nel “prossimamente” l’italiano medio anche a fronte di di S.P.Q.R.-2000 e ½ anni fa fece situazioni e di battute non proprio storcere il naso a più d’uno (si- raffinatissime. Semel in anno, ap- curamente alle suore della scuo- punto. Però, sempre cum juicio. Fin la media della figlia, dove Carlo da (ben) prima di entrare in sala. Vanzina ebbe la temeraria idea Dai paratesti, dunque, mai così di mostrarlo come grazioso ca- paraculi come qui. Alla lettera. Per deaux natalizio). Ma divenne im- dire, la locandina di Anni ‘90 piegava mediatamente virale (prima che il 9 a fare il gesto dell’ombrello e lo 0 la parola esistesse), tormentone a quello del “Ti faccio un culo così” reiterato sia da chi se la rideva sot- e quella di Anni ‘90 parte II esibiva to i baffi, sia da chi ci s’indignava. un bel cesso con cordicella tirata. Insomma, non importava se bene Delicatissimi, quindi, e a scanso di o male, purché se ne parlasse. E, infatti, l’anno dopo, per Vacanze di Natale ’95 (primo Cinepanet- tone Filmauro ufficiale di , scritto con i Vanzina), il divo Aurelio, senza dirlo a nessu- no, riesumò un taglio dal set, con il solito De Sica che improvvisava un estemporaneo “A Babbo Na- tale, famme ‘na pompa!”, piaz- zando in controcampo una sexy Santa Claus e una renna, e diffuse quello come trailer, pure in fascia protetta, in un crescendo d’indi- gnazione, salutare per gli incassi. Perché il Cinepanettone – dice bene Neri Parenti – è sempre stato “baggianate, buffonate, farsa”. La parolaccia teneva subito dietro, immancabilmente. E non avrebbe potuto essere diversamente. Nella storia del genere, si badi, non è sempre stato così. Il primo Vacan- ze di Natale, anno 1983, era molto timido e pudico, giusto qualche “Maremma maiala!”, “Stronzo!” e SEMEL “Frocio” (“Pure er fijo frocio!”, im- mortale), anche se l’epocale “Pu- tane! Putani!” nel quale esplodeva il mitico Basin contro la Sodoma e Gomorra nell’appartamento di IN ANNO Billo/Calà con donne e uomini sti- di ROCCO MOCCAGATTA pati negli armadi, già preparava alle punte creative future. Però, lì so- prattutto, l’interesse (dei Vanzina, almeno) era per il calco linguisti- co in fieri, l’apprensione in diretta dell’emergere di neologismi, modi di dire, tormentoni. Contava di più La parolaccia la battuta sui Torpigna arrembanti nei Cinepanettoni. a Cortina dopo Piazza di Spagna o, al limite, titoli e ritornelli delle can- cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? zoni di successo storpiati e piegati suo rapper Vomito in Natale in In- alla bisogna. Altri tempi. I “Bucio de dia che, “tra rutti e scoregge”, se ne culo” a mitraglia e le compilation di usciva con intemerate canore tipo “Vattela a pija’ in der culo!” sareb- “Giamaica, Giamaica, Già m’hai bero arrivati dopo, perso ogni alibi cacato er cazzo!”. . antropologico e sfondato appunto invece, poteva essergli partner in il muro della farsa, “nei grandi al- una certa cialtroneria anche verbale berghi in giro per il mondo, senza sopra le righe (e nell’onomastica a alcun contatto con la realtà, De Sica doppio senso: dall’Aliprando Pelil- che recitava alla Viarisio”, dixit En- lo della Freghna in Natale a Beverly rico Vanzina. Questo non vuol dire Hills all’Ottavio Vianale dello spurio che non si auscultasse più il polso - Il film di Natale, della società italiana (anzi, non è targato Medusa/Wildside). mai stato in discussione il caratte- Alla fine, però, la parolaccia nel Ci- re enciclopedico-vetrinistico dei nepanettone è stata un ingrediente Cinepanettoni, il loro essere per- tra gli altri, come lo sfondo esotico fetti compendi pop di fenomeni, vacanziero e il par de chiappe divi- mode e tendenze dell’anno appena stico del momento. Arduo attribu- passato). Tutti gli uomini del Cine- irle altri significati, sia come prova panettone (la staffetta Vanzina-Pa- provata del declino della civiltà renti-Brizzi/Martani) hanno conti- sia quale strumento di sovversio- nuato a sfruculiare notiziole buffe e ne dell’ordine borghese. Anzi, più farsesche sui giornali e a incamerare spesso pareva la parolaccia che ri- insulti pittoreschi e creativi rubati pete il bambino quando la scopre in giro da riversare nei dialoghi dei per la prima volta e ne fa un uso film. In crescendo. D’altronde Leo continuo ed esasperato, finendo Benvenuti (della premiata ditta per privarla completamente di ogni Benvenuti&De Bernardi, mai un Ci- potere destabilizzante o anche solo nepanettone vero nel medagliere, offensivo. E non sarà un caso che ma tante frequentazioni limitrofe) quello infantile sia stato un pub- li chiamava confidenzialmente i blico molto tenuto presente nel ri- film “mettici anche questa, maiale”. cettario alchemico-casareccio del Contenersi, quindi, non è mai stato Cinepanettone, che dagli Anni ’90 tra le richieste del committente. in poi (da S.P.Q.R. e i due A spasso Poi, nel momento in cui il Cinepa- nel tempo) contemplava in manie- nettone alla Parenti si è consolidato ra consapevole i piccoli spettatori, lungo l’asse Boldi-De Sica, dopo le sia nell’accentuare la vena demen- formule collettanee soprattutto alla zial-cartoonesca sia nel gusto di Oldoini di inizio Anni ’90 (Vacanze farli sentire più adulti. Di più, la di Natale ‘90, Vacanze di Natale ‘91), fissazione anale-escrementizia del anche il gioco delle parti della paro- genere (con il culo e la cacca-pipì a laccia si è stabilizzato: Boldi non vi dividersi il podio in un’ideale clas- eccedeva (se non nei modi surreali sifica sul piano verbale e su quello post Derby lombardo-meneghini: visivo, persino più del doppio sen- “Me la ciula, non me la ciula!”, “Va’ so sul sesso) sembrava idealmente a da’ via i ciapp!”), puntando più voler riportare anche lo spettatore su una clownerie fisica, mentre De adulto all’infanzia. Sica ci sguazzava (con personag- Dopo sarebbero venute le pecet- gi dai nomi auto-evidenti: Ciulla, tature verbali (davvero in Vacanze Trivellone, …), passando continua- di Natale a Cortina, ultimo Cinepa- mente dalla finta finezza alto-bor- nettone Filmauro classico, De Sica ghese forbita e ossequiosa alla vera ha dovuto dire “pelo di palla” anzi- trivialità bassissima e pecoreccia. ché “pelo di cazzo”, come sostiene E, quando il modello richiedeva Marco Giusti a riprova della voglia altri innesti comici (tanti, e diversi, di finezza a fine corsa?), le riformu- nel tempo: da De Luigi a Bisio, da lazioni del genere in movie movie più Mandelli&Ruffini a Hunziker), po- presentabili in società (Colpi di ful- che volte si spingeva di nuovo sulla mine e ), la disney- parolaccia. Giusto Enzo Salvi/Er Ci- ficazione incombente incrociata polla poteva sorpassare a destra De con le zalonate e le nuove comme- Sica nel radicalizzare il coté roma- die italiane (Natale a Londa, Natale nesco, e qui basterebbe ricordare il con il boss). Mortacci…

28/29 ROBERTO BENIGNI di GIANNI CANOVA La disperazione di Cioni Mario e l’elogio della patonza

Il rapporto di Roberto Benigni con la parolaccia ha un punto di pas- saggio obbligato: lo straordinario piano-sequenza con cui Giuseppe Bertolucci filma Cioni Mario dopo la morte della madre (Alida Valli) in Berlinguer ti voglio bene (1977): inquadrato di profilo, Cioni/Benigni cammina a testa bassa nella campagna toscana, con addosso una giac- ca a quadrettini bianchi e neri, e sfoga l’indicibilità del suo dolore in un monologo di quasi tre minuti fatto solo di parolacce associate in liber- tà, in un delirio di turpiloquio e di nonsense animato dall’urgenza di ferire imprecare sporcare devastare deformare: “La merda della maiala degli stronzoli del culo delle poppe piene di piscio….” e via imprecando – appunto – per quasi tre minuti ininterrotti. Uno sproloquio blasfemo, ha detto qualcuno. In realtà, l’uso inflativo e compulsivo della parolac- cia, lo sproloquio ossessivo e martellante, hanno un effetto di dispe- razione, non di provocazione né di liberazione. Vanno verso il tragico, non verso il comico. Sono parolacce ignave, affaticate, dolenti, rasse- gnate. Generano angoscia. C’è sempre un’economia e una ritmica del- la parolaccia che governa gli effetti che essa produce su chi la ascolta. La parolaccia risponde a un gioco di esplosione/implosione di energia verbale, si carica di una forza che nasce dalla sua struttura fonica prima ancora che dal suo lavoro semantico. Chiusura/apertura. Blocco/sbloc- co/sbocco. È su questa ritmica dell’insulto o dello scaracchio che gioca ad esempio Spike Lee in Fa’ la cosa giusta, quando gli abitanti delle varie etnie che abitano uno dei ghetti più conflittuali di Brooklyn si insultano nei modi più coloriti, quasi rappando un turpiloquio di strada voluta- mente offensivo. Ma è il ritmo che fa la differenza. Per verificarlo basta pensare al lungo elenco di “parolacce” legate al campo semantico degli organi sessuali che Benigni pronuncia in un ce- leberrimo sketch televisivo, accanto a Raffaella Carrà, in un varietà della Rai (Fantastico, 1991). Dopo aver abbracciato e atterrato la biondissima showgirl in smagliante e attillato abito rosso, Benigni la invita e quasi la implora di fargli vedere anche solo per un attimo “quella cosa là”. E poi inizia a enumerare i nomi con cui gli italiani la designano: gattina passe- rottina fisarmonica mona puciacca tacchina topa patonza bernarda gnocca gnacchera vulva…. Il ritmo è gioioso, monellesco, infantile, e il pubblico in sala ride e ride e ride sempre di più. E il riso si fa travolgente quando si passa a nominare rabelaisianamente i nomi dell’organo genitale ma- schile. Pisello pistolino pipino e poi – ammicca Roberto – con il crescere dell’età randello verga mazza cetriolo uccello… Benigni ride delle parole che dice, come un bimbo che sa di farla e dirla grossa. Il climax arriva con l’ultimo nome fallico. Lo sventrapapere. La Carrà si piega in due. E perfino Piero Angela, in sala, ride come mai lo si è visto ridere. Ma più di tutti ride lui, Roberto. Ci ha regalato un elenco. Come quello di Cioni Mario. Ma con effetto diametralmente opposto.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? CHECCO ZALONE

di PAOLA CASELLA Volgarissimo senza esserlo

“Mia figlia mi riprende quando dico le parolacce”. “Allora mandala dal logopedista!”. In questo scambio di battute con Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, è contenuto il senso del turpiloquio di quell’“improvvisatore pondera- to” (la definizione è di Rocco Papaleo) che è Luca Medici, alias Checco Zalone. Perché Checco non usa mai le parolacce a caso, e le incorpora con una certa ricercatezza semantica all’interno di una comicità che mescola eloquio forbito e dialetto, erudizione borghese e sboccataggi- ne popolare, lavorando principalmente sul linguaggio. In Zalone la parolaccia, soprattutto quella intessuta nelle sue “can- zoni apocrife”, è quasi sempre sottesa (o sospesa), e quasi sempre in rima: sta all’immaginazione di chi ascolta completare l’assonanza, e rendersi così partecipe della sua costruzione comica. Quella rima non è mai solo baciata e mai troppo scontata: non è cuore e amore ma “yacht” e “mignot”, “frocio” che fa rima con “Ambrogio” e “fica” con “bolscevica”. Checco Zalone è “volgarissimo senza esserlo” (altra definizione di Papaleo) perché la sua scurrilità non è banale e le sue corrispondenze linguistiche rientrano in un gusto conclamato per il calembour, a suo modo raffinato ed elegante. Non sono mai un intercalare, ma una pun- ch line di sicuro effetto comico, e il pubblico è invitato a riconoscere l’epiteto, come negli indovinelli della Pagina della sfinge, svelando così la propria conoscenza “vernacolare”. “Chi ve le ha imparate queste brutte parole”, sogghigna Checco quando gli dimostriamo che le sap- piamo tutte, quelle con cui lui “edulcora il testo” affinché non si capi- sca che ha studiato, che è addirittura laureato (in Giurisprudenza) e che sa usare tanto le parolacce quanto i paroloni. Zalone sui vocaboli ricama, storpiandoli solo quanto basta per provocare il sorriso (“Gior- gia o Giorgio? / Dentro a questa orgia / mica me ne accorgio”), fingen- do di sbagliare i congiuntivi, di confondere la consecutio con la fellatio. Nel suo universo linguistico ci sono gli “uominisessuali” e “canzone” rima con “ricchione”, si sbotta in un “acciminchia” e si professa il cul- to della “patacchia”: invenzioni comiche, giochi di parole, neologismi che non avranno il sigillo d’approvazione dell’Accademia della Crusca, inventati dal comico che “non fa nulla gratis” non solo in quanto esige puntualmente i contributi SIAE per le sue opere d’ingegno, ma anche in quanto si prende cura di aggiungere intelligenza anche al termine triviale, rendendolo dunque mai gratuito.

30/31 ER MONNEZZA di CARMEN DIOTAIUTI La maschera del buon borgataro

È stato lui, Tomas Milian, a sdoganare la parolaccia sul grande schermo e creare un linguaggio nuovo per il cinema italiano. Nato all’Avana da una famiglia borghese, playboy incallito che scappa in America per stu- diare recitazione e si ritrova in Italia quasi per caso, dove diventa uno degli interpreti del nostro cinema d’autore lavorando con grandi regi- sti, come Liliana Cavani, Luchino Visconti, Giuliano Montaldo. Passa, in seguito, al western all’italiana e al cinema di genere; ma è Er Mon- nezza, personaggio nato ufficialmente nel 1976 con il film di Umberto Lenzi, Il trucido e lo sbirro, che lo consacra a icona del cinema popola- re. Alfiere del linguaggio scurrile, che sperimenta per la prima volta, in realtà, in un film precedente, sempre firmato da Lenzi, Roma a mano armata, in cui spara la prima delle sue parolacce in rima (a sorpresa del regista preoccupato dalla reazione di censura e produttori): “Come te chiami te? A La Pira Galeazzo siccome nun c’ho ‘na lira t’attacchi al c@ xx0”. Quell’inaspettato choc verbale rompe la linearità narrativa della messa in scena e provoca nel pubblico in sala una liberatoria quanto fragorosa risata, Consacrandolo a maestro di una comicità caricaturale che gioca col turpiloquio e con l’accentuazione della natura più bassa e “corporale” dell’essere umano.

Tuta da meccanico, scarpe Adidas, inconfondibile parrucca riccia e barba incolta, occhi truccati: Er Monnezza ha un travestimento che indossa al pari di una maschera, e che, come nella Commedia dell’Ar- te, ha la funzione di introdurre ed estremizzare i tratti caratteristici del personaggio. Proprio per questo lo scherzo osceno del borgataro Mon- nezza non scandalizza; la volgarità marcata non è altro che normalità esasperata, caricatura socialmente accettata del quotidiano, capace di fissare il gesto ridicolo e allentare l’inibizione rispetto alla sfera del proibito. L’artista, grazie al suo meccanicismo linguistico rappresenta- tivo, riesce a far scattare, esplodere, la grande risata da un linguaggio particolare-popolare, che non è comico in sé.

Per ottenere il riso Er Monnezza esaspera, estremizza, facendosi stra- da tra i B-Movie degli Anni ‘70 a suon di dialoghi trucidi e sganascioni. Un eroe popolare dai modi schietti, un misto di sincerità e volgarità, simpatia e strafottenza, rabbia e vitalità, cinismo e buoni sentimen- ti. Coi suoi atteggiamenti spregiudicati riesce a farsi perdonare tutto, anche quei dialoghi al limite del turpiloquio e quei ripetuti innesti narrativi, che fanno oscillare continuamente il registro tra realistico e grottesco.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? PAOLO VILLAGGIO

di ANTONIO VALERIO SPERA

Una cagata pazzesca!

Vita morte e miracoli di un pezzo di merda, Sono incazzato come una mezzo per sviluppare il discorso belva, Siamo nella merda. Così satirico sulla società dei consumi recitano i titoli di tre degli ultimi e sul mondo impiegatizio. Frac- libri satirici di Paolo Villaggio, chia e Fantozzi sono vittime di dove le parolacce rappresenta- sopraffazioni da parte dei loro no chiaramente il segno verbale superiori e destinatari di volgari del cinismo, della cattiveria, e insulti, tra l’altro accentuati da in qualche modo anche della suffissi peggiorativi, come “mer- saggezza e della capacità di au- daccia” o “coglionazzo”. Loro toanalisi di un “povero vecchio” non possono far altro che incas- – come si definisce lui stesso sare, strisciare servilmente, tanto nel suo testamento teatrale. Pa- da sentirsi addirittura inadeguati rolacce che, quindi, sanno di alla parolaccia. Fracchia si imba- vezzo linguistico dell’anzianità, razza quando si ritrova davanti evidente anche in alcuni suoi al menù scurrilmente rivisitato personaggi extrafantozziani da- del ristorante “Gli incivili” (Frac- gli Anni ‘90 in poi (vedi il maître chia la belva umana); Fantozzi si di Camerieri o l’ex pugile di Cari presterebbe immediatamente fottutissimi amici). Differente, in- all’umiliazione fisica quando, in vece, l’attitudine alla parolaccia barca, gli viene ordinato dal capo del Villaggio maschera, quello di cazzare la gomena (Fantozzi di Fracchia, Fantozzi e derivati. contro tutti); lo stesso ragioniere Accanto alla comicità fisica, l’at- più volte strozza le sue impreca- tore ha infatti costruito per le sue zioni per paura delle reazioni dei creature cinematografiche più suoi vessatori. Rare ma (alcune) note una dialettica che, uscen- indimenticabili le parolacce libe- do dai binari del regionalismo, ratorie, tentativi (non sempre ri- lascia poco spazio al turpiloquio usciti) di rivalsa sui potenti: i pe- nel loro vocabolario. La forza santi insulti (“Puttana! Vecchia comica del loro linguaggio risie- stronza!”) rivolti, nell’originale de soprattutto nei neologismi, di Salce, alla statua della madre nei termini burocratici, nelle di un suo dirigente; il vendicativo astrazioni, coniando espressioni “coglionazzo” indirizzato pro- entrate ormai nell’immagina- prio a quest’ultimo nella partita rio collettivo, da “com’è umano a biliardo di cui Fantozzi riesce lei” a “lingua felpata”. Così, le magicamente a ribaltare il risul- parolacce, centrali nella poetica tato; e il celebre grido di rivolta dell’artista genovese sin dagli “per me La Corazzata Kotiomkin è inizi come paroliere di De An- una cagata pazzesca!” (Il secondo dré, si manifestano nell’universo tragico Fantozzi). Piccoli attimi di dell’impiegato e del ragioniere ribellione e di libertà per un eter- non tanto come strumento di no sottomesso. comicità attiva, quanto come

32/33 CHI L’HA DETTA

di ALICE BONETTI

Abbiamo chiesto a cinquanta studenti universitari di cinema di collocare una celebre frase scurrile. E per una volta il cinema italiano è risultato più proverbiale di quello hollywoodiano ? con Fantozzi e Aldo, Giovanni e Giacomo.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? Parole “magiche” capaci di espri- mere l’indicibile, le parolacce sono - senza alcun dubbio - il linguaggio delle emozioni. La te- levisione le ha demonizzate e cen- surate per anni, il cinema è stato il primo medium audiovisivo a capirne il potenziale e a sfruttar- lo a proprio vantaggio. E allora ci siamo chiesti: può la parolaccia diventare cifra stilistica di un au- tore o elemento caratterizzante di un film? Per scoprirlo abbiamo chiesto a 50 studenti di cinema di associare celebri citazioni scurrili ai corrispettivi titoli. Ne è venuta fuori una classifica – piuttosto vol- gare – delle parolacce più famose della storia del cinema italiano e statunitense. 10 “Attento perché il messag- gio subliminale è fottiti, lascia- mi in pace e vaffanculo!”. Il grande Lebowski (Fratelli Coen, 1998) Il manifesto poetico dedicato agli inetti e ai perdenti. Un’opera iper- testuale ideata e scritta con un evi- dente piacere ludico. Palese è in- fatti il godimento dei fratelli Coen a mescolare i generi del cinema scrivendo un film camuffato da 8 “La merda della maiala degli crime story che spazia dal noir al stronzoli ne’ culo de’ le poppe pulp tarantiniano, con qualche ri- pien di piscio con gli stronzo- mando esplicito a Kubrick e al mi- li che escan dalle poppe de’ tico sergente maggiore Hartman. budelli de vitelli.” Tutto ciò si riflette ovviamente nel Berlinguer ti voglio bene galato al personaggio di Er Mon- linguaggio parlato da Drugo: l’ar- (G. Bertolucci, 1977) nezza una fisicità e uno sguardo chetipo dello slacker, uno scansa- L’immagine memorabile di Mario unici. Un mito intramontabile che fatiche, antimaterialista, apatico e Cioni (Benigni) che tornando a è riuscito nell’impresa di dissacra- decisamente molto sboccato. casa trova sfogo ai propri pensie- re la parolaccia superando l’osta- Delle parolacce usate da Quentin 9 “Francamente, mia cara, me ri attraverso questo famosissimo colo della volgarità. Tarantino si potrebbe scrivere un ne infischio”. Via col Vento sproloquio, ha reso indimentica- 6 “Io ho carta bianca! - E ci si libro. Il giornalista Oliver Roeder (V. Fleming, 1951) bile l’uso del regionalismo tosca- pulisca il culo!”. I due colonnelli ci è andato vicino e ha segnato La traduzione italiana l’ha certa- no. Proprio in Berlinguer ti voglio (Steno, 1962) pazientemente tutte quelle pro- mente edulcorata, ma “Frankly, bene tutti i pregiudizi sul toscano L’unica parolaccia di Totò in 71 ferite dai protagonisti dei film del my dear, I don’t give a damn”, ol- come lingua “anti-comica”, adat- film. Il Principe non ne voleva regista americano. Il risultato è tre a essere una delle battute più ta solamente a esprimere un gergo proprio sapere di pronunciarla, impressionante: le volgarità cen- celebri della storia del cinema, fu colto e letterato, vengono final- contrario com’era al turpiloquio site sono state in tutto 1.882, pari una delle prime a rischiare la cen- mente spezzati. sul grande schermo. Steno ci mise a una media di 235 per ogni pel- sura a causa dell’uso del termine 7 “Vòi scommette che er giorno non poco per convincerlo. Alla licola. Se molti degli intervistati damn, all’epoca considerato of- in cui la merda diventa oro, noi fine, per fortuna, ci riuscì. hanno riconosciuto la frase cult di fensivo e volgare. Noi siamo grati poveracci nasciamo senza er 5 “Hai sentito quello che ti ho Pulp fiction da noi scelta, non han- al produttore David O. Selznick culo?”. La banda del Gobbo detto, pezzo di merda? Con te no però mancato di ricordarci che che ha preferito pagare una multa (U. Lenzi, 1978) non ho finito neanche per il anche la scena iniziale di Le Iene è salata piuttosto che sostituire la Comicità diretta, romanaccia e cazzo, ho una cura medievale un vero concentrato di scurrilità: frase con delle alternative certa- senza fronzoli. Questo era Tomas per il tuo culo”. Pulp Fiction 59 parolacce in 10 minuti. In pra- mente meno incisive. Milian, l’attore cubano che ha re- (Q. Tarantino, 1994) tica, 1 ogni 10 secondi.

34/35 48 46 3222 2114 13 12 11 10

1.re uomini 2.l secondo 3.e ol 4.ull etal 5.Pulp 6. due 7.a anda 8.Berlinuer 9.Via 10. l Grande e una ama traico o all acet iction colonnelli del oo ti volio ene col Vento eosi antozzi Street

4 “Siete uno sputo! […] Non vantadue minuti di applausi) è siete neanche fottuti esseri entrata nel nostro linguaggio co- umani, sarete solo pezzi infor- mune, come un grido di battaglia mi di materia organica anfibia emancipatore. Praticamente tutti comunemente detta ‘merda!’”. gli intervistati l’hanno riconosciu- Full Metal Jacket ta e associata all’intramontabile (S. Kubrick, 1987) Ragionier Fantozzi. Nonostante Full Metal Jacket fu un’opera deva- La corazzata Potëmkin sia tutto stante che sconvolse il genere ci- fuorché una “cagata”, c’è un che ne-bellico: qui le barbarie non son di sacrosanto nel modo in cui Vil- figlie di bombe e mitragliatrici (o laggio si ribella a quella maniera almeno, non solo) ma piuttosto di imporre la cultura, quella del delle urla e del linguaggio triviale cineforum obbligatorio, del sape- con cui il sergente tiranneggia le re imposto dall’alto e dell’istru- reclute. Una metafora estrema zione vissuta come punizione (ed ironica) del “gerarchismo” e e condanna. della tirannia assoluti. 1 “Mi hai proprio rotto i coglio- 3 […] Ma porca troia, quattro- ni! […] Vaffanculo! Vaffancuu- centotrentamila dollari del lo!! Vi, a, effe, effe, ‘ncuuuulo!!! cazzo, in un solo mese del caz- Tu, il tuo negozio, la tua villa di zo?!”. The Wolf of Wall Street merda, mi fai schifo, strooon- (M. Scorsese, 2013) zoo!!”. Tre Uomini e una gamba The Wolf of Wall Street di Scorsese (Aldo, Giovanni e Giacomo, M. è il secondo film con più paro- Venier, 1997) lacce nella storia del cinema (lo È stata la citazione più riconosciu- sullo schermo un crudo realismo supera solo il canadese Swearnet ta del sondaggio e quella che ha – si pensi al loro impiego nelle - The movie). Durante i suoi 180 strappato più sorrisi. Tre uomini e opere di Scorsese, Tarantino ma minuti ne contiene 687, quasi 4 al una gamba detiene, grazie a quella anche Spike Lee e del britannico minuto. Nonostante le polemiche memorabile scena, il record del Ken Loach - nel cinema italian- sulle volgarità (non solo lingui- “vaffa” più lungo e liberatorio del- molto spesso la volgarità è usata stiche) della pellicola, pere ovvio la storia del cinema. per strappare una risata. Sarà per che il linguaggio “energico” scelto Se per una volta in un nostro son- questo che le battute sopracitate da Scorsese sia al servizio di una daggio i film nostrani hanno otte- sono così memorabili e utilizzate trama decisamente estrema e ser- nuto maggiori consensi di quelli ormai anche nel gergo comune? ve a rimarcarne il messaggio: oggi stranieri - le citazioni più amate Certo, una cosa possiamo pro- il teatro delle peggiori nefandezze sono tratte da due pellicole tut- prio dirla. Quando non è del tutto non sono tanto i bassifondi quan- te italiane - la ragione potrebbe gratuito, il turpiloquio può acqui- to il luccicante mondo degli affari. anche celarsi dietro alle diverse sire una luce nuova e inaspettata. 2 “Per me la corazzata Ko- motivazioni che spingono i registi Addirittura, utile. Giova alla sa- tiomkin è una cagata pazze- italiani e stranieri a utilizzare un lute, rinfranca lo spirito e riesce sca”. Il secondo tragico Fantozzi linguaggio scurrile nei loro film. a esprimere le emozioni primarie (L. Salce, 1976) Se a Hollywood infatti le parolac- dell’uomo. Insomma, le parolacce Questa frase (con i famosi no- ce servono soprattutto a portare servono! E non solo al cinema.

cover - scenari Tra insulto, liturgia e sfottò... Che ruolo hanno le parolacce nel cinema italiano? a cura della REDAZIONE

Alberto Anile Francesco Crispino “A stronzo, e famme na pippa! An- “Guardi, colonnello che io ho car- vedi ‘sto burino, ancora parli? Ma ta bianca”, “E ci si pulisca il culo!” se n’te reggi in piedi! Sei alto un cazzo e du’ barattoli, con lo sputo Marina Fabbri t’affoghi! Ma vaffanculo va!! Anve- “Guardi, colonnello che io ho car- di che sei, a’ brutto stronzo” - Mi- ta bianca”, “E ci si pulisca il culo!” chele Apicella (Nanni Moretti) in Sogni d’oro (1981) di N.Moretti Francesco Gallo La bestemmia de L’ora di religio- Stefania Carpiceci ne di Marco Bellocchio (2002) “Guardi, colonnello che io ho car- ta bianca”, “E ci si pulisca il culo!” Marco Lombardi - esternazione di Totò ne I due co- La fantozziana “cagata pazzesca” lonnelli (1962) di Steno del ragioniere nazionale nei con- fronti de La corazzata Potëmkin - Il Daniela Catelli secondo tragico Fantozzi (1976) varie da Berlinguer ti voglio bene di Luciano Salce (1977) di Giuseppe Bertolucci 1) La mamma (Alida Valli) a Ma- Cristiana Paternò rio Cioni (Roberto Benigni): Il vaffanculo telefonico di Aldo in “Rospo schifoso infame, pezzo di Tre uomini e una gamba (1997) merda, maledetto il cazzo che mi di Aldo, Giovanni e Giacomo e mise incinta! Tutta la notte con le Massimo Venier. puttane a divertirti, a leccargli il culo, con le troie brutte zozzone Angela Prudenzi tutta la notte!”. La bestemmia di Sergio Castellit- 2) Il priore Don Valdemaro a Ma- to ne L’ora di religione di Marco rio Cioni: Bellocchio. Un grido di dolore di “Mario! Ti venisse una paralisi a’ straziante potenza. coglioni! Hai visto Elio? Prima gli era guercio, poi tira tira seghe gli hanno ingessato anche una gam- ba, poi tira tira seghe un bel giorno tu vai per tirartela e un tu ci trovi più nulla. E si consuma, e si con- suma! Guarda la tu’ mamma: tira tira seghe e un ha più nulla. Smet- tila! Smettila”. 3) (come sopra) “Ti venisse le vene varicose all’uccello! Te sei scemo, eh! Qui un si bestemmia! Puttana Eva!” 36/37 voci - inchieste voci

INCHIESTE PUNTI DI VISTA CINE GOURMET

40 Dentro la bellezza 52 Il non-Ritorno di Attila 58 Matteo Garrone: di Nicole Bianchi di Pivio “A Pinocchio la pappa al pomodoro, a me gli spaghetti” di Andrea Gropplero di Troppenburg 41 Riproducibilità infinita 54 Il Corbucci di Bong di Antonio Costa e quello di Quentin di Francesco Castelnuovo

42 Un sogno senza fine 56 Mistero Bellocchio di Cristiana Paternò di Emanuele Rauco

44 L’antico richiamo del mistero di Ilaria Ravarino

Interviste Lorenzo Richelmy Massimiliano Finazzer Flory Didi Gnocchi Giacomo Gatti Giovanni Piscaglia

48 Mercanti di film di Nicole Bianchi

Interviste Franco di Sarro Francesco Invernizzi Roberto Pisoni

38/39 inchieste

DENTRO LA BELLEZZA

di NICOLE BIANCHI

Il film italiano d’arte rintraccia le proprie radici alla fine degli Anni ‘30: artisti e periodi artistici nel tempo si sono declinati in documentari, soggetti televisivi, critofilm, fino alla più recente forma del film-evento, una tendenza che gode di un’eccellente eco mondiale.

