Unde Origo Inde Salus La Festa Della Salute a Venezia
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Corso di Laurea Magistrale in Antropologia Culturale, Etnologia ed Etnolinguistica LM-1 Tesi di Laurea Unde origo inde salus La Festa della Salute a Venezia Relatore Ch. Prof. Glauco Sanga Correlatori Ch. Prof. Gianfranco Bonesso Ch.ma Prof.ssa Rita Vianello Laureando Rita Pilotti Matricola 956069 Anno Accademico 2018/2019 INTRODUZIONE Chiunque voglia dare un’interpretazione della storia veneziana, o coglierne un momento particolare, qualche che sia la sua formazione spirituale, il suo orientamento culturale, mette in evidenza – talvolta suo malgrado o addirittura a sua insaputa – come molto spesso ad operare nelle menti e nelle coscienze di governanti e di sudditi, di amici e di nemici, ad ispirarne, reggerne, dirigerne l’azione pratica non sia stata quell’astratta, perfetta verità che egli si affatica ad individuare razionalmente fra cronache, storie e scritture e documenti d’ogni genere; ma un mito bifronte, che è anch’esso verità, antico quanto Venezia, ed ancor più longevo: il mito di una Venezia magnanima, eroica, generosa, liberale, possente; il mito di una Venezia meschina, vile, avida, tirannica, stoltamente superba nella sua impotenza1. Venezia sostiene oggi una quotidiana battaglia per la sopravvivenza, ove alla minaccia costituita dalla sua intrinseca fragilità dovuta alla caratteristica che la contraddistingue, quella di essere «città d’acqua», costruita su un ecosistema precario e mutevole quale è quello lagunare, si sommano le pressioni di un turismo di massa non adeguatamente regolato, la mancanza di politiche sociali, economiche e culturali che medino l’inserimento della città nella storia nazionale e internazionale. Il persistente stato di rischio e l’osservazione forzata, in molti casi da parte di uno sguardo indiscreto e superficiale, ha non soltanto favorito l’ingresso di imprenditori stranieri, quando meglio equipaggiati di fronte alle sfide della globalizzazione economica e finanziaria, ma ha anche fatto in modo che le istanze territoriali arretrassero dai luoghi tradizionali della comunità, le calli i campi le osterie, di cui soltanto alcuni, e a fatica, hanno conservato un carattere «autoctono». La smaniosa ricerca dell’autentico e dell’originale, del locale, del naturale, che contraddistingue la più recente domanda turistica e, più in generale, economica, ha prodotto effetti ancora più nefasti sul già compromesso quadro appena descritto. Ciononostante, complici forse le barriere naturali che la 1 G. FASOLI, Nascita di un mito, in Studi storici in onore di Gioacchino Volpe, I, Firenze, Sansoni, 1958, p. 449. 1 separano dalla terraferma e, senz’altro, l’impegno dei suoi residenti, Venezia continua a mostrare i segni di una profonda consapevolezza di sé stessa e di un’identità locale ancora vivace e ben radicata. Se quest’ultima possa essere considerata come «folklore» – ciò che allineerebbe il tema trattato da questo lavoro con la tradizione demologica inaugurata in Italia da Pitré e poi profondamente innovata da Gramsci e De Martino – sarà oggetto di riflessione nei capitoli che seguono. Quel che già si può dire, invece, è che l’identità di Venezia si inscrive bene nella descrizione sopra riportata, secondo la quale essa accoglie istanze diverse e per certi versi contraddittorie, le quali riescono tuttavia a intrecciarsi e a coesistere. Così è, ad esempio, per il rapporto tra spregiudicatezza politica e devozione popolare. Erede della tradizione bizantina e, quindi, di una declinazione quasi religiosa del potere, Venezia fu nel Medioevo città di santi e di reliquie, tanto da ispirare a uno studioso della caratura di Francesco Sansovino, ancora nel secondo Seicento, la riflessione che la città venisse da questi più propriamente difesa che dall’acqua e dalle mura2. La città fungeva non soltanto da punto d’imbarco per i pellegrinaggi, nonché da snodo per i commerci, tra l’Europa Centrale e l’Oriente, ma era essa stessa meta di interesse religioso e punto nevralgico della supremazia politica nel Mediterraneo. Al culmine della sua potenza economica e militare, Venezia fu una delle culle del razionalismo e del realismo di matrice cinquecentesca, ospitando nei suoi palazzi, chi più chi meno a lungo, personalità del calibro di Manuzio, Aretino, Giorgione e, più tardi, Galilei, dove tuttavia queste correnti furono accompagnate fin da subito dalle note virtuosistiche e drammatiche del Manierismo e del Barocco, si pensi a Giordano Bruno, a Tiziano e a Tintoretto. L’opposizione alle manifestazioni di devozione popolare partì, nel tardo Settecento, dallo stesso Cattolicesimo ufficiale, sull’onda di quegli stessi valori culturali che avevano prodotto la Rivoluzione Francese, d’altra parte le soppressioni napoleoniche non impedirono il moltiplicarsi dei siti e delle forme di espressione del senso religioso nei sestieri della città così come nelle sue periferie lagunari e di terraferma. Quello del culto dei santi è, dunque, un taglio – all’incrocio tra teologia, antropologia e politica – specifico nell’approccio alla comunità veneziana che ne rivela, in modo privilegiato, l’unicità come pure, quasi paradossalmente, la rappresentatività nel contesto europeo e, forse, mondiale. 