Memorie della Accademia delle Scienze di Torino

Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche

Serie V, Volume 37, fasc. 2

ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO 2013 2013 ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO Via Accademia delle Scienze, 6 10123 Torino, Italia

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ISSN: 1120-1622 ISBN: 978-88-908669-2-0 Fig. 1. PIETRO LUIGI ALBINI (1807-1863) Biblioteca Patetta, Università degli Studi di Torino. (Ritratto a olio, dono del Dott. Lino Vetere). Ringraziamenti Per la cortese collaborazione e per l’autorizzazione a riprodurre i documenti qui di se- guito indicati un vivo ringraziamento va all’Università degli Studi di Torino (Biblioteca F. Patetta del Dipartimento di Giurisprudenza, fi g. 1 e 7, e Rettorato, fi g. 2); all’Accade- mia delle Scienze di Torino (fi g. 3), alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera (fi g. 6 e 8) e a Daniele Pennavaria per la documentazione fotografi ca. Acc. Sc. Torino Memorie Sc. Mor. 37, 2 (2013), 5-102 DIRITTO E STORIA DEL DIRITTO

Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini Con due documenti sulla collaborazione di Albini con Mittermaier

Memoria del Socio corrispondente MARIO G. LOSANO* presentata nell’adunanza del 5 marzo 2013 e approvata nell’adunanza del 18 giugno 2013

Riassunto. Il moderno insegnamento della fi losofi a del diritto nell’Università di Torino iniziò con Pietro Luigi Albini (1807-1863), professore, avvocato e – per breve tempo – politico negli anni che portarono all’unità d’Italia. Nel centocinquantenario della morte l’Accademia delle Scienze di Torino, di cui fu socio, ne rievoca la fi gura. Il suo interesse per la storia del diritto e per la fi losofi a del diritto è strettamente collegato con il suo insegnamento del- l’«enciclopedia giuridica» nell’Università di Torino. Per questa ragione il testo esamina anzitutto i suoi scritti sull’enciclopedia giuridica, all’interno dei quali andarono separandosi i fi loni della fi losofi a del diritto e della storia del di- ritto. Inoltre vengono brevemente evocate le sue attività di parlamentare nel 1848-49 e di giurista pratico. Due contatti scientifi ci ebbero particolare impor- tanza nella sua vita: quello con Federico Sclopis e quello con Karl Mittermaier. Sclopis fu il suo protettore nella Torino capitale sabauda, mentre Mittermaier fu il corrispondente che lo rese noto fuori dai confi ni piemontesi e che gli fornì le informazioni sulla fi losofi a del diritto tedesca e sull’organizzazione del- le università tedesche. I carteggi inediti con questi due personaggi verranno pubblicati in una prossima memoria. In appendice alla presente si trovano invece la recensione scritta da Mittermaier al primo libro di Albini (Saggio analitico sul diritto, 1839) e la traduzione italiana dell’articolo sul diritto pe- nale piemontese che Albini pubblicò – anonimo e in tedesco – sulla rivista di Mittermaier «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes». Con le sue opere e con la sua attività di riformatore degli studi universitari piemontesi Albini si colloca così alle origini della scuola di fi losofi a del diritto che in seguito si sviluppò a Torino con Giuseppe Carle, Gioele Solari e Norberto Bobbio.

PAROLE CHIAVE: Enciclopedia giuridica; Filosofi a del diritto, Storia della; Libertà d’insegnamento; Mittermaier, Karl; Parlamento subalpino; Pena di morte (Pena capitale); Sclopis, Federico; Università di Torino, Storia della.

* Professore emerito, già ordinario di Filosofi a del diritto e di Introduzione all’Informatica giuri- dica nell’Università del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro»; e-mail: [email protected] 6 Mario G. Losano

Abstract. The modern teaching of legal philosophy at the university of was initiated by Pietro Luigi Albini (1807-1863), professor, lawyer and – for a short time – politician during the years leading to the Italian unifi cation. 150 years after his death, the Academy of Science of Turin has celebrated this remarkable jurist. Albini’s interests in legal history and legal philosophy are strictly linked to his teaching of «legal encyclopaedia» in the university of Turin. Therefore this memoir fi rst of all takes into consideration his writings on «legal encyclopaedia», in whose context both legal philosophy and legal his- tory were fi nally taking their specifi c shape. Second, his activities as a Member of Parliament in 1848-49 and as a practical lawyer are briefl y outlined. During his life two acquaintances were particularly infl uential on him: Federico Sclopis and Karl Mittermaier. In Turin, then capital of the Kingdom of Piedmont, he was under Sclopis’ patronage, while Mittermaier was the correspondent who, on the one hand, made him known outside the Piedmontese boundaries and, on the other, supplied him with information about the German legal philosophy and about the organization of the German universities. A next memoir will contain the so far unpublished correspondence between Albini and these personalities, while the appendix to the present memoir contains the review written by Mittermaier about Albini’s fi rst book (Saggio analitico sul diritto, 1839) and the Italian translation of Albini’s article on Piedmontese criminal , originally published – anonymously and in German – in Mittermaier’s «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes». Albini’s writings and his activities as a reformer of the aca- demic studies in the Kingdom of Piedmont laid the foundation for the school of legal philosophy in Turin, which was later represented by Giuseppe Carle, Gioele Solari, and Norberto Bobbio.

KEYWORDS: Death penalty (Capital punishment); Freedom of teaching; Legal encyclopaedia; Legal philosophy, history of; Mittermaier, Karl; Parliament of the Kingdom of Piedmont; Sclopis, Federico; University of Turin, history of.

1. La commemorazione di Albini all’Accademia delle Scienze di Torino Il 13 marzo 1863 moriva Pietro Luigi Albini, professore di fi losofi a del di- ritto nell’Università di Torino, socio corrispondente della nostra Accademia dal 5 dicembre 1839 e socio nazionale dal 4 giugno 1857. Il centocinquan- tenario della sua morte ha offerto l’occasione non soltanto per rinverdire il ricordo di un consocio, ma anche per rievocare le vicende di una materia come la fi losofi a del diritto, che ha una tradizione ultrasecolare nell’ateneo torinese. Da questo punto di vista, le presenti pagine approfondiscono così un mio scritto del 1999, che traccia la storia di questo insegnamento torinese in anni più recenti, dal 1872 al 19721. Albini vi è menzionato fugacemen- te, insieme con altri docenti ottocenteschi, come precursore di quel secolo

1 Mario G. Losano, Un secolo di fi losofi a del diritto a Torino: 1872-1972, «Teoria politica», XXV, 1999, n. 2-3, pp. 471-517. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 7 giusfi losofi co compreso fra i nomi di Carle, Solari e Bobbio. Il prossimo paragrafo richiama questa tradizione, mentre quelli successivi sono dedicati all’approfondimento della vita e dell’opera di Albini: egli si colloca infatti all’origine di questa tradizione, nel corso della quale, però, è stato ricordato solo da rari specialisti. Due atteggiamenti intellettuali, uno generale ed uno specifi co, vanno su- bito sottolineati. Anzitutto, l’ambiente intellettuale torinese in cui si muove Albini, e l’Albini stesso, sono vivamente interessati anche alla cultura germa- nica, contrariamente allo stereotipo che tende a vedere la cultura subalpina come tributaria della sola cultura francese2. Inoltre la campagna di Albini a favore della fi losofi a del diritto rappresentava un distacco dall’impostazione pratico-professionale della facoltà di giurisprudenza, distacco che, sia pure con tutte le concessioni allora necessarie, non si appiattiva sulle posizioni teoriche uffi ciali: «La nuova disciplina della fi losofi a del diritto, – scrive Gioele Solari, – sorgeva in opposizione alla fi losofi a uffi ciale [rosminiana] in corrispondenza al moto di rinnovamento suscitato dal Gioberti». Si spiega- no così alcune diffi coltà di Albini, che affi orano ad esempio nei voti contrari che accompagnarono, ma non impedirono, la sua entrata nell’Accademia delle Scienze (cfr. § 9, a, nota 104). L’oblìo che ben presto calò sulla fi gura e sull’opera di Albini è forse do- vuto alla natura del suo apporto al rinnovamento dello studio del diritto, che si andava affermando nell’università torinese quando le riforme di Carlo Alberto posero fi ne agli arcaici ordinamenti accademici della Restaurazione. Infatti l’importanza di Albini è legata alla sua opera di iniziatore di nuove discipline. Francesco Calasso considera Sclopis e Albini come gli iniziatori dello studio della storia del diritto in Italia3, perché le loro ricerche si esten- dono dal diritto medievale alla legislazione sabauda ad essi coeva. Ma Albini fu anche l’iniziatore dell’insegnamento della fi losofi a del diritto nell’ateneo torinese: nelle sue ricerche e nei suoi scritti per il rinnovamento dell’insegna- mento giuridico, dall’«enciclopedia del diritto» (che includeva tanto la storia

2 Questa peculiarità è messa in luce nel volume di Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte. Cultura storico-giuridica subalpina tra la Restaurazione e l’Unità, Carucci Editore, Roma 1984, 361 pp. Essa è documentata nelle corrispondenze riportate da Anna Capelli, Il carcere degli intellettuali. Lettere di italiani a Karl Mittermaier, Franco Angeli, Milano 1993, 485 pp. La presente Memoria si richiamerà più volte a questi meritori studi. Forse un impulso verso la Germania venne dalla Francia, attraverso l’opera di Victor Cousin, De l’instruction publique dans quelques pays de l’Allemagne et particulièrement en Prusse, Pitois-Levrault, Paris 18403, 2 voll. 3 Francesco Calasso, Savigny e l’Italia, in «Annali di Storia del Diritto», 1964, pp. 1-8; anche: ivi, 1965, pp. 373-380. 8 Mario G. Losano quanto la fi losofi a giuridiche) si distacca e consolida la fi losofi a del diritto. Nel dopoguerra Giorgio Del Vecchio ascrive Albini alla scuola del diritto razionale perché «cercò di distinguere il “diritto fi losofi co” dal “diritto di ragione” e dal “diritto positivo”, avvicinandosi, specialmente negli ultimi scritti, al Rosmini»4. Ma gli scritti di Albini, proprio perché composti agli albori di queste discipline, fi nirono poi per essere superati dagli approfon- dimenti ulteriori, venendo così ricordati da pochi specialisti, ma dimenticati dai più. Un prodromo di questo progressivo oblìo è anche il silenzio dell’Acca- demia delle Scienze che seguì l’interlocutoria commemorazione della sua morte nel 1863, riportata nel § 9, b. Esso è probabilmente legato ai profondi mutamenti che Torino, e quindi anche la sua Accademia, vissero negli anni in cui le guerre e i plebisciti portarono all’unifi cazione della penisola5. Infatti il 17 marzo 1861 il parlamento subalpino proclamò il Regno d’Italia e nel 1865, in base alla discussa «Convenzione di settembre» con Napoleone III, la capitale del nuovo regno passò da Torino a Firenze. Questo trasferimento, accompagnato da malintesi e tensioni, colse di sorpresa i torinesi e diede origine anche alle sommosse del settembre 1864. Nel volume che nel 1883 celebrava il primo centenario dell’Accademia delle Scienze di Torino, le brevi note storiche sono addirittura ellittiche ri- guardo agli anni dell’unità d’Italia: quattro facciate vengono dedicate alla storia dell’Accademia dalle origini nel 1757 sino al 1835; invece il silen- zio cala sul quasi mezzo secolo successivo e la narrazione porta ex abrupto dal 1835 al 1881, anno ricordato in tre sole righe: «Con l’anno 1881-1882 l’Accademia fece al suo antico statuto alcune modifi cazioni per metterlo d’accordo colle sue condizioni presenti alquanto mutate dalle antiche: le nuove modifi cazioni vennero approvate da S. M. il dì 2 febbraio 1882»6. Infatti le condizioni erano «alquanto mutate» già dal 31 gennaio 1861, quan- do era stato emanato il Regio Decreto «col quale la Regia Accademia delle Scienze con l’annesso Osservatorio astronomico è posta sotto le dipendenze

4 Giorgio Del Vecchio, Storia della fi losofi a del diritto, Giuffrè, Milano 19465, p. 117 s. 5 Si unirono per plebiscito al Piemonte nel 1848 il Ducato di Parma e Piacenza e la Lombardia; nel 1849 il Ducato di Modena e Reggio, e quello di Parma; nel corso del 1860 le ex Legazioni Pontifi cie, la Toscana, le Marche, l’Umbria, mentre Nizza e la Savoia si dichiara- vano favorevoli a passare alla Francia; infi ne i plebisciti per il ebbero luogo nel 1876 e per il Lazio nel 1870. Nel corso di questo movimento plebiscitario ebbe luogo la Seconda guerra d’indipendenza, dall’aprile al luglio del 1859. 6 Gaspare Gorresio, Notizia storica della R. Accademia delle Scienze di Torino, p. 6, in Il primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino. Notizie storiche e bibliografi che (1783- 1883), Paravia, Torino 1883, pp. VIII-591. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 9 del Ministero di Pubblica Istruzione», così come era già era avvenuto per le accademie «delle provincie della Lombardia, della Toscana e dell’Emilia»7. Intanto quel ministero veniva trasferito da Torino a Firenze, e poi a Roma. Per iniziare a colmare il silenzio su Albini, è sembrato utile affi ancare all’analisi della sua vita e delle sue opere non soltanto qualche riferimento a chi si è occupato di lui (cfr. § 12), ma anche alcuni documenti inediti. Anzitutto viene qui pubblicata – nell’inedita traduzione manoscritta del- lo stesso Albini – la recensione del suo Saggio analitico sul diritto, scritta da uno dei maggiori giuristi tedeschi dell’Ottocento, Carl Joseph Anton Mittermaier (1787-1867) (Appendice I). Ad essa segue la traduzione in italiano dell’articolo sul diritto penale del Piemonte che Albini pubblicò, anonimo e in tedesco, sulla rivista di Mittermaier (Appendice II) e che sino- ra era di fatto ignoto in Italia. Altri documenti saranno oggetto di una prossima Memoria. In essa, la bibliografi a di Albini fornirà un panorama fi nora mancante della sua pro- duzione scientifi ca. Inoltre verranno pubblicati due cospicui carteggi che documentano l’interesse di Albini per la riforma dell’insegnamento univer- sitario del diritto (con una particolare attenzione alla fi losofi a del diritto) e la sua apertura alle riforme liberali, moderate ma fondamentali, che in campo penalistico si andavano discutendo e realizzando in Piemonte, in Italia e in Europa. Il primo gruppo di lettere8 (brevemente descritto al § 9) è diretto al Conte Federico Sclopis di Salerano9, fi gura centrale dell’Accademia di quegli anni e punto di riferimento nell’attività scientifi ca e politica di Albini. Il secondo e più nutrito gruppo di lettere è il carteggio con Karl Mittermaier (§ 11, b)10, che attesta il respiro europeo dei problemi affrontati da Albini,

7 Il testo di questo Decreto Reale è nel volume Il primo secolo della R. Accademia delle Scienze di Torino, cit., p. 55. 8 Il carteggio si compone di 15 lettere di Albini a Sclopis conservate nell’Archivio dell’Ac- cademia delle Scienze di Torino e di 11 lettere di Sclopis ad Albini conservate nella Biblioteca Patetta dell’Università degli Studi di Torino, Fondo Albini, Lettere di F. Sclopis. Delle prime, tre sono pubblicate da Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., pp. 299-304: Albini a Sclopis, 12 dicembre 1839; 17 dicembre 1839; 3 novembre 1840. 9 Sulla carriera politica di Federico Sclopis, cfr. la dettagliata commemorazione tenuta al Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 15 maggio 1878: http://notes9.senato.it/ Web/senregno.NSF/9a9ed8f00e7e7ad6c12570000030610a/bc2839ae3d75c5ffc1257069003 1873c?OpenDocument. 10 Il carteggio si compone di 29 lettere di Albini a Mittermaier conservate nell’Archivio della Universitätsbibliothek dell’Università di Heidelberg e di 18 lettere di Mittermaier ad Albini con- servate nella Biblioteca Patetta dell’Università degli Studi di Torino, Lettere di K.J.A. Mittermaier. Di queste ultime, una lettera di Mittermaier ad Albini (Heidelberg, 24 novembre 1843), è pubbli- 10 Mario G. Losano tanto nello studio degli indirizzi più attuali della fi losofi a del diritto quan- to nelle riforme del diritto penale e dell’insegnamento universitario. In quest’ultimo campo la sua operosità promosse e consolidò l’insegnamento della fi losofi a del diritto nell’università di Torino: Albini si colloca così tra i fondatori d’una tradizione che dura ancora ai nostri giorni. 2. La fi losofi a del diritto a Torino dal Risorgimento al Novecento A Torino l’insegnamento della fi losofi a del diritto inizia con il regola- mento della Facoltà di Leggi del 1846, con la riforma di Cesare Alfi eri11 che rende materia obbligatoria i “Principii razionali di diritto”, intendendo con essi «i principii immutabili del giusto che le leggi procurano di ridurre in atto». La cattedra sorgeva dunque nel pieno fermento risorgimentale e aveva come punto di riferimento gli ideali liberali sul piano politico e lo Statuto Albertino del 1848 su quello giuridico: «Nell’istituzione del nuovo insegna- mento, – notava Solari, – era implicita una professione di fede liberale e costituzionale»12. Nei dibattiti sulla riforma universitaria Albini difese la fi losofi a del di- ritto, materia che egli stesso insegnava, e ottenne che essa si consolidasse come materia obbligatoria. Essa in realtà era obbligatoria nella riforma di Cesare Alfi eri, ma quando la si volle derubricare a materia complementare Albini vi si oppose con energia13. Intervenne di nuovo quando il “Progetto Pescatore” voleva di fatto eliminare la fi losofi a del diritto dal curriculum di studi14. Il modello di insegnamento giuridico (e, in particolare, giuridico-fi - cata da Laura Moscati, Cultura storico-giuridica subalpina, cit., pp. 305-307. 11 Cesare Alfi eri di Sostegno (1799-1869), dopo una brillante carriera diplomatica, fu – tra l’altro – magistrato per la riforma degli studi. Nel 1847, quando venne istituito il Ministero della pubblica istruzione, ne fu il primo titolare. 12 Gioele Solari, La vita e il pensiero civile di Giuseppe Carle, in «Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino», Serie II, vol. LXVI, Bocca, Torino 1928, pp. 39-188 (an- che separatamente: Bocca, Torino 1928, 191 pp.); la citazione è p. 23. Quest’opera di Solari, dettagliata ed eruditissima, contiene non soltanto un’analisi del pensiero di Carle, ma anche una storia in nuce dell’insegnamento a Torino della fi losofi a del diritto. Un panorama più ridotto è anche in Giuseppe Carle, La fi losofi a del diritto nello Stato moderno, Utet, Torino 1903, 542 pp., il cui Capitolo IV, intitolato La crisi odierna della fi losofi a del diritto, pp. 387- 420, descrive l’insegnamento di questa materia in Piemonte. Si tenga conto che il titolo La fi losofi a del diritto nello Stato moderno era già stato usato da Carle in un articolo di 12 pp. pubblicato nel 1901 su «Nuova Antologia». 13 Proposta dell’avvocato professore Albini, «Giornale della Società d’istruzione e d’educa- zione», 1849, pp. 104-107. 14 Osservazioni critiche sul Progetto Pescatore, «Giornale della Società d’istruzione e d’edu- cazione», 1852, pp. 17-28. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 11 losofi co) era nettamente ispirato alla Germania e, in particolare, alla Prussia. In questo Albini seguiva una tendenza diffusa in Piemonte, come attesta la monumentale relazione di Botta e Parola sulla loro missione in Germania15. I giuristi chiamati alla nuova cattedra erano quasi tutti di sentimen- ti liberali: si può dire che la cattedra nasceva con una vocazione civile, indipendentemente dal modello fi losofi co proposto. Nel 1846 venne chia- mato Felice Merlo (1792 [o 1793]-1849), civilista che si era ispirato a Vico e Gioberti, e liberale che aveva sofferto la disfatta del 1848 sino a morirne. Con la chiamata di Pietro Luigi Albini si passò dall’ispirazione giobertiana a quella rosminiana, ma sempre in chiave liberale. Albini morì nel marzo 1863, quindi ad anno accademico iniziato: per questo il corso di quell’anno venne portato a compimento da Luigi Mattirolo, mentre dal 1863 al 1868 la cattedra venne tenuta da Bruno Daviso16, la cui dottrina si ispirava tanto a Gioberti quanto a Rosmini. E rosminiano è anche il successore di Daviso, Luigi Mattirolo (1838-1904), che insegnò dal 1868 al 1872. Col passare del tempo, tuttavia, l’insegnamento ispirato al Rosmini si era progressivamente inaridito e quindi si sentiva «anche più vivo il bisogno di avviare per nuove vie la sperimentazione giuridica»17. Il terreno culturale era ormai pronto per ricevere il seme del positivismo, che venne gettato da Giuseppe Carle, successore di Mattirolo e iniziatore di una scuola torinese fortemente connotata dal pensiero sociale. Poiché Carle assunse la cattedra di fi losofi a del diritto nel 1872, questa data si presta a segnare la linea di confi ne tra la scuola risorgimentale, che fonda la catte- dra, e la scuola novecentista o sociale, che fa di quella cattedra uno dei poli d’attrazione dell’università torinese, e non solo di essa. Tuttavia alla cesura fra rosminiani e positivisti, appena illustrata, si accompagna un elemento di continuità: la cattedra tende a non allontanarsi dal pensiero liberale e sociale. Nell’arco di un secolo – dal 1872 al 1972 – tre nomi hanno illustrato quella cattedra: Giuseppe Carle, che insegnò dal 1872 al 1917; il suo allievo Gioele Solari, che insegnò dal 1918 al 1942 e dal 1945 al 1948; e Norberto Bobbio, allievo di Solari, che insegnò nel 1944 al 1945 e, poi, dal 1948 al

15 Del pubblico insegnamento in Germania. Studi del Dottore Luigi Parola e Professore Vincenzo Botta già deputati alla Camera Subalpina, Tipografi a Favale, Torino 1851, 1024 pp. 16 Brunone [anche: Bruno] Daviso, Filosofi a del diritto. Lezioni anno accademico 1865-66, Pietro De Maria librajo e neg.te in carta, Torino [1864?], 280 pp. 17 Gioele Solari, La vita e il pensiero civile di Giuseppe Carle, in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, vol. LXVI, Bocca, Torino 1926, Parte II, n. 8, p. 33 dell’estratto. Fig. 2. Busto di Pietro Luigi Albini. Loggiato del Rettorato, Università degli Studi di Torino. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 13

197218. In un secolo esatto di insegnamento della fi losofi a del diritto, accanto a questi tre nomi ne compaiono soltanto altri due, quali incaricati dell’in- segnamento per brevi interludi alla fi ne di entrambe le guerre mondiali: il processualista e penalista Cesare Civoli19, per l’anno 1917-18, e il fi losofo Augusto Guzzo20 nel 1944-45. La fi gura di Albini è all’origine di questa linea evolutiva e su di lui convie- ne ora concentrare l’attenzione. 3. La vita di Albini tra università, avvocatura e politica L’attività di Albini si divise tra l’università, l’avvocatura e, in misura mi- nore, la politica, sempre esercitate in stretto contatto con la sua terra di origine: Vigevano, dove nacque il 15 giugno 1807. Una memoria manoscritta di suo fi glio fornisce ragguagli biografi ci21. Della sua vita privata traspare ben poco dai documenti e dalle lettere: un forte senso di responsabilità verso la famiglia, un matrimonio a quasi cinquant’anni («maritata la sorella che aveva ancora in casa», nel 1856 «ho unito la mia sorte colla fi glia d’un distinto av- vocato di Vercelli»22), qualche problema di salute, l’intersecarsi dell’attività forense con quella universitaria. L’attaccamento alla sua terra, unita alla professione di avvocato, lo porta- va ad occuparsi anche di problemi minori, come dimostra la petizione inviata alla Camera dei deputati nel 1850 – quando egli non era più parlamentare –

18 Rinaldo Orecchia, La fi losofi a del diritto nelle università italiane. 1900-1965. Saggio di bibliografi a, Giuffrè, Milano 1967, XLIII-467 pp.; cfr. anche Norberto Bobbio, Autobiografi a. A cura di Alberto Papuzzi, Laterza, Roma – Bari 1997, p. 168. Dopo il 1972 Bobbio insegnò infatti fi losofi a della politica presso la facoltà torinese di scienze politiche. 19 Luigi Cesare Civoli (1861-1930) fu ordinario di diritto e procedura penale nelle Università di Pavia e, poi, di Genova: Antonio Falchi, Cesare Civoli. Necrologio, «Rivista italiana di dirit- to penale», 1931, n. 3-4, pp. 342-344; Rinaldo Orecchia, La fi losofi a del diritto nelle università italiane. 1900-1965. Saggio di bibliografi a, Giuffrè, Milano 1967, cit., p. 105. Non registrano sue opere di fi losofi a del diritto né Orecchia né il Clio (Catalogo dei libri italiani dell’Ottocen- to (1801-1900), Editrice Bibliografi ca, Milano 1991, 19 voll.). 20 Augusto Guzzo (1894-1986) fu ordinario di fi losofi a teoretica all’Università di Torino: Armando Plebe et al., Augusto Guzzo, Edizioni di “Filosofi a”, Torino 1964, 127 pp. (seconda edizione); Gioele Solari, La dottrina della giustizia nel sistema della moralità di Augusto Guzzo, «Rivista di fi losofi a», 1951, n. 4, pp. 378-398. Guzzo scrisse il necrologio di Gioele Solari in «Filosofi a», 1952, pp. 472-473 e, inoltre, Incontri con Gioele Solari, in Gioele Solari. 1872-1952. Testimonianze e bibliografi a nel centenario della nascita, in «Memorie dell’Accademia delle Scienze. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche», Serie IV, n. 26, Torino 1972, pp. 1-8. 21 Fondo Albini presso la Biblioteca Patetta dell’Università di Torino, cit. da Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., p. 169, nota 112. 22 Albini a Mittermaier, Torino, 31 gennaio 1856, cfr. nota 10. 14 Mario G. Losano sui danni provocati dalla Prima guerra d’indipendenza ad alcuni agricoltori vigevanesi: «Possedendo essi dei fondi lungo la riva e sulla costa del Ticino ebbero a soffrire gravi danni causati dalle Regie Truppe nell’agosto 1848 quando, reduci dalla Lombardia, si accamparono nei detti loro fondi o in vicinanza ai medesimi specialmente per la quantità considerevole di piante atterrate o guaste». La petizione di Albini richiamava su di essi l’attenzione dei politici, affi nché «non sieno essi[,] che vennero danneggiati dalle truppe dello Stato in semplice accampamento, in condizione inferiore a quelli che soffrirono danni in occasione di guerra guerreggiata»23. Per ragioni di brevità mi concentrerò sulla sua attività universitaria, esa- minando solo marginalmente la sua attività di giurista pratico, che venne esercitata presso il Regio Senato di Casale Monferrato, ma che qui interessa perché trovò rifl esso anche in varie pubblicazioni sul diritto positivo, una delle quali è esaminata al § 7. Alla sua attività politica, che nel 1848 lo vide deputato nella Prima legislatura del Parlamento Subalpino, è dedicato il § 8. Albini si laureò in giurisprudenza all’Università di Torino, presentando la tesi di licenza nel 1828 e quella di laurea nel 1829: il verbale del suo esame di tesi porta la data del 9 maggio 182924. In quegli anni giovanili l’attività universitaria si accompagna a quella forense: nel 1831 ottenne la patente per patrocinare nelle cause civili e penali e nel 1832 venne dispensato dal compiere l’anno di pratica presso l’Avvocato dei Poveri25. Subito iniziò ad insegnare materie giuridiche, dapprima nel 1831 nel- la stessa Vigevano come ripetitore privato, poi nel 1832 come insegnante pubblico nelle Regie Scuole Universitarie di Novara. In quest’ultima sede insegnò diritto canonico e diritto civile (1836-1842) e poi diritto canonico e diritto penale (1842-1846). Questa docenza iniziale lasciò un segno – sotto forma di uno specifi co interesse per il diritto matrimoniale – anche quando la riforma universitaria lo portò nel 1846 all’Università di Torino, dove insegnò una nuova mate- ria introdotta appunto dalla riforma: «Enciclopedia e storia del diritto». Il

23 Archivio storico della Camera dei deputati, Fondo Petizioni (1848-1938): Petizione alla Camera dei Deputati, Commissione sul progetto di legge relativo, 2290, 21 febbraio 1850 (aggiunta d’archivio: 1849); corsivo di Albini. Descrizione del documento: http://archivio. camera.it/patrimonio/archivio_della_camera_regia_1848_1943/are12/documento/CD3700 001790?s=3se586a6cedfb2cb&d=0). 24 Archivio Storico dell’Università di Torino, Verbali degli esami pubblici (coll.: X.C.67, p. 113): Verbale della tesi di laurea del 9 maggio 1829. 25 Sulle tesi e sui brevetti forensi cfr. Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., p. 169, nota 113. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 15

10 ottobre 1846 ricevette la patente di «Professore reggente», mentre il 19 gennaio 1848 divenne «Professore effettivo». La sua affermazione universita- ria precedette di poco la Prima Legislatura del Parlamento subalpino, durata dall’8 maggio 1848 al 30 dicembre 1848, dopo la quale Albini non fu più rieletto. La sua carriera universitaria, qui illustrata sinteticamente, verrà docu- mentata più in dettaglio trattando della sua corrispondenza con Federico Sclopis, che fu il suo sostenitore nelle sue varie attività: cfr. § 9, a. Nel 1849 passò alla cattedra di «Principii razionali del diritto», cioè alla materia introdotta anch’essa dalla riforma del 1846 per conferire unità di in- dirizzo alle materie giuridiche. I «Principii razionali del diritto», in seguito, presero anche il nome di «Diritto naturale» o di «Filosofi a del diritto». La cattedra di enciclopedia giuridica venne affi data a Giuseppe Buniva26. L’affermazione della materia enciclopedica, e quindi il suo accoglimento tra le nuove materie introdotte dalla riforma del 1846, è legata anche ad uno dei primi libri di Albini: il Saggio analitico sul diritto del 183927, un vasto scritto che ricava da una pluralità di fonti le idee per sistemare (ed anche insegnare) il diritto positivo: cfr. § 4, a. Poiché la cattedra comprendeva una parte analitica (l’enciclopedia) e una parte storica (per la quale Albini si proponeva di offrire un libro di testo), nel 1847 egli pubblicò Elementi della storia del diritto in Italia dalla fonda- zione di Roma sino ai nostri tempi: una sintesi storica del diritto «in Italia», poiché di «diritto italiano» non si poteva ancora parlare. Il volume è inte- ressante come progetto pionieristico, anche se non del tutto riuscito nella sostanza. Proprio sul suo carattere pionieristico si fondò la sua fortuna, che portò ad una seconda edizione riveduta del 1854, il cui titolo divenne Storia della legislazione in Italia: cfr. § 5, b.

