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PEPERONCINO Capsicum Frutescens Generalità Il Peperoncino È Forse La

PEPERONCINO Capsicum Frutescens Generalità Il Peperoncino È Forse La

frutescens

Generalità

Il peperoncino è forse la spezia più conosciuta nel mondo e, probabilmente, è una delle più antiche; infatti, se ne sono ritrovate tracce nei reperti archeologici delle civiltà azteca e maya. Nel XVI secolo, i mercanti spagnoli e portoghesi la introdussero in Europa: da allora viene coltivata ed utilizzata in tutti i Continenti. E’ singolare il fatto che la maggior parte degli alimenti vegetali importati in Europa dal Nuovo Mondo facciano parte della famiglia delle “solanacee” (patate, pomodori, tabacco, peperoni e peperoncino). Dal punto di vista nutrizionale, il peperoncino è il frutto di alcune varietà piccanti del genere Capsicum. A questa famiglia, che non va confusa con quella del Piper nigrum (da cui derivano il pepe bianco e quello nero), appartengono anche i peperoncini dolci, la ed il pepe di Cayenna. Capsicum frutescens è una pianta perenne, che cresce fino a due metri; ha foglie piccole e lucide e presenta minuscoli fiori bianchi. Le parti commestibili, i frutti, sono simili a bacche, con la buccia liscia e una polpa contenente file di piccoli semi bianchi. Esistono numerose varietà di peperoncino, ciascuna delle quali è considerata la migliore nel Paese d’origine. Per esempio, in Messico esiste l’ancho, molto scuro e abbastanza dolce, usato generalmente essiccato; il mulato, che è più piccante e di colore marrone; il serrano, piccolo e verde, molto piccante, viene usato fresco. Le varietà più piccanti sono il santaka e l’hontaka (provenienti dal Giappone), nonché il pequin ed il tabasco, coltivati soprattutto in America del Nord. In commercio, i peperoncini sono reperibili freschi, essiccati, in scatola o in conserva. Bisogna fare attenzione quando si maneggiano e lavarsi sempre le mani, soprattutto dopo aver toccato i semi; questi ultimi, più degli altri componenti del frutto, possono provocare una intensa sensazione di bruciore sulla pelle, in particolare nelle zone più sensibili, quali bocca, occhi e viso. E’ preferibile comprare frutti freschi o secchi interi, piuttosto che quelli in polvere, in quanto quest’ultima può essere adulterata in vario modo e perdere le caratteristiche organolettiche e nutrizionali tipiche del peperoncino.

CaratteristicheETOILEPEDIA nutrizionali

Capsicum (dal latino “capsa”, cioè scatola, riferito probabilmente alla bacca che contiene i semi) riscosse, al ritorno di Cristoforo Colombo, un immediato successo nel Vecchio Continente per il suo gusto intenso e piccante, così simile a quello del pepe, ricercatissima e costosa spezia importata dall’Oriente. Già Diego Alvarez Chanca, il medico spagnolo che accompagnò Colombo nella seconda spedizione, si accorse che il peperoncino, oltre ad essere un gradevole condimento, era molto utile per preservare i cibi. Oggi conosciamo il notevole potere antiossidante, antifermentativo e disinfettante del peperoncino, ma a quei tempi mantenere intatte nel tempo carni e pesci non era certo impresa facile. La sostanza che conferisce il gusto piccante al peperoncino è l’alcaloide “capsaicina”, di cui si tratterà ampiamente nel paragrafo successivo. Tuttavia, il peperoncino è un vero e proprio concentrato di principi vitali utili al nostro organismo e sfruttati in Bioterapia Nutrizionale nel trattamento di numerose patologie. Infatti, esso contiene: vitamina C in notevole quantità; vitamine