2 «Di maniera che se l’altre città guardano e confermano i loro cittadini con le mura, con le torri e con le porte, questa [Venezia] e senza ripari non solamente è sicura come s’è detto, ma con mirabil provedimento rende anco sicure quelle città che dormono sotto la custodia de gli occhi suoi. […] lo culto di Dio […] vi si vede ferventissimo e grande, quanto in qualunque altra parte si voglia d’Europa. Onde però infinite furono in ogni tempo l’attioni che ella fece e tuttavia fa […] per confermazione di santa Chiesa e di Cristianità […]». F. SANSOVINO, Venezia città nobilissima et singolare, Venezia, Filippi, 1968 [1. ed. 1581], p. 2. 2 Ad attirare la mia attenzione è stata la Festa della Madonna della Salute, che si celebra ogni 21 Novembre nell’omonima Basilica sull’estrema punta del sestiere di Dorsoduro. Ad interessarmi è stata anzitutto la constatazione che, a dispetto del quadro, più volte rappresentatomi, di una Venezia in cui le tradizioni popolari si trovano ormai inquinate o, in alcuni casi, addirittura dissolte, questa festa, le cui origini affondano nell’ormai lontano Seicento, continua a raccogliere un gran numero di pellegrini, per lo più Veneziani, residenti nel centro storico e in terraferma, ma anche affezionati alla città, di ogni religione e cultura e, in qualche caso, Veneti provenienti da altre province. Il primo capitolo del presente lavoro è stato dunque dedicato alla descrizione della festa e, in particolare, di quegli aspetti che, agli occhi di un’osservatrice foresta [it. non veneziana], proveniente dal Mezzogiorno d’Italia, sebbene ormai residente da alcuni anni e molto affezionata alla città, sono sembrati più densi di contenuto simbolico, senza dubbio anche grazie alle indicazioni che mi sono state fornite in tal senso dai miei intervistati nel corso della ricerca sul campo. Al termine di questo lavoro, sarà inoltre possibile leggere la trascrizione per intero del diario di campo. La Festa della Madonna della Salute mi è sembrata rilevante per ancora due ragioni, legate al voto che diede origine della ricorrenza. Come si chiarirà in seguito, infatti, e la costruzione della Basilica e la visita annuale da parte delle autorità civili e militari, con al seguito tutto il popolo di Venezia, realizzano una promessa – quasi retrocessa nel mito – che, il 22 ottobre 1630, la Serenissima pronunciò al cospetto della Vergine per impetrare la salvezza dal contagio. Lo studio di questa festa apre, quindi, a una riflessione sul tema della salute, da una parte e, dall’altra, su quello dell’identità attraverso la storia dei luoghi. Il fatto che questa festa continui ancor oggi a essere celebrata mi ha fatto chiedere quali siano i significati che oggi chi vi partecipa attribuisce al concetto di «salute». Le domande che mi hanno guidato in questa esplorazione sono state le seguenti: per quali ragioni la «peste», un’epidemia i cui contorni oggi sono stati ben definiti dalla scienza medica, continua a suscitare nell’immaginario collettivo mistero e angoscia? Quali problematiche, nello specifico del caso veneziano, declinano oggi l’equivalente della pestilenza del 1630? In che modo, storicamente, la città di Venezia ha provato a rispondere al problema della peste? Come funziona oggi la gestione (pubblica) della salute nel contesto della città lagunare? Il materiale proveniente dalla ricerca sul campo e rilevante in questo senso è stato raccolto nel secondo capitolo del lavoro. Anche la sola ripetizione di un gesto depositato al cuore della storia della Serenissima, quale è il voto del 1630 (ma sarebbe potuto essere qualsiasi altro) è di per sé meritevole di attenzione: essa suggerisce un’ulteriore riflessione sul concetto di «identità» e su come la memoria e la sua ri-presentificazione rituale contribuiscano a consolidarla. Il tema dell’identità mi è stato suggerito in alcune delle interviste che ho fatto, senza che io ponessi una domanda specifica: ciò mi 3 ha incoraggiato, se possibile, ancora di più ad approfondire questo tema, mettendo la festa della Salute in relazione non soltanto all’origine di Venezia, come fa l’iscrizione latina – riportata nel titolo del presente lavoro – che compare al centro del pavimento della rotonda maggiore della Basilica della Salute, bensì anche ai santi patroni e ad altri culti praticati – o non più praticati, ma di cui rimane traccia – in città, attraverso i quali è possibile ricostruire la storia