26 Giuseppe Buniva, di famiglia pinerolese, insegnò diritto all’Università di Torino e di- venne poi magistrato. Come consigliere comunale di Torino operò per il miglioramento del- le scuole e dell’università. Opere: Enciclopedia del diritto, ossia Introduzione generale alla scienza del diritto ad uso degli studenti del primo anno di legge, Paravia, Torino 1850, 339 pp. Della seconda edizione – Enciclopedia del diritto. Ossia introduzione generale alla scienza del diritto. Dell’avvocato collegiato Giuseppe Buniva professore di Enciclopedia e storia del di- ritto nella regia Università di Torino, Paravia, Torino 1853, 304 pp. – è disponibile il testo on line: http://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=hvd.hl3lhh;seq=7;view=1up;num=3). Pubblicò inoltre: Trattato sulle successioni giuridiche e testamentarie secondo il codice del Regno d’Ita- lia, Torino 1867; Trattato del diritto delle persone secondo il Codice civile del Regno d’Italia, Torino 1871. 27 Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale. Di Pietro Luigi Albini, Avv. e Prof. di diritto nelle RR. Scuole Universitarie di Novara, Coi Tipi di Pietro Vitali e Comp., Vigevano 1839, 360 pp. 16 Mario G. Losano

Le idee fi losofi che di Albini si discostano da quelle del suo predecessore, il giobertiano Felice Merlo. Anche se Albini non ebbe contatti diretti con Rosmini né lo si può interamente ascrivere alla sua scuola, ne subì la forte in- fl uenza: il nuovo Stato liberale delineato dallo Statuto Albertino doveva per lui avere come fi ne ultimo la libertà dell’individuo. Anche se la sua cattedra si chiamava «Principii razionali del diritto» (sotto l’infl usso del razionali- smo kantiano) il suo forte senso religioso gli fece accettare le concezioni di Rosmini, tanto che nel 1859, nella nostra Accademia, presentò un saggio dal rosminiano titolo: Del principio supremo del diritto. Comunque, ricorda Solari, «l’Albini non ebbe rapporti personali e famigliari col Rosmini, nel cui epistolario troviamo una sola lettera del 5 febbraio 1845 all’Albini, di ringra- ziamento per l’invio del Saggio analitico e di elogio per il grande sapere e per la molta rettitudine di giudizio che l’Albini dimostra»28. Nell’ultimo decennio della sua vita, le sue opere rifl ettono queste conce- zioni di origine rosminiana, unite però all’attenzione per il diritto positivo che gli veniva dalla pratica forense e ad un vivo senso della storia giuridica derivante dai suoi esordi nell’insegnamento dell’enciclopedia giuridica. A partire dal 1857 alcune sue opere portano esplicitamente il titolo di «fi lo- sofi a del diritto»29 e della storia di questa materia Albini si occupò sino agli ultimi anni della sua vita. La nostra accademia conserva traccia di due suoi interventi sul fi losofo fi orentino Giovanni Maria Lampredi (1731-1793), che non poterono divenire una Memoria parallela a quella su Genovesi30 perché la morte ne interruppe la stesura. Ne resta una sintesi, scritta in occasione delle due adunanze in cui Albini presentò il suo lavoro: essa verrà esaminata alla fi ne del § 4. Lo studio su Lampredi del giugno 1861 fu l’ultimo contributo di Albini alle attività dell’Accademia. Ma fi no all’ultimo anche la sua alacrità didattica non ebbe sosta, come attestano le dispense litografate delle Lezioni, pub- blicate a Torino negli anni 1860-61 e 1861-62. Albini insegnò dunque sino

28 Solari, La vita e il pensiero civile di Giuseppe Carle, cit., p. 26, nota 3 dell’estratto. 29 Albini, Principii di fi losofi a del diritto, Tip. Antonio Spargella e Figlio, Vigevano 1857, 156 pp.; id., Dottrine fi losofi che sul diritto di A. Genovesi, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», Stamperia Reale, Torino 1859, Serie II, Tomo XVIII, pp. 185-225. 30 Nell’adunanza del 9 giugno 1859 Albini «legge una Memoria intorno alle dottrine fi losofi che sul diritto di Antonio Genovesi» (Gaspare Gorresio, Sunti dei lavori scientifi ci letti e discussi nella Classe di scienze morali, storiche e fi lologiche della Reale Accademia delle Scienze di Torino dal 1859 al 1865, Stamperia Reale, Torino 1868, pp. V-335; la cita- zione è a p. 7 s.), poi pubblicata: Delle dottrine fi losofi che sul diritto di Antonio Genovesi, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», Stamperia Reale, Torino 1859, Serie II, Tomo XVIII, pp. 185-225. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 17 al 1862: la sua vita si concluse l’anno dopo, quando non aveva ancora rag- giunto l’età di cinquantasei anni. Nel commemorarlo all’Accademia delle Scienze, l’oratore constatò: «Fu molto laboriosa e forse troppo la sua vita»31. 4. Le opere di fi losofi a del diritto Le principali opere di Albini si possono organizzare in tre fi loni che si in- tersecando costantemente nella sua vita: la fi losofi a del diritto (cui è dedicato il presente paragrafo), l’enciclopedia del diritto e la storia del diritto (§ 5) e, infi ne, le sue prese di posizione sui diritti e sulle libertà del cittadino (§ 6), in particolare sulla pena di morte e sulla libertà d’insegnamento, cui vengono qui associati i suoi contributi per riformare l’insegnamento del diritto. A fondamento dell’intera sua opera sta una visione del diritto come prodotto dello «spirito del popolo», secondo gli insegnamenti della Scuola Storica tedesca: «Il diritto si sviluppa nel popolo e per mezzo del popolo come la sua lingua» (e quindi, come si vedrà alla fi ne di questo paragrafo, lo strumento più adatto ad esprimerne ogni concetto è «la lingua nazionale»)32. Anche più tardi ritorna questa convinzione: «Il diritto è per lo più una conseguenza della condizione e delle vicende politiche di un popolo, e l’e- spressione del suo stato intellettuale e morale»33. L’attività di giurista pratico porta Albini ad associare questa convinzione all’applicazione e all’innova- zione del diritto positivo: quindi per Albini diritto e politica costituiscono un binomio inscindibile. A questo duplice indirizzo fa riferimento anche il titolo della sua prima opera del 1839 – dedicata appunto alla «scienza ed istruzione politico-legale» – sulla quale ci si concentra qui di seguito. Tra le sue opere analizzerò nei prossimi tre paragrafi quelle che mi paiono esprimere meglio alcune sue idee fondamentali. Poiché le opere di Albini non sempre sono facilmente accessibili, ho preferito citare letteralmente mol- ti suoi passi, in modo che sia l’autore stesso ad esprimere le proprie idee; il numero di pagina riportato alla fi ne di ogni citazione si riferisce all’opera in esame, mentre i rinvii ad altre opere sono contenuti nelle note a piè di pagina. a) Saggio analitico sul diritto (1839) Il trentaduenne Albini inviò all’autorevole senatore Federico Sclopis il suo Saggio analitico sul diritto fresco di stampa, presentandosi come «giova-

31 Gorresio, Sunti, cit., p. 179; cfr. nota 110. 32 Albini, Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale, Vitali, Vigevano 1839, 360 pp.; la citazione è a p. 327. 33 Albini, Elementi della storia del diritto in Italia dalla fondazione di Roma sino ai nostri tempi e nella monarchia di Savoia in particolare, Mussano, Torino 1847, Prefazione, p. XI. 18 Mario G. Losano

ne senza nome nella Repubblica letteraria»34. Infatti questa sua opera prima doveva essere il suo biglietto d’ingresso nel mondo accademico torinese, di cui egli era peraltro indirettamente par- tecipe attraverso l’insegnamento a Novara. Bisogna però tener presente che, nella percezione so- ciale e nella vita istituzionale di quegl’anni, il tecnico del diritto era l’avvocato, e non il professore universitario. Per questa ragione Albini si presenta nei suoi scrit- ti come «Avvocato Professore» e, in un certo momento della sua vita, fu addirittura sul punto di ri- nunciare alla carriera accademica Fig. 3. Copertina del Saggio analitico sul per non allontanarsi da Vigevano, diritto di Pietro Luigi Albini. sede della sua attività di avvocato (cfr. § 9, a). Questo Saggio analitico può essere ritenuto la sua opera più importante, perché contiene in nuce i temi degli sviluppi successivi del suo pensiero, che si indirizzò tanto all’approfondimento dei temi fi losofi ci e storici, quan- to alla riforma dei corsi di giurisprudenza. La sua opera sull’enciclopedia giuridica (cfr. § 5, a) è anzi direttamente derivata da questo volume: «Nel comporre questo lavoro non ho potuto a meno di valermi di ciò che avevo scritto nel Saggio analitico, ma ho variato e resecato molte cose ed aggiuntene alcune altre»35. Infatti il «mio Saggio sul diritto», spiega a Mittermaier, «è in sostanza un’Enciclopedia e metodologia legale distin- guendo l’enciclopedia interna dall’esterna»36; ed espone a Mittermaier quali parti del volume potrebbero essere trasformato in un trattato di- dattico di enciclopedia giuridica37. Grazie alla mediazione di Sclopis

34 Albini a Federico Sclopis, s.d. (ma verosimilmente 1839), cfr. nota 8. 35 Albini a Sclopis, Vigevano, 7 settembre 1856, cfr. nota 8. 36 Albini a Mittermaier, Torino, 11 marzo 1846, cfr. nota 10. 37 «Con questi cambiamenti il mio libro potrebbe servire per un trattato scolastico di enci- clopedia legale. Veramente il mio lavoro non mi pare che si scosti gran fatto nella sostanza e nella forma dalle Enciclopedie di Falk e di Wening e di altri», Albini a Mittermaier, Torino, Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 19 il Saggio analitico giunse anche a Mittermaier, che ne scrisse una recensione elogiativa, commentata nel § 10, b e tradotta nell’Appendice I. Il Saggio di Albini è veramente analitico perché – ricalcando la struttura dell’«enciclopedia giuridica» allora insegnata nelle università germaniche – rende conto minuziosamente non solo del diritto positivo e della scienza che di esso si occupa, ma anche di alcuni rami dello diritto allora poco coltivati dai giuristi, come il diritto pubblico, e di alcune altre discipline rilevanti per il diritto, come l’economia, la statistica, l’eloquenza e la religione. Data la va- stità degli argomenti affrontati in questo Saggio analitico, è possibile esporne qui di seguito soltanto alcuni punti salienti. Sull’esempio francese e tedesco, il Piemonte aveva introdotto l’ insegna- mento dell’«enciclopedia giuridica» come materia preparatoria allo studio delle singole discipline giuridiche. Tuttavia secondo Albini «l’Italia manca di una buona enciclopedia e metodologia politico-legale, che pur sarebbe tanto utile per iniziare la gioventù agli studi politico-legali» (p. 11). Egli ritiene che solo l’enciclopedia di Zambelli «si accosti alle enciclopedie legali d’Alemagna» (anche se «manca della parte metodologica»)38. Invece la tra- duzione italiana fatta da Giuseppe Brambilla dell’enciclopedia dell’austriaco Hess39 gli sembra meno utile perché essa «venne composta secondo il siste- ma d’insegnamento politico-legale stabilito per le università e i licei degli Stati ereditarii tedeschi della monarchia austriaca» (p. 11 e nota 1). Albini nota un miglioramento degli studi «segnatamente in Germania», ma qualcosa si muove anche «nella nostra Italia, ove generalmente in questa parte al presente non si ha motivo di lodarsi gran fatto» (p. 10). In Piemonte si vanno aprendo nuove prospettive, perché «noi specialmente ci troviamo in un’epoca opportunissima a ridurre l’insegnamento legale a miglior con- dizione; mercecché ci attende la riforma generale della patria legislazione» e quindi anche «il riordinamento degli studi legali»40.

14 agosto 1846, cfr. nota 10. 38 Barnaba Vincenzo Zambelli, Saggio sulla introduzione enciclopedica allo studio politico- legale, Stamperia Mazzoleni, Bergamo 1823, 2 voll. 39 Albert von Hess, Introduzione enciclopedico-metodologica allo studio politico-legale per le università ed i licei degli Stati ereditari tedeschi della monarchia austriaca secondo la sua attuale organizzazione del dott. Alberto de Hess […]. Prima versione italiana di Giuseppe Brambilla [...], Stamperia Fusi e Compagno successori de’ Galeazzi, Pavia 1820, XVI-123 pp.; edizio- ne originale: Encyclopädisch-methodologische Einleitung in das juridisch-politische Studium an den Universitäten und Lyceen der deutschen Erbländer des Oesterreichischen Kaiserthums nach seiner jetziger Einrichtung, Geistinger, Wien – Triest 1813, 94 pp. (digitalizzata presso la Österreichische Nationalbibliothek: http://data.onb.ac.at/ABO/%2BZ16213280X). 40 Albini, Saggio analitico sul diritto, cit., p. 10. Cfr. anche Sclopis, «Annali di Giurisprudenza», 20 Mario G. Losano

In questa prospettiva di riforma ormai prossima, il libro di Albini af- fronta la scienza del diritto ponendo la «grande questione del metodo più acconcio per insegnarla, ed apprenderla» (p. 11). A questo fi ne egli si pro- pone un compito innovativo non nella sostanza, ma nella didattica, che così sintetizza nella Prefazione: «Il titolo stesso di questo scritto mostra abbastanza, che esso non ha per iscopo di proporre nuovi sistemi, o di mettere innanzi peregrine teorie. Si tratta unicamente di dare una succinta esposizione di tutti gli oggetti, e di tutte le parti della scienza del diritto in consonanza allo stato attuale della medesima, di far conoscere la mutua loro corrispondenza o connes- sione, di apprendere segnatamente alla gioventù: che cosa sia la scienza del diritto, di presentare alcuni cenni sul metodo, con cui o nel privato o nel pubblico insegnamento si potrebbe acquistare la più fondata, e completa istruzione nelle materie politico-legali, onde procurarsi la capacità di di- rigere con avvedimento, e col successo che si possa migliore, i privati, e i pubblici affari» (p. 5, corsivo di Albini). Inoltre, quasi a giustifi care le inevitabili imperfezioni del libro, Albini adduce un argomento ricorrente anche in altri suoi scritti e nella sua corri- spondenza: a questi studi «ho atteso ne’ ritagli di tempo, che mi lasciano la cattedra, e il foro» (p. 11). Il fondamento della trattazione è dato dalla Connessione tra diritto e politica (pp. 43-45)41, cioè dall’idea che lo Stato deve essere Stato di diritto: «il gover- no, dovere del quale si è avere di mira in ogni sua operazione la felicità sociale, non può violare le norme segnate dalla giustizia» (p. 43). Infatti la politica non è fatta di «felici perfi die», ma – come insegna Romagnosi, «il ristauratore [sic] delle scienze politico-legali» – «la politica è prudenza, e saggezza, e non è pru- denza, non è saggezza quella che colla giustizia contrasta» (p. 44). Insomma: «il diritto mostra ciò che si dee fare, la politica insegna come ciò si debba fare, e quello che in dati tempi e luoghi, e poste le date circostanze, si possa fare» (p. 45). In altre parole, secondo le teorie del penalista Hepp42, il diritto mostra ciò che è civilmente giusto, la politica ciò che è civilmente buono. Dunque, «la politica è parte del diritto» (p. 44) e, in particolare, Albini dedica un intero paragrafo alla Subordinazione della politica al diritto (§ 30, ottobre 1836, p. 393. 41 Albini, Saggio analitico sul diritto, cit., Capo IV, Il diritto e la politica. § 28. Nozione e uffi cio della politica, p. 42 s.; § 29, Connessione tra diritto e politica, pp. 43-45. 42 Carl Ferdinand Theodor Hepp (1800-1851), autore di numerose opere di diritto penale, colti- vò anche interessi fi losofi ci; cfr. Ueber den gegenwärtigen Stand der Streitfrage über die Zulässigkeit der Todesstrafe, Osiander, Tübingen 1835, 83 pp.; digitalizzato (come molti altri scritti di Hepp): http://reader.digitale-sammlungen.de/de/fs1/object/display/bsb10975691_00087.html. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 21 p. 45 s.). In questa subordinazione si manifestano gli ideali liberali dell’epoca: la politica «dee aver per guida il diritto nel restringere la libertà individuale, e nel far concorrere i privati a sostenere i comuni pesi sol quanto è neces- sario a procurare il ben essere [sic] generale. Ogni restrizione, ogni peso imposto al di là del limite segnato da questa necessità è una violazione della padronanza personale» (p. 45). Nel distribuire la materia da esporre nel suo libro, Albini distingue la scienza del diritto dal suo oggetto, che sono le norme «razionali o positive», e da queste ultime inizia l’esposizione. Illustrato che cosa è il diritto, si può passare alla scienza del diritto: «Il sistematico ordinamento delle cognizioni riguardanti il diritto ed il governo della società civile forma la scienza poli- tico-legale», che «nella sua vastità comprende molti sistemi di cognizioni», «come tanti circoli concentrici ad uno più grande che tutti li abbraccia nella sua circonferenza» (p. 6 s.): di qui l’esigenza (didattica) di dare una nozione del sistema generale e dei suoi sottosistemi. Dopo aver descritto il diritto e la sua scienza, Albini illustra il metodo didattico migliore «che aver debbe una istruzione politico-legale, affi nché valga a raggiungere il suo scopo, e degli amminicoli [sic], che ne possono agevolare il conseguimento» (p. 7). I tre temi affrontati nel libro sono quindi «diritto, scienza, ed istruzione legale» (p. 8) e ad essi corrispondono le tre parti in cui si articola il libro stesso. Si potrebbe criticare l’impostazione di base, cioè la divisione fra diritto e la sua scienza, accettando invece le ragioni di Abegg43 che ne propone la «fusione, e simultanea trattazione». Tuttavia – anche se l’unione tra «la scienza e il suo oggetto […] possa forse riuscire più acconcia in un libro destinato all’insegnamento scolastico» (p. 9) – Albini preferisce tenere se- parati i due livelli didattici. Infatti ritiene che «meglio sarebbesi ottenuto lo scopo» didattico «se prima si fossero trattati e classifi cati nell’ordine, che più conveniente sembrasse, i molteplici e svariatissimi oggetti, sui quali s’aggira la scienza del diritto, e poi si fosse venuto distintamente ragionando della scienza stessa, ed analizzandola nelle sue parti» (p. 9). Da questa visione discende l’impostazione dell’opera, che nella prima par- te descrive il diritto positivo, nella seconda la scienza del diritto e nella terza le tecniche per l’insegnamento del diritto. Ciascuna di queste parti presenta una struttura molto articolata, di cui si può fornire solo un’idea generale. Il primo libro si divide in due parti: la prima, Del diritto in generale, parte

43 Julius Friedrich Heinrich Abegg, Encyclopädie und Methodologie der Rechtswissenschaft im Grundrisse. Nebst einer Abhandlung über die wissenschaftliche Darstellung des Rechts, Unger, Königsberg 1823, 136 pp. 22 Mario G. Losano dalle nozioni generali dei diritti e dei doveri, dei rapporti fra diritto e morale e dell’evoluzione della società dallo stato di natura fi no alla società moderna e, quindi, dei rapporti fra diritto e politica. La seconda parte, Divisione ed analisi del diritto sociale, analizza il diritto positivo della società coeva (di qui la designazione di diritto «sociale»), con una trattazione inconsuetamente ampia rispetto alle trattazioni del tempo del diritto amministrativo (cap. VII) e del diritto di polizia (cap. V). Un tema originale che meriterebbe un’analisi a parte è il breve cap. VIII sul Diritto rimuneratorio (pp. 97-103), per il quale Albini propone «un Codice dei meriti e delle ricompense, come havvi quello dei delitti e delle pene» (p. 99). Esaurita la descrizione del diritto privato, nel Secondo Libro, Delle scienze politico-legali Albini passa alla descrizione della scienza giuridica, vincolandola alla scienza politica e soffermandosi – in modo ancora una vol- ta inconsueto in questo tipo di trattazione – sull’economia politica e sulla statistica (cap. VI e VII di questo Libro). Infi ne il Terzo libro, Dell’importanza e del metodo dell’istruzione politico- legale, passa in rassegna le tecniche per l’insegnamento del diritto, che si fonde con una rassegna storica «sulle vicende dell’istruzione politico-legale», da Giustiniano e dai glossatori fi no all’insegnamento giuridico nei princi- pali Stati d’Europa (Germania, Austria, Paesi Bassi, Francia, Inghilterra) e d’Italia (Romagna, Toscana, Stati Sardi). In questa parte Albini scende nei dettagli della struttura che dovrebbe avere una facoltà giuridica moderna, una facoltà che si liberi cioè dagli ultimi residui dell’epoca feudale: in quegli anni, infatti, la società subalpina viveva sul crinale che separava la stasi della Restaurazione dalle riforme carloalbertine. Per questo Albini si chiede Se nelle lezioni e nei trattati scolastici, si debba usare la lingua italiana, o la latina (cap. IX, pp. 326-334) e, richiaman- dosi anche a Napione44, sostiene che è necessario che «le opere scientifi che vengano redatte nella lingua nativa, e non nella latina» (p. 326). Questa con- vinzione si ricollega tanto alla genesi del diritto e della lingua dalla storia del popolo, quanto alla constatazione pratica che, anche nel diritto, la lingua da usare deve essere quella «con cui il popolo esprime ogni altra sua idea o concetto, cioè la lingua nazionale» (p. 327). Di fatto, bisognerebbe «tradurre le voci e le frasi nazionali esprimenti i concetti giuridici in lingua latina»; ma allora, chiede Albini, «a qual prò tutta questa fatica, se i giovani, valendosi poi […] delle cognizioni acquisite nelle scuole, debbono esprimersi in ita- liano, e non in latino?» (p. 307 s.). Altro discorso, come si vedrà anche nella

44 Gian Francesco Galeani Napione, Dell’uso e dei pregi della lingua italiana, Bettoni, Milano 1824, 2 voll. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 23 sua Enciclopedia (cfr. § 5, a), è che il latino sia «un’assoluta necessità» per il giurista, perché deve cimentarsi col diritto romano e canonico. In quegli anni di forte contrasto tra Stato e Chiesa uno scritto che, come quello di Albini, si poneva fi n dalle prime pagine il problema dei rapporti fra diritto e morale, nella parte sulla didattica del diritto avvertiva l’esigenza di includere una digressione sull’istruzione religiosa «perché ogni istruzio- ne riesce manchevole e imperfetta» senza di essa45. Ma come educare alla religione la «gioventù addetta ai più elevati studii?» (p. 344). Lo spirito re- ligioso di Albini deve qui armonizzarsi con il suo spirito scientifi co. Egli esige perciò un’esposizione sistematica dei dogmi, un’«istruzione religiosa scientifi camente orientata» (p. 345), cioè la «connessione delle verità religiose colle scientifi che per cui si appalesa il perfetto accordo tra scienza e religione» (p. 345). Inoltre, com’è naturale in un autore che include anche l’eloquenza forense tra le materie giuridiche, Albini chiede che l’esposizione dei dogmi re- ligiosi avvenga «con quel decoro di orazione che la sua dignità esige» (p. 350). Infi ne, tutta l’elaborazione giuridico-dottrinaria del volume confl uisce in una proposta di riforma dell’insegnamento giuridico nell’università torine- se, cioè in un Prospetto di un corso di studii politico-legali che è un vero e proprio piano degli studi diviso per annualità (pp. 312-314). Poiché questo progetto di riforma è un tema ricorrente in Albini e poiché esso ritorna nelle sue lettere a Mittermaier e venne riportato per esteso da Mittermaier stesso nella già ricordata recensione al libro di Albini, può essere utile riprodurlo qui di seguito. Prospetto di un corso di studii politico-legali I periodo annuale Enciclopedia e metodologia politico-legale (nel primo trimestre due ore al giorno). Diritto naturale privato e pubblico (nel successivo semestre due ore al giorno). Storia esterna del diritto romano preceduta da una breve storia del diritto in generale (pei due primi mesi due ore al giorno). Prima parte del corso storico-dogmatico del diritto romano (negli altri sette mesi due ore alla settimana). Storia civile ed ecclesiastica (due ore alla settimana). II periodo annuale Seconda parte del detto corso storico-dogmatico (per otto mesi due ore al giorno). Esegesi del diritto romano (nel mese successivo due ore al giorno). Diritto penale, polizia di sicurezza, e procedura penale (due ore al giorno). Storia del diritto patrio (tre volte alla settimana) Storia civile ed ecclesiastica (due ore alla settimana).

45 Albini, Saggio analitico sul diritto, cit., p. 7. Cfr. il Capo XI, Digressione sull’istruzione religiosa, pp. 344-350. 24 Mario G. Losano

III periodo biennale Anno I. Diritto civile nazionale (due ore al giorno). Diritto ecclesiastico (un’ora al giorno). Economia politica (un’ora al giorno). Diritto amministrativo (un’ora al giorno). Anno II. Continuazione del diritto civile (due ore al giorno). Continuazione del diritto ecclesiastico (un’ora al giorno). Continuazione del diritto amministrativo (un’ora al giorno). Diritto internazionale europeo (un’ora al giorno). Eloquenza forense (una lezione di due ore alla settimana)

IV periodo annuale Diritto commerciale e marittimo (un’ora al giorno). Procedure civile, amministrativa, e diritto probatorio (due ore al giorno). Scienza della legislazione e della pubblica amministrazione (un’ora al giorno). Statistica (tre ore alla settimana). Eloquenza forense (due ore alla settimana). «Questo corso d’istruzione, – avverte Albini, – sarebbe conciliabile con l’ordinamento attuale delle scuole legali» (p. 314). Il carico orario proposto non gli sembra «soverchiamente gravoso», anche perché «non fa d’uopo ci- tare esempi di università straniere ove ciò ha luogo senza sconcio alcuno»: e qui si richiama esplicitamente a Savigny (p. 314, nota 1: «Vom Beruf unserer Zeit etc, p. 143»). Albini indica inoltre come accorpare gli insegnamenti tra i docenti delle varie materie. «Con questa distribuzione il numero attuale dei professori dell’Università di Torino (essendo otto) sarebbe suffi ciente per l’insegnamento delle altre materie» (p. 314). Undici professori bastano, perché si possono accorpare le materie. In particolare, per quanto riguarda gli insegnamenti che gli stavano a cuore, «l’enciclopedia e metodologia col diritto naturale possono formare l’occupazione di un solo» docente (p. 313). Questo vasto progetto di Albini costituiva una decisa innovazione rispetto al corso di studi giuridici puramente pratico dell’epoca della Restaurazione. Ma le resistenze all’innovazione erano forti e anni dopo, esponendo a Mittermaier un analogo piano di studi, Albini esclamava: «Alcuni spingono la tenacità del vecchio sistema sino a credere inutile un insegnamento apposito della fi loso- fi a del diritto e della storia del diritto! … alla metà del secolo 19!»46. b) Principii di fi losofi a del diritto (1857) Un ventennio dopo la riforma universitaria piemontese l’insegnamento della fi losofi a del diritto si era ormai consolidato. Nel 1857 Albini pubblicò

46 Albini a Mittermaier, Torino, 25 dicembre 1852, cfr. nota 10. Questa lettera contiene un progetto di corso giuridico. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 25 per i suoi studenti una «semplice esposizione sommaria dei principi car- dinali della dottrina fi losofi ca del diritto», tenendosi lontano dalle «teorie astruse» che «poco o nulla utili riescono nelle pratiche applicazioni della vita civile» (p. V s.)47: come nelle altre sue opere, la pratica del diritto è al centro delle sue ricerche e del suo insegnamento. Questa fi nalità didattica si rifl ette nella bibliografi a che conclude il volu- me (pp. 151-154) e che rappresenta quasi la biblioteca ideale dell’autore. La sua impostazione rifl ette il duplice interesse analitico e storico che caratterizza tutta l’opera di Albini. Infatti la Biblioteca scelta di fi losofi a del diritto elenca i sistemi giusfi losofi ci esemplari che egli addita agli studenti, mentre l’evoluzio- ne delle idee giusfi losofi che è illustrata nei titoli Sulla storia della fi losofi a del diritto. La sua tripartizione dell’intera scienza giuridica – fi losofi a, storia e prati- ca del diritto – è richiamata sin dall’inizio attraverso una citazione di Vico: «Jurisprudentia universa coaliscit ex tribus partibus, philosophia, historia et quadam arte juris ad facta adcomodandi. Jurisprudentia omnis ratione et auctoritate nixa est, atque ex iis condita jura factis adcomodare profi tetur. Ratio naturae necessitate, auctoritas jubentium voluntate constat, philoso- phia necessarias rerum causas vestigat»48. Per introdurre allo studio della fi losofi a del diritto si rifà agli autori nazio- nali e stranieri: «Procurai di dedurre e di concatenare logicamente le verità giuridiche, la cui esplicazione è l’oggetto della fi losofi a del diritto. Mi tenni però lontano, come lo esigeva la natura del libro, da quelle teoriche astruse le quali fanno certo testimonianza di grande potenza e sottigliezza d’inge- gno, ma sono altrettanto diffi cili ad essere intese quanto poco o nulla utili riescono nelle pratiche applicazioni della vita civile: alle quali, dee pur servi- re la dottrina fi losofi ca del diritto» (p. VI). Il breve volume si divide in due parti pressoché eguali: Teorica dei diritti e della legge giuridica razionale (pp. 10-71) e Dei principii razionali del diritto di famiglia e del diritto pubblico (pp. 73-150). La prima parte segue il trac- ciato consueto per ogni fi losofi a del diritto, mentre la seconda assume un indirizzo più legato agli interessi culturali e all’attività didattica di Albini. Gli esseri umani vivono in società rette da norme garantite dall’autorità politica e «la fi losofi a del diritto ha per assunto di salire alle supreme ragioni di questi diritti, e di queste norme ossia della legge giuridica, onde investi-