È un fenomeno. Per fortuna di quelli che non paiono essere una meteora. Da qualche anno, cinematografiche ha costruito meno di dieci in Italia, il film- una comunità di pubblico che evento d’arte è un vero è proprio sceglie film di tale natura, per il “genere”, proposto in particola- contenuto, ma anche sedotto re da alcuni player specifici, di dall’esperienza e dall’agenda, cui va riconosciuta a Nexo Digi- quella dei famosi “solo tre gior- Musei Vaticani 3D - sulla spin- tal la paternità, con la complicità ni in sala”, una prassi che, come ta propulsiva di Leonardo Live dell’allora SKY 3D e ancora di potrete leggere, ha dei forti sti- (2011) - è forse il primo baluardo SKY Arte. Senza però escludere moli nella prelazione e perpe- di questa categoria cinemato- Magnitudo Film: più recente il trazione della stessa: eppure il grafica - per l’Italia s’intende - e suo affaccio sul mercato pro- film d’arte, dal critofilm di Car- risale all’anno 2013: il film d’arte duttivo/distributivo, ma indub- lo Ludovico Ragghianti e dalla passa quasi sempre per scelte biamente giocatore alla pari dei visione di Luciano Emmer, ma assolutamente spettacolari tan- primi due; seppur con comune anche di Francesco Pasinetti e to da togliere il fiato per la se- macro-soggetto - l’arte, e con Attilio Bertolucci, senza eludere duzione visiva, una fisionomia comune modalità di proposta certe “somme” biografie della tv iconica imprescindibile per tutti E, nel cinquecentenario leonar- dell’evento breve in sala cine- generalista, una per tutte la mi- i soggetti produttori e distribu- desco, proprio nei giorni in cui matografica. Non sempre, o non niserie tv Caravaggio (2008, tori, che fortemente capitalizza- queste pagine sono ancora tiepi- esattamente, medesime sono di Angelo Longoni, scritta da no sull’aspetto tecnologico – e de di stampa, sul grande scher- invece le chiavi di storytelling Andrea Purgatori e James Car- quindi estetico, possibilità fatte mo il film-evento d’arte osa con e/o scientifiche, cosa che rende rington e interpretata da Alessio lambire dapprima dal 3D e poi un progetto “temerario”, quello poliformo questo genere all’in- Boni), ha portato produzione e giunte oggi all’8k, accorto nel della biografia di Da Vinci in- terno del suo stesso filone. distribuzione italiana, stimolata “far entrare dentro” i marmi del terpretata da Luca Argentero, Nella piccola inchiesta di queste e ispirata tra le altre dalla tradi- Bernini o sbarcare letteralmente attore italiano come Tony Ser- pagine giungiamo a focalizzare zione britannica, ad investire nel lontano Oriente giappone- villo, invece “Cicerone” dentro il fenomeno più attuale, quello nella proposta del film-evento se di un maestro quale è stato il sanpietroburghese Hermitage, che in queste ultime stagioni dedicato all’arte. Van Gogh. scrigno d’arte universale.

voci - inchieste RIPRODUCIBILITÀ INFINITA di ANTONIO COSTA

Le premesse storiche del successo del film evento.

C’è stata un’età d’oro del documentario sull’arte. In Italia, e in Belgio, negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Ma i primi segni di una fioritura del genere si erano visti già alla fine degli Anni ‘30: Raccon- to da un affresco di Emmer, Gras e Tatiana Grauding fu girato nel 1938 e presentato alla Mostra di Venezia nel 1941. Come spiegare le attuali fortune dei film sull’arte, che da alcune sta- gioni hanno conquistato le sale di prima visione? Semplice: siamo en- trati nell’epoca della riproducibilità digitale dell’opera d’arte. E tutto questo ha rivoluzionato i modi di distribuzione e di fruizione dei film, ma anche i rapporti tra cinema e pittura, come dimostrano I colori della passione - The Mill and the Cross (2011) di Lech Majevski e la sequenza dei titoli di testa della serie The Young Pope (2016) di Paolo Sorrentino. Oggi i documentari d’arte sono diventati lungometraggi. Spesso si espandono verso la docu-fiction e non disdegnano il ricorso a guest star. Il più delle volte procedono sulla scia di grandi eventi (le grandi mostre), cercano di imporsi come rito, ispirato alle prime musicali. I documentari sull’arte del dopoguerra duravano 10-15’ minuti. Veni- vano girati in grande economia, anche se fruivano degli aiuti di una legge sulla programmazione obbligatoria che, però, consentiva abusi e non favoriva certo i migliori. Com’è possibile, allora, che essi suscitino ancor oggi interesse? C’era nei cineasti che s’impegnavano in questo genere una forte spinta ideale, dopo gli anni del fascismo, verso una nuova società, una nuova cultura, un nuovo cinema. Non a caso proveniva da una lunga militan- za nel cinema di documentazione sociale e politica il belga Henri Stor- ck, autore di Le monde de Paul Delvaux (1946), con la partecipazione di Paul Eluard, e Rubens (1948) con la collaborazione di Paul Haesaerts. In Italia, Carlo L. Ragghianti, l’inventore dei critofilm d’arte (Il Cena- colo di Andrea del Castagno e Stile di Piero della Francesca, 1954) era stato a capo del Cln della Toscana. C’era inoltre una comunanza d’intenti tra cineasti e storici dell’arte: Umberto Barbaro lavorava con Roberto Longhi (Carpaccio, 1948), Francesco Pasinetti con Rodolfo Pallucchini (Arte contemporanea, 1948), senza dimenticare Attilio Bertolucci, bab- bo di Bernardo e Giuseppe, che collaborò a Nasce il romanico (1949) di Antonio Marchi. Nel caso di Ragghianti, che era insieme storico dell’arte e cineasta, è essenziale la collaborazione con ottimi diretto- ri della fotografia: da citare, tra gli altri, Carlo Ventimiglia, l’inventore della “verticale Ventimiglia”, una truka dalle prestazioni prodigiose. Spesso basati sulle collezioni di fotografie in bianco e nero dei Fratel- li Alinari, questi documentari entravano in un rapporto di familiarità con le grandi narrazioni pittoriche (Emmer), con i segreti di uno stile (Ragghianti), con le illuminazioni di un grande critico (Barbaro): veni- vano così messi a frutto i vantaggi di quella perdita dell’aura resa pos- sibile dalla fotografia, ancor prima che dal cinema.

40/41 UN SOGNO SENZA FINE di CRISTIANA PATERNÒ

“Se si guarda alla pittura del XX se- colo, è stata diecimila volte più radi- cale di quanto lo sia stato il cinema… Il cinema è un medium rozzamente conservatore”. (Peter Greenaway)

C’è un filo impalpabile ma soli- dissimo che collega arte e cinema. Da sempre. Anche se a volte ce ne dimentichiamo. Ce lo ricor- da di continuo Peter Greenaway (Newport, 1942), il cineasta inglese che ostenta disprezzo per la setti- ma arte, quasi un ripiego per uno come lui che si sarebbe preferito pittore (ma è un pittore modesto, proprio di Emmer lodando l’e- per sua stessa ammissione) ed è levatezza di tono e di tecnica dei invece diventato un cineasta che suoi lavori sull’arte. contamina le arti e alle arti rende Emmer aveva cominciato a metà omaggio di continuo anche come degli Anni ‘30, fondando la Dolo- fonte di ispirazione: da Vermeer miti Film insieme all’amico Enrico (Lo zoo di Venere) a Rembrandt (Ni- Gras (Genova 1919-Roma 1981) e ghtwatching ispirato al celebre La alla moglie Tatiana Grauding (Pa- ronda di notte). rigi, 1922). I tre collaborarono ai Lo dimostra il critofilm, nobile in- soggetti e alle sceneggiature dei venzione del critico Carlo Ludovi- cortometraggi. Emmer, oggi un co Ragghianti (Lucca 1910-Firenze po’ dimenticato dopo l’importan- 1987), tornato in auge nel lavoro di te personale che Torino gli dedicò decostruzione delle immagini filmi- nel 2004 grazie a Enrico Ghezzi e che: la Mostra di Pesaro, grazie ad Stefano Francia di Celle (fonda- dettagli e musiche raffinatissime: Adriano Aprà, dedica ormai da alcu- mentale il ruolo di Fuoriorario nel- si veda il celeberrimo Racconto da ni anni una sezione e un premio pro- la conservazione e diffusione della un affresco, del ’38, dove le storie prio ai “rimontaggi” nati nel campo sua opera), è notoriamente un della Cappella degli Scrovegni a delle arti figurative per poi approdare cineasta spiazzante: la sua poetica Padova – nelle foto Alinari ripre- alla critica cinematografica. spazia dalla famosa e a suo modo se con una cinepresa Pathé e una Lo attestano le parentele tra Rag- artistica sigla di Carosello – un po- truka artigianale - sembrano vera- ghianti e Luciano Emmer (Mila- littico riveduto e corretto - al co- mente prendere corpo, dalla strage no 1918-Roma 2009). Ragghianti siddetto neorealismo rosa in auge degli innocenti alla fuga in Egitto firmò il primo critofilm alla fine negli Anni ’50 (Domenica d’agosto, alla Passione di Cristo, attraverso degli Anni ‘40 in occasione della Le ragazze di piazza di Spagna, Terza una drammaturgia costruita sulla Mostra dedicata a Lorenzo il Ma- liceo, La ragazza in vetrina che è del voce di a cui aggiunse gnifico alla Biennale di Venezia ‘61). Ma è il documentario d’arte lo la musica di Roman Vlad nel ‘46, (oggi il film è perduto). E scrisse scrigno in cui si cela il suo stile ele- fino al potentissimo silenzio del su “Cinema” nel novembre 1949 gante con immagini che scavano i Golgota. È una storia o contro-

voci - inchieste storia dell’arte quella firmata (e lizie, Il Cantico delle creature (1943) Borghese, del 1997, nell’oscurità filmata) da Emmer e da qualche che illustra gli affreschi giotteschi solo una torcia ci accompagna e ci tempo acquisita dalla Videoteca sulla vita di San Francesco ad As- invita alla scoperta delle opere in Gam presso la Galleria Civica d’Ar- sisi, e La légende de Sainte Ursu- una sorta di rêverie nocturne. te Moderna e Contemporanea di le (1948) su Vittore Carpaccio con Torino, mentre il Louvre di Parigi il testo di Jean Cocteau (Diego Elisabetta Sgarbi (Ferrara, 1956) già dall’89 conserva i documentari Fabbri nell’edizione italiana). si può considerare a pieno titolo più importanti accanto a opere di Nel 1953, in occasione della mostra erede e sagace cultrice del cinema Longhi e Ragghianti. antologica su Picasso allestita a d’arte rinnovato dalla sensibilità Tra i suoi filmati, oggi raccolti Roma e Milano, Emmer, su com- contemporanea. Tra le sue tante nel DVD Parole dipinte. Il cinema missione di Rizzoli, filma Picasso incursioni in questo mondo scelgo sull’arte di Luciano Emmer, edito nel suo atelier a Vallauris, mentre La lingua dei furfanti (2016) dove si dalla Cineteca di Bologna, spic- dipinge tra l’altro la Colomba della occupa di Girolamo Romani detto cano Paradiso terrestre (1939) sul pace, un piano sequenza di 10 mi- il Romanino. Il lavoro di ricerca e trittico di Bosch Il giardino delle de- nuti che è purtroppo l’unica testi- di ‘ascolto’ entra in risonanza con monianza di quest’opera ricoperta gli affreschi che si trovano in Val il mattino dopo di calce da malde- Camonica attraverso i testi di Luca stri imbianchini. Doninelli letti da Toni Servillo, In anni molto più recenti fonda- mentre le musiche sono di Franco mentale è stato il sodalizio tra l’or- Battiato. Prosegue dunque la tradi- mai anziano ma sempre pungente zione di far dialogare pittura e so- Emmer ed Elisabetta Sgarbi, che ha norità vocali e musicali. Il film, in portato a realizzare un film-sogno 32 minuti, ci trasporta nelle monta- come Belle di notte (2001), viaggio gne del Bresciano, a Pisogne, Breno notturno tra i capolavori della Col- e Bienno. I cicli pittorici, realizzati lezioni Pamphili assieme a Vittorio tra il 1532 e il 1541, sono di argomen- Sgarbi. Come nel quasi omonimo to sacro e biblico. Opera su com- lavoro di Emmer sulla Galleria missione dei padri agostiniani ma dipinte in piena libertà. Tanto che vi emergono prepotentemente, al di là dei temi canonici, le fisicità della gente del luogo che il pittore osò ritrarre nella loro verità anche scurrile. La regista confessa la cifra personale di questo lavoro: “Mi sembra una strana biografia fami- liare, un mio nascosto romanzo di formazione”. Due direttori della fotografia, Elio Bisignani e Andres Arce Maldonado, si sono alternati alla macchina da presa lavorando con luci naturali, a volte anche con fiaccole per rendere il calore e la verità dei dipinti.

I critofilm di Carlo Ludovico Ragghianti e le immagini raffinate di Luciano Emmer: così il cinema italiano della prima metà del Novecento ha fatto della grande pittura una fonte inesauribile di ispirazione. E questa tradizione prosegue ancora oggi nel lavoro di Elisabetta Sgarbi.

42/43 L’ANTICO RICHIAMO DEL MISTERO

di ILARIA RAVARINO

Le testimonianze di interpreti, sceneggiatori e registi: Lorenzo Richelmy, Massimiliano Finazzer Flory, Didi Gnocchi, Giacomo Gatti, Giovanni Piscaglia.

Sono oggetti nati per raccontare il bello, film la cui vita in sala è limita- ta, per definizione, allo spazio della meraviglia. I documentari devoti al genio umano - che si tratti di pittori, scultori, artisti o provocatori - com- pongono un filone più vario di quanto lasci immaginare la categoria del “film-evento dedicato all’arte”, con la quale, da quando il fenomeno si è fatto tendenza, si fanno etichettare. Ci sono film che lavorano a parti- re dai luoghi che hanno influenzato l’autore (Le Ninfee di Monet - Un te stesso che racconti la storia di incantesimo di acqua e luce di Giovanni Troilo; Dentro Caravaggio di un altro, guardando in macchi- Francesco Fei; Canova di Francesco Invernizzi) e film che raccontano il na”. Spesso le lettere, o le imma- genio attraverso le opere che ha prodotto (Bernini e Leonardo di Inver- gini fotografiche inedite sono nizzi; Palladio di Giacomo Gatti). E ancora film che puntano su riprese gli strumenti che permettono di del rapporto tra arte e politica in spettacolari, come l’ultra definizione usata in Michelangelo – Infinito entrare nella vita privata degli ar- Hitler contro Picasso e gli altri. di Emanuele Imbucci, o che operano scelte estetiche evocative o sim- tisti (Salvador Dalí. La ricerca L’ossessione nazista per l’arte di boliche, come Caravaggio. L’anima e il sangue di Jesus Garces Lam- dell’immortalità di David Pujol), Claudio Poli, dell’incontro tra arte bert, che sceglie di “disincarnare” la voce di Manuel Agnelli separandola altre volte invece è l’assunzione e psicanalisi in Klimt & Schiele. dal corpo del Caravaggio, interpretato a sua volta dal non professionista di un punto di vista esterno a ren- Eros e Psiche di Michele Mally, o Emanuele Marigliano. Alcuni registi riportano in vita l’artista attraverso dere la narrazione “alternativa”: del conflitto israelo-palestinese la performance mimetica dell’attore (Luca Argentero nel prossimo Io, l’artista raccontato da qualcuno ne L’uomo che rubò Banksy di Leonardo o Massimiliano Finazzer Flory in Essere Leonardo Da Vin- che gli è vicino (Van Gogh tra il Marco Proserpio. ci – Un’intervista impossibile), altri si avvalgono di narratori speciali: grano e il cielo di Giovanni Pisca- attori presenti in scena nella parte di se stessi, come Stefano Accorsi in glia) o da un’angolatura insolita Tintoretto – Un ribelle a Venezia di Giuseppe Domingo Romano, Je- (Cézanne. ritratti di una vita di remy Irons ne Il museo del Prado – La corte delle meraviglie di Valeria Phil Grabsky). E ancora, a volte, Parisi o Adriano Giannini in Gauguin a Tahiti – Il paradiso perduto l’arte e l’artista possono essere di Claudio Poli. “Per l’attore è come fare il proprio lavoro al contrario solo una “scusa”, pur nobile e gra- – ha spiegato Adriano Giannini – perché non interpreti un altro, ma devolissima, per parlare d’altro –

voci - inchieste GLI ATTORI

1. Come lavora l’attore in un film d’arte?

2.Perché il film d’arte piace al pubblico? 3. L’Italia è un Paese predisposto al film d’arte?

Lorenzo Richelmy attore (Klimt & Schiele. Eros e Psiche)

1. Rispetto a un film tradizionale, in cui interpreti un personaggio, qui sei nella posizione del narratore. E non è semplice, devi trovare un Massimiliano Finazzer Flory equilibrio: non puoi diventare come Piero Angela. E allora devi trovare attore e regista (Essere Leonardo Da Vinci – Un’intervista impossibile) la tua strada, tra il narratore neutro esterno e il ponte con lo spettato- re. Io ho cercato il più possibile di trasmettere al pubblico, con la mia 1. Ha bisogno di sincerità per trovare l’uomo che si nasconde dietro interpretazione, quell’inquietudine che si respira nell’atmosfera dei al personaggio. Per interpretare un uomo bisogna entrare nella sua dipinti di Schiele. anima. Io, Leonardo, lo vivo tutto il giorno, diventa parte di me: non 2. Forse in parte dipende dal fatto che nella nostra scuola la struttura sono io che imito lui, ma lui che mi guida. Per entrare in contatto con formativa è rimasta ferma a cinquant’anni fa. Sentire qualcuno che ci Leonardo all’inizio ho usato la lingua: l’italiano rinascimentale mi ha parla di arte, e che lo fa al cinema, per noi è una cosa eccitante e nuova. aperto le porte della sua identità. L’audiovisivo è un ottimo canale per veicolare informazioni, soprat- 2. Perché il cinema ha dimenticato di essere arte, e il film d’arte glie- tutto a quelle persone che non hanno la curiosità di aprire un libro. lo ricorda. Il pubblico è attratto da questi film perché non sa come Credo che la gente abbia voglia di sapere, ma in modo semplice. E il si produca un capolavoro e spera che l’autore glielo sappia spiegare. film ti consegna una sintesi efficace di un’ora e mezza, con immagini Il pubblico viene al cinema perché vuole scoprire un segreto. È l’an- pensate da un regista, una specie di professore d’arte capace di comu- tico richiamo del mistero. Di Leonardo, per esempio, me ne occupo nicare direttamente e profondamente con te che lo ascolti. anche a teatro dal 2012. È un’icona universale, è il passe-partout per 3. Siamo un Paese che vive e si muove nella bellezza. Abbiamo una comunicare con il mondo. Sono attirato dal suo genio, che riesce a far predisposizione naturale al bello, anche se non lo sappiamo con- dialogare scienza e arte, promuovendo la contaminazione fra saperi, sciamente. È una cosa che si nota da fuori, un fatto evidente a chi ci indispensabile per avere una visione d’insieme. guarda dall’estero. Siamo molto più affamati di cultura di quello che 3. Sì, non ho alcun dubbio. Siamo un popolo dotato di una forte possa sembrare. vocazione estetica.

44/45 LA SCENEGGIATRICE E I REGISTI

1. Come ha pescato il suo asso nel mazzo della Storia dell’arte? 2.Girare un film d’arte: quali sono le regole? 3. Gli attori nel film d’arte: sì o no? 4.I film d’arte: il loro posto è la sala o la tv?

Giacomo Gatti regista (Palladio)

1. Uno dei miei obiettivi, con Pal- Didi Gnocchi ladio, era quello di raccontare un sceneggiatrice (Hitler contro Pi- autore molto studiato all’estero, casso e gli altri. L’ossessione nazista ma misconosciuto da noi. Quan- per l’arte) do girai Michelangelo - Il cuore e la pietra, nel 2012, c’era un’occa- 1. Hitler contro Picasso è un do- sione, cioè i 500 anni dalla co- cumentario un po’ anomalo. struzione della Cappella Sistina. Il tema si prestava e la 3d Pro- grande studio del contesto sto- Palladio è nato diversamente. duzioni aveva già lavorato sul rico alla base, abbia tutte le carte Dopo aver girato un promo per il sto. Nessuna voce over, nessuna nazismo producendo altri tre per coinvolgere. museo di Vicenza ho cominciato figura esterna extradiegetica che documentari importanti, uno su 3. Sì, ma se hanno un profilo cul- a riflettere su quanto le idee di ci racconti la storia, ma scattare Norimberga, uno su Eichmann turale alto. Attori che abbiano Palladio abbiano viaggiato lon- un’istantanea di Palladio oggi, e uno sul giudice dei giusti. Ma un interesse in quel campo e la tano, arrivando fino in America. del modo in cui ha influenzato il tutto è partito da un libro che voglia di uscire dalla banalità, di Palladio mi è sembrato dotato nostro mondo. Alla ricostruzio- mi è stato regalato, in cui Anne alzare il livello. Ci sono attori, di una portata internazionale ne storica abbiamo preferito la Sinclair raccontava la storia del così come c’è un pubblico anche tale da permettermi di riflettere suggestione atemporale. nonno collezionista d’arte. Ho in Italia, che non si sentono im- sulla nostra influenza culturale 3. Quella degli attori è una strada subito capito che c’era una mi- barazzati - come vorrebbe una all’estero. efficace e suggestiva. I nomi fa- niera da scavare, là dentro. parte del Paese - a essere colti, 2. Con Michelangelo - Il cuore e la mosi creano immedesimazione 2. Credo molto nell’imposta- interessati alla cultura. E hanno pietra siamo stati i precursori del nel pubblico, lo prendono per zione del documentario clas- voglia di volare alto. genere, e abbiamo fatto quel che mano conducendolo nella sto- sico. Per me, o fai fiction o fai 4. Nascono per il cinema, ma in Italia al tempo non si faceva: la ria. Ma rischia di diventare una documentari: non mi piace me- come per tutti i film la loro di- ricostruzione storica intervalla- scelta facile, una risorsa di cui scolare. E credo che un buon stribuzione a livello mondiale ta da interviste contemporanee. forse col tempo si sta abusando. documentario, molto ben fatto, può avvenire anche attraverso la Sei, sette anni dopo, con Palla- 4. Dal mio punto di vista, se è ci- con le voci giuste, gli attori e un tv o le piattaforme. dio, abbiamo voluto fare l’oppo- nema, il loro posto è la sala.

voci - inchieste Giovanni Piscaglia regista (Van Gogh tra il grano e il cielo)

1. Attraverso la storia della sua prima collezionista, Helene le lettere, avevamo i dipinti: ag- Kröller-Müller, avevo la possi- giungere un altro piano sarebbe bilità di parlare di Van Gogh in stato traviante. maniera diversa, fuori dal mito. Volevamo guardare i dipinti Uscire dal cliché era la mia sfi- non solo nel loro essere ‘icona da. L’idea di parlarne per mezzo quadro’, ma nel tratto, là dove di Helene mi ha permesso di si gioca la verità di Van Gogh, in affrontare certi temi piuttosto quella dimensione che si perde che altri. E da questa selezione guardando da lontano, o in un è derivata la chiave di lettura libro, le sue opere. del film. 3. Ci vuole fortuna per trovarli: L’agiografia mi sembra sintomo fino a poco tempo fa i grandi di scarsa sincerità. nomi non si prestavano a questo 2. Nel nostro caso, essendo di- tipo di operazioni. Valeria Bru- ventato Van Gogh una specie ni Tedeschi, nel nostro film, ha di superstar dell’arte, la prima dato sintesi e corpo a Helene, ha regola era scremare e togliere il aggiunto un portato personale. ‘troppo’. Non volevo inquadra- Non si è comportata da narra- re un attore dai capelli rossi con trice ma da testimone. Non ha un cappello di paglia in mezzo al interpretato il personaggio, ma grano. Ho lavorato invece su un la storia. dialogo in assenza, su una sto- 4. Un film deve fare testo, deve ria d’amore fra due personaggi restare. Non è qualcosa che si che hanno vissuto in momen- accartoccia e si butta. Non è un ti diversi. Abbiamo poi voluto documentario tv, con una sua dare peso a una visione, al dato comunicazione strutturata e una stilistico della pittura. Avevamo drammaturgia. È cinema.

46/47 MERCANTI DI FILM

di NICOLE BIANCHI

I tre maggiori produttori/distributori italiani di film d’arte raccontano l’epifania del "genere" e i progetti prossimamente sul grande schermo:

Franco di Sarro – Nexo Digital Francesco Invernizzi – Magnitudo Film Roberto Pisoni – SKY Arte

1. Partendo dal principio, ci ricordi il ‘suo’ primo titolo di questa collezione di film-evento dedicati all’arte e spieghi qual è stato il motore che l’ha spinta a scommettere.

2. C’è qualcosa di stimolante ed efficace che ha scoperto ‘solo’ strada facendo?

3. I film di cui parliamo sono produzioni/distribuzioni pretta- mente italiane: come si piazzano sul mercato estero? Vengono proposti come evento o con altre formule? I Paesi più ricettivi?

4. A proposito della formula ‘evento’, con permanenza in sala per una media di tre giorni: qual è la strategia, perché funziona così e non funzionerebbe differentemente?

5. Il pubblico crea maggiore empatia con i film biografici, oppure con quelli che raccontano un periodo o un ambiente artistico? E poi, fa da ‘traino’ un interprete - o una voce - molto riconoscibile, oppure no?

