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35° ANNO ■ Hi 268 ■ GENNAIO 1959 sped. m □«!. pon. 3» Gruppo LIRE 300

I L D R A M M A MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI IL MEGLIO DEL TEATRO DI IBSEN, DUMAS F., WILDE, MOLIERE, SHAKESPEARE DEGLI ITA LIA N I, STRINDBERG È RACCOLTO IN QUESTA COLLANA ORMAI TANTO GRADITA E RINOMATA CHE IL SOLO VOLUME DI IBSEN È ALLA SETTIMA EDIZIONE

È DIFFICILE FARE UN REGALO MA QUESTI SEI SPLENDIDI VOLUMI NELLE DUE EDIZIONI RISOLVONO IL PRORLEMA

Della Collana “ I Capolavori” esistono due edizioni : comune e di lusso. I sei volumi in edizione comune; se comperati tutti insieme, costano 16.300 lire. Se il vostro libraio non li ha, rivolgetevi direttamente a noi. Per l’edizione di lusso aggiungere duemila lire in più per ogni volume, prezzo della rilegatura in mezza polle e dell’ “ ad personali)” poiché ogni copia porta l’indicazione a stampa della persona. Servir?'1 EDIZIONE NORMALE CARTONATA CON SOPRACOPERTA del c/c intestato a ILTE n. 2/56.

ILTE INDUSTRIA LIBRARIA TIPOGRAFICA EDITRICE STAGIONE TEATRALE 1958-1959

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CARLO D’ANGELO - LÍA ZOPPELLI - RENZO OS0VAMPIETRO - LOLA BRACCINI

8 MICHELE MALASPiNA

GABRIELLA B. ANDREIM - MAURO BENEDETTI - MICO CUNDARI - MANLIO DE ANGELIS - GIO­ VANNA GIACHETTI - RENATO LUPI - FRANCO NARDINI - ANTONELLA DELLA PORTA - MARIA PEGORARO - TERESA RONCHI - ZUMA SPINELLI - LORETTA TOSI - SILVANO TRANQUILLI

PAOLO L E V I COMMEDIA IN TRE ATTI PREMIO RICCIONE 1958

GIAN PAOLO CALLEGAR! LE RAGAZZE BRUCIATE VERDI COMMEDIA IN TRE ATTI

ALESSANDRO DE STEFANI COMMEDIA IN TRE ATTI

MARIO FEDERICI SI VENDE UN PASSATO COMMEDIA IN DUE TEMPI

5^' DANIELE D’ANZA MARIO FERRERÒ - GIORGIO BAND INI

¿Se MIS CHA SCANDELLA - CARLO SANTONOCITO

CARLO SANTONOCITO - WALTER PACE

Direttore di scena: MARIO COSTAGGINI - Suggeritore: GIOVANNI DANTI - 1° Macchinista: ETTORE DIAMANTE - Attrezzista: FRANCO M AD INI - Elettricista: FRANCO FERRARI - Amministratore: DINO TETTO PRESENTA

RINA M ORELLI PAOLO STOPPA

BICE VALORI MARCELLO GIORDA SERGIO FANTONI IL A R I A OCCHI N I GIUSEPPE PAGLIARINI - GABRIELE ANTONINI - MIMMO PALMARA EMILIO MARCHESINI - FRANCO LANTIERI - PINA SINAGRA

LA L0CAND1ERA

L’IMPRESARIO DELLE SMIRNE

¿etzo- ■y csy/ù-Zz- FIGLI D’ARTE V * ■-

¿ccZ&zzzezzz e- I R A G A Z Z I DELLA SIGNORA OEBBONS

Stâœù** qÆ Æ z UNO SGUARDO DAL PONTE

¿aye-??,w - RIDUZIONE DI VITA COL PADRE HOWARD LINDSAY E RUSSEL CROUSE

» «M i»»- ¿è - MARIA DE MATTEIS - PIERO TOSI - MARIO GARBUGLIA * J&uaó*n/z> «¿éS t^ ia . ERIPRANDO VISCONTI * ££¡¿**¿¿0*» ¿6:/*aA o- jaé>„yct- RENATO MOROZZI *

ORGANIZZAZIONE DI CARLO ALBERTO CAPPELLI ANNO 35 - NUOVA SERIE N. 268

I L D R A M M A MENSILE DI COMMEDIE DI GRANDE INTERESSE DIRETTO DA LUCIO RIDENTI

GE1NNAIO 1959 DIREZIONE-AMMINISTRAZIONE-PUBBI.ICIT.V: ILTE (Industria Libraria Tipo- grafica Editrice) Torino, corso Bramante, 20 - Telefono 693-351 - Un fascicolo costa L. 300 - Abbonamenti: annuo L. 3200; semestre L. 1700; trimestre L. 850 - Conto corrente postale 2/56 - Estero: annuo L. 3700; semestre L. 2000; trimestre L. 1000

■ ■ ' ¿'ri?¿r/n Taccuino: CONSEGUENZE DELL»ORTICARIA * Commedie: GLI AMORI DI PLATONOV, cinque atti di Anton Cecov A CIASCUNO IL SUO, un atto di Alberto De Maria e Giuseppe Possenti * Articoli e scritti vari (nell’ordine di pubblica­ zione): FRANCESCO BERNARDELLI, GIANFRANCO DE BOSIO, GIAN RENZO MORTEO, LUCIO RIDENTI, SERGIO SURCHI, ENRICO BASSANO, VITO PANDOLFI, GIGI LUNARI, EDOARDO BRUNO * Copertina: Anton Cecov, visto da Romano Cazzerò (disegno a tempera) * Disegni di Giuliano Cucco * Fotografie di : De Nota, Pierluigi, Gabo, Martinez, Franco Fedeli, Foto Light, Invernizzi, Ciemmefoto, Archivio Fotografico ILTE. RINGRAZIAMENTO - La Direzione di “ Il Dramma” ringrazia con gratitudine e ricambia gli auguri ai corrispondenti, collaboratori, amici e simpatizzanti della Rivista, che hanno inviato per Natale e il Nuovo Anno auguri e cordiali espressioni. L’impossibilità materiale di rispondere personalmente a tutti sarà certo compresa e varrà ad assolverci.

CONSEGUENZE DELL'ORTICARIA Per una combinazione che non diremo strana, il teatro italiano si è fermato un istante per discutere ad alta voce (1) di se stesso, proprio il giorno che Angelo è tornato a casa. Angelo non ha cognome Esposito nè Bianchi, ma Smith, e la sua casa è lontana, sulle rive dell’IIudson. È il primo Angelo costretto ad andarsene clamorosamente, vittima inconsapevole dello snobismo teatrale italiano, dopo aver fatto piangere lacrime cocentissime a Lilla Brignone, attrice squisita, figlia d’arte, che non riesce a resistere — lei così fondamentalmente tradizionale — alla tentazione di ingerire, ogni anno o due, una grossa porzione di snobismo, che le procura una paurosa orticaria. Paolo Stoppa e Bina Morelli, con regolari dosi, si sono, invece, assuefatti. Ma poche settimane fa è spuntata l’orticaria anche a loro, per colpa dei ragazzi della Signora Gibbons. Ciò nonostante essi si meravigliano come per la stessa malattia tocca sempre a Lilla doversi grattare per lunghi periodi. Anche Salerno, adesso, è ammalato grave. Questa epidemia, non soltanto dannosa, ma anche antipatica — come dico Paone — l’ha portata nel nostro teatro Luchino Visconti, nel 1948. Nei quindici anni trascorsi le nuove leve del teatro si sono scambievolmente contagiate, determinando lo stato di disagio nel pubblico, a tutti noto, che di anno in anno, cioè di Stagione in Stagione teatrale, si è tenuto lontano dalle zone infette, i palcoscenici, ma con la segreta speranza — perchè il pubblico il teatro lo ama — che l’epidemia finisca. Puro, tra gli attori, i più accorti e sensibili, preoccupati della situazione, si sono gradatamente isolati, e con accorgimenti prima marginali e poi sostanziali, prima quasi personali e poi di chiara posizione, sono guariti della pericolosa malattia. Il pubblico è accorso al loro richiamo e la critica li ha osannati. La loro Compagnia è oggi non soltanto la prima, ma la sola in Italia che meriti di essere chiamata “ Compagnia ” . E diremo perchè. Intanto facciamo i nomi, per quanto abbiate già capito: De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli. La Compagnia si chiama “ dei giovani ” non perchè siano ragazzi, ma perchè la loro formazione rispecchia il nuovo teatro italiano così come deve essere fatto, come si può e si devo fare in una Nazione, che per configurazione geografica, indole, costume ed insof­ ferenza congenita non può sopportare le cose stabili, teatro compreso. Gli italiani, è risaputo, si stan­ cano perfino della moglie bella. Dunque, che cosa credete che sia la Compagnia sunnominata? un dono divino o il genio di Shakespeare? No. Sono soltanto degli eccellenti attori che hanno formato una Compagnia, come ne abbiamo avute a decine per mezzo secolo consecutivo, da Calabresi a Talli — per stabilire due epoche — apportandovi, s’intende, quella modernità di intenti che ha d’altronde rinnovato tutti i campi, nessuno escluso, sulla superficie della terra. Uno di essi recita e dirige, con­ dizione che gli ha permesso di diventare il primo fra tutti i “ registi ” italiani. In effetti è il “ direttore che recita” , come cento e mille prima di lui, da Novelli a Euggeri. Senza stabilirlo, senza forse saperlo, tutti in quella Compagnia hanno il proprio “ ruolo” e — superata con disinvolto abito men- (1) ‘■‘Corriere, d’informazione”, dicembre-gennaio: Polemica sul teatro di prosa. tale l’ottusità dei comici di un tempo in tale formula e condizione — se li scambiano, i ruoli, secondo la necessità della commedia, creando, sempro gli stessi si badi, un tutto mirabilmente perfetto. Stanno insieme — fate attenzione — da cinque anni, mantenendo sempre valida la regola prima del teatro: il nucleo principale deve essere sempre lo stesso. Per quanti più anni è possibile. Questa Compagnia ha un “ repertorio ” , dispone sempre di alcune commedie di grande impegno e di migliore richiamo e le può recitare da una sera all’altra. Se la commedia nuova dovesse cadere — può capitare a tutti, anche i più accorti — si cambia senz’altro. Che cosa hanno fatto e continuano a fare gli altri? Uno “ spettacolo” , scimmiottando quanto più possono le regole ed il costume straniero, cioè di una mentalità differente ed a volte in contrasto con la nostra. So la commedia va male, cade cioè, o la Compagnia si scioglie o per “ resistere ” un mese nell’allestimento di altra commedia — continuando a recitare quella fallita, davanti a platee deserte — procurano un deficit talvolta irrimediabile. Luchino Visconti ha scritto, infatti, “ meglio sciogliere ” . Noi conosciamo però il parere nei suoi confronti degli attori che sono tornati a casa. Perseverare in tale errore è snob o fa venire l’orticaria al teatro. Luchino Visconti vuole un teatro così; noi abbiamo da quindici anni ciò che Visconti impone. Ma Visconti questa Stagione 1958-59 ha visto tornare a casa Angelo (non si tratta di uno “ scandalo nazionale per una commedia che non va” ; troppo semplice), ha visto scendere dall’ “ altalena ” , a Parigi, perfino, “ quei due” che dopo l’insuccesso al l ’héàtre des Ambassadcurs si sono ben guardati dal venire in Italia, dove erano ansiosamente attesi da Valentina Cortese e dal signor Salerno Enrico Maria, che dichiara plateal­ mente di abbandonare il teatro per l’immoralità di esso. Una immoralità che gli ha permesso, fino ad oggi, di guadagnare qualche cosa di molto vicino a dieci milioni l’anno di paga, come risulta dall’amministrazione della Stabile di Genova, e qualche partecipazione straordinaria. Quando Visconti afferma di essere orgoglioso dei suoi quindici anni di lavoro “ in una nuova gene­ razione ” potrebbe anche non sapere di sbagliare, ma il peggio — purtroppo — sta nella sua con­ seguente ostinazione: “ non ce ne lasceremo defraudare ” . E il teatro di una nazione vorrà sotto­ mettersi a questo dispotismo, ad una dittatura che è fatta — come sempre — col denaro degli altri, i contribuenti? Perchè il teatro italiano è lo Stato; senza di osso si fermerebbe di colpo, Visconti compreso. È lo Stato, dunque, che devo cambiare la bardatura della scena di prosa. Ma pare che non lo voglia o possa fare, e non si sa perchè. Meglio, lo si sa fin troppo; solo che si alzino gli occhi alla oscillante impalcatura politica. Il nostro è il più ingenuo Paese del mondo in fatto di repertorio, perchè concede rientri, sovvenzioni, od infine premi, alle commedie straniere. Questo, lo abbiamo scritto cento volte, fa ridere i teatranti di tutto il mondo (anche i nostri), ma si continua a farlo. Credevamo che l’on. Ariosto lo capisse; ci siamo sbagliati. E naturalmente si preferisce, a quasi parità di condizione di privilegio con le com­ medie italiane, rappresentare quelle clic hanno già ottenuto il collaudo di un successo nel Paese di origino. Salvo poi quella tale insofferenza degli italiani alla costrizione di dover considerare i pro­ blemi sociali altrui, prostituzione, etilismo, invertiti, ecc., che determina l’abbandono delle platee. Vogliamo ancora diro come la relazione di Eligio Possenti al Convegno teatrale di St. Vincent sia stata, evidentemente, non bene ascoltata e peggio letta quando pubblicata ne “ Il Dramma” . C’è in essa un passo dove è messo in rilievo l’antagonismo fra le Compagnie di giro ed i teatri stabili. Visconti so ne serve a guisa di polemica, ed afferma che il nostro teatro può “ essere eccezionalmente girovago ” c che “ la sua tendenza va sempre più verso la stabilità ” . La televisione non ha spazzato la Compagnia di giro in provincia, ma il cinema e la televisione insieme hanno invece distrutto — giustamente — quelle piccole formazioni di guitti, o quasi, inconcepibili al paragone con lo schermo e il video. Ma quando in provincia va la De Lullo e compagni, o Gassman (corno fenomeno di mat­ tatore: ecco che risiamo al passato) il pubblico lo considera un avvenimento, felice di parteciparvi. Spendaccioni corno siamo in Italia con i soldi dei contribuenti, lasciamo pure i pochi teatri stabili dove sono (non crediamo ne nasceranno altri; il gioco non vale la candela) ma si dia a Roma un “ Teatro Nazionale Drammatico ” . È necessario ed indispensabile. Inoltre, intensifichi PETI — che lo fa già per conto dello Stato — il riscatto dei teatri di provincia; si accordi la Direzione Generale dello Spettacolo con il Ministero dei Trasporti, affinchè le Compagnie ed il loro materiale possano viaggiare gratis. Invece di regalare il denaro in sovvenzioni e premi, si paghino i trasporti. Perchè questo, che noi ripetiamo da tempo, non si è mai potuto fare? quali sono gli ostacoli? Si aggirino, se non si possono superare, o si usino i tre o quattrocento milioni del cosidetto “ fondo RAI” (6,17% sugli incassi radiofonici) per pagare i viaggi. E si riveda la esosa tassazione dello spettacolo. Forse da quel momento incomincerà per il teatro italiano un nuovo cammino. E può darsi che nel contempo molti altri, oltre De Lullo e compagni, si accorgano di essere improvvisamente guariti dall’orticaria dello snobismo. Insomma, è ora di smettere di grattarsi. L’IN D IVID U O E IL TEATRO

A lla presunta crisi e decadenza del teatro d’oggi si possono trovare le cause p iù diverse, e addirittura contraddittorie. Perchè l ’arte del teatro si ja sempre più complessa, ricca e mutevole, come quella, così indefinibile, del romando, e perchè i l suo aspetto acutamente sociale la pone ogni sera di pronte a problemi capricciosi ed essenziali. Un argomento tra g li a ltri, profondo e paradossale, ci lascia perplessi: l ’individuo. Che cos’è l ’individuo sulla scena? A lla fine dell’ Ottocento, ai p rim i del Novecento, l ’indi­ vidualismo, la concentratone dell’artista su se stesso, sui patti intim i, segreti, inconsci e strettamente personali giunse a l dissolvimento dell’io. Errore dell’espressionismo, e p o i di tutto i l teatro moderno, fu l ’esasperatone individualistica che, addentrandosi nei la b irin ti dell’oscura psiche, rompe e frantum a i l personaggio, distrugge i l senso collet­ tivo, obiettivo e « coralmente » fantastico del teatro. Portare sul palcoscenico l ’individuo nella sua estrema particolarità veristica, nella sua piagata incomunicabilità (e su questa solitudine sì esercitò per decenni i l genio dei romanzieri), trascinare davanti al pubblico la devastata miseria dell’uomo, con i suoi inconfessabili orrori, con ì soliloqui così ro tti dall’angoscia, così aderenti ad m a singo­ larità patologica da diventare inafferrabili ( neppure la psichiatrìa, neppure ì confessori raggiungono quello che l ’uomo ha in sè d’ignoto, unico, irreperibile), è stata forse la p iù grossa infedeltà a ll’umore, a l senso, alla gloria del teatro. Non credia?no che l ’eroe classico o romantico possa essere im itato e ripetuto da un teatro moderno, ma siamo sicuri che i l personaggio splende in scena per quel tanto di simpatico e comunicativo che si sprigiona dalla stia originalità. L ’allacciamento col pubblico, l ’eco rapida ch’egli suscita negli spettatori, il coro che si alza, connivente ansioso pietoso, intorno a lui, lo fanno teatrale. Quanto più egli si apparta nella sua torbidezza dolente, nella sua indigenza bilia, incomprensìbile e incompresa, tanto meno riuscirà a interessare i l pubblico sempre disposto a dare se stesso agli a ltri, ai fantasmi vogliamo dire della scena, purché questi fantasmi tragici e generosi si diano a luì. Non è un bel modo di entrare in società, di attrarre Vattenzione universale quello di chiudersi, bisbetici e irrita n ti, nei p ro p ri « affari p riv a ti ». Si va così dalla signorina G iulia di Strindberg alla « gatta » sul tetto che scotta, della quale gatta unico com­ mento possibile è questo: se i l tetto brucia, a me che im portai Individualismo, certo, ma così insudiciato e insignificante, e chiuso nella sua turpe ipnosi, da provocare un po’ di ribrezzo e molta noia. Che ce ne facciamo, oh cari spet­ tatori, dite, che ce ne facciamo di questi cocainomani, ubriaconi, allucinati, anormali? Che ce ne facciamo di questa umanità che agisce male, parla male, bestemmia, è oscena, è vifiosa, è, analfabeta, e non dice nulla a nessuno, e dà sui nervi a tutti, tanto che anche tra loro, questi sciagurati, non si possono sopportare, e per tutta la rappresen­ tazione sì maledicono ? E pensare che si disse tanto male e si fece g li sprezzanti e g li schizzlnosl per gli attori « veristi » di cinquantanni fa. Ne valeva la penai oggi si rappresentano ì « cappelli pieni di pioggia », i « ricordi con rabbia » ; che garbo ! che g ra zia i che stile ! M a questi non sono che accenni, a indicare che non l ’esaltazione del­ l ’individuo ma i l suo avvilimento ha intaccato la struttura stessa, spirituale e rappresen­ tativa, del teatro. D a Strindberg alla psicanalisi, alle ciniche esercitazioni di Félicien Marcean non solo abbiamo perso di vista l ’uomo, che non è l ’individuo, ma non sap­ piamo neppure p iù ciò che in realtà vorremmo a l teatro. Questo non piace, quello non va, g li impresari spalancano g li occhi perplessi; oppure quest’altro va smodatamente, successo senza precedenti, cassetta cassetta cassetta, p o i ci si accorge che era una b ir­ banteria solenne. Prendete g li spettatori ad uno ad uno, proprio quelli che in quella gran serata, scollature e visoni, si sbracciavano ad applaudire, e diranno: i l teatro, che noi al La verità è forse questa (o anche questa), che al teatro si cerca un di più, non un di meno, e che se quest’argomento dell’individuo e dell’individualismo incide sulla scena non e soltanto per l ’im plicita sordidezza a cui si è abbassato e avvilito, ma perche sordìdezza e avvilimento frantumano, anzi impediscono i l grande linguaggio scenico: immagini ardenti, parole creatrici e rivelatrici e redentrici, azione fantastica e rag­ giante che è il « di più » che l ’uomo si aspetta dal teatro. Più e meglio della vita che ci e toccata in sorte; non la miseria fisiologica o patologica, non il vìzio canceroso che ognuno può portare in se, ma la forza, la potenza che trasfigurano le passioni e le attese in un gran concerto di voci, di figure, di ritm i. In un mondo, nel nostro mondo, disperso, fotografico, che si specchia nelle cronache degli spogliarelli e della delinquenza abituale, i l teatro potrà forse ridarci « i l linguaggio degli D e i », l ’unico che vale. A quella musica e non agli spasimi delle donnette e dei ragazzi mal conformati risponderà allora i l coro unanime, commosso e rapito degli spettatori. Comico o tragico, misterioso e sereno, è quello i l solo teatro che sì possa amare. Fratesco itemardciu Molti anni più tardi, rinvenuto negli archivi centrali di Mosca, dove nel frattempo le carte dello scrittore erano state accolte, il mano­ scritto venne pubblicato per la prima volta nel 1923 in un’edizione critica, cioè rispettosa di tutte le numerosissime varianti. Dieci anni dopo, nel 1933, il dramma ricomparve nel X II volume delle opere di Cecov, a cura delle Edizioni Statali di Letteratura. Tale edizione, che è quella su cui ha lavorato il traduttore Alberto Carpitella, riproduce soltanto l ’ul­ tima, anche se non definitiva, redazione del­ l ’autore, la sola quindi alla quale sia oppor­ tuno attenersi. L ’interesse che presenta questo dramma gio­ IL PRSIViO DEI vanile di Cecov è indubbio. In esso infatti PERSONAGGI FALLITI sono chiaramente individuabili in embrione tutti i temi fondamentali del grande dram­ CECOVIANI maturgo russo: una sorta di matassa fermen­ Gli amori di Platònov, o meglio il dramma che tante, forse convulsa, dalla quale però si dipa­ noi intitoliamo così (il titolo originale è an­ nerà, attraverso un processo di progressiva dato perduto con il frontespizio del mano­ purificazione spirituale e poetica, la limpida scritto) sono la più antica opera drammatica trama che intesserà i capolavori, dallo Zio di Gecov giunta fino a noi. Essa fu composta Vania al Giardino dei ciliegi. Gli amori di negli anni 1880-81 quando lo scrittore, appena Platònov sono un punto di partenza; e vien ventenne, da poco era giunto a Mosca dalla fatto di pensare che il giovane Cecov abbia nativa Taganròg per iscriversi alla facoltà di dato fuori qui, rivelando una precoce, mira­ medicina. In quel medesimo torno di tempo bile ed istintiva sensibilità, tutto ciò che gli il nome di Cecov, o piuttosto il suo pseudo­ urgeva nell’animo e nella mente: esame di nimo Antosa Cechonte, cominciava ad appa­ coscienza di un genio che vuole misurare le rire sui giornali e sulle riviste in calce alle proprie forze e fare ordine in se stesso. prime novelle. Il personaggio che campeggia al centro del Sappiamo che il giovane studente in medi­ dramma, Platònov, è il primo grande « fal­ cina inviò il manoscritto del dramma ad una lito » cecoviano. Spirito tormentato, contrad­ attrice del Malyj Teatr, M. N. Ermòlova, e dittorio, irrequieto, fondamentalmente de­ che costei, invece di rappresentarlo, lo resti­ bole, anzi abulico. Un’intelligenza e una co­ tuì all’autore consigliando alcuni rimaneggia­ scienza sciupate che ribollono rabbiosamente menti. Cecov, sbollito il primo impeto di col­ nelle pastoie dello smarrimento e della viltà lera, seguì il consiglio e a più riprese negli morale. C’è qualcosa di tragico, di beffardo e anni seguenti rimise le mani nel dramma al medesimo tempo di penoso nella figura di (sono state individuate tracce di almeno tre distinte revisioni) senza tuttavia giungere questo eroe, nelle sue velleità di riscatto, sem­ mai a dargli una forma definitiva. L’opera pre in bilico tra genialità e istrionismo. Di­ difatti durante la vita dell’autore non fu né sgusto e insofferenza per la propria sorte (lui, rappresentata né data alle stampe. l ’uomo superiore, finito maestro di villaggio); affannoso desiderio di rinnovare la propria linee essenziali del dramma e riportarlo al vita; incapacità di compiere ogni gesto deci­ medesimo tempo nei lim iti di durata di un sivo. Illusione di trovare nel prossimo — nelle normale spettacolo. donne — la soluzione dei propri problemi. Abbiamo lavorato, è ovvio, non perdendo mai Attorno, una piccola folla, il mondo della d’occhio le caratteristiche dialogiche e strut­ vecchia provincia russa, petulante e pittore­ turali del Cecov maggiore ed abbiamo cer­ sco, intessuto di decoro, di smanie, di infin­ cato di avvicinarci, in spirito di profonda reve­ gimenti, intriso di vodka, rapace ed abitudi­ renza, alla sua sobrietà. Tuttavia abbiamo evi­ nario. Russia 1880: epoca di transizione, an­ tato di snaturare il dramma giovanile e di nuncio di crisi, cultura francese dilagante, trasformarlo in un simulacro di dramma del­ compromissione di romanticismo e positivi­ l’età matura: in altre parole non abbiamo smo, contrasto tra la vecchia e la giovane ge­ soppresso neppure una scena per la sola nerazione. Un mondo concluso, ai margini del ragione che dieci, venti anni più tardi Cecov tempo, quello che ci presenta il dramma. non l ’avrebbe più scritta. La nostra unica Magnifico, quando si chiama Anna Petrovna, preoccupazione è stata di eliminare il sover­ frutto maturo di una società esausta; selvag­ chio e di attenuare alcune troppo evidenti gio e scomposto, quando assume il sembiante ingenuità tecniche. Abbiamo ugualmente r i­ di Osip, il bandito. spettato l ’accentuazione melodrammatica della Platònov è la vittima di se stesso e di questo vicenda, tanto più che essa in questo testo mondo. Anche se l ’abiezione, spavalda e pu­ è combattuta efficacemente da una costante sillanime, è il suo modo di essere, egli non vena grottesca. è una creatura abietta. In lui la lotta non co­ Ci pare che l ’opera meritasse di essere rie­ nosce tregua (ed è questo tormento, questo sumata. Il suo interesse non è esclusiva- tumulto, che lascia indovinare profondità e mente di natura culturale, né circoscritto alla possibilità inconsuete, ad affascinare e tur­ cerchia degli specialisti di studi cecoviani. bare le donne che lo circondano). Sterile lotta Anche se questo dramma, impetuoso sfogo di un uomo fragile, sprovveduto e velleitario, giovanile, non conosce la misura dei futuri in un’epoca di crisi, cosciente che qualche capolavori, indulge al romanticismo, a tratti cosa sta crollando e incapace sia di correre ai alza la voce, non disdegna i grossi effetti, ba­ ripari, sia di proporre a se stesso, non fosse sta tendere l ’orecchio per udire attraverso il frastuono la vera voce del poeta, e sentire che nell’illusione di una speranza, la luce di come dietro Platònov, dietro questo istrione una soluzione. Qui affiora un tema che costi­ del dolore, si celi l ’autentico smarrimento di tuirà uno dei motivi di fondo di tutto il grande un’anima alla ricerca di se stessa. teatro cecoviano. Gianfranco De Bosio e Gian Renzo Morfeo L ’opera, così com’è rimasta nel manoscritto originale, è smoderatamente copiosa; il rap­ presentarla integralmente richiederebbe quasi sei ore. Per questa ragione, ed anche per la sovrabbondanza verbosa del testo, era indi­ spensabile procedere ad una riduzione. A differenza di altri riduttori che ci hanno pre­ ceduti e che non hanno esitato in taluni casi a rimaneggiare largamente il copione alte­ randone non poco la fisionomia, noi ci siamo lim itati a sfrondare, in modo da estrarre le Nella corsa al « Platònov » della Stagione Teatrale 1958-59 il Teatro Stabile m i n m m ti m di Torino è arrivato primo. E per il momento che scriviamo, non soltanto in ordine di tempo, perché lo spettacolo cui abbiamo assistito ci è sembrato il più impegnativo e meglio riuscito fra tutti quelli già allestiti con la dire­ zione De Bosio, poiché la precedente — essendo soprattutto di impianto — non poteva avere che carattere provvisorio. Per la prima volta ci è sem­ brato che il dilettantismo sia stato definitivamente superato con un impegno professionale ammirevole; con « Gli amori di Platònov » abbiamo assistito ad un vero spettacolo, più che degno, di alto livello artistico. Uno spettacolo che onora non soltanto una città, ma una Nazione, giustificando il trattamento di favore che hanno questi teatri sovvenzionati di fronte alle compagnie di giro. Crediamo perciò che il Teatro Stabile di Torino abbia finalmente trovato il suo giusto equilibrio. Chissà perché la Stagione attuale «deve» avere tre edizioni di quest’opera giovanile di Cecov, ma fatta che sia la volontà di Dio, per il momento, perfetta è l’edizione di Torino, mentre sbagliata é risultata quella di Roma, data col titolo «francese», cioè della edizione Jean Vilar 1956 al Festival di Bordeaux: « Quel matto di Platònov ». Che, sia detto per inciso, matto non è. Prima che la Stagione finisca, il «Piccolo » di Milano ne darà una terza edi­ zione, crediamo col titolo abbreviato «Platònov ».

* Nelle fotografie che pubblichiamo sono tutti gli interpreti di Torino ed il lettore ritroverà i personaggi leggendo la com­ media, secondo Pordine della loro entrata in scena. Essi sono: Laura Adani, Carlo Montagna, Milly Vitale, Giulio Oppi, Ga- stpne Bartolucci, Elena Magoia, Attilio Or­ tolani, Cesare Polacco, Gianni Santucc'o, Luisa Rossi, Vincenzo de Toma, Mario Bar­ della, Sandro Rocca, Giovanni Mannocchi, Alessandro Esposito, Lucietta Prono. Regia di Gianfranco De Bosio. Servizio fotografico esclusivo per « Il Dramma » eseguito da Erminio Trevisio (Fotolight). U H 4M I11 Sii

DRAMMA IN CINQUE ATTI DI A N T O N C E C O V RIDUZIONE DI GIANFRANCO DE BOSIO E GIANRENZO MORTEO DALLA TRADUZIONE DI ALBERTO CARPITELLA

Anna Petròvna Voinìtseva (vedova del Generale Voinìtsev) Serghèi Pàvlovic Voinìtsev (figlio di primo letto del Generale) Sofia Egòrovna (sua moglie) Porfìri Semionòvic Glagòlev (vecchio banchiere molto ricco) Kirìll Porfìrievic Glagòlev (suo figlio) Mària Efimovna Grèkova (giovane proprietaria) Abràm Abràmovic Vengheròvic (ricco ebreo) Timofèi Gordèievic Bùgrov (commerciante) Mikhàil Vassìlievic Platònov (maestro di scuola) Aleksàndra Ivànovna (sua moglie) Nelle due fo­ Nikolài Ivànovic Trilètski (giovane medico, fratello di tografie la sce­ na conclusiva Aleksàndra Ivànovna) della comme­ Osip (giovane ladro di cavalli) dia, con la mor­ Màrko (commissario del giudice di pace) te di Platònov. Vassìli (domestico di casa Voinìtsev) Iàkov (domestico di casa Voinìtsev) Kàtia (domestica di casa Voinìtsev) L azione si svolge nella proprietà dei Voinìtsev in un governatorato meridionale russo, nel 1881. - 1° atto: in giugno - 2°*3° alto: d°P<> 15 giorni, nella stessa notte - 4° atto: 3 settimane dopo - 5° atto: il pomeriggio del giorno seguente. «&X &S£GSIX SS

GIARDINO DI CASA VOINITSEV. PANCHINE, SEDIE, TAVOLINI. DI LATO LA FACCIATA DELLA VILLA. TARDA MATTINA DI FINE GIUGNO. SONO IN SCENA ANNA PETROVNA 1 8 8 1 VOINITSEV E NIKOLAI IVANOVIC TRILETSKI. SU UN TAVOLO, UN GIUOCO DI SCACCHI.

