Concerto Lirico Da Camera

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Concerto Lirico Da Camera CONCERTO LIRICO DA CAMERA Al termine della prima giornata di lavori, giovedì 8 settembre, si terrà presso la Sala filarmonica di Rovereto un concerto lirico da camera d’impronta monografica. Il concerto è stato strutturato in modo da ricercare la massima affinità tematica con il Convegno di studi in svolgimento negli stessi giorni. Per questo si è scelto di rivolgersi a brani composti in quello stesso periodo tra il 1900 e il 1915 circa, che corrisponde alla fase più propulsiva e feconda dell’operare zandonaiano. Stralci significativi di quasi tutte le sue opere teatrali del periodo saranno presenti in programma e ciò creerà indubbiamente un utile pendant al dibattito critico sviluppatosi attraverso le argomentazioni presentate dai vari studiosi. Il concerto si pone quale momento imprescindibile di completamento e coronamento dell’intera iniziativa. Esso farà rivivere pagine rare e rarissime, nella maggior parte dei casi mai eseguite sul territorio o eseguite in tempi lontani, offrendo così un’attrattiva tanto per il pubblico esperto quanto per quello popolare. Concerto giovedì 8 settembre 2011 - ore 20.30 Sala Filarmonica - Corso A. Rosmini, 86 – Rovereto INGRESSO LIBERO «SCENE E ARIE DALLE OPERE GIOVANILI DI RICCARDO ZANDONAI» PROGRAMMA soprani ANNA DRAGAN La coppa del re CHIARA MOSCHINI aria di Guiscardo «Jolanda, giù nel fondo» aria di Jolanda «Guiscardo, oh non fuggire» e finale dell'opera tenori CRISTIANO OLIVIERI Il grillo del focolare STEFANO CONSOLINI aria di Dot «Succede qualche volta al mondo» coro «Nato è Gesù» e finale dell'opera mezzosoprano CLAUDIA MARCHI Conchita Atto I, scena III baritono OMAR CAMATA La via della finestra scena Gabriella-Giovanna-Marchesa, coro e finale Atto I Coro lirico CROMA di Ancona, dir. MIRCA ROSCIANI Melenis scena Cleandro-Commodo «Un’ibera brunissima» pianista aria di Melenis «Non ha che un sol la terra» e scena del trionfo STEFANO SEGHEDONI scena, coro, aria di Marzio «O chiara stella» e finale Atto II NOTE AL PROGRAMMA Il programma offre un quadro significativo della ricca produzione zandonaiana dei primi anni di professione, quando il maestro roveretano era pienamente impegnato nella costruzione della propria immagine di artista e l’impulso creativo era in lui intenso e costante, quasi febbrile. Provatosi con disinvoltura in molti campi diversi, dal sinfonico al cameristico, dallo strumentale al vocale, dal sacro al profano, fu catturato pienamente e subitamente dal teatro, e lo dimostrano le sette opere da lui prodotte nell’arco di poco più di un decennio, alcune delle quali da ritenersi fondamentali nel suo intero percorso artistico. 1 La composizione dell’atto unico La coppa del re , risalente probabilmente al 1902-03, avvenne in vista della partecipazione a un’edizione del concorso Sonzogno, quasi a voler tentare il colpo di Mascagni nel 1890 con Cavalleria . In realtà l’opera fu inviata qualche anno dopo ad un altro concorso indetto dal Ministero del Culto e dell’Istruzione di Vienna, dove si impose alla commissione esaminatrice che fece preventivare per essa una rappresentazione nei teatri imperiali. Ma il venir meno del direttore per subentrati impegni concertistici negli Stati Uniti fece decadere la cosa; lo spartito ritornò così nel cassetto di Zandonai e non fu più riutilizzato. Gustavo Chiesa, autore del libretto, apparteneva a quell’intellettualità liberale di orientamento italianistico i cui ideali erano condivisi dallo stesso Zandonai: è dunque arguibile che tra i due corressero dei buoni rapporti di frequentazione, quantunque non si conoscano nello specifico i termini d’intesa intorno a questo progetto di opera. Si può supporre che, in questa fase aurorale del suo operare, Zandonai avesse preso i versi di Chiesa come stavano, senza pretendere di intervenire sulla materia letteraria. In linguaggio dotto non privo di qualche pomposità e sicuramente non ignaro di tanta librettistica tardo- ottocentesca, Chiesa imbastisce in brevi tratti la storia che Schiller, nella ballata Der Taucher ( Il palombaro ), aveva raccontato ispirandosi a certa antica narrativa popolare di appartenenza siculo-normanna. Quella che qui si propone è la scena finale, quando Guiscardo, appena emerso dal profondo del mare dove si era tuffato per recuperare la coppa d’oro gettatavi dal re come pegno per ottenere la mano della figliola Iolanda, è ormai in punto di morte e indirizza a costei parole d’amore e di speranza in un futuro ricongiungimento in cielo. Ad esse Iolanda risponde a sua volta con un’aria dolente e disperata, dopo di che spetta al coro commentare il triste accadimento e portarlo a conclusione su toni di commossa partecipazione. La prima opera di Zandonai ad essere pubblicata ed introdotta nel circuito dei vari teatri fu Il grillo del focolare (1906), che Giulio Ricordi commissionò alla giovane recluta dopo averne constatato il valore e l’affidabilità. Non è chiaro se il soggetto di questa commedia musicale lo avesse scelto la casa editrice o il musicista stesso: di certo la tenue novella di Natale tratta dalla celebre raccolta di Charles Dickens sembrò adatta allo scopo, e Zandonai vi si mise con tutto l’ardore e la convinzione dei suoi giovani anni. L’intento palese di mostrarsi diligente, bene attrezzato nelle tecniche compositive, generoso nell’espressione e coraggioso nelle scelte linguistiche conferisce al lavoro un certo carattere sperimentale che ne condiziona in alcuni tratti gli esiti, risultando ad esempio sproporzionata la ricca sostanza sonora applicata ad una materia narrativa così esile e intimistica. L’opera però piacque poiché vi si volle vedere la presenza di un intendimento spiccatamente moderno, specie nel trattamento orchestrale. Di essa si presenta qui la parte finale, quando Dot, simpatica e dolce protagonista, riesce con la sua semplice saggezza femminile a rimediare agli ingiustificati eccessi di gelosia del marito vanificando nel contempo le trame del malvagio Tackleton, così da riportare la concordia nella piccola comunità raccolta intorno al focolare natalizio. Un coro inneggiante fuori scena chiude il quadro su toni di ingenua festosità. Se Il grillo del focolare era servito a segnalare al mondo musicale le doti di freschezza del compositore ventitreenne, Conchita (1911) fu quella che per esuberante impiego di energie creative, abile sfruttamento del color locale e sottigliezza psicologica gli consentì di confrontarsi con il più esteso campo internazionale. La scelta di un testo alla moda di Pierre Louÿs fece accostare Zandonai alla letteratura contemporanea, e non nel modo più scontato, lasciando addirittura sottintendere un intento scandalistico. La storia della donna e il burattino, che lo interessava anche per dei risvolti personali, gli era stata offerta su un piatto d’argento da Tito Ricordi dopo che altri compositori, compreso Puccini, l’avevano inutilmente tentata. La terza scena del I atto mostra don Mateo e Conchita nella modesta casa della giovane sigaraia e il loro conversare con la madre, persona di pochi scrupoli che già vede nel gran signore la fine delle proprie ristrettezze economiche. I due vengono lasciati soli e incomincia l’eterno rituale di corteggiamento con tutti i capricci, le incongruenze e le promesse del caso. Conchita rivela subito la sua caratteristica: «Sono pura come Dio m’ha fatta», sconvolgendo non poco i criteri del maturo hidalgo aduso a ben più facili conquiste. La successiva offerta di denaro da questi fatta alla madre manda su tutte le furie la ragazza, che si scopre oggetto di scambio mercenario. Tra la disperazione della madre che vede sfumare i suoi facili sogni di agiatezza, ella mette sossopra la casa e si appresta a fuggire lontano dove lui non possa raggiungerla. La scena svela il complesso carattere del personaggio, tra civetteria, puntiglio, fierezza, iracondia: un ruolo da vera primattrice che Tarquinia Tarquini, futura moglie di Zandonai, interpretò alla grande in vari teatri del mondo. Alla Via della finestra (1919) Zandonai arrivò dopo essersi provato in diversi generi operistici, dall’idillio del Grillo del focolare al dramma spagnolo di Conchita , dalla fiaba dell’Uccellino d’oro all’affresco antichizzante di Melenis , fino alla tragedia medievale di Francesca da Rimini . Scritta a ridosso del capolavoro, questa commedia giocosa dal caratteristico sapore vintage sembrò a molti un segno di regresso o di rinuncia, ma essa invece occupò un posto ben preciso all’interno della produzione complessiva del maestro, che non la sconfessò mai e anzi mantenne nei suoi confronti una simpatia duratura. Il testo, attinto dall’inesauribile fondaco dello Scribe e adattato per gli usi moderni da Giuseppe Adami, gli servì da pretesto per costruire una vicenda agrodolce di dispetti coniugali in un’ambientazione di piccola aristocrazia di paese nel mezzo della soleggiata campagna toscana tra danze, stornelli e canti di fienatori che echeggiano nell’aria circostante. 2 Benché Zandonai si confessasse appassionato dell’ Heure espagnole , non seppe o non volle allinearsi alla ricetta indicata da Ravel in questo suo atto unico, differenziandosene soprattutto nel trattamento della scottante materia coniugale che una sorta di ritegno benpensante gli impediva di dissacrare con facezie o sconvenienze, ammettendo al suo interno solo qualche screzio tale da non minarne le fondamenta. Per indole poco incline al comico, Zandonai si attesta qui sul piano della commedia ad equivoci dove può dar vita e voce alle diverse caratterizzazioni della moglie capricciosa, della servetta pettegola, del marchese-zio galante e cinico fino
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