6. Tra i ‘suoi’ titoli: uno che le ha dato particolare soddisfazione; il prossimo su cui sta lavorando; il soggetto artistico che sognereb- be di poter realizzare.

voci - inchieste 1. Siamo stati un po’ pionieri: era il 2012 quando Franco di Sarro abbiamo fatto un primo tentativo portando un con- Nexo Digital – AD tenuto via satellite, il tour della mostra della Natio- nal Gallery dedicata a Leonardo Da Vinci. Il film era Leonardo Live, un evento costruito in 70 città ita- liane, ‘tutto esaurito’, e che ci ha fatto comprendere subito l’interesse per questa tipologia di contenuto d’arte e di cultura. Da lì abbiamo iniziato a costruire un 5.Dipende dal soggetto, come per tutti i film. Per Klimt& progetto editoriale: dapprima s’è pensata una stagione Schiele. Eros e Psiche stanno ‘impazzendo’ nel mondo, Bot- con 4/5 titoli, per creare una continuità e una ‘comuni- ticelli – Inferno ha avuto meno consenso. C’è molto interesse tà’ di persone disposte a mettersi in gioco per guardare verso i musei, incuriosiscono anche più delle monografie, c’è questo genere di film; oggi contiamo circa 10 conte- anche una componente turistica, oltre che culturale. L’inseri- nuti annuali. Abbiamo iniziato come distributori, poi mento di attori rende il contenuto più cinematografico, dona siamo passati anche dall’altra parte: siamo produttori una bussola allo spettatore: è più semplice creare un rapporto o co-produttori. con chi guarda.

2. Il progetto di Nexo Digital è totalmente inno- 6. Mi sento legato a Firenze e gli Uffizi, che ci ha dato la possi- vativo, nel corso degli anni abbiamo sperimentato bilità di creare un dialogo con il pubblico, è stato un po’ la nostra diverse tipologie di contenuti, di distribuzione, di chiave di volta. Stiamo lavorando su più progetti, l’appunta- comunicazione. Abbiamo cercato di giocare con nic- mento più fresco con la grande arte al cinema è dedicato a Van chie di pubblico eterogenee, facendolo diventare più Gogh e il Giappone, e stiamo chiudendo la produzione del film ampio, e talvolta anche fallendo. Per l’arte abbiamo sull’Hermitage, con Tony Servillo come Cicerone, poi ancora trovato un terreno fertile, lavorando su contenuto e Frida Viva La Vida, in uscita a novembre, con Asia Argento e tecnologia, con un’evoluzione in progress, cercan- la scoperta di aspetti inediti di Casa Azul. Per il resto rispondo do sempre di innovare: abbiamo realizzato il primo che… i desideri non si svelano mai. contenuto 3D nativo; il primo 4K in HDR; il primo in Virtual Reality della Cappella Sistina. Andando a dialogare con un pubblico abituato alla grande qua- lità sul grande schermo, ci siamo sentiti di spingerci oltre, fornendo delle ‘esperienze’ basate sui sensi o su uno storytelling particolare.

3. Qualche anno fa il brand Nexo è diventato impor- tante e allora abbiamo iniziato a costruire una rete di distribuzione internazionale, più di 2500 sale in oltre 60 Paesi nel mondo. Quest’anno inseriamo altri terri- tori: Israele, Indonesia, Vietnam. La Colombia ha una ricettività incredibile: 15.000 persone in due giorni per ogni titolo, in 12 città. Nel panorama mondiale dei contenuti ‘alternativi, complementari’, per l’arte sia- mo un punto di riferimento. La modalità di proposta varia da Paese a Paese: in Australia il film sta fuori per una settimana, a partire dal venerdì; in Russia si segue una programmazione normale, nel Nord America esce solo un giorno in 100 città; il Giappone parte con 10 capo zona e poi si amplia a 100. Tra l’altro i giapponesi sono molto meticolosi nella campagna promozionale, ci impiegano 6/7 mesi per preparare l’uscita di un no- stro prodotto, sempre con una comunicazione di una bellezza estetica eccellente.

4. Credo che si abbia sempre poco tempo per comu- nicare con il pubblico e vada trovata una sintonia, che significa anche dare delle regole e una di queste è cre- are un appuntamento.

48/49 Francesco Invernizzi Magnitudo Film - fondatore e AD

1. La prima stagione di Magnitudo nasce in assoluto nel 2018 4. Questa modalità ha colto un grande favore di pubblico: con Bernini, realizzato in occasione della straordinaria mo- se da un lato può essere penalizzante in termini commer- stra alla Galleria Borghese – a 20 anni dalla riapertura: non ciali, però si configura come evento, appunto, che attira l’at- poteva mancare una testimonianza filmata, mai si potrà re- tenzione proprio perché si esaurisce in un tempo ristretto. plicare lo stesso evento. È un tributo al ‘made in Italy’ come Diciamo che le windows di utilizzo di questi contenuti sono espressione artistica di quello per cui il nostro Paese è cono- molto ampie, perché non sono blockbuster ma ‘documen- sciuto nel mondo. Quello che abbiamo realizzato fino ad oggi ti’, per il valore scientifico ma anche quello straordinario e che contiamo di realizzare in futuro è un percorso che segua della tecnologia, estremamente superiore a quella usata nel diverse linee di produzione, capaci di transitare dalle biogra- cinema classico. fie d’artista a periodi/luoghi d’arte. 5. Proporre contenuti d’arte accoglie sempre un grande 2. La sensazione iniziale, pensando ai primissimi progetti pubblico. Le performance migliori le offrono le biografie, del 2013, era quella di essere un po’ ‘ospiti’ di questi luoghi/ donano spunti che il pubblico non sempre conosce: in fase musei, sensazione che ancor’oggi posso confermare, ma di scrittura non tendiamo a limitarci alla ricostruzione sto- percependo un’ospitalità differente: prima non si compren- rica, piuttosto cerchiamo un’analisi artistica, per un dialogo deva quale fosse davvero il fine – commerciale? didattico? con un pubblico eterogeneo, quello di chi non conosce nul- divulgativo? altro? Ora direttori dei musei, storici dell’arte, la del soggetto, quello di chi conosce ma grazie alla presen- curatori delle mostre sono sempre più amici e così nasce un za degli esperti in scena approfondisce un po’, e poi ci sono progetto di comunicazione integrata, da cinema-evento a gli storici dell’arte, a cui riusciamo a fornire quelle 5/6 note didattica nelle scuole, a promozione con le istituzioni pub- che danno spunto per dibattere. Se prima il nostro target era bliche. Il film è, per i musei, anche un progetto di comuni- over 45, quello di oggi è sempre più giovane, probabilmen- cazione mondiale che ha portato uno grosso slancio anche te guardano qualcosa di bello del proprio Paese. L’utilizzo turistico. I nostri musei soffrono molto economicamente, di interpreti riconoscibili rende l’operazione più commer- per cui spesso trascurano il marketing e la comunicazione e ciale: sono spesso voci belle, importanti, riconoscibili, che con i nostri film suppliamo un po’ a questo, data l’impronta danno familiarità, ma non aggiungono valore scientifico. Io strettamente scientifica del nostro racconto. Un valore che preferisco andare in tre luoghi in più e investire maggior- si somma a quello tecnologico, connubio che ha avvicina- mente nelle tecnologie, per un livello di regia e di immagini to Magnitudo alle aree museali: quando nel 2013 girammo migliori in termini estetici. Musei Vaticani 3D con SKY 3D usammo il sistema usato da Hollywood per SpiderMan. Oggi giriamo in 8K, cioè 16 vol- 6. Dovendo fare una ‘classifica’ premetto che ogni film ha te il Full HD, andando ad esprimere un livello di dettaglio una propria anima: ne ricordo tre. Mi sento affezionato a che rimarrà nel tempo. Wunderkammer - Le stanze della meraviglia, una mia pas- sione varcare le soglie del tempo di quei luoghi magnifici; ex 3. La formula-evento è quella maggiormente preferita an- aequo: Bernini per la cura maniacale e quasi inspiegabile del che negli altri Paesi. Ciascun singolo fotogramma che noi gi- suo lavoro, e Palladio, un progetto faticosissimo (3 anni) per riamo può essere estratto ed essere una fotografia ad altissi- il suo essere un museo diffuso, è stata una sfida raccontare ma risoluzione, utilizzabile per curatela scientifica, per studi e narrare l’architettura come espressione di opera d’arte. Ciò della materia, che permettono un prodotto che può durare che sogno e ciò che sto realizzando è lo stesso: siamo in fase nel tempo, questa è una delle cose che ci fa apprezzare nel gestativa con Pompei, che è stata molto raccontata, ma mai mondo, con una presenza in 74 Paesi. Le monografie d’artista con l’occhio del luogo e del suo essere simbolo della gran- hanno un ampio territorio di condivisione; altri, come Ma- deur dell’Impero romano. thera, sono più apprezzati nei luoghi in cui si riconosce una comunità italiana.

voci - inchieste Roberto Pisoni SKY Arte - direttore

1. Il primo film realizzato da SKY Arte con SKY 3D e distribuito al cinema è stato Musei Vati- vello internazionale, perché han- cani 3D: nasceva con destinazione televisiva. Il successo tv persuase il distributore, Nexo Di- no quasi una funzione turistica; a gital, ad andare nelle sale, perché nel frattempo avevano iniziato sperimentare i film-evento livello di empatia funzionano le d’arte in sala, tra cui Leonardo Live. Musei Vaticani 3D fu un grandissimo successo, sia in Italia biografie, sicuramente più effica- che all’estero: il desiderio con cui nasceva era di innestare il 3D, dunque l’aspetto spettacolare ci, e quando funzionano, funzio- e tecnologico, con un racconto emotivo; un viaggio sul rapporto tra l’uomo, Dio e l’arte come nano benissimo: di qualsiasi film elemento di comunicazione. Da lì, chi soprattutto curava il canale 3D, ebbe la lungimiranza di su Van Gogh è prevedibile il suc- capire che ‘il genere’ funzionava, in un momento in cui il 3D era protagonista, sulla scia di Ava- cesso, è una grande biografia, di tar, stagione molto breve ma magica: da lì vennero prodotti Firenze e gli Uffizi, poi San Pietro per sé corredata di un côté di ma- e le basiliche papali di Roma 3D, e successivamente Raffaello – Il principe delle arti 3D. Con gnetismo, è lo stereotipo dell’arti- il declino del 3D si è ragionato su 4k e 8k e in particolare la prima delle co-produzioni è stata sta. Loving Vincent è il film d’arte Caravaggio l’anima e il sangue, incassando, in Italia, come film d’arte , l’introito che al momento ha incassato di più alto della Storia. più in Italia e nel mondo, ha dal- la sua due elementi: il soggetto e 2. Sicuramente l’aspetto di magnificenza visiva è quello che attrae e su cui abbiamo punta- l’animazione che ‘ripete’ la tex- to. D’interesse è che, attraverso punti di vista disumani, inteso come non-umani (es. l’infini- ture della pittura, che rapisce la tamente grande/piccolo che la tecnologia ti permette di non perdere), riferendomi al detta- vista. Per Tintoretto – Un ribelle glio e al totale, c’è l’opportunità di mostrare cose che l’occhio umano non è abituato a vedere, a Venezia abbiamo cercato di en- che da una parte stupisce e dall’altra, per gli studiosi, è l’opportunità di leggere un’opera da fatizzare che fosse veneziano, che un punto di vista ennesimo. non avesse lasciato Venezia, fosse sopravvissuto alla peste, oltre ad 3. In molti Paesi escono come film evento. Quando il 3D era la tecnologia che imperava, c’è essere l’autore preferito di David stata una distribuzione internazionale capillare; da quando è declinato, c’è comunque una Bowie: abbiamo messo insieme distribuzione molto vasta, ma dipende molto da titolo e dalla tipologia. Sul mercato francese tutto, con la voce narrate italiana non funziona quando ci sono molte scene ricostruite, i distributori non le amano; il Giappo- di Stefano Accorsi, inglese di ne, l’Australia e il Sud America sono molto ricettivi, artisti e musei italiani funzionano molto, , così il molto bene. film ha fatto molto più di quanto ci saremmo aspettati, incassando 4. È un fenomeno che scardina un po’ la programmazione, puntando sui giorni della setti- 360.000 euro. mana più deboli per il pubblico in sala, chiamando un pubblico ristretto ma specifico. Que- sto può dar linfa alle sale. 6. Tintoretto è quello a cui sono più affezionato, perché il più dif- 5. Il tentativo è stato quello di aprire questi contenuti al più ampio pubblico possibile: da ficile ma che ha dimostrato di una parte inserire talvolta delle ricostruzioni, secondo la tradizione anglosassone, per con- tenere molto bene sul mercato; tribuire a una narrazione più fluida, senza ricorrere necessariamente a teste parlanti e riprese insieme a Hitler contro Picasso statiche delle opere; i due generi che funzionano meglio sono i grandi musei, soprattutto a li- e gli altri, che trovo abbia ri-rac- contato una storia straordinaria che credo valesse la pena riper- correre. Per il cinquecentenario leonardesco siamo in sala, in set- tembre, con un film biografico, Io, Leonardo, su cui abbiamo grandi aspettative: prosegue il discorso di avere l’attore principale che in- terpreta l’artista, qui Luca Argen- tero, una sfida temeraria. Il sogno sarebbe fare il ‘salto ulteriore’, ovvero fare il nostro Van Gogh, il film di finzione, ovviamente con strumenti e intenzioni differenti: il passaggio utopico è entrare nel regno della pura finzione, crean- do un mondo completamente immaginario.

50/51 punti di vista

IL NON-RITORNO DI ATTILA di PIVIO

Di cosa parliamo quando parliamo di colonne sonore (in Italia).

voci - punti di vista Già, di cosa parliamo quando parliamo di colonne sonore (in Italia)? Se li- “ritorno economico” nel frattempo si è ridotto al lumicino non garantendo mitiamo il campo d’azione alla produzione cinematografica parliamo forse più gli investimenti dei giorni più lieti. Alcuni produttori “illuminati” hanno del periodo aureo degli Anni ‘60/’70 quando in media in un anno si produ- capito la situazione e hanno iniziato, almeno questo è il loro sentimento, una cevano circa 250 film (con relative musiche realizzate ad hoc)? Quando i rivoluzione copernicana che li ha portati ad essere loro stessi editori e pro- vari editori musicali, terze parti rispetto ai produttori propriamente detti, si motori economici delle colonne sonore dei propri film (ma stiamo parlando facevano la “guerra” (che brutta espressione…) pur di accaparrarsi l’oppor- dell’eccellenza, a fronte ancora di un diffuso atteggiamento secondo il quale tunità di coinvolgere un proprio protetto, il bravo compositore di turno, nei la creazione e realizzazione di musiche originali non può essere a carico dei vari, tanti, progetti filmici finanziandone la colonna sonora senza che il pro- produttori). In mancanza del necessario sostentamento economico, le or- duttore, nella maggior parte dei casi, dovesse porsi il problema di reperire chestre di un tempo si sono sciolte in piccoli rivoli (o si sono definitivamente il denaro necessario per la creazione e realizzazione della stessa? Quando estinte), gli studi di registrazione si sono trasformati in sale bingo, autolavaggi, tale “entusiasmo editoriale”, oltre agli aspetti artistici e di sperimentazione finti ristoranti giapponesi, sedi di pompe funebri (tutto drammaticamente che quel cinema è stato in grado di produrre diventando vero, documentabile, un definitivo sberleffo) e, quando si punto di riferimento negli anni fino ai giorni nostri creano le condizioni per il coinvolgimento di organici per tanti cineasti (e compositori) non neces- importanti, la maggior parte delle volte si prefe- sariamente nati nella patria del Bel canto, risce portare tali lavori all’estero (il nuovo aveva un nome e un cognome: ritorno Shangri-la shambalaiano si chiama ora economico (se un giorno, cosa Praga, Sofia, Budapest, Bucarest, improbabile vista la mia età, do- etc.) depauperando ancor di più vessi avere un figlio maschio il senso di eccellenza musicale rinuncerò alla primigenia che eravamo riusciti ad espri- idea di chiamarlo “Attila” mere tempo fa con i nostri in favore di “Ritorno”, musicisti e le nostre risor- ed i motivi sarebbero se tecniche. evidenti, almeno per Qualcuno potrà obiet- me)? Quando, appun- tare: vabbè, Pivio, ma to, tale ritorno econo- stai ancora parlando mico quasi garantito di orchestre, di studi dall’enorme successo di registrazione, roba popolare del nostro antica, ora è possibile cinema permetteva realizzare tutto senza di coinvolgere fior di il coinvolgimento di orchestre e musicisti gente reale, che suda, di levatura internazio- discute e che può anche nale, il tutto in studi di sbagliare qualche nota registrazione degni di durante l’esecuzione delle questo nome con fonici partiture, ora ci sono le li- ultra-preparati ed impe- brerie virtuali, c’è la tecnolo- gnati (come d’altronde i mu- gia che ti aiuta (e se la program- sicisti) in un’attività che si svol- mi bene non suda, non discute e geva quasi 365 giorni all’anno? non sbaglia neanche una nota), ora Tutte queste cose me le hanno rac- c’è il sound design, non un mero tec- contate negli anni fior di artisti e pro- nicismo bensì un vero proprio modo di fessionisti, e non faccio fatica a pensare riconcepire il concetto di colonna sonora che che tutto ciò abbia un fondamento storico che supera finalmente i confini classici dell’armonia e va ben oltre il classico e prevedibile tentativo di mitiz- melodia (hai avuto a disposizione tutto il ‘900 per capi- zare i periodi passati; i successi di Morricone, Piccioni, Cipriani, re che questa sarebbe stata la strada maestra). E lo puoi fare senza Umiliani, Trovajoli, Rustichelli, Bacalov, Micalizzi, Rota, giusto per citarne problemi in perfetta solitudine superando agevolmente l’eventuale riduzio- alcuni, sono sotto gli occhi di tutti. ne del budget a tua disposizione… e poi comunque l’arte non ha bisogno di E allora? Dove sta il problema? Perché è ovvio che dopo l’esposizione di un denaro per essere tale! mondo “ideale” dove tutti sono felici, dove regna l’armonia (poi trattando- C’è una possibile conclusione (come in tutte le storie degne di tal nome), vale si di musica…) ed il buonumore, la storia può andare avanti solo se nel suo a dire, di cosa parliamo quando parliamo di colonne sonore (in Italia)? Que- sviluppo arriva il problema. sta è la classica storia col finale aperto ma per il momento mi sembrerebbe Stacco. più adeguato chiudere con una lunga, lunghissima, dissolvenza al nero. Siamo ai giorni nostri. Nel momento in cui sto scrivendo siamo alla fine di giugno e dall’inizio dell’anno ad oggi grossomodo una settantina di film ita- Pivio (al secolo Roberto Giacomo Pischiutta, non fratello di Aldo De Scal- liani hanno avuto l’opportunità di essere proiettati in una sala cinematogra- zi con cui ha firmato la maggior parte delle oltre 150 colonne sonore al suo fica e solo davvero pochi hanno superato il milione di incasso al botteghino. attivo; dagli esordi punk amelodici e disarmonici, passando per una delle Gli editori storici, quelli che si facevano la “guerra” (che brutta espressio- prime tesi di laurea di informatica musicale in Italia quasi quarant’anni fa, ne…) pur di accaparrarsi l’opportunità di coinvolgere un proprio protetto, 3 David di Donatello e 4 Nastri d’Argento all’attivo, attuale presidente di il bravo compositore di turno, sono in buona parte scomparsi o comunque ACMF, l’associazione dei compositori di musiche per film, ufficialmente si occupano sostanzialmente di gestire il patrimonio storico risalente alla non ha figli ma se mai dovesse averne uno sta pensando seriamente di chia- vicenda raccontata prima dello stacco perché il giustamente acclamato marlo “Ritorno” al posto del prediletto “Attila”).

52/53 IL CORBUCCI DI BONG E QUELLO DI QUENTIN

di FRANCESCO CASTELNUOVO

Cannes, 18 maggio 2019. A una settimana alla premiazione del Festi- val, all’ingresso della sala più nascosta del Palais des Festivals, la Sal- le Buñuel, una folla numerosa è in attesa della proiezione di Miracolo a Milano, Palma d’oro ex-aequo del 1951 (allora si chiamava Grand Prix). I cappelli a tuba e gli abiti da prima della Scala che atterrano come alie- ni sul pratone incolto di Lambrate abitato da barboni... e poi le scope volanti che ispireranno Spielberg per l’ascensione in bicicletta di E.T. Quegli spettatori assistono, 70 anni dopo, all’invenzione del fanta-a- Subito dopo Tarantino, sempre scensore sociale nel cinema realista. Invenzione che i francesi (Bazin) nella Debussy, c’è Parasite, del definirono “un capolavoro”. Gli italiani (Aristarco) “un equilibrio non sudcoreano Bong Joon Ho. Nien- trovato”. Fine della proiezione. La folla esce. Qualche spettatore (stra- te voli qui. La prima inquadratura niero) evoca paragoni con i film del concorso di Cannes 72. Una signo- è su un seminterrato con finestre ra francese: “I barboni che volano via dalla povertà sono i bisnonni dei ad altezza strada dove vive una ragazzini disgraziati di Les misérables che volano con il drone contro le famiglia di poveracci. “Toh mi ri- ingiustizie della periferia parigina”. Un ragazzo danese: “Le che corda il seminterrato di Rocco e i dal cielo sopra Milano aiutano i barboni mi ricordano gli spettri di At- suoi fratelli” mormora l’amico ac- Boh? Certo è che nel 1964, mentre lantique, che resuscitano contro lo sfruttamento operaio in Senegal”. canto a me. Il figlio minore della Sergio Corbucci girava il Minne- Un giovane avventore con la maglia de Il buono, il brutto e il cattivo: famigliola ha un’idea: spacciarsi sota Clay di cui sopra, suo fratel- “Mmm…il vero cinema italiano che va resuscitato è solo quello amato come insegnante presso una delle lo Bruno, scriveva proprio il film da Tarantino”. più ricche famiglie di Seul. Il volo ispirato alla canzone di Morandi. La proiezione di Once upon a time in Hollywood di Quentin Tarantino è di fantasia funziona e dalla lurida Film che, a suo modo, parlava tre giorni dopo. I mille passeggeri della Salle Debussy partono per un cantina, il ragazzo si ritrova in una anch’esso di divari tra poveri e ric- panoramico volo Pan-american sulla Hollywood del 1969, che punta a villa high-tech… insieme a sorel- chi. “Ma Bong non lo avrà mica vi- rivedere la storia dell’assassinio di Sharon Tate. Il comandante Quentin la, padre e madre. Tutti con delle sto...su! Che importa, la canzone a un certo punto cambia rotta per una capatina su un’altra Hollywood, finte identità che fanno molto ci sta benissimo.” Il film finisce. quella sul Tevere. Di Caprio atterra a Roma. Sprazzi di Dolce vita e pa- ridere. “Miseria e nobiltà”, pen- Applausi fortissimi. Io esco entu- parazzi, che sembrano fegatelli di un vecchio mondo-movie Anni ‘60. E so. La trama va avanti. E le risate siasta. E penso: “Vuoi vedere che poi cartellonistica a go-go. Nebraska Jim di Sergio Corbucci (titolo mai pure. Ma, via via, quella villa a tre a vincere sarà il Corbucci di Bong esistito, ispirato a Minnesota Clay, secondo western di Corbucci, del piani, in cui il mondo è fatto a sca- e non quello di Quentin!”. 1964). Operazione Dyn-O-Mite di Antonio Margheriti (titolo anch’esso le, diventa una prigione dorata. Quattro giorni dopo. Parasite ha fittizio, ispirato a Bersaglio mobile, diretto sempre da Sergio Corbucci nel Una voce dentro di me sussurra: appena vinto la Palma d’oro e 1967). Due film, Minnesota Clay e Bersaglio mobile, che non brillavano per “Gruppo di famiglia in un interno”. Bong Joon Ho dichiara: “Per Pa- italica originalità: il primo, un calco del western made in USA; il secon- Un’altra voce replica: “È solo la rasite ho visto due film di Visconti: do, un blando spy-movie con tale Ty Hardin, passato alle cronache per mia immaginazione”. Poi però, Gruppo di famiglia in un interno aver rifiutato il ruolo da protagonista in Per un pugno di dollari, perché verso la fine, un colpo di scena: e Rocco e i suoi fratelli”. Ma allo- doveva girare il western L’uomo della valle maledetta di Siro Marcelli- le note di In ginocchio da te. Cosa ra io e il mio amico non stavamo ni. Siamo lontani dal Sergio Leone che Tarantino cerca di riecheggiare ci fa la canzone di Morandi in un delirando! Altro che il citazioni- con il suo Once upon a time. Qui siamo a quelli che rifiutavano Leone per film coreano su dei poveracci che smo à la Tarantino. Che a Cannes Marcellini. O al Sergio Corbucci pre-spaghetti revolution. si intrufolano in una villa di ricchi? perde. Perché venticinque anni

voci - punti di vista IL CORBUCCI DI BONG E QUELLO DI QUENTIN

dopo Pulp Fiction, i tempi (e le giurie) richiedono qualcosa in più di un regista fissato sull’idea post-moderna che la Storia possa solo essere riletta e che i travel- ling possano muoversi solo oriz- zontalmente e all’indietro, senza più un’aspirazione ascensionale, di scrittura e non di semplice ai quartieri alti. Anche con strata- ri-scrittura. Un mondo freddo in gemmi da Commedia italiana. La cui il cinema e la Storia sono trat- nostra commedia. Che, sui poveri tati come finger food da riscaldare che salgono a casa dei ricchi con in un diner pieno di poster vintage l’ascensore della fantasia, ci aveva per giocare al gioco della storia costruito un marchio, da Miseria e fatta con i “se”. Cannes ha voluto nobiltà fino a Lo scopone scientifico, premiare un cinema che cucina passando appunto per Miracolo a a caldo e che crede ancora nella Milano: il marchio dell’italian dre- possibilità di muoversi in avan- am. Prodotto da esportazione di- ti e dal basso verso l’alto. Bong verso dall’american dream, molto Joon Ho ristruttura sì le famiglie più doc dello spaghetti-western e gli interni di Visconti, ma non e che, come dicevano quei due, per sbandierartene le locandine. può essere esportato sia nel Se- Bensì per dirti che quella storia è negal di Atlantique (Gran Premio ancora moderna. Che, come nella della Giuria), sia nella Francia Milano degli Anni ‘50, anche nella di Les misérables (Premio della Seul di oggi, un abitante di un sot- Giuria). Questo è il cinema ita- toscala può puntare ad ascendere liano che ha vinto a Cannes 72. Quel cinema che, quando le cose si mettevano male, sapeva farti toccare il cielo. Non con un aereo della Pan Am, ma con due soldi di speranza.

54/55 MISTERO BELLOCCHIO

di EMANUELE RAUCO

latestvoci - punti- cinema di vista espanso È tra i registi italiani più noti e attivi nei festival internazionali, ma anche tra i meno premiati. Abbiamo provato a capire il perché. Il parere dei critici Paola Casella, Gabriele Niola e Mario Sesti.