Nikolài —■ Che cosa avete Anna Petròvna? con lei fate così per fare, o avete intenzioni serie? Anna (accendendo una sigaretta) — Niente... mi Nikolài — Sarebbe a dire? annoio... Anna — Non ve lo domando per fare pettegolezzi, Nikolài —• Datemi da fumare, « mon ange»! Ho ma da amica... Che cosa è per voi la Grèkova e che tanta voglia di fumare... Questa mattina non ho an­ cosa siete voi per lei? Rispondete senza fare dello cora fumato. spirito, per favore... Anna (gli porge le sigarette) — Prendetene di più, Nhcolài — Che cos’è lei per me e che cosa sono io così dopo mi lascerete in pace. (Nikolài le prende la per lei? Ancora non lo so... devo dirvi che vado da mano) Volete sentirmi il polso, dottore? Sto bene... lei ogni due giorni? Chiacchiero, faccio spendere a Nikolài — Volevo baciarvi la mano... (Pausa). sua madre per offrirmi il caffè e... Anna —• Che noia, Nikolài. Anna — E poi? Nikolài — Continuiamo a giocare? Nikolài —• Nient’altro... Non so che cosa mi attiri Anna — Come volete... Sono le dodici e un quarto, verso di lei. Voi che cosa ne pensate, l’amo o non forse i miei ospiti hanno appetito... l’amo? Nikolài — È probabile, per quanto mi riguarda ho Anna — Non le giocate qualche brutto tiro! Niko­ una fame terribile... (Riprendono a giocare agli lài, voi avete il vizio di fare un sacco di promesse, scacchi). dite una sciocchezza dopo l’altra e tutto finisce lì... Anna — Voi avete sempre fame, eppure mangiate mi farà pena... Che cosa fa ora? continuamente. Un uomo così piccolo e uno sto­ Nikolài — Studia... maco così grande! Anna — E studia chimica? (Ride). Nikolài •— Se mangio vuol dire che sono sano, e, Nikolài — Pare. con vostra licenza, «mens sana in corpore sano». Anna — M i piace con il suo nasetto a punta! Fa­ Anna — Tacete mi impedite di riflettere. temi parlare con Mària Efìmovna... (Pausa) Io vi Nikolài — È un peccato che voi, una donna così considero una banderuola ed è per questo che m’in­ intelligente, non capiate nulla di gastronomia. gerisco nei vostri affari. Ecco il mio consiglio: o Anna — Non fate dello spirito, mio caro! Avete non la toccate affatto, o la sposate. M i sentite? notato che non rido quando fate dello spirito? Nikolài — Non so se verrà quest’oggi. Nikolài — Tocca a voi, «votre excellence»! Sal­ Anna — Perché? vate il cavallo... Nikolài — Perché verrà Platònov. Non lo può Anna (fa una mossa) — Che ne dite? La vostra sopportare. Il nostro amico si è ficcato in testa che « lei » oggi verrà da noi? lei sia stupida e ritiene suo dovere importunarla. Nikolài — L’ha promesso. Anna -— Lo terremo noi a freno. Ditele che non Anna — Scusate la domanda indiscreta: anche abbia paura. (Volubile) Come mai Platònov è così ANTON CECOV in ritardo? Non è cortese da parte sua. Sono sei bene. Ma temo che insieme abbiate cacciato qual­ mesi che non ci vediamo. che altra cosa... Nikolài — Forse dorme ancora. Quando sono ve­ Anna — Non entrate in polemica, amico mio. Ab­ nuto da voi, le imposte della scuola erano chiuse. biano cacciato o no il romanticismo, il fatto è che Mio cognato è un gran mascalzone. gli uomini sono diventati più intelligenti, grazie a Anna — Come sta? Dio. E questo è importante... (Ride). Nikolài — Sempre bene. (Entrano parlando tra Glagòlev — Una volta Platònov ha avuto una loro Glagòlev e Voinìtsev). espressione felice... Noi, disse, siamo rinsaviti per Glagòlev (solenne, paterno) — Proprio così, mio quanto riguarda le donne, ma questo significa che caro Serghèi Pàvlovic; noi, astri al tramonto, siamo abbiamo calpestato nel fango noi stessi e le donne... migliori e più felici di voi che sorgete... Nikolài (ride forte) — Forse si trovava a qualche Nikolài (desolato, ma ironico) — Riecco Glagòlev, festa e aveva ecceduto nel bere. con vostro figlio. Anna —- Fla detto questo? (Ride) Sì, talvolta ama Anna — Smettiamo di giocare. (A Glagòlev) Vo­ sentenziare... ma è perché gli piacciono le frasi ad glio ascoltare il nostro caro Porfìri Semionòvic. effetto... Secondo voi che tipo è Platònov? Un Glagòlev — Come sono felice che sia tornata la eroe o no? nostra bella padrona di casa. (Bacia la mano ad An­ Glagòlev —• Che dirvi? Platònov, secondo me, è na Petrovna). il migliore rappresentante della moderna indecisio­ Anna —■ Grazie. ne... per indecisione intendo la condizione attuale Glagòlev — Sì, mio caro ragazzo, noi abbiamo della nostra società. Il nostro intelligentissimo Pla­ amato la donna, abbiamo creduto in lei perché la tònov, secondo me, esprime precisamente questa in­ consideravamo un essere migliore, ci si buttava nel decisione. Un malato, in fondo. fuoco per gli apiici... Anna — E’ un uomo simpatico... (Ansimante per Voinìtsev — Bei tempi quelli! il .caldo, entra Bùgrov). Nikolài — Oggi invece è terribile; solo i pompieri Nikolài — Chi si vede! Bùgrov! Sbuffa come una si buttano nel fuoco per gli amici. locomotiva, il nostro mercante! (Esce). Glagòlev — Noi eravamo migliori di voi. Bùgrov — Uff... un caldo terribile, certamente Voinìtsev — Voi ci gettate in faccia un’accusa pioverà. Vi riverisco Anna Petrovna. che si basa solo sulla vostra nostalgia per la gio­ ventù passata!... Anna — Lieta di vedervi tra noi, Bùgrov. Glagòlev -—■ Forse mi sbaglio... Bùgrov — Ringrazio vostra eccellenza. Caro Gla­ Voinìtsev — Forse? In questo caso non è que­ gòlev. (Glagòlev accenna un inchino ad Anna) Vo­ stione di «forse»... La vostra accusa non è uno stra eccellenza può concedermi un breve colloquio scherzo... in privato? Glagòlev — Naturalmente io non mi riferisco a Anna — Subito d’affari volete trattare? Non è il tutti presi in blocco... Ci sono anche delle ecce­ momento, mio caro. zioni, Serghèi Pàvlovic! Bùgrov — Ma... Voinìtsev — Naturalmente... (Si inchina) Vi rin­ Anna — Più tardi, più tardi... grazio umilmente della concessione. Voinìtsev (a Bùgrov) — Siete passato dal viale? Nikolài (ad Anna Petrovna) -— Quando perdo, Bùgrov — Sì, dal viale... se ne sta seduta buona buona come se fosse in­ Voinìtsev — Avete visto Sophie? chiodata alla sedia, ma non appena incomincio a Bùgrov — Sophie?... vincere le viene il desiderio di ascoltare Porfìri Voinìtsev — Mia moglie, Sofia Egòrovna. Semionòvic! Se abbandonate la partita, avete per­ Bùgrov —• No, no... duto, Anna Petrovna; quindi, mi dovete altri tre Anna — Oh, ecco finalmente Platònov. (Entra rubli. In totale dieci rubli. Platònov con sua moglie Aleksàndra Ivànovna) Vi Anna — Serghèi, dà dieci rubli a questo scimunito. sembra cortese farci aspettare tanto? Non sapete Nikolài — « Merci ». come sono impaziente? Cara Aleksàndra Ivànovna... Anna (a Glagòlev) — Dunque, secondo voi, Por- Lasciate che vi baci. fìri Semionòvic, la donna è un essere migliore! Sàscia — Con piacere, Anna Petrovna. (Si ba­ Glagòlev — Sì, io amo le donne, Anna Petrovna, ciano). e rendo loro omaggio. Voinìtsev (a Platònov) — Si è fatto grosso, è in­ Voinìtsev — Siete un romantico. grassato... il diavolo sa che cosa gli manca ancora!... Glagòlev — Forse... e con questo? Il romanti­ (Si inchina a Sàscia) Aleksàndra Ivànovna! cismo non è certamente una cosa negativa. Voi Platònov —■ Quanto è durato l’inverno! Sono giovani avete cacciato il romanticismo... Avrete fatto cent'anni che non ci vediamo! GLI AMORI DI PLATONOV

Anna — In che modo barbaro siete ingrassato! GlagÒlev — Da quanto tempo è morto vostro pa­ Come ve la siete passata, Mikhàil Vassìlievic? dre, Mikhàil Vassìlievic? Platònov — Male, male... Ho dormito tutto l’in- Platònov — Da tre... quattro anni... verno... non ho visto il cielo per sei mesi. Bere, Sàscia — Tre anni e otto mesi. mangiare, dormire, leggere romanzi a mia moglie... Glagòlev — Dio mio, come vola il tempo! tre male... anni e otto mesi! mi sembra ieri che ci siamo visti Sàscia (mite) — Si stava bene, ma ci annoiavamo, l’ultima volta. (Sospira) Eravamo entrambi giurati a naturalmente... Ivànovka. C’era anche il defunto generale Voi­ Platònov ■—• Ci annoiavamo terribilmente, anima nìtsev vostro marito, Anna Petròvna, e venne a di­ mia. Avevo una acuta nostalgia di vedervi, Anna verbio con vostro padre, Platònov. Noi li facemmo Petròvna, dopo il lungo, molesto isolamento. Rive­ ubriacare e così si riconciliarono. Non ce niente di dervi è davvero un lusso imperdonabile. più facile che far riconciliare i russi... Vostro padre Anna — In compenso dei vostri complimenti, ec­ (rivolto a Platònov) era un uomo bonario, aveva un covi una sigaretta. cuore eccellente. Platònov —- « Merci ». Ho saputo che vostro figlio Platònov — ...non eccellente, sconclusionato! si è ammogliato. Serghèi Pàvlovic, vi faccio gli Glagòlev — Io lo tenevo in grande considerazio­ auguri più sinceri. Da voi non mi sarei mai aspet­ ne. Eravamo in ottimi rapporti. tato un’azione così importante ed ardita. Così ra­ Platònov — Non posso vantare la stessa cosa. pidamente, poi! Chi si sarebbe potuto aspettare da Non andavamo d’accordo e negli ultimi tre anni voi una tale eresia? eravamo veri nemici. Voinìtsev — Ho fatto presto, non è vero? (Ride) Glagòlev — « De mortuis aut bene aut nihil », M i­ Io stesso non mi aspettavo questa eresia. M i sono khàil Vassìlievic! innamorato e mi sono sposato. Platònov — No... questa è un’eresia latina. Se­ Platònov •— Non passava inverno senza dirmi: condo me : « De omnibus aut nihil aut veritas ». Me­ «Mi sono innamorato», ma quest’inverno per di glio «veritas», che «nihil»; almeno è più istrut­ più si è sposato, si è munito della censura, come tivo... Suppongo che i morti non abbiano bisogno dice il nostro prete. La moglie è la più terribile, la di concessioni. più cavillosa censura! Guai però se è stupida! A Voinìtsev (per spezzare la tensione) — Chissà dov’è mia moglie poi non ce nulla che le piaccia quanto mia moglie? Platònov non la conosce ancora... gliela veder la gente sposarsi. Le piacciono gli sposalizi... devo presentare. (Si alza) Andrò a cercarla, le piace Sàscia -— Non sono gli sposalizi che mi piacciono, tanto il bosco che non vuole staccarsene. ma l’ordine. Secondo me, quando viene il momento Platònov — Vorrei pregarvi, Serghèi Pàvlovic.. di di prendere moglie, bisogna sposarsi. M i avete dato non presentarmi a vostra moglie... M i piacerebbe proprio una grande soddisfazione, Serghèi Pàvlovic. vedere se mi riconosce ancora. Tempo addietro ci Platònov (a Serghèi) —• Avete trovato un posto? conoscevamo un po’ e... Voinìtsev — Me ne offrono uno al ginnasio, ma Voinìtsev — Avete conosciuto Sofia? non so che fare. Lo stipendio è scarso, e, in gene­ Platònov — Molti anni fa... quando ero studente. rale... Voinìtsev — Conosce proprio tutti! (Esce ed in­ Platònov — Lo accettate? crocia Nikolài). Voinìtsev ■— Non ho ancora deciso. Probabilmen­ Nucolài — I miei omaggi ai signori parenti! (Bacia te no. Sàscia) I diavoli hanno fatto ingrassare il tuo M i­ Platònov — Quindi, sarete a spasso. Sono passati khàil. Avete fatto bene a venire! Come vanno gli tre anni da quando avete terminato l’università? affari, Mikhàil? Voinìtsev — Sì. Platònov — Quali? Platònov (sospira) — E nessuno vi picchia? Bi­ Nikolài •— I tuoi, naturalmente. sognerà dirlo a vostra moglie... restare inattivo per Platònov — I miei? E chi lo sa! Caro mio, sa­ tre buoni anni! che ne dite? rebbe lungo da raccontare e per di più non inte­ Anna — Lasciate stare, Platònov. Fa troppo caldo ressante. Finalmente però siamo qui, grazie al cie­ per parlare di argomenti elevati... Perché non vi lo. Da sei mesi non vedevamo quésta casa. Abbia­ siete mai fatta vedere, Aleksàndra Ivànovna? mo dormito tutto l’inverno in una tana. Come orsi. Sàscia — Non ho avuto tempo... tra una cosa e Grèkova (entrando) — Buon giorno, Nikolài Ivà- l’altra... e andare in chiesa... Miscia ha sempre bi­ novic! Buongiorno signori! sogno di me... oggi sono andata ad ordinare una Nikolài ■—- Mària Efìmovna! Questo è veramente messa per il padre di Miscia. (Bevono gli aperitivi gentile da parte vostra. Una vera sorpresa! che i servi hanno portato). Anna —- Mària Efìmovna! Come sono contenta! ANTON CECOV

(Strìnge la mano a Grekova) Veramente lieta di ve­ Anna (rivolta a Sofia Egòrovna che entra in com­ dervi. (Glagolev bacia la mano a Grèkova). pagnia dì Abramovic Vengheròvic e Voinìtsev) — Glagòlev —■ Mària Efimovna! Finalmente ti sei stancata di passeggiare con questa Grèkova — Buon giorno. No, non baciatemi la afa insopportabile, Sofia! mano per favore... m’imbarazza... (Tossisce) Fa ter­ Sofia — Ho chiacchierato tanto con monsieur Ven­ ribilmente caldo, vero? gheròvic, che ho dimenticato completamente il caldo. Platònov — Ho l’onore di presentarvi i miei Vengheròvic — Molto gentile... omaggi!... Come state? (Fa l’atto di baciare la mano). Platònov (sorpreso alla vista di Sofia; a Sàscia) — Grèkova (ritira la mano) — Non occorre... Com’è cambiata! Non mi riconosce. Platònov — Perché? non ne sono degno? Anna (a Nikolài che è rientrato) — Come va Mària Grèkova — Non so se ne siate degno, ma... pro­ Efìmovna? babilmente non siete sincero. Nikolài — Vuole starsene un po’ sola... Platònov — Non sono sincero? come fate a sa­ Glagòlev (a Sofia) — Non siete mai stata da me, perlo? Sofia Egòrovna! spero che la mia casa vi piacerà... Grèkova — Non avreste baciato la mia mano, se il giardino è anche più bello del vostro, il fiume non avessi detto che non mi piace... in generale a profondo, ho dei magnifici cavalli... voi piace fare quel che non piace a me... Sofia — Verremo... (Sottovoce a Glagòlev accen­ Platònov —• Un’affermazione affrettata! Come va nando a Platònov) Ma chi è quel tale seduto là? il vostro etere di cimici Mària Efimovna? Glagòlev (ride) — E’ il nostro maestro... (Fin­ Grèkova — Quale etere? gendo) Non ricordo mai il suo cognome. Platònov — Ho sentito dire che ricavate l’etere Anna — Come si arriva da voi, Porfiri Semionòvic? dalle cimici. Volete arricchire la scienza... una no­ Per la tenuta Iùsnovka? bile causa! Glagòlev — No... Fareste un giro inutile. Venite Grèkova (•punta sul vivo) — Io non sarei venuta direttamente per la tenuta di (calcando la parola) se Nikolài Ivànovic non mi avesse dato la parola Platònovka. Abito lì vicino. d’onore che voi non c’eravate... Sofia — Forse ho conosciuto il proprietario, Pla­ Platònov (ironicamente compassionevole) — State tònov. Serghèi, sai dove adesso questo Platònov? per piangere... piangete un po’! talvolta le lacrime Voinìtsev — Credo di sì. Non ricordi come si danno sollievo. chiama? (Ride). Nikolai — E’ sciocco; sciocco! capisci? seguita Platònov — Un tempo lo conoscevo anch’io. Mi ancora e... saremo nemici! sembra che si chiami Mikhàil Vassìlievic. (Ilarità). Platònov —• Che cosa c’entri tu? Sofia — Sì, sì... si chiama Mikhàil Vassìlievic. Nikolài — E se io l’amassi? Quando lo conoscevo era ancora studente, quasi un Platònov — Tu amarla?... Ma fammi il piacere! ragazzo... Perché ridete signori?... Mi sembra che Nikolài — Non sai quello che dici! non ci sia niente di ridicolo nelle mie parole. Glagòlev — Dovete chiedere scusa, Mikhàil Vas- Anna (ride forte e indica Platònov) — Ma rico­ sìlic. noscetelo una buona volta altrimenti scoppierà dal­ Platònov — Perché? l’impazienza! Glagòlev — E lo domandate?! Siete stato crudele. Sofia (s’alza e guarda Platònov) — Sì... è lui. (Tutti Sàscia (si avvicina a Platònov) — Spiegati, altri­ battono le mani) Ma perché tacete, Mikhàil Vas­ menti me ne vado via!... chiedi scusa! sìlievic! Siete proprio voi? Anna — Capisco... (Guarda Platònov) Scusami Platònov —■ Non mi avete riconosciuto, Sofia Mària Efimovna. Ho dimenticato di parlare prima Egòrovna? Non è strano! Sono passati quattro anni con questo... con Platònov. La colpa è mia... e mezzo, quasi cinque, e nemmeno i topi sarebbero Platònov (si avvicina a Grèkova) — Mària Efi­ stati capaci di rosicchiare così bene una fisionomia movna! chiedo scusa... e chiedo scusa pubblicamen­ umana, come i miei ultimi cinque anni. te... datemi la mano... giuro che sono sincero. Fac­ Sofia — Ora soltanto incomincio a riconoscervi.’ ciamo la pace? (Le bacìa la mano ostentatamente). Come siete cambiato! Grèkova — Facciamo la pace!... (Si nasconde il Voinìtsev — Ti presento sua moglie, Aleksàndra viso col fazzoletto ed entra in casa accompagnata da Ivànovna, sorella di Nikolài Ivànovic, il più spiritoso Nikolài). degli uomini! Anna (rivolta a Platònov) — Non pensavo che Sofia — Molto lieta! avreste osato... Voi! Sàscia — Anch’io, mia cara. Platònov (seccato) — Basta. Sono stato sciocco, Anna —- Bravo, Platònov! (A Sàscia) Non va mai ma non vale la pena di ritornarci su. in nessun posto, ma conosce tutti. Sofia, vi racco- GLI AMORI DI PLATONOV mando il nostro amico! (Si allontana con Sàscia e tadini, assassino. E’ nato a Voinìtsevka, ha rapi­ Voinìtsev). nato e ucciso a Voinìtsevka e creperà sempre a Voi­ Platònov (a Sofia) — Questa alta raccomandazio­ nìtsevka! (Ilarità). ne è sufficiente per avere il diritto di chiedervi, So­ Osip (ride) —- Siete un uomo curioso, signor Pla­ fia Egòrovna, come state. tònov. Sofia — La vita è sopportabile, ma la salute è un NikolÀi (gtuirda attentamente Osip) ■— Di che po’ cagionevole. E voi? cosa ti occupi, caro? Platònov — Ricordate quando voi vedevate in Osip — Di furti. me un secondo Byron, e io sognavo di diventare un Nicolai — Ah... un’occupazione gradevole... sei ministro o un Cristoforo Colombo? Sono maestro un bel cinico! elementare, Sofia Egòrovna, nient’altro. Osip — E cosa vuol dire cinico? Sofia — Voi? Nicolai —• Cinico è una parola greca : tradotta Platònov — Sì, io... (Pausa) Forse è un poco strano. nella tua lingua significa un porco il quale desidera Sofia — Inverosimile! Ma perché non di più? che il mondo intero sappia che lui è un porco. (Ila­ Platònov — Non basta una frase per rispondere rità). alla vostra domanda... (Pausa). Platònov — Sei stato in carcere almeno una volta, Sofia — Ma almeno avete finito l’università? Osip? Platònov —• No. L’ho lasciata. Osip — Capita... ci vado ogni inverno. Sofia — Ah... tuttavia questo non vi impedisce di Platònov — Nel bosco fa freddo e tu vai in pri­ essere un uomo? gione: è così? Ma perché non ti mandano ai lavori Platònov — Scusate? forzati? Sofia — Non mi sono espressa chiaramente. Que­ Osip — Lo sanno tutti che sono un ladro e un bri­ sto non vi impedisce di essere un uomo... un lavo­ gante. (Ride) Ma non tutti lo possono dimostrare... ratore, voglio dire, nel campo... se non altro, della Uhm... uhm... oggi la gente non ha coraggio, è libertà, dell’emancipazione della donna... Questo sciocca... ha paura di tutto... ha paura anche di de­ non vi impedisce di servire una idea! nunziare... potrebbe farti deportare, ma non capi­ Platònov — Che dirvi? Probabilmente questo non sce le leggi... in una parola: sono diventati tutti impedisce... ma... impedire che cosa? (Ride) Non asini... vi capisco... (Entra Osip. Platònov alzandosi) Chi Platònov — Ragiona bene questo farabutto! (So­ vedo?! Il compare del diavolo! Il più spaventoso de­ spira, guardando con intenzione Vengheròvic) Quali gli uomini! brutture sono ancora possibili in Russia!... Osip (inginocchiandosi a baciare un lembo della Osip — Non sono il solo a ragionare così, Mikhàil gonna di Anna Petròvna) — Ho l’onore e il piacere Vassìlievic! Oggi tutti ragionano così. Ecco, per esem­ di congratularmi per barrivo di Vostra Eccellenza... pio, Abram Abràmic... vi auguro di tutto cuore ciò che desiderate da Dio. Vengheròvic —• Credo che si potrebbe lasciarmi (Ilarità). m pace. Anna — Non mancavate che voi! Perché sei ve­ Platònov — Non è il caso di parlare di lui. E’ si­ nuto? mile a te; l’unica differenza è che è più intelligente Osip — A fare gli auguri! di te... lui possiede sessanta bettole, caro mio, ses­ Anna ■—■ Vattene! santa bettole, mentre tu non hai nemmeno sessanta Platònov — E’ da molto tempo che non ti vedo, copechi... assassino, furfante matricolato! ebbene, amico! dicci Anna — Basta, Platònov! qualche cosa! ascoltiamo il grande Osip! Vengheròvic — Vorrebbe cacciarmi di qui, ma non Anna — Non lo trattenete, Platònov! Se ne vada! ci riuscirà. Sono in collera con lui. (A Osip) Dì in cucina che Platònov — Vedremo. (Rivolto a Osip) Tu intanto ti diano da mangiare... hai rubato molto nella no­ vattene. Sparisci! stra foresta durante l’inverno? Osip — Maria Petròvna ha un pappagalletto che Osip (ride) — Un tre quattro alberelli... (Ilarità) chiama scemi tutti gli uomini e i cani, ma quando Platònov —- Sei proprio bravo, che il diavolo ti vede un avvoltoio oppure Abràm Abràmic, grac­ scortichi! Come mai, « homo sapiens», ti è venuto in chia : « Ah ah maledetto! ». (Ride forte) Me ne vado! mente di capitare qui? (In tono un po’ istrionesco) (Esce). Ho l’onore, signori, di presentarvi un interessantis­ Vengheròvic (a Platònov) — Chiunque, ma non simo soggetto! Uno degli animali sanguinari più voi, giovanotto, si può permettere di farmi la morale interessanti di un moderno museo zoologico! (Fa e per di più in questo modo. Io sono un cittadino, voltare Osip da tutte le parti) Universalmente co­ e, per dire la verità, un cittadino utile. nosciuto come Osip, ladro di cavalli, terrore dei con­ Platònov — Un cittadino... Se voi siete un citta- ANTON CECOV

dino, questa è una parola molto brutta! Addirittura amico del generale buon’anima? Chi gli ha chiuso un insulto. gli occhi sul letto di morte? (Anna è palesemente Vengheròvic -— E voi chi siete, giovano to? Un infastidita) Va bene. (Sospira) Vado a bere a con­ bellimbusto, un proprietario che ha dilapidato i suoi solazione della sua anima e alla vostra salute. (Ri­ beni... compare Platònov) Vi lascio con Platònov. Platònov — E’ colpa vostra!! Anna — Vi siete calmato? Vengheròvic — Uno che ha preso nelle sue mani Platònov — Sì, sì, scusate mia cara... non è il caso un compito sacro, senza averne il minimo diritto, di arrabbiarsi... (Le bacia la mano) Ma tutti costoro, corrotto come siete... mia cara, dovrebbero essere cacciati da casa vostra. Platònov — Finitela, ebreo! Anna (maliziosa, con una punta d’amarezza) — Con Sàscia (supplichevole) —■ Mikhàil! vero piacere, insopportabile amico, caccerei questi Anna — Basta Platònov, perché avvelenarci la gior­ ospiti!... ma purtroppo né io né la vostra eloquenza nata con le vostre elucubrazioni? abbiamo il diritto di cacciarli. Sono tutti nostri bene Voinìtsev — Calmatevi, Platònov. fattori; creditori. Se li guardassi in cagnesco do­ Vengheròvic (a Glagòlev e Bùgrov) —• Non mi mani non saremmo più in questa proprietà. O la lascia un minuto di requie; che cosa gli ho fatto? proprietà o l’onore. Come vedete, scelgo la pro­ E’ un ciarlatano! prietà... (Sulla porta appare Sofia) Prendetela come Platònov (a Sàscia ed Anna) —- Se ci si guarda vi pare, mio grazioso chiacchierone, ma se non vo­ intorno e si riflette seriamente, ce da cadere in deli­ lete che io me ne vada da questi magnifici luoghi, quio!... e, quel che è peggio, tutto ciò che è onesto, non mi dovete ricordare l’onore... (bisbigliando) e civile, non fa sentire la sua voce. Invece tutti guar­ non toccate le mie oche. dano con reverenza questo arrivista coperto d’oro Sòfia — « Maman! ». (indica Vengheròvic) e s’inchinano davanti a lui sino a terra. L’onore è andato al diavolo! Anna (a Platònov) — E ora a mangiare, a man­ Anna — Adesso basta, calmatevi Platònov! Non giare... (Si avviano. Anna entra. Platònov e Sòfia ricominciate come l’anno scorso, non lo sopporto. indugiano a guardarsi per un attimo, poi Sòfia, dà Sàscia ■—• Calmati, ti prego... scatto, si volta ed entra in casa). Platònov (beve un bicchiere d’acqua) — Farò come volete. ATTO SECONDO Vassìli (entrando) — Eccellenza, il pranzo è ser­ vito. * (Il giardino del primo atto. Le finestre sono aperte Anna —- Bene. Signori a tavola, a tavola. (Tutti e da esse arrivano risate, frasi, suoni di pianoforte vanno. Rimane Bùgrov che ferma Anna Retròvna). e di violino. Quadriglie, valzer, ecc. Il giardino e Bùgrov — Anna Petròvna, potete fermarvi un la casa sono illuminati. Vassìli e làkov, ubriachi, istante? sistemano i lampioncini alla veneziana. Una coppia Anna — Dite presto quel che volete... non ho di ospiti attraversa la scena, ridendo, baciandosi. tempo... Esce in giardino Sòfia, assorta, sembra voler evitare Bùgrov — Uhm... vorrei un po’ di soldarelli, mia la festa. Va a sedere, assorta, su una panchina. Ir­ cara. rompe a cercarla Voinìtsev, già allegro). Anna {in tono di sfida) — Quanto vi serve? Un Voinìtsev — A che pensi, Sophie? rublo, due? Sòfia — Non so. Bùgrov -— Pagate le cambiali. Sono stufo di guar­ Voinìtsev — Non posso aiutarti? Che cosa sono dare le vostre cambiali. Sono ricchezza illusoria. questi misteri con tuo marito?... (Si siede accanto Dicono: tu possiedi! ma in realtà non possiedi un a Sòfia). bel nulla. Sòfia — Quali misteri? Io stessa non so che cosa Anna —- Non vi vergognate di chiedermi quei sedi- accade in me... Non mi tormentare inutilmente, cimila rubli? Non vi ricordate che li avete estorti a Serghèi! Non badare alla mia malinconia. (Lunga mio marito quando stava male? Io non ho denaro. pausa; poi d’un tratto) Andiamocene via di qui, Andatevene e protestate le cambiali. Serghèi! Bùgrov (insinuante) ■— Posso fare un’allusione? Vi Voinìtsev (stupito) •— Via di qui? piace Porfìri Semionòvic Glagòlev? Sofia — Sì. Anna — Che v’importa? Perché vi interessate agli Voinìtsev — Perché? affari miei? Sofia — Lo desidero... partiamo per l’estero. Sì? Bùgrov —• Che m’importa? (Si batte sid -petto) Per­ Voinìtsev — Vuoi partire... ma perché? mettetemi di domandarvi: chi è stato il miglior Sòfia — Qui si sta bene, ci si diverte, ma io non GLI AMORI DI PLATONOV posso... partiamo. M i hai dato la parola che non tralasciato di prendere qualche cosa che ora invece avresti fatto domande. desiderate... mi guardate in modo strano... Perdete Voinìtsev (affettuoso, accondiscendente) — Parti­ la calma, gridate, mi afferrate la mano, mi persegui­ remo domani stesso... Domani non saremo più qui! tate... A che scopo?... In una parola, non mi date (Le bacia la mano) Qui ti annoi. Ti capisco, è un requie... Che cosa sono io per voi? ambiente che non va, ma come mai le donne hanno Platònov — E’ tutto? (Si alza) « Merci », per la tanta malinconia? (Bacia la moglie sulla guancia) sincerità! (Va verso la porta). Basta! Sii allegra! Parla un po’ più spesso con « ma- Sofia (spaventata) — Siete in collera? (Si alza) man », con Trilètski, con Platònov... (Ride) Parla Perché offendersi? Io non volevo... con loro, non li guardare dall’alto in basso. Non li Platònov (si ferma) — Ah, dunque io non vi sono hai ancora capiti... Anche tu vorrai loro bene quando venuto a noia; avete paura... avete paura di me. (Si li avrai conosciuti un po’ più da vicino. avvicina a lei). Anna (dall’interno, ridendo forte) —- Serghèi! Ser- Sofia — Non è vero. Non ho paura... ghèi! Chiamate Serghèi Pàvlovic! Platònov (leggermente sprezzante) — Dove il vo­ Voinìtsev (va alla •porta) — Eccomi, che cosa volete? stro carattere, se basta un uomo un po’ meno banale Anna — Sei tu? Vieni un momento! degli altri a mettere in pericolo il vostro Serghèi? Voinìtsev — Subito, «maman!». (Rivolto a Sofia) Io venivo qui ogni giorno anche quando non Aera­ Partiremo domani stesso, se non avrai cambiato idea. vate; e ho conversato con voi perché vi consideravo (Si allontana). una donna intelligente, comprensiva! Che delu­ Sofia (sola, angosciata) — E’ terribile... siamo ap­ sione... pena sposati e già sono capace di non pensare a mio Sofia (ferita) — Tacete! Non avete il diritto di marito per giorni interi. Dimentico la sua presenza, dire... non presto attenzione alle sue parole. Diventa Platònov (ride forte) — Vi perseguitano?! Pove­ penoso... retta! Vogliono strapparvi a vostro marito?! Platò­ Platònov (appare dal fondo del giardino) — Siete nov è innamorato di voi?! Quell’originale di Platò­ qui, Sofia Egòrovna? in solitudine? (Ride) Evitate nov!... Vi riverisco. (Si avvia verso la casa. Sòfia i mortali? lo segue). Sòfia — Non evito nessuno. Sòfia — Siete un insolente, Platònov! (Platònov si Platònov — Sì? (Le si siede accanto) Permettete? ferma a guardarla, sorride e rientra in casa. Sòfia (Pausa) Ma se non evitate la gente, perché evitate sola, turbata) Devo parlargli. (Entra in casa. Entrano me? Lasciatemi finire! Sono lieto di poter final­ làkov e Vassìli con una scala per accendere un mente parlare con voi. Voi cercate di sfuggirmi, lampioncino spento). non mi guardate. Iàkov -— Il diavolo sa cos’altro inventeranno? Per­ Sofia — Non ho mai pensato di evitarvi! ché non se ne stanno tranquilli a giocare alle carte?! Platònov — Da principio sembravate ben disposta Vassìli — L’anno scorso lavoravo a Mosca: là era nei miei confronti; adesso i nostri rapporti sono di­ una bella vita! La padrona era una vecchia ruffiana, ventati una specie di malinteso... Che colpa ho io e c’era una quantità di gente che giocava: anch’io di fronte a voi? Vi disgusto? (Si aim) Vi prego di giocavo alle volte qualche rublo e ho vinto spesso... togliermi da questa stupida situazione. (Entra Osip, dal bosco). Sofia •—- Lo ammetto, io vi... evito un po’... se Osip — Iàkov! C’è Vengheròvic? avessi saputo che questo vi dispiace tanto, mi sarei Iàkov — E’ dentro. comportata diversamente. Osip — Vallo a chiamare: digli che sono qui. (là­ Platònov — Proseguite... kov esce. Osip sale su una panchina e stacca un Sofia — Quando sono arrivata, dopo la nostra pri­ palloncino). ma conversazione, io mi sono unita ai vostri ascol­ Vassìli (scendendo dalla scala) — Sta’ fermo... Mica tatori. Ma ben presto mi siete divenuto insoppor­ sono lì perché li pigli... tabile... non riesco a trovare una parola meno ur­ Osip — Che te ne importa, imbecille? (Minaccioso) tante, scusate. Quasi ogni giorno mi ricordate come Su prendilo: vieni a prenderlo. mi avete amato un tempo, come io vi ho amato: lo Vassìli (fa l’atto di avvicinarsi, poi si ferma inti­ studente amava la fanciulla, la fanciulla amava lo midito) — Cosa me ne importa... studente; la storia è troppo vecchia e comune per­ Osip —- Mettiti in ginocchio davanti a me, capito? ché valga la pena di parlarne ancora e le si dia im­ In ginocchio! giù... (Vassìli si inginocchia, Osip portanza... Ma non si tratta neppure di questo... E’ ride. Appare Vengheròvic. Vassìli ne approfitta per che quando mi parlate del passato... ne parlate come scappare). se mi chiedeste qualcosa, come se in passato aveste Vengheròvic (esce dalla casa) — Chi mi vuole? ANTON CECOV

Osip — Io, vostra eccellenza! care le mani... io vi ho detto, egregio signore, che Vengheròvic {seccato) •—■ Che vuoi? voi siete o un uomo straordinario oppure un mascal­ Osip -—■ M i avete fatto chiamare e sono venuto! zone, ma ora vi dico che siete un mascalzone! Vi Vengheròvic — Ah sì... ma... non potevi scegliere disprezzo! (Corre verso la casa. Entra Nikolài •piut­ un altro posto per incontrarmi?... tosto brillo). Osip {involontariamente ironico) — Per le brave Nikolài — Dio mio, le cornacchie! Come mai? persone, eccellenza, qualsiasi posto è buono! ('Guarda verso l’alto). Vengheròvic — Parla più piano... Tu conosci Grèkova (fremente e solenne) — Nikolài Ivànovic, Platònov? se avete un po’ di rispetto per me, smettete di fre­ Osip —• Il maestro? Come no! quentare quest’uomo! Vengheròvic — Sì il maestro. Il maestro, che inse­ Nikolài {ride) — Ma è un rispettabile parente! gna soltanto bestemmie e nient’altro. Quanto vuoi Grèkova — E amico? per storpiarlo, il maestro? Nikolài — Anche amico. Osip — Come storpiarlo? Grèkova — Non vi invidio. Voi siete buono, ma... Vengheròvic — Non ammazzare: storpiare... non il vostro tono scherzoso... mi nausea... io sono stata si deve ammazzare la gente. Solo storpiare, cioè pic­ offesa, e voi scherzate! Continuate ad ammirare chiarlo in modo che se ne ricordi per tutta la vita. quest’uomo; pensate tutti che sia una specie di Amie­ Osip — Questo lo posso fare... to? GodeteveloL. La cosa non mi riguarda: non Vengheròvic — Rompigli un po’ le ossa, fagli uno mi aspetto più niente da voi. {Esce). sfregio sul viso... Quanto vuoi? {Si ode la voce dì Nikolài {a Platònov) — Sarebbe ora che la lasciassi Platònov) Sss... seguimi. {Si allontanano verso il in pace, Mikhàil Vassìlievic. E’ vergognoso, davve­ fondo. Dalla casa escono Platònov e la Grèkova). ro... sei intelligente, di sentimenti elevati, ma combini Platònov {ride) — Come, come? {Ride forte) Non il diavolo sa che cosa... {Pausa). ho capito bene... Platònov — Io non capisco che cosa tu abbia tro­ Grèkova {impacciata) — Posso ripetere... e mi espri­ vato in questa sciocchina... merò ancora più aspramente... Nikolài {farfugliando) — Tu non sei un genti­ Platònov — Dite, bellezza! luomo! Dici che ne sono innamorato e la chiami Grèkova — Non sono una bellezza. Francamente, sciocchina... I gentiluomini sanno che gli innamo­ non sono forse brutta. Qual è il vostro parere? rati hanno un certo amor proprio... Non è una Platònov — Ve lo dirò dopo. Parlate voi ora! sciocca, lei no; è una inutile vittima, ecco tutto. E’ Grèkova — Ascoltatemi dunque... Voi siete o un debole, indifesa e ha guardato a te con una fiducia uomo straordinario, oppure un mascalzone, una che arriva alla scemenza... Io questo lo capisco bene. delle due. {Platònov rìde forte) Voi ridete... del resto, Andiamo a bere, vieni. Oh, il nostro Abràm Abrà- sì, è buffo... mic. {Rivolto a Vengheròvic che arriva dal viale) Platònov {ride) — Si comporta come una persona Non siete malato? grande! Filosofeggia, si dedica alla chimica, sputa sentenze! Una graziosa originale bestiola... {La Vengheròvic — Io no... grazie a Dio sto bene. bacia). Nikolài — Peccato! Ho bisogno di denaro! Grèkova {confusa e contenta suo malgrado) — Che Vengheròvic — M i dovete già molto denaro, dot­ cosa fate? Io... io... {Si alza e di nuovo si siede) Per­ tore. Circa... 245 rubli, mi sembra. ché mi avete baciata? Nikolài {carezzevole) ■— Via. Prestami qualche Platònov — E quello che volevate, non è vero? cosa, uomo magnanimo. Sii buono e coraggioso! Il Guardatela com’è commossa... {La bacia di nuovo). più coraggioso degli ebrei è quello che dà un pre­ Grèkova {con speranza) — Allora... voi mi amate? stito senza chiedere ricevuta! Sii tu il più corag­ Ditemi... mi amate? gioso degli ebrei! Platònov {come piagnucolando) ■— E tu mi ami? Vengheròvic {dignitoso) — Uhm... ebreo... sempre Grèkova — Se... allora... sì... {Piange) M i ami? Al­ ebrei ed ebrei. Vi assicuro, signori, che in tutta la trimenti non m’avresti baciata. M i ami? mia vita non ho visto un solo russo prestar denari Platònov {cinico, canzonatorio) — Niente affatto, senza ricevuta... delizia mia! Ma le sciocchine come te mi divertono Nikolài — E’ vero. quando non ho di meglio... Oh! oh! è impallidita, Vengheròvic {sospira) — Voi giovanotti potreste le brillano gli occhi! imparare molto e con profitto da noi ebrei e soprat­ Grèkova {furente) — Voi vi beffate di me! {Pausa). tutto dai vecchi ebrei moltissimo. Vi prestiamo il Platònov — E adesso mi darete uno schiaffo... denaro volentieri, con piacere, e voi... ridete di noi, Grèkova —- Sono orgogliosa... non mi voglio spor- scherzate. Non sta bene, signori! Io sono vecchio... GLI AMORI DI PLATONOV

voi avete persino frequentato l’università... (Rasse­ Platònov —- Molto gentile, ma sono già sazio. gnato) Quanto vi occorre? (Cambiando discorso) Ditemi : è vero che vostro pa­ Nikolài — Quello che mi darai... (Pausa). dre vuol comprare questa tenuta? Acquistandola al­ VengherÒvic — Vi darò... posso darvi... cinquanta l’asta libererebbe Anna Petròvna dai suoi debiti ver­ rubli (Da il denaro). so la banca. Nikolài — Splendido! (Prende il denaro) Sei gran­ K ir ìll — Non ne ho la minima idea. Io non mi de! Perché la gente non vuol capirlo? sporco con il commercio. Vi siete accorto, piuttosto, VengherÒvic — Piuttosto: perché non vogliono di come « mon pére » corteggia la vostra generales­ lasciarmi in pace? (Esce). sa? (Ride forte) E ci credereste? Il vecchio sciocco la Platònov (a Nikolài) — Perché hai chiesto quel vuole sposare... gliela farò passare io la voglia di denaro? Non hai proprio nessuna norma nella tua sposarsi... Ma la vostra generalessa è « charmante ». vita? È vero quel che dicono? Che le piace il denaro sino Nikolài — Sei proprio la persona più adatta per a spogliarsi? farmi la morale! Non facciamo chiacchiere a van­ Platònov — Domandatelo a lei. Io non lo so. vera... L’altro ieri, mio caro, guardavo i ritratti dei K ir ìll —- Domandarlo a lei? (Ride forte) Che idea! « Contemporanei illustri » e leggevo le loro bio­ Platònov, che cosa ne dite? grafie. Noi due non ci siamo fra loro, no! Non ho Platònov — Provatevi e vedrete. trovato le nostre biografie per quanto abbia cercato. K ir ìll —■ È veramente una grande idea! Per mi­ Io però sono tranquillo! È Sofia Egòrovna che non lioni di diavoli! Vi dò la mia parola d’onore, Platò­ è tranquilla... nov, che essa sarà mia! Ho un presentimento! (Va Platònov — Che c’entra qui Sofia Egòrovna? verso la casa e sulla ■porta di sorpresa si scontra con Nikolài —- È offesa perché non figura tra i « Con­ Anna Petròvna) «Mille pardons, madame»! (Si temporanei illustri»... È rimpinzata da capo a pie­ allontana imbarazzato). di di ideali superiori; materie elevate, eccetera; in Anna (si avvicina a Platònov; è molto eccitata; forse sostanza non vale un soldo bucato. È di ghiaccio! anche lei ha ecceduto nel bere) -— Perché ve ne Di gesso! Una statua! Verrebbe voglia di avvici­ state qui fuori? narsi a lei e grattarle dal naso un po’ di gesso... Platònov — Dentro si soffoca e il cielo è più bello (Si alza) Andiamo a bere... (Pausa) Non hai notato dei vostri soffitti dipinti! la generalessa, oggi? Ride, dispensa baci... sembra Anna (si siede) — Un tempo meraviglioso! Peccato innamorata... che le donne non possano dormire all’aperto, sotto Platònov — Di chi può innamorarsi qui? Non le stelle. Quando ero bambina, d’estate, dormivo sem­ crederle. Ride quando ha voglia di piangere. E lei pre in giardino. (Pausa) Oggi mi sento in uno stato non vuol piangere, ma spararsi... Glielo si legge d’animo particolare. Tutto mi piace. Mi diverte!... negli occhi... Ditemi qualcosa, Platònov, perché tacete? Ditemi Nikolài — Le donne non si sparano, si avvelenano. qualcosa di nuovo, di bello, di piccante... siete un Del resto, meglio andare a bere. (Si avvia: sulla amore, questa sera. (Ridono insieme). ;porta si scontra con Kirìll) Scusatemi, giovane Gla- Platònov — E voi, voi siete bellissima... del resto gòlev, scusatemi; eccovi tre rubli per avervi urtato. siete sempre bella! (Entra in casa). Anna — Noi due siamo amici, Platònov? K ir ìll — Imbecille, credete che io abbia bisogno Platònov •—• È probabile. del vostro denaro? (A Platònov) Quell’uomo è un Anna —• Sì, siamo amici, ma avete pensato che tra idiota! un uomo ed una donna non c’è che un passo dal­ Platònov — Perché non siete dentro a ballare? l’amicizia all’arnore? (Ride). (Siede). Platònov — È un passo che non dovremmo osare. K ir ìll — Ballare? Qui? E con chi, se è lecito? Anna — Perché? Non siamo forse degli esseri uma­ (Siede vicino a Platònov) Non mi piace la gente, ni? L’amore è così bello. Perché vergognarsene? lì dentro. In generale, non mi piacciono i russi. Platònov (la guarda attentamente) — Voi state Puah, che pae'se! Puzza e cattive maniere. Siete mai scherzando... venite! Andiamo a ballare questo stato a Parigi? valzer. Platònov — No. Anna — Voi ballate così male! (Pausa) E poi vi K ir ìll — Peccato! Io vengo direttamente da Pa­ devo parlare... seriamente... rigi. Sono arrivato ieri. Parigi è meravigliosa, quella Platònov — Posso incominciare io, Anna Petròvna? è una città. Quando ci andrete fatemelo sapere. Vi Anna —- Voi tirate fuori sempre certe assurdità! darò trecento lettere di raccomandazione per le mi­ (Accondiscendente) E va bene, vi ascolto; ma siate gliori « cocottes » francesi. (Ride). breve. ANTON CECOV