A, B2, E e K; fra i minerali, una quota significativa di rame e potassio. Altre sostanze contenute nel peperoncino sono: la pectina, gli acidi grassi, la lecitina, il “capsicolo” e l’olio resina “capsicina”. Il peperoncino è una spezia totalmente diversa dal pepe; quest’ultimo, infatti, stimola il fegato in modo abbastanza intenso, attraverso un’azione irritativa ai limiti della tossicità. Quindi, il suo uso non mirato è sicuramente dannoso in caso di disfunzione del fegato; lo stesso effetto negativo si verifica in un soggetto che presenta emorroidi, insonnia ed irritabilità su base epatica. Il peperoncino, invece, non ha nessuna controindicazione, ed è rarissimo trovare individui che manifestino irritabilità o intolleranza dopo il suo impiego alimentare; infatti, viene usato a scopo terapeutico in situazioni cliniche come diarree, rettocoliti ulcerose, gastriti, ecc. Esso agisce in quanto è disinfettante, cicatrizzante, antinfiammatorio e soprattutto perché è un “velocizzante”, nel senso che accelera notevolmente il flusso di liquidi e di sostanze attraverso le membrane cellulari. Per sfruttare al meglio le sue numerose azioni terapeutiche, il peperoncino viene fatto utilizzare crudo, in modo da non perdere parte dei componenti sensibili al calore o ad altre forme di manipolazione. Il peperoncino conservato nell’olio manda in soluzione solamente le sostanze ad azione revulsiva ed irritante, mentre buona parte dei principi attivi più importanti rimangono nella polpa e soprattutto nei semi. Per utilizzare al massimo tutte le potenzialità del peperoncino, i semi dovrebbero essere frantumati, altrimenti superano la barriera gastrica e vengono eliminati intatti. L’involucro del seme, infatti, ha la funzione di proteggere il contenuto dall’attacco dall’acido cloridrico dello stomaco. La stessa operazione deve essere effettuata con i peperoni, i cui semi devono essere tritati per liberare la grandeETOILEPEDIA quantità di vitamina C che si trova all’interno.

Meccanismo d’azione della capsaicina

La capsaicina è la molecola che rende i peperoncini piccanti e brucianti; il recettore di questo alcaloide è stato identificato, rilevando come esso venga attivato dall’aumento della temperatura (Claphan E. David). La capsaicina è soltanto una delle sostanze nell’arsenale della “guerra chimica” dei vegetali e, presumibilmente, è stata designata per proteggere le piante dall’essere mangiate (gli uomini, naturalmente, hanno ignorato il cortese avvertimento). La sua azione è cosi potente, che i suoi effetti sono calibrati dall’industria delle spezie secondo una sorta di scala Richter del sapore (unità di calore Scoville), che va dal peperone Bell, al jalapeno, all’, alla capsaicina pura. Nel 1912 Wilbur Scoville tradusse in scala la potenza del peperoncino, estraendo il capsico contenuto nell’alcol e diluendolo fino a che si potesse avvertire il gusto piccante, versandone una sola goccia sulla lingua. Utilizzando una nuova strategia di clonazione, Julius ed i suoi collaboratori hanno isolato il DNA complementare, codificando la proteina che lega la capsaicina. Si è rilevato come la proteina recettore sia presente nelle cellule neuronali, le cui fibre trasportano la sensazione di dolore dalla periferia (ad esempio, dalla lingua) alle radici dorsali del midollo spinale. II recettore diretto della capsaicina mostra le stesse proprietà del recettore capsaicina dei sensori neuronali: è un canale ionico relativamente calcio-selettivo. E’ interessante notare che la capsaicina è liposolubile (quindi viene trattenuta negli strati lipidici delle membrane cellulari) e potrebbe aprire il canale ionico sia dall’esterno che dall’interno della cellula. In condizioni fisiologiche, l’apertura del canale non solo avvierà gli impulsi nervosi, depolarizzando il potenziale della membrana, ma innalzerà considerevolmente anche i livelli di calcio intracellulare. Inoltre, la sua affinità con il grasso spiega perché, bevendo acqua dopo aver assunto il peperoncino, la sensazione di bruciore aumenta e si diffonde tutt’intorno, mentre è più efficace spegnere il sapore piccante con il cibo. Si pensa anche che il rapido aumento della temperatura a livelli che inducono dolore (caldo nocivo), sia percepito dai recettori della capsaicina nei neuroni, fornendo una plausibile spiegazione molecolare del perché i cibi contenenti capsacina sembrino “caldi”.