È di sicuro una domanda oziosa. (ma anche nazionali, come ab- E di conseguenza è divisivo. Sap- E anche un po’ faziosa, un po’ da biamo visto)? Un elemento po- piamo bene che la caratteristica italiani che incolpano gli arbitri trebbe essere il suo essere spesso, più importante per vincere è pia- se non vincono una partita. Però e di sicuro nei suoi film migliori, cere un po’ a tutti e non molto il dubbio, anche ponendolo cri- incatenato alla realtà italiana che a pochi, e lui invece puntando ticamente, resta: perché Marco trasfigura - il finale di Buongiorno, su certi elementi più che su altri Bellocchio, uno dei registi più notte insegna - in modo onirico o tende ad incontrare molto certi importanti del nostro Paese, tra surreale, non essendo quindi né gusti e poco altri”. Ma secondo il i più attivi per quanto riguarda un regista civile come Francesco critico c’è anche qualcosa di più la presenza ai grandi festival in- Rosi o Elio Petri che vinsero Leoni profondo nella percezione che un ternazionali, non è ancora stato e Palme (nello stesso anno, ex-ae- audience internazionale può ave- consacrato con i premi che se- quo) né un puro visionario come re del suo cinema: “Non ha mai gnano la Storia del cinema e la Fellini: come ci ha detto Paola maturato quello statuto di mae- carriera di un autore? La mancan- Casella di “My Movies”, Belloc- stro internazionale, anche come za dal palmarès di Cannes del suo chio è “facilmente equivocabile. notorietà, che in caso di buon film ultimo film Il traditore è l’ennesi- Per esempio, Il traditore non è un può stimolare una giuria a dire ma conferma. mafia-movie ma un film sull’im- ‘Beh è un buon film forse è il caso Togliendo le arroganze da prima plosione della criminalità orga- di darglielo un premio, anche per donna con cui a volte i registi re- nizzata; Buongiorno notte non è un tutto quel che ha fatto senza vin- agiscono ai verdetti delle giurie, film sugli anni di piombo ma sul cere’, come sarebbe potuto essere e di cui lo stesso Bellocchio si cuore di tenebra dell›animo uma- quest’anno per Almodóvar”. macchiò quando Michael Mann no e su come quell›oscurità in- Si direbbe, e con ragione, che le preferì Pietà di Kim Ki-duk e la- ghiotta ogni cosa e persona”. cause siano sintetizzabili in una sciò Bella addormentata a mani Ma forse c’è anche qualcosa che scelta di temi troppi radicati e vuote (eccezion fatta per il pre- ha a che fare con il suo cinema, in uno stile, o quantomeno una mio all’attore emergente Fabrizio con il suo rapporto con il merca- modalità di espressione e rea- Falco), i numeri parlano chiaro: to internazionale e quindi con i lizzazione, che non raggiunge in 55 anni di carriera e 24 lungo- riconoscimenti: sempre secondo quell’esplosività che porta a un metraggi per il cinema - tra cui Casella, Bellocchio “non fa film grosso premio (si veda per esem- film fondamentali come I pugni in strategicamente ‘da festival’ e in- pio l’unanimità critica che ha tasca, Sbatti il mostro in prima pa- serisce in ogni suo film (almeno) accolto all’ultimo Cannes lo stre- gina, L’ora di religione, Vincere - ha un elemento di cinema popolare. pitoso Parasite di Bong Joon-ho, ottenuto solo due David di Dona- I suoi film sono ‘strani pesci’ che poi premiato on la Palma d’oro). tello e due Nastri d’argento come non rientrano in nessuna catego- Ma forse ha ragione Mario Sesti regista (ne ha vinti altri 4 ma come ria, dunque nemmeno quella ‘da (“Huffington Post”) quando dice: soggettista e l’unico suo film inco- premio’”. Non è universale il suo “non c’è niente di più arbitrario ronato come Miglior Film è l’ulti- cinema, forse perché non è mai e aleatorio della premiazione ad mo). Nei grandi festival, il bottino perfetto in senso professionale, opera della giuria di un festival: del nostro è fermo al 1991 quando industriale, anche quando sba- per Bellocchio, forse più per lui la Berlinale insignì La condanna gliato o minore è di rado votato che per qualsiasi altro autore ita- dell’Orso d’argento Gran Premio al compromesso: Gabriele Nio- liano, vale la massima di Truffaut della Giuria; Venezia lo ha premia- la di “Wired” ci dice che “i suoi per cui per ‘Non ci sono opere, ci to solo nel 1967 con un Leone d’ar- film sono sempre zoppi. Hanno sono solo autori’ - tutto il suo ci- gento a La Cina è vicina (e nel 2011, sempre qualcosa di eccezionale nema andrebbe giudicato e pre- alla carriera), mentre Cannes lo e qualcosa no. Un ottimo primo miato in uno sguardo”. ha sempre snobbato nonostante tempo e un secondo meno. Un E si potrebbe ulteriormente chio- 7 partecipazioni in competizione, protagonista ottimo e comprima- sare che i premi non servono a l’ultima proprio quest’anno con il ri meno. Non è il tipo che realizza molto altro che a riempire l’ego bello e fortunato (al botteghino) il ‘buon prodotto’ inattaccabile dei registi e i loro scaffali. Sicura- Il traditore. sotto ogni punto di vista e che mente non a cambiare la Storia quindi tende a dare l’idea di esse- del cinema. E in quella, perlome- Cosa c’è quindi nel cinema di re un buon premio. La sensazione no in quella del cinema italiano, Bellocchio che non fa breccia nel è sempre che premiare un film di il nome di Bellocchio esiste a di- cuore delle giurie internazionali Bellocchio sia un po’ un azzardo. spetto di ogni giuria.

56/57 cine gourmet

MATTEO GARRONE: “A PINOCCHIO LA PAPPA AL POMODORO, A ME GLI SPAGHETTI”

di ANDREA GROPPLERO DI TROPPENBURG

Quarta cine-ricetta della rubrica di 8½ dedicata al rapporto tra cinema e cucina.

Dopo il successo internazionale di Dogman, sul set per Pinocchio, che permette di capire dove andare a progetto, poi dipende anche dagli uscirà sotto Natale, Matteo Garrone “ci cucina” la sua ricetta prediletta, trovare gli ingredienti, però poi ami e dalle esche che usi. un grande classico della cucina italiana. non è detto che li trovi, magari ne trovo altri che funzionano persi- Ci racconta quali sono per lei Matteo, qual è il suo piatto preferito? no meglio, è un percorso aperto, le fasi più importanti della sua è una cucina che non parte con cucina cinematografica? Gli spaghetti al pomodoro: un piatto apparentemente sempli- un’idea prestabilita, ma di volta in ce, con ingredienti poveri, che quando è ben cucinato diventa un volta si alimenta delle novità e si Ogni fase mi dà delle soddisfazio- piatto meraviglioso. nutre anche di imprevisti. ni, ma poi la cucina vera, lo spa- dellamento per me è il montaggio. Quali sono gli ingredienti della sua cucina cinematografica? Rocco Papaleo che ha lavorato Quando scrivi prepari il film, co- con lei ora, in Pinocchio, e mi minci a studiare dove trovare gli Gli ingredienti cambiano a seconda del film che faccio e del pubblico a diceva che è rimasto molto col- ingredienti migliori: quando giri cui mi rivolgo, ma il modo di cucinare resta il medesimo, e cerco sempre pito dal suo modo di girare, la fai la spesa, e quando monti cucini di partire da piatti che poi mi piacerebbe mangiare. Adesso per esempio paragona a un pescatore, chie- gli ingredienti che hai preparato. sto facendo Pinocchio e spero che gli ingredienti che ho messo possa- de agli attori di non pensare no piacere a piccoli e grandi. Di fondo sono all’opposto della ‘nouvelle alla sceneggiatura: si mette lì, Sa che è il primo che mi dice cuisine’, mi interessa più la sostanza che la forma. Quanto a Pinocchio, appunto come un pescatore, questa cosa, per tutti i suoi col- credo che gli piaccia la pappa al pomodoro… e poi all’improvviso qualcosa leghi che ho intervistato lo spa- succede, il pesce è all’amo. dellamento vero, il momento Ecco, nella preparazione di un menù come prepara la linea, quali dell’azione in cucina, è il set. sono le prassi, i tempi, le esecuzioni? La sceneggiatura è una mappa, una carta nautica, però allo stesso A me questa cosa sembra ovvia: Faccio un lavoro che ha una matrice artigianale, come la cucina, dicia- tempo è anche la pastura che lan- in caso contrario, il montaggio mo che quando giro faccio la spesa. Prima c’è un lavoro di ricerca che mi ci in acqua: la sceneggiatura è un cos’è? Il montaggio può essere de-

voci - cine gourmet vastante, un cuoco che cucina male può distruggere un piatto anche se ha degli ingredienti buoni, basta sbagliare i tempi, la salatura, le spezie. Il montaggio è una fase molto delicata, sei talmente dentro al materiale che fatichi a capire i dosaggi, poco sale, troppo sale, poco cotto, troppo cotto… Dura mesi, e ci arrivi dopo mesi di full immersion: a volte perdi il contatto con gli ingredienti. Per questo è così difficile fare film, per- ché ogni momento è un momento cruciale, sono tanti passaggi e li devi fare tutti giusti, ci deve essere una sorta di alchimia che amalgami tutte le fasi e tutti i sapori per fare un buon film. Uso spesso la metafora del peschereccio, perché ogni sera vai fuori e c’è la volta che non peschi niente, la volta che prendi un’orata o una sardina e la volta che prendi il pesce spada, poi torni a casa e con gli ingredienti che hai cominci a preparare il tuo menù. Quando giri cerchi di portare più materiale pos- sibile in cucina, ti fai un’idea ma non sai esattamente come lo cucinerai. Il montaggio è una fase estremamente creativa, infatti Marco Spoletini che lavora ‘con’ me da 22 anni, e che è figlio di cuochi (Betto e Mary), ha sempre lavorato con me, nel senso che ha provato a lavorare le mie immagini da solo ma non è la stessa cosa. Altri registi, anche molto più bravi di me, penso per esempio a Hitchcock, giravano sapendo esatta- mente quello che avrebbero montato e quindi al montatore non restava che compiere un’azione già prevista a monte, quasi meccanica. Credo che addirittura per Hitchcock fosse praticamente una formalità persi- Ma adesso dai, andiamoci a no essere sul set, tutto era talmente previsto, sceneggiato e pensato a mangiare questo spaghetto monte che sia le riprese che il montaggio diventavano quasi degli auto- al pomodoro! matismi. Per me non è così, io mi trovo bene quando c’è qualcosa che non mi aspetto, quando trovo un ingrediente che mi sorprende: per me GLI SPAGHETTI il montaggio è il momento più creativo del film. AL POMODORO di Matteo Garrone

Ingredienti ( per 4 persone)

500 gr di pomodori di 4 qualità diverse 20 gr di cipolla gialla 2 spicchi d’aglio olio evo, timo, basilico 20 gr Parmigiano Reggiano 500 gr spaghetti

Preparazione

Tagliare molto finemente la cipolla; soffriggere fino a im- biondare in olio evo e aglio in- tero sbucciato. Sbollentare i pomodori e pri- varli della pelle, dei semi e del- la gelatina, unirli al soffrittino, cuocere per 10 minuti, a fine cottura aggiungere il basilico asciutto, spezzato con le mani e il timo. Scolare gli spaghetti e saltarli in padella, aggiungendo nuo- vamente timo e basilico. Servire con una spolverata di parmigiano.

58/59 voci - inchieste rewind

RACCONTI DI CINEMA REPRINT ANNIVERSARI

62 L’Avventura 64 Il cinema italiano 66 a 50 anni da Anna e i valori della famiglia Nell’anno del Signore di Elisa Fuksas di Alberto Lattuada da “Rivista del cinematografo”, n. 5-6, maggio-giugno 1966, pp. 337-338 67 1969: l’anno domini di Andrea Mariani di Gigi Magni di Giorgio Gosetti

60/61 racconti di cinema

-Ma lo sai che c’è un pescecane prio come l’isola – ora rappresa in L’AVVENTURA che gira nei dintorni? roccia - dove mi hai lasciato, mi Bianco e nero. avete lasciato. La cosa poi ha un In sottofondo: mare. suono di terremoto e voci d’ange- -Avremo tanto tempo per parlar- lo. Bellissime. ne, ci sposiamo, più tempo di così? Ed è eterna, soprattutto eterna. ANNA -Ma perché star qui a discutere, a -L’avete trovata? Mi arriva ancora parlare, le parole credi a me Anna l’eco della tua voce. Ma no, certo servono sempre meno, confondo- che non mi possono trovare. no, io ti voglio bene, non ti basta? Sandro caro, immagina che que- -Vorrei provare a stare un po’ di sta Cosa non dorme e non si di ELISA FUKSAS tempo sola. A starci di più. Un sveglia mai, non pensa e non è mese, un anno, tre anni… mai pensata, non mangia e non E poi: bisognerebbe andar via. Il è mai mangiata. È sempre in mo- mare sta ingrossando. vimento instancabile. Potrebbe -E Anna? Anna? diventare qualsiasi cosa, se solo E poi tutti a cercarmi. Dov’è lo volesse, ‘La Cosa’ o rischiare Anna? Sandro? Era qui, non è sul l’invisibilità, e smaterializzarsi e motoscafo? No. ricomporsi a distanza di centinaia Non mi trovate. Non mi troverete. di anni luce senza perdere qualità. -Anna… Anna. Al principio, ‘La Cosa’ era in Niente. Silenzio. Non rispondo. pace. Era felice. Non aveva paura, Vi sento ma non rispondo. Perché non sapeva la paura. Non cono- non posso. E stavolta ti giuro non sceva l’uomo. si tratta delle ‘cose di Anna’ che ti Poi è successo che questo Tutto, a fanno impazzire, Sandro mio. mille anni luce da noi – forse an- -Anna… che di più – ha iniziato ad annoiar- Dove sei, dove sono. si. A morte. Che ne sapete. Lassù, quello che lei – o lui, di che Ancora. Urla di Sandro, urla di genere è La Cosa? Nessuno lo sa Claudia. Tanto che credi: l’ho e non fa differenza – ha iniziato sempre saputo che sareste finiti a sentire solitudine. Una solitu- insieme. dine profonda, insondabile che Urla di tutti. non prevedendo distrazioni pro- Vuoi sapere cosa è successo, San- metteva di andare avanti all’in- dro. Muori dalla voglia. E anche finito. Orizzonte tipico, unico, tu… la vuoi sapere, la verità. della Cosa. È (stata) una storia d’amore. Im- E così ad un certo punto alla Cosa possibile. non è più bastato ribollire senza Per capire, bisogna immaginare scopo in spirali di pece brillante. ‘La Cosa’. Una cosa sconfinata. Il suo essere, ed essere sempre Senza dimensioni. Scura, lucida e stata, improvvisamente diventa brillante lava nera che ribolle, pro- insopportabile.

rewind - racconti di cinema In un instante, né giorno né notte Con la sua mano, mi ha preso, e al- perché La Cosa non ha mai avuto lontanato dalla terra: i pesci stupi- un sole di riferimento e la luce che ti sono scappati via. Intanto io in conosce è una inimmaginabile alto, in cielo, sospesa nell’aria che luce nera, si è fermata. da chiara e luminosa è diventato Letteralmente: fermata. Renden- scura. Notte. do l’Universo un luogo idealmen- E poi è stato freddissimo. Ghiaccio. te silenzioso. Ho smesso di respirare e mi sono Ma che c’entra La Cosa con me? trovata nella Cosa, ad essere la -Anna… dove sei? Cosa. -Ragazzi cerchiamo di essere pra- Ma a quel punto non le servivo tici, denunciamo la scomparsa. più, perché ero diventata lei. La Cosa, per caso, mi ha scelto. La sua noia, la sua felicità, la sua Ha deciso di innamorarsi di me e solitudine. Erano mie. Ero io. smettere di annoiarsi. Mentre sulla terra la ferita già ri- Proprio così. marginata. Tra tutti i tempi che poteva, tra -Ho paura che sia tornata Anna… tutte le cose che aveva davanti pochi giorni fa all’idea che Anna (perché lei ha tutto il tempo, pri- fosse morta… mi sentivo morire ma e dopo dispiegato come un anche io, e adesso… ho paura che fumetto, di fronte). sia viva. E mi ha tirato su. Proprio così. Ma non avere paura, Claudia. Tan- Fermo immagine. Si congela tut- to indietro non si torna. to. Un glitch, non so come chia- marlo. Mancherà per sempre un battito a quella giornata, era tutto così chiaro. Nell’immobilità galattica del suo essere mi ha visto e mi ha tirato via. Proprio così, come un filo. È stato bellissimo sentirmi stretta tra il suo pollice e il suo indice. Una mano gigantesca, e minuscola. Il mio vestito leggero, volevo spo- gliarmi, fare un bagno. Silenzio. Lontano da voi sto meglio. In quel frattempo, nella sua eterni- tà remota, La Cosa decide di met- tersi ad ascoltare i miei desideri. -Voglio stare sola. Così, una lettera alla volta si ini- ziano a formare, nella Cosa, i miei voleri. Come delle nubi nel suo non-cuore. Una transcodifica in- terstellare basata sul sentimento. Sull’Amore. Non hai capito? È normale, nean- che io ho capito.

62/63 reprint

Il cinema italiano e i valori della famiglia di Alberto Lattuada da “Rivista del cinematografo”, n. 5-6, maggio-giugno 1966, pp. 337-338

Il contributo che proponiamo su delle “preoccupazioni difensive” nerazionale, anzi la stessa difesa Reprint è parte di un questiona- rispetto al “pericolo” comunista dei valori morali e borghesi Lat- rio somministrato dalla “Radio e marxista. La seconda ragione di tuada la espresse da giovane stu- Vaticana” ai produttori Franco interesse è legata alla figura di Lat- dente universitario, in polemica Cristaldi, Luigi D’Amato (diret- tuada. L’intervento muove dalla con la decadente e compromessa tore del settimanale cattolico recente lavorazione del film La cultura fascista, nella prefazione “Vita”), Guido Gonella (allo- mandragola (1965): del film il regi- del suo libro fotografico L’Occhio ra presidente dell’Ordine dei sta ha ricordato, in altre occasioni, quadrato. Allora quella difesa dei Giornalisti), al giornalista Nino alcune vicissitudini produttive le- valori morali e di un nuovo, rin- Longobardi, al critico cinema- gate all’impulso censorio del cle- novato, umanesimo era base e tografico Enrico Rossetti, e ad ro (“A Urbino fummo diffidati dal fondamento di una ricerca este- Alberto Lattuada. La “Rivista del vescovo, e certe scene al cimitero tica, neorealista (fondamentale cinematografo” pubblica gli esiti le dovemmo girare in fretta e di e significativa la prefazione al vo- dell’interrogazione. Da questa, nascosto, col frate priore che pro- lume fotografico), nel 1966 quella qui pubblichiamo la risposta di testava, perché diceva che face- presa di posizione si rinnova in Lattuada. Ci sono almeno due ra- vamo sacrilegio”: Cosulich 1985). un clima inquieto, appesantito gioni che rendono il questionario Lattuada però ne prende spunto dai primi moti di violenza poli- e la risposta del regista interes- per una visione morale (e a tratti tica giovanile (“Ecco perché la santi. La prima è legata al periodo moralista) della contemporanei- gioventù è così sbandata”: il 27 di pubblicazione: l’anno 1966. Sul tà, che non va però confusa con aprile 1966 è la data dell’omicidio fronte della cultura cinematogra- un atteggiamento di facile condi- dello studente Paolo Rossi) e dal fica cattolica, l’anno vede l’ACEC scendenza con la morale cattolica dibattito sulla proposta di legge (Associazione Cattolica Esercenti della testata (“Radio vaticana”), sul divorzio presentata da Loris Cinema) organizzare un conve- né semplicemente come una tira- Fortuna nel 1965 (“è molto faci- gno per “la salvaguardia della mo- ta conservatrice a ridosso del Ses- le la scappatoia di un’apparente ralità della sala”: dopo il control- santotto (un passaggio epocale franchezza, di un’apparente sin- lo e la moralizzazione delle sale che sarà decisivo anche per l’iden- cerità spinta verso la separazione, ANDREA MARIANI ANDREA cattoliche, la preoccupazione era tità della “Rivista”): di Lattuada, il divorzio, la fuga, la viltà, quasi, di rivolta al circuito delle sale com- come ha ben ricordato Goffredo affrontare un tormento”). Le pa- di merciali, al cinema come luogo Fofi, vi si ritrova piuttosto quel- role di Lattuada sono pesanti e gli della tentazione e al film come la “convinzione che certe radici argomenti netti e inflessibili, ma foriero di turbamenti per la massa fossero ancora salde e non an- non va dimenticato che il clima cattolica. L’attenzione sulla mora- dassero tagliate, quelle radici che attorno a questo tema, nel campo lizzazione nei primi Anni ‘60 era erano appunto morali e borghesi, del cinema, è incendiario dopo la altissima (si pensi alla “Giornata lo sguardo di quella borghesia che presentazione, pochi mesi prima per la Moralizzazione del cinema” aveva voluto essere di modello al di questo intervento, del film I del 1960: si veda Subini, “Scher- Paese, con un forte sentimento pugni in tasca dell’esordiente Mar- mi” 1, 2017); d’altra parte proprio della responsabilità collettiva nel- co Bellocchio: uno degli attacchi verso la metà del decennio i temi la crescita e nello sviluppo”. Sono più violenti e disperati all’isti- della censura rappresentano il l’anima e la cultura borghese (e la tuzione borghese della famiglia. terreno più fertile per un riposi- difesa della famiglia è borghese, La “Rivista del cinematografo” si zionamento della “Rivista” che è prima che cattolica) a rianimare conferma un campo di indagine anche politico: il dibattito attorno lo spirito polemico del regista, straordinario per scavare il cuore a Il vangelo secondo Matteo (1964) che non è affatto nuovo a queste dei conflitti morali e politici che di Pier Paolo Pasolini è un banco prese di posizione: ancora una l’Italia e il cinema italiano stavano di prova decisivo per una progres- volta, non è da confondersi con vivendo in quegli anni. siva apertura a Sinistra e la fine una polemica esclusivamente ge-

rewind - reprint IN QUESTO NUMERO UN ARTICOLO ESTRATTO DA “RIVISTA DEL CINEMATOGRAFO” 1966

64/65 anniversari

a 50 anni da NELL’ANNO DEL SIGNORE

Le foto della sezione ‘Anniversari’ sono state gentilmente concesse dall’archivio fotografico © Si ringraziano dott. Marcello Foti, direttore Cineteca Nazionale; dott.ssa Daniela Currò, conservatore della CN; dott.ssa Viridiana Rotondi, responsabile Archivio fotografico della CN; dott. Alessandro Andreini, ricerca e elaborazione immagini Archivio fotografico della CN. rewind - anniversari a 50 anni da Nell’anno del Signore 1969: L’ANNO DOMINI DI GIGI MAGNI di GIORGIO GOSETTI

Da qualche mese, dal 21 marzo la Repubblica Romana, dell’unità nata a veder compiere e scordare i 2019, il belvedere del Giardino de- d’Italia. Il Pasquino di Nell’anno destini degli uni e degli altri, le for- gli Aranci a Roma porta il nome di del Signore (1969, secondo film del tune di un’epoca e il suo passaggio Luigi Magni: forse il più bel regalo regista) vive nel 1825, si fa chia- di testimone a quella successiva. che la smemorata Capitale poteva mare Cornacchia, fa il ciabattino, Più della trama del film – talmen- fare a uno dei suoi figli più ironici, si finge analfabeta ed è testimone te lineare e popolare da valere affettuosi, fedeli nel sarcasmo e del doppio delitto di Stato con cui un epigramma di Pasquino -, più nella memoria. La data non è ca- il Papa, l’ormai anziano Leone XII, dell’inatteso e travolgente succes- suale visto che Gigi era nato pro- manda alla ghigliottina i giova- so con code di spettatori ovunque prio il primo giorno di primavera nissimi carbonari Leonida Mon- e spettacoli straordinari di mezza- del 1928. Il 27 ottobre di sette anni tanari e Angelo Targhini. Intorno notte allestiti in fretta e furia, sono fa se ne sarebbe andato, zitto zitto, a loro il regista orchestra per la tre gli elementi di Nell’anno del Si- a conclusione di un silenzio arti- prima volta il suo inconfondibile gnore che oggi lo restituiscono a stico fin troppo lungo, cominciato “teatro dei pupi” in cui riassume una piena modernità. Si tratta in- nel 2003 dopo l’ultimo sodalizio la quintessenza di una romanità tanto dell’opera seconda di un re- con Nino Manfredi nel televisivo che elegge a unità di misura uni- gista cresciuto “a bottega”, forma- La notte di Pasquino, ambientato versale: i potenti che vivono disin- to alla scuola dei grandi battutisti nel 1870, proprio mentre i bersa- cantati all’ombra della curia, or- (Age&Scarpelli, Monicelli, Salce), glieri di La Marmora entravano a mai maschera svuotata di senso; animato da una vena impegnata Porta Pia e mettevano fine al pote- i poveri, gli ultimi della Terra cui e militante che condivideva con re temporale di Papa Pio IX. solo la lingua sferzante di Pasqui- la generazione dei Lizzani, Ma- 50 anni fa la coppia Magni/Man- no osa dar voce; gli ingenui come selli, Scola, ma sempre curioso fredi si componeva per la prima il frate stralunato di Alberto Sordi di incursioni ‘altre’ in compagnia volta nel nome di un altro Pasqui- e i romantici come la giudìa Clau- di registi tanto diversi tra loro no, coscienza civile della Roma dia Cardinale. E dietro a tutti que- come Lattuada, Mastrocinque, papalina attraverso gli anni della sti un coro di figurine che di Roma Festa Campanile, Bolognini. A ri- carboneria, della repressione, del- sono la voce perenne, città desti- vederne oggi l’opera completa si

66/67 può ben dire che il sincretismo di Magni porti nei suoi film almeno un po’ di tutti questi ed è davvero curioso che, nell’epoca in cui si magnificano gli esordi, fin dall’o- pera seconda questo “romano de’ Roma” sia nato già adulto, come Minerva dalla testa di Giove. Siamo poi in presenza del primo capitolo (anche se i prodromi era- no già avvertibili nel suo Faustina dell’anno precedente) di una saga che – quasi senza eccezioni – va a comporre un unicum nel cinema italiano: il ritratto storico di una città inteso come specchio e mo- nito per la contemporaneità. Ri- vedere quell’affresco con gli occhi di oggi, nel cuore delle polemiche sullo “sfascio della Capitale”, ge- nera un moto di nostalgia, indi- gnazione, sberleffo che trasforma il presunto provincialismo del cinema di Gigi Magni in valore universale. Proprio come Roma che non è più soltanto la capitale derelitta di una nazione derelitta, ma la pietra dello scandalo di una cultura e una civiltà al tramonto. Terzo valore di questo film è il suo sistema ideologico, quasi un con- trocanto “da sinistra” riservato alla stessa Italietta che un decennio prima Guareschi e Fernandel ave- vano raccontato “da destra” con la saga, questa sì deliziosamente pro- vinciale, di “Don Camillo”. La fortuna critica dell’autore – si come la sua idea della Storia pa- ne simboli astratti del ribellismo sa – è sempre stata limitata e di tria si rispecchi nella riflessione, in un’Italia colta nel cuore della rado ha comunque varcato i con- altrimenti ideologica, del Vi- sua pre-adolescenza repubblica- fini nazionali. Spesso lo hanno sconti di Senso e Il Gattopardo. na. Ma balza agli occhi altrettanto raccontato come il Guido Gozza- In un caso a dominare è l’idea del- chiaramente che a Magni interes- no del cinema, cantore di piccole la città, la radice profonda di po- sa conservare attraverso il cinema cose di pessimo gusto, compren- polo, lo scontro tra mito secolare il sapore e il senso di una Roma sibile solo a Trastevere e dintorni. e ordinaria miseria; nel secondo a che ogni giorno scolora e impal- Basterebbe un’occhiata scevra far da guida è la ricerca dei motivi lidisce sempre più, proprio come di pregiudizi ai suoi film migliori che hanno segnato l’evoluzione gli affreschi imperiali di Fellini. E per capire che il giudizio non solo di un Paese e il raffronto con una se i cardinali della saga di Magni è ingeneroso e sbagliato, ma che modernità che si scontra con ana- sono ancora fatti di carne e san- non tiene conto delle reali moti- loghi emblemi di un potere tra- gue, se i suoi preti oscillano anco- vazioni che ispirano un cinema in sformista e immutabile. In questa ra tra umanità e viltà, sa bene che cui l’affresco di Roma assomiglia seconda chiave non può sfuggire presto si trasformeranno in ma- alla ricostruzione al microscopio che Nell’anno del Signore appa- schere, scheletri e vuoti simulacri, di un campionario sociale in cui ia nel cuore della contestazione o piuttosto vittime di un sistema affondano le radici di un popolo e giovanile – la prima e unica rivo- destinato a vincere una volta an- la corruzione di una cultura mil- luzione generazionale della storia cora. Ma forse non per sempre... lenaria. Sarebbe anzi interessan- dell’Occidente – e che i raffronti Non ha senso una banale riva- te confrontare la visione onirica con l’oggi sono fin troppo sforza- lutazione postuma che tolga il che della città ci offre Fellini con ti, arrivando a staccare le figurine regista dal cono d’ombra in cui quella, apparentemente mini- dei martiri carbonari dalla loro è stato lasciato per farne ciò che malista e aneddotica di Magni; verità storica (in buona misura non era. Alfiere di una commedia altrettanto stimolante vedere molto meno romantica) per far- all’italiana che anticipava i tempi

rewind - anniversari a 50 anni da Nell’anno del Signore e mordeva alla gola i difetti e i vizi gio storico o quando altera i profili fendere i privilegi restaurati dopo del sentire comune, con la sfac- anagrafici di Montanari e Targhet- l’uragano napoleonico tenendo a ciataggine del fustigatore e l’affet- ti, piegandosi in questo anche bada (con maggiore o minore du- to dichiarato di chi sa di far parte alle esigenze della coproduzio- rezza) i moti insurrezionalisti, gli dello stesso mondo, Gigi Magni si ne italo-francese organizzata da ebrei di Roma erano stati richiusi è ritagliato il ruolo dell’antropo- Bino Cicogna con la Euro Cine- nel ghetto, il coprifuoco esaltava logo di città, un De Martino sor- matografica. I due veri carbonari, uno stato poliziesco e paralizzava ridente e ironico, smagato e no- nella realtà entrambi forestieri la città, spie e complottisti tesse- stalgico, romantico e sarcastico. nella città di Leone XII, vennero vano trame e denunciavano amici Niente di più o di meno, coerente arrestati e condannati per il ten- e oppositori. Nell’eleggere il cia- nei comportamenti personali e in tato omicidio del Principe Filippo battino Cornacchia a intrepido questo tanto più leale ai suoi ide- Spada che, pur tentato dalla se- Pasquino, Magni si prende invece ali di molti colleghi. Forse è stata duzione dei moti insurrezionali, una libertà storica del tutto legitti- anche questa coerenza sommes- finisce per denunciarli. Cadranno mata dall’ininterrotto anonimato sa, questa bonomia da nanetto sotto la lama della ghigliottina, che proteggeva gli autori degli epi- saggio a garantirgli nel tempo l’unica “modernità” adottata dal grammi satirici affissi sul dorso amicizie, sodalizi professionali e Papa nonostante fosse stata il privati che gli permisero di essere simbolo della Rivoluzione Fran- popolare e fuori dal coro al tempo cese. È invece realtà storica che stesso, conciliando anche visioni in quell’epoca confusa e retriva, politiche e sociali molto diver- in cui dai Savoia ai Borbone delle se dalle sue con mattatori quali Due Sicilie, dai Granduchi di To- Gassman e Sordi, Tognazzi e Vitti scana ai Papi di Roma e alle poten- (tutti i colonnelli del cinema degli ze europee tutti cercavano di di- Anni ’60), Pippo Franco e Vittorio Mezzogiorno (personalità davve- ro agli antipodi), Johnny Dorelli e Lando Buzzanca. E su tutti Nino Manfredi, alla fine il vero alter ego delle sue scorribande nella Roma sparita, un ciociaro a Roma pro- prio mentre il regista cercava a Velletri quel sapore perduto che i sanpietrini di Via Giulia non ave- vano più. Romanissima è anche la sua cerchia di legami professio- nali: la moglie costumista e sce- nografa, l’adorata Lucia Mirisola veneziana inurbata; i musicisti Ar- mando Trovajoli e Nicola Piovani, i direttori della fotografia Franco Di Giacomo e Danilo Desideri, il montatore Ruggero Mastroianni che solo per lui si prestò a fare l’at- tore in compagnia del fratello Mar- cello. Una compagnia che si forma proprio alla fine degli Anni ’60 e che presto imparerà insieme a lui la strada della trattoria Otello a Via della Croce per le celebri cene del mercoledì, altro segno oggi sparito del migliore cinema italiano. Come in tutti i suoi film, anche per Nell’anno del Signore Magni parte da un fatto di cronaca minu- ta che ricostruisce con la passione del ricercatore pur prendendosi già in quest’occasione, numerose libertà “creative” come quando mantiene in servizio il celebre boia Mastro Titta facendolo mol- to più anziano del vero personag-