Platònov — M i basta una parola : « perché »? Glagòlev — Una creatura come voi è il paradiso! (Pausa). Anna -— Restiamo in terra, Porfìri. È una strana Anna — E « perché no »? (Pausa) Se voi foste li­ proposta, la vostra. Se volete rinunciare ai diritti di bero, mi chiedereste di sposarvi, vero? (Pausa) Chi marito, perché mi volete sposare? Ci tenete proprio tace acconsente? È così? (Pausa) Platònov, in questo tanto ad avermi sempre vicina? Se io avessi la vo­ caso è sconveniente tacere. stra età e la vostra ricchezza, non chiederei nulla Platònov (a disagio) — Dimentichiamo questa con­ di più. versazione, Anna Petròvna! Per amor di Dio, fac­ Glagòlev (che ha paura d’aver capito) — È una ciamo come se non fosse avvenuta! risposta negativa, quella che mi date? Anna (stringe le spalle) — Che uomo strano! Ma Anna — Amico mio, non attribuite un’importanza perché? vitale al mio rifiuto... Platònov — Perché io vi rispetto! Amica mia, io Glagòlev — Non volete sposarmi? mi considero un uomo spregiudicato, mi piace diver­ Anna — Vi prego, non parliamone più... tirmi e non direi di no ad una avventura con una Glagòlev (smarrito) — Sono riuscito soltanto a donna comune, ma... cominciare un meschino in­ darvi fastidio... (Si sente frastuono dall’interno, pian­ trigo con voi, fare oggetto dei miei pensieri oziosi to di donna, voci-. « Platònov, che avete fatto?»). voi, una donna intelligente, bella, libera, no; vivere Grèkova (di dentro) — Questo è troppo! Passa stupidamente insieme uno o due mesi e poi... la­ ogni limite. Lasciatemi! sciarsi... Anna — Dio mio, che succede?... (Escono Nikolài Anna (appassionata) — Io parlo di amore! con la Grèkova, seguiti da Serghèi, Bugròv, Kirìil Platònov — Ma io vi amo. Voi siete buona, intel­ e Iàkov). ligente, gentile. Vi amo in modo assoluto! Darei la Grèkova (furente) — Solo persone corrotte possono mia vita per voi! (Desolato) Ma è mai possibile tacere. che l’amore debba essere sempre ridotto alla sua forma più squallida? Nikolài (supplichevole) — Vi credo, vi credo... ma che cosa c’entro io? Anna — Ancora sciocchezze... Grèkova (piangendo) — Andatevene! Io, io donna Platònov (vibrato) — lo non so vivere nella men­ non avrei taciuto se in mia presenza vi avessero zogna, negli intrighi. Restiamo amici, tutto sarà offeso così bassamente... come prima. (Fa per prenderle la mano). Nikolài —• Ma cercate di ragionare... che colpa ne Anna (aspramente) — Basta! Andatevene. (Entra dal fondo Glagòlev, non visto da Anna e Platònov). ho io?... Grèkova — Siete vile, ecco che cosa siete! Torna- Platònov — Non posso credere che siate in col­ lera con me. (Si allontana). tevene a bere. Non abbiamo bisogno uno dell’altro! Anna — Che uomo... non sa quello che dice! «Vi Nikolài (brillo) — Dio, mi gira la testa. rispetto »!... Anna (avvicinandosi alla Grèkova) —• Mària Efì- Glagòlev (avanzando tra gli alberi) — La nostra movna, vi prego, non trattenetevi se desiderate an­ bella padrona di casa ci ha abbandonato! Ci si ac­ dare... Anch’io al vostro posto me ne andrei. (La corge subito della vostra mancanza. Vi ho cercata bacia) Non piangete, mia cara, le donne devono riu­ dappertutto... scire a sopportare i loro dispiaceri. Anna (padroneggiando il turbamento che le ha pro­ Grèkova — Lo farò licenziare! Non farà più il mae­ vocato l’atteggiamento di Platònov) — Sono uscita stro, qui! Non ha il diritto di fare il maestro! Do­ un momento... ero accaldata! mani stesso andrò dal direttore della scuola... Glagòlev (galante) — Siete incantevole, Anna Anna (conciliante) — Ora calmatevi... cessate di Petròvna. Posso sedere? Vorrei parlarvi. piangere... avrete soddisfazione... Ma non vi adirate Anna — Prego. contro Nikolài, mia cara. Egli non ha preso le vostre Glagòlev (impacciato) — Bene, il fatto è che... difese perché è troppo buono e mite... Che cosa vi tanto per saperlo, mia cara, che cosa intendete ri­ ha fatto ancora Platònov? spondere alla mia lettera? Grèkova (scoppiando di nuovo in singhiozzi) — Anna — Ah! Che risposta vi attendete, Glagòlev? Mi ha baciata in presenza di tutti... mi ha chia­ Glagòlev — Voi sapete, io rinuncio... ai diritti di mata stupida e... e... mi ha spinta contro il tavolo. marito... sono diritti che non mi interessano! Desi­ Non la passerà liscia... O è pazzo, oppure... gli farò dero avere accanto una amica, una padrona di casa vedere io! (Si allontana). intelligente... ho il paradiso, ma senza... angeli. Anna — Iàkov, Iàkov, preparate la carrozza pei Anna — Io non sono un angelo, PorPiri, non saprei Mària Efìmovna... Ora andate, cara, e riposatevi che fare in paradiso. bene. Offrile il braccio sino alla carrozza, Serghèi. GLI AMORI DI PLATONOV

(Serghèi e Grèkova si allontanano seguendo làkov. davanti a Dio, è niente quello che vi chiedo. Chia­ Anna Petròvna è fermata da Kirìll). mo Vengheròvic a testimonio. NikolÀi (che è rimasto immobile a guardare, rivolto Vengheròvic — Io non testimonio un bel niente. verso Bùgrov) — Mio caro amico, non lasciatemi (Escono dal viale. Dalla casa sono comparsi intanto solo. Voglio stare proprio con voi. (Il gruppo s’ac­ Platònov e Sofia). cinge ad entrare). Platònov —- ... il male pullula intorno a me, insu­ Bùgrov — Voi mi volete bene solo quando siete dicia la terra, ma io me ne stò in un angolo, guardo ubriaco. (Bùgrov e Nikolài entrano). e taccio; ho già trent’anni, e non prevedo più cam­ K ir ìll — Anna Petròvna, potete concedermi un biamenti... (Pausa) Come risollevarsi, Sofia Egò- colloquio in privato? rovna? (Pausa) Voi tacete, non sapete... (Pausa) Ma Anna — Se ci tenete... (sorrìde). che cosa è successo a voi? Dov’è la vostra anima K ir ìll (avvicinandosi al padre) ■— Allora? pura, il vostro amore per la verità, il vostro corag­ Glagòlev — Cosa vuoi? gio? Eravate ben diversa prima. (Le prende la mano) K ir ìll — Ti aspettano dentro. Ditemi sinceramente, cara, in nome del nostro pas­ Glagòlev — Eh? Chi?... sato comune, perché avete sposato quell’uomo? K ir ìll — Un po’ tutti. Su, va’. Sofia — È un uomo... eccellente. Glagòlev — Vado, vado. (Uscendo un po’ imba­ Platònov — Voi non credete a quello che dite. razzato, ad Anna) Lasciamo per ora le cose come Sofia — È mio marito... stanno, ma ripensateci... (Esce). Platònov (oratorio) — Perché non avete scelto un K ir ìll — Vecchio imbecille! lavoratore? Uno che abbia sofferto? Perché avete Anna — Quando voi sarete vecchio, vi pentirete. sposato questo pigmeo perduto nei debiti e nel­ K ir ìll (ridendo) — Lasciate perdere... Vi dispiace l’ozio? (Passano due servi). tanto un « tête-à-tête » con me? Sofia — Non gridate, vi prego... Anna — Che significa? Spiegatevi meglio. Platònov -—- Scusatemi. Ma io vi amavo, vi amavo K ir ìll — « Oui ou non »? più di tutto al mondo, per questo anche adesso mi Anna — Come? siete cara. (Accenna una carezza) Perché vi mettete K ir ìll — M i capite benissimo: «oui ou non»? la cipria, Sofia Egòrovna... Se foste con un altro Anna •— Non capisco. uomo vi risollevereste subito... se avessi la forza K xrìll (ridendo estrae il portafoglio) — Quanto strapperei voi e me da questo pantano... Perché non occorre per chiarirvi le idee? viviamo come potremmo? Anna (controllando i propri nervi) — Siete un gio­ Sòfia — Lasciatemi... Andatevene... (Va verso la vane intelligente... ma a volte anche il più intelli­ casa). gente può essere preso a schiaffi. Platònov (la raggiunge) — Promettetemi di non K ir ìll — Prima lo schiaffo poi il sì. partire domani. Ci rivedremo ancora? Sì? Anna — Andatevene. Immediatamente. Sofia (dopo una breve esitazione) — Sì. (Entra K ir ìll — Non fingete di essere in collera, Anna Voinìtsev). Petròvna. Io rimango. Voinìtsev — Ah, eccovi! Ci hai ripensato, Sophie? Anna — In questo caso vi farò buttare fuori. (Esce). Platònov — Ha deciso di rimanere. K ir ìll (la insegue) — Ma che cosa vi ho fatto? Voinìtsev — Hurrà! Qua la mano, Mikhàil. Ho Niente... niente per lo meno che possa giustificare sempre avuto fiducia nella tua eloquenza. (Entrano questa scena... Anna Petròvna ed alcuni invitati). Anna (dall’interno) — Basta con questa musica. Anna — Andiamo, signori, presto. Serghèi caro, vai Andiamo fuori ad accendere i fuochi d’artificio. a chiamare gli altri. (Voinìtsev rientra in casa) E (La musica cessa. Dal viale riappare Serghèi. Sulla voi venite, Platònov, andiamo ad accendere i fuo­ porta di casa s’incontra con Kàtìa, trafelata). chi. (Anna Petròvna con Platònov e gli altri escono). Kàtia — Scusatemi tanto, Serghèi Pàvlovic, devo Platònov (uscendo) — Andiamo, venite con me, avvertire che si tengano pronti per accendere i fuo­ seguitemi tutti. (Intona una canzone. Gli altri ri­ chi. (Voinìtsev rientra. Escono Vengheròvic, Bùgrov prendono in coro) Intoniamo la vecchia canzone... e tra i due Nikolài). quella nuova non è ancora scritta. (Risate. Escono Nikolài (sempre più ubriaco, aggrappandosi al tutti, cantando. Sòfia rimane sola, passeggia lenta­ braccio di Bùgrov) — Via, Bùgrov, accontentatemi, mente, mentre il canto si allontana). cosa sono cinquanta rubli? Glagòlev (uscendo di casa precede il figlio, quasi Bùgrov — Mi umilia, signor dottore, ma debbo ri­ evitandolo) — Tu menti. Sei sempre stato un bu­ petere che non mi è possibile. giardo, fin da bambino. Non ci credo. Nikolài — Mi rifiutate quest’inezia? Ve lo giuro K ir ìll — Vi dico che ci siamo baciati. Voi siete ANTON CECOV

uscito e ha cominciato a far la corte a me. Tutte le gante?». «Sì, è vero», le risposi, e le raccontai donne sono uguali. È semplicemente una questione tutto. Allora mi disse che dovevo andare in pelle­ di denaro. (Si allontanano nel viale). grinaggio fino a Kiev, a piedi. Io mi misi in cam­ Voce di Platònov — Chi vuole venire in barca mino: mi sono corretto, ma non del tutto... Ero con me? (Pausa) Sòfia Egòrovna? Chi viene con appena a Karkov e t’incontro un’allegra compagnia. me sul fiume? Mi sono bevuto tutti i soldi, ho rotto il muso a due Sòfia (come se finalmente si sciogliesse) — Vengo, persone, e sono ritornato a casa. (Pausa) Adesso non Platònov. (Esce. Fuochi d’artificio lontani. Escono vuole più nulla da me. È in collera. (Siede). di casa Voinìtsev e gli altri invitati). Sàscia — Perché non vai in chiesa, Osip? Osip — Io ci andrei... Però si metterebbero a ridere tutti. A T T O T E R Z O Sàscia — Ma perché almeno non lasci stare i con­ tadini, la povera gente? (A sinistra l’edificio della scuola presso la strada Osip — E perché lasciarla stare? Questo non è per che si perde nel bosco. In lontananza la ferrovia, la vostra intelligenza, Aleksàndra Ivànovna! Voi pali telegrafici. È notte, poche ore dopo l’atto pre­ non potete discutere di volgarità. (Si alza) Non le cedente. Sàscia è seduta in casa presso la finestra capireste. E il vostro stimatissimo marito non fa aperta. Osip, con il fucile a tracolla, sta in piedi da­ del male a nessuno? vanti alla finestra). Sàscia (leggermente punta) — A nessuno! Se gli Sàscia — Com’è accaduto? capita di offendere, lo fa senza volere... Lui è buono. Osip •— Una cosa semplice, Aleksàndra Ivànovna, Osip — Sicuro... sicuro... è una bella testa... Il lei era in riva al fiume, qui vicino. Si era tirata su guaio è che per lui tutti sono stupidi, teppaglia. la gonna. Beveva... Io corsi giù e la guardai. « È la Così non va bene... Non è superbo, è alla mano con prima volta che vedi una donna, sciocco? », mi de­ tutti... Ma non è buono... Non potete capire... manda. E mi guardò in un modo... « Oppure ti Sàscia (finge di udire dei passi) — Ecco mio marito, piaccio? », dice. « M i piacete da matti, Anna Pe- mi pare. (Un silenzio). tròvna», risposi. «Da quando sono nato non ho Osip (malizioso) — Vi sbagliate. A quest’ora sta visto nessuna più bella di voi. La più bella del vil­ certamente parlando con qualche «signora». Che laggio in confronto è... un cavallo... un cammello. uomo! Se volesse, tutte le donne gli correrebbero Vi bacerei, e morirei qui, dopo». Lei si mise a ri­ dietro. Parla così bene! (Ride) È sempre dietro alla dere... Disse: «Bacia se vuoi». Non capii più nien­ vedova del generale, ma lei non se ne accorge nem­ te, mi avvicinai, lei non si mosse. Io allora la baciai meno. È troppo su per lui. qui sulla guancia e sul collo... Sàscia — Incominci a chiacchierare troppo, non Sàscia (ride) — E lei? mi piace. Vattene a dormire. Dio sia con te. Osip — Scoppiò a ridere. « Beh, non sei morto? Osip — Vado. Vado subito. Per voi è già tardi. Do­ E dunque vattene! Lavati più spesso. E tagliati le vete andare a dormire... O aspettate vostro marito? unghie ». Sàscia — Sì. Sàscia — È una donna strana. Osip — Siete una brava moglie. Platònov deve ave­ Osip — Da quella volta sono come rimbecillito, re cercato una moglie come voi per dieci anni, col mi credete? Lio pensato d’impiccanni, volevo am­ lanternino. Buona notte, Aleksàndra Ivànovna. (Si mazzare il generale... Ma il vecchio è morto prima; inchina) Venitemi a trovare, nel bosco. Chiedete di io allora mi sono dato da fare per lei in tutti i Osip : lucertole, uccelli, mi conoscono tutti. (Si al­ modi: sono andato a caccia di pernici, catturavo le lontana fischiettando). quaglie, un giorno le portai un lupo vivo. Bastava Sàscia (sola) — Come tarda oggi, Mikhàil! (Siede) che mi comandasse. Uno diventa tenero, e non Se avesse maggiore cura di sé... queste feste lo rovi­ resiste più. neranno. (Prende un libro e fa per leggere; sbadi­ Sàscia — Sì... anch’io quando m’innamorai di Pla­ glia) Dov’ero arrivata? Sono stanca... « Lo scorrere tònov, e ancora non sapevo che mi amasse, ero molto lento del fiume in quell’alba grigia»... (Sbadiglia triste. Quando mi domandò : « Bambina, vuoi es­ di nuovo) Ancora descrizioni!... Mikhàil vuole che sere mia moglie?», per la goia perdetti perfino il le legga... (Si sentono passi) Finalmente! (Corre alla pudore e gli saltai al collo... porta) Miscia! Oh! Miscia! Sono qui! Un due, un Osip — Ecco, vedete... così sono i sentimenti. L’an­ due, sinistr-destr, sinistr-destr. no scorso per le feste le portai un leprotto: lei lo Platònov (entrando; è ancora un poco ubriaco) — prese in braccio, l'accarezzò, e poi mi domandò: Per farti rabbia, destr destr destri Del resto, mia « È vero quel che dicono, Osip, che tu sei un bri­ cara, né destr né sinistr! L’ubriaco non ha né destra GLI AMORI CI PLATONOV né sinistra; ma solo avanti, indietro, di traverso e Sàscia — Via a dormire... Ubriaco così! E sei an­ iù. (Cade per davvero). che un maestro... (Corre in casa e chiude dall’interno àscia —• 5 avorite qui, signor ubriaco. Vi mostrerò la finestra). io come si cammina di traverso e giù! (Tenta di ri­ Platònov (vaneggiando un po’) — Ubriaco? Nella sollevarlo, ma finiscono in terra tutti e due ridendo). testa non è tutto normale... E quando ho parlato Platònov — Sediamoci qui. (Si siede) Perché non con Sofia, lo ero?... Ascoltava i deliri d’uno sciocco, dormi, brutta bambina? ha abbassato gli occhietti, si è intenerita! È ridi­ Sàscia — Non ho sonno... Ti hanno lasciato venir colo... E poi perché hai infangato in quel modo suo via tardi? marito? Sei un furfante... LIn ridicolo furfante. Platònov — Sì, tardi, perché... Il diretto è già Anna (entra vestita da amazzone, col frustino) — passato? Ero certa che vi avrei ancora trovato sveglio. Sàscia — Non ancora. Il merci è passato un’ora fa. Platònov (trasalendo) — Eh? Platònov — Allora non sono ancora le due. Anna — Per dormire, Dio ha dato l’inverno. (Tende Sàscia —• Alle dieci ero già qui. Quando sono ar­ la mano) Su, datemi la mano! Che vi succede? Siete rivata il bambino strillava.... Si è ballato dopo? ubriaco? Platònov — Sì... A proposito: sai che il vecchio Platònov — E chi lo sa? Ma voi che cosa fate? Glagòlev ha avuto un colpo? Andate a spasso perché vi sentite esuberante, rispet­ Sàscia — Cosa? M i sembrava che stesse bene... tabilissima sonnambula? Platònov — Un colf» leggero, per sua fortuna! Anna (siede accanto a lui) — Sì... (Pausa) Sì, gen­ È stato quell’asino di suo figlio a farglielo venire: tilissimo Mikhàil Vassìlievic (Ride forte) Che grandi gli ha detto che la generalessa si spoglia per denaro. occhi meravigliati! Smettetela, non abbiate timore, (Disgustato) Ma è tutto così stupido, schifoso... amico mio. tutto... Platònov — Io non ho paura, almeno per me; an­ Sàscia — Che cosa ancora? che se siete venuta per trionfare, per espugnare la Platònov — Anche quello che ho combinato io. fortezza... Non sono una fortezza, io, sono debole, Una vergogna! terribilmente debole... Sàscia — Che cosa hai combinato? Anna — La mortificazione di sé è peggiore del­ Platònov — Quando mai ho fatto qualcosa di cui l’orgoglio sincero. Perché vi difendete, Mikhàil? A non mi sia vergognato in seguito? che scopo? Bisogna che tutto questo finisca. Sàscia — Hai bevuto troppo, Miscia! Andiamo a Platònov — Io non finisco perché non ho inco­ dormire! minciato mai! Platònov -— No! No! Non ce peggior sventura Anna (insinuante, un po’ ebbra) — E non ti ver­ che perdere la stima di se stessi! Dio mio! In me gogni di mentire? In una notte come questa, con non c’è nulla che si possa stimare e amare! Su, vieni. questo cielo? Menti in autunno, se vuoi, quando (Pausa) Tu mi ami? Non capisco! Vuol dire che piove e c’è il fango, ma non ora e qui... (Lo ab­ hai trovato in me qualcosa che si possa amare? Mi braccia) Non c’è un altro uomo che io amerei come ami? amo te! Non c’è un’altra donna che tu ameresti co­ Sàscia — Che domanda! Come potrei non amarti? me ami me... Lasciamo i tormenti. Prendiamo per Platònov — Lo so, lo so, ma dimmi qual è il lato noi solo l’amore. (Lo bacia). buono che tu ami in me. Platònov — Potessi darti la felicità! (L’abbraccia) Sàscia —• Come sei strambo, oggi, Miscia! Come Ma io non so dare la felicità. Ti renderei infelice, non amarti, se sei mio marito? come tutte le donne che ho avuto. Platònov ■— M i ami solo perché sono tuo marito? Anna -— Vi credete così terribile, Don Giovanni? Sàscia — Io non ti capisco. (Ride forte) Sei bello, al chiaro di luna, affasci­ Platònov (ride, le bacia la mano) — Cosa acca­ nante. drebbe se mi capissi, se tu non avessi la tua felice Platònov — Io mi conosco troppo. Se fossi onesto, ignoranza? Non mi capire tesoro, se mi vuoi restare fuggirei da voi. fedele. (Tenta di baciarla) La mia stupidina! Anna (per provocarlo) — Vuoi che me ne vada io? Sàscia (adirata) — Lasciami. Perché mi hai sposata, Vuoi? Me ne andrò e tutto resterà come prima; va se sono stupida? Dovevi prendertene una intelli­ bene? (Un silenzio; Anna ride) Come sei sciocco, gente! Mikhàil! Vieni... Vieni... Platònov (ride forte) — Le donne fedeli si arrab­ Platònov (difendendosi debolmente) — Io non biano? Questa è una vera scoperta... Una vera sco­ sono degno di te... perta, anima mia. Oppure scherzi? (Cerca di ba­ Anna — Smettila di dire schiocchezze. È tutto così ciarla, Sàscia gli sfugge). semplice. Io ti amo. Te l’ho detto, lo sai, che co- ANTON CECOV s’altro vuoi? (S’infosca) Cerca finalmente di capir­ in convento! Ma perché piangi, adesso? Su, su, smet­ mi, Platònov: voglio aver quiete, stordirmi... nien- tila. Quando esce di casa sparerai un colpo. t’altro. Tu non sai... come sia penosa la vita per Osip —• Su di lui? me, e io... voglio... voglio vivere. Anna — In aria. Addio, Osip. (Si avvia) Sparerai? Platònov — Ascoltami. Per l’ultima volta, da uo­ Osip — Sparerò. mo onesto, ti dico... va’ via... per l’ultima volta, va’ Anna — Sei intelligente. (Esce). via... Osip (buttandosi a terra) — È finita. Tutto finito. Anna (ride) —• Sei sciocco... Ormai non ti ìascerò Vorrei farlo a pezzi... (Sente avvicinarsi Platònov. più. (L’abbraccia) A qualunque costo, qualsiasi cosa Scappa. Platònov esce, richiude la porta dietro di accada, ti dico che non ti Ìascerò. sé, fa alcuni passi ancora irresoluto. S’arresta). Platònov (rìde leggero) — Sei capricciosa. Vuoi SÀscia (dal di dentro) ■—• Miscia! Miscia! (Apre la proprio farti del male. finestra) Miscia... SÀscia (dall’interno, mentre si sente piangere un Platònov — Sì... dimmi, mio povero tesoro. bambino) — Miscia, Miscia! Ma dove sei? (Apre SÀscia -— Vieni dentro, ti prego. la finestra) Ah, sei lì? Chi c’è con te? Platònov — Scusami, Sàscia. Voglio prendere un Anna (disinvolta) — Buona sera, Aleksàndra Ivà- po’ d’aria, ho mal di testa. Dormi, intanto, angelo novna. mio. Buonanotte. (Sàscia chiude la finestra. Platò­ SÀscia — Anna Petròvna! Non vi riconoscevo, scu­ nov solo) È penoso ingannare chi si fida ciecamente. satemi. Buongiorno... è quasi l’alba. Sono tutto sudato... E adesso che fare? Partire, par­ Anna —• M i sono fermata un momento, stavo fa­ tire subito e non farsi più vedere fino al giudizio cendo una passeggiata. universale... Basta che una donna mi dica una sola SÀscia — Dev’essere bello andare a cavallo in una parola... Gli uomini si occupano di problemi mon­ notte così! Miscia, vieni dentro, mi pare che il bam­ diali e io... delle donne. Un donnaiuolo! Eppure io bino non stia bene, non so cosa fare... Volete en­ lotto... Ma sono debole, debole! (Entrano Iàkov e trare anche voi, Anna Petròvna? Kàtia). Anna — No, vi ringrazio. Devo ritornare a casa. Kàtia (a Iàkov) —• Attendimi qui. Faccio in fretta. SÀscia — Allora arrivederci, Anna Petròvna. (Si avvicina alla casa). Anna — « Au revoir! ». Platònov — Chi è? Cosa volete? SÀscia —• Vieni Miscia. (Rientra). Kàtia — Oh! Siete voi, signore? M i avete spaven­ Platònov — Vengo. (Ad Anna) L’avevo dimenti­ tata... La mia padrona vi manda questa lettera. cata... la metto a letto e ritorno. Platònov — La vostra padrona? Chi... di chi state Anna —• Fa’ presto. Ti aspetterò a casa. (Platònov parlando? entra. Anna sola) Dopo tutto, non è la prima volta Kàtia — Sofia Egòrovna. Sono la sua cameriera. che la tradisce. (Vede sopraggiungere Osip) Osip? Platònov — Sòfia? Perché dovrebbe scrivermi? Stavi spiando? (Prende la lettera. Si sposta alla luce. La legge) È Osip — Vostra eccellenza... assurdo... (La legge una seconda volta) « Faccio il Anna — Hai visto tutto? (Pausa). primo passo. Vieni. Risuscito. Vienimi a prendere. All’alba mio marito va a caccia. Sarò sola. Tutta Osip — Tutto. tua ». È assurdo! (Volgendosi a Kàtia) Cosa avete Anna — Come sei pallido! (Ride) Sei sempre in­ da fissarmi in quel modo? namorato di me, non è vero? Kàtia — Ho gli occhi. Non li posso usare? Osip — Come volete... Platònov — Ebbene guardate altrove e andatevene. Anna — Sei innamorato. Kàtia — Buona notte, signore. (A Iàkov) Andiamo. Osip — Non mi torturate. (Piange) Vi ho sempre (Escono). venerata. M i sarei gettato nel fuoco per voi. Platònov — Sòfia! Se mi amasse davvero! Sì? Anna — Allora perché non sei andato a piedi fino (Ride) E perché mi dovrebbe amare? Com’è tutto a Kiev? oscuro e strano a questo mondo. Strano. Vado da Osip (lentamente, a bassa voce) — Non avevo lei. Possibile che questa bellissima donna ami me! bisogno d’andarci. Eravate voi la mia santa. Se mi amasse sarebbe la felicità... una vita nuova... Anna — Finiscila. Vieni domani. T i darò dei soldi: (si avvia) con volti nuovi, con nuovi scenari. (Esce). farai il tuo pellegrinaggio in ferrovia. Buonanotte. Osip (riappare, segue con lo sguardo Platònov che E non toccare Platònov, capito? si sta allontanando, imbraccia il fucile contro di lui. Osip (doloroso) — Non mi potete più dare degli Poi, d’un tratto, lo punta verso l’alto e spara. Su­ ordini. bito dopo corre alla porta, alla finestra, e bussa di­ Anna — Davvero? Mi vuoi costringere a entrare speratamente) — Sàscia Ivànovna! Sàscia Ivànovna! GLI AMORI DI PLATONOV

Sàscia (dal di dentro) — Chi è? Chi ha sparato? Platònov — Le donne! Osip — Presto! Fate presto! Sofia — Cosa vuoi fare di me? M i sono ammalata Sàscia (apparendo in vestaglia sulla porta) — Che per causa tua. Non lo vedi? Tu mi odi. Se mi amas­ succede, per l’amor di Dio? si non mi tratteresti così. Osip — Mikhàil Vassìli è fuggito con la vedova. Platònov — Basta! Era qui poco fa. Ho sentito tutto. Dio li maledica. Sofia — Sono passate solo tre settimane da quella È fuggito con la vedova del generale. notte e guarda come sono ridotta... Dove la felicità Sàscia — Tu menti! che mi avevi promesso? la salvezza della mia vita Osip — Dio mi punisca se mento. Ho visto tutto. spirituale? Che cosa vuoi fare di me? Erano qui, si baciavano. Platònov — Che cosa posso darti, io? Privarti del­ Sàscia — Tu menti! la famiglia, del benessere, dell’avvenire. E a che Osip — È fuggito, capite? Ha lasciato sua moglie, scopo? Questa relazione illegale è la tua sventura, vi ha lasciata sola. Se lo trovo lo uccido, Sàscia Ivà- la tua rovina. novna, non dubitate, lo ucciderò. (Sàscia si accascia Sofia — Io ho legato a lui la mia vita, e lui osa affranta. Osip se n’accorge: cambia repentinamente chiamare questo una relazione illegale! tono, le parla dolcemente, come se fosse una bam­ Platònov — Non è questione di parole. T i ho bina, per consolarla) Povera anima! Non inquieta­ rovinata, ecco tutto. E non te sola. Quando lo saprà tevi. Vi vendicherò. Gli strapperò il cuore. Sì, il tuo marito... cuore. Non inquietatevi, Sàscia Ivànovna, lo tro­ Sofia — Lo sa già. verò. (Lontano passa il treno). Platònov —- Come? Sofia — Stamattina ho avuto una spiegazione con lui. ATTO QUARTO __ Platònov — Tu scherzi? Sofia — Sei impallidito! Lo sa. Sa tutto. Bisognava (Una stanza nella scuola. Porte a destra e a sinistra. dirglielo una buona volta. Armadio con stoviglie, sedie, cassettone, divano, chi­ Platònov — Che cosa gli hai detto? tarra, ecc. Completo disordine. Platònov dorme sul Sofia — Gli ho detto che sono già... che non posso divano presso la finestra, il viso coperto da un cap­ più vivere con lui. pello di paglia. È tardo pomeriggio, tre settimane Platònov — E lui? dopo. Da una finestra socchiusa si vede spuntare Sòfia — Come te. Si è spaventato. il viso di Osip. Si sente bussare in modo concitato. Platònov — Che cosa ha detto? Osip si dilegua). Sofia — Prima credeva che scherzassi, poi è im­ Sofia (entrando) — Platònov! Mikhàil Vassìlievic! pallidito, se messo a piangere, se buttato in ginoc­ Svegliati. (Gli scopre il viso) Come ti sei potuto chio. Era disgustoso. mettere sul viso un cappello così sporco? Parlo a te. Platònov (con la testa fra le mani) — E puoi dirlo Platònov — Eh? così?... Hai fatto il mio nome? Sofia — Svegliati, ti prego. Sofia — Sì. Naturalmente. Platònov — Più tardi. Platònov — E lui? Sofia — Hai dormito abbastanza, alzati. Sòfia — Non sai quello che dici. Secondo te non Platònov — Chi è? Ah... sei tu. dovevo parlare? Sofia — Guarda. Che ora è? (Gli mostra il suo Platònov — Non era necessario. (Si sdraia sul orologio). divano). Platònov — Le sette e mezzo. Sofia — Dovevo spiegarmi con lui. Sono una donna Sofia —- Le sette e mezzo. E dovevamo incontrarci onesta. nella capanna alle sei. Platònov — Sai che cosa hai fatto con questa spie­ Platònov — Ebbene? gazione? T i sei separata per sempre da tuo marito. Sòfia — Non ti vergogni? Avevi dato la tua parola Sofia — Sì, per sempre. Non poteva essere diver­ d’onore. samente. Stai parlando come un vigliacco. Platònov — E l’avrei mantenuta, se non mi fossi Platònov — Per sempre... Che ne sarà di te quan­ addormentato. Hai visto che dormivo, no? do ci lasceremo? Perché noi ci lasceremo presto. Tu Sòfia — Non sei mai stato puntuale con me! aprirai gli occhi e avrai vergogna di me. Sarai pro­ Platònov — Lieto di saperlo. prio tu a lasciarmi. Sofia — Perché questi modi volgari? Non hai per Sofia (con un grido) —- Miscia! (Una lunga pausa. me uno sguardo affettuoso, una tenerezza... Vengo Platònov si versa da bere, poi affranto si butta a da te e... Sei ubriaco? sedere). Platònov — Che t’importa? Platònov (quasi pentito) —• Del resto... fa’ quello Sofia — Come sei gentile! (Piange). che vuoi. Tu sei più onesta e più intelligente di ANTON CECOV

me. Agisci tu. Rinnova la mia vita, se puoi; ma E qual è la data? presto, per l’amor di Dio... altrimenti impazzirò. Màrko — Dopodomani... Sofia (incurante) — Domani ce ne andremo via Platònov — Peccato! Domani devo partire. di qui. Màrko — Firmate la ricevuta, per favore. Platònov — Sì, sì, partiamo; a] più presto pos­ Platònov — La ricevuta? Datemela. (Firma) Ecco sibile. a voi. Sofia — Devo portarti via di qui. Ho già scritto Màrko — Così va bene. a mia madre. Andremo da lei. Platònov — Sapete dove abita la signorina Grè­ Platònov — Dove vuoi! kova? Sofia — Oh, Miscia! Sarà una vita nuova. (Lo ab­ Màrko —■ Certo, a dodici verste da qui, se siete braccia) T i porterò dove ce più luce, via da questa disposto a passare il fiume a guado. polvere, da questa pigrizia. Farò di te un uomo. Platònov (siede per scrivere) — Le porterete que­ Credimi, caro, rinascerai. Lavorerai. Vivremo del sta lettera e lei vi darà tre rubli d’argento. (Scrive). pane che ci saremo guadagnati. (Appoggia la testa Màrko — Va bene, vostra signoria. sul petto di Platònov) Lavorerò anch'io, Miscia. Platònov — Lo sai che assomigli proprio ad un Platònov — Tu non sai lavorare, Sophie. can barbone? Sofia — Vedrai. Abbi fiducia in me. Tu mi hai Màrko — Ma che dice, vostra signoria? fatto rinascere. E tutta la mia vita sarà gratitudine. Platònov (sempre scrivendo) — La verità. Ma tu (Lo guarda negli occhi) Partiremo domani? Sì? a chi credi d’assomigliare? (Platònov annuisce, accondiscendente) Vado subito Màrko — Io sono fatto a immagine di Dio. a prepararmi. Alle dieci vieni nella capanna. Verrai? Platònov — Se è così, ti faccio le mie scuse. Platònov — Verrò. Sofia — Dammi la tua parola. Màrko — Io sono un cristiano, se lo volete sapere. Servo Dio e lo zar da oltre cinquantanni. L’ho Platònov — Parola d’onore. Lo giuro. Partiremo... giurato sul Vangelo. Sofia (ride) — Ti credo. Ti credo. Puoi venire an­ Platònov (si alza) — Dalle la lettera tu stesso e che più presto, io sarò pronta prima delle dieci. non aspettare la risposta. Voglio che gliela porti Cominceremo una nuova vita, Miscia! Che sciocco... subito, stasera stessa. non vede la sua felicità. (Ride. Platònov le bacia la Màrko — Ho capito. mano) Non essere triste. (Si baciano) Addio! Platònov — E dirai a tutti che ho chiesto perdono Platònov —- Hai detto alle dieci o alle undici? alla Grèkova... e che lei non mi ha perdonato. Sofia — Alle dieci, e anche prima. Addio! (Esce). Màrko — Va bene. Platònov (solo) — La canzone non è nuova, l’ho Platònov — E adesso vai, eh! vai... sentita cento volte. (Pausa) Scriverò a lui, a Sàscia. Màrko — La mancia, vostra signoria. Per venire Piangeranno un po’, perdoneranno e dimentiche­ qui, ho fatto sei verste a piedi. ranno... (Apre l’armadio) Domani sarò un uomo Platònov — No, niente mancia. Se vuoi posso nuovo... veramente nuovo... Ma è inutile prendere darti un po’ di tè. (Va al samovàr) Lo vuoi un po’ la biancheria, non ho la valigia. (Si versa del vino) di tè? Scriverò a Sàscia e al bambino: povera donna, come Màrko — Se per voi è lo stesso, signore, preferirei potrà vivere senza di me? Se ne andata senza dire portarmelo con me. una parola... (Si sdraia sul divano) Sofia crede sin­ Platònov — Cosa? Nel samovàr? ceramente... Beati coloro che credono! E Anna Pe- Màrko — No, in tasca. (Apre una capace tasca) tròvna? Riderà... (Voce esterna di Màrko: Per­ Vedete, c’è posto... (Platònov va a prendere una sca­ messo). M i tempesta di lettere dopo quella terri­ tola di tè. Entra Anna Petròvna. Platònov si rivolta bile notte.. Devo risponderle, se no è capace di ve­ di scatto, ha un attimo di smarrimento) Vostra eccel­ nire davvero. (Entra Màrko, commissario del giu­ lenza! (S’inchina). dice di pace). Platònov (frettoloso, a Màrko) — Prendi. (Gli Màuro — Si può? dà la scatola. Màrko versa il contenuto della scatola Platònov — Avanti! Chi cercate? in tasca). Màrko — Vostra signoria. (Estrae dalla borsa un Anna — Lì dentro prenderà un cattivo sapore... documento) Una citazione per voi. Màrko — Vostra eccellenza non si deve preoccu­ Platònov — Date qua. (Afferra il foglio e legge) pare... «... in qualità di accusato nella causa per pubblica Platònov (strappandogli di mano la scatola quasi offesa a Mària Efìmovna Grèkova ». (Ride) E brava! vuota) — Sei sicuro d’averne preso abbastanza? Brava la nostra scienziata! Ci mancava anche lei!... Màrko — I miei umili ringraziamenti. GLI AMORI DI PLATONOV