47 Albini, Principii di fi losofi a del diritto per P. L. Albini, Tip. Antonio Spargella, Vigevano 1857, 156 pp. L’introduzione è pianamente intitolata Scopo del libro e porta la data «Torino, novembre 1856». 48 Vico, De uno et universo jurisprincipio et fi ne uno, citato a p. VII. 26 Mario G. Losano gare ciò che negli umani diritti e nelle leggi che ne regolano l’esercizio havvi di necessario, di assoluto, di immutabilmente vero, e stabilire quei principi ossia quelle verità di cui le leggi e le instituzioni della società politica esser debbono l’applicazione e l’esplicazione» (p. 9). In Albini (che si richiama a Tocqueville49) il termine ‘società politica’ non è sinonimo di ‘società civile’: la prima è per lui l’«umana associazione con- siderata sotto l’aspetto dell’organizzazione dei pubblici Poteri», mentre la società civile è una nozione più vasta che, oltre all’«organamento politico», include «tutti gli altri rapporti sociali» (p. 103, nota 2). La fi losofi a del diritto, detta anche «diritto naturale», «è l’ordinata espo- sizione delle supreme ragioni del diritto considerato in senso soggettivo e in senso oggettivo e delle instituzioni essenziali per attuarlo. Onde rendesi mani- festo come questa disciplina si distingua dalla scienza morale, dalla fi losofi a del diritto positivo, non meno che dalle altre parti della scienza giuridica» (p. 10). Poiché l’individuo è il prius e la società il posterius, Albini inizia la sua analisi partendo dall’individuo. Tutti gli esseri «sono retti da una legge che li dirige ai fi ni segnati dal creatore»: inconsapevolmente gli esseri irragio- nevoli, consapevolmente gli esseri umani. Sui rapporti fra diritti e doveri si richiama a Rosmini e, più specifi camente, a Rosmini e Genovesi con riferi- mento al diritto di proprietà, defi nita come «la sfera intorno all’individuo ad ogni altro inaccessibile senza il suo consenso»50. Fra tutti i temi affrontati può essere importante soffermarsi sul diritto di proprietà, perché nella sua trattazione vengono in luce le posizioni anche politiche di Albini e, in particolare, la sua tendenza a riconoscere gli aspetti che gli sembrano positivi anche nelle dottrine che respinge. Per lui, «il diritto di proprietà privata è un diritto naturale indipendente dalla legge positiva» (p. 38): infatti quest’ultima si limita a regolarlo. Secondo la sua classifi cazione dei diritti, la proprietà si colloca quindi fra i «diritti individuali connaturali od originarii» (p. 28). Data questa origine, assume particolare interesse il suo esame delle Dottrine contrarie alla proprietà individuale. Comunismo e socialismo, cui dedica il cap. IX (pp. 40-44). La propensione di Albini per la storia si rivela nella ricostruzione delle teorie comuniste: all’antichità classica fa seguire i Carpocraziani del II secolo e gli Anabattisti del XVI sec. (cui riconduce

49 Tocqueville, L’Ancien régime et la révolution, liv. 1, ch. 4, cit. a p. 104, in nota. 50 Da Rosmini desume «la necessità morale di lasciare intatta e libera ogni attività propria di un’altra persona» (p. 16). Sulla proprietà, a p. 25, rinvia a un passo preciso di Rosmini: Filosofi a del diritto, vol. I. p. 182 ss. Di Genovesi cita Diceosina, o sia fi losofi a del giusto e dell'onesto (1831), lib. II, cap. 3. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 27 le dottrine dei socialisti moderni). Si sofferma poi su «due uomini insigni» Tommaso Moro (con la sua Utopia) e Tommaso Campanella (con la Città del Sole), che si richiamano alla Repubblica di Platone. Nel XVIII secolo Albini distingue i teorici radicali, che miravano all’a- bolizione della proprietà individuale (Morelly. Mably, Brissot de Warville) da quelli la limitavano fortemente (Rousseau, Helvétius, Diderot) e addita nella congiura di Babeuf il tentativo di realizzare queste idee. Con il XIX sec. videro la luce nuovi sistemi «che illusero non pochi nei quali più può la fantasia, che il giudizio» (p. 41: Saint-Simon, Fourier, Owen, Cabet, Louis Blanc). In Proudhon vede un «gagliardo e potente, ma paradossistico inge- gno» (p. 41 s.). Giunto così al socialismo, Albini lo considera «un comunismo più o meno simulato, mascherato», poiché «sì l’uno che l’altro mirano a concentrare nello Stato, ossia nel Governo la disposizione dei beni, costituendolo dispensatore e amministratore universale delle sostanze nazionali, e riducendo gli indivi- dui alla condizione di usufruttuari. Riescono perciò al dispotismo» (p. 42). Il comunismo e il socialismo moderni vogliono «rimediare alle miserie del proletariato» e mirano perciò a una «repubblica democratica e sociale» per «l’uguale o almeno la proporzionale ripartizione dei mezzi economici» (p. 43). In essi «il problema economico assorbisce il problema politico, morale e re- ligioso», quindi «tutti i sistemi di comunismo e socialismo, per distruggere la proprietà sono costretti a distruggere la famiglia, ad alterare l’uffi cio della sovranità politica, a sconvolgere da capo a fondo l’ordine sociale» (p. 43). Il tema della famiglia come prima cellula dell’ordinamento sociale – «la società politica è unione di famiglie anziché d’individui» (p. 73) – è tanto importante per Albini, che ad essa dedicherà un’ampia trattazione nella seconda parte del volume. Dopo queste critiche svolte in tono pacato, Albini giunge a una con- clusione equilibrata: come gli alchimisti nell’impossibile ricerca dell’oro prepararono la chimica moderna, così «la scuola socialista e comunista, in ispecie i Fourieristi e i Sansimonisti, fecero importanti discussioni sulle que- stioni più complicate e diffi cili dell’economia politica e non furono senza infl uenza sul movimento delle idee che spingono la società verso i suoi desti- ni» (p. 43). Da questa visione scaturisce un’anticipazione di quella che, dalla fi ne dell’Ottocento, prese il nome di funzione sociale della proprietà. Infatti la pro- prietà privata è il risultato della libertà umana e quindi «la sua inviolabilità è connessa con la libertà personale» (p. 44). Il potere pubblico può solo regolar- la e prevenirne gli abusi. Il diritto di proprietà però «non vuol essere disgiunto 28 Mario G. Losano dai doveri che lo accompagnano, la pratica dei quali eviterebbe gran parte degl’inconvenienti che forniscono materia alle accuse contro la proprietà indi- viduale. Ma questi doveri, pochi eccettuati che assumono carattere giuridico, trascendono la sfera del diritto e del potere politico, sono doveri puramente morali» (p. 44). Nel determinare il «supremo principio del diritto» (p. 57 ss.) Albini si attiene al principio per cui è «conforme al diritto tutto ciò che è secondo il bene morale». Richiamandosi alle lettere di Mancini a Mamiani, edite dallo stesso Albini51 e perfezionando Mancini, Albini afferma: «Poniamo il prin- cipio supremo del diritto nel riconoscimento pratico esteriore dell’umana personalità nell’individuo e nell’esplicamento che essa riceve nella famiglia e nella società» (p. 63). A conclusione della prima parte, Albini raccorda il diritto con le discipli- ne confi nanti: Rapporti tra la morale e il diritto, tra il diritto e la politica, tra di diritto positivo e il diritto razionale (cap. XIV). Basti qui citare un passo riassuntivo: «Abbiamo pertanto due norme delle umane azioni, la legge mo- rale che, disgiunta dalla religione, sarebbe imperfetta ed ineffi cace, e la legge giuridica, la quale sarebbe pure imperfetta e per molti rispetti ineffi cace se non fosse attuata nella società. L’una e l’altra è razionale o positiva, secondo- ché è dedotta dalla sola ragione o è fondata sulla volontà di un legislatore. Se non che la legge morale positiva non può essere che divina rivelata, la legge giuridica positiva è opera di autorità umana» (p. 66). Nella seconda parte del volume, Albini esamina la società rifi utando le dottrine contrattualistiche: per lui «esiste una società originaria universale fra tutti gli uomini, indipendente da qualsiasi patto» (p. 72), le cui forme sono «la famiglia, la società politica, la società religiosa» (p. 79). Nella socie- tà originaria un’«autorità sociale» dirige «le intelligenze, le volontà e le opere dei soci al fi ne comune» (p. 77) ed è «l’interprete e l’esplicatrice» della legge morale e giuridica: quindi «l’autorità umana, domestica, religiosa o politica è imagine [sic] e ministra dell’autorità divina» (p. 78). Su questa unità universale originaria Albini fonderà, alla fi ne del volu- me, la sua concezione di un diritto internazionale fondato non sull’«egoismo politico» del singolo Stato, ma «sul riconoscimento e la costituzione delle nazionalità» (p. 148), principio importante negli anni in cui l’unità italiana non era ancora realizzata. Ma su questo tema si ritornerà tra poco.

51 Terenzio Mamiani, Fondamenti della fi losofi a del diritto e singolarmente del diritto di pu- nire. Lettere di Terenzio Mamiani e di Pasquale Stanislao Mancini. Quarta edizione accresciuta di quattro discorsi inediti del Mamiani sulla sovranità e di una prefazione del prof. P.L. Albini, Presso il Tipografo G. Cassone ed il Libraio G. Grondona, Torino 1853, XV-316-LXV pp. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 29

Albini si concentra sull’analisi della famiglia e su quella della socie- tà politica. Nella concezione della famiglia segue il pensiero di Rosmini (p. 80), di Fichte, Hegel, Rotteck, Krause, e la «dottrina della Chiesa cat- tolica» (p. 82). Dopo questi accenni teorici, Albini si occupa degli aspetti giuridici del matrimonio, cioè dei rapporti tra coniugi, di quelli tra genitori e fi gli e, infi ne, della successione. La società politica si fonda sulla famiglia ed è «la società perpetua, su- prema e indipendente di più famiglie avente sede in un dato territorio sotto la medesima autorità per provvedere alla tutela e regolare l’esercizio di tutti i diritti dei socii, secondo il comune vantaggio, e promovere, coi mezzi proprii di essa, l’umano perfezionamento» (p. 99). In questa defi - nizione è incluso il duplice fi ne della società politica: la tutela dei diritti esistenti («riconoscimento passivo») e la promozione intellettuale, morale ed economica («riconoscimento attivo»). Il campo d’indagine si restringe ulteriormente, perché della società po- litica Albini prende in considerazione il concetto di sovranità, «che di una moltitudine di uomini forma una personalità» (p. 102). Della sovranità considera i modi d’acquisizione, tra cui l’usurpazione e la conquista, per giungere ad un aspetto inconsueto nella fi losofi a non solo del suo tempo: i rapporti regolati dal diritto internazionale. Questo sviluppo è però coe- rente con la sua costruzione, poiché «le Nazioni pertanto e gli Stati sono come altrettante famiglie in cui trovasi ripartito l’umano genere» (p. 144). Il diritto fra le Nazioni e gli Stati, cioè il diritto internazionale, si deve fondare sul «principio supremo del diritto», cioè sul «riconoscimento pra- tico esteriore dell’umana personalità nell’individuo e nell’esplicamento che essa riceve nella famiglia e nella società» (p. 63). Da questi principi Albini sviluppa una conseguenza significativa per l’Italia pre-unitaria: «Il riconoscimento dell’umana personalità contiene in germe anche il ri- conoscimento delle nazionalità, come un esplicamento di essa» (p. 64) e «non soffre eccezione neppure fra Stato e Stato» (p. 65). Riallacciandosi a questo principio generale nel trattare del diritto internazionale, Albini afferma che la sovranità va riconosciuta alla «personalità nazionale an- che solo in potenza, cioè anche quando una nazione non costituisca un’unità politica e si trovi per avventura divisa in Stati affatto indipen- denti» (p. 146). Lo scritto si conclude con alcune considerazioni sulle «condizioni attuali delle nazioni» e gli «avvenimenti di cui siamo testimoni»: le grandi trasfor- mazioni tecniche dell’Ottocento stanno avvicinando le Nazioni e «ci fanno intravvedere confusamente una nuova fase in cui entra l’umanità. Così forse 30 Mario G. Losano per vie arcane la Provvidenza va preparando la ricomposizione dell’unità del genere umano» (p. 150). L’interesse di Albini per la storia lo portò anche a occuparsi dei precurso- ri della fi losofi a del diritto in Italia: a questo tema sono dedicati i suoi ultimi due interventi, già menzionati alla fi ne del § 3, presso l’Accademia delle Scienze, nei quali analizza il pensiero di Giovanni Maria Lampredi. Come si è detto, il testo non poté essere completato a causa della morte dell’Albini e le osservazioni che seguono sono condotte sui brevi Sunti di Gorresio52. Nella prima comunicazione Albini ricostruisce il pensiero giusfi losofi co di Lampredi, mentre nella seconda «ragionò delle dottrine del Lampredi sull’origine della società, sul diritto di famiglia e sul diritto pubblico inter- no» (p. 89). Soffermandoci brevemente soltanto sulla prima, si nota che Albini risale alle radici della fi losofi a del diritto coeva: Ugo Grozio «fondò la fi losofi a del diritto», afferma, «dando alle verità giuridiche un carattere di assoluta certezza pari a quello delle verità matematiche». Venne poi la Germania, che elevò «lo studio del diritto naturale all’altezza d’una scienza particolare» con Savigny, Walter, Zoepfl , Warnkoenig. Per l’Italia, Albini ri- corda che Vico, fondando il diritto «come concetto dalla ragione», «distinse la morale dal diritto» (p. 82), facendo di esso il «fondamento razionale della società politica» e disegnò «il concetto della libertà civile e le relazioni del gius pubblico e del privato». Albini in questa comunicazione accademica vuole «porre in luce l’o- pera effi cace e propria dell’Italia nella scienza della fi losofi a del diritto». Ritornando a Genovesi, ricorda che «ora ei prese a tema de’ suoi studi critici le dottrine fi losofi che sul diritto che il Lampredi espose prima nelle sue lezio- ni all’università di Pisa e raccolse poi nella sua opera Jus naturae et gentium theoremata». Genovesi e Lampredi rappresentano quindi per l’Italia «lo sta- to di questa scienza nella seconda metà del secolo XVIII» e ne «furono in tale periodo i cultori più illustri» (p. 83). Albini critica in Lampredi la man- cata distinzione tra diritto e morale: le norme giuridiche regolano «le azioni umane entro limiti determinati», cioè solo le relazioni «estrinseche» (p. 83), mentre la legge etica regola l’attività umana tanto esterna che interna. Lampredi «deduce il diritto naturale da due principii generali» che Albini non condivide: «1. il procurare la propria felicità senza ledere quella degli

52 Adunanza del 14 maggio 1861: «Il socio Cavaliere Albini cominciò la lettura d’un suo scritto che ha per titolo: Studi critici intorno alle dottrine giuridiche di Giovanni Maria Lampredi e dei principali suoi contemporanei», p. 82-84, continuandola poi nell’Adunanza del 20 giugno 1861, pp. 89-91»: Gorresio, Sunti, cit. Scritto «che ei lasciò incompiuto»: Gorresio, Sunti, cit., p. 180; cfr. nota 30. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 31 altri; 2. il promuovere la felicità universale senza ledere se stesso» (p. 84). Albini obietta che non si capisce se Lampredi vede in essi due forze naturali che devono essere guidate dalla ragione, ovvero se sono i due principi stessi a reggere la ragione. Per Albini il principio della felicità si fonde con quello dell’utilità e quindi non serve a determinare il bene o il male morali53. 5. Le opere storico-enciclopediche Un nucleo importante di opere di Albini ha per oggetto l’enciclopedia giuridica – materia di cui divenne professore nel 1846 – e che verrà qui esa- minata in due sue opere di quell’anno: la Prolusione al corso54, che sintetizza la sua concezione dell’intera materia nei suoi due rami giuridico-positivo e giuridico-storico, e l’Enciclopedia del diritto55, concepita come testo per gli studenti e concentrata su temi giuridico-positivi. Il fondamento dell’esposizione è la concezione globale del diritto che già si vista e che Albini riassume così: il diritto «qual debbe essere», cui corri- sponde la fi losofi a del diritto «fondamento di tutta la nostra scienza», «qual fu», cioè la storia del diritto, e «qual è al presente», cioè «le leggi che ci governano» (p. 13 s. Prol.). Da questi tre aspetti discendono le due fi nalità del proprio insegnamento: l’esame generale «del diritto in se stesso e nelle sue ramifi cazioni», oggetto dell’enciclopedia giuridica in senso stretto, e «come sia pervenuto al presente suo stato», oggetto della storia del diritto, poiché «nel passato in somma è da cercare la ragione del presente, e sono da rintracciarsi i germi dell’avvenire» (p. 14 Prol.). a) Enciclopedia del diritto (1846) Nell’Ottocento l’«enciclopedia del diritto» forniva un quadro comples- sivo della materia agli studenti che iniziavano la Facoltà di giurisprudenza e che, nei corsi successivi, avrebbero approfondito le singole discipline. Uno dei «provvedimenti di civile sapienza» di Carlo Alberto fu «certamen- te il riordinamento del sistema d’istruzione legale in modo corrispondente

53 La conclusione del sunto non è chiara. Lampredi segue il pensiero di Christian Wolff: «Il diritto altro non sia che la facoltà di adempiere l’obbligazione»; ma allora i diritti dovrebbero essere «tutti inalienabili, come sono costanti e salde le obbligazioni» (p. 84). Il riassunto termina affermando «i fondamenti dell’eguaglianza naturale e delle origini del dominio delle cose, ossia della proprietà esterna» come stabilito «dal Lamberti nei suoi teoremi» (p. 84). 54 Albini, Per l’inaugurazione della cattedra di Enciclopedia e Storia del diritto nella R. Università di Torino, Rusconi, Novara 1847, 32 pp. Le citazioni tratte da questo testo sono seguite da «Prol.». 55 Albini, Enciclopedia del diritto, ossia Introduzione generale alla scienza del diritto dell’Avv. e Prof. P. L. Albini, Tipografi a di Enrico Mussano, Torino 1846, 224 pp. 32 Mario G. Losano a’ progressi delle scienze, ai bisogni dello Stato e alla riforma della legisla- zione» (p. 5 Prol.). Nell’ambito di questa riforma Albini venne chiamato a insegnare la nuova materia denominata «Enciclopedia del diritto». Nel corso del tempo, infatti, i singoli rami del diritto erano divenuti sempre più autonomi e «la nostra scienza mutilata e lacerata qui dai pratici che sprez- zavano le cognizioni teoriche, là dai teorici che avevano in uggia la rozzezza e la barbarie dei forensi, cessò di essere studiata nel suo complesso, ne sorse un deplorabile antagonismo tra la teoria e la pratica, tra la scuola e il foro». Lo strumento per superare questa frattura era fornito dall’enciclopedia giuridica, sorta e perfezionata nella «dotta e laboriosa Germania» (p. 6 Prol.). Le fonti cui si richiama Albini sono quindi Schmauss di Göttingen, «il primo che diede pubbliche lezioni su questa materia» nel 1737, seguito da Nettelbladt e Pütter56. Da quest’ultimo Albini desunse anche la «Metodologia», cioè «l’esposizione delle regole e del modo più acconcio per acquistare una com- piuta istruzione nella scienza del diritto» (p. 7 Prol.). L’enciclopedia giuridica non è un «compendio» delle singole materie giuridiche, ma si occupa «dei diversi rami onde componesi tutta la scien- za» giuridica, dei loro «mutui rapporti», delle «idee preliminari e cardinali» presenti nelle singole discipline; insomma essa «fa per lo studioso lo stesso uffi cio che la geografi a pel viaggiatore» (p. 9 Prol.). Nella prolusione del 6 novembre 1846 Albini mette in luce come l’inno- vazione piemontese rifl etta una realtà già affermata nelle università tedesche dalla metà del secolo XVIII. Più di recente l’«enciclopedia giuridica» era stata introdotta nel Lombardo-Veneto e in Francia. Egli intende quindi illustrare «utilità e importanza delle materie delle quali è a me affi dato l’inse- gnamento, cioè dell’enciclopedia e della storia del diritto» (p. 4 Prol.). Nella visione di Albini queste due materie sono strettamente connesse: «Come dunque l’enciclopedia ci porgerà il prospetto di tutto il diritto in astratto di una nazione incivilita, la storia ci farà conoscere in qual modo esso nelle sue parti siasi sviluppato in Italia, e particolarmente nella patria nostra. Così ap- parisce anche il legame che congiunge i due rami dell’insegnamento legale di cui ho delineato, sebbene troppo imperfettamente, il disegno» (p. 28 Prol.). Queste due materie andranno poi separandosi nel corso degli anni. Mentre

56 A Johann Jakob Schmauss (1690-1747), nella sua cattedra a Göttingen, succede Johann Stephan Pütter (1725-1807): entrambi sono cultori del diritto pubblico imperiale. Daniel Nettelbladt (1719-1791), seguendo l’insegnamento di Christian Wolff, pubblicò nel 1749 un Systema elementare universae jurisprudentiae naturalis e un Systema elementare universae juri- sprudentiae positivae. Quest’ultimo può essere considerato un trattato di «enciclopedia giuri- dica», anche se nessuno dei tre autori citati da Albini pubblicò un’opera con questa specifi ca denominazione. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 33 la prima edizione dell’Enciclopedia di Albini, esaminata qui di seguito, accenna alla storia del diritto in poche pagine (pp. 139-143), nell’anno successivo vide la luce il volume Elementi della Storia del diritto, su cui torneremo tra poco. La Germania «sin dal secolo scorso ha adottato nelle sue università l’i- struzione preparatoria di cui parliamo», ma le sue «eccellenti enciclopedie del diritto» non erano adatte al sistema didattico piemontese. Albini deve quindi preparare un manuale per il suo corso, «ad onta della brevità del tem- po». Come scriveva Albini a Mittermaier57, il testo sull’Enciclopedia del 1846 deriva dal più vasto Saggio analitico sul diritto del 1839 (cfr. § 4, a), «che in molta parte può considerarsi un’enciclopedia del diritto» (p. 8). L’impianto generale comprende una «notizia complessiva» delle varie ma- terie giuridiche, iniziando «i giovani alla terminologia giuridica» (p. 9). Una peculiarità è data dallo spazio riservato al diritto amministrativo, compresa quella sua parte chiamata diritto di polizia, perché esso «non è compreso nel corso ordinario» (p. 10). In circa 200 pagine suddivise il 215 paragrafi l’esposizione parte dalle nozioni generali sulla differenza tra legge morale e legge giuridica, sulla società e sul formarsi del diritto positivo, per passare poi all’analisi del diritto positivo stesso («diritto sociale») e dei suoi vari rami, dal diritto privato al diritto internazionale. Il diritto amministrativo viene trattato estesamente seguendo i Principi di diritto amministrativo di Romagnosi (pp. 55-73), mentre per il diritto di poli- zia (l’ambito in cui si incontrano le «maggiori diffi coltà o incertezze per darne una nozione chiara», p. 73) Albini si richiama alla dottrina tedesca e «segna- tamente» al testo di Robert von Mohl (p. 73-81)58. Nel diritto di polizia Albini comprende «tre rami: polizia economica o di prosperità; polizia di sicurezza contro i disastri e gli infortuni; polizia preservatrice dai delitti» (p. 74). La seconda parte (corrispondente alla seconda metà del libro) fornisce un quadro delle discipline che sono collegate al diritto: la scienza della poli- tica, l’economia politica, la statistica e la scienza della legislazione («la parte più insigne della scienza politica», p. 183), che oggi sta ritornando in auge con il nome di «tecniche legislative», cioè «il sistema delle cognizioni e del- le regole necessarie per ideare savie e provvide leggi, e per esprimerle nel modo a loro più convenevole» (p. 183). Ma Albini si spinge ancora oltre, additando un vasto campo di scienze preparatorie e ausiliarie utili al giurista. Anzitutto occorrono «ordinati studii

57 Albini a Mittermaier, Torino, 11 marzo 1846, cfr. nota 10. 58 Robert von Mohl, System der Präventiv-Justiz oder Rechts-Polizey, Laupp, Stuttgart 1834, VIII-586 pp.; testo digitalizzato: http://reader.digitale-sammlungen.de/resolve/display/ bsb10767004.html. 34 Mario G. Losano della fi losofi a sì teoretica che pratica» (p. 190). Poi viene la fi lologia, con lo studio delle lingue, al cui primo posto Albini pone la lingua italiana, perché per il giurista «lo scrivere e il parlare con chiarezza, precisione e proprietà è un dovere» (p. 191). Anche il latino è «un’assoluta necessità», a causa del diritto canonico e romano: quest’ultimo era allora ancora in parte diritto vigente59. Sempre per il diritto romano è importante lo studio del greco: non «la lingua armoniosa di Omero», ma «quella del basso impero» in cui vennero scritti «monumenti molto importanti per lo studio del diritto romano» (p. 191). Per il giurista sono poi «d’una somma utilità la lingua francese e tede- sca». La lingua francese esercita una forte infl uenza sul diritto piemontese («forse più del bisogno», chiosa Albini), quindi «è poco merito il saperla, onta l’ignorarla». Il tedesco è infi ne necessario per «una compiuta istruzione legale» perché la Germania «ha superato le altre [nazioni] nell’ardore e nella diligenza nel coltivare e far progredire le scienze politico-legali» (p. 192). Il giurista deve anche coltivare l’eloquenza, che per l’avvocato ha una sua specifi cità: «La chiarezza, l’ordine, la concisione, la proprietà, e una severa semplicità sono le ordinarie e principali sue prerogative» (p. 192). Ma egli dovrebbe coltivare anche «le scienze fi siche, mediche, matematiche» perché i casi concreti esigono spesso conoscenze in questi campi. Il giurista può ricorrere ai periti: ma «come potrà intendere le espressioni e le ragioni dei periti […] senza alcune cognizioni elementari della scienza ed arte al cui dominio appartengono i fatti su cui deesi pronunciare?» (p. 195). L’Enciclopedia di Albini si conclude con il tema che lo accompagnò per tutta la vita: l’insegnamento del diritto. La vastità delle nozioni richieste al giurista e l’importanza sociale dei compiti ch’egli dovrà assolvere rendono indispensabile un’accurata istruzione anzitutto teorica, e poi anche pratica. L’istruzione legale deve essere completa, progressiva, diretta alla pratica e si- stematica (cioè «una e regolare»). Albini vede queste condizioni realizzate «dal provvido riordinamento degli studi giuridici» di quegli anni e riporta in nota il nuovo piano di studi della facoltà torinese di giurisprudenza (p. 207)60. La preparazione e le qualità morali sono indispensabili al buon esercizio di ogni professione giuridica. Anche nella Prolusione Albini aveva sottoli-

59 In Piemonte il diritto romano non era formalmente più in vigore dall’avvento del codice civile del 1° gennaio 1838, però con l’eccezione di «quanto rifl ette la procedura, relativamen- te alla quale continua tuttora ad essere supplemento delle regie Costituzioni ed al regolamen- to per Ducato di Genova» (p. 118). 60 Il Regolamento per gli studi legali del Magistrato della Riforma del 4 agosto 1846 orga- nizzava gli studi giuridici in un corso ordinario di cinque anni (che comprendeva le classiche materie giuridiche) e in un corso suppletivo di due anni (con il diritto pubblico e internazio- nale, il diritto amministrativo e l’economia politica). Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 35 neato che l’insegnamento è soltanto una parte del cammino che gli studenti devono compiere: l’acquisto della conoscenza «non può che essere opera e merito individuale di ciascuno» (p. 29). Poiché la preparazione è indispen- sabile per assolvere i futuri compiti Albini conclude: «è massima impostura, e pubblica calamità, l’assumere i pubblici uffi zii senza l’ingegno, senza il co- raggio e molto più senza gli studii necessarii ad esercitarne come si conviene le funzioni» (p. 29 Prol.). b) Elementi della storia del diritto in Italia (1847) «La storia del diritto è parte della storia dei popoli e la parte più rilevante» (p. 14 Prol.). Quindi lo studio della storia giuridica «è necessario al compimen- to della scienza [giuridica], la quale sarebbe imperfetta senza la cognizione del modo con cui si è formato il complesso delle leggi e delle consuetudini che ci governano» (p. 16 Prol.), e cita Montesquieu, secondo cui «fa d’uopo chiarire la storia colle leggi, le leggi colla storia» (p. 26 Prol.). Anche in questa materia Albini si richiama alla Germania con la Scuola Storica del diritto. Però un corso introduttivo non può occuparsi della «storia universale del diritto», ma deve «restringersi a quella parte della storia che serve a far- ci conoscere l’origine delle leggi e delle istituzioni dell’Italia e della patria nostra in particolare» (p. 17 Prol.). Anzitutto bisogna studiare la storia del diritto romano, «uno dei sussidi più fruttuosi per lo studio delle moderne legislazioni» (p. 18 Prol.). Ad esso seguono le «leggi barbariche» e quelle feudali, accompagnate anche dall’infl uenza del cristianesimo sulla legisla- zione: «comprendesi quindi l’importanza del diritto canonico nel medio evo, uno degli elementi più fecondi della legislazione di questi tempi» (p. 20 Prol.). Si giunge così alla «terribile rivoluzione» francese, fondata su «una fi losofi a che ad alcune verità associava molti errori» (p. 23 Prol.) e all’epoca di Napoleone, alle sue innovazioni legislative e alla vana restaurazione dopo la sua caduta, fi no «a quel sistema di progressivi e ordinati miglioramenti e di assennate riforme» (p. 25 Prol.) che era proprio dell’epoca carloalbertina. Per Albini, come si è visto, lo studio delle leggi doveva essere congiunto con quello della società e della politica. Perciò nel 1847 affrontò la storia del diritto associandola alla «storia civile e politica», perché il limitarsi alla solo diritto positivo «sarebbe un’enumerazione di effetti senza l’indicazione delle cause da cui derivano» (p. VI). Per un «quadro generale della storia del diritto» Albini rinvia al suo Prologo, che è stato poco sopra ampiamente citato, e affronta le tre parti di cui si compone il volume: «la prima esporrà le vicende della legislazione romana sino alla caduta dell’impero occidentale, la seconda quelle della legislazione del medio evo [sic], la terza presenterà lo svilupparsi della legislazione nell’età moderna» (p. VI). 36 Mario G. Losano

Conviene ora omettere l’esame delle prime due parti per ragioni di bre- vità, riservandone l’analisi a chi vorrà intraprendere uno studio specifi co sull’Albini come storico del diritto. Nella terza parte – Legislazione dell’età moderna, 1500-1848 e, in particolare, il cap. III, Progressi della scienza del diritto dal 1789 al 184861– ritorna invece l’Albini antesignano degli studi torinesi di fi losofi a del diritto. Anche qui le due dottrine straniere di riferimento sono la tedesca e la francese. «Le dottrine fi losofi che della Germania sul diritto» infl uirono su quelle italiane solo «recentemente». Invece «furono le dottrine fi losofi che di Francia sul diritto e sulla politica […] che continuarono a prevalere in Italia» tra la fi ne del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento (p. 294). Seguendo Vico, si svincolarono dalla «servile imitazione» dei francesi sol- tanto alcuni pensatori, come Niccolini e Romagnosi. Il problema della «gallomania e servilità alle dottrine francesi» è un tema su cui Albini pole- mizza più volte62. Dopo Napoleone si affermarono la Scuola storica in Germania e la «scuola politico-teologica» in Germania, Francia e Inghilterra, entrambe contrarie all’Illuminismo e al razionalismo tedesco ed entrambe «avverse alla legislazione scientifi ca e in ispecie alla codifi cazione» (p. 295). «Ma né l’una né l’altra di queste scuole gettarono radice in Italia. Qui sorgeva la luce d’una nuova fi losofi a appoggiata a più ampie e più solide basi per opera prima di Galuppi, poi di Rosmini, di Mamiani, di Gioberti». Questi autori – insieme con Mancini, Taparelli e Boncompagni – segnano per Albini l’abbandono dal sensismo francese e «sono luminosa testimonianza dei progressi della fi losofi a del diritto in Italia» (p. 295). In campo penale, la scuola italiana ha «propagate le più sane dottrine sulla natura, sulla classifi cazione dei reati e sulla proporzione delle pene» (p. 296), favorendo un rinnovamento delle leggi esistenti, anche di quel- le «che le armi straniere ci recarono», cioè nelle leggi della Toscana e del