68/69 della statua romana addossata a commediacce di mestiere. Quan- un angolo di Palazzo Braschi sul do Giovannella Grifeo (Olimpia) lato di Piazza Parione (oggi Piaz- dà appuntamento al nordista Gu- za Pasquino) fin dal 1501. La tra- stavo (Enrico Papa) in Arrivano i dizione delle “pasquinate” risale bersaglieri, il dialogo è fulminan- a quel tempo e, tra un silenzio e te: “Stasera, quanno è scuro, a ‘na l’altro, proseguirà di fatto inin- cert’ora” dice lei. E Gustavo: “Sì. terrotta fino all’Unità d’Italia del Mi scusi ma... cos’è “una cert’ora? 1870 quando, ritiratosi il Papa in A che ora corrisponde?” e Olim- Vaticano, venne meno il bersaglio pia: “A ‘na cert’ora. A Roma, ‘na principe di questi attacchi, volta cert’ora è ‘na cert’ora”. E quando a volta politici o moraleggianti, Montanari in Nell’anno del Signo- di puro scherno o di vernacola re affida la sua amata Giuditta a ironia. Tra le tantissime, vale la Cornacchia: “se mi dovesse suc- pena di rileggerne una destinata cede qualche cosa... pensace te a proprio a Leone XII e fedelmente Giuditta”, la risposta è altrettanto riportata nei dialoghi del film: fulminante: “Ma io già ce stavo a “Passando Della Genga, un forestie- pensa’ tanto bene prima che arri- re domandò: “Questi è il Santo Pa- vassi te... È arrivato Pensace!”. La dre, è vero?”. concisione, il gusto eterno della Ma il capitan de’ Svizzeri che udì ri- battuta disincantata, la conserva- spose: “Santo no, ma padre sì”. zione di uno spirito che supera i Oppure quest’altra che Cornac- secoli si traducono in dialoghi che chia non poteva forse scrivere hanno il sapore dell’epigramma. ma che riassume bene il comune “Sai – diceva Magni in un’inter- sentire della città alla morte dello vista a Gianfranco Gramola – io stesso pontefice: fondamentalmente non sono un “Tre dispetti ci festi, o Padre Santo: nostalgico, anche perché credo accettare il papato, viver tanto, mo- che la nostalgia sia un sentimento rir di carneval per essere pianto. reazionario. Semmai la memo- Se morivi nei dì quaresimali, Leon ria, la memoria è fondamentale, che in vita tanto mal ci festi, a retag- è importante conservare. Mi ri- gio comun lasciato avresti il piacer cordo, sì una Roma con una vita di goder due carnevali”. diversa. Era una Roma quasi di La lingua di Pasquino, la lingua paese, perché Roma era una città del Belli è il cuore della poetica assediata dalla palude e confi- del cinema di Magni e in Nell’anno nante con la palude e con l’Agro del Signore sgorga naturale, con un detto anche deserto…era la cam- gioco sapiente tra il romanesco pagna romana molto simile anche più autentico e i correttivi quasi geograficamente a una savana. E impercettibili che ne permettono quindi una città chiusa in sé, una la comprensione anche al pubbli- città popolata di fantasmi e di co del Nord come a quello delle ruderi. Io sono nato in una Roma Isole. La lezione è certamente che ancora aveva un milione di quella di Age&Scarpelli, ma l’in- abitanti. Nell’ultimo censimento fluenza di Garinei&Giovannini del ’38 eravamo un milione com- si avverte altrettanto netta. Tra presi anche i contorni come si le beffe della sua vita c’è anche chiamavano all’epoca, non din- quella “collaborazione artistica” torni. Insomma, una vita appunto a Rugantino che non gli valse mai rinchiusi nei rioni e nei quartieri. una lira nei diritti d’autore, ma C’era gente che viveva a Ponte e che nel 1962 gli diede per la prima non era mai andata a Prati. Quan- volta la certezza che poteva tra- do uno cambiava casa e si trasfe- durre in poesia e risata la lingua riva appunto nei quartieri perché dei padri, quella che da bambino sentiva l’esigenza dell’ascensore, aveva sentito parlare tra Via Giulia dei termosifoni e di queste co- e Vicolo Savelli, via del Babuino siddette comodità moderne, si e Trastevere. In questa lezione di diceva ‘Ma n’do vai a abita’? –Uh, antropologia culturale fu senz’al- a’ lo sprofonno!’. Lo sprofondo tro un precursore perché il roma- era una località che indicava tutto. nesco dei suoi film non è la lingua Si diceva anche ‘ a casa del diavo- bastarda dei telecronisti e delle lo’, un posto lontanissimo. Oggi rewind - anniversari a 50 anni da Nell’anno del Signore ci si va a piedi ma una volta era è quello che erroneamente viene patibolo. “Io sono comunista da Gigi Proietti a In nome del Papa così, era una vita chiusa in quattro chiamato “menefreghismo” ed è quarant’anni – diceva Gigi - e cri- Re (1977) fino ad Arrivano i bersa- strade…Il mio poeta de ‘na vorta invece smagata certezza di come stiano da venti secoli” e così rias- glieri (1980) con Ugo Tognazzi e chiaramente è Gioacchino Belli. le cose andranno a finire. Questo sumeva la contraddizione di una un giovane Vittorio Mezzogiorno. Non vado pazzo per Trilussa o Pa- se si resta attaccati supinamente gente che, alla fine, rimane a metà In una carriera di straordinario scarella. I nostri tre poeti possono al passato e al quieto vivere. Ma del guado. Per questo ha sempre rigore sotto il velo del sorriso e essere collocati anche geografica- un altro mondo è possibile e il proposto una contro-storia dell’I- della beffa, Gigi svelò solo due mente a Roma: Belli è Trastevere, regista individua nei 50 anni cru- talia risorgimentale, aprendo un volte l’altra indole del suo carat- Pascarella è Piazza di Spagna e ciali del sogno repubblicano della libro di storia che si fa ballata po- tere, malinconica, utopista, so- Caffè Greco mentre Trilussa è Roma libertaria contro quella del polare, perché gli italiani di oggi gnatrice: partecipando nel 1984 al Montecitorio, pur essendo nato in Papa Re il momento in cui tutto si riapproprino della propria me- documentario a più voci L’addio Via del Babuino dove adesso abito poteva prendere un’altra piega. moria tenendo distante la retorica a Enrico Berlinguer e poi nel 1995 io. Però sono tre Rome diverse, c’è Proprio come ai tempi del Mag- savoiarda e poi mussoliniana. A con l’autobiografico Nemici d’in- una certa differenza e il mio cuore gio ’68, quando l’immaginazione quest’idea rimarrà sempre fede- fanzia. Schivo, silenzioso, talvolta barocco è sempre verso il Belli”. voleva conquistare il potere. E le con un cinema troppo a lungo scontroso come Brontolo e in pri- Se nel cinema di Magni la forma allora come 100 anni dopo i “rivo- sottovalutato dai critici e quasi vato gentile come Mammolo, in- è dunque essenza stessa di un luzionari” commettono lo stesso sempre invece premiato da un namorato da sempre della stessa modo di rappresentare, la sostan- errore: si scordano il popolo, non pubblico che si dimostrava più donna, celava sotto la maschera za appartiene alle motivazioni hanno le parole giuste per farsi maturo degli intellettuali. Ven- dell’ironia e dello scetticismo una che lo portano a vestire di abiti capire, immaginano e non vivono. nero così gli incantevoli bozzet- passione civile degna dell’amico sempre nuovi il manichino che Ed è per questo che il cachinno di ti, degni della migliore cultura Mario Monicelli. lo interessa per convinzione e Pasquino ferisce più delle spade romana, che si ricordano da La ideologia. La romanità di Magni dei carbonari che poi finiscono al Tosca (1973) con e

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SCANNER GEOGRAFIE

74 Le attività 92 L’isola che c’è 99 Valentina Cortese del Coordinamento di Oscar Iarussi (1923-2019) nazionale di DG cinema, Flautata, surrealista, Regioni e Film Commission dodecafonica, futurista di Iole Maria Giannattasio, di Stefano Stefanutto Rosa Monica Sardelli, Bruno Zambardino COMPLEANNI INTERNET E NUOVI CONSUMI FOCUS PALESTINA 94 80 anni di Carlo Cecchi Lo stile non esagera mai 100 Genio e 81 Sapienza nomade di Stefano Stefanutto Rosa spregiudicatezza. di Roberto Silvestri Così il cinema diventa meme di Carmen Diotaiuti 95 Renato Scarpa, 80 anni sotto il segno 86 Audacia e tradizione della Vergine impegnata di Gian Luca Pisacane MARKETING DEL CINEMA ITALIANO di Samia Labidi 102 Non drammatizziamo è solo questione RICORDI di marketing di Nicola Calocero CINEMA ESPANSO 96 Pietro Coccia (1962-2019) 88 Flatform: uno, nessuno Con l’obiettivo e centomila rivolto verso il cielo 104 BIOGRAFIE di Nicole Bianchi di Cristiana Paternò

97 Franco Zeffirelli 90 Troisi. Eccetera, eccetera (1923-2019) di Hilary Tiscione Affacciato sul mondo della bellezza di Nicole Bianchi

98 Ugo Gregoretti (1930-2019) Geniale esploratore, mai senza i suoi occhiali di Marlon Pellegrini scanner

LE ATTIVITÀ DEL COORDINAMENTO NAZIONALE DI DG CINEMA, REGIONI E FILM COMMISSION

DI IOLE MARIA GIANNATTASIO, MONICA SARDELLI, BRUNO ZAMBARDINO

L’organismo previsto dalla Legge Cinema ha la finalità di armonizzare e rendere più efficaci gli interventi statali e regionali a favore del settore cinematografico e audiovisivo. In seno al Coordinamento, istituiti a inizio 2019, due gruppi di lavoro misti, dedicati all’armonizzazione dei bandi regionali e al rapporto tra audiovisivo e beni culturali.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema Sono entrate nel vivo le attività del Coordinamento nazionale delle Film Commission previsto dalla Legge 220/2016 “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” allo scopo di armonizzare e rendere più efficaci gli interventi statali e regionali a favore del settore cinematografico e audiovisivo. A inizio 2019 sono stati istituiti, in seno al Coordinamento, due gruppi di lavoro misti, con una rappresentanza di Regioni e Film Commission, dedicati a due questioni piuttosto importanti nel mondo dell’audiovisivo, ovvero l’armonizzazione dei bandi regionali e il rapporto tra audiovisivo e beni culturali.

74/75 L’ARMONIZZAZIONE DEI BANDI REGIONALI

Sempre più Regioni si dotano di strumenti economici allo scopo di at- trarre le produzioni e indurle a investire sui territori. Il primo gruppo di lavoro, composto dalle Film Commission di Trentino, Friuli-Venezia Giulia e Puglia e dalle Regioni Toscana, Sicilia ed Emilia-Romagna ha analizzato 25 fondi regionali per un valore totale stimato in 50 milioni di euro di provenienza regionale o comunitaria. Lo scopo è quello di con- frontarne il funzionamento e valutare alcune correzioni atte a renderli il più possibile omogenei tra loro, un processo auspicato dalla Legge Cinema e motivato dalla volontà di presentarsi agli interlocutori esterni (produttori italiani e stranieri) in maniera più compatta e con maggiore forza. Tra gli altri obiettivi del gruppo, anche quello di sviluppare nuove strategie e strumenti comuni per migliorare la collaborazione tra le Film Commission e il MiBAC. L’analisi dei bandi ha rilevato alcuni elementi comuni e altri discordan- ti, questi ultimi non modificabili oppure migliorabili nel breve o nel lun- go termine. Gli elementi comuni rilevati riguardano: il meccanismo di erogazione, che si basa su una procedura di tipo selettivo, con un’unica eccezione, il Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo della Regio- ne Lazio, che utilizza un meccanismo di tipo automatico; la tipologia di concessione, a fondo perduto in 21 casi e cash rebate nei restanti 4. Tra gli elementi discordanti, le opzioni non modificabili riguardano: i requisiti di ammissibilità di un progetto o di un beneficiario, le cui differenze tra i bandi derivano dalle diverse priorità alla base dell’isti- tuzione del fondo e dal diverso peso dato dall’elemento culturale (es. il riconoscimento di un’opera come prodotto culturale), economico (es. l’utilizzo di troupe locali) e promozionale (es. la distribuzione); le differenze sul numero di scadenze annue e sui massimali di contribu- to, causate dalla provenienza dei fondi (Regione o UE) e dall’importo totale messo a disposizione. Altri elementi discordanti sono tuttavia passibili di miglioramento, a breve o a lungo termine, attraverso un lavoro mirato. Tra gli elementi perfezionabili a breve termine, è possibile uniformare la documen- tazione che le Film Commission richiedono ai produttori a partire da piano finanziario, budget e preventivo delle spese ammissibili sul territorio; tra le azioni proposte per migliorare questo aspetto si po- trebbero acquisire e analizzare i modelli MiBAC e i bandi UE, adattare la documentazione alle esigenze delle Film Commission e creare una versione condivisa.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema Un’altra questione su cui si po- trebbe lavorare nel breve periodo riguarda il linguaggio utilizzato nei regolamenti a corredo dei bandi: l’obiettivo sarebbe quel- lo di adottare una terminologia comune tra le Film Commission partendo da quella utilizzata dal logia di prodotti eleggibili: se la MiBAC nel testo della Legge Ci- maggior parte dei fondi include i nema. La terminologia dovrebbe lungometraggi nelle varie forme essere omogenea anche nelle (opere prime, opere seconde o versioni in lingua inglese dei senza distinzioni) e le fiction te- bandi regionali, affidando, per levisive, spesso sono escluse dal rogazione, che può essere suddivisa in 1-2-3 tranche con quote diverse; esempio, tutte le traduzioni ad finanziamento le altre tipologie si propone di usare come standard il modello più diffuso, compatibil- un unico professionista esperto di opere (cortometraggi, docu- mente con i vincoli dovuti alle diverse normative regionali. in materia. Si può intervenire in mentari, animazione, prodotti per Infine, si è riscontrata eterogeneità tra i fondi riguardo i termini di inizio tempi brevi anche sulla certezza il web o format televisivi). Anche riprese e completamento dell’opera, con differenze sostanziali dovute delle tempistiche di risposta alle in questo caso l’obiettivo di lun- alla provenienza dei fondi (Regione o UE) per il quali sarebbe utile indi- domande di contributo indican- go termine è quello di allargare le viduare i modelli più diffusi per provenienza e proporli come standard. do nei bandi o sui siti delle Film tipologie di prodotti supportati Il gruppo ha evidenziato la possibilità di sviluppare nuove attività per Commission un termine defini- estendendole almeno a lungome- migliorare l’efficienza del sistema proponendo, ad esempio, strategie to che, in un secondo momento, traggi, documentari e fiction tv. di condivisione della documentazione relativa ai produttori (DURC, potrebbe divenire il più possibile Manca uniformità tra i beneficiari: procedure antimafia, codici ATECO etc.); condivisione dell’accesso al omogeneo tra i vari bandi. l’analisi dei bandi mostra le varie database del MiBAC per verificare il cumulo di aiuti ricevuti dai poten- Altri interventi possibili richie- entità giuridiche presenti (società ziali beneficiari; individuazione di ulteriori modalità di semplificazio- dono, secondo la riflessione del di produzione italiane, europee e ne nel controllo del cumulo di aiuti e la coerenza di quanto dichiarato gruppo di lavoro, una tempistica extraeuropee, società di produ- nelle diverse application. Alcune Film Commission stanno lavorando più lunga. Uno di questi riguarda zione esecutiva italiana, associa- all’inserimento nei regolamenti di nuove tematiche quali green set, pari il canale a cui sono destinate le zione culturale italiana e europea) opportunità, resa accessibile: anche queste tematiche o altre in via di opere audiovisive. L’analisi dei 25 e andrebbero ampliate dove pos- sviluppo potrebbero essere oggetto di sinergie tra le Film Commission. fondi ha infatti evidenziato che 15 sibile le categorie ammesse. includono tra i destinatari opere Sarebbe opportuno allineare alla per cinema, tv e web; 9 includo- normativa europea il rapporto tra no produzioni per cinema e tv; contributo erogato e costo totale uno riguarda solo le produzioni dell’opera, che, nei fondi alla pro- cinematografiche. Obiettivo del duzione analizzati, varia dal 20% tavolo è quello di estendere il più all’80%. Un altro possibile inter- possibile l’ammissione ai finan- vento a lungo termine riguarda la ziamenti di prodotti destinati rendicontazione ed erogazione al web. Altro fattore su cui non dei fondi: i bandi analizzati preve- c’è omogeneità riguarda la tipo- dono modalità differenti per l’e-

76/77 IL RAPPORTO TRA PRODUZIONI E BENI CULTURALI

Aprire i beni culturali al cinema incremento dei visitatori dovuto za dei turisti (15,8%) seguito da Dai lavori del gruppo di lavoro è rappresenta una grossa opportu- all’esposizione mediatica, la co- due paesi europei, Gran Bretagna emersa una mancanza di chia- nità per il nostro patrimonio. È struzione di un nuovo immagina- (14,6%) e Francia (13,3%). Cina rezza nel percorso autorizzativo: emerso dunque il bisogno forte rio legato al bene e l’incremento e India si piazzavano al quarto e spesso le produzioni e le Film di armonizzazione delle temati- dell’indotto in termini turistici e quinto posto, (con l’8% e il 7,4% Commission che le assistono che che rientrano nel rapporto promozionali. dei turisti), a dimostrazione di devono interloquire con diversi tra audiovisivo e beni culturali Questa riflessione va fatta non come sia ampio e variegato l’in- referenti e le procedure non sono con particolare attenzione al pro- solo con riferimento ai musei o teresse per questa nicchia di turi- uniformi. Bisognerebbe apporta- blema dei tariffari relativi all’uso aree archeologiche ben noti al smo. A tale scopo il tavolo auspica re una semplificazione definendo dei beni per le riprese. È questo grande pubblico internazionale, il raggiungimento di un sistema in primis i diversi livelli di coin- l’obiettivo del secondo gruppo di ma anche e soprattutto per quei armonizzato di accesso e utilizzo volgimento di sovrintendenti, di- lavoro, composto da Roma Lazio beni poco conosciuti in Italia e dei beni culturali che sia normato rigenti di riferimento, personale Film Commission, Film Com- all’estero che beneficerebbero di e applicato a tutti i beni naziona- operativo e l’identificazione di un mission Regione Campania, Film promozione pressoché gratuita. li, da quelli più noti a quelli meno solo livello per struttura che pos- Commission Torino Piemonte, e Se inoltre la presenza di produ- conosciuti. sa concludere il processo autoriz- le Regioni Marche, Friuli-Venezia zioni importanti su un territorio Il punto di vista delle produzioni è zativo con maggiore efficacia e in Giulia e Puglia. si integrasse con azioni di marke- che una nuova offerta di beni cul- tempi ragionevoli. Le tempistiche Tra i benefici diretti in cui incorre- ting mirato, ne beneficerebbero turali italiani debba essere: spen- andrebbero definite a priori per rebbero i beni culturali, va tenuto non solo il bene interessato, ma dibile sui mercati internazionali, evitare periodi di non operatività conto degli incassi relativi alla l’intera area circostante, andando esteticamente attraente, condivi- in caso di risposte tardive, ma, ad concessione d’uso per le riprese, oltre il periodo immediatamente sa tra MiBAC, Film Commission e oggi, manca uniformità sui tempi della promozione e dell’indotto successivo alla programmazione Regioni, accompagnata da un’of- per ottenere l’autorizzazione. che l’arrivo di una produzione dell’opera sui canali mediatici di ferta di fondi regionali. Riguardo a può portare nell’area di riferimen- distribuzione previsti. Una ricerca questi punti, si sta facendo molto to. A questi vanno aggiunti i bene- del 2017 di Jfc (società di consu- grazie al portale Italy for Movies, fici indiretti tra cui il potenziale lenza in ambito turistico e terri- strumento della Direzione Cine- toriale) sul cineturismo eviden- ma e gestito da Istituto Luce-Ci- ziava come gli Stati Uniti fossero necittà che, grazie alla collabo- il principale paese di provenien- razione delle Film Commission, fornisce visibilità a un gran nu- mero di tali beni sparsi su tutto il territorio e, dunque, anche musei e aree meno blasonate, associan- doli agli incentivi disponibili. Va tuttavia fatto un lavoro condiviso per giungere ad un’offerta chiara dal punto di vista dei costi, tempi, referenti e modalità. Partendo dai referenti, è necessa- rio che ciascuna struttura abbia una persona di riferimento che fornisca alle produzioni, secondo criteri di trasparenza e uniformità a livello nazionale, le informazio- ni relative a utilizzo, procedure, tempistiche, tariffe etc. tenendo presente che se non si fornisco- no risposte in tempi ragionevoli le produzioni sono spinte a rivol- gersi altrove. È necessario sapere rapidamente e con chiarezza cosa è possibile fare e non fare all’inter- no dell’area scelta per le riprese poiché un’eccessiva discreziona- lità delle sovrintendenze potreb- be costituire un ostacolo.

latest - scanner dati e tendenze del mercato audiovisivo a cura di DG Cinema Un tassello che sta piuttosto a cuore agli addetti ai lavori è la proble- Nell’utilizzo dei beni è importante matica delle tariffe. Queste dovrebbero tener conto della concorrenza rispondere alle esigenze di tutela, internazionale. La bellezza delle location italiane non è sempre un crite- conservazione, sicurezza e valo- rio di scelta delle produzioni, che, in presenza di maggiore convenienza, rizzazione del bene. Su quest’ulti- possono decidere di girare altrove. All’interno del tariffario, dunque, mo punto il lavoro di mediazione andrebbero previste delle sottocategorie di prezzo in base a tipologia, delle Film Commission può es- durata e diffusione internazionale del progetto. Un tariffario dei beni sere molto utile nel garantire ad modulato per tipologia di prodotto (documentario, pubblicità, tv, cine- esempio che le produzioni rispet- ma etc.) per tipologia di impatto sul bene e in fase di ripresa (numero di tino gli impegni promozionali del macchine da presa, numero di componenti delle troupe etc.) rendereb- bene e, in aggiunta, dando vita ad be sicuramente il bene più spendibile agli occhi delle produzioni. attività promozionali congiunte L’attuale conteggio tariffario include una percentuale che, secondo le come masterclass all’interno del Film Commission, è molto aleatoria, relativa al mancato incasso del bene coinvolto dalle riprese. In bene in caso di chiusura per riprese. Una impostazione secondo crite- prospettiva, infine, il tavolo può ri omogenei dovrebbe approfondire la questione del mancato incasso svolgere un continuo lavoro di valutandolo anche alla luce del potenziale ritorno in termini promo- monitoraggio, con approfondi- zionali. Altra questione che risulta arretrata nell’attuale scenario in menti futuri, evidenziando punti cui operano produttori globali quali Netflix o Amazon è includere nel deboli delle attuali procedure au- conteggio delle tariffe il criterio del numero dei paesi in cui l’opera è torizzative e punti forti per un’of- distribuita. Infine, va rivisto il metodo di pagamento attraverso la cre- ferta condivisa del nostro patri- azione di un modello standard. monio al settore audiovisivo nello La posizione delle produzioni nel dibattito relativo alle tariffe si scontra sforzo comune di promuovere al in parte con chi lavora a stretto contatto con i beni culturali e, in genera- meglio l’intero Paese. le, con chi ritiene che i beni vadano valorizzati e non svenduti. Il proble- ma del mancato incasso, ad esempio, va a intersecarsi con la necessità di garantire al turista la visita del bene. Il recente annuncio del colosso Netflix che investirà 200 milioni di euro in Italia, dimostrerebbe, inol- tre, che se girare in Italia può risultare economicamente meno conve- niente, un punto di forza del nostro territorio è la grandissima varietà e qualità di paesaggi. Il nostro patrimonio deve dunque diventare un valore aggiunto ma a tariffe accessibili.