Platònov (riponendo la scatola) — Vecchio ladro... a farmi visita e soprattutto contentatevi di quello Màkko — Dio solo è senza peccato. Vi auguro buo­ che avete: non vi basta di fare il maestro? (Si na fortuna, signore. (Esce. Una fausa. Platònov con­ alza) Venite, andiamo a casa mia. tinua a tramestare nell’armadio). Platònov — Come? Ah, no, no! Anna — Avete paura di guardarmi? Anna — Ma sì! Vedrete della gente, parlerete, liti­ Platònov {di schiena) — M i sento molto colpe­ gherete... vole. Platònov — No... No... Anna — Perché non avete risposto alle mie lettere? Anna — Vi prego, Miscia, tesoro mio.,. Platònov — Non ho potuto. Platònov — Voglio rimanere qui. Permettetemi Anna — Perché non vi siete più fatto vedere? di fare a modo mio. Platònov — Sono stato malato. Anna — E va bene... (Pausa. Sforzando il proprio Anna — Non è vero!... Mentite! orgoglio) Sentite, Platònov, vi presterò un po’ di denaro e voi andrete via di qui, dove vorrete, per Platònov — Mento. Non mi fate domande, Anna un mese, due... Petròvna. Anna — Come puzzate di vino, Platònov, cosa si­ Platònov — Dove? gnifica tutto questo? Avete gli occhi rossi, il viso Anna — A Mosca, a Pietroburgo. Avete più che disfatto... che vi succede? Bevete? mai bisogno di cambiare aria... Volete che venga Platònov — Sì, bevo. con voi? Volete? Platònov (lentamente, amaro) — Domani parto, Anna — La stessa storia dell’anno scorso... Un Don Giovanni e un pietoso codardo nello stesso Anna Petròvna, ma non con voi. tempo. Ora però la smetterete di bere. Anna — Va bene... (Pausa). Platònov — Va bene. Platònov — Questo è il nostro ultimo incontro, mia cara. Dimenticatemi. (Le appoggia la mano sul­ Anna — Parola d’onore? Del resto, perché oppri­ la spalla) Forse c’incontreremo fra qualche decina mervi con la parola d’onore?... Dove nascondete il d’anni, e allora potremo ridere... o piangere assie­ vino? (Platònov indica Varmadio. Anna vi si dirige) me su questi giorni. Ma ora lasciatemi andar via. Non siate così debole, Miscia... (Apre l'armadio) Che disordine! In quale bottiglia è il vino? Anna — Su, bevete, agli ubriachi è consentito dire Platònov — In tutte. assurdità. Anna — In tutte e cinque? Avete nell’armadio una Platònov — Io non sono ubriaco. intera bettola. Bisogna che vostra moglie ritorni. Lo Anna — Ma cosa vi è accaduto? desiderate? Platònov — Amica mia, quando lo saprete, non Platònov — Non mi fate domande. maleditemi. Dirvi addio è la mia punizione. Sorri­ dete? Credetemi, è la verità. (Una pausa). Anna — Vi spiegherete, in qualche modo... Non sono una rivale temibile. Sono disposta a dividervi... Anna — E allora... (Gli dà la mano da baciare) (Versa il vino nel bicchiere e lo assaggia) È buono Eppure sento che ci rivedremo. questo vino... beviamone un bicchiere, prima di Platònov (tenendole la mano) — No, non bisogna. buttar via il resto. Platònov va verso l'armadio. Anna No, no... (Le bacia la mano). gli versa il vino) Non tremate così. Anna — Povero amico! Lasciate la mia mano. Be­ Platònov (beve) — Alla vostra salute. Che Dio vi viamo alla nostra separazione. (Versa del vino) Si conceda la felicità. muore anche se non si beve... tanto vale bere... An­ Anna (beve) — Spero che almeno abbiate avuto che a me piace... e non lo sa nessuno... Davvero... nostalgia di me! Sediamoci. Portate qui la bottiglia. Non c’è niente di peggio che essere una donna (Si siedcmo) Vi sono mancata? emancipata. Una donna emancipata e senza occu­ pazione. A che cosa servo io? Perché vivo? Per Platònov — Ogni istante. forza sono immorale... io sono una donna immorale, Anna — Ah! Allora perché non siete venuto quella Platònov. (Scoppia a ridere) Forse ti amo perché notte? sono immorale... (Si tocca la fronte) E mi rovinerò. Platònov — Non mi fate domande. Non posso Se soltanto fossi una professoressa... oppure un’auti­ dirvi nulla, solo che mi sto completamente rovi­ sta... o qualcos’altro. Sé avessi dei bambini... Una nando, mia cara. donna emancipata che non ha niente da fare. Vuol Anna — Basta recitare, Platònov. Volete sembrare dire che sono superflua. Eh? che ne dite? l’eroe d’un romanzo? Vivete come i comuni mortali. Platònov — Tutti e due ci troviamo in cattive Platònov ■— È facile a dirsi, ma come fare? condizioni. Anna — Non nascondetevi per bere, non state a Anna (alzandosi con un ultimo slancio) — Ditemi letto tutto il giorno, lavatevi qualche volta, venite che resterete qui. ANTON CECOV

Platònov — Andatevene, per l’amor di Dio, voi Osip — Siete arrivata troppo presto. (Butta il col­ mi tormentate. tello) Davanti a voi non posso. (Frìgge dalla finestra. Anna — Allora... vi auguro ogni bene. (Gli tendo Kirìll esce rapido per inseguirlo). la marno) Vi dò la mano, non vedete? (Platònov ri­ Sàscia — Ti ha fatto male? Puoi alzarti? mane immobile, come abulico, Anna gli -prende la Platònov — Non ti spaventare, cara... Sono an­ mano e gliela stringe) Tornerò a salutarvi... cora intero. (Sorride) Salve, Sàscia. (Glagòlev esce Platònov — Verrò io... No, non verrò. Ti suppli­ discretamente). co: non parliamone più. (Un momento di silenzio; Sàscia — Che vigliacco è stato. sono vicinissimi. Poi lasciandole la mano) Addio, Platònov — Mi ha solo pestato. Dammi la mano. Anna Petròvna. (Si alza) Dov’è il sofà? Che cosa guardi? Sono vivo, Anna (uscendo) — Ti auguro di essere felice. (Pia- non vedi... (Si sdraia sul divano) Grazie d’essere tòncrv la segue. Dall’esterno compare Osip, s’avvi­ venuta, altrimenti... cina alla finestra, la apre e scavalca il davanzale). Sàscia — Appoggia la testa sul cuscino. (Gli sistema Platònov (riappare, si versa ancora da bere, va al un cuscino) Ecco, così. Perché chiudi gli occhi? Ti divano, e finalmente scopre la presenza di Osip, ap­ fa male? (Indica il braccio). piattito presso la stufa. Trasalendo) — Tu, qui? Platònov — Non è nulla! Finalmente sei venuta. Come sei entrato? (Osip indica furbescamente la (Pone la mano di Sàscia sulla sua guancia). finestra) Di’ cosa vuoi e fila immediatamente. Sàscia (stacca la mano. Va alla credenza a cercare Osip (avanza, freddamente gli mostra alcuni bi­ delle bende) — M i hanno accompagnata i Glagò­ glietti di banca) — Ecco... Me li ha dati Venghe- lev. Sono venuta perché il nostro Kolia è molto ròvic per storpiare Vostra Signoria... malato (Platònov trasale) ha una gran tosse, la Platònov — Il vecchio Vengheròvic? febbre... da due notti non dorme e grida... (Piange) Osip — Lui in persona. (Straccia il denaro). Ho paura per lui... ho così paura! Ho fatto anche Platònov — Hai stracciato il denaro? (Con un riso un brutto sogno... se muore il bambino, che cosa nervoso) Vuoi mostrarti magnanimo? sarà di noi? (Non ha trovato le bende. Prende una Osip — Non voglio che all’altro mondo diciate camicia e ritaglia della tela). che vi ho ucciso per questi. (Butta via il denaro. Platònov — Dio non può prenderti il nostro bam­ Platònov tenta d’andarsene). Avete paura, Mikhàil bino! Perché dovrebbe punirti? Forse perché hai Vassìlievic? (Ride. Gli taglia la strada) Sono proprio sposato me? Salvalo, Sàscia, e ti giuro che ne farò venuto per uccidervi. O non mi credete? un uomo! Come marito io valgo poco, sono una Platònov — Sei impazzito?! Che cosa ti ho fatto? nullità, ma come padre sono grande! (Geme, ricade) Ah, il mio braccio mi fa male. (Sàscia corre a fa­ Osip —■ Siete un porco... Perché è venuta da voi sciarlo) Sei venuta. Perché mi hai lasciato? Piangi? la giovane signora? Non piangere Sàscia... Saremo felici, noi e il bam­ Platònov (afferrandolo per il petto) — Esci di qui! bino. Ti farò mettere in galera per questo! Sàscia — L’intrigo... è finito? Osip (respingendolo) — E perché Anna Petròvna Platònov (sorride) — Che parola... è venuta qui dopo di lei? Perché? (Osip impugna il Sàscia — Non è finito? coltello). Platònov — Come dirti... non ce intrigo... una Platònov — Sarò io a ucciderti. Sono più forte di specie di mostruoso guazzabuglio... finirà presto... te. (Lo assale. Pxiesce a fargli schizzare di mano il Sàscia — Quando? coltello non ancora aperto. Lottano avvinghiati. Pla­ Platònov — Presto torneremo a vivere come pri­ tònov viene buttato sul pavimento. Osip riprende ma, Sàscia! Sono sfinito... non credere alla solidità il coltello). di questo legame, abbi fiducia in me. Con Sofia fi­ Osip — Quando arriverete all’altro mondo, portate nirà presto... i miei umilissimi ossequi al generale Voinìtsev! Sàscia (sbalordita) — Tu... con Sofia? Platònov — Lascialo... lascialo... (Si avvinghiano. Platònov •—- Non... Un lamento di Platònov che riceve una ferita al Sàscia — Con Sofia! E’ vile... è un’infamia... braccio. Si sente il rumore d’una porta che s’apre, Platònov (geme) — Almeno tu, Sàscia, non mi dei passi). tormentare... M i fa male il braccio... se ti ci metti Sàscia (d.f.) — Miscia! anche tu! Platònov — Aiuto! Aiuto! (Platònov riesce a svin­ Sàscia — Con la vedova sarebbe stato meno grave, colarsi. Osip rimane interdetto. Irrompono Sascia ma con la moglie d’un altro... non mi sarei aspet­ e i due Glagòlev). tata da te una simile vigliaccheria... (Va verso la Sàscia (un urlo) — Miscia! porta). GLI AMORI DI PLATONOV

Platònov (cerca d'alzarsi) ■— Io sono ancora tuo K ir ìll — Che ci vai a fare a Parigi? (Ride). marito, abbiamo un bambino! La mia colpa è grave Glagòlev — Ha ragione. Basta con gli ideali. Non ma non può essere perdonata? Rimani. (Tenta di c’è più né fede né amore. Non ci sono gli uomini. trattenerla, abbracciandola). Partiamo. Sàscia (si ritrae) — Non posso, lasciami. Vivevamo K ir ìll — Per Parigi? tranquilli... al mondo non c’era nessuno più felice Glagòlev — Se si deve vivere senza credere a di me. (Platònov ricade a sedere) Che hai fatto, niente, che sia lontano di qui. Miscia? Che cosa hai fatto? Non si può più tor­ K ir ìll (ride forte) — Insieme a Parigi! (Escono. La nare indietro! Sono perduta. (Singhiozza). risata di Kirìll continua). Platònov — Con Sofia finirà presto... Sàscia ■— No! Non mi vedrai più... non venire ATTO QUINTO nemmeno da noi... quello che hai fatto, Miscia, è troppo, troppo brutto... Nikolài ti porterà il bam­ bino, se guarirà... (Singhiozzando esce). (Lo studio del defunto generale Voinìtsev. Mobili di vecchio stile, tappeti persiani, fiori. Alle pareti Platònov (solo) — Ho perso tutto... (Gli duole il fucili, pistole, pugnali di foggia caucásica. Ritratti braccio. Si alza, va al tavolo, si versa da bere) In­ di famiglia, i busti di Kryllov, Puskin, Gogol. Uno comincia la vita nuova... (Beve. Va verso il divano. scaffale con uccelli impagliati. Una libreria; sulla Entra Glagòlev). libreria pipe, scatole, bastoni, canne di fittile. Lo Glagòlev — Vi sentite molto male Mikhàil Vas- scrittoio è coperto di carte, statuette, armi. E’ il sìlievic? giorno dopo, di pomeriggio avanzato. Piove. En­ Platònov — Lasciatemi in pace. (S’appoggia al trano Sofia e Kàtia). divano). Sofia ■— Non ti agitare, racconta con ordine. Glagòlev — Sono desolato di dovervi disturbare. Kàtia — E’ successo qualcosa di brutto, signora. Una domanda soltanto... E’ per questo che ho ac­ Le porte e le finestre tutte spalancate, nelle stanze compagnato qui vostra moglie... Ma che avete? tutto all’aria, rotto... E’ successo qualcosa di brutto. Platònov — Eh... Probabilmente sono ubriaco. Sofia — Che cosa?... Glagòlev — La mia domanda è strana, forse an­ Kàtia — Non lo so, signora, non lo so... forse Pla­ che sciocca; ma in nome di Dio rispondetemi, ha tònov è fuggito... oppure qualcuno lo ha ucciso... un’importanza vitale per me. Crederò alla vostra ri­ Sofia — Ma no, no! Sei stata in paese? sposta perché vi conosco come uomo sincero... Mi Kàtia — Certo... ho cercato dappertutto, è quat- trovo in una situazione umiliante: la nostra comu­ tr’ore che giro. ne conoscente... io la consideravo il culmine della Sofia — Che fare... che fare? (Si siede) Sei certa perfezione umana; Anna Petròvna Voinìtseva... che non ci sia proprio da nessuna parte? Sei certa? Platònov ■—- Finitela. Vi ho sempre giudicato un Kàtia — Non l’ho trovato, signora... E’ successo vecchio imbecille. qualcosa di brutto... (Piagnucola) E il signor Ser- Glagòlev — Voi siete suo amico, la conoscete be­ ghèi mi fa pena... gira come un pazzo! Lasciate ne... Mi hanno detto sul suo conto una calunnia... perdere, signora... oppure? Sofia — Lasciar perdere, cosa? Platònov — M i gira la testa. Kàtia — L’amore. Cosa ve ne viene? Anche voi Glagòlev — Oppure è una donna seria, Mikhàil fate pena, non mangiate, non dormite, non fate al­ Vassìlievic? Ha il diritto di diventare la moglie di tro che tossire... un uomo onesto? (Platònov sta per svenire) Cercate Sofia — Torna a casa tua, Kàtia, forse è tornato. di capirmi... Kàtia — Sì vado... ma voi fareste meglio ad andare Platònov — Tutto è vile, sudicio, a questo mon­ a dormire... do. (Ricade svenuto sul divano). Sòfia — Va’... (Kàtia esce. Sofia sola va alla fine­ Glagòlev (dopo una pausa di stordimento) — Tut­ stra, appoggia la fronte ai vetri) M i aveva dato la to è vile, sudicio... Tutto. Quindi anche lei... parola d’onore che sarebbe venuto... K ir ìll (entrando) — Vuoi mettere qui le radici? Voinìtsev (entra) — Voi... da me? Nel mio studio? Non ho nessuna voglia di aspettare. Sòfia —- Io..', sì... sono entrata qui... me ne vado... Glagòlev — Anche lei... (Fa per uscire). K ir ìll —- Ma che è successo a Platònov? Voinìtsev — Un momento, Sophie, te ne prego. Glagòlev (con disgusto) — Ubriaco! (Avvicinan­ Sofia (sì ferma) — Volete dirmi qualcosa? dosi al figlio) Sì, « vile e sudicio». « Tutto». (Scon­ Voinìtsev — Sì... è passato il tempo in cui non solato) Partiremo... per Parigi. eravamo estranei in questa camera... ANTON CECOV

Sòfia — E’ passato... Anna — Sì, ne hanno trovato il corpo nel pozzo, Voinìtsev — Scusatemi... partite? poco fa. Laggiù. Sofia — Sì. Voinìtsev {guarda dalla finestra) — Questa do­ Voinìtsev -— Con lui? veva essere la sua fine. (Pausa). Sofia — Sì. Anna — Hai sentito la novità? Dicono che Platònov Voinìtsev — Vi auguro felicità... un'esperienza sia scomparso... (Pausa) Hai letto la notifica? nuova è meglio d’un amore vecchio, non è vero? Voinìtsev — Sì. Sofia — Avevate da dirmi qualcosa? Anna — Addio villa. Dio ce l’ha data. Dio ce la Voinìtsev — Sto forse tacendo? Volevo dire... non prende. Tutto perché ci siamo fidati di Glagòlev... voglio essere in debito, con voi, quindi vi prego di Aveva promesso di comprare la proprietà, ma non perdonare la mia condotta di ieri... vi ho detto delle si è presentato all’asta... Il suo domestico dice che insolenze, sono stato villano... è partito per Parigi... Se non ci avesse giocato que­ sto tiro, gli avremmo pagato con calma gli interessi. Sofia — Va bene, vi perdono. (S'avvia per uscire). e saremmo vissuti... (Si siede allo scrittoio) Che Voinìtsev — Aspettate! Non ve ne andate anco­ farai tu adesso? Dispiace separarsi dal nido ma non ra... ho ancora qualcosa da dirvi... Divento pazzo, c’è scampo... Sophie. Non riesco a sopportare tutto questo... qui, in questo studio, ha vissuto mio padre, il maggior Voinìtsev — Non vi curate di me, « maman ». Voi generale Voinìtsev del seguito di Sua Maestà, un stessa vi reggete a stento. Consolate voi prima di me. uomo grande, glorioso. (Guardando il quadro del Anna — La cosa più importante è il sangue freddo. padre) In lui vedevano solo colpe... vedevano come Tu hai perso quello che avevi, ma l’importante è picchiava e calpestava... ma nessuno voleva vedere l’avvenire. Hai tutta una vita davanti a te, una come lui era calpestato... (Indicando Sòfia) Posso vita d’uomo, bella, di lavoro! Entrerai in un gin­ presentarvi la mia ex-moglie? (Sòfia fa per uscire. nasio, incomincerai a lavorare... Se vorrai, arrive­ Voinìtsev la prende per un braccio. Disperato) No, rai lontano... Ma non devi litigare con tua moglie, non ve ne andate ancora, dico delle sciocchezze, lo siete appena sposati e già incominciate a litigare... so, ma dovete ascoltarmi fino in fondo. Che accade tra voi? Sofia — Volete dimostrare che sono colpevole nei Voinìtsev — Non accade, è già accaduto. L’ho vostri confronti? Risparmiatevi la fatica. Io so che saputo solo ieri mattina. Ho l’onore di presentarmi : cosa pensare di me stessa. un marito cornuto. Voinìtsev — Sophie, tu non sai nulla... è terribile Anna — Che sciocchezze, Serghèi! Dire queste quello che accade dentro di me. (S’inginocchia da­ mostruosità senza riflettere... Evidentemente non vanti a lei, le prende le mani) Abbi pietà! Rimani sai cosa significhi. con me... dimenticherò tutto! Ti ho già perdona­ Voinìtsev — No, «maman». Lo so. E’ certo. ta... Lui non ti può dare la felicità! Con me saresti Anna — Tu offendi Sophie. di nuovo serena, non così pallida, triste. Lui non Voinìtsev — Te lo giuro davanti a Dio. ti ama... ti ha preso solo perché ti sei data a lui... Anna — Qui, in questo paese? Piangi? Voinìtsev — Sì. Sofia — Queste lacrime non sono per voi... Forse Anna — In questo paese? E’ impossibile... A chi Platònov acconsentirebbe a lasciarmi ritornare con può venire in mente, con una Voinìtsev, qui nes­ voi. (Aspra) Siete tutti disgustosi. (Pausa) Dov’è Pla­ suno oserebbe... tònov? Voinìtsev — Platònov. (Lunga ■pausa). Voinìtsev — Gli ho dato del denaro e mi ha pro­ Anna (in un soffio) — Platònov? messo che sarebbe partito. Voinìtsev — Platònov. Sòfia — L’avete comprato? Mentite! Anna (riprendendosi, tra il riso e il pianto) — Se Voinìtsev (in un grido) — Gli ho dato mille rubli! ne possono dire di sciocchezze, ma quella che hai Ha rinunciato a voi! (Si accascia) Non è vero, non detto adesso... è vero, è una menzogna... tutte menzogne... anda- Voinìtsev — Chiedetelo a lei, se non ci credete. tevelo a prendere, baciatelo, non l'ho comprato... Parte oggi con lui. M i lascia... (Entra Anna Petròvna). Anna — Non può essere, Serghèi, questo è un al­ Anna — Che giornata, miei cari (Anna attraversa tro frutto della tua fantasia puerile... la stanza fino alla finestra nel silenzio. Quando An­ Voinìtsev (isterico) — Lei parte oggi. Sono due na è giunta alla finestra, Sòfia esce. Si è rivoltata giorni che so tutto. (Un silenzio. A mezza voce) verso la stanza) I contadini devono aver ucciso Parte oggi... Osip stanotte. Anna — Sì, sì... aspetta un momento!... Ora ca­ Voinìtsev — Davvero... pisco... Ora capisco... GLI AMORI DI PLATONOV

Bùgrov (entrando) — Buongiorno! Buona dome­ ta) Sono stato ingiusto con voi, lo riconosco. Pur­ nica... come state? troppo non ci rivedremo: parto per sempre. Siate Anna (ancora assorta) — Sì, sì. felice, ve ne prego, e almeno voi trattatemi con Bùgrov —• Piove, ma fa caldo. (Si asciuga la fron­ giustizia: non mi perdonate». Io sapete... l’avevo te. Siede. Voinìtsev suona un campanello, violen­ citato! Fatelo chiamare, Anna Petròvna, che venga temente) Per voi naturalmente (sorride) questa qui. è una visita un po’ spiacevole... (Entra Vassìli). Anna — E’ necessario? Voinìtsev — Pezzo d’imbecille, quante volte ti Grèkova — Oh sì, sì, Mikhàil Vassìlievic sarà tra­ ho ordinato di non fare entrare nessuno senza an­ sferito... l’avevo chiesto al Direttore della scuola... nunciare! Dovreste essere tutti frustati, animali! Che pasticcio ho fatto! Non ascoltate, Serghèi Pàv­ (Scaglia a terra il campanello) E levati dai piedi! lovic. (Ad Anna Petròvna) Come potevo prevedere (iCammina su e giù per la stanza. Vassìli si stringe che avrebbe scritto questo biglietto... se avessi sa­ nelle spalle. Esce). puto! Ho tanto sofferto... Bùgrov — Eh, già... purtroppo c’è stata la vendita Anna — Andate un momento in biblioteca, mia all’asta, come sapete, allora io... non vi adirate con cara, vi raggiungo subito. Devo dire ancora una me, vi prego... Non sono stato io a comprare la pro­ cosa a Serghèi. prietà, è stato Abràm Abràmovic Vengheròvic; io Grèkova — Va bene. Ma lo manderete a chiama­ ho dato solo il nome. (Ridacchia) Abràm Abràmovic re? Vorrei proprio vederlo... mi ha ordinato di riferire che potete vivere qui fin­ Anna (accompagnandola) — Un momento e vi rag­ ché volete, anche fino a Natale... ci sarà qualche giungo... lavoretto da fare, ma non vi darà troppo fastidio Grèicova — Va bene. (L’abbraccia) Non siate in e semmai potete trasferirvi nelle «dépendances»... collera con me, non potete immaginare quanto sof­ Mi ha anche detto di chiedervi, Anna Petròvna, se fro. (Esce). volete vendergli le miniere... noi offriremmo un Anna (rivolgendosi a Voinìtsev) — Forse si può buon prezzo... ancora salvare la tua famiglia, Serghèi. Parlerò su­ Anna — Non le venderò a nessuna condizione... bito con Sophie. Voglio interrogarla io... Solo per Quanto mi dareste? Una miseria... Vi vada di tra­ un bacio, Platònov è capace di fare chissà che bac­ verso! i cano! A cose gravi non possono essere arrivati, ne Bùgrov — Abràm Abràmovic Vengheròvic mi ha sono sicura. Tu ti sbagli! Dov’è Sophie... ordinato di riferire che se non volete vendergli le Voinìtsev — Forse in camera sua. (Anna esce. Voi­ miniere in cambio del saldo dei debiti di Serghèi nìtsev scoppia a piangere). Pàvlovic e del defunto generale sarà costretto a pro­ Anna (d.f.) —■ Platònov! Su! Presto, aiutatemi. testare le cambiali. E anch’io le mie... L’amicizia è (Entrano Anna, Platònov retto da un servo. Platò­ una bella cosa ma il denaro è il denaro... nov ha il braccio al collo, la barba lunga; è coperto Anna -—• Lasciateci, per favore. Scusate, ma an­ da un mantello fradicio di pioggia) Mikhàil Vassì­ datevene... lievic! Bùgrov — Capisco, capisco... Non vi preoccupate, Platònov — Ho freddo... freddo... potete rimanere anche fino a Natale. Ripasserò do­ Anna (al servo) — Mettetelo qui... (Eseguono). mani o dopo... vi riverisco... (Bùgrov esce). Platònov — Sono stanco... finito... Voinìtsev — Facciano quel che vogliono... Io non Anna — Lasciate che vi tolga... (Fa per togliergli ho più bisogno di niente. Sono solo... il mantello bagnato). Anna (gli s’avvicina) — Forse... si può ancora ri­ Platònov (con un grido di dolore) — Il braccio! parare... (Si ode bussare. Anna furiosa) Chi è? mi fa male... Vassìli (comparendo) — La signorina Mària Efì- Anna (al servo) — Andate a chiamare il dottore... movna Grèkova. Posso farla accomodare? (Entra la (Il servo esce). Grèkova). Platònov (appoggiandosi al tavolo) — ...chiedo Grèkova (felice) — Anna Petròvna. (Le dà la ma­ umilmente perdono... sono colpevole... (Anna si ir­ no. Vassìli esce) Buongiorno, Serghèi. Scusate se rigidisce). vi disturbo, sono venuta solo un momento, non vi immaginate certo il perché! (Ride) Scusate, Serghèi, Voinìtsev — Cosa siete venuto a fare qui? è un segreto che devo comunicare ad Anna Petròv­ Platònov — Non sono venuto per giustificarmi... na... (Si apparta con Anna) E’ di Platònov! (Le dà un Voinìtsev — Cosa siete venuto a fare qui?! foglio) L’ho ricevuto ieri sera. (Anna legge lentamen­ Platònov — OoohL. Non potreste essere più cor­ te) « Allora vi baciai perché ero irritato e non sapevo tese? (Ricade). quel che volevo, ora vi bacerei come una immagine Voinìtsev (affranto) — Domandategli voi, « ma- sacra. (Uno sguardo alla Grèkova, che sembra bea­ man», perché è venuto... ANTON CECOV

Anna — Platònov!... E’ vero? Platònov — Lasciami in pace! Ne ho abbastanza, Platònov — Sì. (Pausa. Voinìtsev riprende a sin­ di tutto... di te... ghiozzare). Sofia (spenta) — Vile... (Con forza crescente) Vile! Anna — E’ vile giuocare con gli uomini, Platònov. Vile! Voinìtsev — Io vi disprezzo, Platònov. Andate- Platònov —■ Lo so. vene! Fuori! Fuori di qui, lasciatemi in pace... Sòfia — Ti odio! (Scoppia in singhiozzi isterici). Anna — Perché siete tornato a casa nostra? Platònov — Tutto questo mi disgusta... (Grida) Platònov — La mia vita è finita. Fio perduto tutto, Sono malato! tutto... l’onore, la dignità umana... Sofia — Che cosa farò? Che cosa farò? Salvatemi, Voinìtsev (tra i singhiozzi) — Io non vi ascolto! Platònov! Non resisterò alla vergogna... (Singhiozza). Non ci fate più colpo con le vostre parole! Siete Voinìtsev (avvicinandosi a Platònov) — Platònov, solo un vigliacco. Vi odio. andate via. Platònov — Tu non hai diritto di calpestarmi, Anna (rivolgendosi a Sòfia) — Basta, Sophie. (Entra anche se sei infelice! Voi non sapete quello che Trilètski). io ho sofferto... Sofia •—■ Non ho bisogno del vostro aiuto! Vi odio Anna — Che cosa ci può importare, adesso, Mikhàil tutti. Lasciatemi! (Cade a sedere affranta su una Vassìlievic? poltrona. Una pausa. La scena seguente si svolgerà Platònov — Nemmeno a voi importa? con pesante lentezza). Anna — Vi assicuro che non importa nemmeno a Nikolài — La tragedia è all'epilogo... me... Anna — Riportatelo a casa, Nikolài, curatelo. (Si Platònov — Non mentite, Anna Petròvna? E forse avvicina a Platònov) Che cosa fate qui, insigne com­ avete ragione... forse... ma dove cercare allora gli mediante? uomini? Dove sono? Non capiscono... Platònov —• Che vuoi, tu? Voinìtsev — Chi capirà? M i sento impazzire, la­ Nikolài (prendendogli il polso) — Piai finito adesso sciatemi in pace. di tener la predica, signor filosofo? Anna — Andatevene, fateci il favore, andate... Platònov — Sono malato, Nikolài. Parlo seria­ Platònov (in un grido) — Non me ne andrò di mente. qui, anche se bruciate la casa! Chi non gradisce la Nikolài — Sì, sì... Mettiti il mantello e andiamo. mia presenza, può andarsene! Datemi qualche cosa La tua fortuna è che sono rientrato a casa stamat­ di caldo... non ritornerò a casa, fuori piove... mi tina. Cosa sarebbe accaduto se non fossi riuscito coricherò qui. a fermarla? Anna — Andate a casa, Mikhàil Vassìlievic, vi por­ Platònov (allarmato) — Fermarla? Sàscia? Che le terò io quel che vi occorre. è successo? Platònov — Chi non gradisce la mia presenza può Nikolài — Niente, ha tentato di avvelenarsi. (Un andarsene... datemi da bere. (Anna gli porge una silenzio). caraffa. Platònov beve dalla caraffa). Sto male. Platònov — E’ colpa mia! E’ colpa mia... Anna (gli tocca la fronte) — Avete la febbre. (En­ Nikolài — Finiamola di recitare... Sono arrivato tra Sòfia). in tempo. E’ fuori pericolo, ormai. Sofia (d.f.) — Platònov! (Entrando in preda a forte Platònov (scoppia a ridere) — Come mi hai spa­ emozione) ...dov’eravate? Perché non siete venuto? ventato. (Tenta di baciare Nikolài). (Si accorge delle sue condizioni) Che cosa vi è suc­ Nikolài -—• Non capisco di che cosa ti rallegri... cesso? Platònov — Eh?... Già... (Il riso di Platònov si Platònov — Non serve... tutto è finito, Sophie. spegne). Sofia — Come? Anna — Verrò da voi stasera, parlerò anch’io con Platònov — Sono esausto, lo giuro! Voi siete tanti, Aleksàndra Ivànovna... Come le è saltato in mente io sono solo... non ho piu bisogno di niente, lascia­ di spaventarci così? temi in pace. Platònov — Che cosa debbo fare, Nikolài? Sofia — Che cosa dite? Nikolài — Va’ da lei e dille... che l’ami. Platònov —• Non ho più bisogno della nuova vita, Platònov — Sì, sì andiamo, andiamo! (Fa per anche della vecchia ne ho abbastanza. alzarsi, ricade a sedere) Aspetta, mi gira la testa... Sofia (con disperazione si slancia verso di lui) — un momento... e poi andremo. Miscia, amore! Anna — Portatelo via Nikolài. Platònov (scostandola) — Non capisci? E’ finita! Platònov (a Nikolài) — Siedi accanto a me, te ne Sofia — Finita? prego. (Nikolài siede. Si commuove) Ti ringrazio, GLI AMORI DI PLATONOV amico. (Gli afferra la mano) Ho sete... (Anna gli dà Faccio del male... e mi amano... per esempio ho da bere). offeso la Grèkova, l’ho spinta contro il tavolo, e lei Nikolài .— Vogliamo andare? mi ama... Ah sì, siete voi la Grèkova, scusate... Platònov — Sono terribilmente ammalato, Ni­ Grèkova — Che cosa vi fa soffrire così? kolài... Platònov (ironico) ■— Platònov. (Pausa) Voi mi Nikolài — Desideri andare, ti domando, sì, o no? amate? Platònov ■— Sì, sì... (Fa -per alzarsi) Ma perché ho Grèkova — Sì... la bocca così arsa? (Di qui il ritmo diventa frenetico). Platònov — Tutti amano... Sofia — No, non potete andar via... vi supplico... Grèkova — Amo solo te! (Entra Sòfia. Si avvicina Platònov. (Si butta in ginocchio ai suoi piedi). allo scrittoio e rovista precipitosamente. Grèkova Anna — Sophie... afferra Platònov per un braccio. Sòfia prende un Sòfia — Salvatemi, Platònov. (Platònov si prende revolver. Grèkova si pone fra Platònov e Sòfia) Che la testa fra le mani, gemendo) Salvatemi. fate? Che fate? (Si getta su Sòfia) Aiuto! Anna — Sophie, non dovete fare questo! Nessuno Sòfia — Lasciatemi... (Spinge via la Grèkova, punta merita che... in ginocchio... Alzatevi. (La strappa su Platònov). a Platònov). Platònov (atterrito) — No... no... perché? (Sòfia Sofia (aggrappandosi ad Anna) — Aiutatemi, sup­ gli spara a bruciapelo. Platònov cade. Accorrono plicatelo voi... voi. Anna Petròvna, Trilètski e Voìnìtsev. Anna strappa Anna (contemporaneamente) — Su, andate nella la pistola a Sòfia). vostra stanza! (Sofia si dibatte) Serghèi, Nikolài, aiu­ Nikolài (si china su Platònov e gli sbottona la tatemi una buona volta... giacca) — Mikhàil Vassìlievic, mi senti? (Grida) Sofia — Persuadetelo... Non può essere... Non può Dell’acqua! (Voìnìtsev va a chiudere la porta a essere... siamo ancora in tempo... (Esce con Anna, chiave). portata fuori da Serghèi, Nikolài. La porta rimane Grèkova— Salvatelo... salvatelo! (Una pausa: N i­ aperta). kolài ausculta Platònov). Platònov (rimasto solo; dopo un silerizio, in una Nikolài (rialzandosi) ■— E’ morto. stram lucidità ironica.) — Vergogna... ho vergogna... Anna — No... no... (La Grèkova si siede al tavolo soffro di vergogna... avevo fame... ho fatto il ciarla­ e piange disperatamente). tano... e sono venuto in questa casa, mi hanno ospi­ Nikolài — La vita non vale un centesimo. Addio, tato, mi hanno vestito, colmato d’attenzioni! Li ho Miscia. (Prende la rivoltella che tiene Anna Pe­ ripagati bene. (Nel corridoio, appare M. E. Grèkova. tròvna, la mette in mano a Platònov, riguardando Platònov accorgendosi di lei, scoppia a ridere) Allo­ gli altri) Che cosa state a guardare? Si è ucciso. ra, domani... andiamo in Tribunale? (Sofia sembra svenire. Nikolài si alza come per an­ Grèkova — Ma, dopo la vostra lettera, non siamo darsene. Si avvia lento; incontra lo sguardo di Voi- più nemici... nìtsev). Platònov — Fa lo stesso... (Ricade a sedere). Voìnìtsev — Che fare, Nikolài? Grèkova — Che avete? Nikolài (con leggera ironia) — Seppellire i morti Platònov (a mezza voce) — Sono ammalato... e curare i vivi. Ascoltate, mi volete ascoltare? (Le fa segno d’acco­ Anna (immobile, a Nikolài) — Non dite nulla ad starsi). Aleksàndra Ivànovna. Glielo dirò io. (Lasciandosi Grèkova (avvicinandosi) — Oh, sì. cadere) Platònov, vita mia. Non sei morto... vita mia. Platònov — Sedete vicino a me. Ospitatemi in c ^ r' casa vostra. M i potete mettere anche in una rimessa, in un angolo qualsiasi con dell’acqua e un po’ di chinino. Vi prego! Questa commedia è stata rappresentata al Teatro Stabile di Torino, l’8 dicembre 1958, dalla Compagnia del Teatro Grèkova — Ma certo, naturalmente... Starete a stesso, con la partecipazione di Laura Adani e Gianni San- tuccio. Le parti sono state così distribuite: Anna Petròvna casa mia... quanto vorrete! Voinìtseva (Laura Adani); Serghèi Pavlovic Voìnìtsev Platònov — Merci, intelligente bambina... Piove? (Carlo Montagna); Sofìa Egòrovna (Milly Vitale); Por- fìri Semlònovic Glagolev (Giulio Oppi); Kirill Poriìrievic Grèkova — Sì, ma non importa... ho la carrozza Glagòlev (Gastone Bartolucci); Maria Efimovna Grèkova (Elena Magoia); Abràm Abràmovic Vèngherovic (Attilio coperta. Ortolani); Timofèi Gordèievic Bùgrov (Cesare Polacco); Mihàil Vassìlievic Platònov (Gianni Santuccio); Alexan­ Platònov — Sei bella... perché arrossisci? Non ti dra Ivànovna (Luisa Rossi); Nikolài Ivànovic Trilèski tocco... (Le prende la mano, gliela bacia) Che mano (Vincenzo De Toma); Osip (Mario Bardella); Màrko (San­ dro Rocca); Vassìli (Giovanni Mannocchi); Iàkov (Ales­ fredda... (Tiene la mano sul viso) Amo tutti gli uo­ sandro Esposito); Kàtia (Lucetta Prono). Regìa di Gian­ mini, tutti! Amo anche voi... Non volevo fare del franco De Bosio, con la collaborazione di Ernesto Cortese. male a nessuno e invece ho fatto del male a tutti... * Tutti i diritti riservati. MOSAICO PER