61 Il volume presenta una alcune discordanze fra testo e indice che possono indurre in er- rore. Il testo della Parte I consta di 91 paragrafi (ma l’indice ne elenca 90); nella Parte II testo e indice indicano 140 paragrafi ; il testo della Parte II consta di 140 paragrafi (ma l’indice ne elenca 60). In particolare, nella Parte III, il cap. III, Progressi della scienza del diritto dal 1789 al 1848, inizia a p. 293 con il § 57, mentre nell’indice inizia con il § 55. Il paragrafo che qui più interessa. (Scuola storica e scuola politico-teologica. Progressi della fi losofi a del diritto in Italia), nel testo corrisponde al § 58 di p. 294, mentre nell’Indice fi gura come § 56. Di conseguenza il testo termina con il § 62, e non con il § 60 come nell’Indice. 62 Cfr. infra, § 7, a proposito dei limiti entro cui si può far uso delle sentenze francesi; cfr. inoltre la sua «Risposta alla Postilla Prima a’ miei Cenni sul possesso, Annali di giurispruden- za, tomo VI, pag. 305 in not.» (Prefazione a Albini, Degli atti nulli, 1844, p. 3 n.n.). Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 37

Regno di Napoli: «In queste due provincie d’Italia più che nelle altre ab- bondarono i valenti illustratori del diritto penale» (p. 296)63. L’assolutismo non aveva favorito gli studi sul diritto pubblico e sulla po- litica, anche se non ne mancava un accenno in alcuni autori, come Baroli, Rosmini e Taparelli. Inoltre le idee giuspubblicistiche di Gioberti avrebbero dovuto essere «fecondate e sviluppate», mentre solo da poco era stato pub- blicato il testo di Romagnosi sul diritto costituzionale. Allo stesso Romagnosi ed a Manna, a Napoli, si deve il tentativo di «dare forma scientifi ca al diritto amministrativo» (p. 297). Agli storici del diritto Albini riserva uno sguardo critico, anche se fra essi fi gurano i suoi numi tutelari torinesi come Sclopis e Cibrario. Gli autori più noti – «Pietro Ulloa, Forti, Sclopis, Cibrario, Vesme Fossati, Giuliano Ricci e Leopoldo Galeotti» (p. 297) – pubblicarono lavori «ristretti o ad un ramo del diritto, o ad un’epoca, o a qualche materia». Solo Forti scrisse «un abboz- zo per altro assai imperfetto della storia generale della legislazione italiana» (p. 297), mentre Vincenzo Lomonaco si cimentò con «una fi losofi a della storia della legislazione» (p. 298). Infi ne, anche nell’ultimo paragrafo di questo testo ritorna il tema dell’in- segnamento del diritto. Esso migliorò sotto Napoleone («sebbene non fosse egli inclinato a favoreggiare quegli studii che fossero per dar ombra al suo potere», p. 298), perché nelle facoltà di giurisprudenza entrarono materie come «il diritto pubblico e delle genti, l’economia politica, la storia, la di- plomazia», ma «all’epoca della restaurazione si ritornò alla grettezza degli antichi sistemi». In Piemonte «i pochi miglioramenti» introdotti dopo la restaurazione dei Savoia «vennero soppressi in seguito ai moti del 1821, e questo ramo impor- tantissimo della pubblica istruzione si ridusse alle più meschine ed anguste proporzioni» (p. 298). La riforma del 1848 pose riparo ai maggiori difetti di quell’ordinamento didattico, ma esso «abbisogna ancora di non pochi miglioramenti per renderlo più atto al suo scopo e più conforme agli ordini d’un libero reggimento» (p. 299). 6. I diritti, i doveri e le libertà del cittadino Due scritti possono essere considerati un esempio del liberalismo mo- derato di Albini, la cui breve attività parlamentare si svolse nel gruppo di

63 Questi «valenti illustratori del diritto penale» sono: a Napoli, Mario Pagano, Vecchioni, Liberatori, Lauria, Raffaelli, Canofari, Niccolini; in Toscana, Biondi, Poggi, Paoletti, Marzucchi e Carmignani («che svolse maestrevolmente l’idea principale di Beccaria»); in Lombardia, Romagnosi e Nani; in Romagna, Contoli e Giuliani (p. 296). 38 Mario G. Losano

Lorenzo Valerio, chiaramente connotato in senso liberale (cfr. § 8). Nel pri- mo scritto si rifl ette il suo atteggiamento aperto alla libertà d’insegnamento, in cui gli sta a cuore l’equilibrio tra lo Stato e i privati (allora quasi sempre enti religiosi) ma, soprattutto, la serietà degli studi che in ogni caso deve essere salvaguardata e favorita. Nel secondo scritto il suo atteggiamento a favore dell’abolizione della pena di morte è netto: ne chiede l’abolizione perché è una pena «né necessaria né utile alla società». a) Della libertà d’insegnamento e dei doveri che essa impone (1860) La riforma dell’università subalpina avvenne sotto gli auspici di , che nel breve periodo in cui fu Ministro della pubblica istruzione (19 luglio 1859 – 21 gennaio 1860) promosse la legge che, per circa mezzo secolo, regolò l’insegnamento piemontese e poi italiano64. Ispirata al mo- dello organizzativo tedesco e, in particolare, prussiano, cioè centralista, e fondata sulla separazione fra Stato e Chiesa, la Legge Casati toglieva a quest’ultima il monopolio dell’insegnamento. Essa realizzava in parte i progetti difesi da Albini. L’anno accademico 1860-61 si inaugurava infatti «con nuovi ordini», apren- do la via all’insegnamento dell’enciclopedia giuridica e della fi losofi a del diritto, e «sotto gli auspicii della libertà di insegnamento». Con ragione Albini poteva quindi constatare: «Io per me non posso a meno di rallegrarmi di una riforma che per due e più lustri ho propugnato colla voce e colla penna»65. Infatti inse- gnava diritto «da cinque e più lustri» (p. 21) e stava assistendo al formarsi del nuovo Stato unitario. Perciò, fondandosi sulla nuova legge, vuole «cooperare a formare una gioventù virilmente educata anche nell’ordine intellettuale, e con una vigorosa e solida istruzione capace un giorno di avere una parte splendida nel rendere prospera, potente e gloriosa questa nostra Italia» (p. 22). Tuttavia la libertà può essere fraintesa e per questo, nella prolusione al suo corso di fi losofi a del diritto, Albini intende esporre in che cosa consista (e cioè entro quali limiti vada intesa) la libertà di insegnamento e quali dove- ri essa imponga. Per lui il miglioramento dell’insegnamento dipendeva, per usare la terminologia odierna, dalla concorrenza tra pubblico e privato: ma bisogna tener presente che la visione di Albini va collocata in una società che

64 Regio decreto legislativo del 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna; il testo, elaborato durante la Seconda guerra d’indipendenza, venne discusso non in parlamento, ma in un’apposita commissione governativa (fondata sui poteri eccezionali conferiti al governo, poi abrogati su proposta di Albini, cfr. nota 86). 65 Albini, Della libertà d’insegnamento e dei doveri che essa impone. Discorso […] per la riapertura del corso di fi losofi a del diritto nella Regia Università di Torino, Spargella, Vigevano 1860, 22 pp.; le citazioni sono a p. 3. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 39 usciva dalle pastoie del feudalesimo applicando gradualmente i principi del liberalismo classico. Per Albini la libertà d’insegnamento, come parte delle libertà civili, «mira primamente a lasciare all’attività privata, in tutto che s’attiene all’istruzione ne’ suoi varii rami, la massima latitudine, ed eccitarne l’operosità: seconda- mente a restringere l’azione della pubblica autorità ne’ suoi limiti razionali e al proprio uffi cio di coadiutrice e di protettrice della privata attività, non meno che dell’ordine pubblico e dei grandi interessi sociali» (p. 4 s.). Lo Stato deve quindi aprire scuole e mantenere le istituzioni culturali («le bi- blioteche, i musei, gli osservatorii») per cui non «potrebbero bastare i mezzi privati» (p. 5). E, dati i grandi mezzi dello Stato, questi istituti educativi devo essere strutturati e dotati nel migliore dei modi. Invece «non appartiene propriamente allo Stato l’insegnare, né è que- sto uno degli uffi ci proprii della sovranità politica, ma solo il coadiuvare l’istruzione delle diverse classi della società e promovere il progresso dei lumi». L’insegnamento non deve essere «un monopolio a lui solo riservato» perché ciò sarebbe in contraddizione con «un reggimento politico fondato sui principii di libertà politica e civile» (p. 5). Lo Stato deve quindi lasciare ai privati – in forma individuale o associata – l’attività dell’istruzione, limi- tandosi ad una «funzione protettrice e moderatrice». «La ragione principale per non dire unica, della libertà d’insegnamento sta in fi ne nella concorrenza e nell’emulazione dell’insegnamento uffi ciale o pubblico, e l’insegnamento privato». Nel suo complesso, l’insegnamento non deve essere riservato a una sola classe, ma deve «diffondere i lumi nelle diverse classi della società». Da questa «nobile gara» deriva «il progresso intellettuale e morale, col quale per molti rispetti si connette il progresso economico» (p. 6). Il nuovo ordinamento intendeva correggere gli errori del passato: quan- do invece «l’assolutismo si impadronì esclusivamente dell’insegnamento, facendone monopolio, si vide l’istruzione svigorirsi». Albini adduce come esempio il fi orire delle «scienze sacre» quando, nei primi quattro secoli d.C., si ebbe la lotta dell’ortodossia con le eresie: nei tre secoli successi- vi l’educazione ecclesiastica emulò quella laica, ma, decaduta quest’ultima «per la misera condizione del tempo» (p. 7), decadde anche l’insegnamen- to ecclesiastico. Si salvarono dai barbari le biblioteche – ancora numerose «ad onta dell’incuria degli indigeni» – ma l’ignoranza le rese sterili. Col XII secolo, il ravvivarsi dell’insegnamento laico contribuì al risveglio di quello ecclesiastico. Nella libertà, «comunque imperfetta e turbolenta della Repubbliche Italiche» (p. 8), fi orirono le università italiane, che invece de- caddero sotto l’ingerenza dell’assolutismo. 40 Mario G. Losano

Qui Albini ricorda che, nei secoli XVI e XVII, l’università di Torino fu tra quelle che «vennero in bella fama per celebrità di insegnanti e per incre- mento di studi» (p. 8) perché alla mancanza di libertà supplì la «special cura e protezione di principi illuminati». E sul «sistema di libertà» si fondò anche la «celebrità che giustamente acquistarono le Università Germaniche», che per Albini continuavano ad essere il modello da imitare, come si legge nelle sue proposte di riforma e nelle sue lettere a Mittermaier. La riforma universitaria, cioè l’introduzione della libertà di insegnamento nelle università, «non è in sostanza che la ripristinazione di un sistema in esse antico», ma produrrà i suoi frutti soltanto se «attuata secondo il suo razionale concetto» (p. 9), che consiste nel rispettare i doveri che la libertà impone tanto ai docenti e quanto agli studenti. Segue una descrizione delle degenerazioni prodotte da «false, o inesatte, od esagerate idee che alcuni hanno della libertà in generale», che – se applicate alla libertà d’insegnamento – produrrebbero «una delle maggiori calamità sociali, più funesta della stessa ignoranza, la catti- va e disordinata educazione». Invece la libertà deve essere «operosità secondo ragione» per conseguire «alcuno dei fi ni dell’umanità» (p. 10). Si confronti la libertà d’insegnamento con la libertà d’industria e di commercio: quest’ultima implica non «lo sconsigliato disprezzo delle leg- gi economiche» o altri aspetti negativi, ma la promozione della «massima operosità», il che implica anche «l’abolizione di ogni monopolio, delle re- strizioni e dei vincoli riprovati tanto dall’esperienza quanto dalla scienza» (p. 10). Con l’istruzione «la generazione adulta comunica e trasmette alla generazione che sorge il suo patrimonio intellettuale», affi nché esso venga conservato ed accresciuto. L’istruzione deve circolare come un bene econo- mico. Quindi chi è capace di questo insegnamento, insegni, e il Governo non pretenda «d’imporre a tutti indistintamente i suoi insegnanti, i suoi me- todi, i suoi regolamenti» (p. 11). Rivolgendosi poi ai «giovani egregi» che lo ascoltano, spiega loro che la libertà di scelta nei docenti e nelle materie ha il fi ne di aumentare l’appli- cazione agli studi, per procurarsi «una più ampia, più accurata istruzione» (p. 12). Ma la si acquista non senza fatica: ci vuole quindi forza di volontà e perseveranza, bisogna appropriarsi del sapere non passivamente, ma ri- percorrendo «il lavoro intellettuale di chi insegna». Per questo nel nuovo sistema «si aumentano anzi i doveri degli insegnanti e della gioventù stu- diosa» (p. 13). Gli insegnanti pubblici devono dimostrarsi superiori a quelli privati, che con essi gareggiano, mentre gli studenti devono appropriarsi con la massima operosità delle conoscenze offerte loro dai docenti. A questo punto della prolusione lo sguardo di Albini lascia lo scenario Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 41 subalpino e spazia per l’intera penisola, facendo trasparire la commozione di chi vedeva realizzati gli ideali del Risorgimento. Infatti la libertà d’insegna- mento veniva proclamata nel momento in cui l’Italia si univa «nella pristina sua maestà», stringendosi «coi vincoli di una sola famiglia sotto lo scettro del Principe valoroso e leale, il cui nome merita di essere associato al risor- gimento della comune nostra patria». Quell’unità entrava anche nelle aule universitarie: «Io mando un saluto fraterno ai miei colleghi delle antiche e delle nuove provincie, che con magnanima risoluzione sacrifi carono la loro autonomia all’unità nazionale». Il «fratellevole saluto» va anche alla «gene- rosa gioventù» che, dal Cervino al Vesuvio, entra nelle università dell’Italia unita. «Cessata la funesta potenza di governi sospettosi e illiberali» (p. 15), si ristabilivano senza ostacoli i contatti tra professori e università dell’intera penisola. Ma, dopo averla conseguita, bisognava «raffermare e consolidare quest’unità in modo così stupendo acquistata, e per tante guise insidiata e minacciata» (p. 16). Rivolgendosi agli studenti, Albini ricorda loro che l’unione politica «richiede un alto senno civile, profonde cognizioni teoriche e pratiche nelle scienze giuridiche e politiche, le quali formano appunto l’oggetto speciale dei vostri studi, cognizioni che in un paese retto da sistema rappresentativo non sono necessarie unicamente a coloro che vogliono attendere ai pubblici uffi cii nell’ordine amministrativo e giudiziario, o si dedicano al foro, ma sono almeno in gran parte indispensabili a tutti i cittadini che direttamente o indirettamente prendono parte alla cosa pubblica» (p. 16). L’istruzione è cioè il fondamento della partecipazione politica. Non è stato facile conquistare la libertà nazionale, né sarà facile mante- nerla: e qui la prolusione mette in guardia gli studenti dalle dottrine politiche fallaci, ricordando il detto di Rousseau, tratto dalle Considérations sur le Royaume de Pologne: «La libertà è un elemento di buon succo, ma di forte digestione, a tal che solo gli stomachi ben sani possono sopportarlo» (una «splendida verità […] che può renderci indulgenti verso i molti suoi sofi - smi»). La severità degli studi tempra alle lotte per conservare la libertà. Da questo principio discendono le esortazioni ai suoi studenti: mostrate «che la gioventù italiana sa sopportare e digerire questo cibo dei forti»; sappiate fare buon uso della libertà: i «forti, ordinati, severi studi» devono aiutare ad evitare le dottrine fallaci, che non sono «fuoco che scaldi e vivifi chi», ma «incendio che distrugge». Le «teoriche allucinatrici» (p. 17) sono per Albini quelle che non sorreggono l’umanità «nel cammino segnatole dalla Provvidenza»; e gli studi severi aiutano a resistere allo «pseudo-liberalismo ciarliero e beffardo, attissimo a demolire, impotente a edifi care» (p. 18). 42 Mario G. Losano

Gli studenti di diritto, in particolare, sono chiamati a continuare un’an- tica tradizione nazionale che risale ai Romani, la cui giurisprudenza «forma tuttora l’ammirazione di tutti i popoli più civili, ed è il fondamento del loro diritto privato. […] Furono italiani i Giureconsulti, che nel medio evo re- staurarono gli studi giuridici e li propagarono in Europa» (p. 18 s.). La presentazione del corso di fi losofi a del diritto conclude la prolusione, e a questo punto Albini riassume la sua concezione del diritto in poche frasi. «Mio speciale assunto è di esservi guida, eletti giovani, ad apprendere la dottrina fi losofi ca del diritto». Per Albini il diritto consta «di tre elementi»: il dogmatico, lo storico, il razionale o fi losofi co, cui corrispondono tre materie: «la dommatica, la storia, la fi losofi a del diritto, le quali formano un sol tutto intimamente connesso». Quindi nessuna materia ha una «preminenza sulle altre discipline giuridiche». In particolare, «la fi losofi a del diritto, versando nell’investigazione dei principii di giustizia sociale, della ragione dei diritti dell’uomo e delle instituzioni giuridiche, è utilissima ad ogni classe di perso- ne colte, massime in un paese libero: ma è indispensabile al Giureconsulto, al pubblico Amministratore, all’uomo di Stato» (p. 19). Sulla funzione della fi losofi a del diritto Albini si richiama a Carmignani, per il quale «la scienza legale senza diritto fi losofi co è un corpo senz’anima». La fi losofi a del diritto è subordinata soltanto alla religione. Affermazione irta di problemi in un’epoca in cui la tensione fra Stato e Chiesa aveva come arena anche, se non soprattutto, l’insegnamento. Albini risolveva il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa accettando, da un lato, la concorrenza dei due nell’insegnamento e, dall’altro, attribuendo alla religione la posizione più ele- vata nella gerarchia dei valori morali. Dopo la Religione viene «la fi losofi a del diritto, stoica nei tempi antichi, cristiana nei tempi moderni, che rappresenta […] la grandezza morale dell’uomo e i destini della società umana»66. «Onde che chiunque abbia a cuore l’incremento degli studi giuridici ha motivo di rallegrarsi, vedendo nel nuovo ordinamento dell’istruzione universitaria ampliato l’insegnamento di questa materia fondamentale. Ed era giustamente da aspettarsi che essendo al Governo della pubblica istruzione un Personaggio che tiene un posto eminente fra i più insigni fi losofi dell’età nostra, ed ha pure illustrato con grande acume e dottrina ardui problemi di fi losofi a giuridica, facesse ad essa nel pubblico insegna- mento quella larga parte, che le si conveniva a voler dare salda base agli studi del diritto e promoverne il progresso»67.

66 Albini, Della libertà d’insegnamento, cit., p. 20; qui Albini cita La Ferrière, Considérations générales sur la philosophie du droit, Académie des Sciences, Paris, 1859, tomo 49, p. 438. 67 Albini, Della libertà d’insegnamento, cit., p. 21. Alternativamente il riferimento potrebbe essere a Federico Sclopis, che, in Senato, fu Membro della Commissione per la legge sull’istru- Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 43

Albini si riferisce a Cesare Alfi eri di Sostegno (1799-1869)68 – che il busto nel palazzo del rettorato dell’università di Torino elogia come un politico che «servì la patria con probità antica e con intelligenza dei tempi» – e ne dà notizia a Mittermaier con queste parole: «Venne nominato alla carica di Presidente Capo delle Regie Università (in sostanza ministro dell’istruzione pubblica) il marchese Alfi eri di Sostegno appartenente ad una delle famiglie più cospicue del Piemonte, e ciò che più importa uomo assai colto, amico del progresso bene inteso e che conosce i bisogni del tempo e del nostro paese»69. In seguito la fi losofi a del diritto conobbe alterne vicende, passando da materia obbligatoria a facoltativa (diremmo oggi), per poi consolidarsi come obbligatoria, grazie anche alla sua difesa da parte di Albini, che può quindi essere considerato uno di fondatori dell’ormai secolare scuola torinese di fi losofi a del diritto. b) Della pena di morte (1852) Intorno alla metà dell’Ottocento era molto dibattuta l’intera questione dei delitti e delle pene, e in particolare della misura delle pene, anche perché l’affermarsi del liberalismo politico collocava la libertà al primo posto fra i diritti e, di conseguenza, vedeva nel- la privazione della libertà la vera pena per i comportamenti antisociali. Ma in che misura e a che fi ne, questi erano i problemi aperti. Tra conservatori e liberali si era riacceso anche lo scon- tro sulla pena di morte, una questione «delle più ardue che presenti la fi loso- fi a del diritto e la scienza politica». Per questo, scrive Albini, «mi venne in ac- concio di trattarla l’anno passato [cioè nel 1851] nel corso delle lezioni sui Fig. 4. Copertina del saggio Della pena principii razionali del gius pubblico»70. di morte di Pietro Luigi Albini. Esse sono all’origine di un piccolo libro zione superiore (28 novembre 1861). Invece fu Vicepresidente del Comitato per l’istruzione universitaria dopo la legge Casati (27 dicembre 1866-settembre 1867). 68 Cfr. nota 11. 69 Albini a Mittermaier, Novara, 1° gennaio 1845; cfr. nota 10. 70 Albini, Della pena di morte, Spargella, Vigevano 1852, 111 pp. La citazione è nel Proemio, p. 5. 44 Mario G. Losano che, nonostante il tono troppo spesso oratorio, offre un bell’esempio di pas- sione civile e di compostezza argomentativa, anche se gli «incommodi di salute» gli impedirono di arricchirlo di note. Quella pubblicazione offrì ad Albini l’occasione per dimostrare ancora una volta la sua ammirazione per Mittermaier: «Sto per pubblicare alcune mie lezioni sulla pena di morte e sulla sua abo- lizione. Vorrei pregarla a permettermi di dedicarla alla S.V., ad aggradire questo tenue attestato della stima che ho per suo ingegno, pel suo sapere e per le doti dell’animo suo, non meno che della riconoscenza che nutro per l’amicizia di cui mi onora. Se il mio nome avesse autorità bastevole a ciò, vorrei che la mia dedica fosse l’espressione della simpatia dei professori dell’università torinese per uno dei luminari delle università germaniche e in particolare dei professori della facoltà legale per un autore così bene- merito delle scienze giuridiche»71. Questa dedica apre effettivamente il volumetto ed è riprodotta in questa pagina. Nella sua corrispondenza con Mit- termaier Albini raccontava anche un «miserando caso» torinese che nel marzo 1853 aveva ravvivato il dibat- tito sulla pena di morte: «Nel porre il corpo del giustiziato nella bara si riconobbe che era ancora vivo. Som- ministratigli alcuni soccorsi aprì gli occhi, ma non proferì alcuna parola; dopo due ore circa spirò. Questo fat- to diede luogo ad alcune interpellanze al Ministro di grazia e giustizia della Camera dei deputati sul modo di ese- cuzione della pena capitale»72. Oltre che uno scritto per gli stu- Fig. 5. Dedica di Albini a Mittermaier.

71 Albini a Mittermaier, Vigevano, 23 agosto 1852; cfr. nota 10. Quando Albini scriveva queste righe, Mittermaier non aveva ancora pubblicato la sua opera: Die Todesstrafe. Nach den Ergebnissen der wissenschaftlichen Forschung, der Fortschritte der Gesetzgebung und der Erfahrungen, Mohr, Heidelberg 1862, VII-169 pp.; ristampa: BSA-Verlag, Dornbirn 2003, V-173 pp.; trad. it. La pena di morte considerata nella scienza, nell’esperienza e nelle legisla- zioni. Versione italiana di Carlo Francesco Gabba. Pubblicata per cura di Francesco Carrara, Cheli, Lucca 1864, 209 e 40 pp. 72 Albini a Mittermaier, Torino, 6 maggio 1853; cfr. nota 10. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 45 denti, questo saggio si presentava anche come un contributo al dibattito legislativo in corso in Piemonte: «Mentre si sta preparando la revisione del Codice penale torna opportuno richiamare l’attenzione […] sopra questa gravissima quistione, la quale è di maggiore importanza di quello che a prima giunta possa sembrare». Richiamando la gravità del problema e gli argomenti dottrinari e giuridici a favore dell’abolizione, Albini sperava che «la legislazione penale del Piemonte» sancisse «fra non lungo volger d’anni l’abolizione di una pena, che la scienza dimostra non conforme a giustizia e l’esperienza concorre a chiarire né necessaria né utile alla società» (p. 6). Poiché non v’è peggior sordo di chi non vuol sentire, le argomentazioni del libro riescono inutili per «due classi di difensori della pena di morte»: «Gli uni sono coloro, che tengono così assolutamente certa la legittimità in- trinseca della pena di morte, che non soffrono neppure che si muova su di ciò il menomo dubbio»; gli altri sono convinti della giustizia e necessità di questa pena, «ma risguardano l’uffi cio del carnefi ce elemento essenziale dell’ordine sociale come lo stesso potere pubblico» (p. 7). A entrambi Albini ricorda che «anche quando voci generose sorsero a chiedere […] l’abolizione della tortura», vi furono «uomini dotti» che la difesero ritenendola «il mezzo più ef- fi cace che l’umana giustizia avesse per iscoprire la verità degli accusati» (p. 8). Le cinque lezioni, che corrispondono ad altrettanti capitoli del libro, con- futano dapprima le teorie che giustifi cano la pena di morte, e poi la dichiarano incompatibile con «i principi razionali del diritto», concludendo che «coi soli principii fi losofi ci del diritto, la pena di morte non può essere giustifi cata» (p. 39). Però la pena di morte sembrava suffragata dalle sacre scritture ed era in vigore nello Stato della Chiesa. Per evitare un confl itto con la religione, Albini ricorda che «le ragioni dedotte […] da oracoli divini, sono affatto estra- nee» alla fi losofi a razionale. Inoltre, anche se «il Vangelo non ne ha proclamata l’illegittimità», però «ne ha preparato l’abolizione col suo spirito e colle sue massime di mitezza» (p. 42). In queste argomentazioni Albini non menziona lo Stato della Chiesa, ma si richiama ai soli testi sacri, da cui si possono trarre conclusioni implicite per il potere temporale: non sempre, come si vedrà tra poco, gli abolizionisti erano così riguardosi nei confronti della Chiesa. La terza lezione spiega come la pena di morte sia ineffi cace sul piano morale e materiale, mentre la quarta ne illustra i difetti là dove essa viene applicata. Nella quinta e ultima lezione domina infi ne l’interesse storico di Albini, che ritorna a Beccaria («voce poderosa» di cui critica «il principio dell’utile» che «fornì armi ai suoi avversari»): «Alla voce del fi losofo Milanese cadono i patiboli e nella semi-barbara Russia, e nella tenace Austria, e nella dotta Germania, e nella gentile Toscana» (p. 85). Il restringersi dei reati puniti con la pena capitale e le alterne vicende dell’abolizione vengono ripercorse 46 Mario G. Losano

fi no all’Islanda, «in cui la ripugnanza allo spargimento di sangue è tale» che è «d’uopo mandare in Norvegia i pochi rei di misfatti condannati a mor- te» (p. 96). Le parole conclusive ricordano le carnefi cine della Rivoluzione Francese e rivolgono un’invocazione al legislatore affi nché abolisca la pena di morte: «Cessate una volta questa lezione di sangue, che potrebbe volgersi a rovina della società, che con tal mezzo credete di tutelare» (p. 102). Più che riportare gli argomenti citati da Albini, oggi quasi universalmente accettati nelle democrazie di tipo occidentale, la scarsa fortuna di questo suo scritto può essere considerata quasi un simbolo dell’oblìo che calò sulla fi gu- ra di Albini. Due anni dopo la pubblicazione egli scriveva: «Nel nostro paese è così poca la parte che le classi anche istruite prendono a una questione di questa natura […] che fi nora la stampa periodica non ha neppur fatto cenno del mio opuscolo»73. Il dibattito sulla pena di morte era destinato a durare ancora a lungo, ma pochi anni dopo la morte di Albini e dopo i grandi muta- menti legati all’unità d’Italia, il suo contributo sembrava dimenticato. Anche un importante giurista e politico della generazione successiva alla sua, Augusto Pierantoni (1840-1911), scrisse venticinquenne un dettagliato articolo sulla pena di morte74, lo pubblicò nel 1865 nella rivista «Diritto» che faceva capo al gruppo politico di Lorenzo Valerio (nelle cui fi le fu deputato Albini, cfr. infra, § 8) e ne inviò anche a Sclopis un estratto con una lettera di accompagnamento, dimostrando così di essere in contatto con l’ambiente in cui Albini aveva operato fi no a due anni prima. Ecco la sua lettera, incollata all’interno dell’estratto di quell’articolo: «Illustrissimo Signor Conte, La conosciutissima dottrina di V.S. Chiarissima e la stima che le porta la gioventù italiana, mi permettono di offrirle un mio scritto sull’abolizione della pena di morte. Mi direi fortunato oltre ogni credere se mi pervenisse un breve e sapiente giudizio dato da Lei sul mio lavoro, che scrissi per amore di questa na- zione, la quale se ha molti dolori, ha pure qualche speranza nella nuova generazione, di cui fo parte. Essendo ancor giovane, spero un compatimento misto a qualche parola di conforto. Accolga i sentimenti di mia profonda stima, con la quale me Le professo, – Devotissimo Augusto Pierantoni. – Torino, 13 febbrajo 1865».