78/79 FOCUS PALESTINA NOME UFFICIALE: نيطسلف ةلود - Palestina FORMA DI GOVERNO: Repubblica semipresidenziale LINGUA UFFICIALE: arabo, ebraico CAPITALE: Gerusalemme Est (proclamata), Ramallah (de facto) NUMERO ABITANTI: 4.817 milioni DENSITÀ: 666,9 ab/km2 SUPERFICIE: 6.220 km2 VALUTA: sterlina palestinese (moneta dormiente); sterlina egiziana, siclo israeliano, dinaro giordano

latest - focus Palestina SAPIENZA NOMADE DI ROBERTO SILVESTRI

di Elia Suleiman, una ballata po- etica comica e melanconica, tra Buster Keaton e Kafka, capace di osservare ben più in là dei confini angusti di un pur agognato Stato e meditare sulle malattie esizia- li del mondo d’oggi. Suleiman, studi alla New York University, fa ormai parte del gotha mondiale. È il Woody Allen palestinese, la Per molto tempo, prima e dopo controprova dell’esistenza seco- Nel Tempo che ci rimane (2009), la fine del Mandato Britannico lare dell’umorismo arabo, basta Suleiman raggiunge la perfezio- nel 1948, la Palestina è rimasta collezionare tutti i suoi grotteschi ne formale. Un film incantevole, senza voce e senza immagine, feroci: da Cronaca di una spari- rabbiosamente tenero, che non come la maggior parte dei Paesi zione (1996) pieno di silenzi e di è da giudicare, ma che ci giudica. colonizzati, progressivamente situazioni alla Aki Kaurismäki se Ansia, monotonia, immobilità del privati di sguardo e punto di vi- non altro per criticare il cinema tempo e ostruzione dello spazio sta, perché così se ne possono commerciale egiziano così verbo- sono caratteristiche che ormai spogliare meglio le risorse natu- so, così radiofonico, a Intervento ci riguardano al di là della que- rali e immateriali. divino (2007) che è costretto ad stione nazionale palestinese. E anticipare le prestazioni atletiche, sono presenti nei film da Oscar di Ma negli ultimi anni questa ci- acrobatiche e pugilistiche delle Abu-Assad (Paradise now, 2003), nematografia, che ha problemi super eroine Marvel perché per sulla sindrome martiriologica logistici e finanziari come nes- scavalcare i muri e i check point degli adolescenti senza futuro, in sun’altra, si e imposta all’atten- israeliani non c’è altra soluzione. Atash (Sete, 2004) di Tafiq Abu zione mondiale con opere di alto “La differenza tra i due lungome- Wael, decostruzione del patriar- livello artistico scritte e dirette da traggi – scrivono i critici Nurith cato che terrorizza una famiglia raffinati cineasti erranti, radicati Gertz e George Khleifi nel 2009 quanto le autorità israeliane, e nel territorio o della diaspora, ma – illustra con chiarezza quanto Arna’s Children (2004) di Juliano di ineguagliata sapienza nomade, succedeva dentro la società e nel Mer Khamis, la storia dei bambini elaboratori sapienti dell’imma- cinema palestinese nel periodo di un teatro fondato da Arna Mer ginario post-traumatico come la compreso tra gli accordi di Oslo Khamis, la madre del regista nel “californiana” Mai Masri, il “bel- e lo scoppio della Seconda In- campo profughi di Jenin. Svolta ga” Michel Khleifi, l’israeliano tifada, tra la ‘quiete prima della privata? Non solo. Sappiamo bene di passaporto Mohamed Bakri, tempesta’, come lo definisce Su- che dietro ogni incursione contro Rashid Masharawi palestinese di leiman e il periodo della ‘distru- feroci militanti di Hamas si può Ramallah e il “new yorker” Elia zione’ e ‘disintegrazione totale’ ”. nascondere la distruzione di una Suleiman, fino a contendere al galleria d’arte, di un videoclub, di fotofinish l’Oscar 2014 per il miglior un teatro. Perché è lì che nasce il film straniero a La grande bellezza, vero pericolo per i fanatici dell’al con Omar dell’israeliano arabo di là e dell’al di qua. Hany Abu Assad (sul Muro, l’ami- cizia, il tradimento) e conquistare la Menzione speciale della Giuria di Cannes 2019 con It Must Be Heaven

80/81 Nel Tempo che ci rimane (2009), Su- leiman raggiunge la perfezione for- male. Un film incantevole, rabbiosa- mente tenero, che non è da giudicare, ma che ci giudica. Ansia, monotonia, immobilità del tempo e ostruzione dello spazio sono caratteristiche che ormai ci riguardano al di là del- la questione nazionale palestinese. E sono presenti nei film da Oscar di Abu-Assad (Paradise now, 2003), sulla sindrome martiriologica degli adolescenti senza futuro, in Atash (Sete, 2004) di Tafiq Abu Wael, deco- struzione del patriarcato che terro- rizza una famiglia quanto le autorità israeliane, e Arna’s Children (2004) di Juliano Mer Khamis, la storia dei bambini di un teatro fondato da Arna Mer Khamis, la madre del regista nel campo profughi di Jenin. Svolta pri- vata? Non solo. Sappiamo bene che dietro ogni incursione contro feroci militanti di Hamas si può nascondere la distruzione di una galleria d’arte, di un videoclub, di un teatro. Perché è lì che nasce il vero pericolo per i fanati- ci dell’al di là e dell’al di qua.

La data di nascita del cinema pale- ginazione e realtà. È il primo film dignità. Anche qui è tutto un gio- stinese moderno è da retrodatare che capovolge il mantra propa- co di spazi, la poesia dei campi però al 1980. E il film della svolta gandistico: mette con le spalle al lunghi contro la claustrofobia del è La memoria fertile diretto in pri- muro il maschio arabo-palestine- controllo armato. E di liberazione ma persona singolare maschile da se e attribuisce al suo inossidabile dei tempi, visto che la vita è scan- Michel Khleifi (e montato nel co- vizio patriarcale le maggiori colpe dita dagli arbitrari coprifuoco mi- mune esilio belga dalla futura re- della stagnazione politica araba in litari. Cantico delle pietre (1990) è gista Moufida Tlatli, tunisina) che generale. Nel 1981 Khleifi firmerà la storia d’amore Anni ‘70 tra un non chiarisce le ragioni della gran- con il francese André D’Artevelle futuro ergastolano, poi graziato, de Causa ma prende spunto dalle La strada di El Naim, sull’assas- e un’esule negli Stati Uniti che si piccole cose della vita. Il cibo, il sinio e i funerali (ad Amman) di ritrovano nella prima Intifada e sesso, la salute, la ricerca della Naim Khader, rappresentante la passione si riaccende. L’ultimo felicità. E solo così, dal basso, si dell’Olp a Bruxelles, il cui corpo film di Khleifi è l’autobiografico occupa della condizione delle non potrà essere sepolto nel suo Zindeeq (2009) con Mohamed donne (e dunque dell’uomo) villaggio natale di Zabadbe, nel Bakri nel ruolo di un filmaker che sotto l’occupazione e della fram- nord della Cisgiordania, per espli- vive in Europa e torna a Ramal- mentazione e sugli spazi eteroge- cito divieto dell’esercito. Khleifi lah per rimeditare sulla storia del nei di una nazione da reinventare. vincerà il premio della critica in- Paese, dalla Nakba ad oggi. Bakri Ed ecco due ritratti divergenti: la ternazionale a Cannes, nel 1987, è anche Mahmoud, il protagoni- contadina Romyia Farah Hatoum, oltre ai Festival di San Sebastian sta de La via lattea di Ali Nassar 50 anni, vedova di villaggio che e Cartagine, per il primo lungo- (1997) che si svolge in Galilea nel abita una casa di pietra a Nazareth metraggio di finzione, a striature 1964 in un villaggio amministrato nella Galilea, e la giovane scrittri- surreali, che sarà anche un grande patriarcalmente da un collabora- ce di città, Sahar Khalifeh, che vive successo commerciale mondia- zionista. Mahmoud, amico dello da divorziata a Ramallah, nella Ci- le, Nozze in Galilea. In un villaggio scemo del villaggio, Mabruk, che sgiordania occupata. I loro ricor- sotto coprifuoco il capo ottiene vive d’elemosina, si ribella ai so- di, i tempi del quotidiano, la casa, dai militari israeliani il permesso prusi del capo villaggio ed è co- i dettagli, i primi piani, mentre la di festeggiare il matrimonio del stretto a fuggire lasciando solo e macchina da presa, in movimento figlio. La presenza (obbligatoria) disperato il povero mendicante. fluido e poetico, abbraccia - grazie dei soldati nemici non potrà che Per la sua opera prima Jenin Jenin a panoramiche lunghe e lente - le- complicare, però, la geometria (2003) Bakri ha subìto la censura gami tra persone e natura, imma- della festa. Non c’è festa senza del governo di Tel Aviv e numero- latest - focus Palestina si processi perché documentava le macerie nel campo profughi di Jenin Ma torniamo indietro. Dopo ti- È la prima volta che un film pale- (Cisgiordania), dopo un intervento militare israeliano senza precedenti midi saggi abortiti nel 1936, il ci- stinese partecipa a un festival in- protrattosi per undici giorni - dal 2 al 19 aprile 2002 - e che ha lasciato nema palestinese fa i suoi primi ternazionale e ottiene un ricono- almeno 600 morti sul campo. passi meditando sulla disfatta scimento. L’11 aprile 1976 mentre della guerra del 1967, e produ- filma gli scontri di Ain Toura, in Nel 1986 Mai Masri e Jean Chamoun hanno girato Fiore di ginestra (pre- cendo dozzine di documentari di Libano, Hany Jawhariyya è ucci- miato a Valencia e Cartagine) sulle donne palestinesi profughe nel sud propaganda che, salvo eccezioni, so dai falangisti libanesi. È il pri- Libano, dure e ostinate proprio come gli indistruttibili fiori di ginestra. avranno il difetto di “predicare ai mo chahid, martire del cinema Da Khadijeh, imprigionata dopo una manifestazione, alle vecchiette ve- soli patrioti convertiti”, di grida- nazionale. Lascia incompleto un late, rispettose delle tradizioni antiche, anche se applicano tutta la loro re in stentorea voce fuori campo libro sul ruolo del cameraman ri- sapienza culinaria per cucinare i candelotti di dinamite… ai militanti delle proprie organiz- voluzionario. Una sala cinemato- zazioni di resistenza (Fatah, Fplp, grafica di Tunisi prenderà il suo Una cineasta della nuova generazione come Sahera Dirbas in On the do- cioé Fronte popolare di libera- nome (che oggi non ha più). orstep (2018) mostra come tre generazioni di palestinesi hanno mante- zione palestinese, Fdlp, ovvero nuto un forte attaccamento emotivo rispetto alla loro casa perduta di Fronte democratico per la libera- Sarà dunque un cineasta egizia- Gerusalemme Ovest, conquistata dagli israeliani nel 1948. Tra loro la zione della Palestina…, Olp, etc.) no, Tewfiq Salah, nel 1972 a rea- ventunenne Valerie Bisharat, che solca l’oceano e s’immerge nei misteri la giustezza della propria linea lizzare in Siria il primo importan- di San Francisco per ritrovare gli avi e riattraversare il mondo fino all’in- politica e la necessità della lotta te lungometraggio di finzione, in contro, faccia a faccia, con l’attuale occupante israeliana della sua casa, armata, la ferocia abominevole glaciale bianco e nero, sulla que- Gisele Arazi, 96 anni. In Aspettando il Saladino (2001) Tawfiq Abu Wael è del nemico sionista, gli errori fa- stione palestinese, Les Dupes (Gli sulle piccole ricorrenti ingiustizie e sevizie della vita quotidiana, l’attesa tali dei gruppi avversi, attraverso ingannati), attualissimo dramma ore e ore ai posti di blocco, spesso dagli esiti fatali. dispositivi comunicativi in gene- dell’emigrazione, tratto dal ro- Come si vede, negli ultimi anni la raggiera tematica dei film palestinesi – re rozzi e procedimenti narrativi manzo del palestinese Ghassan nomadi per forza e desiderio - si è molto allargata, per esempio l’analisi esteticamente disarmati. Kanafani Uomini sotto il sole. Tre delle comunità della diaspora, anche europea e americana, si è fatta più proletari disoccupati, cacciati minuziosa e meno “sentimentale” o retorica. Un’eccezione è il fotografo e da zone diverse della Palestina, filmmaker Hany Jawhariyya, che dopo essersi opposti invano con ha studiato a Londra, il fondato- le armi all’occupazione israelia- re, nella cucina di casa ad Amman na decidono di emigrare nascon- in Giordania, di Unità Cinema. dendosi in un camion-cisterna Inizialmente il collettivo fa con- che attraversa la frontiera nel troinformazione solo fotografi- torrido deserto di Bassorah e rag- ca, vista la mancanza assoluta di giunge il ricco Kuwait. Moriranno materiale cinematografico tra i soffocati in quella cisterna, pri- paria del terzo mondo. Del 1967 è ma di trovare il lavoro, lo sfrut- il corto Exodus 67, che denuncia tamento e il disprezzo razzista un secondo esodo palestinese e degli emiri arabi. È la metafora del 1968 è La terra bruciata, sulle di tre generazioni di palestine- aggressioni israeliane nella regio- si costantemente frustrati dalle ne di Al Aghwar. Nel settembre promesse mai mantenute dei co- del 1970 l’Unità Cinema filmerà siddetti “Stati amici”. Sarebbe il i massacri dell’armata giordana caso di mostrarlo in Italia, alme- nel cortometraggio Con tutta l’a- no in tv in prima serata Rai. nima e con tutto il mio sangue, su Settembre Nero, premiato nel Due anni dopo è il libanese Borhan 1972 a Damasco in occasione del Alaouié a rievocare un massa- primo festival del cinema arabo. cro israeliano dell’ottobre 1956 nell’impressionante Kafr Kassem, scavando nella memoria popolare anestetizzata dai media occiden- tali e arabi. Nel 1973 l’Olp produr- rà, con Algeri, Sanaoud diretto da Slim Riadh, che racconta in stile e ritmo commercial-hollywoodia- no un’eroica azione di commando in Israele.

82/83 Sottoposti a una complessa elaborazione della colpa, invece, i cineasti euro-americani, perfino quelli più progressisti e sensibili alle in- giustizie sociali, giravano nel secondo dopoguerra, kolossal simpatizzanti con il nuovo Stato, come Exodus di Otto Preminger (1960), che glorificava il terrorismo sionista anti-inglese, o documentari che osservavano con passione e acutezza l’edificazione di Israele e il modello socialista dei kibbutz più che la resistenza, a 360°, dei “dannati della terra”. Film anche di grande sensibilità e acutezza come il poetico, umoristico e colorato Description d’un combat, di Chris Marker (1961) o Un mur a Jerusalem di Frédéric Rossif (1968), basato su rari materiali di repertorio, che lo scrittore marocchino Abdelkebir Khatibi ha definito frutto del “Vomito bianco”, questi film mettevano il dramma della Nakhba sullo sfondo, mai al centro del racconto. Solamente il greco Costas Costa Gavras, nel 1983, affiancato dallo sceneggiatore italiano Franco Solinas, in Hanna K., interpretato da Jill Clayburgh nel ruolo di una avvocatessa ebrea-polacca (nata negli Stati Uniti ma residente a Gerusalemme), affronta il problema dei villaggi scomparsi e delle case rase al suolo dai carri armati della stella di David assieme agli olivi circostanti. La donna difenderà i diritti di Selim Bakri (l’attore e regista palestinese Mohamed Bakri) che rivendica i suoi titoli di proprietà, ma non trova più la località natia di Kafr Roumaneh… Nello stesso anno George Roy Hill e Diane Keaton nel thriller spionistico da Le Carré, La tamburina, danno il loro piccolo contributo anticonformista (in una Hollywood tutta pro-Israele) alla causa palestinese, mentre sullo stesso problema degli espropri forzati, ha grande impatto nei festival di tendenza di tutto il mondo un documentario-saggio di Amos Gitai, israeliano della sinistra radicale allora esule in Francia, Giornale di campagna (1983). È soprattutto la militanza formale del film, esplicita- mente godardiano, che irrita profondamente le autorità di Tel Aviv. Gitai era entrato nel libro nero già nel 1980 con Wadi su una vallata a est di Haifa dove vivevano tre famiglie, una ebrea, una araba e una mista. Attraverso queste famiglie, ritrovate nel 1991 in Wadi 10 anni dopo, Gitai getta uno sguardo impietoso sulle contraddizioni della società israeliana.

Paradossalmente sarà infatti proprio la sinistra cinemato- grafica israeliana, in autoesilio o meno, a produrre analisi spregiudicate e testi di controinformazione che hanno cri- ticato pesantemente le strategie militariste e perennemente annessioniste di Tel Aviv, l’ideologia dello Stato confessio- nale, i tentativi continui di soffocare l’identità palestinese, la prepotenza dei coloni famelici e i crimini anche sottili dell’occupazione. E fin dal 1974, quando Edna Politi firma la coproduzione Israele/Germania occidentale Per i palestinesi. Un’israeliana testimonia, coraggiosa documentazione in 12 parti che mostra implacabilmente la durezza della vita nelle zone non ebraiche del Paese. Eyal Sivan e Avi Mograbi sono altri due cineasti israeliani di altra sensibilità etico-politica. Basti ricordare il lavoro del primo sui materiali del processo del 1961 a Adolf Eichmann (Uno specialista: ritratto di un cri- minale moderno, 1999) e del secondo Bein Gderot (2016), sul famigerato campo di detenzione profughi di Holot. Assieme a Khleifi, Sival ha spiegato in Route 181 (2004) la continua erosione di territorio palestinese, rispetto alla risoluzione dell’Onu del 1948. Un altro duetto fecondo israelo-palesti- nese è quello tra Elia Souleiman e Amos Gitai in Guerra e pace a Vesoul (1997), una discussione in treno anche anima- tissima e conflittuale durante un viaggio di 4 ore verso il fe- stival di Vesoul, nell’est della Francia. Occasione per mette- re a fuoco le rispettive posizioni sull’estetica e sul ruolo degli intellettuali nel processo di pace e sulle opposte ragioni di un conflitto eterno.

Scenario di guerra perenne davvero complicatissimo, aggra- vato recentemente dalla provocazione dello spostamento della capitale a Gerusalemme. Sarebbero da diffondere nel- le scuole, per capire meglio il punto di vista più sfavorito dai media occidentali, almeno il documentario della BBC diret- to dal politologo e critico letterario Edward W. Said (in esilio a New York, dove è morto nel 2003) In cerca della Palestina, 1998 oppure Mahmoud Darwish: e la terra, come la lingua della cineasta franco-marocchina Simone Bitton, sul poeta e leg- genda vivente del panarabismo, anche se è morto nel 2008.

Se nel 1945 la popolazione in Palestina è di 1.240.000 arabi e 560.000 ebrei, dopo la proclamazione dello Stato di Israele annunciata da Ben Gurion il 14 maggio 1948, 750mila palesti- nesi lasciarono le loro case, e mai di spontanea volontà.

latest - focus Palestina The Night del siriano Mohamed La maggior parte dei lungome- Intanto però buona parte del ma- Malas (1992) è forse il film epi- traggi arabi di finzione girati a teriale filmico palestinese veni- co che racconta con maggiore partire dal 1948 per denunciare va distrutta durante l’invasione sensibilità e accuratezza “la ca- l’“entità sionista” come Israele israeliana del Libano nel 1982 e tastrofe” palestinese, il dramma viene chiamata dalla stampa ara- tra questo anche il film di finzio- di una popolazione che ha paga- ba, sono però semplice materiale ne diretto dall’iracheno Qassim to da sola il conto per le atrocità di propaganda “esteticamente Hawal, Ritorno a Haifa, ispirato commesse altrove dai nazifasci- nullo e ideologicamente misera- al romanzo omonimo del grande sti. Colpevolizzata perché, anche bile”, come ricorda il prestigioso Ghassan Kanafani, e terminato nei campi profughi o in diaspora, critico militante francese Guy proprio alla vigilia dell’aggressio- non accetta di essere stata cac- Hennebelle, tra i maggiori esperti ne armata da un cineasta che si ciata o spogliata dalla sua terra di cinema dei “tre mondi”. E ne era unito da tempo alla resistenza ancestrale da chi è approdato lì ricorda alcuni: gli pseudo-spa- palestinese, come altri film-ma- solo pochi decenni prima. E che è ghetti-western libanesi, che in ker stranieri. Il giapponese Masao sì aiutata solo dagli Stati arabi in- arabo vengono sprezzantemente Adachi e, con meno spirito mili- dipendenti, ma, attorno al 1948, chiamati “moujjadara-western” tante, Koji Wakamatsu; l’italiano questi sono ancora sottoposti a Nous sommes toutes feddayn Pino Adriano, che gira a Sabra e forte tutela economica e politica dell’armeno Gari Garabédian Chatila, Jean Luc Godard di Ici et occidentale. Succubi di interessi (1969) e Le Palestinien révolté, di ailleurs (1970-1976), terminato in strategici altrui. Ridha Myassar (1969) e il melo- Francia 5 anni dopo, e che regala dramma egiziano Dieu est avec alla resistenza una delle prime Oggi i profughi sono oltre due nous di Ahmed Badrakhan, 1955. (costose) videocamere della sto- milioni, per lo più ospiti in Gior- Il primo film è tragicamente ce- ria; l’olandese Johan Van der Keu- dania, Libano, Siria, ma anche in lebre perché il regista e ben 20 ken (I palestinesi, 1975), un ritratto Europa, America Latina o Usa. membri della troupe morirono di profondità della vita quotidia- Mentre sono oltre 3 milioni i pale- sul set durante una sequenza, uc- na, anche nell’esilio libanese, di stinesi abitanti in Israele o nei ter- cisi da una bomba la cui esplosio- un popolo non riconciliato, che ritori passati sotto la giurisdizione ne è stata mal controllata. lo sguardo lucido e sensibile del dell’Autorità palestinese. grande documentarista trasforma Soltanto i partiti comunisti arabi, in saggio politico acuminato. Egitto, Arabia Saudita, Iraq, Liba- coordinati da Mosca, sostennero no e Siria, votarono il 29 novem- nel 1947, quando il governo labu- bre 1947 un secco “no” alla riso- rista di Clement Attlee dichiarò luzione dell’Onu (elaborata da 11 la fine del mandato britannico, la Stati: Australia, India Jugoslavia, legittimità e il reciproco interes- Guatemala, Perù, Uruguay, Svezia, se della divisione in due Stati. E Canada, Olanda, Cecoslovacchia oggi, osservando l’erosione con- e Iran e non dalle potenze vinci- tinua del territorio palestinese trici della Seconda Guerra Mon- e gli oltre 500 villaggi sradicati diale) che divideva la Palestina dalle cartine geografiche, dopo in due parti - con Gerusalemme la guerra del 1948-1949; quella dei sotto controllo internazionale e Sei Giorni del 1967, quella del Kip- a Israele il 56% delle terre, quel- pur del 1973; la prima (1987) e la le più fertili, ma anche molte di seconda Intifada (2000), fino al quelle più desertiche. La riso- 2005 e l’attuale conflitto perma- luzione passò e alcuni di quegli nente a Gaza, quella risoluzione, Stati avrebbero presto scelto una se controfirmata da tutti, avreb- politica nazional-socialista più be probabilmente fermato una aggressiva (Nasser, Gheddafi e i guerra che, nonostante gli accordi due partiti Baath di Siria e Iraq) di Camp David del 1978, quelli di e minacciosa rispetto al nuovo Oslo del 1993 e la politica apertu- Stato di Israele, anche per mutati rista di Yithzak Rabin, assassinato obblighi geopolitici. nel 1995, dura ininterrottamente da 70 anni, e senza alcuna speran- za di soluzione, visto che ormai l’antitesi è congelata nell’opzio- ne fondamentalista. Ma il bipo- larismo trovò così la sua vittima designata, il suo esemplare capro espiatorio. E l’Impero ha poi co- struito il suo finto nemico.

84/85 AUDACIA E TRADIZIONE IMPEGNATA di SAMIA LABIDI

In anni recenti il cinema palesti- “L’intera storia della lotta palesti- nese ha raccolto consenso critico nese ha a che fare con il desiderio e un numero crescente di registi di essere visibili”, ha affermato hanno conquistato un riconosci- Edward Said nel catalogo del mento a livello internazionale. “Dream of a Nation Festival di Uno dei film più attesi del con- New York” nel 2003. Edward Said corso di Cannes, quest’anno, era è uno dei più importanti intellet- It Must Be Heaven di Elia Suleiman, tuali palestinesi e le sue parole autore di Nazareth, vincitore sia riflettono la forte preoccupazione della Menzione Speciale della per il tema della rappresentazio- Giuria del Concorso che del Pre- ne: riequilibrando la cancellazio- mio FIPRESCI. ne inflitta dall’egemonia israelia- na a partire dal 1948. Al cuore del Come Michel Khleifi prima di lui, cinema palestinese c’è un cinema Suleiman offre un ritratto perso- della diaspora, avanguardia dello nale e stratificato dell’esperienza sforzo di creare una contro narra- palestinese nello Stato di Israele. tiva, come Nadia Yaqub mette in Proponendo un cinema radi- luce nel suo libro Palestinian Ci- calmente diverso, che intreccia nema in the Days of the Revolution ammirevolmente la dimensione (2018), offrendo una prospettiva estetica e quella politica in Crona- storica complessa di questa epoca ca di una sparizione (1996), Inter- che ha posto il cinema nella rete vento divino (2002) e Il tempo che di solidarietà internazionale del ci rimane (2009). Con uno stile Global South, negli Anni 60’ e 70’. peculiare nutrito da umorismo impassibile ma ricco di umani- A dispetto della situazione sul tà, Suleiman ha ben preparato il campo che s’incupisce, il cinema terreno alle nuove generazioni di sembra più prolifico che mai, e cineasti, pronte a esplorare nella sperimentiamo un’onda creativa forma e nei contenuti sovverten- che rispecchia l’insita diversità do le aspettative. delle voci legate alla diaspora e frammentate. Questo cinema ha una ricchezza di talenti coraggiosi e audaci che trovano il tempo di esprimersi muovendosi tra i gene- ri e i mezzi, superando stereotipi e cliché, con una qualità estetica e artistica sofisticata, pur restando fedeli alla tradizione impegnata.

latest - focus Palestina L’iconoclasta Kamal Aljafari rap- raneamente gli aspetti drammatici. In Vitro beneficia di dialoghi estremamente ben scritti e ben reci- presenta una delle voci più ar- tati da Hiam Abbas e Maissa Abd Elhadi, centrati sui temi dell’appartenere, della trasmissione della AUDACIA dite di questo cinema, sfidando memoria, della cancellazione, del trauma ereditato e dell’identità. Il potere del film risiede anche nella il linguaggio cinematografico notevole capacità di affrontare in modo potente la specificità dell’esperienza di vita palestinese dopo ed evolvendosi di film in film. la Nakba (l’esodo conseguente alla pulizia etnica dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948), il- Recollection (2015) è un film con- lustrata con materiali d’archivio e al contempo di offrire intuizioni filosofiche profonde e complesse. E TRADIZIONE templativo e sperimentale che permette allo spettatore di entra- Il cinema palestinese dovrebbe lasciare il pubblico euforico, pieno di speranza e ansioso di vedere i nuovi film re in uno stato onirico mentre la dei vari talenti che vivono in Palestina o fuori, pronto a contribuire alla fioritura di questo cinema, nonostante IMPEGNATA filmmaker si assume il compito le condizioni materiali e le pastoie dovute all’assenza di uno Stato e di un’industria forte. ambizioso di riappropriarsi, foto- gramma dopo fotogramma, della Muayad Alayan, Annemarie Jacir, Jumana Mana, Ihab Jadallah e Leila Abbas, Mahdi Fleifel sono i nomi da città di Giaffa, dopo decenni di tenere d’occhio negli anni a venire. cancellazione simbolica e violen- ta della presenza palestinese sia nei film israeliani che in quelli di Hollywood. Ciascuna immagine è decostruita con cura, sovvertita, e viene riacquisita attraverso un processo di montaggio potente con l’aggiunta di suoni registrati. I fantasmi delle comparse palesti- nesi sono portati in primo piano, salvandoli così dalle crepe della storia, creando un film del tutto nuovo che si rivolge all’assurdità della vita sotto occupazione per- manente e alla condizione di pre- senza-assenza dei palestinesi nel loro stesso Paese. L’ultimo film di Aljafari, It’s a Long Way From Am- phoxius (2019), è un’immersione dentro il labirinto burocratico in cui i rifugiati si smarriscono, qui tempo e spazio sono distorti e l’umanità è messa in discussio- ne. Memories of a Fig Tree, il suo prossimo progetto presentato a FIDLab 2019 si basa su VHS d’archivio di suo padre e segna il ritorno a materiali più personali che promettono ancora una volta un’affascinante sovrapposizione tra intimo e universale.

Rompe i generi anche la cine- asta e artista visiva palestine- se-danese Larissa Sansour che ha presentato In Vitro, co-diret- to con Søren Lind, alla 58esima Biennale di Venezia, nel maggio 2019 al Padiglione danese. Que- sto cortometraggio è un lavoro di fantascienza in lingua araba, ambientato subito dopo un di- sastro ecologico a Betlemme, con una splendida fotografia in bianco e nero che ne ac- Filo diretto da centua la poesia e contempo- Gerusalemme Est/Ramallah Il punto di vista critico.