Leonardo Vergani ci ha dato un assai gradito dono di Natale: un volume su Eleonora Duse: libro singolare, attraente, intelligente. Ma prima vogliamo dire della gioia provata nell’avere tra mani un libro di Leonardo, figlio di Orio Vergani, del fanciullo che cono­ scemmo « ieri », dell’uomo ch’egli è oggi, aperto alle più belle aspirazioni dello spirito, agguerrito per le battaglie della nostra professione, discepolo consapevole del suo illustre genitore. Il figlio di Orio Vergani come quello di Gino Rocca, anch’egli oggi commedio­ grafo e giornalista, li abbiamo veduti bambini, e delle creature degli amici fraterni si pensa, chissà perchè, che occorra moltissimo tempo prima che diventino grandi; forse per veder restare giovani i padri. Invece ce li siamo improvvisamente trovati a fianco, laureati e con la penna in mano : fa un certo effetto doverli considerare professionalmente colleghi, ma colleghi sono e quindi sentiamo per loro lo stesso affetto che per Orio, che fu per Gino, per altri amici che venti o trent’anni fa ebbero un figlio. E noi che ne fummo privi non capimmo, allora, che essi avevano splendidamente ipotecato l’avvenire. Dunque, il giovane collega Leonardo Vergani ha commemorato la Duse per suo conto prima e per tutti gli italiani poi, ed i teatranti in particolare, con un libro che saremmo assai lieti fosse uscito dal nostro cuore e dalle nostre mani. Tanto è il piacere che ne proviamo. Ha trovato un editore (Aldo Martello) che al libro ha dato una veste che noi avremmo voluto dargli, se fosse stato nostro e se di tale arte fossimo capaci. Non è il primo libro di Leonardo, questo ; troviamo nell’aletta di sopracopertina l’annuncio di un volume già suo Cento anni sul filo della nostra storia. Ma non lo abbiamo mai visto : si tratta di un libro di storia ed è dello stesso editore Martello. Ora che abbiamo tra le mani questo Eleonora Duse, immaginiamo ciò che può essere quello con cento anni di eventi, grandi e piccoli, della vita italiana di un secolo. Il volume sulla Duse vuole segnare, e ci riesce benissimo, le tappe dell’itinerario umano ed artistico della grande attrice. Leonardo Vergani ha avuto, dice il frontespizio, la colla­ borazione di Luigi Pizzinelli, ma noi crediamo che anche involontariamente abbia ascol­ tato la lezione di Orio, attraverso la sua opera; abbia avuto soprattutto il cuore di suo padre, maestro fra tutti i bibliofili, fervidissimo tra le menti attente nel ricomporre fatti e figure, nel ricostruire vite frammentarie o perdute, sempre attento, com’egli è, ai fatti di costume, alle scie letterarie, tra scapigliature romantiche, fervori d’avanguardia, splen­ dori femminili e tormenti d’artisti. Questo bel libro su Eleonora Duse è composto alla maniera di un mazzetto di fiori vari, colorati, minuscoli e profumati, come se ne formano a «bouquet», tondo, col gambo lungo quanto necessario all’impugnatura ben serrata nella stagnola, e la carta merlettata intorno. Quel mazzetto il giovane Leonardo lo ha così offerto alla Duse, che quando noi abbiamo vista ed udita l’ultima volta a Torino, al Teatro Balbo, con suo padre, egli non era ancora nato. L ’introduzione è breve: i punti essenziali della vita dell’attrice; e non occorreva di più. Poi una trentina di capitoli, dalla « Giulietta » del Fuoco di D ’Annunzio, allo studio di un filosofo — il Tilgher — « ritratto criticamente assai intenso, alieno sia da enfasi sia dalle minuzie della cronaca ». Ritroviamo grossi nomi, naturalmente, chè la scelta è stata fatta con un acume, un’attenzione ed una perspicacia davvero ammirevoli, nell’intento ben preciso di creare con le tessere, messe accortamente da parte in vario tempo, un mosaico perfetto. Importante la data del 27 agosto 1885: vi si trova la « Storia di un matrimonio » : un documento umano, commovente, perfino tragico ; una lettera, cioè, dell’attore Tebaldo Checchi, che fu «per caso» (ma non per lui, purtroppo, pove­ retto) il marito della Duse. Checchi svela, appunto con una lettera al suo intimo amico, il marchese Francesco d’Arcais, collaboratore dell’ «Opinione» e critico della «Nuova Anto­ logia», le ragioni per cui «è costretto» a dividersi per sempre da Leonora, come egli la indica. Questa lettera è pochissimo nota, e nel volume di Leonardo Vergani è il più sincero ed alto grido di dolore. Sono otto o nove pagine in tutto, ma bastano per capire la Duse e per non amarla per altrettanto spazio. Come tutte le donne, almeno una volta — questa — anche la Duse, ora sappiamo, è stata crudele, di quella spietata crudeltà che solo le mogli hanno in camera da letto, quando il talamo non ha altra fun­ zione che il riposo. Un riposo che non ammette sogni. Le tessere più rosee alla formazione del mosaico sono quelle del suo fedele Rasi, prima critico, poi accompagnatore della Duse in «tournée», quindi biografo; quelle scure sono di Jarro e Morelli; una, nera come la notte, è di Lugné-Poe: La giornata di una donna difficile. Più che l’ irriverenza disturba la sufficienza, per l’attrice «italiana» in quanto tale. E questo dispiace. Le tessere azzurre, squillanti, lucentissime, sono di Praga (bellissima: Come è nata la «Moglie ideale d), di Simoni, della Serao ; una, arancione, è di Shaw ( La Duse e la Bernhardt) ; l’unica bianca, agghiacciante, che sa già di cadavere, è del negro Langston Hugues (Recita per un negro), ed è questa pagina, oltre quelle di Simoni (Treni1 anni di cronaca drammatica), il nostro contributo di « Il Dramma » al volume, poiché il testo apparve sulla nostra rivista nel fascicolo del 15 settembre 1950. A Leonardo non è sfuggito proprio nulla: attenzione, esperienza, valutazione critica, or­ ganicità, tutto calcolato con la bilancia delle gemme e dei veleni: in questo caso il peso si equivale. Aggiungiamo che il volume s’adorna di molte fotografie della Duse, per quanto possibile non troppo viste, e soprattutto di un ben nutrito e meglio fatto « repertorio biografico »: una trentina di pagine in corpo piccolo chiarissimo ed almeno cin­ quanta concise biografie che permettono a chiunque, anche a chi di teatro sappia poco, di penetrare non soltanto in quella che fu la vita splendente e l’arte meravigliosa della Duse, ma di un secolo di teatro, letteratura, storia del costume italiano. i.ucì»

Il volume di Leonardo Vereani: Eleonora Duse. SI CONCLUDONO LE ONORANZE NAZIONALI A ELEONORA DUSE

ELEONORAU «R ■ Di SE- ELEONORA Tth • DUSE' 'ELEONORA '1:.. DUSE 'ELEONORA DUSE ELEONORA DUSE

EMISSIONE DI UN FRANCOBOLLO COMMEMORATIVO DI ELEONORA DUSE NEL CENTENARIO DELLA . NASCITA Per commemorare il centenario della nascita di Eleonora Dns.e, l’Amministrazione delle Poste e delie Telecomunicazioni ha disposto, per DII Dicembre 1958, remis­ sione di un francobollo da L. 25. Il francobollo è stampato in calcografia dall’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico dello Stato,,su carta bianca, liscia; formato carta: mm, 24 x 40; formato stampa: mm. 21 x 37; dentellatura: 14. Vignetta: in una cornicetta rettangolare lineare campeggia al centro, su fondo bianco, la figura di Eleonora Duse volta a destra, in una delle sue espressioni artistiche, con le braccia distese lungo il corpo e le mani incrociate sul grembo; ai lati della figura è accennato un fondino leggero a piccoli tratteggi; in alto, su fondo bianco, sono dispo­ ste su tre righe le seguenti leggende in carattere pieno stampatello: « ELEONORA DUSE» «CENTENÀRIO DELLA NASCITA» « 1858—1958»; in basso, in uri ret- tangolino con tratteggio finissimo orizzontale, vi sono le leggende ed il valore del francobollo, in carattere bianco « POSTE ITALIANE L. 25 ». Incisore: Prof. Mario Colombari. Il francobollo descritto, stampato iti colore bleu acciaio, sarà valido per l’affran­ catura delle corrispondenze a tutto il 31 Dicembre 1959. Roma, ii Dicembre 1958. Facsimile dell’atto di nascita del francobollo (Ministero delle Poste e T.). Con soli 16 giorni (li distanza (l’Italia ha emesso il francobollo l’il dicembre) la Russia, senza alcun dovere oltre quello dell’ammirazione per i grandi delle Arti, ha onorato Eleonora Duse con un francobollo commemorativo. Per avere il nostro, e finalmente lo abbiamo otte­ nuto, abbiamo faticato tre anni e, senza l'autorevole intervento del senatore Rosoni, che ha perorato la nostra causa, che era poi un dovere della Nazione, non lo avremmo avuto. La prima richiesta la facemmo nell’aprile 1955 per il 1955. Nel settembre 1958 sollecitammo e l’allora ministro Mattarello rispose che bisognava proporlo un anno prima. Quando poi le onoranze furono patrocinate e sovvenzionate dal Ministero, Direzione Generale dello Spet­ tacolo, con l’intervento del senatore Busoni, in un baleno approntarono il francobollo. L’11 dicembre era in vendita. Modesto francobollo, che denuncia la troppa fretta. Comunque, siamo lietissimi di averlo avuto. Grazie.

UNA VOCE STONATA LA COMMEMORAZIONE DI ORIO VERGA NI Il 28 dicembre 1958, a Chioggia, Orio Vergani Necrofilia — per iniziativa di quella città — ha comme­ morato Eleonora Duse, nella sala maggiore L ’Italia è un Paese di eroi, del municipio. Il consigliere Mario Chiareghin di santi, di poeti, di riesuma­ ha presentato l’oratore a testimonianza della gratitudine della città, e Orio Vergani ha pri­ zioni goldoniane e alfierìane, e ma ricordato con nostalgia il periodo della soprattutto di commemorazioni propria infanzia trascorso a Chioggia, accanto di Eleonora Duse. allo zio Vittorio Podrecca, allora direttore del­ la scuola tecnica e poi animatore di quella Questo ritaglio è dell’« Europeo » in urrà formidabile Compagnia di marionette, nota in rubrica ili Giuseppe Marotta. Ci dispiace tutto il mondo. L’oratore ha messo in luce la molto questo malgarbo del caro Marotta e figura della grande scomparsa che senza onori pensiamo con tristezza al « tremendo peso » e senza porpore portò tuttavia alto, in Italia di coloro che sono costretti a dover diver­ e all’estero, il nome del teatro italiano, ade­ tire per forza i propri lettori. rendo solo a quei personaggi che si addice­ vano alla sua sensibilità artistica e nei quali L’OMAGGIO DEI RUSSI riusciva a trasfondere quasi sempre i propri segreti affanni. Il discorso di Vergani, seguito con grande Mosca 27 dicembre, notte. attenzione ed interesse dal pubblico, è stato In occasione del centenario alla fine assai vivamente applaudito. Nella stes­ della nascita di Eleonora Duse, sa sala ove è stato tenuto il discorso, si trova il servizio sovietico delle Poste un busto in bronzo dell’attrice, mode’lato dallo ha messo oggi in circolazione scultore Francesco Rebesco. un francobollo recante l’effigie Nella calle dove vissero gli antenati della della grande attrice italiana. Lo Duse, al cui nome si intitola la contrada, è annunzia l’agènzia «Tass». stata apposta una lapide. cui ella dà una leggerezza di tono quasi gaio. Io però sento che dice cose molto meditate e pre­ senti al suo spirito. 15 gennaio. Oggi ho trovato la « Signora » un po’ agitata. Si dovrà partire fra giorni, ricominciare il giro artistico nelle città fredde del nord. Addio, mite California ! Mi dice : « Io ho tanta paura del freddo! Vorrei restare qui... ». Febbraio. Siamo in treno; un celerissimo treno di lusso che ci porta lontano dalla dolce terra intiepidita dal Pacifico. Si traversa il deserto dell’Arizona. Un perder d’occhio per chilometri, su gigante­ PAGINE DI UN DIARIO schi cactus dai fiori a colori violenti e quasi DI ATTR IC E mostruosi, mentre una sabbia gialla, impalpa­ Il 16 dicembre 1958, nella sala delle lauree all’Uni­ bile, è in balìa del vento impetuoso che la scaglia versità di Torino, Enif Robert — che fu con suo marito contro il treno in corsa. Ci sono i doppi fine­ Alfredo Robert lungamente in Compagnia Eleonora strini, ma qualcosa si respira di quella sabbia. Duse, fino alla morte della grande attrice a Pittsburgh — ha tenuto una affettuosa e commovente rievoca­ Per noi è soltanto noioso, ma per i poveri pol­ zione di Eleonora Duse. E’ stata ascoltata con partico­ moni stanchi della Duse è una vera sofferenza. lare interesse, poiché ha ricordato fatti ed episodi ignorati non soltanto dal pubblico, ma anche dai bio­ Vado a vederla ogni tanto nel suo vagone riser­ grafi e dagli specialisti. vato. Fa caldo: tiene alla bocca o il tubo del­ Robert è nome d’arte, lo stesso cioè di suo marito l’ossigeno o un fazzoletto bagnato nel ghiaccio. Alfredo Robert. La signora Enif, nata a Prato il 22 ottobre 1886 ha, praticamente, recitato tutta la vita. Domanda ansiosa : « E’ finito... questo terribile Dal marzo 1956 è gradita ospite, con suo marito, della deserto?... ». Ha tirate le tendine, ha orrore di Casa di Riposo per gli Artisti Drammatici di Bologna. Durante l’ultima « tournée » della Duse, la signora guardare fuori. Intanto il treno divora i chilo­ Robert ha tenuto un diario, e dalle molte pagine tra­ metri. Dopo qualche ora posso correre da lei, scriviamo quanto ci è sembrato essenziale e soprat­ tutto inedito, sulla morte della Duse. perché sono spariti i cactus ed ho scorto tracce di neve che annunciano prossime le città del Gennaio 1924 - San Francisco di California. nord che ci attendono. « Signora, è finita la sabbia, la polvere... c’è la Vado dalla Duse al bellissimo albergo pieno di neve! ». sole che domina la stupenda baia. La trovo bene. « La neve?... Dio mio ». E’ allegra. Il mite clima cosi simile al nostro di Come quel suo volto espressivo mostra la nuova riviera le dà l’illusione che l’Italia non sia poi così terribilmente lontana. angoscia! «La neve... di già! ». Resto interdetta; penso ingenuamente di rime­ Parliamo dei lib ri: ne ho scovati alcuni di re­ centi autori italiani; glie li ho portati. Li leg­ diare: «No!... mi sarà parso... del bianco... non gerà volentieri. so ! ». Ma la Duse con gesto violento ha tirate le tendine: le riabbassa subito e resta con gli occhi Poi mi dice improvvisamente che è tranquilla fissi, sbarrati su di me che vorrei essere mille sull’immediato avvenire : ha rinnovato il con­ tratto per altri sei mesi, ed ha ottenuto che se miglia lontana dalla nuova sua sofferenza. Tutto lei dovesse mancare qui in America (« tutto è il dolore ha in lei qualcosa di inumano. possibile, mia cara », ribatte alle mie energiche Marzo. proteste), i suoi attori sarebbero riportati con « armi e bagagli » — dice — fino alla soglia della Non abbiamo sosta : alberghi sontuosi, teatri im­ loro casa, senza nessun disagio finanziario per mensi e gremiti : recitiamo due sole volte la set­ essi. Questo dice una clausola del contratto e ciò timana e miracolosamente la Duse trova ogni sera le dà una tranquillità di spirito che centuplica di recita gli accenti più puri, la voce limpida, gli le sue energie di lavoro. « Voi siete salvaguar­ atteggiamenti sempre nuovi e sempre perplessi dati per qualsiasi evenienza e mi sembra di non della sua grande arte. aver nessun altro grosso problema da risolvere; Città e città si susseguono, ed il 3 aprile siamo l’anima è in pace, disposta ad accettare even­ a Pittsburgh. Per il 5 è annunciata al « Siria tualmente anche... l’altro gran viaggio ». Moske », un teatro di tremila posti, La porta Sorride perché io mi inquieto di questi discorsi, chiusa di Marco Praga. 5 aprile. Sabato, 19 aprile. Tempo orribile. Vento, nevischio, anche un po’ La Duse mi ha cercata. Vuole vedermi. Sta me­ di grandine e un gran freddo. glio. Vado in fretta all’albergo. Mio marito mi Siamo in teatro. Serpeggia di camerino in came­ accompagna. In una stradetta che percorriamo rino la notizia sussurrata dell’incidente accaduto vedo per terra una carta da gioco, rovesciata. Col oggi. Pare che l’autista che ha portato a teatro piede cerco di voltarla. Alfredo non fa a tempo la Signora e Mademoiselle Désirée insieme al se­ a fermare il mio gesto dicendo : « No, no... non gretario Galli abbia sbagliato la porta d’entrata vedere... andiamo via! ». I l mio piede l’ha già e fermata l’auto ad un’entrata secondaria che era rivoltata : è l’asso di picche. Alfredo trattiene a sbarrata. La Duse è scesa ed è rimasta ben cin­ stento un’imprecazione: «Te l’avevo detto, non que minuti alle sferzate della pioggia, mal ripa­ toccarla. Non guardare cos’è! », e si allontana rata dalla grande pelliccia che la Désirée cercava seccato. Io non sono superstiziosa. Lo raggiungo tenerle aderente alla persona. Pare che il segre­ e dico : « Cosa fa una carta o l’altra? nulla può tario si sia precipitato all’entrata principale e, cambiare. Andiamo ». Ma rimango male. accompagnato dal custode, abbia potuto aprire finalmente la maledettissima porta chiusa. Ma Stesso giorno, 19 aprile; verso le ore 18. ormai la Duse era intirizzita e fradicia di piog­ Ho veduto la Duse. Sono entrata ch’era assopita, gia. E’ entrata nel suo camerino surriscaldato, ma aspetto poiché ha detto di volermi parlare. tremando, e pare si sia sentita assai male. La Mademoiselle Désirée mi dice che ieri sera ha rappresentazione ha luogo ugualmente. Un tea­ letto la lettera di augurio pasquale che le ho tro frenetico applaude in piedi Bianca Quer­ scritto, e mi lascia sola. Lei apre gli occhi : ceta, la dolce e disperata madre della comme­ « Vieni vicino e parla forte : sono intontita e dia, ad ogni atto. Ma noi vediamo che la Duse mezza sorda per il gran chinino che mi danno. è al limite delle sue forze e solo una volontà Io non vorrei prenderne dosi così alte. Oh, se come la sua le permette di resistere. Ogni tanto, avessi qui i miei medici italiani, il prof. Ravà... a bassa voce, implora quelli che sono in scena 0 Signorelli... che conoscono il mio organismo... ». con lei: «Fate presto... fate presto...». Si riassopisce. Cerco di metterle a posto una cioc­ 11 pubblico la chiama dieci volte alla ribalta, ca di capelli che le è scesa sulla fronte. Riapre mai sazio di ammirare la soave figura che china gli occhi, mi sorride come a ringraziarmi. Poi, la testa bianca in atto di ringraziare e non sup­ all’improvviso, con un’energia che non sembra pone quale sforzo le imponga. Povera Duse ! possibile svilupparsi da un corpo così stanco, si Com’è stanca! Chi le dà quelPinesauribile possi­ solleva sui guanciali e chiara, forte, la sua voce bilità di tirare avanti? scandisce i versi di un caro poeta romanesco : 7 aprile. « e doppo er serra serra Si parla di polmonite... forse. La seconda recita rieccliece pe’ terra ». non si farà. Torna a posare la testa sui guanciali e lunga­ mente tace con gli occhi chiusi. Vado in punta 10 aprile. di piedi verso l’uscio per cercare la Désirée. Mi Sì. E’ polmonite! Ma confidiamo che supererà ferma sulla porta la sua voce che dice : « Che la crisi. Ha riserve insospettabili il suo organi­ fate voi tutti... così sbandati e soli?... Ed è Pa­ smo. Lo dicevano anche i suoi dottori italiani, squa, domani! State uniti... pazientate. Guarirò... stupiti talvolta dalle sue guarigioni inspiegabili. (pare voglia chiederci scusa del suo male!) e partiremo subito per l’Italia. Appena potrò stare 12 aprile. in piedi... subito... via, via... ad Asolo! Tu mi Andiamo mattina e sera all’albergo, noi attori, accompagnerai ad Asolo... ». per avere notizie. Ma di rado possiamo salire al­ Io sono di nuovo tornata alla sponda del letto, mi la sua camera. I dottori hanno proibito di visi­ chino commossa a baciarle la mano abbandonata tarla e parlarle. sulla coperta. «Sì... sì, Signora! verrò ad Aso­ 14 aprile, ore 16. lo! ». Mi guarda fissamente come ad interrogare 1 miei nascosti pensieri. Lo credo possibile? Ri­ Mademoiselle Désirée mi invita ad entrare nella pete : « Sì, tu mi accompagnerai ad Asolo ! ». camera, ma senza parlarle. Con il cuore che mi batte forte mi affaccio all’uscio: vedo la bella Non dovevo più vederla viva. testa abbandonata sui guanciali, immobile. Una immobilità che mi dà un brivido ed un sussulto. 21 aprile. Désirée mi conforta prendendomi una mano : Solo una riga : La Duse è morta alle 2 di stanotte. « E’ assopita... guarirà... la crisi sembra risolta ». Enif Robert rali comuniste, che mentre in Occidente il « deca­ dentismo », frutto della « ideologia reazionaria », EQ U IVO C I aveva fatto smarrire il gusto della realtà, nell’Unione DEL REALISMO Sovietica trionfava il realismo, luminoso derivato del connubio eredità classica - filosofia marxista (« L ’eredità classica - sostiene Lukacs - significa per l’estetica quell’arte sublime che ritrae interamente « Aujourd’hui comme hier il n’y a en effet qu’une l’uomo, l’uomo totale nella totalità del mondo socia­ urgence : la question du réalisme au théâtre » : que­ le. Anche in questo caso è la filosofia generale, l’uma­ sta la conclusione dell’articolo « Le naturalisme au nesimo proletario, che determina l’impostazione del théâtre ou Les origines de la crise au théâtre » di problema centrale dell’estetica. La filosofia marxi­ Françoise Gahide pubblicato in Théâtre populaire. stica della storia analizza l’uomo “ totale ”, la storia Si deve tornare a Zola, se si vuol salvare il teatro: delle sue evoluzioni... »). Ma un giorno abbiamo riprendere l’esperimento fallito (sul palcoscenico) appreso che dei dieci drammi ispirati alla difesa di del naturalismo : « Notre crise actuelle du théâtre Stalingrado non se n’è salvato neppure uno. L’argo­ repose en partie sur cet échec du naturalisme; la mento parlava al cuore dei russi, ed era stato trat­ situation reste en gros ce qu’elle était en 1880 ». tato « realisticamente », eppure non ebbe alcuna Come nel 1880 « aujourd’hui, la pièce “ bien faite ” efficacia ai fini della risoluzione della crisi del fait toujours salle comble, les saints principes du teatro. théâtre sont tenacement défendus, le gros de nos Abbiamo appreso che in URSS, dove avrebbe dovuto critiques aurait insulté Zola ». fiorire, col « realismo », l’età dell’oro, la letteratura Abbiamo cercato in questo articolo un accenno alla era «imbruttita» da «aspetti oscuri, malsani e a volte distinzione fra naturalismo e realismo, ma inutil­ perfino mostruosi» (parole di Kostantin Simonov); mente. La polemica — sostiene l’articolista — che abbiamo appreso che Fadeiev, uno dei più convinti Zola svolgeva, è tuttora valida, ché i filistei di ieri assertori del « realismo », dovette rifare la Giovane sono i filistei di oggi, per cui non resta, per neutra­ guardia perché, a giudizio di Stalin, l’opera non era lizzare la frattura fra società e arte (per risolvere, « realistica » come avrebbe dovuto essere. Ed abbia­ in altri termini, la crisi teatrale), che fare del reali­ mo appreso che il « realismo socialista » (un quid smo attuando i postulati del naturalismo. così portentoso che, come si può vedere nel citato A Parigi, secondo i testi citati, si marcerebbe alla articolo di Simonov, può benissimo andare a brac­ conquista di un teatro aderente « profondamente cetto anche col romanticismo) non ha risolto da crisi allo spirito e al ritmo della vita contemporanea », teatrale, non ha risolto nulla, per cui oggi un teorico sventolando i logori vessilli del naturalismo zoliano marxista come Galvano Della Volpe deve ammet­ e progettando nello stesso tempo l’utilizzazione tere che l’estetica marxista-leninista non è riuscita a dell’armamentario di Tennessee Williams. Al che spiegare l’autonomia dell’arte. va aggiunto, per completare il quadro: 1) che la Il caso Pasternak ha fatto vedere anche ai ciechi progettata utilizzazione di Williams è caldeggiata che il « realismo socialista » altro non è, in defini­ da un impresario al quale si attribuiscono queste tiva, che la ragion di stato « estetica » con la quale dichiarazioni : « Guardate i bollettini degli incassi : si è liquidato il precedente realismo critico russo e la gente smette di andare a teatro anche a, Parigi. si è creata la « letteratura verniciata » (la letteratura Se si vuole riportarla nelle platee, bisogna attirarla delle « anime morte », per dirla, con Sciolokov, con la qualità degli ingredienti dello spettacolo : gli l’autore del Placido Don). Ma è accaduto anche in attori, la messa in scena, il testo divertente o senti­ Italia, sia pure in forme non così clamorose, che mentale ma comprensibile a ogni tipo di cervello. sotto la bandiera del realismo si è -contrabbandata Quando l’esodo sarà arrestato, allora riparleremo di merce avariata, per cui ha pienamente ragione, da poesia e di contenuti. Ora badiamo a salvare il tea­ questo punto di vista, Nicola Chiaromonte quando tro come genere »; 2) che proprio Zola, in nome del scrive : « In termini estetici, fatti ben bene i conti, quale Théâtre populaire propugna la riscossa rea­ sotto il realista che si trova? L ’esteta: l’individuo lista contro il filisteismo borghese, è ritenuto da il quale, messo alle strette sul significato di quel Lukacs, nei suoi Saggi sul realismo, prigioniero che va pensando e facendo, risponde come l’oste della «ideologia borghese» («L’ideologia della.sua manzoniano: “ Io fo l’oste”. Passare da, una realtà propria classe compenetra profondamente il suo all’altra, da un aneddoto all’altro, è l’occupazione pensiero, i suoi principi, il suo metodo creativo »). del realista, come quella dell’esteta è passare da Non è più lieto il quadro passando a quella che una sensazione all’altra. La realtà potrà essere ama­ dovrebbe essere la mecca del realismo, l’URSS. Per bile o sinistra: l’essenziale è che da essa non si anni ci hanno fatto sapere, attraverso le riviste cultu- giunga mai alla questione del suo significato, e del suo rapporto col resto del mondo. Ciò il realista letterario, da poeti antirealisti come James Joyce, disdegna come fazioso moralismo o come intellet­ Marcel Proust, Kafka. tualismo sterile. L ’azione drammatica o comica Dire che il teatro si salva facendo del realismo e resiste al realismo così inteso per una ragione molto non dire nulla è la stessa cosa. Il teatro —• come la semplice: perché dal momento che si mostrano in poesia, la pittura, il cinema, ecc. — si salva in un scena persone vere, non basta farle muovere o par­ modo soltanto: realizzando delle opere estetica- lare in maniera più o meno verosimile. Bisogna mente valide. E se si obietta che un metodo, co­ anche chiarire i motivi delle loro azioni ». munque, ci vuole, rispondiamo che l’unico metodo, Il guaio è che di realismo per lo più si parla in allo stato attuale delle cose, è quello della serietà, del modo approssimativo o addirittura sconfinando lavoro, del rigore morale e intellettuale; il che vale nella metafisica, e questo accade anche a uno stu­ per tutti: autori, critici, attori, registi, impresari. dioso autorevole come Ranuccio Bianchi Bandinelli, Il teatro non è più quello che era in Grecia, dove il quale identifica per un lato realismo-ragione-pro­ concretizzava in sé, in una forma inimitabile (che gresso e per l’altro astrattismo-irrazionalismo-regres­ aveva come componenti la danza, il canto, la musica, so, per cui nel finale dell’opera Organicità e astra­ la poesia), i valori religiosi, filosofici, civili, politici zione, pubblicata nel ’56, scrive : « Aspirazione della collettività. Non è più quello che si attuava metafisica e irrazionale a fondamento delle tendenze nelle sacre rappresentazioni o negli spettacoli di verso l’astrattismo, mi sembrano (...) abbastanza corte. Non è nemmeno più quello del secolo scorso, documentate in ogni tempo (...). Non può essere quando poteva essere usato, da uomini come Hugo, accettata la tendenza alla distruzione delle forme Goethe, Ibsen, come una sorta di tribuna per par­ organiche e all’astrazione da chi rifiuta l’ideologia lare al mondo. Oggi c’è il libro alla portata di tutti trascendentale e irrazionalistica che sta alla base (ci fu un tempo che il teatro svolse anche la fun­ di tale tendenza; da chi appartiene a un mondo che zione che oggi svolge il romanzo). E c’è il cinema, pone la ragione umana e la fiducia nella ragione e c’è la TV, che non sono concorrenti soltanto su umana e nella razionalità della storia alla base delle un terreno pratico (al cinema si spende meno che proprie azioni e della propria vita ». a teatro; col cinema non si deve andare a letto Zola, con la sua tendenza « fotografica », significò, necessariamente alla una; la TV ci porta addirit­ a quel tempo, un progresso : ma furono un progres­ tura lo spettacolo in casa, ecc.). Shakespeare nar­ so anche Picasso, gli espressionisti, ecc. Oggi, men­ rava, per mezzo del teatro, bellissime storie: oggi tre non dice nulla II leone della piazza (che « Il nessun autore drammatico oserebbe porsi, nell’am­ Dramma », adempiendo la sua funzione di informa­ bito narrativo, in atteggiamento concorrenziale ri­ tore, fece conoscere fin dal ’48) del « realista » Ehren- spetto al cinema. Quando mai il teatro potrà realiz­ burg, parlano al nostro cuore Lorca, Bernanos, zare, narrativamente, qualcosa che sia lontanamente Brecht, poeti che mai Lukacs ha pensato di inclu­ paragonabile a Orizzonti di gloriai Con l’avvento dere fra i « realisti ». In ogni epoca, in politica come del cinema è nato sì lo « specifico filmico », ma è in arte, ci sono coloro che vorrebbero star fermi o nato anche lo « specifico teatrale ». addirittura tornare indietro, e ci sono coloro che Oggi il teatro è veramente tale solo se le parole vanno avanti, e non mancano neppure i chiacchie­ che riecheggiano sul palcoscenico siano capaci di roni (coloro che sognano le più rosee palingenesi, suscitare nella nostra mente, per forza di poesia, e non son utili a nessuno, nemmeno a se stessi). immagini altrettanto efficaci, se non di più, di quelle Disgraziatamente i nomi non servono per capire che con tanta immediatezza ci offre il cinema se uno è in una categoria o in un’altra, ed è per (quando è arte, naturalmente). Questo (la parola questo che un realista, al pari di un rappresentante e la cornice in cui vien detta e il modo come vien di una qualsiasi altra corrente artistica, può essere detta) è lo «specifico teatrale»; ed è proprio per un progressista, un conservatore, un reazionario, o anche un chiacchierone : per poter dire che cosa sia, questo (essendo la parola molto più antica della è necessario avere dei termini concreti di riferi­ sequenza cinematografica) che una vicenda realista mento. Presentemente gli scrittori sovietici, no­ come quella che Rosi ha così felicemente narrato nostante abbiano sempre sulle labbra parole come nella Sfida per mezzo dello «specifico filmico» « rivoluzione », « rivoluzionario » ecc., sono, nella sarebbe miseramente naufragata a teatro nelle sec­ stragrande maggioranza, dei modestissimi e ubbi­ che del naturalismo. dientissimi travet della penna; Majakovski, che non Si deve aver coscienza dello « specifico teatrale », e era un realista, era un rivoluzionario; Courbet, col lavorare su di esso con gli strumenti che offre la suo realismo, fu un rivoluzionario; una rivoluzione vita, lo studio, il palcoscenico. Lavorando bene, one­ (così radicale che, dopo di essa, nessuno più è stamente, si salverà il teatro, in quanto lo si inserirà potuto tornare indietro) è stata fattai, in campo nella società contemporanea. Dario Faccino stenza, ma di quella degli altri, degli antenati, dei « pionieri », che hanno lasciato ai nipoti bor­ ghesi la più contrastata delle ere­ dità spirituali. William Inge è insomma il poe­ ta di un’America che nel fon­ damentale istituto della famiglia si è andata pacificando e, al tempo stesso, condannando con le sue mani. Anche nell’ultima sua commedia che abbiamo po­ tuto conoscere in Italia, Il buio in cima alle scale, tre atti rap­ presentati per la prima volta in Europa alla « Pergola » di Firen­ ze dalla Compagnia De Lullo- Falk-Guarnieri-Valli-Albani, e da molti mesi uno elei maggiori suc­ cessi di Broadway, la tensione fra una realtà del sangue e una con­ fusa cronaca dei giorni è il nu­ cleo, spesso commovente, intorno al quale si costruisce, o si rico­ struisce, una dispersa storia fa­ miliare. Qui, il tema della solitudine, o meglio dell’isolamento, si ripro­ spetta in termini di incontesta­ bile chiarezza. Non si deve es­ sere soli per affrontare il grande buio che ci avvolge, per salire IL BUIO IN CIMA ALLE SCALE quella scala in cima alla quale non sappiamo che cosa trovere­ Al Teatro alla Pergola di Firenze, il 17 dicembre 1958, la Compagnia De Lullo-Falk. Goarnierl-Valli-Albani ha rappresentato la commedia di William Inge: « Il buio mo. Ma è uno dei meriti di Inge in cima alle scale », per la prima volta in Europa. Regia di Giorgio De Lullo. non appesantire l’allegorismo di Il titolo originale della commedia è: «The dark at thè top of thè stairs»; fu rap- presentata il 5 dicembre 1957 al Music Box Theatre di New York, con la regia di taluni personaggi e di talune lo­ Elia Kazan e gli interpreti principali, Teresa Wrigt (la madre) Charles Saarl (il bambino) ed ancora, Pat Hingle, Eìleen Heckart, Tlmmy Everett e Judith Robinson. ro dichiarazioni. In fondo, il per­ sonaggio del piccolo Sonny Flood, ■ Di William Inge, un quarantacinquenne commediografo ameri­ di dieci anni, che con la sua pau­ cano di Independence, Kansas, si conoscevano già nella versione ita­ ra del buio attraversa tutta la liana Picnic (vedi «Il dramma» n. 231, del dicembre 1955) e Torna a commedia (« Non vedo quello casa, Sheba, rappresentata anni fa da Ricci e da Èva Magni, nonché che ho davanti — dice alla ma­ nella sola edizione cinematografica, quella Fermata d’autobus che è dre che gli chiede la ragione del stata anche uno dei migliori risultati nel processo di rivelazione del­ suo timore a salire la scala — e l’attrice in Marilyn Monroe dovuto, si crede, all’Actors’ Studio. L ’Ame­ potrebbe esserci qualcosa di ter­ rica di Inge è una sconfinata provincia patetica e un po’ velleitaria, ribile... Ma se c’è qualcuno con che non si rifugia negli allucinanti « complessi » e non cerca Yescapism me non ho paura »), è l’unico dai suoi scompensi come quella di Tennessee Williams, né eleva che poteva rifuggire al pericolo la sua ferma protesta come l’America di un Miller o di certo Odets. di divenire un simbolo, con la E’ un immenso paese che ha soprattutto bisogno d’amore, di con­ sua elementare spontaneità. Tutti solazione, di ritrovarsi presente nella vita, al di là di una lunghis­ coloro che gli sono intorno vivo­ sima storia di nostalgia che è rimasta come un insopprimibile choc no nel cerchio d’una loro solitu­ dei nervi e del sangue. Un passato di immigrati, o di sradicati, dà dine, senza rendersi conto del­ a questa popolazione yankee una sempre giovane sensibilità e, nel l’equivoco che può esserne all’ori­ contempo, un fremito antico, drammatico, che sospinge verso at­ gine. Basterebbe spesso un mi­ tonite prospettive di una memoria magari non della propria esi­ nimo sforzo per convincersi che tutto il mondo non è contro di de d’America. E Rubin odia gli E, quando parla, un tic, sovente, noi. Rinchiudersi nella propria arricchiti, odia quella sorta di gli mozza la parola in bocca. timidezza può essere un dolo­ emancipazione. Sua moglie vuo­ Non avrà un felice esito, infatti, roso atto di rinuncia, ma innanzi le che Reenie si trovi ormai un la serata al club. Reenie, per non tutto è un gesto di superbia e marito, lasci per un po’ il suo obbligare Sammy Goldenbaum a un segno d’egoismo. pianoforte e la biblioteca, e vada ballare sempre con lei, ha finito La franca, insondabile materia a una grande festa al club della per distaccarsene e non l’ha più del racconto è affidata ai prota­ contea insieme a un’amica, una visto. Solo quando sarà tornata gonisti di una minuta e qualche lungherellona abbastanza spre­ a casa verrà a sapere che lo scon­ volta beffarda vicenda domestica giudicata. Due allievi d’un col­ solato ragazzo ebreo, dopo aver­ che ha per sfondo una cittadina legio militare accompagneranno la a lungo cercata, si è tolto la deH’Oklahoma negli anni intor­ le ragazze al ballo: lo sconosciu­ vita. no al ’20. Rubin Flood, solido to giovanotto destinato a Reenie La mamma, rimasta sola con la commesso viaggiatore in fini­ viene addirittura dalla California, sorella Lottie, il cui matrimonio menti per cavalli, sposò Cora nel­ è figlio di un’attrice minore di col dentista Morris Lacey rite­ lo spazio di poche settimane do­ Flollywood. Ma occorre un ve­ neva perfettamente riuscito, ha po che la propria apparizione su stito, per la ragazzina: un bel avuto da lei, d’altra parte, una uno splendente cavallo nero ave­ vestito che non la faccia sfigurare. sconcertante rivelazione: il ma­ va come accecato la ragazza. Non Sarà quel vestito — diciannove trimonio, in realtà, non è mai fu un matrimonio infelice, ma la dollari e 75 — la ragione deci­ avvenuto. Vivono insieme, Lot­ continua assenza dell’uomo finì siva della separazione tra Rubin tie e il dentista, una gelida com­ per mortificare, quasi per spe­ e Cora Flood. L ’uomo schiaf­ media che solo vuole illudere la gnere, in un’assurda costrizione, feggia la moglie, poi si allon­ gente : il marito, tarato fisica- la vita della donna. Nacquero tana : non rimetterà più piede —- mente, non poteva sposarsi. due bambini: la scontrosa e as­ dice —• nella casa. A Cora non resterà, infine, che sorta Reenie, che ha ormai l’età Sono già quattro solitari che non di farsi un fidanzato, e Sonny, cercar di rintracciare per telefo­ sanno ritrovarsi. Il piccolo Sonny no Rubin Flood, per ricomporre che ai giochi con gli altri ragazzi gioisce al pensiero che il figlio preferisce il suo album con le il nucleo della famiglia con un di un’attrice del cinema arriverà po’ più di consapevolezza. Ma la foto degli attori del cinema, e dalla sorella: e intanto, trovato telefonata non era necessaria: il anzi dai compagni è spesso ag­ un libro di Shakespeare, impara salesman in finimenti è tornato gredito per quel suo rifiuto. Al­ a memoria « Essere o non es­ l’inizio della commedia il viag­ sere ». Cora e i due figli con i a casa di sua iniziativa. Dovrà giatore in finimenti sta per par­ soldi della nonna andranno, può cambiare articolo, d’ora in poi: tire per uno dei suoi consueti darsi, a vivere presso la zia Lot- i cavalli spariscono, le automobi­ giri. Né la moglie può trattener­ tie a Oklahoma City. La mam­ li rombano su tutte le strade lo qualche istante di più: Rubin ma, poi, potrebbe trovar lavoro d’America. Ha perduto un lavo­ preferisce, piuttosto, attardarsi da ai grandi magazzini. ro, dovrà trovarsene un altro. Sa­ basso, dov’è un « lurido biliardo ». Zia Lottie, col marito dentista, rà possibile solo con la fiducia I soldi non bastano mai : forse arriva nella casa la sera che Ree­ in sé e la fiducia negli altri. un giorno si dovrà ricorrere a nie, dopo aver vomitato nel ba­ Abbiamo cercato di condurre quelli lasciati a Cora dalla ma­ gno per la sua avversione alle una lenta analisi delle varie fasi dre. Il marito compra ugual­ feste, va al ballo con l’amica Flirt della commedia poiché il dram­ mente whisky di contrabbando. e con i due cadetti. Il giovanotto ma sottile di ogni personaggio E altro sa, Cora. Sa ovviamente che Rubin non può rinunciare arrivato dalla California è inti­ è un episodio a sé, e tutti infine a certi passatempi, durante le so­ morito al pari della compagna da si ritrovano in un punto — di­ ste a Oklahoma City. Alcune vi­ quello che potrà essere l’esito cevamo — ma restano autonomi cine ficcanaso le hanno poi rife­ della serata: «Ogni qualvolta e distanti. I tre atti si consumano rito che ha acquistato ai grandi debbo andare a una festa temo in un progresso di inezie, di pic­ magazzini certe calze nere per sempre di non piacere alla gen­ coli fatti, e di scontri, e di parole regalarle a una sgualdrinella. te... Eppure non vorrei perdere e silenzi quotidiani, che attin­ Ma la lite fra i coniugi Flood una festa per niente al mondo ». gono una loro unità morale co­ non esplode soltanto per questo. E’ un ragazzo senza letizia, che me per dilatazione. Il secondo Sono gli anni del boom del pe­ nei collegi militari ha trascorso atto è quello che raggiunge la più trolio: i cavalli e i loro finimenti tutti gli anni che gli altri ragazzi incalzante coralità, ed è folto di stanno per tramontare, nelle stra- passano coi genitori. Ed è ebreo. brevi episodi che confermano in William Inge non solo l’abilità specialmente in alcuni degli in­ ha espresso con ma anche un’ispirazione di qua­ terpreti, come Elsa Albani, che, perfetta credibilità e con estrema lità finissima (potremmo citare se ha ecceduto in certo « pausato » sicurezza l’ennesimo commesso l’erompente amicizia fra Sonny e nelle primissime scene, si è poi viaggiatore del teatro americano. il giovane ebreo, la scena della ripresa in un limpidissimo, cal­ Ci è molto piaciuta la toccante sciabola, la clamorosa « bizza » do crescendo di umanità. La sua semplicità con la quale ha detto il giovane ebreo. del ragazzo quando saprà che a Cora Flood, come del resto ogni lui non è consentito andare alla sua nuova prova, conferma nella E Ferruccio De Ceresa, nei pan­ festa, ecc.). Una figura che si de­ giovane attrice un maturo equi­ ni del disgraziato dentista, ha finisce con tratti di qualche po­ librio d’interprete. Rossella Falk creato egregiamente un altro dei tenza è quella di zia Lottie, che ha efficacemente caratterizzato la suoi schivi, malinconicissimi per­ nasconde il suo dramma sotto una figura di zia Lottie, della quale sonaggi. Un elogio particolare immagine sgraziata e spesso umo­ abbiamo messo in rilievo i ri­ merita infine il piccolo Cristiano ristica. Il suo piccolo realismo schi : arcuata in atteggiamenti Minello (figlio eli Carlo Minello, plebeo resta sempre sull’orlo di volutamente forzati, condotta a il giovane attore scomparso da un abisso: l’abisso della macchiet­ volte a una dizione di acuto o circa dieci anni), vivace ed espres­ ta o della caricatura, nel quale strillato registro, ha individuato sivo Sonny. Ancora un po’ aspra, sarebbe stato facile precipitare. E i confini del personaggio senza invece, la giovane Paola Bacci. sì che zia Lottie è portatrice nel­ trascenderli, riportando un vivo I costumi, dello stesso Pizzi, era­ la commedia anche di alcune pro­ successo personale (dato anche no pittoreschi e sobrii. Ci hanno spettive « storiche » che meglio l’insolito ruolo che l’attrice soste­ ricordato, fra l’altro, certo indi­ la giustificano: come certi pre­ neva). Misurata e intensa, come menticabile cinema americano cetti della Christian Science, co­ Reenie, Anna Maria Guarnieri. fra le due guerre. Sersio Slirchi me talune reazioni all’« età » di Valentino e della Talmadge e, particolarmente, l’approssimatezT Dopo il primo « rodaggio » fiorentino, la Compagnia si è portata, con II buio in cima alle scale, al Teatro Carignano della nostra città, ed ha esordito il za feroce di certa anticattolicità. 23 dicembre, davanti ad un folto pubblico, attento ed interessato. Il successo Tutto considerato, potremmo ha oltrepassato i limiti di una normale rappresentazione e noi che eravamo considerare II buio in cima alle presenti, compiacendocene, dobbiamo convenire che senza una regìa di così scale un’altra espressione del tea­ alto livello ed una impeccabile interpretazione da parte di tutti gli attori, la tro della crisi. Della « grande cri­ commedia non avrebbe avuto il successo ed il rilievo che ha invece meritato e che costituirà un nuovo « pezzo » per questa eccezionale Compagnia. A pa­ si » americana, il crollo di Wall rer nostro, Giorgio De Lullo è nel teatro italiano di oggi il miglior regista, Street, porta del resto l’annuncio avendo per certi aspetti, continenza e perfezioni, superato il suo stesso mae­ in alcuni dei suoi personaggi e stro, Visconti. De Lullo è partito «alla Visconti» con tutte le infatuazioni in quasi tutte le diverse « sto­ dell’ambiente, ma ha saputo abbandonare per la strada, con una serietà di rie » di cui si compone. Uno dei intenti assai rari oggi, il malefico snobismo. Si è reso conto che non si deve far regìa per imporre una strapotente personalità, poiché la personalità non suoi pregi sta nel dialogo, un può essere alterazione di se stessa, e non va mai alla ricerca di facili appa­ dialogo dimesso e appunto «fa­ renze. Soprattutto De Lullo non perde e disperde il denaro; sta nel suo giu­ miliare », che funge da unico sto, da vero artista, con dignità e civismo. Noi siamo la vecchia generazione; tessuto connettivo di così poli­ qualcuno ci accusa di avere il cuore in mano solo per gli attori che furono valente vicenda. con noi ed hanno la nostra età; crediamo che non si possa affermare questo La regìa di Giorgio De Lullo, onestamente poiché in fatto di teatro, querele e no, insulti e no, non ci fa mai velo l’amicizia. Lo dimostriamo da trentacinque anni, quanti ne ha questa nitida e ricca di risoluzioni, non rivista. Nel caso, con De Lullo, i nostri rapporti sono di semplice reciproco ha mirato soltanto a una rico­ ossequio. struzione mimetica dell’ambiente Ad onore della Compagnia tutta vogliamo riportare ciò che di essa ha scritto (nella quale il regista è stato Francesco Bernardelli per la recita in parola, precisando che l’illustre critico aiutato dalla meticolosa scena di della «Stampa» ha la nostra età e non è mai salito su un palcoscenico da che Pier Luigi Pizzi, dominata dal­ esercita la professione. l’alta scala-simulacro), ma ha cer­ « Diciamo subito che il nostro interesse, volontariamente o no, si cato e ha spesso conseguito una appuntava più sulla rappresentazione che sulla commedia di William scrupolosa lettura interna del te­ Inge. Questi attori sono eccellenti, il loro gruppo apre molte spe­ sto, con un suo tempo scandito ranze sulla sorte del teatro in questi tempi grigi, e non ci dànno eppur stringente. L ’effetto di delusioni. quella scansione si è avvertito « E passiamo senza indugio a quello che gli attori ne hanno fatto. Tutti gli accenni, i suggerimen­ presa graziosa e divertente, il che anche questa volta hanno ti, le possibilità del testo, leg­ fanciullo Sonny, ossia Cristiano vinto, hanno messo in piedi e gere, acute, maliziose, commosse, Minello. I fanciulli in scena sono fatto respirare uno spettacolo. Vi­ ironiche sono state colte da Gior­ quasi sempre ingrati; egli è sta­ ve, cordiali le accoglienze, im­ gio De Lullo, regista, con sensi­ to piacevole e caro: la mano di provvisi e unanimi battimani a bilità prontissima e variatissima, De Lullo lo ha plasmato mirabil­ scena aperta, e ad ogni chiusura con sicurezza di tono che da ci­ mente. Ricorderemo ancora la di velario, e alla fine dello spet­ ma a fondo fu sempre allo stesso Bacci, il De Ceresa, il Pernice, tacolo quando la Compagnia si livello, piena e sfumata, ferma e tutti quanti insomma, per dire presentò alla ribalta». pur modulata segretamente. Dal segreto di una variazione intimi­ sta e poetica il De Lullo ha tratto una serie di quadretti lucidi, ar­ D’AMORE SI MUORE moniosi, fluidi e consistenti che ci diedero lo spaccato di una so­ DI GIUSEPPE PATRONI-GRIFFI A TORINO cietà, di una casa, di una famiglia, Nel fascicolo di settembre abbiamo pubblicato la commedia in tre atti di Giu­ seppe Patroni-Griffl « D’amore si muore », rappresentata a Venezia, ad apertura diremmo della memoria immagi­ del XVII Festival Internazionale del Teatro di Prosa, il 25 giugno 1958. nosa e netta di quella famiglia Immediatamente la commedia fu rappresentata al Festival di Spoleto, ma il e casa e società. Così il copione « grande giudizio », cioè quello di un pubblico più vero, meno smaliziato e non infetto da snobismo, è stato — con la ripresa della Stagione 1958-59 — quello fatto non senza bravura, e tutta­ di Roma con i quasi due mesi consecutivi di repliche a teatri esauriti. via monotono, senza spicco vero Alla pubblicazione della commedia, facemmo seguire 1 giudizi della critica, ripor­ tando le parole essenziali scritte sull’opera, da Eligio Possenti, Sandro De Feo, e non sempre simpatico, divenne Giorgio Prosperi, Ermanno Contini, Raul Radice, Pietro Zanotto Ghigo De un concertato leggiadro, uno spet­ Chiara, M. R. Cimnaghi. « D’amore si muore » è stata rappresentata al « Carignano » di Torino, il 30 dicem­ tacolo a tratti veramente delizio­ bre 1958, ed ha ottenuto un successo da potersi considerare tra i più rari e so. Voci, figure, animi mossi in meritevoli di questo nostro maltrattatissimo teatro italiano. Sia detto per inciso, un’aura amena. De Lullo fece di gli americani ci stanno vendicando. Riportiamo le parole essenziali scritte sulla « Stampa » da Francesco Bernardelli, che consideriamo un maestro di critica più, seppe convogliare le scene drammatica. dalla dispersione all’unità e inten­ sità drammatica di quel tormen­ « Patroni-Griffi ha visto bene il rapporto drammatico tra la passione to di donne. d’amore del suo protagonista Renato e l’ambiente nel quale essa ma­ « Rossella Falle era la zia Lottie, tura, si esalta e si spezza. E’ un ambiente frivolo, sordido, repulsivo, e diede al personaggio frigido, ac­ in margine al commercio del cinema. ceso e isterico, un carattere forte, « Tra questa gente —- che parla come può, ossia come, sguaiata e ricco, marginoso: squillò nello artificiosa — sono scesi due ragazzi per bene: Renato ed Edoardo a strazio ridente, si incupì nella fare i soggettisti, con poca fortuna. Ma ricevono gli assegni da casa e confessione acerba. Bravissima. E un po si incanagliano. Un po’, non tanto; infatti Renato, incontrata tutti furono bravissimi. Elsa Al­ Elena Davidson, si innamora candidamente e atrocemente. L ’autore bani, nella parte di Cora, diffìcile ha visto che il sentimento amoroso della gioventù d’oggi è condizio­ tra la verità e il falso vero del nato da tutta una consuetudine di assoluta indifferenza sentimentale teatro, fu di una accortezza esem­ e morale, dalla contraddizione di un mondo disgregato e disgregatore. plare, di una misura ammirevole. Quello stesso mondo che dovrebbe sospingere l’amore di Renato ed E la grazia, la malinconia, la tre­ Elena non già ad esistere, ma ad esprimersi”. Il dramma dei giovani pidazione innocente di Anna Guarnieri, quel suo visino di fan­ è tutto qui: esprimersi, trovare (e questo sì, conta) il “ linguaggio ” ciulla ferita,, di creaturina che si rivelatore, alto e nuovo, nel quale individuarsi e liberarsi. Se Renato avvia verso la vita. E il vigore ed Elena riuscissero a svincolarsi dalla confusa, stridente abiezione spicciativo, travagliato e sempli­ che li circonda, sarebbero salvi: avrebbero salvato praticamente il loro ce, tutto pienamente espressivo di amore, e Patroni-Griffi avrebbe inventato un nuovo, originale di­ Romolo Valli. Ma una lode par­ scorso scenico. ticolare vada a Umberto Orsini, «Fino a qual punto ci è riuscito? E’ riuscito a isolare dal ’’ linguag­ il giovane Sammy: che dire? sol­ gio di tutti i giorni, dalla pratica di una vita miserabile e buia, il tanto questo fu così ragazzo e linguaggio” e la luce di un grande amore? è riuscito, in questa luce, così paterno, così gentile, che ci a dar vita a due personaggi interi? Con molta intelligenza, e padro­ commosse. Accanto a lui una sor­ nanza scenica, e accentuazione di urti e contrasti, a questo almeno Teatro Stabile di Trieste. Il 20 dicembre 1958 è stata rappresentata la commedia di Shakespeare: La bisbetica domata, tra consensi di pub­ blico e di critica, con una interpretazione degna di rilievo. Ottorino Guerrini (Petruccio) ed Enrica Corti (Caterina, la bisbetica) hanno gareggiato in bravura. Nella foto sopra ed in quelle a destra, sono, oltre Guerrini e la Corti, Gianmaria Volontà, Liliana Saetti, Dario Mazzoli, Margherita Guzz'nato. Regìa di Enriquez.

