La Marfisa Bizzarra;
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SCRITTORI D'ITALIA CARLO GOZZI LA MARFISA BIZZARRA A CURA CORNELIA ORTIZ BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOORAPI-EDITORI-LTBRAI igr I SCRITTORI D'ITALIA CARLO GOZZI LA MARFISA BIZZARRA \. V-x —>--»'' l- CARLO GOZZI LA MARFISA BIZZARRA A CURA CORNELIA ORTIZ A A-'^ »i<i»l'^ BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAFI-EOITOlU-UBItAl I9II PROPRIETÀ LETTERARIA NOVEMBRE MCMXI — 29238 LA MARFISA BIZZARRA POEMA FACETO A SUA ECCELLENZA LA SIGNORA CATERINA DOLFINO CAVALIERA E PROCURATORESSA TRON CARLO GOZZI Con audacia particolare dedico a Vostra Eccellenza la Marfisa òhzarra,- eh' è un fascio di dodici canti da me immaginati e scritti, intitolati « poema »; e non contento ancora d'avergli inti- tolati « poema », ho aggiunto a questo titolo l'epiteto di « faceto ». A mio credere, un tale epiteto gareggia di temerità colla dedica, giudicando la facezia, spezialmente in questo secolo, molto più difficile della serietà, quantunque meno considerata da infinite persone che non sono né serie né facete. Un certo bisbiglio di prevenzione fa la Marfisa qualche cosa di conseguenza, e però l'Eccellenza Vostra accetti a buon conto, come a lei dedicato, cotesto bisbiglio anteriore, perché, letta che sia la Marfisa da lei e dal pubblico, non sarà trovata cosa degna del menomo riflesso, e sarà tronco tosto anche quel favo- revole mormorio che le dona qualche fama prima che sia pub- blicata. Le prevenzioni onorevoli in aspettativa sogliono riuscir perniziose all'opere ch'escono dalle stampe, perché le fantasie umane, naturalmente voragini insaziabili, in attendendo curiose, si riscaldano, si formano delle idee gigantesche in astratto; ed è facile che sembri loro alfin di vedere la meschina prole della montagna partoriente. La Marfisa, forse con ragfione, sarà con- siderata quel parto, ed io averò avuta la sfacciataggine di de- dicarla a Vostra Eccellenza. 4 LA MARFISA BIZZARRA Non posso tuttavia ridurre interamente il mio cuore a disprez- zar questo poema quanto, uniformandomi ad altri, sarei capace esternamente di avvilirlo con le parole. Qualche picciola parte della mia fragile umanità, non atta alla filosofia, sente un ver- micciuolo di predilezione, il qual è poi anche una delle vere cagioni della mia dedica. Si farneticherà forse per indovinar la ragione per la quale io abbia donati più alle sue che ad altre mani de' fogli spiranti satira per ogni verso. Appago questa curiosità. Certi modi franchi e svelati ne' discorsi dell'Eccel- lenza Vostra m' hanno fatto giudicare che convenga più a lei che ad altri una tal dedica, e forse forse procuro con questo dono di sedurre l'animo suo a leggere la Marfisa con una favorevole disposizione. Gli onesti satirici non possono tener celato nem- meno un artifizio che usano in loro favore, com'Ella vede. Per la cognizione che ho delle sue vaghe produzioni poetiche, del suo intelletto e della sua vivacità di esprimere un sano giu- dizio, la sua lingua è da temersi quanto sarebbe da temer la Marfisa bizzarra, se ella avesse il merito che ha la sua lingua. S'io fossi un poeta mellifluo, caderebbero le mie lodi sopra il suo leggiadro portamento, sopra i gigli e le rose del suo co- lorito, sopra l'oro dei suoi capelli e sopra temi consimili, pos- sedendo Vostra Eccellenza abbondanza di qualità anche di questa spezie. Sieno i suoi fioriti giardini fatti immortali da que' tanti cigni che la circondano. Un poeta satirico è per lo più colpito da un animo franco e da una lingua sincera: per questa sola ragione le mie parole pendono più a queste due che all'altre sue molte rare qualità. Se tutti gli animi franchi e tutte le lin- gue sincere s'abbattessero a rendersi osservabili agli amanti del vero, tutti quelli che possedono queste due qualità goderebbero di quelle fortune che accrescono splendore a' meriti grandi di Vostra Eccellenza; ma di rado i franchi e sinceri s'incontrano in tali amanti, e per ciò, quando dovrebbero abbattersi a fortune, si abbattono a sciagure. Si danno sulla terra due generi di persone dette « satiriche » senza considerazione. Il primo è d'invidiosi, inquieti, maligni, traditori, ingrati, d'un interno avvelenato, odiatori, disperati. superbi, collerici per istinto contro al genere umano, buono e cattivo universalmente. Questi riescono detrattori pessimi da es- sere fuggiti, e sono indegni di dedicare a una bell'anima le loro assassine opere, per eleganti che sieno. Il secondo genere è di osservatori del bene e del male, i quali colla miglior urbanità ed efficacia che possono, attenendosi a' generali, se non sono punti e sfidati da' particolari, espongono, dipingono, caratte- rizzano, bilanciano, fanno confronti, riflessioni, lodano il bene, inveiscono contro il male, deridono i pregiudizi, ridono e fanno ridere de' difetti dell'umanità. Una certa libertà di pensare, un disprezzo de' riguardi, un amore ardito per la verità gli fa scrittori. Chi dedica, aspira a qualche benefizio. Io bramo dall'Eccel- lenza Vostra quel