Elogio Del Giornalista Ironico: Lorenzetto E Il Suo Dizionario Delle Citazioni Sbagliate Di SALVATORE MERLO

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Elogio Del Giornalista Ironico: Lorenzetto E Il Suo Dizionario Delle Citazioni Sbagliate Di SALVATORE MERLO 24 dicembre 2019 Elogio del giornalista ironico: Lorenzetto e il suo dizionario delle citazioni sbagliate di SALVATORE MERLO Un giorno Gianfranco Piazzesi, che era un giornalista come dev’essere un giornalista, cioè fantasioso e un po’ insolente, chiese a Franco Evangelisti, che era l’ombra rozza ed eterna di Giulio Andreotti, quali fossero mai le ragioni d’un avvicendamento all’interno d’una grande azienda pubblica. Ed Evangelisti, romano di scarse letture, gli rispose così: «Lo abbiamo sostituito perché stasa». E Piazzesi, canzonatorio, riportò la risposta così come l’aveva sentita: «Stasa», appunto, cioè stura. Che fine hanno fatto i giornalisti alla Piazzesi? L’ironia è oggi una pulce, in tempi totalmente occupati dal pachiderma dell’eccesso, dell’abnorme, in cui vige un codice fatto di «slurp», «lecca-lecca», essudati, nomignoli, pernacchie e flatulenze che sono l’esatto contrario del codice dello sberleffo e della ribalderia: una tirannia forse inestirpabile e nei confronti della quale viene sovente voglia di dichiararsi sconfitti. Eppure, qua e là, ci sono ancora giornalisti che l’ironia la praticano - per indole e per mestiere - ricordandoci ogni volta come questa virtù non sia soltanto la migliore tradizione del giornalismo italiano, ma probabilmente anche una veste dell’anima, che si accoppia con il distacco e la distanza, la sobrietà e la leggerezza. Leggendolo, da anni e con grande gusto, bisogna dire che Stefano Lorenzetto è uno degli ultimi appartenenti a questa grande razza condannata eppur indispensabile, quasi i pellerossa o i pigmei: i giornalisti spiritosi e fantasiosi, dunque non di sinistra ma nemmeno (come si dice oggi) sovranisti, uno di quelli che sembra ricordarci in ogni sua riga, come diceva Elémire Zolla, che l’eccesso è segno del contrario di ciò in cui si eccede. Un esempio è proprio questo delizioso dizionario delle citazioni sbagliate (Chi (non) l’ha detto, edito da Marsilio), trecentonovanta pagine tra le quali zampettare ridacchiando, da Andreotti a Zoroastro da Peretola, un compendio salace e colto con il quale Lorenzetto fa per l’appunto la smorfia alla smorfia citazionista, che è uno dei tic del cretino intelligente. Quanto sono belli certi aforismi di Ennio Flaiano, tipo quando scrisse che «i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti». In verità, ci ricorda Lorenzetto, la frase è di Mino Maccari. Però bisogna ammettere che attribuirla a Flaiano fa molta più scena. E infatti Flaiano, purtroppo, assieme a Leo Longanesi e Indro Montanelli, è diventato una banalità e un’impostura sulla bocca dei banali. E insomma Lorenzetto ha così composto un dizionario dal valore persino pedagogico. Ma con levità, appunto. Va comprato per Natale. E letto. Ci fa pure riflettere su come potremmo essere, e non siamo più. 4 luglio 2019 Montanelli o Mike Bongiorno? La vita è una citazione (sbagliata) di GIANCRISTIANO DESIDERIO Una volta Indro Montanelli confessò che quando era incerto sulla paternità di una citazione tagliava la testa al toro e l’attribuiva a Montesquieu che considerava così autorevole da aver potuto dire praticamente di tutto. Sulla fallibilità della memoria umana e sull’escamotage montanelliano è costruito il libro di Stefano Lorenzetto che non saprei dire se è più divertente o più istruttivo: Chi (non) l’ha detto (Marsilio). Le cose che scrive Lorenzetto, che Mario Cervi chiamava l’Oracolo - scoprite voi perché -, vanno lette sempre con considerazione, talmente è preciso, scrupoloso, enciclopedico al limite dell’infallibilità. Per capirci: questo «dizionario delle citazioni sbagliate» ha la bellezza di ben tre indici: i presunti autori, i nomi, le citazioni. Si va da Gesù a Nereo Rocco, da Agostino d’Ippona a Carlo Cottarelli, da Benito Mussolini a Donald Trump, da Francesco d’Assisi a Moana Pozzi con il risultato, per dirla con una citazione, che «il naufragar m’è dolce in questo mare». Così il modo migliore di leggere il libro-dizionario è scorrere l’indice delle citazioni. Qui viene il bello. Prendiamo un classico: Giulio Andreotti. Era bravo nelle battute e negli aforismi, quasi quanto Ennio Flaiano. Senz’altro sua è «il potere logora chi non ce l’ha», che va quasi a braccetto con «a pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina». Quest’ultima, però, non è di Andreotti ma, forse, del cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani e il giovane Andreotti, come ricordò lui stesso, la sentì per la prima volta nel 1939, pronunciata dal porporato all’Università Lateranense. Tuttavia, nello stesso anno la frase apparve nelle cronache milanesi del Corriere della Sera e ancora il 9 giugno 1969 nella rubrica del Proverbio del giorno: «A pensà maa se fa maa, ma se induvinna». Fu, però, Giovanni Malagodi a