86/87 cinema espanso

FLATFORM: UNO, NESSUNO E CENTOMILA

di NICOLE BIANCHI Flatform. Un vocabolo che è un nome proprio, che parrebbe sin- golare invece è plurale, ma arti- L’intervista al collettivo sticamente è preferito sia identi- ficato come singolo e non come milanese con espansione doppio. Flatform è un collettivo, ma Flatform ama si parli di sé berlinese, che ha presentato come “individuo” unico. Quello che verrà è solo una Flatform, base milanese (dal 2006), alla Quinzaine e da qualche tempo ormai anche promessa berlinese, con Quello che verrà è des Réalisateurs. Il corto si solo una promessa è stato in sele-- zione alla Quinzaine des Réalisat trasforma in un’installazione, eurs dello scorso Cannes, da cui era celebrata anch’essa a livello già stata annunciata la presenza alla norvegese SCB-Screen City Bien- internazionale: esposta alla nial (17-30 ottobre), unica Bienna- SCB-Screen City Biennial di le, insieme a quella di Ginevra, de- dicata alle immagini in movimento; Stavanger, Norvegia, il corto presentato sulla Croisette dal 17 al 30 ottobre. s’espone a Stavanger adattato in- forma d’installazione: “è uno scher mo motorizzato e computerizzato che si espande e si contrae in corri- spondenza dell’espansione e della contrazione dell’acqua, cioè quello che avviene nel mare verticalmen- te, avviene orizzontalmente sull’im- magine, che passa da quadrata a 16:9 e viceversa, muovendosi nello spazio in corrispondenza delle transizioni”, così ci ha spiegato Flatform l’evoluzione del progetto cinematografico. L’embrione di Quello che verrà è solo una promessa nasce una decina di anni fa: “La conoscenza del feno- meno del cambiamento climatico risale ad allora, con la lettura di un libro, Sei gradi, molto bello, sulla

latest - cinema espanso visione catastrofica dell’innalza- mento del riscaldamento globale”, come un unico piano sequenza, o almeno così sembra allo spet cali del fenomeno King-Tides. Di racconta Flatform. “All’interno di - tatore: “Se a chi guarda è sembra- certo un fenomeno che ha una di- 250 pagine c’erano scritte tre righe rettissima connessione con la Na- che mettevano in evidenza come to un piano sequenza, è un piano sequenza”, commenta Flatform tura, ma non esente dalla presenza nello sperduto arcipelago di Tu- dell’uomo, in qualche modo “vitti- valu sarebbe avvenuta la prima la tecnica scelta per il film, e conti- nua precisando come: “Questa è la ma” ma nella realizzazione di certo migrazione totale della nazione “anima”: “Il rapporto con gli abitan- verso altri luoghi, per impossibilità miglior risposta possibile, che ha un rapporto estremamente intimo ti è stato la parte emotivamente più di sopravvivere lì. Il fenomeno tec- sorprendente della produzione: si è nicamente avviene per aumentata con la poetica di Flatform: ‘quello che ti sembra è’. L’idea che doves- riusciti a parlare lo stesso linguaggio pressione dovuta al surriscalda- cinematografico; all’inizio le perso- mento innaturale dell’acqua, che se essere un piano sequenza era a monte, quello che non si voleva era ne pensavano ad un classico docu- spinge salendo dal sottosuolo, non mentario sul cambiamento clima- dal mare. Parlare di cambiamento la narrazione per episodi, per dare un’idea di continuità, cosa che raf tico, si aspettavano delle interviste. climatico compete ad altre perso- - forzava il momento di transizione Gli è stato spiegato che si sarebbe ne, infatti per Flatform l’interesse parlato del fenomeno che agisce era l’effetto del fenomeno e anda- del fenomeno: grazie alla carrellata continua i momenti di passaggio di sulla loro isola in un modo differen- re a mostrare il passaggio di stato, te ed estremamente poetico, cosa dalla condizione di secchezza a stato sono molto più impressivi. La tecnica è stata ‘subire il fenomeno’: in principio per loro incomprensi- quella di allagamento, cosa rap- bile, anche per il differente rapporto portata alla poetica del collettivo: il film mostra immagini reali; sem- plicemente, per ottenere le transi- culturale con il tempo. Infine, è sta- è un passaggio tra le condizioni di to magico, perché hanno fatto esat attesa e sorpresa, già presenti in zioni da secchezza ad allagamento, - è stata fatta una sovrapposizione tamente quello che noi avevamo altri progetti precedenti”. Funafuti pregato loro di ripetere e memo Island, atollo nel Pacifico poline- con un’infinitesimale dissolven- - za, per rendere leggermente fluido rizzare, capendo profondamente siano, base militare nella Seconda il linguaggio cinematografico, una Guerra Mondiale e distante il passaggio”. 50 ore Pressappoco due mesi e mezzo scoperta meravigliosa. Hanno ca- di viaggio dall’Italia, è protagoni- pito di non essere ‘usati’, cosa che sta del film breve passato a Cannes il tempo trascorso sull’atollo da Flatform, che ha girato il piano li ha allontanati da un prevedibile ed evoluto in installazione per la automatismo: sono 48 le perso- Biennale norvegese: Quello che verrà sequenza tre volte e a distanza di giorni, per la necessità di riprendere ne che agiscono nel corto, e con i è solo una promessa dà forma visiva al giovanissimi c’è stato un rapporto fenomeno marino del King-Tides, condizioni intermedie, dalla sec- chezza totale all’allagamento totale: particolarmente intenso, l’addio che sta impattando intensamente all’isola è stato straziante”, ricorda per via del cambiamento climatico. le riprese hanno preteso di essere identiche come tempi, movimenti Flatform ripensando al periodo Un film in fieri, per il passaggio dalla trascorso nell’avamposto pacifico. forma “corto” a quella d’installa- di macchina e degli interpreti. Le riprese sono state fatte tra la fine di Dopo la prima tappa norvegese, zione, ma al tempo stesso partico- l’installazione di Flatform è auspi- lare sin dal principio, perché girato febbraio e la metà di marzo 2018, in uno dei due momenti annuali e api- cato sarà ospitata in una prestigiosa sede italiana, in via di definizione.

88/89 TROISI. ECCETERA, ECCETERA

di HILARY TISCIONE

Matilde Hochkofler ha curato Caro Massimo, edito da La Nave di Teseo in occasione dei venticinque anni dalla morte dell’attore partenopeo, volume in cui dell’artista si ripercorrono fasi note, come la Coppa Volpi ex-aequo con Mastroianni per Splendor, ma anche aspetti più intimi.

Strano. Strano come il mondo intero sia la metafora di qualcosa. Strano il modo in cui si sentiva Troisi. Come una barca sbattuta in mez- zo alle parole del poeta cileno, che vanno di qua e di là come il mare. Strano che avesse detto lui stesso una metafora senza saperlo. Protagonista del sentimento, “Il Postino” del poeta, eccetera, eccetera. Umile incaricato della parola con il cuore fragile, “uno nascosto” come di lui aveva detto Benigni – lo riporta Matilde Hochkofler nel libro Caro Massimo edito da La Nave di Teseo in occasione dei venticinque anni dalla morte dell’attore partenopeo – uno che lui avrebbe voluto man- giarselo, tanto gli voleva bene. Come il piatto di spaghetti alla napoleta- na che fu turbìna dell’intuizione che li portò a Non ci resta che piangere, a quella comicità generosa e improvvisata. Le idee nascevano anche senza parlare di cinema, anche solo divertendosi, raccontava. Parlando di politica, di donne o di sport fino alle cinque di mattina davanti al ca- mino. Ma anche fingendosi personaggi del passato: Benigni faceva Marx e lui Freud, così era nato l’estro per quello che è stato il suo episodio cinematografico più confinante con il teatro. Il napoletano intellettuale della contro napoletanità, come lo definì Et- tore Scola – al quale si affidò per ben tre pellicole consecutive nel perio- do in cui desiderava lavorare con un regista autoritario, altrimenti “se me la cambio io (la sceneggiatura) allora il regista lo faccio io”, invece, latest - cinema espanso come da sua richiesta, voleva finalmente fare lo “schiavo di questa persona”. È dentro il Cinema Splendor – ricostruito nel Teatro 8 di Cinecittà - che Troisi, nelle mani del regista-padrone, indaga i sentimenti insieme a Mastroianni, dando origi- ne a una coppia bizzarra che si ritroverà anche in Che ora è? Mastroianni di lui aveva detto: “Non assomiglia a nessun altro, è interessante quel suo modo di recitare fatto tutto di invenzioni, rotture, recitazione sincopata, sembra che non finisca mai i discorsi, che non abbia un senso, invece ne ha moltissimo”. A Massimo piaceva che Mastroianni fosse una persona “seduta”, senza fretta come lo era lui, difensore della pigrizia. Chi non ricorda la scena del bar dove appunto stavano seduti in faccia alla vetrata che dava sul porto fra le note di Survivor? Padre e figlio – che a Venezia si aggiudica- rono la Coppa Volpi ex aequo - nel tentativo quasi indeformabile di un ricongiun- gimento artificioso quanto basta, dove a proposito dell’ex fidanzata l’attore che non seguiva regole accademiche diceva: “Veramente il taglio non è che l’ho dato io, l’ha dato lei”. Che non ci fosse già in quel suo sguardo flessibile, accondiscendente, l’intuizione vaporosa che quel lei non fosse riferito a una donna, ma alla vita? Come in quel Yesterday che cantava ad Amanda Sandrelli fingendosi un musicista, forse già lì – vestito in abiti quattrocenteschi, maldestro e timido come davvero di- ceva di essere con le donne - gli era apparsa la stanchezza di essere uomo anche se non lo sapeva dire. Eppure, non si vedeva, l’assillo di un petto instabile, l’indicazione di un trapianto di cuore che rifiuta per timore di per- dere la capacità di appassionarsi alle cose, di non innamorarsi più con lo stesso entusiasmo. Perdere l’ispirazione. Voleva solo soffrire bene in Credevo fosse amore, invece era un calesse, e l’ha fatto. “Chi vi chiede niente a voi? Voglio solo soffrire bene. Con voi qua, soffro male, soffro poco, non mi diverto”, aveva detto. Chi meglio di lui aveva intuito che godere e soffrire, a tratti, è proprio lo stes- so? In quella curiosa condizione che la vita gli aveva posto come permuta dentro la quale il fascino e il prestigio abitavano il vincolo di un corpo fuggevo- le. Ma non poteva avere un cuore diverso. Non lui. Non avrebbe avuto quella devozione, non avrebbe tenuto fede alla sua carne fino all’ultimo giorno di lavoro di quel Postino che lo ha reso immortale in- termediario tra popolo e cultura. Inappuntabile, è andato via dopo l’ultimo giorno di riprese. Alle 15.30 di sabato 4 giugno 1994, un infarto ha fermato il suo cuore malato, come riporta con una certa malinconia la Hochkofler verso l’estremità di quella che più che una biografia è un atto di riverenza. Anche un’offerta, forse. Un dono che in venti capitoli custodisce dell’attore i mo- menti di vita più toccanti tessuti al suo cinema, dove con vena veemente sono riportati i retroscena più genuini e i dialoghi che lo hanno reso una Smorfia immortale. Caro Massimo, avevi ragione: “Il fatto è che oggi ab- biamo bisogno sempre di più perché quello che abbiamo conta sempre di meno”, foss’ che avevi capit’?

90/91 geografie

L’ISOLA CHE C’È di OSCAR IARUSSI

Il Lido di Venezia, gli alberghi, le villette liberty, la biblioteca, il cimitero ebraico: una storia geografica e architettonica connessa al cinema, non solo perché ne ospita la Mostra, nata nel 1932.

“Dai, quest’anno almeno una volta andiamo a fare un giro a Vene- zia”. I festivalieri se lo promettono puntualmente appena sbarcati al Lido, all’inizio della Mostra internazionale d’arte cinematografi- ca. Poi, se tutto va bene, al massimo riusciranno a concedersi una puntata ai Giardini e all’Arsenale per la Biennale Architettura o Arte (nel 2019 tocca all’Arte), magari rammemorando la visita del fruttivendolo Remo/Alberto Sordi e della moglie Augusta/Anna Longhi in Dove vai in vacanza?, episodio del trittico Le vacanze intel- ligenti (1978). Nel dedalo del Contemporaneo si dispiegano l’am- mirato scetticismo di Albertone e i piedi gonfi della coniuge, fino al momento surreale - sarebbe piaciuto a Duchamp - in cui lei si accascia su una sedia che è un’installazione artistica! Le “evasioni” dalla Mostra sono salutari, ma vengono azzardate pur sempre con il rammarico di perdere un film di Orizzonti del quale ti hanno detto un gran bene o un titolo della Retrospetti- va ché “quando lo recuperi più”. Però il punto è un altro. In quel “fare un giro a Venezia” c’è il paradosso geografico e sentimentale del Lido che sarebbe - ed è - Venezia a tutti gli effetti (non propria- mente un sestiere, comunque l’isola più popolata della Laguna), mentre viene percepito al pari di un altrove vicinissimo e tuttavia “lontano” da San Marco o da Rialto. Si acuisce qui e si allarga alla

latest - geografie dimensione spaziale il “sentimento di irrealtà” di cui scrisse lo sto- rico francese Fernand Braudel: “Come nei sogni, il tempo a Venezia ha un sapore fuori dall’ordinario, un ritmo speciale: la città è come sospesa sopra la durata. Noi invecchiamo, mentre in lei niente ha voluto appassire o invecchiare veramente”. Ogni angolo fiorito del Lido - una Venezia non Venezia anche per la presenza delle automobili - conferma le impressioni di Braudel e appare sospeso in un’atmosfera dove la normalità può “scantona- re” verso la favola. Nonostante i 17mila residenti, di primo mattino nelle strade lontane dall’imbarcadero di Santa Maria Elisabetta e dal Gran Viale capita di aggirarsi in uno scenario magicamente “de- serto”, talora contraddetto da qualche anziano ebreo con la kippah che si avvia verso il cimitero ebraico, uno dei più antichi. I volumi architettonici modernisti del “quartiere cinematografico”, il Palazzo del Cinema inaugurato nel 1937 e il Casinò eretto l’anno successivo, sembrano astronavi atterrate a pochi metri dalla spiaggia, e lì rima- ste, metafisiche come in un dipinto di De Chirico. Un’area che negli ultimi anni è rinata grazie ai restauri urbanistici, dopo che nel 2016 la Biennale presieduta da Paolo Baratta e il Comune sono riusciti a completare la copertura dell’enorme buco a fianco del Casinò, cioè lo sbancamento per le fondamenta di un nuovo Palazzo, vanificato dalla tardiva scoperta di amianto nel terreno che bloccò i lavori. Il Lido è punteggiato di villini liberty intorno ai grandi alberghi Excelsior e Des Bains, senza dimenticare l’Hungaria&Ausonia la cui facciata orientale è stata rivestita di recente da duemila colo- Al Lido non mancano qua e là le case popolari con la vista più bella ratissime formelle, opera dell’artista pop britannico Joe Tilson. del mondo, per esempio sulla Riva di Corinto o lungo la strada che Come molti ricordano, il Des Bains ospitò le riprese del leggenda- porta a Malamocco, antico villaggio di pescatori caro a Hugo Pratt rio Morte a Venezia di Luchino Visconti, nel 1970, sessant’anni dopo che proprio qui disegnava le avventure di Corto Maltese (a Pratt è il romanzo breve di Thomas Mann che lì aveva soggiornato per la dedicata la biblioteca comunale del Lido). Ed è un peccato che tale prima volta nel 1911 (Visconti fece ridipingere di bianco le pareti dimensione visionaria dell’isola sia ignorata da molti degli ospiti interne del Des Bains in origine dalle cromie lagunari o istriane, nei giorni tra fine agosto e l’avvio di settembre lungo i quali si svol- tra il rosa sabbia e il verde tenue). Chiuso dal 2008 in seguito a un ge la Mostra, mentre sempre più spesso i super-divi preferiscono incendio e attualmente in restauro, è stato riaperto l’estate scorsa gli esclusivi resort delle piccole isole all’Excelsior o agli storici al- per l’allestimento della splendida esposizione fotografica curata berghi di San Marco e della Giudecca, (con le eccezioni di Clooney, da Alberto Barbera sui 75 anni della Mostra. Le sue memorie in loco Allen, Redford: noblesse oblige). sono custodite da alcuni tenaci cultori, in primis Luca Pradel della La Mostra nasce nel 1932 per volontà di Giuseppe Volpi, conte di “Favorita”, ristorante. Misurata. Il fascismo “imperiale” nomina Volpi governatore della Tripolitania italiana e gli offre il titolo nobiliare a suggello di una ricchezza accumulata come importatore e industriale nel settore energetico prima e alberghiero poi. Da presidente della Biennale, per vivacizzare il Lido, che all’epoca ospita l’unico aeroporto vene- ziano (il “Nicelli” prediletto da D’Annunzio per i suoi voli nel Nord Est), l’eclettico conte concepisce gare di motonautica e di idrovo- lanti, nonché un campo da golf nella zona degli Alberoni. Ma è il cinematografo la trovata decisiva per deliziare il turismo d’élite che sceglie l’Excelsior arabeggiante, con le sue meravigliose capanne al posto delle proletarie cabine riminesi amate dal romagnolo Mus- solini. Nasce dunque al Lido di Venezia il primo festival nel mondo, ospitato sulla terrazza del Grand Hotel a mo’ di lussuosa arena con poltrone in vimini di rara eleganza, come documenta una grande foto nel foyer dell’attuale Palazzo del Cinema. Di questa Venezia altra o “Venezia minore” per dirla con Francesco Pasinetti, saggista e regista sensibile alle avanguardie cui è intito- lata una sala, con il Lido fanno parte anche l’isola di Pellestrina, l’isolotto di San Lazzaro degli Armeni caro al poeta Byron che vi soggiornò (fra l’altro, il film che inaugurò la Mostra il 6 agosto 1932, Doctor Jekyll and Mr Hyde, era diretto dall’armeno-americano Rou- ben Mamoulian) e il Lazzaretto Vecchio che dal 2017 è l’isola della Realtà Virtuale. Un suggello, appunto: il reale è anche irreale e in fondo c’è l’Isola che non c’è…

92/93 compleanni

80 ANNI DI CARLO CECCHI

LO STILE NON ESAGERA MAI

di STEFANO STEFANUTTO ROSA

un regista, una personalità molto Cecchi è un giovane che con una forte, ovunque riecheggia. pistola trovata per caso compie un Porta una storia, una vita, che gesto omicida, “ribelle”, di rivolta spesso oggi gli attori non han- contro il mondo. Ne Il gatto selvaggio “Carlo Cecchi interpreta Russ Bris- no. La prima volta l’ho visto, più di (1969) di Andrea Frezza è un rivolu- e ancora in Il Papa buono è un car- senden, il mentore di Martin Eden, un vent’anni anni fa, al Teatro Merca- zionario che passa all’azione diret- dinale che ostacola il pontificato di personaggio abbastanza particolare. dante di Napoli in Finale di partita, ta, ammazzando chi rivoluzionario Giovanni XXIII. La sua recitazione? Ho pensato a lui fin dal primo mo- restai molto impressionato. E l’ho è solo a parole. E di nuovo è un gio- Asciutta, quasi asettica il più possi- mento, l’ho scelto e basta, non ho amato nel film di Mario Marto- vane ribelle ucciso durante gli scon- bile, “che è un po’ il mio stile: non avuto bisogno di fare un provino ne, Morte di un matematico napo- tri con la polizia in La sua giornata di esagerare mai, secondo qualcuno - dice il regista Pietro Marcello letano, ricordo la sua solitudine, gloria (1969) di Edoardo Bruno. “La non recitare mai”. E così anche - Carlo non è un attore qualsiasi, quando pernotta in stazione”. cosa più interessante del fare cine- in Miele (2013), esordio di Valeria è un fuoriclasse. In un film com- Fiorentino, orfano di padre a 10 ma? È il fatto che devo occuparmi Golino, lascia di nuovo il suo mar- plesso come Martin Eden, ha por- anni, la madre modista, Cecchi ini- solo di recitare. È una sorta di quasi chio inconfondibile nel ruolo di un tato un valore aggiunto. Non è zia a vent’anni il suo percorso arti- vacanza, perché fare il regista a tea- anziano ingegnere depresso che solamente un attore ma è anche stico a Napoli, da allora una vita tut- tro significa occuparsi di tutto”. chiede l’eutanasia. ta concentrata sull’attività teatrale: Dal 1971 la frequentazione cine- “Gli attori veramente attori non matografica s’interrompe per ol- hanno una vita privata. Quelli che tre vent’anni fino al David Speciale ce l’hanno, portano sulle spalle un per Morte di un matematico napoleta- fallimento”. Eduardo De Filippo e no (1992), racconto straziante degli il Living Theatre sono le due colon- ultimi giorni di Renato Caccioppo- ne portanti della formazione di un li, famoso matematico e intellet- attore-regista sempre in equilibrio tuale vicino al PCI, morto suicida: tra tradizione e sperimentazione, “C’era una sorta di immedesima- capace di fondere il teatro popo- zione non psicologica ma fantastica lare con quello d’avanguardia. Ha immediata”, spiega l’attore. diretto e interpretato autori diversi Dal 1991 a oggi sono oltre una quin- come Beckett, Pirandello, Petito, dicina i film che lo impegnano in De Filippo, Pinter, Shakespeare, ruoli per lo più minori, ricopren- Bernhard, Majakovskij, Büchner, do spesso parti di uomini di po- Molière, Brecht. tere. Ne La scorta (1993) di Ricky Gli inizi cinematografici si colloca- Tognazzi è un magistrato trasferito no nel cinema sperimentale, anti- in Sicilia; in L’arcano incantato- borghese e politico, in pieno clima re (1996) di Pupi Avati è un mon- sessantottino. Esordisce in A mosca signore; in Un delitto impossibile di cieca (1966) di Romano Scavolini, Aurelio Grimaldi è un procuratore,

latest - compleanni RENATO SCARPA, 80 ANNI

SOTTO IL SEGNO

DELLA VERGINE

di GIAN LUCA PISACANE

Lo vedi, lo ammiri, e sul momen- to è quello di essere poliedrico, di rino di Alessandro Benvenuti), il per caso, dove soffriva di problemi to non ricordi il suo nome. Poi ci saper passare con disinvoltura dal cardinal decano Gregori, che non di stomaco. La leggerezza cede il pensi su, ed emergono dalla me- sorriso allo sguardo severo. Incre- si aspetta il profetico Gran Rifiuto passo al dramma, come quando moria decine di apparizioni indi- dibile pensare che l’inflessibile del Santo Padre (Habemus Papam ha prestato il volto al preside ne La menticabili. In parti “brevi”, ma di padre Corazza di Bellocchio in di Nanni Moretti). Tra le sue ap- stanza del figlio. E si può dire che spicco, in film che hanno costru- Nel nome del padre sia interpretato parizioni cult, è stato l’inquietante Scarpa abbia camminato con i gi- ito un immaginario è rimasta la dallo stesso estro che ha dato vita professor Verdegast in Suspiria di ganti: Rossellini, Comencini, Mo- sua impronta. Poche volte o forse a Robertino in Ricomincio da tre Dario Argento. Avremmo voluto nicelli… Ha preso parte a grosse mai ha avuto un ruolo da prota- di Massimo Troisi. Da una parte vederlo anche nella nuova versio- produzioni internazionali, come gonista. L’ha inseguito forse, ma la fede, quasi come imposizione, ne di Luca Guadagnino. Sempre a Il Talento di Mr. Ripley. Chi scrive, per varie ragioni non l’ha raggiun- dall’altra l’anima complessata cavallo tra i generi, è stato compa- ha incontrato Renato Scarpa alla to. Ha iniziato da giovane, ma col dell’Italia Anni ‘80. gno di avventure di Massimo Troi- cerimonia di consegna del Premio passare degli anni è diventato un Il suo è un lavoro di introspezio- si, Maurizio Nichetti, Luciano De Toni Bertorelli, nel 2017. Scarpa, grande caratterista, possiamo dire ne. Cambia lo spirito per mutare Crescenzo (con cui ha anticipato commosso, ci ha confidato: “Ho semplicemente un grande attore: le movenze del viso, la fisicità, i il fenomeno di Benvenuti al Sud in abbandonato mia madre in lacri- Renato Scarpa. Ottant’anni sotto sentimenti che si leggono negli Così parlò Bellavista, nel 1984). Un me per andare al Centro Speri- il segno della Vergine (14 settem- occhi. Più volte sullo schermo è sacco bello, direbbe Carlo Verdone, mentale, e poi le ho asciugate con bre), però cinematograficamente stato un uomo di Chiesa: il coria- dove Scarpa è l’amico sfortunato il mio primo film. Volevo salire sul è nato Sotto il segno dello scorpione. ceo padre domenicano Alberto che finisce in ospedale invece di palcoscenico per poter consola- Lo sanno bene i fratelli Taviani, Tragagliolo (Giordano Bruno di partire per le vacanze. E la catti- re il pubblico da tutti i dolori del che lo hanno richiamato per San Giuliano Montaldo), il “surreale” va sorte lo ha perseguitato anche mondo”. E ci è riuscito. Michele aveva un gallo. Il suo talen- don Vincenzo (Ad Ovest di Pape- nella commedia culinaria Ribelli

94/95 ricordi

PIETRO COCCIA (1962-2019) CON L’OBIETTIVO RIVOLTO VERSO IL CIELO

di CRISTIANA PATERNÒ

Il momento più intenso, e più vero, dell’ultimo addio a Pietro Coccia, scomparso prematuramente all’inizio di giugno, è stato quando i col- leghi fotografi, all’uscita dalla Chiesa degli Argentini a Roma, nel quar- tiere Coppedè dove viveva, hanno alzato verso il cielo gli obiettivi delle loro Nikon e Canon. Gesto simbolico e più che mai adatto a uno come Pietro. Che ha raccontato decenni di cinema italiano e internazionale con i suoi scatti di cronaca. Foto semplici, immediate, che cercavano di fermare l’attimo. Ma con un implicito calore e candore, perché Pietro il mondo del cinema lo amava di un amore puro e profondo, sincero e to- talizzante. Tanto da aver scelto di viverci dentro sempre, ogni momento della sua vita di girovago tra un festival e una rassegna, senza mai soste. E sempre guardando al cielo: al domani e al sogno, progettando in anti- cipo viaggi e trasferte, sempre entusiasta e mai con i piedi per terra. Pietro era nato a Roma il 19 luglio 1962, in quella che si è soliti definire una buona famiglia. Suo padre Michele Coccia era un latinista di ran- go internazionale, la madre Emilia La Rosa era stata allieva di Giusep- pe Ungaretti. Pietro aveva studiato al classico, il Liceo Giulio Cesare, e all’università si era specializzato in Storia dell’arte. Ma poi aveva scelto il cinema e per oltre trent’anni aveva seguito tutti i festival, grandi o meno grandi: Cannes, Venezia e Berlino, ma anche Los Angeles Italia o Giffoni. E poi tutti i premi: gli Oscar, i David di Donatello, i Nastri d’argento. Pro- prio ai Nastri aveva fatto la sua ultima apparizione, due giorni prima del malore fatale. Si era sentito poco bene ma aveva preferito non andare al pronto soccorso, sicuro che fosse un disagio passeggero. L’ultimo scoop era stato invece uno scatto al Festival di Cannes, quando aveva ripreso l’incontro tra Lina Wertmüller e Leonardo DiCaprio, qua- si un anticipo dell’Oscar alla carriera annunciato pochi giorni dopo per la regista. Un’immagine che aveva fatto il giro del web. C’era tutto il cinema italiano per l’addio a Pietro: attori, registi, tecnici, giornalisti, uffici stampa, produttori. Un bagno di folla di cui forse si sa- rebbe stupito, eterno ragazzo, sognatore e viaggiatore, spiegazzato ma instancabile. È stato ricordato per la sua anima extralarge e perché nelle migliaia di foto scattate lui non c’era mai, era sempre dietro l’obiettivo, anche nelle riunioni di famiglia. Restano però le “sue” immagini: negli archivi dei giornali, nella memoria dei computer, nei cassetti di tutti noi. Perché a ognuno, piccolo o grande che fosse, Pietro aveva donato una posa.