L'Ente Teatro di Sicilia - Ernesto Gras­ si, inviato a Catania, ha dato notizia della rappresentazione di Malia di Ca­ puana ed ha lodato incondizionatamente tutti gli interpreti, tra i quali hanno fatto spicco di maggior rilievo la non dimenticata compagna d’arte di Ange­ lo Musco, Rosina Anseimi, attrice del­ la statura artistica della Niccoli e di una Gramática dialettale. Nella foto in' alto, con la Anseimi, è Rosolino Bua, e, nella piccola foto a sinistra, lo stesso è con . Foto in alto: Teatro Stabile di Genova; primo spettacolo della Stagione: Giulietta e Romanof di Ustinov. Attori: Roberto Pescara, Nino Besozzi, Gianni Briccos. Regìa di Brissoni. - Qui sopra, a sinistra: Teatro dei Servi a Roma; commemora­ zione di Rosso di San Secondo con la commedia Tra vestiti che ballano; sono in scena Maria Letizia Celli, Giovanna Scotto e Antonella Vigliani, la cui estrosa interpretazione ha avuto ottimo rilievo. - A destra: Teatro Arlecchin di Roma; spettacolo di atti unici riuniti sotto un generico titolo: Piccolo m,' allegro. La scena riguarda l’atto unico che Vito Pandolfi ha ricavato da un bozzetto neorealista di Vasco Pratolini: Lungo viaggio di Natale. Gli attori sono: , Roberto Paoletti, Rina Mascetti, Alberto Nucci, Cario Esposito e Dino Rosaspina. Regìa di Sollima.

GLI ATTORI CHE NON POSSEGGONO jJeDat,° ^ D.DnÌ “ tutto suini” non sanno NOLLA di teatro rrM‘,anni al cronaca drammatica « Trent unni di cronaca drammatica » di Renato Simoni è opera indispensabile agli attori, ai critici, a tutti coloro che si occupano di teatro. Ma non a questi soltanto perché la materia è così vasta da poter tornare utile a chicchessia, per una data, il riferimento ad un attore, un interprete, una commedia. Sono usciti i primi quattro volumi ed il quinto è in preparazione: con esso Vopera è completa Il primo volume comprende dal 1911 al 1923; il secondo dal 1924 al 1926; il terzo dal 1927 al 1932; il quarto dal 1933 al 1945. Il primo è esaurito. Chi si abbona a « Il Dramma »3 con 3200 lire può avere tutti i nostri volumi di teatro a metà prezzo. Due scene della commedia di Inge: II buio in cima alle scale, rappresentata prima a Firenze e poi a Torino, dalla Compagnia De Lullo-Falk-Guarnieri-Valli. Nella foto sopra, la bravissima Marcella Albani col prodigioso ragazzino Minello, di otto anni, figlio dell’attore Minello, scomparso quando il bambino era appena nato. Nella foto sotto, Anna Maria Guarnieri, la Albani. Minello e Romolo Valli. Regìa di Giorgio De Lullo.