solo benefizio d'essere considerato nel numero del secondo genere de' satirici. Il mondo difficilmente fa una tale separazione. Nimicizia, ignoranza, dispetto, sospetto mette i detrattori e gli urbani sa- tirici in un solo conto. Vostra Eccellenza non è nimica, non è ignorante, non è dispettosa, non è sospettosa, e sa essere benefattrice volontaria anche di coloro che non le chiedono favori. Affido alle sue mani la Maifisa bizzarra, non meno che la bi- lancia del mio carattere; e la supplico a voler consentire ch'io possa vantarmi suo servitore e suo satirico. PREFAZIONE SCRITTA TRA 'L DUBBIO CHE SIA NECESSARIA E 'L DUBBIO CHE SIA INCONCLUDENTE Rispettando chi molto ragiona e poco osserva, io poco ra- j^onando e molto osservando ho ingravidata la mente, la quale, senza incomodare la lingua, ha dato poi tutta la briga, quando a una mia penna di pollo d'India, quando a una mia penna d'oca, di discorrere sopra i fogli che succederanno a questo preambolo. Cotesti fogli formano un libro sulla fronte di cui si vedere scritto: La Marfisa bizzarra, poema faceto. È superflua una confessione che i fatti esposti in dodici canti della Marfisa non siano di gran rimarco. Ciò non è mia colpa. Se nella vec- chiaia del mio Turpino i paladini non avessero cambiati gli antichi costumi, che teneano del mirabile, gli accidenti della Marfisa sarebbero più maravigliosi. Destò in me la spezie di gravissimo caso il cambiamento nel pensare e nell'operare di quegli eroi tanto celebrati dal Boiardo e dall'Ariosto; e se verrà considerata la differenza nel vero punto di vista, i successi di questo burlesco poema non appariranno frivoli affatto. I carat- teri, le pitture, i ragionamenti, i maneggi, gli amori, in tal metamorfosi mirabile quanto tutte quelle d'Ovidio, non mi par- vero immeritevoli della fama; e certo il maggior scapito loro deriverà dal mio infelicissimo ingegno, non atto a fargli im- mortali. Dieci canti di questo libro furono da me scritti sette anni or saranno, vale a dire l'anno 1761. Siccom'egli è vera- mente satirico e ripieno di ritratti naturali al possibile, alcuni, che vollero a forza udirne dei pezzi, incominciarono a voler fare gli astrologhi, immaginando di scoprire in essi il tale e la 8 LA MARPISA BIZZARRA tale dipinti particolarmente al vivo. Si sa quanta forza abbia la presunzione dell'infallibilità negli uomini, e quanto diligenti sieno i nimici ad assecondare un'opinione che può riuscire in odiosità a una lìbera penna. I disseminati discorsi de' falsi indo- vini mi parsero perniziosi e indiscreti. La mia vena innocente, che cercava solo di spassarsi nel partorir le immagini delle quali si era impregnata sulla lettura del suo Turpino e in una taci- turna e universalissima osservazione sugli uomini, ebbe alquanta stizza. Troncai '1 corso all'opera e la chiusi a sette chiavi, sde- gnando che dall'amore che ho per il prossimo me ne venisse dell'odio, e che fosse cambiato in veleno un elisire ch'io, forse accecato da troppo orgoglio, giudicava non disutile alla società. Nel tempo in cui scrissi gli accennati primi dieci canti, bol- liva una controversia un po' troppo arditamente giocosa intorno alla maniera di ben iscrivere e al buon gusto poetico del com- porre. Paleserò, s'è necessario, che Marco e Matteo dal piano di San Michele — due paladini che si vedono dipinti nel poema — rappresentano due scrittori, che in quella stagione s'erano dichiarati, coll'alleanza d'alcuni altri scrittorelli, con so- verchia animosità contro a' buoni scrittori antichi e contra chi difendeva l'invulnerabile fama di quelli. Coleste due creature, dipinte precisamente, hanno data la spinta a far giudicare con sciocchezza e falsità di tutte l'altre persone che campeggiano nel poema. Vorrei ben oggi poter troncare, senza rompere al- cune necessarie connessioni all'opera e senza che potessero uscire quelle brutte parole « il libro è castrato », tutto ciò che at- tiene a' que' due paladini, ch'io tengo per amici ad onta delle loro collere; prima perché non è mio costume il prendere di mira persone in particolare, e poscia perché riescono scipite e tediose tutte le scritture di critica e di derisione fuori della cir- costanza in cui un pubblico è in quella interessato. Il tempo solo decide del merito di ciò che si scrive, e non avendo io nessun merito per sperare dal tempo immortalità, sieno certi i due paladini Marco e Matteo, e gli alleati, della loro vendetta. Quanto agli altri oggetti fatti sospettosi dagl'indovini e dalla malizia, se useranno l'indulgenza di non credermi capace di PREFAZIONE 9 prender dirittamente per bersaglio nessuno che non mi pung^, per satireggiarlo, mi faranno giustizia. Potranno questi riflettere che, siccome ne' Caratteri di Teofrasto, nelle Satire di Orazio, di Giuvenale, nelle antiche commedie e in altri libri dell'anime passate negli Elisi, si trovano delle pitture d'uomini viventi og- gfidi; nella Marfisa bizzarra, da qui a due secoli, se '1 libro fosse fortunato a segno d'aver tanto di vita, si troveranno de' veri disegni d'uomini viventi in allora.