73 Albini a Mittermaier, Torino, 6 maggio 1853; cfr. nota 10. 74 Augusto Pierantoni, Dell’abolizione della pena di morte, Tipografi a del “Diritto”, Torino 1865, pp. 1-60. Con dedica ms dell’autore «All’Ill.mo Sig.re Conte Sclopis, Senatore del Regno» e (incollata su retro di copertina) la lettera ms dell’autore a Sclopis qui sopra tra- scritta nel testo. Ritornò in seguito su questo tema: id., La pena di morte negli Stati moderni, Vallardi, Napoli 1878, 255 pp. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 47

Un altro punto di contatto con Albini fu lo stretto rapporto di Pierantoni con Pasquale Stanislao Mancini, di cui sposò la fi glia Grazia e nel cui studio di avvocato fu a lungo attivo. Proprio nel 1865, quando Pierantoni pubblicò il suo saggio, la Camera dei deputati aveva approvato il 16 marzo il proget- to di legge abolizionista di Mancini, che però venne respinto dal Senato: la pena di morte restò vigente in Italia fi no al Codice Zanardelli del 1886. Il dibattito su questo tema non si era dunque affi evolito, però il saggio di Pierantoni non menziona Albini neppure quando cita la corrispondenza fra Mamiani e Mancini, édita da Albini stesso75. Senatore dal 188376, bastano due citazioni non certo politically correct a dimostrare il suo radicale anticlericalismo. Il capitolo XII è dedicato all’op- posizione dello Stato pontifi cio all’abolizione della pena di morte – pena ignota ai barbari che la praticavano solo in due casi: «impiccare i traditori ed annegare i poltroni: starebbero freschi preti e frati, che or si lagnano della legge sulle corporazioni, con tali usi» – e si conclude con le parole: «Domandiamo scusa al lettore di aver agitato la putredine di quel cadave- re, che si chiama il papato»77. Però l’intero articolo di Pierantoni – a parte

75 Cfr. nota 51. 76 Per la sua ampia bibliografi a, cfr. www.sbn.it. Roma gli ha dedicato una via. Dalla com- memorazione tenuta al Senato nel 1911: «Studente in Napoli, soldato della rivoluzione nel 1860, seguì la bandiera del duce dei Mille sino al Volturno. In una lettera del 1867 Garibaldi gli si fi rmava fratello d’armi e di pensiero. Tenne poi dalla dittatura l’uffi cio di segretario nel Ministero della pubblica istruzione nel quale continuò a Torino, praticando al tempo stesso nello studio legale del Mancini. Laureatosi in Napoli con isforzo di studii, conseguì a concor- so la Cattedra del diritto internazionale e costituzionale nell’Università di Modena nel 1865; dalla quale passò a quella di Napoli e da Napoli a Roma, durando con zelo all’insegnamento sino all’ultimo de’ suoi giorni, amorevole ai discepoli, e da questi amatissimo. Avvocato, come all’insegnamento, pose fede e calore alla professione forense. […] Al Parlamento gli fu dato l’ingresso nel 1874 dai suffragi del collegio di Santa Maria Capua Vetere per la XII legislatura, e mantenuto in seggio fi no a tutta la XV; poi fu l’eletto del primo collegio di Caserta. Alla Camera si segnalò con frequenti discorsi di politica e di diritto; appartenne e lavorò a giunte e commissioni importanti. Entrato in Senato per nomina del 25 novembre 1883, qui pure spiegò calore, tenacia e forza di convinzione nelle sue tesi; prediligendo la sua materia, le questioni del diritto internazio- nale. […] Nell’autunno ultimo a Washington, delegato d’Italia al settimo Congresso peniten- ziario, ebbe festose accoglienze ed onoranze. Nel 1885 fu delegato italiano alla Conferenza internazionale di Parigi per il trattato sulla navigazione libera del canale di Suez; e nello stesso anno fu insignito del titolo di dottore honoris causa dall’Università di Oxford. Fu nel 1873 de’ fondatori e presidente dell’Istituto di Diritto internazionale: fu consigliere dal 1876 del Contenzioso diplomatico» (Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 13 marzo 1911 [commemorazione per la morte, 13 marzo 1911]: http://notes9.senato.it/Web/senregno.NSF/ e56bbbe8d7e9c734c125703d002f2a0c/df0d415f059a7a134125646f005e7eb9?OpenDocument). 77 Pierantoni, Dell’abolizione della pena di morte, cit., p. 24, nota 1, e p. 58. 48 Mario G. Losano queste cadute di tono tipiche del Kulturkampf italiano, cui però non indulge Albini – è un saggio scientifi camente documentato e argomentato. Anche Pierantoni sembra dunque aver dimenticato o ignorare Albini; però, citando gli errori giudiziari come argomento contro la pena di morte, anch’egli si richiama al comune mentore Mittermaier, «il cui nome è unito a tutti i più grandi progressi della scienza penale e suona conosciutissimo in Italia»78. 7. Le opere sul diritto positivo L’interesse di Albini per il diritto penale nasce nel contesto del dibattito tra la fi ne del XVIII e l’inizio del XIX secolo sul diritto di punire, sulla fun- zione della pena e sulla natura della pena79. Ma Albini è interessato non solo al dibattito teorico, come nello scritto sulla pena di morte, ma anche ai detta- gliati aspetti dell’applicazione giudiziaria del diritto. L’interesse di Albini per la pratica forense traspare da ogni suo scritto ed è chiaramente documentato nel suo articolo Sul procedimento penale in Piemonte, pubblicato in tedesco e qui tradotto nell’Appendice II. Poiché le sue opere direttamente legate al diritto positivo si riferiscono a temi molto specifi ci e fondati su norme positive ormai abrogate, sembra opportuno esaminare solo uno fra i suoi scritti sul diritto positivo, per forni- re un’idea anche di questo aspetto della sua attività. Si tratta del volumetto sulle nullità giuridiche, «una delle materie più importanti e nello stesso tem- po più intricate e diffi cili della giurisprudenza», sulla quale mancava una trattazione complessiva legata al diritto piemontese80. La Francia aveva da tempo una legislazione simile a quella piemontese e solo per questa ragione Albini, accanto ai «giudicati dei nostri supremi Magistrati», ricorre «entro a questi limiti» anche alla giurisprudenza france- se: «non credo di cadere in quella gallomania e servilità alle dottrine francesi, che io stesso ho censurato» (Prefazione, p. 3 n.n.). In sei capitoli dettagliatissimi Albini passa in rassegna la defi nizione de- gli atti nulli, la distinzione tra atti nulli e annullabili, le azioni per far valere la nullità, le conseguenze degli atti nulli ovvero la loro convalida, accom-

78 Pierantoni, Dell’abolizione della pena di morte, cit., p. 20, nota 1 (sugli errori giudiziari) e p. 36 s. e nota 1 (sulle «statistiche del numero delle condanne capitali, delle grazie e delle esecuzioni di più anni e di parecchi Stati»), dati entrambi desunti da Mittermaier. 79 Su questo dibattito e sulla letteratura ad esso pertinente cfr. Anna Capelli, Il carcere degli intellettuali, cit., pp. 60-142. 80 Albini, Degli atti nulli o rescindibili in generale, ovvero Teoria delle nullità giuridiche secondo il Codice Civile Albertino. Con una nota sull’effetto della Legge che vieta agli Ebrei l’acquisto di beni stabili, Merati, Novara 1844, 187 pp. (2a ed., 1852). Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 49 pagnando ogni argomento con minuti riferimenti alla legislazione e alla giurisprudenza. Dell’intera opera verranno esaminati due temi storicamente interessanti perché discriminatori, e proprio per questo superati dalla legi- slazione odierna: l’incapacità della donna maritata e la nullità degli acquisti di stabili da parte di Ebrei. Il Codice Civile piemontese del 1838, agli artt. 130-134, prevedeva la nullità degli atti di donazione, alienazione, ipoteca ecc. compiuti dalla mo- glie senza l’autorizzazione del marito o del giudice. La ratio legis è insita non in «un’incapacità intrinseca che la legge supponga per ragione del sesso nella donna quantunque maggiorenne, poiché allora la stessa cautela si sa- rebbe prescritta anche per le donne non maritate. Essa ha per base piuttosto l’autorità maritale, la soggezione che essa deve avere verso il marito, suo consigliere e protettore naturale e legale». Si intende così proteggere «la fa- miglia, della quale il marito è capo» (p. 34). Da questa situazione discendono il diritto all’impugnazione dell’atto (che può competere solo ai coniugi e ai loro eredi), l’eventuale ratifi ca dell’atto e così via, con ramifi cati rinvii alla legislazione piemontese ma anche alla giurisprudenza francese. La legge piemontese vietava agli Ebrei l’acquisto di beni immobili («beni stabili»), privandoli di un diritto di cui avevano goduto sotto le leggi dell’Im- pero francese e dell’estinto Regno d’Italia. Da questo divieto discendeva secondo Albini la nullità dell’atto di compra-vendita, mentre questa posizio- ne non era accettata da altri giuristi. Ad uno di questi critici Albini risponde nella Nota che chiude il volume. Anzitutto, «il legislatore interdicendo per motivi politici agli Ebrei di far acquisto di stabili» toglieva «anche ai Cattolici la facoltà di venderli ai me- desimi» (p. 175). Se la norma fosse stata formulata vietando ai Cattolici di vendere immobili agli Ebrei, «siccome la legge non poteva aver forza che per i sudditi Regj, sarebbe sembrato che gli stranieri che possedessero beni nello Stato non fossero compresi nella legge» (p. 174). Per evitare questa possibili- tà, il legislatore «concepì la legge in modo proibitivo contro gli Ebrei, perché era in odio di essi che stanziava la legge» (p. 173). Poiché in caso di violazione della norma lo stabile veniva confi scato, sor- geva il quesito: «Affi nché la confi sca abbia effetto è forse necessario che il dominio sia trasferito?» (p. 175). Per Albini la vendita è nulla, il domi- nio non è trasferito e alla nullità si aggiunge una pena – la confi sca – che colpisce i due trasgressori, «l’Ebreo che acquista uno stabile, ma anche il Cattolico che lo aliena a favore di lui» (p. 175). La discussa costruzione di Albini prevede un momento di «svestimento» della proprietà del Cattolico, ma non un momento di «investimento» della proprietà in capo all’Ebreo, 50 Mario G. Losano perché la legge lo proibisce: vi sarebbe quindi un momento in cui la proprie- tà dell’immobile è sospesa nel vuoto giuridico. «Il Fisco, – conclude Albini, – s’impadronirebbe di uno stabile che non sarebbe più del Cattolico che ne rinunciò la proprietà, né dell’Ebreo, che non poté acquistarla» (p. 181). A conferma che le norme in esame prevedono la nullità assoluta del tra- sferimento d’un immobile ad un Ebreo Albini cita una sentenza del tribunale di Casale Monferrato, presso il quale egli era incardinato: «una defi nitiva traslazione del dominio nell’Ebreo è dalle leggi vietata, non avendo egli la capacità d’acquistarla»81. La situazione era ulteriormente complicata dal fatto che, in base alle leggi dell’epoca napoleonica, v’erano in Piemonte Ebrei proprietari di immobili. Si poneva così il problema di che cosa avvenisse nel caso uno di essi che alienasse un immobile proprio, o ne ricevesse uno in pagamento d’una pre- stazione. Tutti questi aspetti vengono approfonditi e documentati da Albini. Per concludere, va ricordato che questi problemi giuridici appartengono a un passato in cui potevano avere una soluzione eccezionale, perché «que- sta nullità non è irreparabile»: infatti «l’acquisto [da parte dell’Ebreo] può essere convalidato non solo con un atto di autorità del Sovrano», ma anche «colla conversione dell’Ebreo al Cristianesimo» (p. 187).

8. L’attività parlamentare Albini venne eletto nella Prima Legislatura del Parlamento Subalpino nei collegi di Arona e di Garlasco, e optò poi per quest’ultimo. Deputato di quella legislatura fu anche il suo mentore Federico Sclopis, ma Albini fece parte del gruppo del torinese Lorenzo Valerio (1810-1865)82, imprendito- re liberale di Agliè attento ai problemi sociali tanto nella politica quanto nella pratica: infatti ad Agliè aveva aperto uno dei primi asili infantili e un convitto per le tessitrici. Valerio fondò il periodico «Letture popolari»83 e i quotidiani «La Concordia» e «Il Diritto», tutti di ispirazione rigorosamente liberale. Avversario di Cavour, fu un liberale le cui forti aperture sociali ne

81 Senato di Casale, decisione del 25 giugno 1845, relatore Rossi nel caso Vitta contro Forno, cit. a p. 186 s. 82 Adriano Viarengo, Cavour, Salerno editore, Roma 2010, 564 pp. Pompeo Gherardi, Lorenzo Valerio: cenni biografi ci, Premiata Tipografi a Metaurense, Urbino 1868, 28 pp.; Lorenzo Valerio, Carteggio (1825-1865). Raccolto da Luigi Firpo, Guido Quazza, Franco Venturi, Adriano Viarengo, Fondazione Luigi Einaudi, Torino 1991-2010, 5 voll. 83 Infatti Cimbro, nel Paese di Montecitorio (cfr. nota 88), lo defi nisce «il Sansone delle Letture popolari» (p. 147), e ricorda che il Pignetti lo colloca, «nella scala della velocità orato- ria parlamentare», a 130 parole al minuto (p. 103). Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 51 fecero un referente politico di Garibaldi. Il suo pragmatismo imprenditoria- le lo portò a criticare aspramente Mazzini, ma al tempo stesso ad appoggiare i tentativi liberali di Carlo Alberto. Deputato e poi per breve tempo senato- re, come Commissario Generale Straordinario annunciò agli «italiani delle Marche» il 30 dicembre 1860: «I vostri voti sono defi nitivamente adempiuti. La Gazzetta Uffi ciale del Regno ha pubblicato il Decreto Reale di annessio- ne delle Marche al Regno d’Italia». Incaricato d’affari in Germania dal 1848 al 1851, terminò la sua carriera come prefetto di Messina, dove morì nel 1865. Gabrio Casati, nel commemorarlo al Senato, oltre all’affl ato sociale, sottolineò che «il suo animo era cristiano»84: in realtà Valerio era religioso, ma nettamente anticlericale. Alla Camera fu anche per breve tempo Segretario della Commissione per la biblioteca, istituita su proposta di Albini, come vedremo tra poco. L’appartenenza di Albini a questo gruppo minoritario di liberali antica- vouriani può spiegare tanto la sua rapida uscita dal mondo parlamentare, quanto la sua costante attenzione ai problemi sociali e all’educazione (nel suo caso, universitaria) che traspare nei suoi scritti. Il punto saliente dell’attività parlamentare di Albini fu il progetto di legge per la cessazione dei poteri straordinari concessi al Re durante il tempestoso 184885. Nonostante la rilevanza dell’argomento, il testo consta di un unico articolo: «Camera dei Deputati. Progetto di legge preso in considerazione dalla Camera nella tornata 2 novembre 1848. Ritenuto che una legge non può cessare di aver forza che per virtù di un’altra legge, il sottoscritto presenta il seguente progetto di legge.

84 «Il commendatore Lorenzo Valerio per brevissimo tempo fece parte di questo Senato. Ma la sua vita fu operosissima a pro della nazionale indipendenza. Egli fu de’ primi che ne’ comizi agrari fece travedere quelle aspirazioni le quali nel cuore una moltitudine nutriva, ma che pure non osava esprimere. Egli e mediante periodici e con attive comunicazioni s’adope- rò indefessamente al grande scopo. Nella Camera elettiva fu vivace interprete d’ogni pensiero di libertà e di patria indipendenza. Chiamato a reggere provincie vi s’adoperò con animo ret- to e prudente. Côlto da malattia che mantenne in lui la chiarezza della mente, fece conoscere anche negli ultimi momenti come il suo pensiero era l’Italia, come il suo animo era cristiano. In lui splendeva un sentimento di commiserazione per le classi povere che lo fece promotore indefesso dell’istruzione di esse, adoperandosi all’istituzione di asili infantili de’ quali non volle dimenticarsi neppure nelle sue ultime schede testamentarie. La memoria di Lorenzo Valerio sarà quella di un cittadino benefi co ed amante sinceramente la patria» (Fonte: Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 20 novembre 1865; http://notes9.senato.it/web/ senregno.nsf/ddee2edffd561928c1257114005998d3/0d2dffbd2f6ab01e4125646f00614cda? OpenDocument. 85 I poteri straordinari vennero attribuiti con la legge del 2 agosto 1848, promulgata il 16 dicembre 1848. 52 Mario G. Losano

Art. unico. La legge del 2 agosto ultimo passato sulla concentrazione dei poteri legi- slativi ed esecutivi nel governo del Re è abrogata. Torino, 22 ottobre 184886. Ad Albini si deve l’istituzione della biblioteca della Camera dei deputati, concreta testimonianza della sua convinzione ripetuta in vari scritti, secondo cui i politici devono anche essere preparati culturalmente: Considerando essere sommamente utile che per la prossima Assemblea costituente sia fi n d’ora preparato il corredo di libri ed opere relativi al suo oggetto, e che la Camera nulla possiede di tal genere salvo la raccolta del Monitore universale di Francia, si propone che la Camera nomini quanto prima una commissione la quale si occupi di ricercare e provvedere le opere dei più celebri pubblicisti ed i dibattimenti delle Assemblee costituenti e legislative dei principali Stati costituzionali. Torino, 12 luglio 184887». Questa sua attività è ricordata in un curioso scritto di analisi politi- ca in forma satirica, che si presenta come una «guida alpina» al «Paese di Montecitorio» e traccia fra l’altro un «itinerario della biblioteca» che si con- clude con «gli antichi Commissari alla Biblioteca»; e qui, «nella sessione del 1848, troviamo il prof. Pietro Albini, casto fi losofo del diritto, che promosse la cessione dei poteri straordinari»88. I suoi interventi parlamentari sono fortemente legati ai problemi del suo collegio. L’Indice generale dell’attività parlamentare dei deputati attesta una

86 Archivio storico della Camera dei deputati, Fondo Disegni e proposte di legge e incarti delle commissioni (1848-1943): «Abrogazione della legge 2 agosto 1848, n. 759 sulla concentra- zione dei poteri legislativo ed esecutivo nel Governo del Re (iniziativa Parlamentare) – C. 23 ot- tobre 1848»; il testo ms è in: http://archivio.camera.it/resources/are01/pdf/CD1100020275. pdf#nav. 87 Archivio storico della Camera dei deputati, Fondo Disegni e proposte di legge e incarti delle commissioni (1848-1943): Proposta del 12 giugno 1848, poi unifi cata con altra propo- sta. Data ms in testa al documento: 26 ottobre 1848: Proposta Albini coordinata con quella Michelini e altri [Cottin] circa la formazione della biblioteca della Camera: http://archivio. camera.it/resources/are01/pdf/CD1100020265.pdf. 88 Cimbro [pseudonimo di Giovanni Faldella], Il paese di Montecitorio: guida alpina, Roux e Favale, Torino 1882, 242 pp.; la citazione è a p. 146. Questo volume è il primo d’una serie di volumetti dal titolo comune Salita a Montecitorio 1878-1882, Roux e Favale, Torino 1882- 1884, che comprende: I pezzi grossi. Scarpellate di Cimbro (sul frontispizio: Farini, Minghetti, Sella, D. Berti, Depretis; Caporioni: profi li; Dai fratelli Bandiera alla dissidenza: cronaca; I par- titi: osservazioni). Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 53 sua solerzia superiore alla media: l’elenco dei suoi puntuali interventi, sem- pre su argomenti specifi ci e locali, comprende due colonne a stampa89. Ma le biografi e parlamentari contengono poche e labili tracce del suo passag- gio alla Camera, a causa anche della breve durata della Prima Legislatura (racchiusa nel secondo semestre del 1848) e della sua mancata rielezione: dalla mezza paginetta di Telesforo Sarti del 1890 si passa alle poche righe di Alberto Malatesta del 194090. 9. Le lettere di Albini a Federico Sclopis L’Accademia delle Scienze di Torino conserva quindici lettere che il gio- vane Albini inviò al senatore Federico Sclopis di Salerano fra il 1839 e il 184491, mentre alcune risposte di Sclopis ad Albini si trovano nella Biblioteca Patetta dell’Università di Torino92. Quarant’anni di età separavano i due giu- risti. Albini si presentò a Sclopis inviandogli il suo primo libro, il Saggio analitico sul diritto, quando il conte Sclopis, settantenne, era già al culmine della sua carriera di senatore e di alto magistrato. Il senatore apprezzò il giovane giurista di Vigevano, lo presentò come socio all’Accademia delle Scienze di Torino, lo mise a contatto con Mittermaier e ne seguì gli inizi della carriera universitaria, come attestano le lettere, che però si arrestano di fatto al 1844. Notizie sugli anni successivi si trovano nelle lettere a Mittermaier. I carteggi di Albini con Sclopis e Mittermaier93, come già si è detto, saranno oggetto di una prossima Memoria. La breve durata della corrispondenza con Sclopis è diffi cile da spiegare alla stato attuale della documentazione. L’anno dell’ultima lettera di Albini coin- cide con l’anno in cui Sclopis divenne avvocato generale presso il Senato del Piemonte (1844-1847) e, dal 1847, Primo presidente onorario del Magistrato d’appello di Piemonte; a queste cariche seguirono ben presto cariche mini- steriali in Piemonte e, dopo l’unità d’Italia, quella di senatore a Roma. Per

89 I Legislatura, 8 maggio 1848 – 30 dicembre 1848: http://storia.camera.it. 90 Telesforo Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale. Profi li e cenni biografi ci di tutti i de- putati e senatori eletti e creati dal 1848 al 1890, Tipografi a editrice dell’industria, Terni 1890, p. 253; Alberto Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, Tosi, Roma 1940, vol. 1, p. 354. 91 Tre di queste lettere sono pubblicate in Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., pp. 299-304: Albini a Sclopis, Vigevano, 12 dicembre 1839, n. 24383 (n. 10); Albini a Sclopis, Vigevano, 17 dicembre 1839, n. 24384 (n. 11); Albini a Sclopis, Vigevano, 2 novembre 1840, n. 24386 (n. 12). 92 Cfr. nota 8. 93 Cfr. note 8 e 10. 54 Mario G. Losano queste ragioni forse il contatto fra i due si affi evolì, o forse è documentato in altre carte. Le lettere a Sclopis, conservate all’Accademia delle Scienze, informano sugli inizi della carriera scientifi ca di Albini. Altre notizie su questo tema si trovano nelle lettere a Mittermaier, anch’egli socio dell’Accademia torinese (cfr. nota 113). A complemento delle notizie che si leggeranno nei carteggi bastino qui poche osservazioni sui rapporti di Albini con l’università tori- nese e con l’Accademia delle Scienze di Torino. a) Albini nell’Università di Torino La carriera accademica di Albini, già accennata per sommi capi al § 3, può ora essere esaminata in dettaglio. La sua chiamata all’Università di Torino nel 1846 è oggetto d’una lettera di ringraziamento a Sclopis, dalla quale traspare anche una preoccupazione che accompagnò l’intera carriera di Albini: il vincolo affettivo e professionale che lo legava a Vigevano e che gli rendeva diffi cile ac- cettare un incarico che lo vincolasse a Torino. Scriveva infatti Albini: «La di Lei lettera però mi lascia incerto sopra una circostanza per me rilevantissima, cioè se il doppio insegnamento per il quale sarei proposto debba aver luogo nell’U- niversità o qui in provincia, ciò che peraltro mi parrebbe poco probabile»94. La questione della sede era per lui «rilevantissima» al punto che, in passato, era stato sul punto di rinunciare alla carriera universitaria (cfr. § 4, a): «So che il mio amico Teologo Zanotti le aveva parlato della mia determinazione di lasciare la cattedra. Ora mi reco a premura di dirle che in seguito alle Sovrane disposizioni notifi catemi dal Magistrato della Riforma sul principio di ottobre ho creduto bene di continuare nell’incominciata carriera»95. Un altro problema era la chiamata solo come «reggente», con il conse- guente stipendio: a quest’ultimo Albini dedica un’intera lunga lettera, in cui l’irritazione cancella il tono aulico e ossequioso che caratterizza il resto del carteggio. Lo stipendio è basso, non si è tenuto conto «dei 16 anni da me impiegati nella pubblica istruzione dal 1830», né dei «danni inseparabili da una traslocazione, massime imprevista, di domicilio»96. Comunque Albini superò queste diffi coltà pratiche e accettò nel 1846 la cattedra di «reggente» a Torino, divenendo nel 1848 «professore effettivo»97.

94 Albini a Sclopis, 6 luglio 1846; cfr. nota 8. 95 Albini a Sclopis, 2 novembre 1840; cfr. nota 8. 96 Albini a Sclopis, 18 luglio 1846; cfr. nota 8. 97 Archivio dell’Università degli Studi di Torino (ASUT), Patenti e cariche (coll.: II.2), p. 286 s.: 10 ottobre 1846, patente di nomina a professore reggente; p. 345 s.: 19 gennaio 1848, professore effettivo di leggi della Facoltà di Giurisprudenza. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 55

La sua chiamata coincise anche con la sua attiva presenza negli organi chiamati a riformare gli studi universitari: «Sono stato da parecchi giorni no- minato dal Re a membro di una Commissione creata per l’ordinamento degli studi legali sotto la presidenza dell’egregio Sig.r Conte Sclopis»98. Questa sua attività di politica universitaria si concretizzò anche in vari piani di stu- dio per la facoltà torinese di giurisprudenza, da quello già contenuto nel suo primo libro del 1839 fi no al prospetto di un corso di diritto, minutamente descritto nella lettera a Mittermaier del 25 dicembre 1852. Intanto col 1846 era terminato il carteggio con Sclopis qui esaminato, cioè il carteggio conservato all’Accademia delle Scienze. Questo signifi ca che il loro contatto personale nelle istituzioni sostituì quello epistolare, op- pure che le lettere sono conservate in un altro archivio, o sono perdute. Ma altri documenti integrano le notizie accademiche su Albini dopo il 1846. Sulla sua carriera universitaria sono di prezioso aiuto le informazioni burocratiche conservate nell’Archivio dell’Università degli Studi di Torino, da cui già sono state desunte le date della laurea (9 maggio 1829) e delle patenti come professore. L’organo di governo dell’università fu dapprima il Magistrato della Riforma, poi sostituito dal Consiglio Universitario, i cui Minutari seguono passo a passo la carriera di Albini sin dai suoi inizi a Novara99. In questa prima fase egli rinunciò nel 1845 ad un concorso a Torino perché la sua vincita avrebbe imposto il trasferimento nella capitale. Dopo la nomina a «professore effettivo» nel 1848, le registrazioni rifl etto- no le normali vicende universitarie: orari, programmi, supplenze ecc.100. Da

98 Albini a Mittermaier, Novara, 20 gennaio 1846; cfr. nota 10. 99 Corrispondenza, Magistrato della Riforma, Minutari (coll.: 4 [1837-1842: nulla su Albini] e 5 [1842-47], p. 148: 17 giugno 1844, professore di leggi nelle scuole secondarie universitarie di Novara, manda al magistrato un lavoro per la stampa Degli atti nulli o rescin- dibili in generale, avverso la teoria delle nullità giuridiche secondo il Codice Albertino; p. 214, 17 febbraio 1845: rinuncia di Albini a presentarsi all’esame di aggregazione al Collegio di Leggi a causa dell’obbligo di residenza a Torino («fi sso e stabile domicilio in Torino»); quindi conserva la cattedra a Novara; p. 403, 24 ottobre 1846: aumenta a 800 gli esemplari del trat- tato Enciclopedia del diritto; p. 415, 23 novembre 1846: Albini fi gura come docente del primo anno di corso per gli studenti di leggi convittori del Collegio del Carmine. 100 Corrispondenza del Presidente del Consiglio Universitario, Minutari [Segnatura: Corrispondenza Cons. Univ. 2; sulla copertina: vol. 2]. «Lettere del Sig. Presidente del Consiglio Universitario, 1850», p. 59: 12 marzo 1850: orari dei corsi completivi [destinatari: Albini, Melegari, Ferrara, professori del corso completivo di leggi]; p. 163: 4 giugno 1850: invio delle «fedi di frequenza» agli «aspiranti al concorso per l’aggregazione al collegio di leg- gi» per «giustifi care di aver frequentato le scuole di corso completivo» [id.]; p. 261: 6 agosto 1850: in vista di un concorso per alcuni premi, invita a «comporre dieci temi» (nel caso di Albini) sui Principi razionali del diritto [id., c.vo mio]; p. 324: 19 settembre 1850: consegna 56 Mario G. Losano esse si desume che Albini presentò a un concorso del 1850 lo scritto Principi razionali del diritto, che non ho fi nora trovato. Alcune comunicazioni interne rivelano quali esigenze venivano avanzate nei riguardi del nuovo corso di fi losofi a del diritto (nelle denominazioni che andava via via assumendo): «Debbo far presente alla S.V. Ill.ma che il Regolamento per la Facoltà Legale del 5 agosto 1846 prescrive che il corso di principi razionali del Diritto si debba compiere in un anno e che perciò il di Lei programma deve essere coordinato col prescritto dal precitato regolamento. Debbo inoltre soggiungerle doversi nei programmi indicare approssimativamen- te il numero delle lezioni da impiegarsi nello svolgere ciascuna materia. Pregandola quindi a voler sollecitamente supplire a quei due difetti ap- parenti del programma che Ella ha presentato per l’insegnamento dei principi razionali del Diritto nel 1850-51, con ben distinto ossequio ho l’onore – sott.° Aporti»101. Superate le diffi coltà formali, il corso di Albini si espande verso ulteriori temi teorici: «Ho l’onore di rassegnare qui compiegato a V.S. Ill.ma l’estratto del- la deliberazione presa dal Consiglio Universitario nella sessione di jeri colla quale verrebbe proposta l’approvazione del programma del prof. Albini per l’insegnamento nell’anno prossimo della Filosofi a del Diritto pubblico quale seconda parte del suo trattato, colla riserva all’uopo, di provvedere per l’anno prossimo all’insegnamento complessivo in un anno dei principi razionali del Diritto, in modo da evitare la temuta duplicazio- ne d’insegnamento»102. Altre registrazioni sono di natura puramente burocratico-gestionale e vengono riportate in nota per completezza103. Ma proprio la loro natura rou- dei programmi di insegnamento, tra cui quello di Albini [id.]. 101 Ivi, p. 360, 14 ottobre 1850: destinatario: solo Albini, c.vo mio. 102 Ivi, p. 368: destinatario: solo Albini, c.vo mio. 103 Minutari della Corrispondenza del Presidente del Consiglio Universitario [Segnatura: Corrispondenza Cons. Univ 3; sulla copertina: vol. 4], «Lettere del Sig. Presidente del Consiglio Universitario, 1851-52»; p. 121: 20 novembre 1851: circolare sul cambiamento d’o- rario (2 righe) [destinatari: Albini, Melegari, Ferrara]; p. 124: 25 novembre 1951: elenco dei docenti che iniziano le lezioni, e orario [destinatari: Albini, Melegari, Ferrara ed altri]. «Lettere ministeriali 1852-56» [Segnatura: Corrispondenza Ministero 1], p. 220 s: «La morte del “deplorato prof. Saracco” lascia vacante la cattedra di Codice Civile e i rispettivi emolumenti; il Ministero comunica che il Re ha fi rmato il decreto “portante la assegnazione” al prof. Gaspare Casano di accresciuti stipendi e propine, e “Al Sig. Cav. Avv. Pietro Albini il quale per ragione di anzianità succedeva al detto professore Casano gli utili per le propine degli esami di cui è questi provveduto nella somma di lire 2200 invece di lire 1500 colla decor- Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 57 tinaria dimostra che l’insegnamento delle materie giuridico-fi losofi che si era intanto consolidato. b) Albini all’Accademia delle Scienze di Torino Nel 1839, cioè nell’anno stesso in cui Albini gli inviò il suo primo libro Saggio analitico, Federico Sclopis ne ottenne l’ingresso nell’Accademia delle Scienze di Torino come socio corrispondente104. Divenuto socio nazionale nel 1857105, di essa Albini fece poi parte sino alla morte nel 1863. Nel 1839 iniziò la corrispondenza fra i due studiosi, che però nell’archivio dell’Acca- demia è documentata solo per il periodo fra il 1839 e il 1846106. Nei ventiquattro anni di permanenza all’Accademia Albini presentò tre memorie: la prima, Dell’ordinamento giudiziario dei Romani107, legata ai temi storici che ritorneranno nei suoi volumi più tardi; le altre due su temi di fi losofi a del diritto108. È inoltre documentata la sua attività di valutatore in un concorso indetto dall’accademia stessa su uno specifi co tema di diritto positivo, l’enfi teusi, da esaminare però anche nelle sue implicazioni sociali nell’intera nazione appena unifi cata109. renza per entrambi dal 1° imminente dicembre”». P. 295, 18 giugno 1855: formazione di com- missioni d’esami, includendo anche Albini [destinatari: Albini, Melegari, Ferrara, Mancini]. 104 Verbali originali delle adunanze di classe (Classe di Scienze morali, storiche e fi lologiche), Cat. 3a, Mazzo 32, anno 1816-1839; Tornata del 5 dicembre 1839, p. 509: «Il Conte Sclopis e il Cav. Cibrario propongono il Sig. Avv. Albini di Vigevano, professore di leggi alle Scuole Universitarie di Novara, il quale, previa ballottazione, è eletto collo stesso numero di voti contrari» (cioè «con tre voti contrari» su otto accademici presenti). 105 Verbali originali delle adunanze di classe (Classe di Scienze morali, storiche e fi lologiche), Cat. 3a , Mazzo 33, anno 1840-1867; Tornata del giovedì 4 giugno 1857, p. 150: «La classe quindi determina che si passi a far esperimento dei due posti vacanti di Accademici Residenti. Ciascun Accademico avendo indi scritto due nomi su di una scheda, lo scrutinio delle mede- sime dà i seguenti nomi: Prof. Albini, nove volte; Cav. Carutti, sette volte; Prof. Vallauri, sei volte, Flechia, due volte: Totale 24. Nessuno dei predetti avendo raggiunto il numero prescrit- to dei voti richiesti per la nomina, si passa a far ballottazione pel Prof. Albini, il quale avendo ottenuto 11 voti favorevoli resta nominato». 106 Accademia delle Scienze di Torino, Corrispondenza di S. E. il Conte Federico Sclopis di Salerano. Albini (Prof. Pietro Luigi), cfr. § 11, b, e nota 8. 107 Albini, Dell’ordinamento giudiziario dei Romani sino a Costantino il Grande. Cenni storici, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», Stamperia Reale, Torino 1859, Serie II, Tomo XI, 1851, pp. 1-19; ne esiste anche un estratto con lo stesso titolo. 108 Albini, Del principio supremo del diritto, in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», Stamperia Reale, Torino 1859, Serie II, Tomo XVIII, pp. 1-18; id., Delle dottrine fi losofi che sul diritto di Antonio Genovesi, ivi, pp. 185-225. 109 Relazione della Giunta composta da S. E. Il Conte Sclopis, S. E. il Conte Cibrario e del Cav. 58 Mario G. Losano