identificare la frase con Andreotti quando in un’intervista nel 1977 disse che il democristiano dava dei giudizi sugli uomini sostanzialmente veri, ma era un po’ troppo incline ad abusare del «detto toscano» che «a pensar male si fa peccato ma spesso s’indovina». Altra citazione: «Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene». Enzo Biagi, che ricorreva non poco alle frasi celebri ed a effetto, l’attribuì a colpo sicuro a Woody Allen e per ben due volte su Panorama nel 1992 e nel 1996, ma la frase è, invece, di Eugène Ionesco, drammaturgo del teatro dell’assurdo, anche se non si sa né dove né quando l’abbia effettivamente pronunciata. Il che è un po’ assurdo. Come, in fondo, è un po’ assurda la storia della frase più celebre di Mike Bongiorno che Mike Bongiorno non disse: «Ahi ahi, signora Longari, mi è caduta sull’uccello!». Per iniziare la Longari, campionessa di Rischiatutto, non esiste perché il vero nome della donna è Maria Giuliana Toro, che nel 1998 rivelò: «Mai pronunciata quella frase. Mica per niente: io stavo lì, no? Ha sempre smentito anche Bongiorno. Ho rivisto le registrazioni di tutte le puntate. Niente di niente. È buffo che io sia ricordata per un falso clamoroso. Potenza della televisione. Non è vero ciò che è vero, è vero solo quello che la gente ritiene sia vero». Ma la frase piaceva così tanto che alla fine Mike, anni dopo in un’altra trasmissione, disse veramente la frase che non disse mai. La verità è che la citazione ha un suo fascino e, come diceva Jorge Luis Borges, «la vita stessa è una citazione», sempre che l’abbia effettivamente detto, avverte ironicamente Lorenzetto. Ecco perché la citazione perfetta è quella non scritta: non è vera ma è verosimile e per questa sua potente qualità alla fine è di fatto un mito. Il montanelliano «turatevi il naso ma votate Dc» è leggendario. Il grande giornalista scrisse l’editoriale sul Giornale il 4 maggio 1976: temeva il sorpasso del Pci sulla Dc e invitò i lettori a turarsi il naso e votare i democristiani. Da quel momento in poi la frase di Montanelli è diventata un modo di dire per dire che a volte, per evitare guai peggiori, bisogna fare di necessità virtù. Sennonché, non solo la frase non era di Montanelli, ma di Gaetano Salvemini e risaliva, addirittura, ad Adolf Hitler, ma in quello storico «fondo» il giornalista non la scrisse. Eppure, tutti citiamo Montanelli, proprio come Montanelli citava Montesquieu. Vien quasi da correggere Borges: la vita è una citazione sbagliata. 1 settembre 2016 Che gran scrittore Lorenzetto Peccato solo che abbia torto... di VITTORIO FELTRI Stefano Lorenzetto, veronese incapace di staccarsi da Verona, che considera l’ombelico del mondo, è un grande giornalista e lo era anche da piccolo, nel senso di molto giovane. È nato con un formidabile talento incorporato ed è cresciuto cercando di dissiparlo senza però riuscirci del tutto, tanto è vero che continua a distinguersi per bravura e quantità produttiva. Scrive notte e giorno: articoli, specialmente interviste (la sua inimitabile specialità), libri a iosa. Forse scrive anche sui muri per tenersi in allenamento. E io che lo apprezzo leggo la sua prosa deliziosa dovunque, perfino su riviste che compriamosolamente lui e io. Andare d’accordo con Stefano è più difficile che avere buoni rapporti con la suocera più pestifera. Parlargli è piacevole fino a che, all’improvviso, senza che te ne accorga, si adombra e diventa antipatico. Basta un nonnulla a irritarlo: una parola storta, un concetto che non condivide, una frase che giudica inopportuna. Vuole sempre avere ragione e quasi sempre ce l’ha. Le sue opere sono numerose e non le ricordo tutte. Alcune recano anche il mio nome quale coautore, ma la fatica maggiore nel comporle è stata sua. Io sono pigro, lui è iperattivo. Lavora troppo per avere successo pieno, non gli resta tempo per curare la carriera. Avere Lorenzetto in squadra è una benedizione per la qualità che vi porta e una maledizione per i problemi di rapporti che vi crea. Il suo stile è impeccabile. Ricorda quello dei migliori (pochi) suoi conterranei (veneti): Marchi, Nascimbeni, Parise, Berto. Padroneggia l’italiano, di cui è custode rigoroso sino alla pedanteria. Affidargli un pezzo da passare significa predisporsi ad atroci sofferenze. Ti segnala anche la più piccola imperfezione, che talvolta tale non è, ma è una semplice licenza dialettale. Lo devi sopportare perché in fondo la sua perizia ti salva da figure di merda. Conosco Stefano da oltre 30 anni. È stato mio vicedirettore (vicario) al Giornale all’epoca in cui succedetti a Montanelli. Faceva tutto lui. Raramente ho osato contraddirlo. Quando l’ho fatto me ne sono pentito. Discutere con lui significa soccombere per sfinimento. Egli ha tanti difetti sovrastati da pochi pregi di alto livello. Gli sono grato per quanto ha dato al giornalismo, e a me, ricavando meno di quanto meritasse. Oggi esce con questo libro che esalta il no al prossimo referendum confermativo.
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