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t i Nella foto sopra: Paolo Stoppa e Lina Morelli, in I ragazzi della signora Gibbons di Glickman e Stein, al Teatro Eli­ seo di Roma. La commedia è mediocre e non ha avuto il successo sperato dal regista Visconti, ma i due attori sono stati magnifici nelle loro rispettive interpretazioni. Nella foto sotto: Olga Villi e nella commedia di Shakespeare Le allegre comari di Windsor che Cervi ha ripreso dopo alcuni anni dalla sua prima interpretazione. Successo magnifico e bellissimo spettacolo. è riuscito, a farcene sentire l’esi­ gliessimo l’indimenticabile suono. genza, il richiamo, e in qualche « Abbiamo cercato di rendere in modo la remota presenza. sintesi il senso di una regìa e di « Patroni-Griffi ha calato il dram­ una rappresentazione. Ed ora ag­ ma d’amore nell’ambiente meno giungeremo che, dallo spettacolo adatto a riceverlo e ad intender­ macchinoso, con scenari mobili e lo, e da questa fatalità ha tratto, complicati, tutti gli attori spic­ a contrattempo, la vagheggiata carono mirabilmente. Bravi atto­ immagine di un’impossibile pas­ ri, eccellenti attori; e un’armonia, sione d’oggi. La difficoltà per il un dono della sfumatura, e della regista e per gli attori era di dar vita, vogliamo dire della incom­ moto a quel piccolo mondo di parabile e cara vita scenica, che maniera, falso e stucchevole, e ci trasportò su un piano di com­ che pur nella sua artificiosità de­ mozione teatrale rarissima e feli­ termina, precisa l’idillio malefico; ce. Giorgio De Lullo, in un per­ dargli moto, metterlo in piedi sonaggio che doveva dire cose più per estrarne una verità patetica che difficili, quasi assurde in quel che giustifichi il titolo, e poi ri­ clima, fu tutto espressivo, in ogni gettarlo nell’ombra. Diremo su­ tono, smorzato o violento, e strap­ GIULIETTA E ROMANOFF bito che la Compagnia De Lullo - pò alla fine del secondo atto un Al Teatro Stabile di Genova, la Compa­ Fal\-Guarnieri-Volii-Albani ci è consenso di emozione unanime. gnia del teatro stesso ha rappresentato, ¡I 14 dicembre 1958, la commedia In tre riuscita in pieno, ci ha dato una Rossella Fal\ fece vivere Elena; atti di Peter listinovi « Giulietta e Ro- rappresentazione splendida. fu proprio lei, quella Elena com­ manoff ». Regia di Brissoni. « Il regista De Lullo ha colto con plicata, dolce e crudele: con un ® Il triennio 1956-57-58 del Tea­ maestria opportuna quel contra­ tatto, un’intensità, una grazia... E tro Stabile della Città di Genova sto di colore, di umore, di parola il Valli umanissimo, perfetto nel­ ha portato questo organismo spet­ che, premendo e acuendo un mal la battuta, misurato di una misu­ tacolare ad un livello d’arte e ad nato dolore umano, ne fa spriz­ ra non di scena ma interiore, e la una quadratura organizzativa zare brividi dì angoscia, e un’a­ Guarnieri deliziosa, densa, pic­ molto significativi. Da sette anni gonia senza riscatto. Ogni tinteg­ cante, e l’Albani così plastica, co­ il già Piccolo Teatro Eleonora giatura comica, o di carattere, e sì sicura, così accorta, e Italia Duse resiste nella città portuale dei traffici, e possiamo ben dire Marchesini, caratterista impecca­ le scenette concertatissime, preci­ come i suoi inizi e i suoi primi sissime, via via, e sempre più la­ bile, e quell’ottimo Umberto Or­ quattro anni di vita siano stati sciavano trasparire l’ansietà segre­ sini che seppe chiudere uno dei difficili, disseminati di errori e di ta del dramma imminente; e la primi quadri con una battuta tur­ pericolose inesperienze. Ma dopo volgarità del piccolo mondo spez­ pe e sguaiata che divenne un urlo il rodaggio di quattro stagioni, zettato, proposto a frammenti; lungo di dolore: tutti (e nomine­ ecco apparire i primi frutti di l'inutilità sfacciata, il nulla pur remo anche N i\y de Fernex in una nuova direzione, ecco saldar­ così acceso, e vivace, e aggressivo una macchietta di sorprendente si le varie parti di una complessa di quella gente, che avevamo da­ verismo), tutti hanno contribuito e impegnata organizzazione do­ vanti agli occhi, prostitute, mise­ a portare lo spettacolo a quella vuta all’opera e all’esperienza di uomini di teatro nel senso più rabili serve, fatui donnaioli, pia­ sicurezza di intelligenza e com­ sicuro e immediato della qualifi­ ceri da quattro soldi, diventavano prensione ed espressività, che so­ ca. Dopo quattro anni di prove, lo sfondo variegato e, a ben sen­ la può chiamarsi arte. Abbiamo dopo un triennio di decise con­ tire e ben vedere, funereo, cada­ sottolineato questo nuovo succes­ quiste, ecco la tournée sudameri­ verico, di un amore non concesso, so della “ Compagnia dei giova­ cana che ha permesso allo « Sta­ di un amore che non sarà mai. Sic­ ni ” (il pubblico applaudì caloro­ bile » genovese una grossa affer­ ché quando Giorgio De Lidio samente ) con particolare soddi­ mazione in Brasile, Uruguay, Ar­ (Renato) e Rossella Fal\ (Pie­ sfazione, perché sempre abbiamo gentina, Chile, cioè in Paesi che na) intonarono il loro dolce e creduto al teatro come arte e poe­ posseggono e alimentano pubbli­ straziante e vano duetto d’amore, sia, e perché questo gruppo di at­ ci di gusto non facile, di prepara­ tutto in scena era già pronto e di­ tori è una delle migliori realtà e zione non affrettata, abituati co­ sposto e maturo a che noi ne co- speranze della scena italiana ». me sono a far confronti, poiché l’Europa non fa loro mancare il CARNE UNICA fior fiore del suo Teatro. E la Francia, soprattutto, fa da padro­ na con spettacoli eccezionali da * Al Politeama di Genova, li 19 dicembre 1958, la Compagnia di Elsa Marlini Ha rappresentato la commedia in tre atti di Silvio Giovaninetti « Carne unica ». Re­ esportazione. In due mesi di re­ gìa di Giacomo Vaecari. cite, l’organismo spettacolare del­ la città di Colombo ha riportato ® Mentre la scena dello « Stabile » accoglieva i facili paradossi e le successi non ammaestrati. battute comiche dozzinali di Giulietta e Romanoff, a pochi passi di Epperciò, tornata a casa e postasi distanza nella sala del Politeama genovese (a Genova i teatri li all’opera per preparare i quadri e hanno ricostruiti tardi, in compenso li hanno messi fianco a fianco, il « cartellone » dell’ottavo anno, forse per farsi coraggio a vicenda) la spericolata Elsa Merlini smon­ la direzione dello « Stabile » si è tava Madama Sans Gêne con seicentomila di media, per rappresen­ trovata costretta alla compilazio­ tare la novità di Silvio Giovaninetti Carne unica. Andate (anzi: ne di un bilancio interno di gran andiamoci insieme) a capire qualcosa in questa faccenda dei teatri lunga meno comodo dei prece­ industriali e di quelli che dovrebbero considerarsi « di eccezione ». denti. Non conosciamo le ragioni Dal 14 al 19 dicembre, nella stessa città, un esempio clamoroso della della « lésina » applicata, ma pen­ assurdità di scelta tra un teatro, sovvenzionato ed una Compagnia siamo che un bilancio di ristret­ di giro. Onore ad Elsa Merlini e promemoria alla Commissione per tezza non avrebbe dovuto essere l’assegnazione dei premi, quando si riunirà in giugno. Vogliamo il premio atteso. Perché un po­ sperare che questa lezione della Merlini sia segnata a matita rossa tenziamento finanziario anche sul giudizio della Commissione stessa. E’ vero caro amico, Franz maggiore degli anni precedenti De Biase? era oggi più necessario che mai; Comunque, ancora una volta dobbiamo lodare quella donna corag­ e perché era questo il momento giosa e quell’attrice senza « complessi industriali » ch’è Elsa Merlini, decisivo per raccogliere il frutto per la quale il Teatro è sempre apparso un campo di fervide espe­ del denaro già speso, della fatica rienze e di incandescenti battaglie. tanto impegnata. Carne unica può essere considerata una evoluzione del teatro di Si è dunque cominciato l’annata Silvio Giovaninetti? Sotto un certo aspetto, sì. A forza di serbarci sotto il segno di un grigio e un sorprese e sobbalzi ad ogni opera nuova, Giovaninetti ci aveva ormai po’ pesante affarismo spicciolo: abituati al « suo » teatro, ai suoi eroi metafisici, agli enunciati ultra- lo scorso anno a Natale lo « Sta­ sensibili, alle avventure di sottilissimo gusto intellettualistico. E con­ bile » ci offriva il dono di un ine­ fessiamo che la sorpresa e il sobbalzo, stavolta, li abbiamo provati al dito scespiria.no, Misura per mi­ solo alzarsi del sipario sulla scena, un luogo aperto, un grande albero, sura, e quest’anno siamo discesi enormi massi, un rudimentale palco per uno spettacolo sacro di a Peter Ustinov, con Giulietta e gusto popolaresco... Mai opera di Giovaninetti ebbe uno scenario Romajtoff. « naturale » : sempre i suoi personaggi sono stati presentati nelle Non perderemo tempo ad il­ trappole dei loro abitacoli, come microbi violenti nel chiuso dei lustrare questo pudding dalle vetrini del microscopio, mentre su di essi, inquieto e ansioso quanto modeste intenzioni umoristiche essi, l’autore predisponeva le sue esperienze, cercava le sue inquie­ (qualcuno ha definito Ustinov tanti conclusioni... Ma vediamo insieme il perché della cornice « il G. B. Shaw dell’avanspetta­ naturalistica, e avviciniamoci al dramma che serpeggia tra l’umanità che abita su quella porzione di crosta terrestre. colo») e dagli ancor più modesti E’ quella una Valle, nel solco della quale vive una gente forte, sana, risultati comici ottenuti; è un te­ laboriosa, credente in Dio con sicura coscienza. Sulla Valle incom­ sto che poteva benissimo trovare bono la dolce figura e la mente limpida e il cuore generoso di una posto nella « condotta » di una donna : la « signora », la padrona (nel senso patriarcale), colei che qualsiasi compagnia « di giro », e ogni anno, ad una festa che sa di rito antico, pone — come le altre che non avrebbe ottenuto lo spic­ donne della sua casata hanno fatto nel passato — sul capo una co guadagnato qui, privo della corona, e sostiene la parte della Regina Justifia. piacevole e gustosa presenza di Ma la chiarità umana della Valle è stata di schianto dissolta da un un ottimo Besozzi, dell’impegna­ fiotto di sangue sgorgato da un corpo abbattuto da un assassino. tivo e sempre bravo Mario Fer­ E’ la prima volta che un gesto così orrendo esplode tra quella gente. rari, di Pina Cei, perfettissima, E’ stato come se una frana sconfinata si fosse abbattuta su uomini del Mantesi, della Macelloni, del e cose, spegnendo ogni luce, schiantando secoli di purezza e di Bardellini, del Ruggieri, della Nu- fraterna solidarietà. ti, dell’Orlando, della Lumachi, Qualcuno ha svolto le prime indagini. E’ Fabio, giovane uomo di del Pescara. e. b. legge, pretore della Valle, figlio di Donata, la « signora », che ha dovuto condurre l’inchiesta. Ma rialza, squassata da un urlo : « Fi­ Fabio (il ricorso biblico: i fra­ l’ha anche chiusa, senza aver tro­ nisce il mondo! »... telli contro i fratelli); infine, scat­ vato il colpevole. Non finisce il mondo. Madre e tato un giuramento della « signo­ Ora, anche accanto al palco già figlio — e le altre madri, e gli ra », che di fronte al popolo, per innalzato per la finzione dello altri figli — sopravvivono; tutti scagionare il figlio da ogni accu­ spettacolo, l’inchiesta viene ripre­ si sopravvive. Sembra che finisca sa, ha steso la mano in solenne sa da un poliziotto: la gente val- il mondo, sembra che cada su parola, ecco delinearsi e subito di­ ligiana non è tranquillai, serpeg­ tutti la pioggia infuocata. Ma si stendersi sulla vicenda la cruda giano in tutti la diffidenza, il so­ resta nel cerchio della vita. Co­ realtà: la condanna di una ma­ spetto, la negra e viscida paura. me? Il figlio, alla madre che gli dre che ha giurato il falso. Non Il colpevole dev’essere scovato, urla: «Ti uccido, faccio giusti­ importa più, ormai, scoprire l’as­ individuato, punito; solo con la zia con le mie mani! Ti ucci­ sassino, dargli un volto, un no­ presenza della giustizia, solo con do! », risponderà freddo, spieta­ me, una condanna. Se Fabio ha la garanzia di un gesto forte e to, tremendo : « Non sei mia ma­ creduto di avere ucciso, lui è l’as­ sicuro, la gente potrà tornare se­ dre? dal punto di vista della na­ sassino; e se colpevole è anche la rena alle case, al lavoro, al palco tura, la mia carne è la continua­ carne di sua madre, anche la « si­ sul quale la vicenda di un Uomo zione della tua: carne unica. Se gnora » deve espiare. E forse l’u­ crocifisso attende di compiersi io compio un crimine, lo compi nica. condanna colpirà proprio lei, nel clima più adatto. anche tu. Sei responsabile anche una madre, colpevole d’essere an­ Chi ha ucciso? Una donna, la tu. Madre e figlio. Peccato iden­ che Regina, sul palco, e chiamata vedova del morto; Carla, trasci­ tico. Responsabilità identica ». Justitia... Lei sola, la migliore di nata oltre il vortice della finzione, A questo punto, i nuovi perso­ tutti, lo spirito buono e saggio durante una prova dello spetta­ naggi creati da Giovaninetti si della Valle. Lei sola, l’espiatrice colo, ha urlato sillabe compro­ tolgono la maschera, e noi li ri­ che è stata ormai condannata dal­ mettenti: è lei, che ha compiuto conosciamo febbrilmente affratel­ la sua gente a non essere più la il primo passo verso il misfatto, lati ad altri eroi, a quelli di Abis­ Regina sul palco; lei che invoche­ chiedendo a Dio di essere libe­ so, di Sangue verde, di Lidia o rà, nelle disperate battute finali, rata della catena impostale dal l’infinito, di Oro matto; tutti del­ la pietà di non essere lasciata sola, marito. E ora non è più la legge lo stesso crogiuolo, tutti legati al­ sarà la peccatrice senza peccato. degli uomini che conduce l’in­ la stessa sofferenza ch’è febbre e L ’abilità di Giovaninetti teatran­ chiesta. Sono le creature, che non ansia, ricerca di un freddo o in­ te ha offerto sviluppi inattesi alle reggono allo schianto dei silenzi, candescente motivo di vita, biso­ enunciazioni più sottili; da un ai compromessi degli inganni, a gno di una certezza che non rie­ impianto neo-naturalistico si pas­ urlare le loro confessioni, a libe­ sce a farsi strada nel groviglio sa ad un forte « pezzo » di inda­ rarsi dei pesi immani. E’ « den­ dei sentimenti più oscuri, più ra­ gine «gialla»; dalla posizione di tro di loro » che una giustizia su­ refatti, annidati nei bui anfratti una madre e di un figlio attana­ periore fa fiorire la verità dalla delle coscienze, nei remoti angoli gliati dallo stesso male, si sfocia materia infettata. della specie. nell’assillo di un delitto non com­ Poco dopo la confessione di Car­ L’uomo di teatro narrerà poi co­ messo, nel tormento di colpe as­ la, un’altra ne sgorgherà da una me il colpo di fucile che ha uc­ sunte attraverso « complessi » mi­ creatura stretta nel cerchio ormai ciso la vittima non sia partito dal­ steriosamente sepolti nell’inesplo­ rovente. Tra madre e figlio, alla l’arma di Fabio (Fabio ha spara­ rata «Valle» umana... Ma qual­ catarsi di un dialogo che ha ar­ to, ma ha sbagliato il colpo: ha cosa, a nostro giudizio, può indi­ tigliato entrambi, scatta la tre­ creduto di essere l’assassino, di carci, in Carne unica, la presenza menda rivelazione : ha sparato qui la sua confessione autentica di una evoluzione del teatro di Fabio, lui, il figlio della « signo­ alla madre); poi saranno Fabio e Silvio Giovaninetti; e questo ra ». Ha sparato contro l’innocen­ la madre sua ad instradare i so­ « qualcosa » è la madre, la « signo­ te che viveva legittimamente ac­ spetti verso altra creatura, verso ra », la regina Justitia, la povera e canto a Carla, amata, idolatrata Ciancia, fratello di latte di Fabio, dolente creatura che accetta ogni da Fabio. Lo ha colpito in fronte, pur esso innamorato di Carla, colpa, che si sottomette ad ogni con un fucile da caccia. Per avere quindi facilmente accusabile; ma aspro e disumano volere del fi­ tutta per sé la donna. Per non un nuovo colpo di scena porrà a glio. Questa madre è un perso­ cederla a nessun altro. soqquadro l’impalco delle accuse; naggio stupendamente umano. La « signora », la madre, alle spa­ la madre del nuovo sospettato ri­ Non esistono sofismi, né ambi­ ventose parole del figlio, piega velerà come il Ciancia sia fratel­ zioni ideologiche, né speculazioni le ginocchia, colpita come la po­ lo carnale di Fabio, perché l’igno­ intellettualistiche, in lei. In lei vera bestia al mattatoio; poi si to padre fu lo stesso padre di esistono soltanto una carne e un cuore che battono, che urlano, che si acquetano nella accettazione di CON “ GIROTONDO” QUALCHE COSA CAMBIA A Roma sì è inaugurato ancora un teatro: si chiama « Parioli », denominazione, ogni colpa. Se crediamo a Fabio, appunto, dei quartiere dove è sorto. Segue, questa sala per ottocento persone, è per lei. Se accettiamo le diabo­ di poche settimane, l'apertura di altro teatro « La Cometa », e quanto sia signi­ liche elucubrazioni di Fabio, è ficativo e confortante non si può non rilevare. Ma l'avvenimento coincide con qualcosa di meglio, cioè una distensione di rapporti tra spettacolo di prosa e per il suo patimento materno. Più censura. Il nostro Vito Pandolfi ne rivela chiaramente il significato. che la sofferenza di Speranza (l’al­ tra madre) ci conquista e persuar UN NUOVO C LIM A de il suo ululare di povera bestia Perché non prendere atto di una nuova, migliore disposizione delle colpita, quel suo ribellarsi e subito cose? Molte volte ci siamo posti la domanda se il nostro pessimismo arrendersi. Riconosciamo in que­ nei confronti di una certa situazione non corrispondesse ad un nostro sto personaggio uno dei più sot­ arido compiacimento, e non servisse da alibi per una nostra colpevole tili messaggi del teatro di oggi, inadattabilità. Ma la constatazione che oggi possiamo compiere in di questo teatro che chiede di modo sereno ed obiettivo, ci consente di giudicare utile la nostra battere vie nuove, che è tutto per­ lotta e la nostra severità di un tempo, visto che, grazie anche a questa corso da richiami ultrasensibili e modestissima spinta, la situazione del nostro teatro può registrare da brividi di scoperte, e che — qualche schiarita. per salvezza di tutti — riesce a Prima di tutto : sarà sotto l’influenza di un clima politico più tolle­ renderci partecipi d’ogni sua espe­ rante e disteso, dove l’acredine sta finalmente placandosi, sarà per rienza solo esprimendo l’ansia di l’intervento diretto del nuovo sottosegretario on. Ariosto, certo è che una madre, il dramma di una finalmente la censura cessa di essere arcigna ed assume una veste madre, il sacrifìcio senza nome e di controllo pur sempre superfluo, ma non più vessatorio. Si sta senza data di una madre. finalmente comprendendo che sulle poche migliaia di spettatori La regìa di Giacomo Vaccari s’è « maturi » che frequentano il teatro di prosa, le audacie di Schnitzler impegnata a chiarire i punti me­ o di Callegari non possono produrre alcun turbamento, essendo no « facili » della lotta fra crea­ sempre assai più innocenti di quelle che offrono la stampa quotidiana ture, non sottovalutando le pos­ e gli stessi film a base di mostri indigesti e di sadici impazziti. sibilità spettacolari degli sviluppi, A parte la nobiltà dell’intento, che si può riscontrare nella maggio­ e ordinando con equilibrio e or­ ranza dei casi, che purifica da ogni bassezza (o per lo meno deno­ dine gli ardenti dibattiti spesso minata tale). sfocianti in drammatiche « scene In secondo luogo : dopo lunghe polemiche in materia, e lunghe ma madri ». opportune disquisizioni sull’argomento, si è finalmente e largamente Magnifica interpretazione di El­ compresa la necessità di contribuire alla formazione di una dramma­ sa Merlini, che della sofferenza turgia nazionale. In questa stagione si sono costituite tre compagnie materna ha offerto un disegno' for­ che si dedicano esclusivamente al nostro nuovo repertorio, ed in cui te e insieme rattenuto: un’ansia vediamo apparire molti fra i lavori di cui abbiamo ripetutamente tempestosa ha sempre accompa­ deprecato la mancanza della prova scenica, convinti che essa non gnato ogni battuta del personag­ potesse non destare interesse. La logica delle cose prima o poi gio lievitato nel dolore e inciso finisce col farsi avanti e dimostrare la sua forza. nella ricerca di colpe non com­ La rappresentazione di Girotondo costituisce quindi un vero e messe. Paolo Carlini ha dato a proprio avvenimento, perché porge la promessa di lasciare al teatro Fabio forza, drammatica e inquie­ la stessa libertà di espressione che si lascia alla stampa. Questa tante sottigliezza di analisi, com­ concessione può giovare col tempo alla sua attività assai più e assai ponendo una figura bene centra­ meglio che le provvidenze statali, in quanto essenziale per creargli ta nel tormentato mosaico fami­ un pubblico fedele e affezionato', che sa di trovare nella ribalta liare. Molto brava Adriana Inno­ una voce sincera, all’unisono con la sua coscienza, e libera da centi, l’altra madre, gremita di inibizioni ipocrite. reazioni generose, sospinta da Per di più Girotondo ha inaugurato un teatro nuovo, «Parioli», un’attendibile furia protettrice. E sorto e concepito come cinema. Il fenomeno non potrà ripetersi ancora ricorderemo Wilma Casa­ che occasionalmente ma dimostra che, nonostante le tante difficoltà grande, veemente nell’accusa e che si attraversano, la scena offre ancora qualcosa d’insostituibile. dolente nell’accettata, catarsi, Pie­ L ’apparizione di Freud e degli studi di psicopatologia sessuale tro Privitera, semplice e sincero, fa nascere a Monaco il teatro dell’ex-rappresentante di commercio il Troisi, la Scalfì, il Bernardi. Frank Wedekind, a Vienna l’opera del medico Arthur Schnitzler, Il successo è stato vivissimo : ven­ in cui il teatro gioca un ruolo considerevole, se non preminente. ticinque chiamate complessive. Liebelei, Anatolio e Girotondo espongono un naturalismo lievemente Enrico Bassano patetico e finemente brillante, di pura marca viennese, limitato a all’epoca e ad un ambiente, ma sufficientemente genuino, caratteri­ I RAGAZZI DELLA stico di quel mondo, di cui esprime agilmente la segreta natura quotidiana. SIGNORA GIBBONS * Al Teatro Eliseo di Roma, il 20 dicem­ Girotondo è uno scherzoso vaudeville, amabile e scettico, che in bre 1958, la Compagnia Morelli-Stoppa una sequenza di « gesti amorosi » ci conduce tra i diversi ambienti ha rappresentato la commedia in tre atti di Glickman e Stein, « I ragazzi sociali, dalla prostituta alla cameriera, dal soldato al signorino della signora Gibbons ». Regìa di Lu­ di buona famiglia, dalla signora borghese alla ragazza leggera e chino Visconti. all’attrice, dallo scrittore aH’aristocratico in veste di ufficiale del­ ® La Compagnia Morelli-Stoppa l’Imperatore. La successione degli episodi risulta piuttosto artificiosa ha voluto concedersi una vacanza e meccanica, nell’alternarsi e scambiarsi degli amanti, come nel ed offrire al pubblico uno spetta­ gioco dell’ocai, ma diversi dialoghi possiedono un estro teatrale felice colo senza pretese che potesse per umorismo di situazioni e di caratteri. Probabilmente l’autore attrarlo durante il periodo delle voleva insegnarci che ogni sentimento chiude la sua parabola nel feste natalizie. Nell’intenzione letto: allora la massima suonava rivoluzionaria; oggi ci sembra nulla di peccaminoso. E' anzi vieta. Ci diverte soprattutto la galleria dei personaggi e il succo necessaria una certa varietà dì delle loro discussioni, fra cui non mancano esilaranti aforismi. propositi. Il genere leggero deve Al confronto dei grandi affreschi di Musil e di Stroheim, queste considerarsi rispettabilissimo. Fra immagini sbiadiscono, restano confinate in un loro crepuscolare i diversi gradi di divertimento vignettismo. Tuttavia permane un loro significato storico e non prodotti dalla scena, ha un suo manca una disinvolta vitalità spettacolare. L ’audace mescolanza posto anche quello senza alcuna di tono e tecnica posciadistiche con l’osservazione attenta dei colori pretesa. Tuttavia non si può fare più effervescenti di questo mondo, lo scherzo compiuto puntellandosi a meno di auspicare anche in esso su di una filosofia amara e disincantata tratta dalla scienza medica, un accettabile buon gusto, una una visione pessimistica (come in ogni naturalismo) tenuta sotto sorridente qualità. I ragazzi della acqua dalla comicità e dallo spirito caustico, formano un cocktail signora Gibbons di Glickman e dal gusto piuttosto inedito e stimolante, che alla sua epoca dovette Stein non è che offenda in qual­ apparire esplosivo, mentre oggi ha il lieve fascino del tempo che modo l’ascoltatore. Il suo perduto, quando l’esistenza poteva racchiudersi nel tenero giro meccanismo farsesco risulta abba­ dei piccoli amori, liebelei, rifiutandosi di conoscere altro e di stanza pulito, i caratteri vengono paventare il futuro, solo fedele alla dolcezza dei sensi frementi disegnati con una certa approssi­ all’unisono con l’animo. Max Ophùls, nel suo film, ne creò una mazione, e non mancano gli ef­ rappresentazione fedele e compiuta, distaccata storicamente quel fetti comici, specialmente se affi­ tanto che era necessario, e al tempo stesso capace d’intuirne lo dati alle bravure della Compagnia spirito e la nostalgia. Morelli-Stoppa. Resta assente del Lo spettacolo dato al « Parioli » era allestito con molto decoro, e la tutto l’originalità. Gli autori han­ distribuzione comprendeva elementi quasi tutti a posto nelle loro no pescato dove hanno potuto, parti e all’altezza dei loro ruoli. Tuttavia diverse manchevolezze senza farsi scrupolo, e i risultati nuocevano e in modo piuttosto evidente : prima di tutto le soluzioni di questo cocktail ci appaiono sceniche che impedivano alla rappresentazione di scorrere agilmente abbastanza insipidi. I dissensi e col dovuto ritmo. In secondo luogo, la preoccupazione di rendere della prima sera hanno voluto il testo gradevole teatralmente incideva sulla recitazione così da significare la delusione del pub­ toglierle il necessario stile. L ’atmosfera e l’ambiente, così tipici, blico non tanto per il lavoretto, non sono stati raggiunti che a tratti, assai più per la suggestione che non vale alcuna polemica, del dialogo che per quella puramente scenica. Luciano Lucignani, quanto per la Compagnia da cui regista, e Mischa Scandella, scenografo, hanno ingegnosamente ci si attendono spettacoli in ogni studiato di risolvere i diversi problemi, stilistici e tecnici, posti modo interessanti. Sta diventando dal testo, ma gli accorgimenti sono apparsi insufficienti. Fra gli troppo facile ed in verità esaspe­ interpreti, Vivi Gioi ed Ernesto Calindri si sono appoggiati al ratamente monotono questo tea­ sostegno di una disinvoltura boulevardière; nei personaggi popola­ tro d’importazione, e di una im­ reschi, Anna Maria di Giulio, Xenia Valderi e Aldo Barberito sono portazione ormai ad occhi chiusi, ricorsi a toni sguaiati e fortemente realistici, con loro anche per cui tutto va bene, purché Leonardo Botta, che viceversa doveva apparire un distinto signorino. abbia un miracoloso marchio di Piuttosto scolorito . Divertente e arguto Franco origine. Giacobino nella parte di un intellettuale, e particolarmente sensibile, Il repertorio leggero è di vitale in un ruolo di capricciosa adultera, Valeria Moriconi, che dà al suo importanza per la vita quotidiana gioco brillante venature di sottile penetrazione psicologica e di del teatro: e d’altra parte ha un sorprendente verità umana. T. p. suo preciso e amabile sapore. Dovunque se ne affronta la ne­ cessità: quando Jean-Louis Bar- rault presenta La vie parisienne di Meilhac e Halévy, o Eduardo LA LUNA SULLO SCIALLE DAI Tre calzoni fortunati di Eduardo COLORI DELL’ARCOBALENO Scarpetta, si sa che sono parentesi nell’attività maggiore, ma le si E’ L’OPERA DI UN NEGRO, ERROL JOHN, ABBASTANZA GIOVANE, TRASFERITOSI A LONDRA, IN CERCA DI LAVORO, DA TRINIDAD NELLE accolgono con favore, come un ANTILLE. HA VINTO IL CONCORSO PER UNA COMMEDIA, INDETTO DAL opportuno intermezzo. SETTIMANALE « THE OBSERVER». I ragazzi della signora Gibbons viene recitato in modo gradevole H Quando il Royal Court Theatre annunciò la rappresentazione di dalla Compagnia, e la regìa di Moon on a rainbow shawl (La luna sullo scialle dai colori dell’ar­ cobaleno), opera risultata vincitrice di un grande concorso indetto Luchino Visconti ci appare cor­ dal settimanale « The Observer », le nostre reazioni immediate fu­ retta. Il pubblico delle repliche, rono assai più vicine allo scetticismo che all’entusiasmo. La fiducia come al solito, dimostra assai che in un primo tempo potevamo nutrire per il concorso dell’« Ob­ maggiore benevolenza e accetta server» era stata seriamente scossa in due occasioni, quando cioè il sorridendo le sciochezzuole che Royal Court Theatre aveva allestito due opere premiate (col terzo e gli si presentano. In fondo è una quinto premio, se non sbagliamo) a quello stesso concorso: due cose questione di concorrenza: sul mediocri — anche se formalmente corrette — e che lasciavano poco piano del divertimento fine a se a sperare quanto alla qualità della prima. Si credeva che anche questa stesso il firn e la televisione of­ Moon on a rainbow shawl non fosse migliore delle due già rappre­ frono di molto meglio, perché sentate. Invece Moon on a rainbow shawl è piaciuta moltissimo ed dispongono di mezzi maggiori ha saputo conquistare a buon diritto un notevole successo. Poco si sa e di attori ben più popolari. E’ del suo autore: si chiama Errol John, è un negro, è abbastanza gio­ evidente che la prosa ha diritto vane, è nato a Trinidad nelle Antille e probabilmente è venuto a di vita solo in quanto lì sopra­ Londra come tanti suoi compatrioti in cerca di lavoro e di un am­ vanzi in qualità ed impegno biente più favorevole alle iniziative; i molti londinesi che alimentano artistico. Il che a volte succede, l’odio razziale sostenendo che Londra è invasa dai peggiori elementi e a volte no. vii© Pancìoio di colore delle Indie Occidentali saranno costretti ad ammettere che ^ Il 20 dicembre 1958 si è ria­ « i peggiori elementi di colore » scrivono per il teatro meglio di quanto perto il Teatro Arlecchino di non dimostrino di saper fare i bianchi educati ad Eton e ad Oxford? Roma, con una nuova rassegna Qualche volta, anche i risultati dei concorsi teatrali possono essere di atti unici; questa volta Scene oltremodo istruttivi. dell’Italia di ieri e di oggi a cura Moon on a rainbow shawl è ambientata a Trinidad in uno di quei di Vito Pandolfi e Sergio Solii­ pittoreschi cortili, incredibilmente sporchi e disordinati, che paiono ma. Queste le sei commedie: Un usciti dalla fantasia di Erskine Caldwell; si vede lo spaccato di campagnolo ai bagni, di Augusto una casa, quasi una catapecchia, affittata stanza per stanza ad Novelli; Ad armi corte, di Ro­ un gruppo di poveri diavoli che la povertà costringe a vivere berto Bracco; Cecé, di Luigi Pi- in quella promiscuità. Nella stanza più grande vivono Charlie, randello; Centocinquanta la gal­ un vecchio negro più amante del vino che del lavoro, sua moglie lina canta, di Achilie Campanile; Sofia, una donna autoritaria ed energica, e la loro figlia Ester, Lungo viaggio di Natale, di Pra­ una bambina di dodici anni, sveglia e intelligente. Nelle altre tolini; Don Vincenzino, di Ma­ stanze abitano un giovane negro di nome Ephraim, la sua amica rotta e Bandone. Lo spettacolo, Rosa, e Mavis, una giovane prostituta alle prime armi. Non esiste concepito ed ordinato con estremo una trama, così come non esiste un protagonista. Protagonista è rigore critico, ha avuto per regi­ la povertà, che tiene ancorata la gente in quel cortile, protagonista sta lo stesso Soliima, ed interpre­ è il desiderio d’evasione: uscire da quel cortile sudicio, da quella ti: Aldo Buffi Landò, per l’atto casa troppo affollata, fuggire da quell’isola e da quel calore oppri­ di Marotta e Randone; Riccardo mente, farsi una nuova vita in un mondo lontano, più ricco e Garrone, per la commedia di Pi- più aperto. Tutti sperano per un po’ : qualcuno riesce, gli altri randello, e via via altri loro com­ si rassegnano e s’adagiano in quel mondo cui sono condannati. pagni quali Gisella Sofio, Amalia Charlie è legato all’isola come gli alberi alla terra: da giovane d’Alessio, Elena De Merik, Carlo ha avuto l’occasione di andarsene, ma non ha saputo coglierla. Esposito, Giovanna Avena, Rina Finirà invece coll’evadere Ester, la bimba che racconta poesie Mascetti, Alberto Nucci, Dino alla luna: ha vinto una borsa di studio, andrà all’estero, come Rosaspina, Gabriella Pallotta. bambini più ricchi di lei. Charlie vorrebbe regalarle una bicicletta, ma non ha un centesimo: ruba, nita. Moon on a rainbow shawl sua pelle. Ma alla stessa notizia 10 scoprono, finisce in prigione. è stata data in un ottimo allesti­ la madre di Kathie reagisce con Riuscirà ad evadere anche mento, con la regìa di Frith Ban- estrema violenza: essa pensa solo Ephraim, che ha risparmiato sol­ bury, scene e costumi di Luodon ai figli mulatti che nasceranno do su soldo il costo del viaggio Sainthill, e con un ottimo gruppo da quel matrimonio, all’atmosfera fino alla lontana Inghilterra. Ro­ di attori di colore tra i quali si di odio e di diffidenza che cir­ sa invece resterà: ha sperato per sono distinti Earle Hyman, John conderà quella coppia mista, alle un istante che Ephraim la. por­ Buie, Vinnette Carroll, Soraya occhiate che li seguiranno per tasse con sé, per amore del figlio Rafat e la giovanissima Jacque- le strade, alle maldicenze dei che ella gli porta in seno; ma line Chan. vicini. Anche Jack ora sembra Ephraim crede che il padre sia il Un’altra commedia che parla di scosso: egli non giunge ad affer­ Vecchio Mack, un ricco negro negri —• ma stavolta affrontando mare nessuna superiorità dei bian­ che gli ha fatto costosi regali, e di petto il problema razziale —• chi sui neri, ma lo preoccupa la parte da solo lasciandola nell’iso­ è Hot summer night (Calda notte sorte della figlia, sposata ad un la. Rosa cede alle proposte del d’estate), che Ted Willis ha scritto negro, in una società che è ben Vecchio Mack: finirà come Ma- ispirandosi certamente ai recenti lungi dall’aver superato ogni pre­ vis, che ogni sera rincasa con un incidenti di Notting H ill e degli giudizio ed ogni barriera razziale. marinaio. altri quartieri londinesi in cui Nella conclusione dei tre atti — La trama, per quanto è possibile la presenza di forti contingenti tanto per la cronaca — è implicito narrarla, è tutta qui. Ma quello negri è spesso causa d’insofferenza che Kathie sposerà l’uomo che che fa di Moon on a rainbow e di pericolosi malcontenti. Ted ama; ma non è tanto sulla trama shawl un’opera notevole, e senza Willis è noto come autore di che ci preme porre l’accento, esitazioni una delle più belle co­ copioni per il cinema e per la quanto sul fatto che Ted Willis se viste a Londra quest’anno, è televisione, ed in questo Hot s’è ben guardato, in questa sua l’affetto partecipe la delicatezza, summer night, che crediamo sia Hot summer night, di dipingere 11 realismo pur così soffuso di il suo primo esperimento teatrale, i negri come tutti eroi ed i bian­ poesia, con cui Errol John ha ha saputo darci un’opera onesta, chi al contrario. narrato i casi di questo povero ben scritta e ben condotta e Se si dovesse fare un paragone mondo d’infelici. Forse un po’ soprattutto priva di quella dete­ tra Hot summer night è un’altra lunga nel primo atto, in cui l’au­ riore retorica che è così frequente celebre opera sullo stesso argo­ tore si preoccupa di creare una nelle opere ispirate a concetti mento (Profonde sono le radici), atmosfera che in realtà ha già umanitari. Hot summer night ci direi che quest’ultima prova trop­ reso perfettamente fin dalla pri­ porta in casa di Jack Palmer, po e non serve, quindi, alla causa ma pagina, Moon on a rainbow un sindacalista di razza bianca, in nome della quale è stata scritta,. shawl è un’opera felicissima: vi che abita in Inghilterra e che Perché D’Usseau e Gow hanno si sente la sincerità di chi ha sta lottando perché in seno ai fatto di Brett Charles — il pro­ vissuto ciò che descrive, la com­ sindacati non venga fatta la mi­ tagonista negro di Profonde sono mozione di chi ha osservato i nima distinzione tra gli iscritti le radici — a dir poco un eroe, suoi simili con l’occhio attento di razza bianca e di razza nera. ed anche il più sfrenato schia­ del poeta, l’indulgenza di chi ne Non è una battaglia facile, perché vista non fa fatica ad ammettere comprende anche gli errori. Le tra gli operai bianchi serpeggia che il giorno in cui gli capiterà creature di Errol John sono ca­ il malcontento e l’odio contro d’incontrare un negro di quello ratteri vivi e veri ed indimenti­ tutti quei negri che giungono stampo lo tratterà da pari a pari. cabili; anche coloro che vengono dagli ex-possedimenti britannici Al contrario, Hot summer night in scena solo per un minuto, per a togliere il lavoro ai loro com­ non si occupa di eroi, ma di una breve scena, anche coloro cui pagni: ma Jack Palmer è con­ uomini qualsiasi : e dato che sono l’autore non ha dato che poche vinto della bontà delle sue idee, gli uomini qualsiasi a formare battute; tutti i personaggi di e trova in questa convinzione la maggioranza, il mostrarli tutti Moon on a rainbow shawl hanno la forza per non lasciarsi sopraf­ uguali, con gli stessi difetti e le una personalità precisa e ben de­ fare. Improvvisamente, sua figlia stesse virtù, indipendentemente finita, un’individualità che ci ap­ Kathie annuncia di essersi inna­ dal colore della pelle che li rico­ pare chiara e non confondibile. morata di un ragazzo negro e pre, giova alla causa della fratel­ Un dialogo realistico, forte e nu­ d’esser decisa a sposarlo; Jack lanza umana più di ogni esage­ do ed essenziale ed aderente alle Palmer non -sembra sulle prime rata apologia. cose, ma che s’accende d’improv­ aver nessuna obiezione: è dispo­ Dopo queste due opere interes­ visi bagliori lirici e si apre a sto a conoscere il ragazzo e non santi e per molti aspetti notevoli, brani poetici di delicatezza'infi­ ha niente contro il colore della la stagione londinese non ha for- nito altro che tre o quattro pre­ Denis Cannan ha scritto anni or John Moody: riceve un piccolo testi per altrettante arrabbiature. sono due belle commedie (Cap- sussidio dall’Arts Council ed una Al Piccadilly Theatre rappresen­ tain Carvallo, pubblicata in mancia di cinque sterline annue tano Hoo\, line and singer (Amo, « Dramma » nel settembre 1951 e dalla città di Bristol; paga i suoi lenza e peso) di André Roussin; recitata mirabilmente da Andrei­ primi attori venti sterline alla si tratta di Le mari, la jemme na Pagnani, e Misery me!), e settimana (quanto cioè l’Old Vie et la mort. I lettori di questa tanto più grande è stata la delu­ di Londra pagava i suoi nel ’36!), Rivista sanno tutto di questa sione suscitata da Who’s your allettandoli con la possibilità di commedia, pubblicata in « Dram­ father? quanto meno assomiglia apparizioni alla televisione, ed al­ ma» n. 221 del febbraio 1955. alle due precedenti opere dello lestisce uno spettacolo ogni tre Fu recitata il 7 ottobre 1954 stesso autore. Denis Cannan rac­ settimane per un totale di dodici al Teatro delle Arti di Roma, conta la storia di un trovatello o quindici allestimenti all’anno. nella traduzione di Randone, da che, cresciuto, arricchito, sposo e Al Bristol Old Vie si respira Vivi Gioi, Carlo Ninchi, Ave padre felice, nell’imminenza di un’aria totalmente diversa da Ninchi e Giovanpietro. esser nominato Pari d’Inghilterra quella che si respira in qualsiasi deve produrre un certificato di Al St. Martin’s Theatre, Jack grande teatro londinese: vi si nascita che comprovi la regolarità Minster ha diretto una nuova sente la passione, l’entusiasmo, la commedia di Hugh e Margaret della sua venuta al mondo, cor­ gioia di recitare. Non v’è nessu­ redato di padre e di madre rico­ Williams, The grass is greener na pretenziosità, non si parla di noscibili ed individuabili. Le ri­ (L’erba è più verde), che Hugh « messaggi » e di altro del genere; cerche portano a scoprire (all’ul­ Williams stesso, assieme a Celia si bada a lavorare ed a formare timo atto) che il padre del futuro un pubblico. In poco più che dieci Johnson e Joan Greenwood, ha lord è un rispettabile vescovo recitato con buon successo di anni di lavoro, una città come della chiesa anglicana, che l’a­ pubblico. The grass is greener ci Bristol — prima teatralmente ine­ veva perso bambino durante un sistente — può vantare una massa racconta la storia di un ricco terremoto in India, e che viveva americano (re del petrolio, forse) di spettatori che non so quante — o guarda caso — proprio lì altre città inglesi potrebbero van­ che corteggia la giovane e pia­ presso. Lasciamo perdere. cente moglie di un lord inglese, tare. Le nostre due visite ci han­ con tanto successo che al secon- Quanto al tradizionale contin­ no portato a vedere II gioco delle gente shakespeariano, l’Old Vie d’atto lei lo segue per qualche parti di Pirandello, nella tradu­ giorno in città senza nemmeno ha allestito una nuova edizione zione di Robert Rietty e Noe! del Macbeth, con Michael Hor- Cregeen, e La gioia del dottore, darsi cura — a quanto risulta — dern nella parte del protagoni­ che il marito non sospetti troppo. che Charles Drew ha tratto da sta; ma il nostro proponimento di Le malade imaginaire. Il gioco Poco interessa sapere che il ma­ non parlare dell’Old Vie finché delle parti s’è giovato di due ma­ rito, con un terz’atto da geniale rimarrà avvolto in quella nebbia gnifiche scene di Patrick Ro­ e intraprendente amatore, ricon­ di pretenziosità (e d’insufficienza) bertson e di una buona regìa di duce la pecorella smarrita sul bi­ che tanto caratterizza i suoi alle­ nario di quella felicità domestica John Moody: nei panni di Leone stimenti shakespeariani, è sempre Gala, Kenneth Mackintosh ne ha che — non dubitiamo — è desti­ valido. nata a durare per sempre, come dato un’interpretazione sottile e nelle fiabe. The Grass is gree­ Dopo queste non troppo fortunate tutt’altro che superficiale, anche ner ha vinto il pubblico di Lon­ esperienze, abbiamo cambiato se ne è risultato un Leone Gala dra esclusivamente perché i suoi rotta e per due volte siamo an­ di stampo troppo inglese, assai autori l’hanno costruita tenendo dati a Bristol per assistere al più flemmatico — in altre paro­ presente quella formula, senza Bristol Old Vie, teatro che ha le — che machiavellico. La gioia curarsi del fatto — una volta ap­ una storia cui vai la pena d’ac­ del dottore è stata mantenuta sul plicata la formula — che le si­ cennare : sorse negli anni dell’im­ piano della farsa, ma senza nes­ tuazioni fossero trite, i dialoghi mediato dopoguerra, per inizia­ suna esagerazione volgare: ne è spesso scialbi, le battute migliori tiva dell’Arts Council della Gran risultato uno spettacolo assai co­ già scritte da altri, i caratteri ab­ Bretagna, che rilevò un vecchio mico e vivacissimo, recitato a ve­ bozzati con un’approssimazione teatrino del 1760 (il Theatre locità acrobatica da un gruppo di sciatta e banale. Royal), lo ricostruì, ed inivtò la bravissimi attori tra i quali bra­ A un dipresso lo stesso discorso direzione dell’Old Vie di Londra vissimi Peter Jeffrey e Joan Heal. si può fare per Who’s your fa- ad assumere la direzione artistica Bellissima sorpresa in uno spetta­ ther? (Chi è tuo padre?) di De­ e a formarvi una compagnia sta­ colo già di per sé tanto felice. nis Cannan, che Peter Wood ha bile. Il Bristol Old Vie fu prima Gigi Lunari diretto al Cambridge Theatre. diretto da Hugh Hunt, ora da Londra, dicembre 1958 ANDREINA PAGNANI Ha recitato a Milano la commedia di Félicien Marceau La pappa reale (con tutto l’affetto che abbiamo per Lucio II Randone, il titolo italiano è brutto lo stesso; dall’originale Bonne soupe) ottenendo un personalissimo successo. Eligio Possenti ha scritto di lei, l’indomani della rappresentazione, « Andreina Pa- gnani ha disegnato la figura di Leona che racconta, con felici, intelligenti e incisive intonazioni ironiche e sarcastiche, che parrebbero inadatte ad una voce così bella e dolce: e ciò è merito di autentica attrice che ha avuto anche scatti di forte drammaticità ».