Nei Sunti di Gorresio, già citati nella nota 30, sono elencate anche le varie attività accademiche di Albini, ma solo dal 1859, anno in cui Gorresio divenne Segretario perpetuo della Classe morale e iniziò a tenere i protocolli delle adunanze. Ecco le sue registrazioni su Albini: «Adunanza del 9 giugno 1859: «legge una Memoria intorno alle dottrine fi losofi che sul diritto di Antonio Genovesi» (p. 7 s.). Adunanza del 14 maggio 1861: «Il socio Cavaliere Albini cominciò la lettura d’un suo scritto che ha per titolo: Studi critici intorno alle dottrine giuridiche di Giovanni Maria Lampredi e dei principali suoi contemporanei» (pp. 82-84). Adunanza del 20 giugno 1861: Albini continua «la lettura della prima parte del suo lavoro» su Giovanni Maria Lampredi (pp. 89-91). Adunanza del 15 maggio e 5 giugno 1862: Per «l’esame d’un lavoro sull’I- talia contemporanea» viene costituita una commissione: Ricotti, Gorresio, Albini. Se ne discute, ma non si dice con che risultati (p. 132). Adunanza del 29 gennaio 1863: «Il Cav. Prof. Albini, a nome della Giunta incaricata di esaminare i lavori dell’ultimo concorso accademico e di dar- ne giudizio, lesse alla Classe la sua relazione che si troverà qui appresso pubblicata intera» (p. 147; è il già citato concorso sull’enfi teusi; segue la relazione, pp. 148-169, cfr. anche nota 109). La morte di Albini, avvenuta il 13 marzo 1863, venne ricordata nell’Ac- cademia delle Scienze da un breve discorso del Segretario perpetuo della Classe morale e socio nazionale, l’indianista Gaspare Gorresio, autore di quei Sunti. Poiché il discorso di Gorresio è attendibile (in quanto oratore ed estensore coincidono) e poiché questa sembra essere l’unica occasione in cui l’Accademia abbia commemorato Albini, il discorso tenuto nell’Adunanza del 19 marzo 1863 viene qui riportato quasi per intero: «Il presidente annunciò sul cominciar dell’adunanza e deplorò la morte avvenuta il giorno innanzi del socio cav. Pietro Albini, e per rendere alla memoria dell’illustre Socio estinto giusto omaggio di stima e d’affetto, propose, e la Classe approvò, che fosse sciolta l’adunanza. Ed ora qui dove io ho più volte riassunto e sposto i lavori scientifi ci dell’onorato e caro collega, mi convien compiangerne la perdita immatura e dare alla sua memoria testimonianza di lutto e di dolore. Dirò ora di lui brevi parole: ma avrò opportunità di esporne più distesamente gli studi, i lavori, l’in- gegno, la vita scientifi ca e morale nella notizia biografi ca che scriverò fra breve dell’egregio Socio dell’Accademia delle Scienze. Il Cav. Albini consacrò principalmente la sua vita all’insegnamento, a cui l’invitava la natura del suo ingegno, la molto e varia sua dottrina e il vivo

Albini, Relatore, […], in «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», Stamperia Reale, Torino 1859, Serie II, Tomo XXI, 1884, pp. V-XIX. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 59

desiderio di diffonderla. Nella lunga sua carriera ammaestrativa ei percor- se quasi tutte le parti della scienza del diritto, a cui furono precipuamente rivolti i suoi studi. Insegnò per più anni in Novara il diritto canonico e penale; chiamato quindi all’Università di Torino v’insegnò dapprima l’en- ciclopedia, poscia i principii razionali, poi la fi losofi a [179|180] del diritto. […] Ei seguitava con ardore il crescente progresso della scienza del giure e teneva l’occhio soprattutto ai grandi lavori della scuola germanica del diritto storico, giacché la tempra del suo ingegno lo disponeva principal- mente alla parte storica della scienza, ed alla storia della scienza del giure appartengono i principali lavori da lui pubblicati nelle «Memorie dell’Ac- cademia delle Scienze». Tali sono il suo scritto sul Genovesi e l’altro sul Lampredi che ei lasciò incompiuto, dov’egli prese ad esporre lo stato della fi losofi a del diritto in Italia nel secolo decimo ottavo. Aveva ingegno vigoroso e forte alimentato da forti studi; ne’ suoi studi e nel suo contegno una certa severità non eccessiva che ben si accorda coll’a- bito grave del pensiero; animo onesto, leale e franco. Le sue convinzioni religiose erano sincere e salde; egli era e per sentimento e per ragione schiet- tamente cristiano. Ma le sue opinioni, benché saldamente in lui radicate, erano per altro aliene da intemperante ardore e da sdegno intollerante. Fu molto laboriosa e forse troppo la sua vita. Oltre le fatiche dell’in- segnamento che richiedeva continuo e lungo studio, ei dava opera a patrocinar le cause ed ebbe in questo uffi zio opportunità d’alcuni bei lavori forensi che vennero pubblicati; egli era membro del [180|181] Consiglio superiore dell’istruzione pubblica, che molto si giovava della sua operosità e della sua dottrina; era socio dell’Accademia delle Scienze, nei cui volumi egli stampò più sue Memorie. [… seguono brevi cenni sulle pubblicazioni di Albini]. Morì nell’età di 56 anni, in quella piena e feconda maturità che, se più non ha la vivacità ardente, il pronto ingegno, la forza espansiva della gio- ventù, può per altro meglio e con più costante fermezza usufruttare gli studi già maturati»110. La «notizia biografi ca che scriverò fra breve dell’egregio Socio», annun- ciata da Gorresio all’inizio del suo discorso, non sembra essere stata scritta. Forse nell’attesa di questa biografi a, l’Accademia delle Scienze non pubblicò altri testi su Albini. Fuori dall’Accademia ho trovato per ora soltanto due necrologi111. Come già ricordato al § 1, questo silenzio si può forse ricon- durre anche alle profonde trasformazioni che l’Accademia delle Scienze e l’intera Italia stavano subendo dopo l’unifi cazione nazionale. In attesa che altri documenti vengano alla luce, non resta che constatare che l’Accademia

110 Adunanza del 19 marzo 1863, in Gorresio, Sunti, cit., pp. 179-181; cfr. supra nota 31. 111 E. Lattes, «Rivista Italiana di Scienze, Lettere ed Arti», 6 aprile 1863, n. 133; «Gazzetta di Torino», 21 marzo 1863, n. 80. 60 Mario G. Losano delle Scienze di Torino tornò ad occuparsi di Albini soltanto nella seduta del 5 marzo 2013, commemorandone il centocinquantenario della morte. 10. Mittermaier «ammiratore della bella Italia» L’interesse di Mittermaier per i diritti positivi stranieri lo rese uno dei fon- datori del diritto comparato moderno: «Sentinella avanzata, per così dire del progresso scientifi co nelle pratiche applicazioni, – scriveva Sclopis, – egli teneva d’occhio a tutto ciò che si pubblicava nelle materie giuridiche in Europa ed in America»112. Per averne conferma basta sfogliare la sua «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes». All’Italia lo legò un rapporto particolarmente intenso che risaliva all’infanzia, quando il precettore cui l’aveva affi dato il padre gli aveva insegnato anche l’italiano. L’interesse per la lingua e per il paese lo accompagnarono sempre, a partire da quando ventenne compì a piedi il primo dei suoi viaggi in Italia: sette, come indicò incidentalmen- te egli stesso, ovvero otto, come ha calcolato successivamente Anna Capelli. Mittermaier divenne socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino nel 1837113 (quindi due anni prima dell’Albini), anch’egli su pro- posta di Federico Sclopis, cui lo legò una lunga amicizia attestata anche dal centinaio di lettere di Sclopis a lui dirette e conservate a Heidelberg114. Nel 1847 Mittermaier scriveva a Mancini: «Sarò ammiratore della bella Italia fi n all’ultimo momento della mia vita»115. a) Il libro di Mittermaier sull’Italia Alla situazione italiana – terra di glorie passate e di decadenza presente – Mittermaier dedicò nel 1844 l’unico suo libro non giuridico, proprio «per combattere i pregiudizi di tanti che non conoscono il paese» e per «mostrare che l’Italia ha ancora in sé tutti gli elementi di grandezza»116. Alla traduzione

112 Federico Sclopis, Necrologio di Karl Mittermaier, «Atti della R. Accademia delle Scienze», Stamperia Reale, Torino 1867, vol. 3, 1867-68, p. 32. 113 Verbali originali delle adunanze di classe (Classe di Scienze morali, storiche e fi lologiche), Cat. 3a, Mazzo 32, anno 1816-1839: Domenica 19 febbraio 1837, p. 470, «vengono eletti e no- minati a pieni voti» vari studiosi, fra cui «Mittermaier, proposto dal Conte Sclopis, a Baden». 114 Federico Sclopis, Necrologio di Karl Mittermaier, «Atti della R. Accademia delle Scienze», Stamperia Reale, Torino 1867, vol. 3, 1867-68, pp. 31-38. Cfr. inoltre Filippo Ambrosoli, Necrologia. Carlo Giuseppe Antonio Mittermaier, «Monitore dei Tribunali», VIII, 1867, n. 35-36, pp. 825. 115 Citato da Erik Jayme, Einleitung, in Mittermaier, Italienische Zustände 1844, Manutius Verlag, Heidelberg 1988, p. XIII. 116 Italienische Zustände, geschildert von Dr. C.J.A. Mittermaier, Geheimenrathe und Prof. in Heidelberg, Mohr, Heidelberg 1844, 280 pp.; subito tradotto in Italia: Delle condizioni d’Italia, del Cav. Carlo dr. Mittermaier, consigliere intimo e professore a Eidelberga con un capitolo inedito dell’autore e con note del traduttore. Versione dell’abate Pietro Mugna, Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 61 italiana Mittermaier aggiunse, sotto forma di lettera al traduttore, ulteriori considerazioni Dell’importanza d’Italia ne’ progressi della civiltà in Europa, e delle speranze per suo avvenire, avvenire che egli auspicava unitario, ma sotto forma di confederazione. Anche se non scevro di alcuni pregiudizi, il libro contribuì a diffondere in Germania un’immagine positiva dell’Italia che stava trasformandosi per opera di una nobiltà aperta all’imprenditoria e al liberalismo moderato e pronta a guidare il paese verso l’unità. «Questi giorni ho veduto vari te- deschi, – gli scriveva Cesare Cantù, – e principalmente la corte del re di Württemberg che villeggiava sul lago di Como, e s’accordavano nel dire che l’opera sua piacque tanto in Germania perché dava a conoscere posi- tivamente un paese, troppo spesso descritto soltanto sentimentalmente»117. Mittermaier invece descrive l’Italia pragmaticamente. La particolarità del suo libro consiste nel fatto che, dopo una parte dedicata al carattere degli italiani, i sei capitoli che costituiscono il libro stesso sono interamente dedi- cati ad aspetti dell’organizzazione sociale: la situazione politica, le statistiche commerciali e criminali, le istituzioni per l’infanzia e per la benefi cienza e quelle per l’istruzione popolare e per la ricerca. Gli esempi sono tratti da quasi tutti gli Stati della penisola, anche se la predilezione di Mittermaier va alla Toscana sotto la guida illuminata del granduca Leopoldo. Le esperienze dirette, le comunicazioni epistolari e i testi legislativi e dot- trinari si amalgamano tanto in questa, quanto nelle altre opere di Mittermaier. Paola Balestreri fornisce un articolato quadro di queste interrelazioni, af- fi ancando l’analisi delle singole opere di Mittermaier agli scambi epistolari e alle corrispondenze con e dall’Italia118, soprattutto con il milanese Filippo Ambrosoli, traduttore del volume sulla prova nel processo penale119.

Hirschfeld, Lipsia – Milano – Vienna 1845, VI-251 pp. Su questo testo: Piero Meriggi, Czoernig, Mittermaier e la società lombarda, «Storia in Lombardia», 1988, n. 4, pp. 57-73. Ristampa anastatica: Italienische Zustände 1844. Herausgegeben von Erik Jayme, Manutius Verlag, Heidelberg 1988, XIII-280 pp. 117 Cesare Cantù a Karl Mittermaier, 15 ottobre 1845, cit. in Anna Capelli, Il carcere degli intellettuali, cit., p. 48. 118 Paola Balestreri, Mittermaier e l’Italia. Orientamenti politici e dottrine processualistiche in un carteggio di metà Ottocento, «Ius Commune» (Frankfurt a.M.), 1983, vol. X, pp. 97-140. 119 Teoria della prova nel processo penale del Dr. C.G.A. Mittermaier. Traduzione italiana eseguita sull’originale tedesco dal Dr. Filippo Ambrosoli con molte aggiunte inedite dell’au- tore e con note del traduttore sulla legislazione austriaca, Libreria di Francesco Sanvito, Milano 1858, XIV-578 pp.; orig.: Theorie des Beweises im peinlichen Process nach den ge- meinen positiven Gesetzen und den Bestimmungen der französischen Criminalgesetzgebung, Heyer, Darmstadt 1821, 336 pp. Testo digitalizzato: http://reader.digitale-sammlungen.de/ de/fs1/object/display/bsb10395061_00340.html. 62 Mario G. Losano

La corrispondenza di Mittermaier, oltre che sterminata, è sparsa in ar- chivi pubblici e privati, questi ultimi spesso diffi cili da individuare. Molte lettere sono irreperibili: «In una lettera a Eugenio Di Carlo del 1937, – scri- ve Erik Jayme, – Gustav Radbruch ricorda che nell’archivio di Mittermaier erano contenute “alcune centinaia di lettere a studiosi italiani”. Però non è stato possibile accertare che cosa sia avvenuto delle lettere italiane contenute nell’archivio della famiglia di Mittermaier, le quali erano ancora accessibili sino a pochi decenni fa»120. Al termine di queste rapide note su Mittermaier e l’Italia va segnalato che, nell’archivio della Biblioteca Universitaria di Heidelberg, hanno subìto una mutilazione fi nora inspiegata proprio le lettere di uno dei più importan- ti corrispondenti italiani di Mittermaier, Pasquale Stanislao Mancini121. Nel 1959 Eugenio Di Carlo vi segnalava l’esistenza di 40 lettere di Mancini122, oggi scomparse: ne restano quindi soltanto i passi citati dell’articolo di Di Carlo stesso. Tanto Anna Capelli quanto Erik Jayme non trovano spiega- zione a questa scomparsa. Forse la minor fama di Albini ha protetto le sue 29 lettere conservate in quello stesso archivio. b) L’Italia nella «Kritische Zeitschrift» di Mittermaier L’attenzione di Mittermaier per Albini è soltanto un aspetto della sua costante analisi delle situazioni italiane, cui è fatto cenno poco sopra e che si può ora precisare esaminando a volo d’uccello il contenuto delle 28 annate della «Kritische Zeitschrift», che si pubblicò dal 1829 al 1856. Non si tratta quindi d’uno spoglio analitico dell’intera rivista, ma della segnalazione dei principali articoli riferentisi all’Italia123. Li si può suddividere in quattro ca-

120 Erik Jayme, Grußwort. Mittermaier und Italien, in Küper, Carl Joseph Anton Mittermaier. Symposium 1987, cit., p. 16, dove aggiunge: «Pregevoli documenti sono contenuti nella Sezione Manoscritti della Biblioteca Universitaria di Heidelberg: ad esempio, 17 lettere di Giuseppe Pisanelli», il futuro artefi ce del codice civile del 1865. 121 Eugenio Di Carlo, Pasquale Stanislao Mancini e Carlo Mittermaier (con lettere inedite), in Studi in onore di Riccardo Filangeri, L’Arte Tipografi ca, Napoli 1959, vol. 3, pp. 479-501 (con indicazioni sulla posizione di Mittermaier rispetto all’unifi cazione dell’Italia e della Germania); id., Lettere inedite di P.S. Mancini al Mittermaier nel decennio di preparazione, «Rassegna Storica del Risorgimento», XXXIX, ottobre-dicembre 1952, pp. 512-516; id., Una lettera inedita di P.S. Mancini a P. Galluppi, «Giornale critico della fi losofi a italiana», XI, 1930, pp. 168-170. 122 Di Carlo, Pasquale Stanislao Mancini e Carlo Mittermaier, cit., p. 486. Il quadro degli ammanchi è in Capelli, Il carcere degli intellettuali, cit., p. 55, nota 132, che in un’altra nota (p. 14, nota 3) elenca le istituzioni italiane in cui sono oggi sparse altre lettere inviate da Mittermaier ai suoi corrispondenti italiani. 123 Esiste uno spoglio completo di questa rivista: Reinhard von Hippel, Register über die Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes, Keip, Goldbach 1998, XXXIX-214 pp. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 63 tegorie: sulla scienza giuridica italiana in generale; su vari Stati italiani; sul Regno di Sardegna; su Federico Sclopis. Articoli sulla scienza giuridica italiana in generale. Mittermaier stesso scrive a intervalli irregolari ampie rassegne sui «progressi» o sullo «stato attuale» della scienza giuridica in Italia, suddivise in vari fascicoli. Nel susse- guirsi delle puntate i temi si precisano: nel 1842-43 Mittermaier si concentra sul diritto penale e aggiunge un’analisi della legge comunale del Lombardo- Veneto124; nel 1851-52 l’ultima puntata contiene un panorama degli scritti sul diritto civile, processuale civile e commerciale125. Le rassegne più brevi hanno invece carattere generale126. Altre rassegne sono invece dirette a specifi ci rami del diritto: Mittermaier esamina il diritto romano e commerciale127, mentre l’analisi degli scritti sulla legislazione comunale italiana è dovuta a Robert von Mohl128. Articoli su vari Stati italiani. Alle rassegne generali si affi ancano analisi di scritti e leggi dei vari Stati italiani, in particolare la Toscana, il regno di Napoli e il Lombardo-Veneto, il cui numero obbliga qui a menzionarne soltanto alcuni esempi129, mentre sul Piemonte (e in particolare su Federico Sclopis) verranno forniti maggiori dettagli.

124 Ueber die Fortschritte der juristischen Literatur und den Zustand des Rechtsstudiums in Italien, Von Mittermaier, XIV, 1842, pp. 136 ss., pp. 398 ss. e pp. 556 ss.; XV, 1843, pp. 137 ss., pp. 499 ss. (quest’ultima puntata col titolo: Ueber den gegenwärtigen Zustand der Criminalrechtswissenschaft und der criminalistischen Praxis in Italien. Fortsetzung des Aufsatzes über die Fortschritte des Rechtsstudiums in Italien. Nebst einem Beilageheft: Die Lombardische Gemeindeverfassung nach ihrer Entstehung und Ausbildung, ihrem Verfalle und ihrer Wiederherstellung. Dargestellt von Carl Czoernig); conclusione, fasc. 3, pp. 433 ss. 125 Ueber den gegenwärtigen Stand der Rechtwissenschaft in Italien, mit Prüfung der bedeu- tendsten seit drei Jahren in Italien erschienenen rechtwissenschaftlichen Werke und Zeitschriften. Von Mittermaier, XXIII, 1851, n. 2, pp. 298; n. 3, pp. 471 ss.; XXIV, 1852, n. 1, pp. 141 ss.; XXIV, 1852, n. 2, pp. 284 ss.; (con l’aggiunta, dopo «Zeitschriften»: Insbesondere in Bezug auf bürgerliches Recht, bürgerliches Prozess und Handelsrecht, XXIV, 1852, n. pp. 459 ss.). 126 Die neuesten wissenschaftlichen Leistungen der italienischen Schriftsteller, Angezeigt von Mittermaier, XXVIII, 1856, n. 2, pp. 153 ss. 127 Ueber den neuen Zustand der Forschungen in Italien in Bezug auf die Geschichte der Verbreitung des römischen Rechts in Italien, XVIII, 1846, n. 3, pp. 416 ss.; Leistungen der neuesten italienischen Schriftsteller auf dem Gebiete des Handelsrecht. Von Mittermaier, XXVI, 1854, n. 1, pp. 152 ss. 128 Italiänische Schriften über Gemeindewesen. Von R. Mohl, XXV, 1853, n. 2, pp. 209 ss. 129 Per esempio, sulla Toscana: Toskanische Hypothekengesetzgebung. Angezeigt von Prof. dr. Buss in Freiburg, XII, 1840, pp. 454 ss.; sul Regno di Napoli: Das neapolitanisches Gesetz vom 21. Juli 1838 über das Duell. Mitgeteilt von Mittermaier, XI, 1839, pp. 71 ss.; sul Lombardo-Veneto: Erfahrungen über die Wirkungen des neuen im lombardischen-venetiani- schen Königreiche verkündeten Gesetzes vom 31. März 1850 über das summarische Verfahren. Mitgetheilt von einem ital. Praktiker, XXIV, 1852, n. 2, pp. 275 ss. 64 Mario G. Losano

Nel 1843 due rassegne si occupano della legislazione comunale nel Lombardo-Veneto130. Dieci anni dopo, un collega di Heidelberg pubblica un’ampia analisi del manuale di fi losofi a del diritto di Giampaolo Tolomei, docente all’università di Padova131. Articoli sul Regno di Sardegna. L’interesse di Mittermaier per il diritto positi- vo lo porta a scrivere rassegne generali sulla situazione legislativa del Piemonte132 e a soffermarsi sui nuovi codici che venivano emanati in quegli anni133. Inoltre pubblicava scritti altrui su leggi specifi che, come quella sull’espropriazione134 o li commissionava direttamente, come è avvenuto per l’articolo di Albini sul diritto penale piemontese, pubblicato anonimo (cfr. § 11, a )135. All’interesse per il diritto positivo si affi anca quello per la storia giuridica del regno sabaudo, alimentato dallo stretto rapporto con Sclopis e con altri studiosi piemontesi, tra cui Albini. Mittermaier recensisce nel 1841 così due scritti di storia del diritto, uno di Sclopis ed uno di Cibrario136. Articoli su Sclopis. Le notizie che Mittermaier diffonde sul Piemonte trag- gono spesso origine dal rapporto con Federico Sclopis, di cui recensisce

130 Sulla legge comunale in Lombardia: Über den Grad der Wichtigkeit, welcher in der reinen Monarchie den Gemeinden zu Theil werden soll. Von Herrn Zambelli, Professor an der Universität Pavia, XV, 1843, pp. 192 ss. (è l’autore dell’Enciclopedia giuridica ricordata alla nota 38); inoltre, alla rassegna iniziata da Mittermaier, si aggiunge in appendice uno scrit- to di Carl Czoernig sul medesimo tema: Die Lombardische Gemeindeverfassung nach ihrer Entstehung und Ausbildung, ihrem Verfalle und ihrer Wiederherstellung. Dargestellt von Carl Czoernig; conclusione, 1843, fasc. 3, pp. 433 ss. 131 Ueber die neueren Leistungen der Italiener auf dem Felde der Rechtsfi losofi e [sic] über- haupt und zunächst über Tolomei’s (Professor der Rechtsfi losofi e [sic], Encyklopädie und des Strafrechts in Padua), «Corso elementare di diritto naturale o razionale», III voll., Padova 1849. Von Herrn Dr. Röder, Professor der Rechte in Heidelberg, XXV, 1853, n. 1, pp. 62 ss.; XXV, 1853, n. 2, pp. 229 ss.; XXV, 1853, n. 2, pp. 333 ss. L’opera recensita è: Giampaolo Tolomei, Corso elementare di diritto naturale o razionale, Bianchi, Padova 1849, 3 vol. 132 Ueber den gegenwärtigen Zustand der Gesetzgebung in Piemont und den übrigen Staaten des Königs von Sardinien auf dem Continent, Von Herrn Grafen Fr. Sclopis, Mitglied der Gesetzgebungs-Commission in Turin, VI, 1834, pp. 353 ss. 133 Das Civilgesetzbuch für das Königreichs Sardinien von 1837. Angezeigt von Mittermaier, X, 1838, pp. 118 ss. e pp. 331 ss.; Das Strafgesetzbuch für das Königreich Sardinien vom 26. Oktober 1839. Angezeigt von Mittermaier, XII, 1840, pp. 284 ss. 134 Königlich Sardinisches Expropriationsgesetz vom 6. April 1839, verbunden mit der Instruction des königlichen Staatssecretariats vom 12. Juni 1839. Mitgetheilt von Herrn Prof. dr. Buss in Freiburg, XIII, 1841, pp. 304 ss. 135 [Albini,] Ueber das Strafverfahren in Piemont, XVIII, 1846, n. 1, pp. 17 ss. 136 Rechtsgeschichte Italiens. 1) Storia della legislazione italiana di Federigo Sclopis. Origini, Torino 1840. 2) Storia della Monarchia di Savoia di Luigi Cibrario, vol. I, Torino 1840. Angezeigt von Mittermaier, XIII, 1841, pp. 90 ss. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 65 anche alcune opere137. Nel 1844 un dibattito sul diritto d’irrigazione si rifl et- te in tre articoli di politica legislativa, il cui nucleo è costituito dalla presa di posizione di Sclopis138. Nel suo Italienische Zustände (p. 33, nota 1) questo articolo viene richiamato per ricordare un’eccellenza tecnologica dell’Italia. Infi ne, il rapporto tra Mittermaier e Sclopis potrebbe essere documenta- to a fondo attraverso l’edizione delle 99 lettere manoscritte di Sclopis, che ancora si conservano a Heidelberg139.

11. Il rapporto tra Albini e Mittermaier Nella prima metà dell’Ottocento il dibattito sulla natura della punizione, sulla misura della pena e sulle strutture espiative coinvolse tutta l’Europa colta nell’«ultimo grande dibattito illuminista», con cui affrontava uno degli aspetti della questione sociale e, in particolare, della «questione criminale che del disagio sociale rappresentava la punta estrema»140. Una fi gura cen- trale in questo dibattito fu Karl Mittermaier, ritenuto con ragione da Gustav Radbruch il giurista tedesco del XIX secolo internazionalmente più noto per le caratteristiche della sua ricerca, che si possono qui riassumere in due punti: una concezione del diritto penale fondata sull’analisi storica e compa-

137 Geschichte der alten Gesetzgebung in Piemont. Storia della antica legislazione del Piemonte, del Conte Federigo Sclopis. Torino, presso G. Bocca, 1833. Angezeigt von Mittermaier, VI, 1834, pp. 261 ss.; Sclopis Législation en Italie, und Monumenta hist. patriae (Turin) etc. Angezeigt von Herrn Dr. M. Mittermaier in Heidelberg, IX, 1837, pp. 442 ss.; Ueber das Verhältnis und den Unterschied zwischen dem römischen Civilrechte und dem canonischen Rechte in Italien. Von Herrn Grafen Sclepis [sic], Senator in Turin, XV, 1843, pp. 40 ss. 138 Ueber den neuesten Stand der Ansichten über die zweckmässigste Gesetzgebung im Bezug auf das Wasserrecht. Als Vorbemerkung zu den nachfolgenden Aufsätzen des Grafen Sclopis und des Herrn Giovanetti. Von Mittermaier, XV, 1844, n. 3, pp. 382 pp.; Betrachtungen über die piemontesische Gesetzgebung in Betreff der Wässerungsgerechtigkeiten. Von Herrn Friedr. Sclopis, XV, 1844, n. 3, pp. 391 ss.; Entwurf eines Gesetzes über die Benutzung des Wassers. Von Herrn Ritter Giovanetti, Präfekturrath und Advokaten in Novara, XV, 1844, n. 3, pp. 466 ss. 139 Signatur: Heid. Hs. 3468,214 (99 Briefe von Sclopis an Mittermaier), Handschrif- tenabteilung der Universitätsbibliothek Heidelberg. 140 Anna Capelli, Il carcere degli intellettuali, cit., p. 9 e p. 12. Con un panorama degli scritti sui rapporti fra Mittermaier e l’Italia a p. 42, nota 82, e con un’appendice di 167 lettere di Carlo Ilarione Petitti di Roreto, Giovenale Vegezzi Ruscalla, Giovanni Eandi, Alessandro Pinelli, Giuseppe Saleri, Luigi Fornasini, Aurelio Puccini, Primo Ronchivecchi, Carlo Torrigiani, Niccolò Lami, Carlo Peri, pp. 163-473. Le lettere di Petitti di Roreto erano già state pubblicate nel volume: Carlo Ilarione Pettiti di Roreto, Lettere a L. Nomis di Cossilla ed a Mittermaier. A cura di Paola Casana Testore, Centro di Studi Piemontesi, Torino 1989, 505 pp.; le lettere di Petitti a Mittermaier, pp. 389-486, sono trascritte anche da Capelli, cit., pp. 161-270, con lievi differenze di lettura fra le due trascrizioni. Anna Capelli ha tracciato anche la storia delle riforme penitenziarie italiane: La buona compagnia. Utopia e realtà carce- raria nell’Italia del Risorgimento, Franco Angeli, Milano 1988, 358 pp. 66 Mario G. Losano ratistica delle varie soluzioni adottate in Europa (in contrasto quindi con la visione di Anselm von Feuerbach che riconduceva il diritto penale a un uni- co principio fi losofi co); l’animazione di una rete europea di corrispondenti che con cui scambiava documenti legislativi e dottrinari, che confl uivano poi nelle sue riviste in Germania o in riviste straniere. Il suo amico torinese Sclopis sottolinea come il suo metodo «di trattare la scienza del diritto» fosse analogo a «quello che tengono i naturalisti nel- le scienze fi siche. Come questi da assai tempo sostituirono alle lucubrazioni fantastiche le osservazioni rigorose dei fenomeni naturali e le posero a base delle rinnovate teorie, così il Mittermaier nella dottrina delle leggi prese a considerare quali istituzioni sieno state dagli uomini ordinate in varie epoche, ed in luoghi diversi, e quali effetti ne sieno seguiti. Così procedendo, egli si procacciò la più netta idea generale dell’organismo della legislazione»141. Dal carteggio con Albini traspare non solo l’interesse di Mittermaier per il diritto penale e penitenziario, ma anche la sua attenzione per tutti i rami del diritto: nel 1857 Emerico Amari vedeva in lui «una biblioteca vivente di leggi comparate»142, e nel 1867 Sclopis asseriva «ch’egli rappresenti un’enciclopedia […] rispetto alle scienze giuridiche e sociali»143. I suoi scritti e le loro nume- rose traduzioni coeve anche in Italia attestano i suoi molteplici interessi144. Fra i testi minori di Mittermaier va segnalato un parere «sulla compensa- zione delle ingiurie reciproche»145, scritto in italiano e rimasto inedito fi no al 1988, quando fu pubblicato negli atti di un congresso; però nell’indice esso è indicato con il titolo Ein Rechtsgutachten Mittermaiers, che fa pensare a un testo in tedesco. Mancini, come avvocato, aveva chiesto questo parere pro veri- tate a Mittermaier, il cui originale è conservato nell’Archivio Mancini a Roma.