ETOILEPEDIA Bioterapia Nutrizionale

Il peperoncino disinfetta, aumenta la vascolarizzazione periferica ed il passaggio attraverso le membrane, è un antifermentativo intestinale, accelera i processi metabolici e decongestiona. Indispensabile nel trattamento di alcune patologie gravi, quale la rettocolite ulcerosa in fase acuta, il suo impiego all’inizio è problematico in quanto può aumentare il dolore, gli spasmi e quindi le scariche. In tal caso si è portati ad evitarlo o a ridurlo, per poi incrementarne l’uso con gradualità. Questa decisione è accettabile, ma allunga i tempi di risposta del trattamento, in quanto mantiene il ritmo della patologia per un tempo più lungo. Molto più utile sarebbe sopportare l’iniziale incremento della sintomatologia, poiché l’aumento delle scariche (conseguente ad un uso insistente del peperoncino) non esprime aumento della infiammazione e dell’emorragia, ma solo incremento dei processi di pulizia della mucosa, indispensabili per poter avviare la ricostruzione. In questo secondo caso si procede in modo terapeuticamente corretto, in quanto ci si inserisce nel ritmo della patologia per poterne assumere il controllo, portarla al massimo della sua espressione (acme o crisi) e poi si gestirne la fase di esaurimento o lisi. Questa condotta terapeutica dovrebbe essere seguita in tutte le patologie, ad eccezione di quelle nelle quali il momento di crisi o acme potrebbe mettere in pericolo la vita del paziente. Anche nel trattamento bionutrizionale del morbo di Crohn, il peperoncino è un alimento indispensabile; la sua azione cicatrizzante, revulsiva, disinfettante, antiemorragica (per il contenuto di vitamina K) ed antivirale diventa fondamentale per attivare i processi di guarigione in un distretto anatomico dell’intestino difficile da raggiungere e sottoposto al transito di materiale fecale tossico ed irritante. Mentre disinfetta, il peperoncino, iperemizzando, facilita l’arrivo dei fattori ematici necessari per avviare tutti i processi di cicatrizzazione. I meccanismi d’azione sono due: da contatto ed interno. Il peperoncino ingerito viene a contatto diretto con la mucosa intestinale; quello assorbito viene riproposto alla zona ammalata per via ematica. L’azione antifermentativa e mummificante (per cui le feci non esercitano dilatazione dolorosa del tratto digerente malato) e la capacità di accelerare il transito intestinale (le feci vengono meno a contatto con la mucosa infiammata), fanno di questa spezia il farmaco risolutivo in tale patologia. In Bioterapia Nutrizionale l’impiego terapeutico del peperoncino è molto frequente nel trattamento di numerose malattie. Partendo dal concetto fisiologico che l’organismo ammala quando le sue funzioni rallentano al di sotto di determinati limiti (il “ristagno”, in senso biochimico ed energetico, è ETOILEPEDIA fonte di malattia), lo scopo del medico nutrizionista sarà quello di proporre al paziente quegli alimenti o quelle associazioni alimentari, che possano riportare dinamismo e vitalità negli organi ammalati. Da questo punto di vista, il peperoncino svolge un ruolo indispensabile per le sua numerose proprietà, fra le quali la citata azione a livello delle membrane cellulari, con apertura dei canali del calcio ed aumento degli scambi tra l’interno e l’esterno della cellula. Le uniche controindicazioni all’impiego nutrizionale del peperoncino sono costituite da stomatiti ed infiammazioni del tratto esofageo superiore ed inferiore (cardias) e da insufficinza renale grave con azotemia e creatininemia al di sopra dei valori di riferimento. Nel primo caso l’iperemia e il bruciore provocati dal peperoncino potrebbero peggiorare inizialmente la possibilità di deglutizione e di transito del bolo; pertanto, bisognerà proporre questo alimento con estrema gradualità, finché il paziente non riuscirà a giovarsi dei suoi effetti positivi. Nel secondo caso, invece, il peperoncino è controindicato, in quanto la sua quota di proteine vegetali (che diventa consistente quando viene utilizzato il peperoncino essiccato), tende ad aggravare ulteriormente la funzionalità renale.

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