[email protected] 2 il festival Dentro gli spazi di un’architettura collettiva Ancora una volta il mistero è nel lavoro imperfetto dello scalpellino Esiste una architettura che si esprime attraverso la sovrapposizione di diversi elementi scelti con cura che, di volta in volta e stratificandosi l’uno sull’altro, creano un complesso edificio in grado di ospitare arredi dalle forme pulite e dalle linee nette. Questa ha bisogno di tempo e risponde alle esigenze di una geografia umana che si evolve modificandosi, a volte repentinamente ed a volte impercettibilmente, col - mando lo spazio vuoto con edifici invisibili. I materiali di costruzione sono le idee mentre le linee architettoniche sono la somma delle diverse esperienze che, inanellate in successione, formano una lunga e solida trave capace di reggere il peso enorme del tempo e le sollecitazioni dettate dagli accadimenti. Architetture sociali? Architetture viventi? Non c’è un termine adeguato. Perché queste nella real - tà non esistono ma ci piace credere che appartengano alla storia dell’umanità più di qualsiasi monumento conosciuto e più di qualsiasi luogo simbolico della terra conosciuta. Dalle Piramidi al Colosseo, dalla Tour Eiffel al non-spazio del Ground Zero di New York. Naturalmente parliamo non di luoghi visibili agli occhi del mondo ma di epicentri creativi capaci di suggerire altrettante architetture percepite attraverso i sensi ma mancanti di una struttura tradizionale dove la pietra d’angolo sono le genti e le mura di contenimento sono l’energia collettiva. Paolo Fresu (Foto Roberto Cifarelli) Il mio pensiero più concreto va ai luoghi d’arte all’a - perto.