141 Sclopis, Necrologio di Karl Mittermaier, cit., p. 36. 142 Emerico Amari, Critica di una scienza delle legislazioni comparate. A cura di Vittorio Frosini, Regione Siciliana, Palermo 1969, vol. 1, p. 237. Ristampato anche da Rubettino, Soveria Mannelli 2005, XXVIII-663 pp. 143 Sclopis, Necrologio di Karl Mittermaier, cit., p. 37. 144 Un elenco delle traduzioni in italiano si trova nel Catalogo dei libri italiani dell’Ottocen- to (CLIO). Una bibliografi a di Mittermaier è in Jürgen Friedrich Kammer, Das gefängnis- wissenschaftliche Werk von K.J.A. Mittermaier, Gagstatter, Freiburg i.B. 1971, XLI-299 pp. Per una valutazione generale della sua opera come germanista, politico e penalista: Wilfried Küper (ed.), Carl Joseph Anton Mittermaier. Symposium 1987 in Heidelberg. Vorträge und Materialien, Decker & Müller, Heidelberg 1988, VIII-309 pp. In appendice a questi atti si trova l’inedito di Mittermaier sui principi del cosiddetto diritto naturale (Über die Prinzipien des sogenannten Naturrechts, pp. 167-243), nonché il parere pro veritate, cfr. infra, nota 145. 145 Intorno alla compensazione delle ingiurie. Voto pro veritate di G. I. Mittermaier, in Küper, Carl Joseph Anton Mittermaier. Symposium 1987, cit., p. 303 s. Già in parte pubblicato nella «Gazzetta dei Tribunali» di Genova, V, 5 novembre 1853, n. 86. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 67

La capacità di organizzatore culturale di Mittermaier si rifl ette anche nella promozione di tre riviste che coprono i principali campi del diritto, il «Neues Archiv des Criminalrechts», l’«Archiv für civilistische Praxis» e quella su cui si tornerà fra poco, la «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes» (1829-1856)146, il cui interesse comparatistico si concentra sulla legislazione degli Stati europei, ma rivela crescenti apertu- re verso quella degli Stati Uniti e anche saltuari commenti sulle legislazioni extraeuropee, come quella brasiliana, indiana o islamica147. Il pragmatico riferimento alla realtà legislativa si manifesta in forma inevitabilmente fram- mentata nella rivista, mentre in forma più costruita costituisce l’ossatura delle opere monografi che di Mittermaier: come osserva Erik Jayme, «la com- parazione giuridica era il suo elemento primigenio»148. Però queste non furono le sole riviste in cui si riversò l’instancabile attività di Mittermaier. Heinz Mohnhaupt ha analizzato le numerose riviste tedesche cui Mittermaier collaborò, indicando anche quanti articoli andò pubblican- do in ciascuna di esse. Ad esempio, al «Neues Archiv des Criminalrechts» collaborò «per 42 anni come capo-redattore fi no alla chiusura delle rivista» e in essa «pubblicò 159 contributi»149. a) La recensione di Mittermaier su Albini e l’articolo di Albini sulla rivista di Mittermaier Il rapporto tra Albini e Mittermaier si concretizzò in due scritti pubblicati sulla «Kritische Zeitschrift», accanto a numerosi altri saggi anche sull’Italia, richiamati nel § 10, b. Qui è necessario limitarsi a una descrizione della ge- nesi di entrambi gli scritti che vedono direttamente coinvolti i due giuristi, mentre la loro traduzione si trova in appendice alla presente Memoria.

146 Oggi le 27 annate sono in Internet nella Digitale Bibliothek des Max-Planck-Instituts für Europäische Rechtsgeschichte: http://dlib-zs.mpier.mpg.de/mj/kleioc/0010MFER/exec/ series/%222084752-x%22. 147 Das brasilianische Handelsrecht nebst Bemerkungen. Von S. Borchard, Stadtrichter, «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes», XXV, 1853, n. 1, pp. 446 ss.; XXVI, 1854, n. 1, pp. 193 ss.; Über die Rechtsbücher der Hindus, und derer gegenwärtige Gültigkeit in den Besitzungen der Englisch-Ostindischen Compagnie. Von Hrn. Oberappellationsrath Spangenberg zu Celle, ivi, I, 1829, n. 4, pp. 64 ss.; Der Islamismus in seinem Verhältnisse zur Civilisation. Von Dr. Weil, Bibliothekar in Heidelberg, ivi, XXVI, 1854, n. 1, pp. 195 ss. 148 Erik Jayme, Einleitung, p. XII, nella ristampa anastatica di Italienische Zustände 1844, cfr. nota 116. 149 Heinz Mohnhaupt, Rechtsvergleichung in Mittermaiers «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes» (1829-1856), in Michael Stolleis (ed.), Juristische Zeitschriften. Die neuen Medien des 18.-20. Jahrhunderts, Klostermann, Frankfurt a.M. 1999, p. 282 s. 68 Mario G. Losano

Il libro con cui l’Albini si presentava alla «repubblica della lettere» giunse a Mittermaier grazie a Federico Sclopis, che aveva appena ricevuto il Saggio analitico pubblicato nel 1839. Infatti in quello stesso anno Albini gli scrive: «Di buon grado accetto la cortese sua profferta di mandare ad Eidelberga una copia del mio saggio», precisando di non avere «alcuna relazione con quel dotto personaggio»150. Il fruttuoso contatto di Albini con Mittermaier inizia dunque nel 1839. Ma non bastava né l’autorevolezza del presentatore, né la simpatia verso l’Italia a giustifi care la positiva recensione di Mittermaier. Egli infatti «aveva un senso infallibile per la qualità dei nuovi scritti che accettava di recensire in una delle riviste da lui édite»151. Il libro del giovane autore incontrò la sua approvazione. Naturalmente Albini fu lusingato dalla recensione, tanto che ne preparò una traduzione in italiano, destinata a circolare nell’ambiente piemontese. Ho ritrovato il testo manoscritto di questa traduzione piegato dentro l’esemplare del Saggio analitico della biblioteca di Albini, e ne forni- sco la trascrizione nell’Appendice I. Anzitutto Mittermaier apprezzò la vastità del contenuto, al punto da tradur- ne per intero l’indice. Il libro, scrive, «può con tutta ragione essere risguardato come una enciclopedia legale, sebbene contenga ancora più che le nostre enciclopedie tedesche». Mittermaier ripercorre i punti centrali del volume, soffermandosi sulle sue peculiarità: «è svolto assai bene il diritto amministra- tivo»; «il capo sul diritto privato contiene un’ingegnosissima esposizione delle classifi cazioni e del complesso dei diritti privati»; «bella è l’esposizione […] del diritto ecclesiastico»; «con molta energia egli discorre dell’importanza del- la fi losofi a del diritto per la teoria e per la pratica e della storia del diritto, la quale non dee consistere in una sterile cognizione»; «da commendarsi» sono poi le pagine «intorno allo studio dell’economia politica e della statistica»; e queste non sono che alcune delle considerazioni positive. Non mancano però alcune critiche: «L’esposizione è chiara e scritta in istile elegante, sebbene a dir vero dia sovente nel fraseggiare turgido e prenda tal- volta il tono declamatorio». Lamenta che non siano state «messe in luce due importanti circostanze, che tornano ad onore specialmente della sua Italia»: gli statuti delle città italiane dove «si andò formando un nuovo diritto, il quale fu una mescolanza di diritto Romano e Germanico»; e le origini italiane «di ciò che da noi viene chiamato pratica del diritto Romano», cioè l’usus moder- nus pandectarum. Infi ne, il piano di studi concepito da Albini (e qui riprodotto

150 Albini a Sclopis, Vigevano, 12 dicembre 1839, cfr. nota 8. 151 Erik Jayme, Grußwort. Mittermaier und Italien, in Küper, Carl Joseph Anton Mittermaier. Symposium 1987, cit., p. 9. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 69 alla fi ne del § 4, a) riscuote il suo interesse, tanto che da riprodurlo per intero; ma, come germanista, gli «duole che in questo piano non si trovi accennata una lezione sulla storia del diritto Germanico e sul diritto pubblico». Nonostante queste critiche tutto sommato marginali, Mittermaier vede in Albini «uno degli scrittori animati dal più eccellente spirito scientifi co, che con profondi studi si è impossessato del suo soggetto»152. Il giudizio positivo di Mittermaier si estende anche alle proposte di Albini per il rinnovamento degli studi universitari: «Ora non ci rimane che a fare un voto, che le sue viste e i suoi progetti vengano presto accolti da quelli che in Italia hanno autorità nella direzione delle università». Mittermaier invitò Albini a scrivere un articolo per la «Kritische Zeitschrift»153 e le loro lettere permettono di seguirne la genesi. Da esse non risulta per- ché si decise di pubblicare anonimo quell’articolo. Potrebbe forse trattarsi di una scelta editoriale, poiché anche altri articoli analoghi vennero pubblicati anonimi. Per esempio, un articolo sulla pena di morte in Toscana è scritto «da un giurista toscano», «von einem toskanischen Rechtsgelehrten»154. Un altro sul Lombardo-Veneto è «comunicato da un giurista pratico italiano», «Mitgetheilt von einem ital. Praktiker» (cfr. nota 129). Anche Albini venne indicato soltanto come «un giurista pratico del Regno di Sardegna» e, per que- sto, l’articolo Sul procedimento penale in Piemonte rimase pressoché ignoto in Italia155. Mentre il testo tedesco è disponibile anche nella versione digitalizzata della rivista (cfr. nota 146), l’Appendice II ne offre la traduzione italiana. Tra il 1843 e il 1846, anno della pubblicazione, le lettere consentono di seguire le vicende dell’articolo. Mittermaier doveva aver espresso un deside- rio preciso sul contenuto di quello scritto (probabilmente desiderava notizie sulla riforma del diritto penale in Piemonte), perché sin dalla prima lettera del carteggio emergono alcune diffi coltà nell’accogliere la sua richiesta: «Ho tardato più di quello che avrei voluto per poter aggiungere alcune notizie sulle esperienze fatte in seguito alla legge 11 gennaio 1840. A grande stento […] ho potuto avere le poche notizie […] compendiate alla fi ne dell’artico-

152 Per i passi fi n qui citati rinvio al testo della recensione nell’Appendice II. 153 Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., p. 172, nota 123, cita le due lettere in cui Mittermaier formula questo invito: lettera di Mittermaier ad Albini, del 24 novembre 1843 e del 26 aprile 1844 (Fondo Albini della Biblioteca Patetta, Università di Torino). 154 Statistische Nachrichten über die Todesstrafe in Toscana, mit Bemerkungen über die Wirkung der Gesetzgebung in Bezug auf diese Strafe; von einem toskanischen Rechtsgelehrten. Mit einem Zusatze von Mittermaier, «Kritische Zeitschrift für Rechtsgeschichte und Gesetzgebung des Auslandes», XI, 1839, pp. 228 ss. 155 Albini, Über das Strafverfahren in Piemont, «Kritische Zeitschrift für Rechtsgeschichte und Gesetzgebung des Auslandes», XVIII, 1846, pp. 17-42. 70 Mario G. Losano lo». Tuttavia, nonostante questa diffi coltà, il testo è pronto: «Assieme alla presente vi mando […] l’annunciatovi articolo sulla procedura penale in Piemonte»156. L’anno dopo Albini ritorna sull’argomento: «Di buon grado avrei ap- pagato il vostro desiderio intorno agli esperimenti qui fatti intorno alla legge 11 gennaio 1840»; però la mancanza di documentazione lo aveva ob- bligato a ripiegare su un tema più generale: «Ho quindi stimato meglio di esporre succintamente lo stato della nostra procedura penale, ove ho fatto cenno anche della mentovata legge». Ad essa sono infatti dedicate le ulti- me pagine dell’articolo, in cui indica la provvisorietà della riforma del 1840 della procedura penale: «Quelle modifi che vanno quindi considerate come un elemento transitorio. L’esperienza di quattro anni ha dimostrato l’im- perfezione di questo sistema che rappresenta una via di mezzo, che lascia sussistere ancora alcune manchevolezze del sistema scritto, mentre fruisce soltanto in parte dei vantaggi del procedimento orale e del dibattimento pubblico»157. E nella stessa lettera dà per ultimato l’articolo processualistico: «Ho in pronto un articolo per vostro giornale sullo stato attuale del processo penale in Piemonte»158. Col 1845 si passa alla fase fi nale della pubblicazione. Per pubblicare in tedesco quel testo si dovette passare attraverso la sua versione in francese: «Volgerò, come desiderate, in francese l’annunciato articolo»; inoltre, nella stessa lettera, Albini comunica che «all’articolo non apporrò che le lettere iniziali del mio nome»159. In realtà, come si è detto, si preferì ricorrere alla formula «un giurista pratico del Regno di Sardegna». Questo articolo di natura soprattutto procedurale può essere ascritto a quei testi di diritto positivo ricordati nel § 7. Lo stesso Albini ne avver- tiva la secchezza e, quindi, si rallietò della buona accoglienza da parte di Mittermaier, che il 9 maggio 1845 gli scriveva: «Il vostro articolo sulla pro- cedura è eccellente: egli dà una giusta e chiara idea della procedura e le sperienze e le proposizioni, le quali avete proferite, meritano l’attenzione di ciascun giuriconsulto»160. Con sollievo gli risponde Albini: «Mi fu pure gra- tissimo l’intendere che abbiate creduto meritevole della vostra approvazione

156 Albini a Mittermaier, Novara, 5 aprile 1843; cfr. nota 10. 157 Appendice II. Nell’originale tedesco (supra, nota 155) il passo citato è alla p. 39, mentre le considerazioni sulla legge 11 gennaio 1840 sono alle pp. 39-42. 158 Albini a Mittermaier, Novara, 26 novembre 1844, corsivo di Albini; cfr. nota 10. 159 Albini a Mittermaier, Novara, 1° gennaio 1845; cfr. nota 10. 160 Mittermaier ad Albini, 9 maggio 1845, citato da Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., p. 173, nota 125. Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 71 il mio articolo sullo stato del processo penale in Piemonte. Poiché a dirvi il vero temeva che lo avreste trovato troppo arido e gretto»161. b) Un esempio della circolazione delle idee in Europa: il carteggio Albini-Mittermaier Fin qui sono state esaminate le lettere di Albini che si riferiscono ai due scritti pubblicati sulla «Kritische Zeitschrift». L’insieme della cinquantina di lettere del carteggio fra Albini e Mittermaier costituisce però un preciso campione di quell’«invisible college» che stava facendo circolare in tutta Europa le riforme liberali nel campo del diritto, dall’abolizione della pena di morte (cfr. supra, § 6, b) fi no alla giuria. La lettura del carteggio aiuta a comprendere come circolassero le idee verso la metà dell’Ottocento. La produzione editoriale era molto inferiore all’attuale, ma era più diffi cile accedere alle pubblicazioni, specie se straniere. Albini infatti chiede delle vere e proprie recensioni volanti sulle pubblicazio- ni tedesche, della cui esistenza lo hanno informato i suoi corrispondenti o le riviste di cui disponeva in Piemonte. «Nella “Bibliothèque universelle” di Ginevra vidi accennata con lode un’opera recente del Prof. Bluntschli», scri- ve Albini, e chiede a Mittermaier un «giudizio su questo libro che avendo qualche pregio le sarà certamente noto»; inoltre «anche sull’opera di Stahl […] sentirei volentieri il suo parere»162. Simmetricamente, Albini invia, non senza diffi coltà, libri e riviste a Mittermaier: «Prima di mandarvi questo nuo- vo pacco desiderava aver notizia da voi che avevate ricevuto il primo. Stimo pertanto opportuno di scrivervi affi nché non ascriviate a mia non curanza il ritardo. Finora io non ho ricevuto i libri che nelle due ultime vostre mi annunziavate»163. La lettura delle singole lettere permetterà di moltiplicare questi esempi. Si lamentava Mittermaier: «Pare che la mia corrispondenza cogli amici italiani non è più sicura; al- meno lettere che ho scritto agli amici di Firenze e di Napoli non sono arrivate; al fi ne di dicembre ho scritto una lunga lettera a voi, ma la vostra lettera del 20 genn. non ne parla. Mi duole molto». Mittermaier ad Albini, Heidelberg, 30 gennaio 1846164. L’involontaria prova concreta di quanto fosse necessario realizzare il principio del «laisser faire, laisser aller» è fornita dalle diffi coltà che i due giuristi – e con loro tutti gli altri – incontravano nello spedire e pagare un

161 Albini a Mittermaier, Novara, 7 giugno 1845; cfr. nota 10. 162 Albini a Mittermaier, Novara, 10 novembre 1843; cfr. nota 10. 163 Albini a Mittermaier, Torino, 23 giugno 1859; cfr. nota 10. 164 Mittermaier ad Albini, Heidelberg, 30 gennaio 1846; cfr. nota 10. 72 Mario G. Losano libro da Torino a Heidelberg, o viceversa, con intermediari a Ginevra, a Strasburgo o a Milano, con ritardi, e smarrimenti, e recriminazioni e scuse di cui sono costellate le loro lettere. Albini constatava che il liberismo economico era più avanzato del libe- ralismo politico, che cioè le merci circolavano più agevolmente delle idee: «Invierò il pacco come voi dite al Sig. Aubanel a Ginevra, perché corrispon- denza diretta con Eidelberga non esiste. Piuttosto mi servirò di un’altra diligenza per Ginevra per vedere se sia più diligente nel recapito dei pacchi. Pisanelli giorni sono non aveva ancora ricevuto nulla. […] Pare impossibile che con tanta facilità di comunicazioni sia così malagevole avere un pacco di libri, mentre arrivano regolarmente alla loro destinazione tante merci»165.

12. Il retaggio di Albini Albini è un filosofo del diritto oggi dimenticato. Nel 1926 Gioele Solari lo inquadrava con precisione nelle correnti culturali ottocentesche: «È noto infatti che la fi losofi a rosminiana, favorita dal governo, difesa da seguaci attivi e intolleranti, quali il Corte, lo Sciolla, il Tarditi, il marchese Gustavo di Cavour, dominò incontrastata nelle scuole del Piemonte e nell’U- niversità di Torino nel decennio 1840-50. La nuova disciplina della fi losofi a del diritto sorgeva in opposizione alla fi losofi a uffi ciale in corrispondenza al moto di rinnovamento suscitato dal Gioberti. Ma la tradizione giober- tiana nell’insegnamento della fi losofi a del diritto fu bruscamente interrotta quando a succedere a Merlo fu chiamato nel 1849 Pier Luigi Albini, che se non fi gura tra i seguaci diretti e dichiarati del Rosmini, ne subì però note- volmente l’infl uenza negli scritti e nell’insegnamento»166. Nel dopoguerra Giorgio Del Vecchio, trattando della scuola del diritto razionale, colloca Albini fra quegli «scrittori che, se anche non apparten- nero strettamente alla detta scuola, ne seguirono in gran parte i principi e i metodi»; egli infatti «cercò di distinguere il “diritto fi losofi co” dal “diritto di ragione” e dal “diritto positivo”, avvicinandosi, specialmente negli ultimi scritti, al Rosmini» (p. 117 s.). e ne ricorda il saggio del 1859 su Genovesi come contributo alla storia della fi losofi a del diritto167. Però invano si cercherebbe una menzione di Albini nei tre volumi di Storia della fi losofi a del diritto di Fassò o nell’aggiornamento curato da Carla Faralli del primo volume sull’Otto-Novecento168. Poco più d’una menzione

165 Albini a Mittermaier, Torino, 2 giugno 1853; cfr. nota 10, corsivo di Albini. 166 Gioele Solari, La vita e il pensiero civile di Giuseppe Carle, cit., p. 26. 167 Giorgio Del Vecchio, Storia della fi losofi a del diritto, Giuffrè, Milano 19465, rispettivamente alle p. 117 s. e p. 134. 168 Albini non è menzionato né nella prima edizione del 1970, né nell’aggiornamento: Guido Fassò, La fi losofi a del diritto dell’Ottocento e del Novecento. Nuova edizione aggiornata a cura Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863) 73 si trova nelle biografi e parlamentari, richiamate al § 8, e anche lo storico del diritto Giuseppe Ermini dedica ad Albini una breve voce dell’Enciclopedia Treccani, ricordando come «non privo di valore» il suo libro Elementi di storia del diritto in Italia del 1847-48, mentre più corposa e documentata è la voce di Abbondanza nel Dizionario Biografi co degli italiani169. Fra gli storici del diritto, invece, il ricordo di Albini giunge sino ai giorni nostri. Federico Patetta170 e Bruno Paradisi171 lo indicano come antesignano degli studi sulla storia del diritto italiano. Luigi Franchi sottolinea il suo impegno nel rinnovamento della legislazione sugli studi giuridici172. Il roma- nista Sandro Schipani ricordò Albini in un suo intervento sulle Istituzioni di Gaio nel convegno torinese del 1978 in onore di Silvio Romano173. Ma gli studi più rilevanti sono i due più volte ricordati nella pagine pre- cedenti. Nel 1984 la storica del diritto Laura Moscati tracciò una storia della recezione della Scuola storica tedesca in Piemonte e dedicò alcune accu- rate pagine ad Albini, partendo dai suoi tentativi di tradurre due opere di Savigny, ma andando però ben oltre questo tema nel delineare la fi gura di Albini nei suoi rapporti con la Germania174. Le notizie su queste traduzioni iniziate da Albini si trovano nelle lettere a Sclopis già ricordate. Le pagine concise e documentate di Laura Moscati costituiscono il miglior apporto contemporaneo alla conoscenza di Albini. La storica Anna Capelli pubblicò nel 1993 una nutrita raccolta di lettere scritte a Mittermaier da giuristi, politici e intellettuali italiani, ma non incluse le lettere di Albini probabilmente per il loro carattere tecnico-giuridico. In di Carla Faralli e Gianfrancesco Zanetti, Il Mulino, Bologna 1988, 357 pp. 169 Cfr. la voce Albini di Roberto Abbondanza nel Dizionario Biografi co degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1960, vol. 2, pp. 9-11. 170 Federico Patetta, Storia del diritto italiano, Giappichelli, Torino 1947, pp. 94-5; 171-78; 200. 171 Bruno Paradisi, Gli studi di Storia del diritto italiano, in Carlo Antoni – Raffaele Mattioli, Cinquant’anni di vita intellettuale italiana: 1896-1946, Edizioni Scientifi che Italiane, Napoli 1950, II, pp. 354, 456. (anche: Gli studi di storia del diritto italiano nell’ultimo cinquantennio 1895-1945. Idee direttrici e svolgimenti essenziali, Circolo Giuridico dell’Università, 1947, 69 pp. [estratto da «Studi senesi», 1946-47, vol. 60, fasc. 2]). 172 Luigi Franchi, Le fonti della legge Casati, in «Annuario della R. Università di Torino, 1927-28», Villarboito, Torino 1928, pp. 7-38: Albini è citato alle pp. 17, 22, 23, 24, 36. Inoltre Luigi Franchi, Ancora sull’insegnamento del diritto. Con un documento inedito, R. Accademia delle scienze, Torino 1937, 29 pp. (estratto da: «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», vol. 72, Tomo 2, 1936-37, pp. 328-354). 173 Sandro Schipani, Sull’insegnamento delle Istituzioni, in Il modello di Gaio nella formazio- ne del giurista, Giuffrè, Milano 1981, pp. 156-161. 174 Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte, cit., nel cap. IV, Traduzioni, studi, incontri per la recezione di Savigny, il § 4 illustra I tentativi di Albini, pp. 169-180. 74 Mario G. Losano quest’opera compare però qualche notizia su Albini quando quest’ultimo viene menzionato da Giovenale Vegezzi Ruscalla (fautore del «carcere re- pressivo»), che nel 1856 lamentava la mancanza di nuove opere sul diritto penale: «Nos avocats-auteurs siègent aux Chambres, disputent au barreau et n’impriment plus d’ouvrages»; e nella lista dei quelli che «n’ont plus im- primé une seule ligne»175 compare anche il nome di Albini: accusa ingiusta, perché dopo il 1856 Albini continuò a pubblicare soprattutto opere di fi lo- sofi a del diritto.

175 Anna Capelli, Il carcere degli intellettuali, cit., p. 306: Vegezzi Ruscalla a Mittermaier, Turin, le 18 avril 1856. A p. 336, in nota, Albini ricorre solo come curatore del volume di Mamiani e Mancini del 1841 (cfr. nota 51). Appendice I

LA RECENSIONE DI KARL MITTERMAIER AL SAGGIO ANALITICO DI ALBINI

Nell’esemplare del Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale, di Pietro Luigi Albini, Avv. e Prof. di diritto nelle RR. Scuole Universitarie di Novara, Coi Tipi di Pietro Vitali e Comp., Vigevano 1839, 360 pp. (conservato nell’Università di Torino, Biblioteca Patetta, Fondo Albini, fra la p. 96 e la p. 97) ho trovato un manoscritto di Albini composto di 8 facciate. Esso era già stato segnalato nelle precise pagine di Laura Moscati, Da Savigny al Piemonte. Cultura storico-giuridica subalpina tra la Restaurazione e l’Unità, Carocci Editore, Roma 1984, p. 172, nota 120. Si tratta della traduzione della recensione scritta da Mittermaier al Saggio analitico di Albini e pubblicato nella «Kritische Zeitschrift für Rechtswissenschaft und Gesetzgebung des Auslandes», 1840, Bd. 12, alle pp. 468-475, col titolo: Juristische Encyklopädie in Italien. Angezeigt von Mittermaier. Il manoscritto di mano di Albini è con ogni probabilità la prima ste- sura d’una diretta traduzione dal tedesco, con numerose parole corrette anche più volte e con i capoversi che non sempre corrispondono all’ori- ginale in tedesco. La trascrizione del manoscritto di Albini, pubblicata qui di seguito, è stata confrontata con l’originale e le poche parole omes- se da Albini nella sua traduzione sono state reintegrate nel presente testo fra parentesi quadra. Poiché il testo di Albini non ha note a pié di pagina, ho collocato le mie osservazioni in nota, senza parentesi quadre. Fig. 6. La recensione di Karl Mittermaier del Saggio analitico sul diritto di Albini. Giudizio del Sig. Mittermaier sul Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione politico-legale di P. L. Albini avv.° e Prof. nelle RR. scuole universitarie di Novara1 Estratto dal Giornale critico di giurisprudenza e legislazione straniera di Eidelberga, fasc. di marzo 1840 (traduzione dal tedesco) Una enciclopedia legale è principalmente destinata a far conoscere la scienza dell’autore non meno che lo stato delle cognizioni in relazione alle diverse branche del diritto e l’intima loro connessione. L’importanza di un’o- pera di tal genere per chi s’inizia agli studi legali è abbastanza riconosciuta. L’Allemagna in particolare è il paese ove fi orisce lo studio dell’enciclopedia legale. Un gran numero di opere insigni su questo argomento deve la sua origine allo spirito scientifi co della Germania. L’Italia, che fu sempre nota per molti giureconsulti di alto merito, non ebbe fi nora che una sola opera, la quale s’accostasse ad una enciclopedia legale, cioè il Saggio sopra l’introduzione enciclopedica allo studio politico- legale del Sig.r Zambelli, Bergamo 1828. Ora il libro, il cui titolo abbiamo annunciato, può con tutta ragione essere risguardato come una enciclopedia legale, sebbene contenga ancora più [1|2] che le nostre enciclopedie tede- sche. Un fedele prospetto delle materie che sono trattate sarà suffi ciente per formarsi una giusta idea della medesima. (Qui l’autore [cioè Mittermaier] riporta l’intestazione dei libri e dei capi di tutta l’opera)2. Da questo prospet- to si può facilmente conoscere la ricchezza delle materie di questo scritto e l’eccellenza dell’autore, il quale ha approfondito e padroneggiato il soggetto che tolse a trattare. L’esposizione è chiara e scritta in istile elegante, sebbene a dir vero dia sovente nel fraseggiare turgido e prenda talvolta il tono de- clamatorio. L’autore si appalesa per un uomo che conosce a fondo i diversi rami degli studi legali, e che in tutte le sue discussioni è guidato da un fi no