FERDINAND BRUCKNER Il famoso autore di Gioventù malata è morto a Berlino a sessantasette anni. Era nato a Vienna il 26 agosto 1891. Il suo vero nome era Theodor Tagger. Sofferente di cuore, aveva da tempo rallentato il ritmo della sua attività, ma una parte del pubblico tedesco aveva ancora per lui una grande ammirazio­ ne. Queste le date più significative della vita di Bruckner: 1923: Fonda con la moglie il Renaissance-Theater di Ber­ lino; 1928: Rappresentazione di Gioven- tù malata che ottenne enorme successo di pubblico e di critica, prima in Ger­ mania, poi in tutto il mondo. Successi­ vamente, di anno in anno, vennero le altre opere: I criminali, Le razze, Eli­ sabetta d’Inghilterra, Timone, La marchesa di O, La commedia eroica. Si giunse così al nazismo ed alla sua partenza per l’America. Ritornato nel 1953 fece rappresentare: I frutti del nulla, La trappola, La morte di una bambola, Lotta con Vangelo. Di Bruckner sono state rappresentate in Italia: Gioventù malata (1945); Elisabetta d’Inghilterra (1952); La trappola (alla radio). Di Bruckner in «Il Dramma»: n. 31-32, 1« marzo 1947: testo di Bruckner alla sua commedia Gioventù malata; articolo su Bruckner di Franz Theodor Csokor; testo di Gioventù malata. N. 65, 15 luglio 1948: articolo di Di Giammatteo: « Bruckner ha ritrovato l’Europa ». N. 83, 15 aprile 1949: articolo di Di Giam­ matteo: « Per Bruckner tutta Vienna teatrale ». N. 117, 15 settembre 1950: articolo di Di Giammatteo: «Napoleone alla rovescia per Ferdinand Bruckner». A CIASCUNO IL SUO COMMEDIA IN UN ATTO DI ALBERTO DE MARIA E GIUSEPPE POSSENTI

Primo signore - Secondo signore Gino Varzi - Tilde Monti ? //elJowe La madre - Un cameriere La coppia di giovani - Uno spazzino l ’azione si svolge ai giorni nostri

La scena: all'alzarsi del sipario completamente baia. S’illumina poi sul lato destro e molto in avanti, quasi in ribalta: uno o due tavolini, qualche seggiola di legno colorata, una pianta in un grosso vaso. Leggermente più indietro, a destra delle sedie, quasi in quinta, l’arco di una porta d'ingresso del « Bar della Pineta». La porta è chiusa da una di quelle caratteristiche A CIASCUNO IL SUO

tende a frangie filiformi di colori diversi, molto in Secondo signore — Oh, ma io non sono deluso uso nei bar di 'provincia. Attraverso le frangie della affatto! Lei è la prima volta che ci viene? tenda filtra la luce accesa nell’interno. In alto una Primo signore —• Sì, non sono di qui, ma solo insegna luminosa: «Bar della Pineta», o sempli­ di passaggio. cemente « Bar». Seduto ad uno dei tavolini il Primo Secondo signore —- Ah! (Annuendo) Che tran­ signore legge il giornale e di tanto in tanto beve quillità, che incanto! (Il cameriere entra, posa un a piccoli sorsi la sua bibita. Sono circa le ventuno bicchiere sul tavolino davanti al Secondo signore) di una calda, afosa serata d’estate. Grazie. Hai il giornale di questa sera, per favore? Compare dalla destra il Secondo signore; si asciuga (Rivolgendosi di nuovo al Primo signore) Stasera con un fazzoletto la fronte bagnata di sudore. E’ flo­ ho fatto un po’ tardi... sa, per guadagnare di più... rido, piuttosto basso, sulla sessantina. E' un uomo un po’ di straordinario... e il mio vecchio giornalaio senza problemi e, a modo suo, felice, forse perché se n’era già andato. non ha mai avuto la possibilità di « essere infelice ». Primo signore (porgendogli il suo) — Guardi, Secondo signore — Ah! Finalmente. E’ un po’ guardi pure il mio. lunga arrivare fin quassù, ma almeno si respira. Secondo signore — Grazie. (Al cameriere) Non C’è un certo venticello... (Avvicinandosi al tavolo importa allora. (Il cameriere rientra nel bar) Sa, è dove sta l’altro signore) Scusi, posso sedermi? un’abitudine. Io leggo il giornale per abitudine. Primo signore — Prego... faccia pure. (Parlerà Che vuole... si potrebbe anche fare a meno di leg­ sempre con un tono basso, impersonale). gerli, ché tanto sono perfettamente uguali... Secondo signore — Grazie... Ah, che bell’aria! Primo signore — M i pare che esageri... perfet­ Primo signore — Eh, sì! E’ veramente un posto tamente... fresco... ci viene spesso? Secondo signore — Be’, guardi, l’unica diffe­ Secondo signore — Quasi ogni sera. Cosa vuole... renza la si può trovare nella maggiore o minore dopo una giornata di lavoro trascorsa in quell’in­ grandezza dei titoli. Ma per il resto... Fotografie ferno laggiù (indicando con la mano) fa piacere... di calciatori e di delinquenti, dive che partono o (■Compare sul vano della porta del bar un ca­ che arrivano, qualcosa di politica in prima pagina, meriere). e infine la cronaca, la solita sporca cronaca... I l cameriere — Buona sera, signore. In ritardo Primo signore — Sporca, addirittura; via... questa sera... Il solito, vero? Secondo signore — Ma per forza, come la vuol Secondo signore — Sì, grazie, Giovanni, il solito. chiamare? Furti, omicidi, suicidi. E tutto descritto I l cameriere — Bene, signore. (Scompare nel bar). nei più minuti particolari. La fotografia, magari, Secondo signore -—- Sarà magari un po’ scomodo, del morto coperto da uno straccio. Una volta in fuori mano, e poi... alla nostra... mi scusi... non un giornale c’era anche della letteratura. Ora par­ volevo... lano di sport e di miss anche in terza pagina. Primo signore (senza entusiasmo, ma gentile) —- Primo signore -—• E lei crede che la cronaca sia S’immagini! Dica pure, tanto i nostri anni non una cosa sporca, da non far conoscere! possiamo certo nasconderli. Secondo signore — Non dico questo, ma un po’ Secondo signore — ... alla nostra età... si farà di discrezione, perbacco! Fossero almeno originali... fatica a venirci... ma poi, che pace, che silenzio... ci son sempre le stesse cose. e questo odor di pino che quasi ti stordisce. E’ la Primo signore — Ma caro signore, che cosa è la mia droga! Guardi, le dico una cosa: io starei qui cronaca? Non è altro che il racconto particolareg­ anche a dormire. giato o meno di tutti i fatti che accadono in questo Primo signore (quasi divertito) —- A dormire paese, nelle altre città, nel mondo. Noi siamo qui, poi... quieti, tranquilli a goderci il fresco, ma quante, Secondo signore —• Sì, anche a dormire. Cosa cose accadono frattanto sulla terra! Dia... dia uno vuole, sono innamorato di questo posto. Per tutta sguardo alla città... laggiù. Quante luci, quante la giornata, nel mio ufficio, non faccio altro che case, quanta gente. E che fa quella gente? Vive. pensare al momento in cui arriverò qui, nel mio Pensi, caro signore, è lo stesso istante, lo stesso rifugio. momento di una qualsiasi giornata. E una giornata Primo signore — Come da ragazzi, quando si è fatta di questi momenti e la vita... che cos’è la pregustava, si sospirava per tutto il giorno il mo­ vita se non l’unione di tutti questi piccoli, imper­ mento, la sera, di vedere la propria fidanzata. E poi cettibili momenti? E la cronaca è vita. La tragedia, magari era una delusione. il dramma o la commedia di un minuto, di tanti A. DE MARIA - G. POSSENTI

minati, di tante ore. Certo essa coglie i fatti sa­ Essa è composta da una tavola, due sedie, e si lienti, quelli che interessano di più. Non si pos­ svolge in casa di Gino. Gino e la madre sono sono riempire le pagine dei quotidiani di tutto quel di fronte). che succede. Gino — Mamma, come sono felice! Avevi ragione Secondo signore — E lei ha il coraggio di chia­ tu quando dicevi che tutto sarebbe finito, che la mare fatti importanti i furti, gli omicidi, i suicidi vita si sarebbe ripresa. ed altre cose di questo genere? Ma mi faccia il pia­ La madre -— Sì, caro! Hai visto. cere! E’ ora di finirla con questa cronaca... Gino — Oggi sono stato dal cavalier Borroni. Da Primo signore — Allora bisogna abolire la vita, lunedì comincio a lavorare con lui. E’ un buon secondo lei! posto, mamma, e ce la faremo. Vedrai! Secondo signore — Ma cosa... io non ho detto La madre —- Ma io ho sempre creduto che ce la questo. Non mi faccia dire ciò che neppure ho avresti fatta. Non ho mai avuto timore io, eri tu pensato. Io dico che... (Mentre •parla sfoglia il gior­ ad averne. nale, poi trionfando come se con quella scoperta Gino — E sbagliavo. Anche Tilde guadagna qual­ avesse finalmente trovato la risposta) Ecco qua, cosa, e in principio ci sarà molto utile. Poi spero guardi. Poi dica che ho torto. (Legge) Tragico sui­ che potrò farcela da solo e allora lei baderà, con te, cidio di due giovani. Lui un reduce dell’ultima alla casa, ai nostri bambini... guerra, lei una universitaria prossima alla laurea. La madre (sospirando) — ... i bambini!... Primo signore — Vada avanti. Gino — Sarai felice mamma di essere nonna? Secondo signore —■ Pare che l’uomo fosse tor­ Non ti sentirai troppo vecchia? nato dalla prigionia un po’ sconvolto, un po’ (Buio sulle ultime parole di Gino. Una panchina. esaurito. Gino aspetta Tilde. Compare Tilde. E’ una bella Primo signore — Certo, sconvolto, esaurito. Ecco ragazza, semplice nel vestire, dal volto un po’ triste). come siamo noi uomini, subito ci affanniamo a Gino —• Tilde, finalmente! Sono qui da cinque trovare una ragione, un perché che per « noi » sia minuti e mi è sembrata un’eternità. Come la prima logico! Sa qual è il mio passatempo preferito? Guar­ volta. Ti ricordi? Quando cominciavo a temere dare per la strada la gente che passa. E provare, che non saresti più venuta. dal loro modo di vestire, di gesticolare, dalla voce, Tilde — E invece sono venuta. dalle mani, ad immaginarne l’esistenza. Se lei avesse Gino — Certo, cara, e dimmi: te ne sei pentita? incontrato quell’uomo per la strada, e l’avesse osser­ Tilde — No, e... lo sai benissimo. vato bene, avrebbe forse letto nei suoi occhi l’an­ Gino (scattando) — No, invece. Non lo so! Una goscia, il tormento, la sofferenza che l’agitavano? volta lo credevo. Ma ora? E’ da tempo che cerco Secondo signore (che evidentemente non ha ca­ di dirtelo. Che cosa è successo? Perché non siamo pito niente) — Io? Se non lo conoscevo neppure! più noi? Primo signore — E i fatti, come si sono svolti i Tilde — Ti prego... fatti? Gino (interrompendola) — Niente prego! Ogni Secondo signore — Che ne so io? Qui non c’è volta che tocco questo argomento, tu cambi di­ altro. Lei lo sa? scorso. E io passo giornate intere a soffrire, a pen­ Primo signore —- Può darsi! (Lunga pausa) Im­ sare cose assurde. Perché? Non mi ami più, Tilde? magini un bravo giovane, un uomo come tanti, Tilde — Che dici! Sai benissimo che nulla è cam­ felice di vivere. Si chiamava... come... (Indicando biato, che io ti ho sempre amato e ti amo. all’altro il giornale). Gino —- Perché menti? (Pausa) Ti ricordi quella Secondo signore (scorrendo in fretta il giornale) — sera che ci promettemmo di dirci sempre tutto? Gino... Gino Varzi. Giurammo che non avremmo mai mentito. Io debbo Primo signore — Gino Varzi. Come accadde a sapere... Cosa mi nascondi? molti altri, fu costretto ad andare in guerra, a com­ Tilde — Nulla! Forse sarò cambiata... Può darsi... battere contro gente che non odiava, ma solo per Prima ero una bambina... Sei tu, forse, che non fare il suo dovere. Ed un bravo ragazzo che va mi ami più come allora. al fronte lascia sempre a casa una madre, una Gino (scattando) — Ah, no! Non accusare me, fidanzata che l’aspettano. Anche Gino... E un adesso! Non invertire le parti. giorno la guerra finì ed egli tornò. Tilde (cambiando tono) — Sì, hai ragione. Tu non (Alla fine di queste parole la scena si fa compieta- c’entri. Perdonami! mente buia. Si illumina la parte opposta della scena. Gino — Perdonarti! Cosa? A CIASCUNO IL SUO

Tilde — Non so! Se avessi amato un altro... se vuoi che faccia io? Saprai comprendere, saprai per­ non fossi più degna di te... cerca di capirmi! donare? Gino —• Capire... è una parola... Gino — Non c’è nulla da perdonare... se qualcuno Tilde (decisa, interrompendolo) — Non farmi dire deve perdonare... sei tu... Sei tu la vittima... Cosa di più. Lasciamoci. Sapevo che non poteva durare dovrei perdonarti io, che con tutto il mio amore così. Io ti chiedo, ti scongiuro, se mi ami, di non non riesco a rassegnarmi, a dimenticare quello che interrogarmi più. E’ l’ultima cosa che ti domando. è accaduto, senza tua colpa? Non pretendere che parli. Tilde — Farei per te qualsiasi cosa, caro. Per Gino —■ Ed è tutto? Ma un amore come il nostro questo ti dico che non dobbiamo vederci più. Non non può finire così. (Pausa) Dicevamo che il nostro posso vederti in queste condizioni... soffrire così... era un grande amore, che nessuno s’era mai amato bisogna che vada via, che sparisca per sempre... come noi. T i ricordi? Perché, perché allora un solo così potrai dimenticare tutto. amore come il nostro deve finire così, nel nulla? Gino —- Ma io non voglio rinunciare a te. E poi M i dici che non puoi parlare, e mi chiedi di scom­ perché dovrei farlo? (Forte) Che cosa mi obbliga a parire, dicendomi addio... così... in nome del nostro farlo all’infuori del mio stupendo egoismo? amore. Ma ti pare possibile? Tilde — Vedi, Gino, io ti conosco molto meglio di quanto ti conosca tu. Non fai che parlare di Tilde — Ma non capisci che se mi decidessi a perdono, di vittima, ma intanto c’è qualcosa dentro parlare saresti tu a soffrirne, più di me? Io, ormai, di te che si ribella, che tu lo voglia o no. C’è un la mia sofferenza ce l’ho... qua dentro... da tempo... altro dentro di te che ti dice di lasciarmi... che sono Perché la vuoi dividere con me? colpevole. Gino —- Qualsiasi cosa, ma non questo silenzio, Gino — Non è vero! Per me nulla è cambiato. questo dubbio atroce... ti prego... Tilde (sincera) — Forse ti sembra, forse anche lo Tilde — E va bene! L’hai voluto tu. (Pausa) Non credi... ma insieme non potremmo più essere felici. so neppure da dove cominciare. (Pausa, poi d’im­ Non lo potremmo. Anch’io in certi momenti ho provviso) Ma prima devi promettermi una cosa... tentato di illudermi. Quante volte in questa lunga, devi promettere... orribile settimana ho creduto, come in un sogno, Gino (interrompendola) —• Su... avanti. Che cosa che veramente si potesse dimenticare tutto, ed ecco devo prometterti? che tu, ogni sera, dimenticando tutte le promesse Tilde — ... che non ci vedremo mai più. (Pausa. del giorno prima, hai ricominciato di nuovo con le Incomincia pian piano la musica. E’ l’inizio del tue domande, odiose... domande... Non posso più « primo movimento » della Sinfonia n. 9 in do mi­ crederti, Gino! nore, op. 125 di Beethoven. Poi Tilde comincia Gino — Ma, cara, se tu sapessi che momenti lentamente) Tu sai che mentre eri al fronte tua passo... Vorrei cancellare tutto e invece il pensiero madre mi voleva presso di sé; ma mio padre - an­ si fissa lì, e mi tortura. che lui costretto come te a combattere queirorribile Tilde •— Lo vedi? Dobbiamo lasciarci. Per forza, guerra - volle mandarmi in campagna, presso una caro. Quando cominci con i tuoi interrogatori, a zia... chiedere i particolari, a domandarmi: «E poi... e (Buio completo sulla scena. La musica cresce, di­ poi...». No... basta... non ci resisto più... venta violenta. Poi improvvisamente la scena s’illu­ Gino — Se tu sapessi quello che provo io. La notte mina sid lato sinistro del palcoscenico. E’ trascorsa cerco di prendere sonno, ma poi, improvvisamente, una settimana. Siamo in casa di Gino. Gino è seduto tu mi appari dinanzi, e io ti vedo... ti sento ur­ al tavolo con le spalle rivolte al pubblico. E’ in lare... dibattere tra le braccia di quello... già... maniche di camicia. E’ un uomo disfatto, sfinito. quello... Dove sarà ora... forse a casa sua... con la Dopo pochi istanti, si alza di scatto, comincia a muo­ fidanzata... o magari felice... con moglie... coi figli... versi nervosamente per la stanza, guardando, ogni no no... morto ha da essere! Colpito da un proiettile tanto, l'orologio da polso). nemico... Ah! Fosse morto davvero!... Ma io devo Gino (guardando l’orologio) — Già le sei... Do­ sapere, devo sapere tutto... Com’era... cosa diceva... vrebbe essere già qui... Perché non c’è ancora? (Suona il campanello. Gino esce e rientra subito perché avrà pur detto qualcosa no? E tu avrai gri­ con Tilde) ... Temevo che non saresti più venuta. dato, ti sarai difesa almeno... dimmi, parla... ci sarà Tilde — Già... avrò fatto bene? stato un momento che hai ceduto... un istante... Gino — Certo... dovevamo vederci. un istante solo, in cui non sei stata più mia... Tilde — Dovevamo... come sei sicuro tu. Ma che Tilde •—- Finiscila... sei un pazzo... mi disgusti... A. DE MARIA - G. POSSENTI

Gino — Ma non capisci che solo così... che a costo in guerra accanto a me, ma mai avevo sentito la di rivedermi tutta la scena davanti agli occhi, Dio morte così vicina come in quel momento. Ed ho sa quante volte, solo così potrò arrivare al mo­ avuto paura, paura di morire. (Abbraccia Tilde, mento in cui avrò la certezza che tutto quel che è quasi cercando un rifugio al suo dolore). accaduto non ha per me nessuna importanza? Tilde (suadente, accarezzandogli i capelli) — Non Tilde (avviandosi) — Addio... bisogna aver paura di morire. Gino —• No, aspetta... aspetta, dimmi qualcosa... Gino — In questo momento, vicino a te, non ho dammi una speranza almeno... dammela... (Si getta, paura... piangendo, ai piedi di Tilde). (Buio completo, la scena si illumina sul bar, come Tilde (accarezzandogli ì capelli) — Povero, povero all’inizio dell’atto). caro... Secondo signore — Molto romantico... ma anche Gino — Tilde, perdonami... sono un mostro, ma molto retorico! ti amo... tanto, devi credermi... Primo signore — Macché retorico! Umano, caro Tilde — Sì... ti credo! signore, decisamente umano. E purtroppo siamo Gino — Aiutami allora... aiutami... noi che ci costruiamo così la nostra umanità, con Tilde — Non c’è nulla che io possa fare! Ho cre­ i suoi egoismi, le sue guerre, le sue brutalità, i duto come una pazza che potesse esserti veramente suoi... (indicando il giornale) ... vizi... d’aiuto raccontarti tutto... Ma è stato inutile. Secondo signore — Ma il vizio qui non c’entra. Gino — No, non dire così... Non mi lasciare... Nessuna volgarità nel caso doloroso. Tilde —• E’ necessario! Non riuscirai mai a con­ Primo signore -—• D’accordo! Ma mi dica... le vincere te stesso. Quante volte mi hai giurato che sembra questo il primo caso da quando il mondo sarebbe stata l’ultima volta, e poi hai ricominciato esiste? da capo? Non possiamo continuare così... per tutta Secondo signore — Ma che ne so io? Non vorrà la vita, Gino! mica che mi metta a catalogare, a fare statistiche Gino — Che mi resta senza di te!... Nulla... Ah, su tutte le tragedie d’amore che sono successe al no... una cosa... ecco, sì, morire... mondo, per caso! Tilde — Non dire sciocchezze! Cosa risolveresti Primo signore — Allora glielo dico io: ce ne in questo modo? Anch’io ci ho pensato in questi saranno stati... senz’altro... chissà quanti... I fatti, giorni. Non l’ho fatto per te, caro. Ho avuto paura. caro lei, sono sempre uguali... ma siamo noi, noi a Gino (pausa) — Sai, anch’io... ma poi me n’è man­ renderli ogni volta diversi. cato il coraggio. Ieri sera, quando ci siamo lasciati, Secondo signore — Ma lei ce l’ha proprio con ho continuato a camminare per tutta la notte. Ho questa umanità! E non ne fa parte, lei, di questa camminato... così, senza meta, sotto la pioggia. Di umanità, di questa società, alla quale si vergogna tanto in tanto mi passava accanto una macchina, di appartenere? e nei fasci luminosi dei fari distinguevo la pioggia Primo signore — Certo. Diversi, perché tutti continua, fitta, inesorabile. A un tratto ho visto da noi lo siamo, gli uni dagli altri. Perché, vede, a lontano il ponte, il ponte sul fiume, appena illu­ ciascuno di noi spetta una parte... e sì, diciamolo minato da due vecchi lampioni. E mi sono ricor­ pure... una fetta di una grande torta. Le porzioni dato quando, bambino, andavo a giocarci con i miei sono identiche... uguali... tocca a ognuno di noi compagni. E ho incominciato a correre: mi sono consumare la propria nel modo che ci sembra il appoggiato al parapetto, bagnato di sudore e di migliore... piano... in fretta... come vogliamo, in­ pioggia, e sono caduto in ginocchio, sfinito. Col somma! viso tra i ferri della ringhiera, ho visto l’acqua nera, Secondo signore — Chiacchiere.... Filosofia spic­ densa, scorrere sotto di me. Non avevo più paura ciola.. in quel momento. Avevo deciso. Quando improv­ Primo signore — Per lei! Perché lei si sarebbe visamente ho sentito alle mie spalle uno stridere di ammazzato? freni e l’urlo strozzato di un animale. M i sono alzato Secondo signore — Ah, questa poi!... Ci man­ e sono corso sulla strada. La macchina era già lon­ cherebbe altro... tana ed in terra giaceva un cane, un povero ba­ Primo signore — Lo sapevo... stia tranquillo... stardo spelacchiato, ridotto ormai a un mucchio di neppure io l'avrei fatto... Loro invece hanno cre­ carne insanguinata. M i sono curvato su di lui, e duto opportuno risolvere il problema, agendo in l’ho guardato... a lungo... Non so quanto tempo quel modo., ma caro signore, non spetta a noi giu­ sono rimasto così... Mentre la pioggia continuava dicarli! Con che diritto, poi? a cadere, implacabile. Ho visto tanta gente morire Secondo signore — Be’!., perché... Primo signore •—• Perché noi siamo uomini? Ma !53 Ricordo di Alfonso D’Alessandro. Il segretario generale deU’I.D.I. (Istituto del Dramma Italiano), se proprio per il fatto stesso d’essere tali siamo di­ Alfonso D’Alessandro, è morto a Roma l’8 gennaio versi gli uni dagli altri. Si metta a cercarli e me 1959 poco più che cinquantenne, in seguito a un morbo inesorabile di cui egli seppe per lungo tempo li trovi, lei, due uomini che di fronte allo stesso sopportare con straordinaria fortezza d’animo gli caso, allo stesso problema, reagiscano nella stessa, attacchi. unica maniera. Cerchi di capire. D’Alessandro prestava la sua opera all’I.D.I. fin dalla fondazione (cioè da oltre dieci anni), e del­ Secondo signore — Ci risiamo con la filosofia... l’ente, sorto per tutelare i diritti del teatro italiano ma che vuole che capisca di queste cose, io... ugua­ (la cui presidenza è tenuta, in qualità di vice, da Lo­ renzo Ruggi perché l’effettivo presidente on. Ario­ li... non uguali... diversi... le dirò di più, per me sto è intanto diventato sottosegretario allo Spetta­ gli uomini sono tutti uguali. colo), fu l’animatore instancabile, sempre sostenuto da una purezza di sentimenti e da un fervore gene­ Primo signore (ironico) — Eh! Lo so... tutti buoni roso che gli conquistarono la stima e la simpatia o tutti cattivi. O magari divisi in due schiere, i di tutti coloro che in Italia fanno parte della scena buoni da una parte, e i cattivi... (Interrompe il ca­ di prosa. Espansivo, cordiale, ottimista, entusiasta per il suo meriere). lavoro, Alfonso D’Alessandro si prodigava per tutti I l cameriere — Signore, al telefono. coloro che — autori o attori — ricorrevano a lui come ad un sincero amico. La sua scomparsa su­ Secondo signore — A me? scita un profondo rimpianto e crea, nell’organizza­ I l cameriere — Sì, a lei... presto! {Scompare). zione teatrale italiana, un vuoto che, sul piano uma­ no, sarà diffìcilmente colmabile. Siamo molto deso­ Secondo signore — Ah, grazie... vede, non si può lati della perdita di un così caro amico. stare un momento in pace; hanno già scoperto il mio rifugio... (Quasi fra sé) Come avranno fatto, H Una via di Roma porterà il nome di Luigi Piran­ dello. Il barone Giovanni di Giura, ministro pleni­ poi, non so... (Alzandosi) Be’, andiamo a vedere potenziario, ci infoi'ma su quanto è stato fatto ed è chi è... Arrivederci, signore... riprenderemo un’al­ in via di esecuzione, per dare il nome di Luigi Pi- randello ad una strada di Roma. E ciò alla nostra tra volta... {Il Primo signore fa un gesto di saluto nota in proposito nel fascicolo scorso: e l’altro si avvia. Giunto sulla porta del bar si « Gentile e caro amico Ridenti, sono lieto di poterle ferma e....) A proposito... grazie per il giornale... precisare che l’apposizione, e lo stesso testo, della Primo signore {canzonatorio) — Si figuri... lapide sul muro di cinta del villino dove visse per diversi anni Luigi Pirandello, creandovi numerosi {Il Secondo signore s’avvia definitivamente. Il Primo suoi capolavori, e dove morì, è stata mia iniziativa, signore rimane seduto al tavolo. Dopo qualche che rimonta ad oltre due anni fa. Tale iniziativa, da me tenacemente realizzata con il più cordiale istante prende dalla tasca dei soldi, e li fa cadere concorso da parte del Comune di Roma, ha com­ con rumore sul tavolino. Si alza e lentamente se preso anche l’intitolazione di una strada a Luigi ne va. Esce in quel momento il cameriere, fa un Pirandello, fra le strade di nuova creazione e non lontane dalla via dove trovasi il villino stesso. cenno di saluto al signore, ritira i soldi e i bicchieri Altra mia iniziativa, tuttora in corso di svolgi­ e rientra nel bar. Si spengono le luci del bar. Pas­ mento a causa delle diverse trattative necessarie sano di corsa, tenendosi per mano, due giovani). per raggiungere lo scopo auspicato, si riferisce alla creazione di un vero e proprio museo pirandelliano Lei {correndo) — Su, andiamo. Facciamo tardi... nel villino medesimo, del quale il piano abitato Lui {scherzando) — Quanta furia! Se mi amassi da Pirandello è rimasto intatto, con viva suggestio­ ne per il visitatore, mentre il sottostante piano è oc­ tanto come dici, non avresti tutta questa fretta di cupato da un ufficio del Ministero dell’Industria e tornare a casa. Commercio. In questo piano io ho proposto di creare una raccolta di cimeli e di pubblicazioni sia {Si sente fischiare. Appare un uomo d’una certa italiane che straniere riferentisi a Luigi Pirandello, età, in mano una scopa e una pattumiera. E’ ve­ in maniera che con il piano già abitato dallo scrit­ stito con una tuta. Avanza lentamente. Sì china, tore si verrebbe a creare un insieme davvero note­ vole per la storia del nostro glorioso Teatro. raccoglie un mozzicone di sigaretta. Lo guarda, se Sono sicuro che riuscirà gradito al suo fervore lo mette in un taschino. Continua a scopare avvi­ quanto qui sopra le ho riferito e colgo l’occasione cinandosi al tavolo. Vede il giornale, lo prende, lo per inviarle di cuore fervidi auguri per il pros­ simo anno. guarda con un gesto rassegnato, lo getta nella pat­ Cordiali saluti dal suo aff.mo: Giovanni di Giura ». tumiera. Continua a scopare. Le luci si abbassano. Siamo molto grati all’illustre e gentile amico ba­ La musica — ancora la Sinfonia n. 9 in do mi­ rone di Giura, per la sua iniziativa in onore e ricordo del grande Maestro, per l’amore al teatro nore op. 125 di Beethoven — cresce. Le luci si che egli porta, per la creazione della raccolta pi­ abbassano sempre più, poi buio completo). randelliana, orgoglio di una Nazione civile e del teatro italiano. . y g Per mancanza di spazio, rimandiamo al prossimo fascicolo tutto quanto riguarda la Casa di Riposo * Copyright A. De Moria - G. Possenti 1959. degli Artisti drammatici, sottoscrizione compresa. TEATRO IN TV dell’Antigone, facendone risuo­ ostentata sicurezza (« canterò per­ nare con bella evidenza, talvolta, ché non vedano che abbia pau­ La regìa televisiva — tecnica di il contrasto tra libertà politica e ra») e Raleigh con la sua esube­ ripresa a parte — come la regìa libertà individuale, in questo cro­ ranza giovanile. La sua inaspet­ teatrale è sempre una questione giuolo di orgoglio punito e di tra­ tata venuta in mezzo a loro, con estetica di misura, di gusto e di cotanza umiliata. Valentina For­ tutto il bagaglio di ricordi che preparazione culturale. La neces­ tunato è stata interprete attenta, si porta con se, riempie di nostal­ sità di non eccedere nei movi­ riuscendo a cogliere le sottili sfu­ gia e di tensione le lunghe gior­ menti di macchina, come avve­ mature di una donna desiderosa nate di attesa, fino a quando la niva nei primi anni, di non in­ di vivere e pronta ad affrontare grande battaglia non travolgerà dulgere a certo nervosismo cine­ il sacrificio della propria esisten­ tutto nella sua inutile follia. matografico, per cui lo spettatore za. Ma questa figura di donna, La guerra come rappresentazione per andare appresso ad un nuovo la più inquietante di tutto il tea­ antieroica, rivissuta ora per ora ritmo di racconto si distraeva tro antico, meritava un ambiente nelle trincee, nell’ansia e nel dub­ dall’impegno del testo, dovrà es­ più definito e una forza dram­ bio, è stato il tema di opere di sere accompagnata da un rigore matica più persuasiva. Antonio grande respiro in cinema e in let­ stilistico, da una scelta attenta de­ Crast, nella parte di Creonte, ha teratura. In teatro, il dramma di gli interpreti e di quegli elementi, avuto momenti sinceri, ma il più Sheriff è restato quasi solitario a come scene e costumi, che aiutano delle volte è apparso declamato- ricordare questa tremenda avven­ la visione creando gli ambienti rio e poco convinto, come pure tura dell’uomo. La regìa di Blasi e il gusto di uno stile espressivo. Renzo Giovampietro, Vittorio ha sottolineato l’azione con ampi Questo discorso di carattere ge­ Sanipoli ed Elena Cotta, rispetti­ movimenti, alternando con chia­ nerale cade a proposito, per com­ vamente personaggi del coro e rezza i primi piani, scavando nei mentare l’edizione dell ’Antigone Ismene. Il coro, nelle intenzioni volti con particolare insistenza e di Sofocle che Vittorio Cottafavi di Cottafavi, ha ubbidito ad una ricercandone una espressione sof­ ha allestito per « Il classico del funzione più che altro introdut­ ferta. Raoul Grassili nella parte mese ». La messinscena chiara e tiva e ha avuto un suo carattere di Stanhope e Giulio Bosetti in nitida ha mantenuto alla parola realistico, in un certo senso a quella del giovane Raleigh han­ il posto preminente, creandogli contrasto con l’impostazione, piut­ no recitato con discrezione ed una suggestione visiva a volte di­ tosto retorica, di tutto l’allesti­ hanno saputo trovare gli accenti screta; ma scene e costumi, per mento. di malinconia e di disperazione quanto la moderna stilizzazione Lo spettacolo più significativo del appropriati. Mario Ferrari è stato di Colasanti volesse dar loro una mese è stato II grande viaggio di un colonnello misurato e sicuro funzione solo vagamente descrit­ Robert Sheriff, diretto da Silverio e Otello Toso un credibile Osbor­ tiva, sono apparsi assai distanti Blasi. Il regista è, infatti, riuscito ne: anche dal punto di vista in­ da quel nitore che volevano rag­ a rendere il lento clima di una terpretativo, quindi, lo spettacolo giungere e lo stile dello spetta­ trincea, nell’attesa di una batta­ ha avuto un suo tono ed una sua glia, l’atmosfera apparentemente colo, nel suo insieme, ha avuto consistenza drammatica. distesa nella quale sentimenti e un tono poco convinto, poco ma­ Stelle alpine di Eligió Possenti e psicologie si raffrontano per scop­ L’amore deve nascere di Luigi turo, tanto da rimanere spesso piare in un dramma. L ’ambien- Antonelli sono due lavori della distante dal cuore dello spetta­ tazione realistica, resa da len­ stessa epoca che ripropongono al­ tore. Due parole di commento di te panoramiche che scoprivano lo spettatore di oggi la comme­ un buon critico avrebbero gio­ una intelligente scenografia, ha dia « borghese » in auge attorno vato, nell’intervallo, a meglio ben sottolineato il richiamo di una al 1940. Il regista Claudio Fino, svolgere quella funzione didatti­ realtà che già sembra un sogno. che ha diretto il lavoro di Pos­ ca e di diffusione culturale, che Forse ha nuociuto, nella prima senti, ha pensato bene di lasciare la Rai si prefigge con « Il clas­ parte, soprattutto, un compiaci­ ogni cosa al suo posto con il gu­ sico del mese ». Ma ciò che più mento eccessivo nel macchietti- sto del tempo, conservando il conta, in questi allestimenti, è smo con cui sono stati visti al­ sapore della parola di ieri, senza trovare, nel rigore della rappre­ cuni personaggi, frammentari­ mutare la battuta e lo scherzo. sentazione, quella moderna di­ smo di maniera, che ha rallen­ Una bella occasione per ritrovare mensione drammatica per cui un tato il ritmo stesso del dramma. immutato, con il suo spirito al­ testo parli allo spettatore di oggi Ma delineatasi l’atmosfera, i ca­ legro e grottesco, Umberto Mel- con intensità e convinzione. ratteri maggiori si chiarificano, nati nella parte di Abdullah, un Vittorio Cottafavi ha solo accen­ Stanhope con la sua malinconia turco intrigante e spassoso, il nato al carattere vivo e moderno di alcolizzato, Osborne con la sua « deus ex machina » di una breve stagione di villeggiatura. E’, in­ morti. Perché così ci si è rego­ fatti, durante una tranquilla esta­ lati con Antonelli (defunto) e te, in un albergo elegante tra i non con Possenti (vivo: vivissi­ monti, che è ambientata questa mo), con opere appartenenti allo storia d’amore e di rinuncia, que­ stesso momento storico della sce­ sto sottile ritratto di donna, di na italiana. una madre ancora giovane e an­ La storia di L’amore deve na­ cora corteggiata che sacrifica la scere di Antonelli è quella di un sua parte di felicità per l’amore professore che chiede in moglie del figlio. la giovane Rosalba solo per aver­ Eligio Possenti è un sensibile ac­ la vista dalla finestra di fronte, corto ed esperto commediografo per poi lasciare il passo ad un che ha appreso dal suo grande giovane e sincero innamorato e maestro di critica, Renato Simo- sposare la sorella minore di lei, ni, la più onesta lezione: non Guenda. E’ soprattutto una favola scrivere più commedie dovendo sottilmente allusiva, pretesto per giudicare gli altri. Preso il posto un ritratto d’ambiente, quasi una di Simoni al « Corriere della Se­ leggera ironia a certo gusto « ro­ ra », Possenti non ha più fatto sé», dei romanzi per signorina. ranpresentare una sua commedia, Luigi Antonelli scrisse questa ma è naturale che quelle già scrit­ commedia poco prima di morire, CASTAIDI EDITORE te e portate al successo ritornino sapendo di dover presto soccom­ sulla scena, alla radio e sul video, bere per il suo male terribile, ed rinnovando di volta in volta, e aveva ancora —■ miracolo di poe­ a distanza di anni, quei successi. sia — il cuore aperto all’amore, PINOCCHIO Stelle alpine fu rappresentata nel­ alla giovinezza, alla vita, come l’ottobre 1941 da Maria Melato un ventenne. Noi sappiamo che 4 ATTI DI D. C. PIPERNO all’« Odeon » di Milano : a dicias­ al direttore di questa rivista, Lu­ sette anni di distanza la comme­ cio Ridenti, l’autore Antonelli, SANTA dia ha dimostrato non soltanto la pochi giorni prima di morire, il sua vitalità, ma ha rinverdito la 21 novembre 1942, inviandogli il BERNADETTE squisitezza delle intenzioni; l’in- copione per la pubblicazione in 4 ATTI DI I). C. PIPERNO sopprimibile spirito materno, che «Il Dramma» scrisse: «Ecco il prevale anche sull’amore. La com­ copione : fanne ciò che credi. So­ Richiedere i volumi presso media obbedisce ad una sempli­ no sulla soglia dell’aldilà, ma que­ l’Editore in Milano od alle cità delicata di affetti, ad un in­ ste scene hanno i miei vent’an- seguenti librerie : treccio lineare, umano, pulito. ni ». La commedia fu pubblicata MILANO Laura Solari è stata la madre, in « Il Dramma », 402-403. Libreria Teatrale Cesati - Via composta negli atteggiamenti, bel­ Protagonista della commedia è Rovello 1 la e persuasiva; altri interpreti, ROMA stato l’attore Enrico Maria Saler­ Libreria Fratelli Croce - Corso Roberto Villa e Glauco Onorato. no, che per sua dichiarazione al­ Vitt. Em. (Largo Argentina) La commedia di Luigi Antonelli la stampa non vedremo più (o ROMA è, invece, stata diretta da Mario non dovremmo più vedere) sulle Galleria del Libro - Via Na­ Landi, con diversa misura aven­ zionale 246 scene e alla TV. Salerno ha di­ FIRENZE do corretto il dialogo e adattato chiarato di essere disgustato del Libreria Moderna di Alfredo l’opera allo spirito di oggi. Er­ teatro quanto della televisione e Petrai - Via Martelli 7 rore, anche se lo spettacolo può si ritira. Gli altri interpreti han­ TORINO così aver acquistato un andamen­ Libreria Luigi Dimetto - Via no movimentato la scena con un to più nervoso e realistico. Ma Roma 223 (Piazza S. Carlo) certo brio: Gabriella Andreini, REGGIO EMILIA se la TV si propone di far co­ Daniela Calvino, Maresa Gallo. Libreria Prandi - Via Caval­ noscere opere che, appartenendo lotti 8 ad un certo periodo di tempo, Edoardo Bruno NAPOLI stanno nel teatro appunto a signi­ Libreria Internazionale Treves LUCIO RIDENTI: Direttore responsabile Via Roma 250 ficarne il clima e il contenuto, è Proprietà arlistica e letteraria riservata alla PADOVA inutile — ci sembra — snaturare, Editrice e stampatrice ILTE - Industria Libraria Libreria Internazionale Draghi Tipografica Editrice - Torino - corso Bramante, 20 fare cosa ibrida, sulla pelle degli I manoscritti, le fotografie ed i disegni non ri­ Via Cavour 7 altri; soprattutto quando sono chiesti, non si restituiscono per nessuna ragione LE NOVITÀ’ DI PROSA ALLA RADIO E ALLA TELEVISIONE

GENNAIO PROGRAMMA 1959 La Sacra Rappresentazione in Inghilterra: 16-1 TERZO L'ARCA DI NOÈ del Maestro di Wakejield - A cura di A. LOMBARDI 17-1 NAZIONALE ALCOOL DI LEGNO * negretti e panzacchi 21-1 SECONDO BUON VIAGGIO, ECCELLENZA

FEBBRAIO 4-2 SECONDO BARACCHE di massimo fiocco 10-2 NAZIONALE LA POLVERE NEGLI OCCHI dì e. rabiche Trad. e adatt. di GASPARE GOZZI c ALDO TRIFILETTI 11-2 NAZIONALE VIAGGIO A LOURDES di ALEXIS CARREL - Riduzione di A. M. ROMAGNOLI 11-2 SECONDO L'ALLEGRA CENTENARIA di michael brett . Trad. di ely bistuer y ri ver a 11-2 TERZO PROMETEO di eschilo 12-2 TERZO STORIA SEGRETA DEI MONGOLI di riccardo loreto 14-2 NAZIONALE UNA SERA D'AUTUNNO di F. DURRENMATT - Trad. di I. A. CIIIUSANG

GENNAIO

16-1 IL BORGHESE GENTILUOMO di molière - Trad. romeo lucchese 20-1 SOTTO A CHI TOCCA di g. orengo 21-1 IL GRAN MAESTRO DI SANTIAGO di h. de montherlant 23-1 TRE CALZONI FORTUNATI di eduardo scarpetta 30-1 MONETE DA CINQUE LIRE di p. e. d’emilio

FEBBRAIO 6-2 ROMEO E GIULIETTA di W. SHAKESPEARE - Trad. PAOLA OJETTI 7-2 L'ISOLA DEL TESORO di L. STEVENSON - Riduz. e traduz. di P. LEVI (romanzo sceneggiato) 13-2 I TRE MAURIZI di diho falconi RENATO SIMONI FA TESTO: TUTTI LO CITANO PER LA SUA OPERA TRENT’ANNI DI CRONACA DRAMMATICA

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Renato Sim oni

T rentanni di cronaca dram m atica È OPERA DI CONSULTAZIONE INDISPENSABILE AGLI ATTORI, AI CRITICI, A TUTTI COLORO CHE SI OCCUPANO DI TEATRO SUL PIANO CULTURALE, MA NON A QUESTI SOLTANTO PERCHÈ LA MATERIA È COSÌ VASTA DA POTER TORNARE UTILE A CHICCHESSIA, PER UNA DATA, IL RIFERIMENTO AD UN AUTORE, UN INTERPRETE, UN TEATRO. IL PRIMO VOLUME DI “ TRENT’ANNI DI CRONACA DRAM­ MATICA” COMPRENDE LA CRITICA DAL 1911 AL 1923; IL 2° DAL 1924 AL 1926; IL 3" DAL 1927 AL 1932, ED IL 40 DAL 1933 AL 1945. IL 2° e 3° VOLUME COSTANO 3.800 LIRE; IL 4" VOLUME, COSTA 4.800 LIRE.

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