latest - ricordi FRANCO ZEFFIRELLI (1923-2019) AFFACCIATO SUL MONDO DELLA BELLEZZA

di NICOLE BIANCHI

Dalle macerie nascono i fiori, è proprio così. La prima volta (delle tre) mio, l’arte … Un tè con Mussolini per saziare una sete di amore e di che ho incontrato Franco Zeffirelli fu per la miseria di un “illustre e ma- è il film prediletto, perché c’era den- bene che abbiamo tutti nel cuore, turo” – si fa per dire, s’intende - autore televisivo con cui lavoravo al tro quella razza di animali strani, della quale, la gran parte degli uo- tempo che, per via d’una ricorrenza obbligata, mi mandò a raccoglier- meravigliosi, che erano le vecchie mini e delle donne, se ne frega …”. ne una testimonianza. Con cortezza d’intelletto e beffarda euforia, si inglesi, che a Firenze erano animali E da qui, il via per l’altra - credo premurò di precisarmi di aver tolleranza con quel “…vecchio, probabil- di lusso. Ho fatto questo film met- non a caso - intervista indimen- mente anche rincoglionito”. Già poca era la mia stima per il signore in tendoci i più bei ricordi della mia ticabile della mia vita, quella con questione che, per finire, s’era bastato da sé per precipitare dal piolo su infanzia, di quando sono andato Giorgio Albertazzi, senz’altro cui (si) era messo, non sapendo, invece, d’avermi donato il primo ap- agli Uffizi la prima volta: rima- un’altra storia, mentre queste puntamento con l’uomo con cui poi, in una conseguente circostanza, si sbigottito per una settimana … sono state, in quella circostan- ho avverato una delle due interviste più belle – nel senso di Bellezza, Sono molto ingranato con il mon- za, alcune sue parole dedicate a della mia vita. do della bellezza e la forza dell’arte, Zeffirelli: “Franco è uno dei più Il nostro primissimo incontro fu un po’ fuggente, necessariamen- sono messaggi che lasciamo a quelli grandi registi di questa secon- te: seppur fosse un consesso ristretto, non ero presente solo io nella che vengono dopo di noi: Brunelle- da metà del secolo XX. Ha fatto museale villa di Franco Zeffirelli, quell’incantevole tempio familiare schi, quando fece la cupola di Santa innovazione e invenzione man- sull’Appia Antica che potrebbe mettere un po’ di soggezione per il tri- Maria del Fiore, seppe strappare al tenendo rispetto per il meglio pudio d’arte e natura dentro cui t’immerge appena oltrepassi il can- nulla un’enorme verità, quella cu- della tradizione, e questo è il cello e poi la soglia, tra sculture, marmi, ricami, cornici con fotografie pola, che è lì da cinque secoli, incre- vero modo di fare la rivoluzio- di grandi divi e regnanti ritratti con lui, spesso in un cenacolo intimo, dibile... È sempre stato un rapporto, ne. Franco non fa il maestrino di tutt’altro che altezzoso; ma io no, non mi sentivo a disagio lì, al contra- non dico ambiguo, ma incerto, con recitazione, giustamente, come rio: andavo in gloria abbracciata da tutto quel trionfo d’estetica. Visconti: era amore o era disprezzo. spesso fanno i registi – per modo Passò qualche tempo, nel frattempo di cui m’ero data da fare per pro- Però doveva essere amore, perché di dire, ma ha un’idea dello spet- porre un’intervista intima, prolungata, biografica, che fosse questa lui non muoveva foglia in un certo tacolo … Non si può dire che volta a quatt’occhi, occhi di un azzurro cielo cristallino e magnetico campo senza ricorrere a me, non Franco sia giovane, abbiamo la (i suoi), e così, nella tarda primavera dell’anno 2016, una mattina, per meriti particolari, ma perché stessa età, ma lui è sempre gio- ritornavo là, nella preziosa dimora: mentre sedevo sull’angolo di un avevo ‘il merito particolare’ di esse- vane: ci sono delle persone che immacolato sofà bianco, tra un affresco alla mia destra e l’occhio del- re sempre affacciato sul mondo del- vecchie non diventano mai. la telecamera a sinistra, e rubavo quegli istanti per rapire tutto quel- la bellezza e dei grandi autori. Lui Franco è una specie di bomba lo che era a portata di sguardo e riempiva lo spirito di bellezza pura, aveva una visione e chi la evitava di fantasia. E poi è affettivo, ma Franco Zeffirelli, con in grembo uno dei suoi diletti cagnolini, ruppe non gli dava la soddisfazione di ca- sempre con il tono della legge- con eleganza il silenzio che lo attendeva portando una ventata d’in- pire al volo cosa volesse: soltanto io, rezza. Lui è una presenza co- canto, fatta di gentil sorriso, galantuomo saluto, affettuoso sguardo, perché avevo fatto famiglia con la stante nella mia vita, è una delle curioso domandare, tutti per me, che ai suoi occhi, giustamente - bellezza, fin da bambino. Sempre le- persone che mi sono state com- penso io - non ero altro che un’emerita sconosciuta, invece trattata gati da un affetto paterno, un affet- pagne di una vita. Gente come come la prediletta tra le adorate, eppur senza peccare di formale cor- to figliale, un affetto di amanti, un me e Franco… continueremo a tesia, di stucchevole ipocrisia. po’ tutto. Un pasticcio di affetto, e giocare fino all’ultimo giorno Prima di condurmi, con l’entusiasmo di un bambino smanioso di mo- amore …L’omosessualità è una for- della nostra vita terrena”. strare i propri giocattoli, nelle stanze in cui custodiva bozzetti originali ma di amore: certo, quelle ‘creature di progetti grandiosi e la memoria di qualsiasi tratto artistico a lui ri- dannate’ che fanno le moine delle Maestro, “Buonanotte, separarsi conducibile, Franco Zeffirelli mi ha lautamente donato oltre un’ora del donne non sono esempi da pren- è una pena così dolce, che vorrei suo evocativo parlare, puro ricordo e racconto di sé, e nessuna elusione dere; la forza omosessuale di Leo- dirti addio fino a domani”. al mio insaziabile domandare. “Tutta la mia vita è stata governata da que- nardo Da Vinci era un momentino (dalle parole di Giulietta al bal- sto amore strano, assolutamente violento, totale, per i miei compagni, per gli più completa: attraverso un mezzo cone, in Romeo e Giulietta, 1968, di animali e per l’arte … L’amore per l’arte è arrivato in automatico. Un ra- materiale ti riporta al divino … Non Franco Zeffirelli) gazzo come me, che non aveva appoggi affettivi sicuri, cercava l’idolo: l’idolo si vive per carriera, per fama, si vive

96/97 UGO GREGORETTI (1930-2019) GENIALE ESPLORATORE, MAI SENZA I SUOI OCCHIALI di MARLON PELLEGRINI

Il 5 luglio scorso se n’è andato Ugo Gregoretti. Aveva 88 anni, era nato il 28 Iene e Diego “Zoro” Bianchi: esperienze, senza ciò che fece lui 60 anni fa, settembre 1930. Molto è stato detto sul perché ci mancherà. Qui tenteremo inconcepibili. Ugo non ha mai messo manifesti a riguardo: lode massima a un parziale elenco di cosa invece ci resta (e resta da fare) della sua opera. lui, ma un avviso agli storici. Nel ‘61 con Controfagotto mostrava a una gene- Cinema, televisione, lirica, giornalismo, recitazione, scrittura, situazioni- razione di italiani che in tv poteva esistere l’ironia. Quella generazione inci- smo ne sono gli ambiti, insieme alle qualifiche oggi non molto in auge di dentalmente avrebbe fatto il ’68. Lui nel ’68 invece fece Il Circolo Pickwick, da opinionista, intellettuale di Sinistra, curioso. Gregoretti è stato uno dei più Dickens. Una serie culto, sulle avventure di un gruppo di vecchietti. Se c’è grandi esploratori dell’audiovisivo italiano, un Caboto della tv e del cinema. un libro sulla rivoluzione permanente, è quello. In tv gli devono molto personaggi come Gianni Ippoliti e Chiambretti, o Le Intanto debuttava al cinema con un film di costume sui giovani I nuovi angeli, seguito da uno di fantascienza, Omicron, e uno a episodi con Totò, Annie Girardot, Nanni Loy. Come con la tv, il suo cinema si dimostrava ete- roclito, vario, allergico allo specialismo, all’ogni cosa a suo tempo. E mostra oggi che il cinema moderno è un tempo simultaneo dove molto può avve- nire insieme, dove il marxismo può stare con Totò e il jazz con i romanzi dell’800, la canzonetta e il sonetto. E che un Autore è uno curioso di tutto. Gregoretti sapeva che una delle armi del comico può essere la circonlocu- zione retorica, forbita, usata per descrivere situazioni quotidiane e banali. È così che riuscì a essere colto arrivando a un pubblico popolare. L’intellet- tuale invitava al viaggio lo spettatore, non era lui a dover seguire la pancia del pubblico. Parafrasando un suo simile, il grande Zavattini, il noioso non esisteva. E lo dimostrò anche con una favilla di documentari su temi impe- gnati, come la fabbrica, i lavoratori, la società, la politica. Temi che non sono noiosi, se non annoi a trattarli. Con Za, con Flaiano, Enzo Ungari, Kim Arcal- li e altri geniali inclassificabili ritenuti pigramente comprimari, Gregoretti va studiato come una delle rotte alternative che fanno grande ed eclettico il nostro audiovisivo. I suoi documentari passano la Storia perché gli regalò l’opzione dell’umorismo. Ironizzare sulla realtà era un modo di empatizzar- ci. Una lezione da non sottovalutare per il nostro cinema del reale di oggi. La sua opera va fatta vedere a giovani e studenti di cinema, spiegando loro che un autore è uno che dice quello che gli va, e fa di tutto per trasmetter- lo agli altri. E chi organizza cineclub su Kim Ki-duk, Dolan, Larrain, una sera ripeschi quella meraviglia del reportage che è Sottotraccia (del 1991) o Il maggio musicale o i suoi film. E scopra che il gonzo journalism, la satira, il docu-umoristico, un cinema divertente in senso etimologico, hanno una casa italiana, e Ugo ne ha la chiave.

Una chiosa personale. Per tre decenni, chi scrive è stato vicino di casa di Gregoretti. Un giorno, volendo far spazio a un’abitazione che ne era som- mersa, Ugo chiese al sottoscritto di prelevare un po’ di libri della sua babe- lica libreria. Aprì la porta, in mutande e naturalmente occhiali, “Vieni, vedi un po’ che trovi”. Sul pavimento era stivata una parete di volumi vecchi o vecchissimi, di polvere studiata. Disse: “di buono per te può esserci la vita di Casanova in 10 volumi, critica marxista, libri di Salgari”. Ecco, nel riassunto di un grande viaggiatore amoroso, del più grande viaggiatore di economia politica, e del più grande esploratore da fermo della Storia, troviamo ci sia in un colpo il ritratto di un geniale esploratore. Uno scopritore di terre del pensiero e dell’immaginario.

latest - ricordi VALENTINA CORTESE (1923-2019) FLAUTATA, SURREALISTA, DODECAFONICA, FUTURISTA di STEFANO STEFANUTTO ROSA

“Avevo di Valentina Cortese chitetto e scenografo di film, de- interessare non è il processo, ma il l’immagine di un’attrice vecchio butta nel 1940 a Cinecittà nel film punto di arrivo che è la rappresen- stampo, col foulard in testa, e L’orizzonte dipinto di Guido Salvini. tazione del personaggio, sera per quando mi hanno proposto un Arriva presto il primo contratto sera, vissuto e, nello stesso tempo, docufilm dalla sua autobiografia con la Scalera Film e il primo tito- fatto vivere dall’attore”. Quanti sono i domani passati, ho lo importante è La cena delle beffe È nel cast di Giulietta degli spiriti scoperto, leggendola, una vita (1942) di Alessandro Blasetti. di Fellini, L’assassinio di Trotzky di privata e professionale ricca di Nel frattempo esordisce in teatro Losey, dello sceneggiato tv I Bud- eventi, una storia appassionante, con Rossano Brazzi ne La signorina denbrook di Fenoglio. Le amiche di e sconosciuta ai più, di una donna e intraprende la sua prima tournée Antonioni e Effetto notte di Truf- che ha vissuto 90 anni tra incon- teatrale per Canadà. Nel 1949 un faut le portano riconoscimenti, e il tri e amicizie straordinarie e gran- contratto con la 20th Century Fox secondo film, nel quale interpreta di amori. E ho deciso di trasferire la allontana dal palcoscenico e la un’attrice sul viale del tramonto, questa mia sorpresa nel film”. porta sui set americani accanto anche la nomination agli Oscar e ai Così Francesco Patierno autore di a , , Golden Globe. Diva!, raffinato tributo a un’icona , . Due i film mancati: Luci della ri- del teatro e del cinema, presenta- “Hollywood non è quella che sem- balta di Chaplin che la vuole pro- to nel 2017 alla Mostra di Venezia. bra, è una bolgia, una macchina tagonista, ma lei è incinta; Gruppo Un’autobiografia quella di Valenti- che travolge tutto, pace, serenità, di famiglia in un interno di Visconti na Cortese che si apre sull’infanzia sentimenti, vita privata”, dice di ma la Cortese è impegnata con Il felice anche se povera, trascorsa in quel periodo. Recide il contratto giardino dei ciliegi di Strehler e il una famiglia contadina lombarda in anticipo dopo un party - più ruolo va a Silvana Mangano. alla quale viene affidata appena un’orgia come racconta nella sua Conosciuta come l’ultima diva, la nata dalla giovane e benestante autobiografia - nel quale il patron signora del teatro, era famosa per ragazza madre, appena diplomata della Fox, Darryl Zanuck, le mette le sue toilette raffinate ma spesso al Conservatorio. Una vita subito le mani addosso. Tornerà In Ita- vistose, come erano eccessivi gli segnata dalla passione per il tea- lia con un primo marito attore, arredamenti delle sue abitazio- tro, come quella volta che, fan di , e un figlio. A ni, ma non imprigionatela nella Vittorio De Sica, dopo averlo visto fine Anni ’50 torna al teatro quan- “veste della divina dannunziana”. in uno spettacolo in un paese della do si lega a Giorgio Strehler e al “Sono un’attrice vecchio stile, con bassa padana, è accompagnata a Piccolo di Milano, divenendo la la voce flautata giusta per un certo casa in macchina dall’attore, perso potente interprete drammatica di tipo di repertorio ma, se scelgo un l’unico treno del ritorno. testi di Brecht, Pirandello, Goldo- testo che richiede una recitazione A 17 anni l’innamoramento per il ni, Čechov, Bertolazzi, Shakespe- moderna ve lo faccio vedere io! Mi 48enne direttore d’orchestra Vic- are. Lavora anche con Zeffirelli, stacco dalle tende e divento sur- tor de Sabata la porta a Roma con Visconti e Chéreau. Tra cinema e realista, dodecafonica, futurista. l’intenzione, poi abbandonata, teatro ama di più il secondo. “Noi Non c’è che da scegliere”. di iscriversi all’Accademia d’arte interpreti passiamo: ma i poeti e le drammatica. Grazie a uno zio ar- loro opere restano. Ciò che deve

98/99 internet e nuovi consumi

GENIO E SPREGIUDICATEZZA. COSÌ IL CINEMA DIVENTA MEME di CARMEN DIOTAIUTI

“Da porto pazienza a porto d’armi Le caustiche pillole di saggezza è un attimo”, dichiara con la sua tipica ironia caustica Mercoledì di Mercoledì Addams, le solitudini Addams, protagonista, dall’ado- rabile e cinico broncio, di uno dei di Keanu Reeves, la risata del diabolico meme italiani del momento. Un termine usato per la prima volta Dottor Male. In questo modo si veicola dal biologo Richard Dawkins nel saggio Il gene egoista per indicare la cultura dei meme, che usa ironicamente un’unità minima di informazione con capacità di replicarsi, che ga- iconografia popolare e riferimenti rantisce l’evoluzione della specie. cinematografici per riflettere desideri Un po’ il corrispettivo del gene in genetica che, applicato in ambito e disagi dell’uomo contemporaneo. culturale, diventa un elemen- to che veicola idee socialmente condivise e che si propaga per disseminazione, mediante replica o declinazione. Anche se spesso utilizza l’ironia come strumento di trasmissione e moltiplicazione, il meme non nasce con l’obiettivo primario di essere divertente, ma si rivela, piuttosto, lo specchio di desideri o fastidi sociali, come l’ir- riverente Make Italian Art Great Again, il quale, facendo il verso al tormentone legato alla campagna elettorale di Trump, denuncia dinamiche e incoerenze dell’arte contemporanea italiana, attra- verso meme pungenti e sarcastici diffusi su Facebook e Instagram. Uno su tutti ha per protagonista il diabolico Dottor Male della serie di film dedicati all’agente segre- to Austin Powers, che commenta ghignante: “E poi ho detto: Tran-

latest - internet e nuovi consumi quilli, il sistema dell’arte accetta perenne mutamento, i contenuti tutti!”, provocando la risata sgua- memetici sono protagonisti an- iata e incontenibile dei personag- che del progetto espositivo #ME- gi che lo circondano. Un’accusa MEPROPAGANDA che, oltre a diretta e spregiudicata alla sup- rappresentare una riflessione sul- ponenza culturale di un sistema la crescente influenza dei meme tutt’altro che inclusivo. sulla società digitale e in diversi ambiti della contemporaneità, è “Sarebbe superficiale sottovaluta- un esperimento di produzione re il loro potere semantico limitan- collettiva di unità semantiche, doci a pensare che i meme siano capaci di veicolare informazioni un semplice fenomeno di internet. complesse in brevissimo tem- I meme oggi tengono accesa la po. Durante la mostra sei artisti mente culturale della Rete, por- hanno creato un set di poster la- tandola nel mondo dell’arte con- vorando su alcuni dei meme più temporanea”, sottolinea Chiara famosi: da Gondola alla rana an- Passa, curatrice della mostra ME- tropomorfa Pepe The Frog, chia- MEnto- Internet semper de- mata in causa anche da Trump in gli studenti dell’Accademia di Belle campagna elettorale e divenuta Arti di Roma, composta da GIF, ma ultimamente, suo malgrado, sim- anche da sculture realizzate con bolo di razzismo e suprematismo stampanti in 3D e video interat- bianco. I manifesti sono stati dif- tivi fruibili online, che generano, fusi sia online che offline, sui muri attraverso narrazioni non lineari, cittadini e in Rete, con la funzione slittamenti di senso imprevisti. Un di invitare il pubblico a visitare elogio della cultura della Rete che la mostra e a prendere parte alla specula sulla condizione dell’uo- sua seconda fase, interattiva e mo moderno e utilizza riferimenti partecipativa, che ha avuto luo- alla cultura pop, attingendo spesso go online in uno spazio comu- all’immaginario cinematografico, ne, una stanza virtuale chiamata per mettere in luce, con grande ca- superinternet.space, in cui gli pacità simbolica e comunicativa, utenti hanno potuto contribuire alcuni aspetti critici della vita con- in prima persona alla creazione temporanea. Testimone collettivo di immagini. Le interazioni ge- di disagio, come quello attribuito nerate sono state documentate e all’attore Keanu Reeves, immor- archiviate, generando un filmato talato da un paparazzo in una pau- time-lapse, risultato della perfor- sa su una panchina mentre si gode mance collettiva, dove fa capo- un panino in solitudine. Atteggia- lino un remix dell’immaginario mento che l’ha reso inconsapevole della Rete, tra meme e simboli di protagonista del popolarissimo ogni tipo. “Se teniamo conto della meme “Sad Keanu”, a causa di portata del loro impatto, risulta un’espressione apparentemente oggi più che mai urgente capire, sconsolata. L’immagine dell’attore analizzare e diffondere il sapere è stata inserita in una lunga serie che la memetica implica”, sot- di fotomontaggi che lo vedono al tolinea il collettivo Cluster- centro dei contesti più svariati, duck ideatore del progetto. “Se ma è anche diventata un account è vero che questi piccoli artefatti Twitter dedicato ed ha fatto il suo semantici, all’apparenza così tri- ingresso nel mondo analogico sot- viali, possono contribuire a rove- to forma di statuina 3D. sciare il potere dell’establishment tradizionale, diffondere la cono- Celebrazione dell’estetica po- scenza dei meme diventa un atto polare e di una grammatica in di educazione politica”.

100/101 marketing del cinema italiano

NON DRAMMATIZZIAMO È SOLO QUESTIONE DI MARKETING

di NICOLA CALOCERO

La parolaccia non viene disdegnata nemmeno dalle case di distribuzione: dozzine di titoli, frasi di lancio, trailer e locandine hanno giocato con i doppi sensi o hanno sdoganato modi di dire estremamente colloquiali al limite del volgare.

La parolaccia potrebbe scrivere a tutti gli effetti una sorta di storia paral- solo questione di corna. Stiamo par- lela del cinema italiano. Se da un punto di vista stilistico l’uso di un regi- lando del 1970. Quando non solo stro più basso è servito anche per accompagnare l’ingresso sulla scena la promozione cinematografica cinematografica di nuove classi sociali, l’utilizzo di formule più colorite adottava questi metodi. Scomo- ha portato il nostro cinema verso un linguaggio più autentico al passo dando l’editoria non possiamo con i tempi. Se la parolaccia ha emancipato il vocabolario della nostra non ricordare che lo stesso anno cinematografia, molto spesso questo intercalare è servito nel cinema venne pubblicato Le poesie d’amo- di genere a suggellare la gag di una situazione comica oppure a marcare re: dar core ar cazzo er passo è breve. certi tratti irrisolti di alcuni personaggi outsider. Un titolo esplicito per collocare Sicuramente c’è chi ha saputo per anni servirsi di questo strumento sul mercato una traduzione, in ro- come effetto di richiamo. Stiamo parlando ovviamente della distribu- manesco, delle poesie di Catullo. zione. Nell’epoca “stracult” del nostro cinema troviamo dozzine di tito- L’eredità del vicino ‘68 si faceva li, frasi di lancio, trailer e locandine che hanno giocato con i doppi sensi sentire. Solo pochi anni prima, o che hanno sdoganato modi di dire estremamente colloquiali al limite nel 1966, la battuta finale de Il buo- del volgare. In questa prima categoria non possiamo non citare W la foca no, il brutto e il cattivo “…figlio di (che già dal titolo manifesta il suo status di cult), mentre nella seconda una grandissima puttana” costò dobbiamo ricordare almeno Culo e camicia. a Leone problemi con la censura Quest’ultim – prodotto da Aurelio De Laurentiis - fu il quarto incasso ed ancora oggi notiamo come la della sua stagione e chiuse con un guadagno maggiore di 11 miliardi del- parolaccia si lasci sfumare con l’i- le vecchie lire. Anche un maestro come Truffaut si può inserire tra le pri- nizio del commento musicale dei me vittime di questa aggressiva strategia di marketing. Il quarto episodio titoli di coda. Sono anni in cui la della saga di Antoine Doinel che aveva come titolo originale Domicile televisione nazionale ha solo due conjugal uscì in Italia con il titolo poco fedele Non drammatizziamo…è canali un po’ ingessati e si presen-

latest - marketing del cinema italiano NON DRAMMATIZZIAMO È SOLO QUESTIONE ta al pubblico con un lessico cali- brato al limite dell’artificiale. Così è il cinema ad esprimersi con una maggiore libertà. Basti pensare al DI MARKETING personaggio televisivo di Mario Cioni- Roberto Benigni che, nato per la trasmissione della seconda rete Televacca, verrà sviluppato, e reso più spinto, da Giuseppe Ber- tolucci nel suo Berlinguer ti voglio bene. Ancora oggi ricordato per una celebre sequenza di imprope- ri in apertura del film. Siamo nel 1977 e questo turpiloquio costò un pesante divieto ai minori che penalizzò la pellicola. Incassan- do solo 143 milioni in pratica non venne neppure distribuito a sud di Roma. Con gli Anni ‘80 e la perdita del monopolio televisivo da par- te della Rai, la situazione cambia ulteriormente. La parolaccia di- venta un elemento fondamentale della nuova commedia e l’uso più sapiente ne fa il compianto Carlo Vanzina. Dopo quasi quarant’anni riguardiamo oggi attentamente i box office ormai si registra in euro in L’ora di religione. Seguiranno lo suoi primi film e notiamo come e non più in lire: Natale sul Nilo su- sfogo violento di Kim Rossi Stuart sia un elemento unificante dell’I- pera persino i 28 milioni di incas- in Anche libero va bene ed in Caos talia di fine secolo. Accomuna ge- so. Ed il compianto decano della calmo non mancherà quella be- ograficamente il Nord ed il Sud e critica Tullio Kezich titolò la sua stemmia che era già presente nelle con sempre maggiore disinvoltu- recensione del film sul “Corriere pagine del libro di Veronesi da cui ra la usano i nobili, i parvenu, i bor- della Sera” con un esplicito: “Cen- è tratto il film. Curiosamente que- ghesi e le fasce più popolari. L’uso to parolacce in cento minuti”. Pa- sti tre titoli importanti dello scor- di un lessico senza filtri è stato olo Ruffini realizzando la scorsa so decennio risultano prodotti da uno degli elementi vincenti di stagione il film di repertorio con Rai Cinema e furono presentati a questo modello di commedia tipi- il meglio dei Cinepanettoni non Cannes (i primi due) e a Berlino. camente italiano in cui ha saputo ha potuto non dedicare alla Paro- Segno evidente che i tempi sono riconoscersi per anni un pubblico laccia uno dei capitoli cardine di proprio cambiati. ampio e trasversale. Tutto questo questa sua antologia. All’inizio del già dal primo Vacanze di Natale che nuovo secolo un discorso parti- nel 1983 incassa 3 miliardi di lire colare lo merita la bestemmia, che ed entra nella top ten della stagio- viene sdoganata sul grande scher- ne. Uno schema vincente che arri- mo. Esemplare l’uso provocatorio va fino al nuovo secolo. Quando il e spiazzante che ne fa Bellocchio

102/103 biografie

SAMIA LABIDI

Programmer di film indipendenti, organizzatrice di eventi cultu- FRANCESCO rali e cinematografici con sede a Tunisi, attualmente sta coordi- nando la sesta edizione di Palestine Cinema Days (Ramallah) e collabora con il Centro Nazionale Tunisino per il Cinema (CNCI) CASTELNUOVO e il JCC-Carthage Film Festival.

Presentatore, inviato e autore su SKY Cinema, dal 2009 conduce la diretta della Notte degli Oscar per l’Italia, in- sieme a Gianni Canova. È conduttore del programma quotidiano 100x100 ci- nema e autore e conduttore di Racconti PIVIO di Cinema. Inviato ai festival di Venezia, Cannes, Roma e Berlino, ha curato le in- terviste-profilo di vari registi (Clint Ea- stwood, Steven Spielberg, David Lynch, Peter Greenaway, Wim Wenders, Clau- de Lanzmann). Nel 2012 ha ricevuto il Pivio (al secolo Roberto Giacomo Pischiutta, non fratello di Aldo De Premio “Domenico Meccoli - Scrivere Scalzi con cui ha firmato la maggior parte delle oltre 150 colonne sonore di Cinema”. al suo attivo; dagli esordi punk amelodici e disarmonici, passando per una delle prime tesi di laurea di informatica musicale in Italia quasi qua- rant’anni fa, 3 David di Donatello e 4 Nastri d’Argento all’attivo, attuale presidente di ACMF, l’associazione dei compositori di musiche per film, ufficialmente non ha figli ma se mai dovesse averne uno sta pensando seriamente di chiamarlo “Ritorno” al posto del prediletto “Attila”). ANTONIO COSTA

Ha insegnato in varie università italiane FABIO (Bologna, Trieste, Venezia-Iuav) e straniere (Paris 8 e Montreal). Attualmente insegna al ROSSI Master in Sceneggiatura “Carlo Mazzacurati” dell’Università di Padova. Tra i suoi libri recenti, la nuova edizione di Saper vedere il cinema (Bom- piani 2011) e La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock (Einaudi 2014; Premio L’Efebo d’oro). Professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Messina. Si occupa di linguaggio operistico e cinematografico, della fenomenologia sintattica e pragmatica della lingua parlata rispetto a quella scritta, di formazione degli insegnanti di italiano, anche come lingua straniera, e delle ideologie linguistiche. Dirige il sito di consulenza linguistica www.dico.unime.it.

latest - biografie sul prossimo numero in uscita a novembre 2019

Scenari Inchieste Focus Anniversari Marketing e cinema: Il cinema italiano Il cinema A 50 anni da... come riaccendere e lo sport di Hong Kong La caduta degli Dei la voglia di film? PosteItalianeSpA - Spedizioneinabbonamentopostale-70% -Aut.GIPA/C/RM/04/2013 Può darsicheanticamentel'uomo tre piselli, da qui la famosa frase tre piselli,daquilafamosafrase L’altro giornoduetizisuun’auto mi hanno tamponato il paraurti mi hannotamponatoilparaurti avesse piùorganisessuali: “amatevi emoltiplicatevi”, ma nonconquesteparole. “Che cazzovuoi?”. e ioglihodetto, Roberto Benigni Woody Allen

www.8-mezzo.it Parolacce. Perché le diciamo? Che effetto ci fanno in un film? Come le usa il cinema italiano? settembre 2019 numero 46 anno VII i film-evento Arte e cinema: INCHIESTE in Palestina Il cinema FOCUS Nell'anno delSignore A 50annida ANNIVERSARI IL CINEMAITALIANO? COME LEUSA CI FANNO INUNFILM? CHE EFFETTO PERCHÉ LEDICIAMO? PAROLACCE. Franco Zeffirelli Ugo Gregoretti, Valentina Cortese, Pietro Coccia, RICORDI n °46 settembre 2019 €5,50