1 Su questo scritto cfr. § 11, a. 2 Alle pp. 468-470 Mittermaier traduce in tedesco l’intero indice dell’opera di Albini, che viene omesso tanto da Albini quanto nel presente testo. 78 Mario G. Losano criterio fi losofi co e dalla cognizione della storia non meno che dall’esattezza3 di profondi studi del diritto positivo. E [dalle sue analisi scientifi che] si vede ch’egli conosce molto bene la letteratura della sua scienza, non esclusa la letteratura straniera e princi- palmente la letteratura giuridica francese. Delle opere tedesche egli cita specialmente quelle di Savigny, Abegg, Hugo, Wening. L’autore ha cura di accennare dappertutto gli scrittori che sono più istrut- tivi e giovano al progresso della scienza4. Per dare un saggio ai nostri lettori il [sic5] procedimento delle idee dell’autore vogliamo esporre alcune sue viste. L’autore a p. 21 prende le mos- se dalla giustizia come il principio fondamentale e regolatore [del diritto]. [2|3] Essa dà norma anche al potere sociale, perché altrimenti dominerebbe l’arbitrio e il dispotismo. Il diritto e la morale si portano vicendevolmente soccorso (p. 24, questa serve di base a quello, però sono tra di loro distinte, ché il diritto ha sempre un carattere di esteriorità). La morale e la religione dirigono gli atti dell’uomo e sono i più effi caci ausilii del diritto. Quindi il diritto e la morale sono le norme regolatrici degli uomini, né può esserci tra l’una e l’altra contraddizione. L’autore non ammette uno stato natura- le, ma ravvisa nello stato sociale come lo sviluppo necessario dei rapporti naturali e come l’esistenza dell’individuo stesso [p. 20]6. La necessità dell’as- sociazione, la subordinazione di tutti per cooperare al conseguimento di uno scopo conduce alla ricognizione di un potere sociale e ad un gover- no (p. 33). Il perfezionamento degli uomini deve effettuarsi coll’opera di essi medesimi, sendo che l’uomo conserva sempre ancora la sua personalità (p. 41). Per mettere in atto il diritto sono indispensabili diversi mezzi ed atti, i quali debbono scegliersi entro i limiti segnati dalla giustizia, la scelta dei quali è diversa secondo i tempi, i luoghi e le persone. La cognizione e il più acconcio uso dei mezzi opportuni per il conseguimento dello scopo

3 Albini sottolinea la parola ‘esattezza’ perché probabilmente non gli sembra adeguata all’originale «Achtung des gründlichen positiven Studiums» (p. 470), «attenzione allo studio approfondito del diritto positivo». 4 Traduzione con un segno a margine. L’originale «die ideenreichen und dem Geiste des Fortschritts huldigenden Gelehrten» può essere reso alla lettera con «i dotti ricchi di idee e aperti allo spirito del progresso» (p. 470). 5 Errore dovuto alla cancellazione delle parole «far conoscere», sostituite con «dare un saggio». 6 La traduzione di Albini omette qui il rinvio «(p. 46)» presente nel tedesco. Poiché que- sto tipo di omissione si ripete spesso nella traduzione di Albini, il presente testo si limita a ripristinare tra parentesi quadre i rinvii contenuti nell’originale tedesco, ma omessi nella traduzione. Invece i rinvii fra parentesi tonde fanno parte della traduzione di Albini. Appendice I - La recensione di Karl Mittermaier al Saggio analitico di Albini 79 sociale per parte del potere pubblico costituisce la politica (p. 43). L’oggetto del diritto è indicare ciò che è civilmente giusto, l’oggetto della politica è di mostrare che quello che è giusto è pur anche civilmente buono (p. 45). La politica dee sempre avere per norma il diritto. Il diritto positivo [p. 46] non è l’opera dell’arbitrio, [3|4] ma debb’essere l’espressione sanzionata del diritto in relazione coi rapporti speciali e coi bisogni dello Stato, a cui il di- ritto è da applicarsi. Assai ingegnosa e viva si è la descrizione che fa l’autore (p. 47) dei periodi per cui passa ogni nazione e la diversità degli stati del di- ritto che per questo ne derivano. Egregiamente espone l’autore (p. 56) come il primo fonte del diritto positivo siano i principii immutabili della giustizia assoluta, come essa sollevi la ragione7, e viene accennando come avvenga che i dettami della giustizia assoluta si vadano presso una data nazione mo- difi cando. Giuste sono le rifl essioni dell’autore intorno ai rapporti dei poteri pubblici nello Stato [p. 60] e intorno alla natura della libertà politica e civile [p. 63]. Secondo l’autore [p. 70] il miglioramento morale dei condannati è un’o- pera salutare che debb’essere associata alla pena, ma non ne costituisce un elemento essenziale. Egli esige che il Governo stabilisca con precisione quali siano le azioni punibili, ma che con riserbo, e allora soltanto si faccia uso del diritto penale, quando sia stato insuffi ciente ogni altro mezzo più mite e la necessità giustifi chi la pena. È svolto assai bene il diritto amministrativo (p. 84), per la massima parte secondo le dottrine degli scrittori francesi recenti e in particolare i rapporti del contenzioso amministrativo [con il contenzioso della giustizia ordina- ria] sono chiaramente spiegati8. Per ciò che riguarda il diritto rimuneratorio (p. 97) osserva l’autore che nel sistema d’amministrazione di uno Stato non dee mancare l’ordinamento delle ricompense, che spetta al Governo il de- cidere sulle azioni meritevoli di premio, ma che all’esecuzione di un tale ordinamento [4|5] ostano molte diffi coltà. Al diritto rimuneratorio appar- tengono gli ordini onorifi ci e le ricompense destinate alle utili invenzioni. Il capo sul diritto privato contiene un’ingegnosissima esposizione delle clas- sifi cazioni e del complesso dei diritti privati9. Forma un ramo distinto della

7 Così il ms di Albini, con una parola cancellata prima di «sollevi». La traduzione letterale delle parole «wie sie [cioè, i principi di giustizia] die Vernunft aufstellt» (p. 471) può essere la seguente: «come li pone la ragione». 8 La frase completa in Mittermaier è: «das Verhältnis der streitigen Administrativ- und der streitigen Justizsachen» (p. 472). 9 Letteralmente: «un’ingegnosa esposizione dei noti sviluppi del sistema dei diritti pri- vati», «eine geistvolle Darstellung der bekannten Entwicklungen des Zusammenhangs der 80 Mario G. Losano giurisprudenza il diritto probatorio [p. 121], il complesso cioè delle forme e delle regole necessarie a stabilire la verità dei fatti per risolvere le questioni nell’esercizio dell’amministrazione pubblica e della giustizia. L’autore distin- gue con accuratezza le diverse classi di leggi, di cui alcune si riferiscono alle disposizioni che hanno per iscopo di conservare durevolmente la memoria di certe prove, altre per lo contrario contengono le norme direttrici, che servono ad assicurare l’animo dei giudici della certezza dei fatti. L’autore non tralascia di mettere in luce [p. 127] le diffi coltà di dirigere col mezzo di regole generali il giudizio sul valore e sul grado delle prove. Bella è l’esposizione [p. 130] che fa l’autore della sostanza del diritto ecclesiastico e delle sue diverse parti. L’autore lo considera allo stesso modo del diritto sociale colla necessità di un potere direttore centrale [p. 138] e fondato sulla reciproca indipendenza dell’autorità spirituale e temporale. Spiegando l’origine e la natura della scienza del diritto [p. 152], l’autore mette in chiaro che si debba intendere per fi losofi a del diritto, e viene mo- strando come il diritto positivo debba essere formato sulla base di principii immutabili della giustizia. Premessa una dignitosa descrizione della sostan- za della fi losofi a del diritto (pp. 160-163) per risalire alle origini razionali della società civile, per investigare il fi ne e la costituzione essenziale della medesima, l’origine [5|6] e lo scopo del potere sociale, le sue attribuzioni e i rapporti tra esso e i cittadini. Con molta energia egli discorre dell’impor- tanza della fi losofi a del diritto per la teoria e per la pratica (p. 163) e della storia del diritto (pp. 167-174), la quale non dee consistere in una sterile condizione10, ma aver dee essa pure così utilità pratica. Per quanto concerne lo studio della giurisprudenza positiva grida l’autore con ragione (p. 175) contro la comune opinione di darle unicamente per base i giudicati dei tri- bunali e vien accennando [p. 180] la necessità di una teoria fondamentale sistematicamente basata sui principii ed attribuisce il difetto di una tratta- zione compiuta delle parti del diritto allo studio esclusivo con cui si coltiva il diritto romano, e venne quindi negligentato il diritto pubblico. È da com- mendarsi assai quanto dice l’autore intorno allo studio dell’economia politica (p. 186-194) e della statistica [p. 195]. Nel capo che tratta della scienza della legislazione parla egli della controversia agitata in Alemagna intorno alla codifi cazione e delle diffi coltà che essa presenta (p. 207) e si fa a toccare di quanta importanza siano la storia della legislazione e le scienze ausiliarie alla giurisprudenza, per es. la fi losofi a e la fi lologia, né tralascia di raccomandare

Privatrechte» (p. 472). 10 Forse un lapsus calami di Albini per «cognizione»: nel testo tedesco, «unfruchtbare Gelehrsamkeit» (p. 473). Appendice I - La recensione di Karl Mittermaier al Saggio analitico di Albini 81

[p. 225] la coltura dell’eloquenza forense. Egregiamente trattate sono, nel capo sullo studio del diritto, le condizioni di uno studio profondo del mede- simo, il quale non dee consistere in un ammasso di astrazioni, che per la vita civile riescono inutili. Egli è soltanto il criterio scientifi co che in ogni parte presenta al pensiero l’intima connessione delle scienze e si va formando sulle basi della fi losofi a e della storia, può condurre ad uno studio profondo [6|7] del diritto. Ove l’autore discorre della storia dell’istruzione legale (p. 244), egli s’attiene principalmente alle indagini di Savigny. Ci spiace però che non abbia con abbastanza di precisione messe in luce due importanti circostan- ze, che tornano ad onore specialmente della sua Italia, cioè: 1°, negli statuti delle città italiane si andò formando un nuovo diritto, il quale fu una mesco- lanza di diritto Romano e Germanico; 2°, che i giuristi italiani si restrinsero a questo nuovo diritto, ch’essi chiamavano sovente consuetudo generalis, per cui vennero poste le prime basi di ciò che da noi viene chiamato pratica del diritto Romano. La prova di questa asserzione si può facilmente dare colla storia degli statuti 11 e colle opere dei giureconsulti del medio evo di quella nazione. L’autore, dopo aver ragionato dei diversi sistemi di studiare il diritto, si dichiara per l’istruzione pubblica sotto la guida del Governo [p. 266]. Ma il punto principale sta in ciò che quest’istruzione sia ben regolata (p. 273). Una enciclopedia e metodologia legale è indispensabile (ivi). La riforma del- la legislazione ha infl uenza anche sugli studi legali (p. 279). Rispetto allo studio del diritto Romano, la cui grande eccellenza è dall’autore riconosciu- ta, egli vorrebbe (p. 285) che si eliminassero quelle discussioni fi lologiche, quei tentativi di conciliare antinomie, tutte quelle questioni inutili che non servono che a sciupare il tempo (e noi aggiungiamo che questa maniera di insegnare il diritto spegne l’amore dei giovani per la scienza, e rende ottuso il sano criterio pratico invece di avvivarlo). Il diritto Romano ha inoltre se- condo l’autore (p. 286) un merito per lo studio storico del diritto, fa risalire a una fonte principale del diritto moderno e giova per acquistare i principii generali, per formarsi il criterio giuridico ed avvezzarsi al metodo dei giu- risti Romani. Mostra l’autore [p. 291] come uno dei doveri principali di un Professore sia di tener dietro ai progressi della scienza, di esaminarli, di darne contezza ai giovani e di cooperare altresì a promuoverli (al che giove- rebbero e i congressi scientifi ci, e la mutua corrispondenza fra i dotti). Egli osserva (p. 298) che pur troppo in alcuni paesi gli statuti che avevano per iscopo di regolare gli studi legali abbia[no] invece ritardato i progressi della

11 Lacerazione del foglio. 82 Mario G. Losano scienza, e si lagna che sia intervenuto a parecchie università d’Italia. Reputa egli requisito capitale dell’istruzione giuridica che abbia una direzione pra- tica (p. 302). Propone poi l’autore un piano di studi legali che crede il più acconcio12. [Nel primo anno il giovane deve ascoltare le seguenti lezioni: 1. Enciclopedia giuridica e metodologia; 2. Diritto naturale; 3. Storia del di- ritto romano con una breve storia del diritto in generale; 4. Prima parte del corso storico-dogmatico di diritto romano; 5. Storia dello Stato e della Chiesa. Nel secondo anno: 1. Seconda parte del corso storico-dogmatico di diritto romano; 2. Esegesi del diritto romano; 3. Diritto penale, diritto processuale penale e diritto di polizia; 4. Storia del diritto patrio; 5. Storia dello Stato. Nel terzo anno: 1. Diritto civile patrio; 2. Diritto ecclesiastico; 3. Economia politica; 4. Diritto amministrativo; 5. Diritto internazionale; 6. Eloquenza forense. Nel quarto anno: 1. Diritto commerciale e marittimo; 2. Diritto processuale civile e amministrativo; 3. Scienza della legislazione e amministrazione pubblica; 4. Statistica; 5. Eloquenza forense.] Duole che in questo piano non si trovi accennata una lezione sul[la storia del] diritto Germanico e sul diritto pubblico. Molto interessanti sono le rifl essioni che fa l’autore [p. 316] sulla compo- sizione dei libri scolastici, sulle università e sulla necessità che il professore [7|8] non creda di aver fatto il suo uffi cio con lo stancare unicamente la memoria dei giovani, ma dia opera ad educare il loro intelletto alla scienza e addestrarli a pensare da sé. Egli fa inoltre delle osservazioni sull’insegna- mento in lingua latina [p. 326]. Tutte poi le discussioni fatte dall’autore lo dimostrano uno degli scrittori animati dal più eccellente spirito scientifi co, che con profondi studi si è impossessato del suo soggetto. Ora non ci rimane che a fare un voto, che le sue viste e i suoi progetti vengano presto accolti da quelli che in Italia hanno autorità nella direzione delle università.

12 La traduzione di Albini omette il piano degli studi giuridici, presente invece in Mittermaier e ripristinato nel presente testo fra parentesi quadra. Fig. 7. Traduzione manoscritta di Albini della recensione di Mittermaier. Appendice II

Sul procedimento penale in Piemonte esposto da un giurista pratico del Regno di Sardegna1

Il giudizio ordinario nel procedimento penale è amministrato in Piemonte dai Giudici di mandamento, che hanno all’incirca le stesse competenze dei giudici di pace in Francia, per le violazioni minori; dai Tribunali di prefettura che giudicano le infrazioni e dai Senati, che giudicano i reati2. Come giudici straordinari esercitano un potere penale i Consigli d’Inten- denza, tribunali di giustizia amministrativa che [17|18] hanno competenza per le violazioni di certe specifi che leggi di diritto amministrativo, quando la sanzione consiste soltanto in una pena pecuniaria3. La Reale Camera dei Conti per i reati in materia fi nanziaria e per il peculato4, e i Tribunali religiosi, che giudicano soltanto dei reati del clero5. Gli uditori e i tribunali militari o tribunali misti di guerra, e il Gran Preposto d’Armata6. Il procedimento si svolge per indagini. I giudici devono intervenire per scoprire le violazioni delle leggi penali e per condurre il reo davanti al pub- blico tribunale, ovvero su querela o denuncia del danneggiato o di un terzo, o su richiesta di pubblici funzionari o di pubblici uffi ci7. Lo svolgimento del- le indagini di competenza dei tribunali di Prefettura, dei Senati e della Regia Camera dei Conti è affi dato a uno degli assessori del Tribunali di Prefettura, che prende il nome di Giudice istruttore. Egli ha anche il potere di affi dare ai Giudici di mandamento quelle indagini che a suo giudizio ne siano adatte8.

1 [Su questo articolo e sull’anonimato di Albini come autore, cfr. § 11, a]. 2 Editti Reali del 27 settembre 1822 e dell’11 gennaio 1840. 3 Editto Reale del 31 dicembre 1842, artt. 37, 38. 4 Cost. regia, Libro 6, Tit. I, Cap. 1, § 18 s.; Editto Reale del 22 settembre 1822, artt. 24, 25. 5 Concordato tra la Santa Sede e S.M. il Re di Sardegna. 6 Cap. [rectius: Cod.] penale militare, art. 1. 7 Regolamento in appendice al 1° Ed. regio del 27 settembre 1822, art. 16. 8 Ed. 1822, art. 18. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 85

Nessuno può essere dichiarato reo né può essere aperto contro di lui un procedimento di questo genere, prima che sia stato commesso il reato in questione9. A questo fi ne tutti i funzionari della Giustizia devono aver cura di procurarsi le prove del reato e [18|19] e quelli incaricati della conduzione dell’indagine, non appena hanno notizia d’un reato, sono tenuti – se lo ri- tengono necessario o utile – a recarsi sul luogo in cui esso è stato commesso, per indagare sulla commissione del reato e per raccogliere tutti gli indizi e le prove10. I medici, i chirurghi11 e chiunque somministri un medicamento a un ferito o colpito hanno l’obbligo di darne subito notizia al giudice o al suo rappresentante o a un funzionario pubblico. Nella loro denuncia o rapporto devono indicare il nome e il cognome, nonché il luogo di nascita del ferito, l’aspetto e la natura della ferita, se essa è mortale, pericolosa o curabile, se è da temere un pregiudizio permanente per la parte danneggia- ta ecc.12. L’istruttoria del processo è segreta, il che signifi ca che le indagini vengono svolte in segreto, mentre il querelante o denunciante o i testimoni convocati nominalmente dall’autorità vengono ascoltati dal giudice, in pre- senza del Pubblico ministero e del segretario, che sono obbligati a rispettare il segreto13. Prima di essere ascoltati i testimoni prestano giuramento. Per eliminare nella massima misura possibile ogni dubbio sulla sincerità e sulla veracità delle loro affermazioni, è vietato interrogarli su prove scritte che essi abbiano redatto. Queste testimonianze devono essere loro restituite, prima di ascoltarli, e senza leggerle loro14. Le asserzioni devono essere dettate dal giudice, trascritte dal verbalizzante e quindi lette al teste, che le fi rma, ovve- ro, se non sa scrivere, che vi appone manualmente un segno. [19|20] Anche il giudice che ha condotto l’interrogatorio e il verbalizzante devono fi rma- re15. Tuttavia è consentito al teste di dettare direttamente le sue asserzioni16. Terminato l’interrogatorio, il verbale deve essere letto al teste, che è libero di farvi aggiunte, ritrattazioni o modifi che, così come egli ritiene opportuno.

9 Cost. regia, Libro 4, tit. 4, § 26. 10 Ibid., Libro 4, Tit. 4, § 27; Tit. 6. 11 [Il testo tedesco usa il termine antiquato «Wundarzt», che in questo contesto può essere reso con «chirurgo». In passato il Wundartzt non poteva praticare la medicina interna, che era riservata al medico, Arzt.]. 12 Ibid., Tit. 5. 13 Ibid., Tit. 4, § 7. 14 Ibid., § 5. 12. 15 Ibid., § 1. 2. 16 Ibid., § 13, Libr. 5, Tit. 18, § 22. 86 Mario G. Losano

Tuttavia le aggiunte o le modifi che vengono riportate alla fi ne del protocollo, senza che vi si possa cancellare alcunché17. Dalla testimonianza deve risultare almeno una domanda generale sul reato di cui si tratta. È poi lasciato al giudice dell’interrogatorio se vuole riportare le asserzioni sotto forma di un’esposizione continuativa, oppure se, con interruzioni, vuole porre al teste domande sui punti essenziali dei vari fatti oggetto della prova; le domande devono però venir scritte per esteso18. Se un teste non conosce il nome o il cognome dell’imputato, ma è in grado di riconoscerlo dai tratti del suo volto, degli abiti o da altri indizi se- gnalati, si fa descrivere con precisione al teste la persona cui fa riferimento, e – se quest’ultima è in stato d’arresto – la si fa riconoscere al teste. Si pone la persona in questione fra altre che le siano il più simile possibile per volto, abito o statura; il teste, dopo aver prestato giuramento, deve riconoscere se la persona da lui indicata come reo si trova fra quelle; se lo afferma, deve toccare con la mano la persona designata e in sua presenza deve ripetere tutto ciò che in precedenza ha detto contro di lui. In questo verbale vengono registrati tutti i movimenti, i gesti, i mutamenti del colore del volto [20|21] e tutto ciò che la persona riconosciuta fa o dice, e ogni scambio di parole che intercorre fra lei e il teste, sia su loro impulso, sia a richiesta del giudice19. Gli incapaci possono essere ammessi a testimoniare su delitti, però non si fa loro prestare giuramento e nel decidere bisogna valutare opportunamente in quale considerazione tenere le loro affermazioni20. Nessuno può rifi utare, sotto pena di prigione, la sua testimonianza su ciò che gli è noto del reato su cui viene interrogato21. Non si può emettere un ordine di arresto contro una persona, chiunque essa sia, a meno che le indagini intraprese non facciano affi orare indizi di suffi ciente rilevanza contro di lei. Inoltre contro il reato di cui una persona è accusata deve essere comminata una pena più grave della detenzione e deve essere redatto un parere da parte dell’autorità statale22. In ogni modo i giudi- ci possono far arrestare l’imputato, anche senza indagini e senza la richiesta del pubblico ministero, se è stato preso in fl agrante o se se ne sospetta la

17 Cit. Tit. 18, § 12, 13. 18 Cost. regia, Libr. 4, Tit. 4, § 18. 19 Ibid., § 19, 20, 21. 20 Ibid., § 22. 21 Ibid., § 14. 22 Cost. regia, 2, Libr. 4, Tit. 7, § 1, 5, 6. [«Const. 2» del testo tedesco è un errore di stampa per «Const. R.»]. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 87 fuga, o se può essere occasione di un tumulto popolare, o se si trat- ta di un delitto pubblico e molto grave, e la persona del reo è co- nosciuta23. Anche i tribunali civili sono autorizzati, senza indagini e senza richiesta dell’autorità stata- le, a comminare l’arresto contro una delle parti in causa se dagli atti risulta un reato di falsità o se in loro [21|22] presenza fosse stato commesso un reato che con- tenesse una grave violazione24. Se il reato di cui è accusata una persona è sottoposto a una pena non più grave d’una pena detenti- va, l’imputato viene lasciato a piede libero per lo svolgimento della sua difesa, se lascia una cauzione il cui ammontare è determinato dal giu- dice dell’indagine, sentito il parere dell’autorità statale. Questa som- ma è maggiore o minore secondo la gravità dell’infrazione25. L’ordine di arresto non può essere dilazionato per mezzo di opposizione o appello26 e deve essere eseguito in qualunque luo- go del territorio dello Stato senza Fig. 8: Articolo anonimo di Albini previa richiesta scritta27. sulla procedura penale in Piemonte. Se non sussistono prove suffi cienti per l’arresto o per la richiesta di comparizione personale, i giudici devono procedere a nuove indagini, se le circostanze fanno sperare in un esito positivo. Se invece risulta che si è già

23 Ibid., § 13. 24 Ibid., § 3. [Traduzione incerta dell’espressione «die schuldige Achtung», qui omessa]. 25 Regolamento in appendice del 1° Ed. Regio del 27 settembre 1822, art. 21. 26 Cost. regia, Libro 4, Tit. 7, § 19. 27 Ibid., § 12. 88 Mario G. Losano fatto ogni sforzo possibile senza poter trovare prove più convincenti, sentita l’autorità statale sono obbligati a dichiarare che non v’è motivo per una mi- sura preventiva28. La legge esige che si proceda al più presto all’interrogatorio dell’imputato e, se quest’ultimo è detenuto, entro le prime 24 ore dall’arresto, soprattutto se esso è stato eseguito al termine delle indagini. Sono previste varie disposi- zioni e pene per evitare ogni ritardo o trascuratezza in proposito29. Nessuno è ammesso ad assistere l’imputato durante l’interrogatorio, [22|23] neppure il curatore o il tutore se l’imputato è minorenne30. Prima di interrogare l’impu- tato gli si fa prestare giuramento su quanto hanno fatto i terzi, ma non sulle sue proprie azioni31. Le domande devono riguardare direttamente le prove acquisite, e non le lamentele, le denunce e altre notizie segrete fornite da in- formatori32: una misura precauzionale lodevole e savia. Le domande devono essere trascritte dettagliatamente affi nché si possa valutare se non erano atte a suggestionare e se la risposta – che deve essere redatta in prima persona – corrisponde alla domanda. Al termine di ogni sessione le domande e le ri- sposte devono essere lette all’imputato in modo chiaro e comprensibile; egli deve sottoscriverle, o apporvi a mano un suo segno se non sa scrivere. Anche il giudice dell’interrogatorio, il pubblico ministero e il verbalizzante devono fi rmare. Al giudice è vietato (sotto pena di rimozione [Amtsentsetzung] e di nullità del verbale d’interrogatorio) servirsi di minacce o della promessa di impunità per indurre l’imputato alla confessione33. Gli oggetti che possono costituire prova del reato (armi, attrezzi e simili) devono essere sottoposti al riconoscimento dell’imputato34. Se l’imputato è sordo o muto, e non può quindi udire le domande o rispondere ad esse, gli viene affi ancato d’uffi cio un consulente che conosce il modo con cui abitualmente ci si intende con lui e che, sotto giuramento, deve promettere di difendere bene e correttamente l’imputato, senza na-

28 Ibid., Libr. 4, Tit. 3, § 6. 29 Cost. regia, Libro 4, Tit. 4, § 1, 2, 3, 4, 5. 30 Ibid., § 7. 31 Ibid., § 8. 32 Ibid., § 11. [«Anstifter» indica univocamente l’istigatore: «chi volontariamente ha indot- to un’altra persona a compiere un’azione punibile» (Meyers Konversations-Lexikon, 1902, Bd. 1, s.v. Anstifter). In base al contesto preferisco usare «informatore», nella supposizione chi tratti di un fraintendimento linguistico sorto nel duplice passaggio del testo di Albini dall’italiano al francese e, poi, al tedesco]. 33 Ibid., § 9, 10, 12, 13, 14. 34 Ibid., § 15. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 89 scondere domande o risposte, [23|24] e di riprodurre correttamente quanto ha potuto apprendere dall’imputato mediante gesti o in altro modo. Se il sordo o muto è in grado di scrivere, può scrivere egli stesso le sue risposte e le sue obiezioni al teste con l’assistenza di un consulente, che ha anch’egli l’obbligo di sottoscrivere il verbale. Se il sordo o muto non vuole o non può scrivere, in sua presenza il consulente deve rispondere come farebbe l’imputato, nel rispetto delle dovute formalità35. Se si deve interrogare uno straniero di cui non si comprende la lingua si fa ricorso a un interprete, con le stesse formalità seguite nel caso del sordo o muto36. Quando l’imputato ha ammesso il reato con tutte le circostanze ed ha confermato la sua confessione, si constata che quest’ultima sia conforme a tutte le formalità e agli indizi37, e gli atti vengono chiusi. Gli si concedono otto giorni per indicare i motivi in base ai quali non dovrebbe essergli com- minata la pena prevista per il reato da lui commesso38. Se la confessione non è suffi cientemente suffragata da indizi o prove risultanti dagli atti, o se l’im- putato le nega, entro tre ore deve essere nuovamente interrogato39. Se si tratta di un reato per cui è prevista una sanzione penale e l’impu- tato lo nega o nega le circostanze aggravanti che lo accompagnano, né sono disponibili indizi o prove suffi cienti, il giudice delle indagini è autorizzato a procedere al confronto fra questi e i suoi [24|25] correi per tentare in questo modo di giungere ad una sua confessione40. Anche se l’imputato persiste nel negare a indagini concluse, il pubblico ministero formula le sue richieste elencando i punti dell’accusa. L’imputato viene interrogato ancora una volta e, su richiesta dell’autorità statuale, si pro- cede alla contestazione del reato, dichiarando all’imputato che, nonostante la sua negazione, l’autorità statale lo ritiene colpevole del reato o dei reati di cui è accusato. All’imputato, abbia confessato o negato il reato, viene chiesto di nominare un avvocato e procuratore a sua difesa41. Se non ne conosce alcuno o se si rifi uta, gli viene affi ancato d’uffi cio un avvocato e procuratore. Nei Senati, nei Tribunali di Prefettura e nelle capitali di provincia la difesa

35 Ibid., § 16, 17, 18. 36 Ibid., § 19. 37 [Il termine antiquato «Inzichten» è equivalente a «Beschuldigung», «Anzeige» e «Indiz»: Meyers Konversations-Lexikon, 1905, Bd. 9, s.v. Inzicht.]. 38 Ibid., § 24. 39 Ibid., § 25. 40 Ibid., § 25, 26, 27, 28, 29. 41 Ibid., § 31, 32. 90 Mario G. Losano dell’imputato è affi data per legge all’Avvocato e Procuratore dei Poveri, che è di preferenza nominato a questo fi ne42. Fanno eccezioni i casi in cui vi sono più imputati, quelli in cui la difesa è comune e quelli in cui l’imputato rifi uta ogni difensore. Gli è inoltre consentito di farsi rappresentare anche da altri avvocati come co-difensori43. Nelle altre città gli avvocati sono obbligati ad assumere la difesa dell’imputato sotto pena della revoca della loro qualifi ca professionale44. Dopo un breve colloquio segreto con il suo avvocato o procuratore l’imputato dichiara se egli [25|26] considera che i testi escussi sono stati interrogati a suffi cienza oppure se essi devono essere ascoltati ancora una volta. Nel primo caso prende inizio il processo contro di lui45; altrimenti vengono comunicati all’imputato i nomi e cognomi e il luogo di nascita dei testi, ad eccezione di quelli con cui ha già avuto luogo un confronto. Gli si concede un termine perentorio di due giorni per presentare le domande su cui devono essere interrogati i testi. Quelli che in quest’occasione ritrattano o modifi cano la loro deposizione in punti essenziali vengono puniti, in base alla fattispecie, per falsità o spergiuro46. Ai difensori viene notifi cato quando il processo diviene pubblico. Essi hanno allora un termine di otto giorni (che può essere esteso per rilevanti motivi) per produrre le proprie osservazioni contro i testi dell’autorità stata- le e tutte le memorie considerate utili per la difesa dell’imputato. Segue poi un termine di 14 giorni per produrre le prove di quanto addotto. Gli argo- menti presentati dall’imputato vengono comunicati al pubblico ministero. Il tribunale competente per giudicare il reato emana una decisione sulla loro ammissibilità o sul loro rigetto. Dopo che sono state rese note le testimonianze a favore dell’imputato egli non è più autorizzato a rilasciare dichiarazioni su altri temi, a meno che l’au- torità statale non abbia preso altre misure che autorizzino a ciò. L’autorità statale ha cinque giorni per presentare le sue obiezioni a quegli interventi e l’imputato ne ha altrettanti per rispondervi. Se l’autorità statale non ha solle- vato obiezioni, la causa viene senz’altro inviata a sentenza47. [26|27]

42 Gli Avvocati e Procuratori dei Poveri, pagati dallo Stato, assistono anche nei processi civili le persone ammesse al gratuito patrocinio (Armenrecht). 43 Cost. reale, Libr. 4, Tit. § 12, § 1, 2. 44 Ibid., cit., § 2. [Libera traduzione del tedesco «Praxis» con «qualifi ca professionale»]. 45 Cost. reale, Libr. 4, Tit. 11, § 32, 33. 46 Ibid., § 34-36. 47 Cit. Libr. 4, Tit. 12, § 10, 11. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 91

Quando la causa è avviata a sentenza, l’autorità statale nelle sue richieste fi nali presenta i fatti e i motivi che, a suo parere, dimostrano il reato com- messo dall’imputato e – menzionando gli articoli di legge ritenuti applicabili al caso in questione – avanza le sue richieste: di dichiarare l’imputato colpe- vole dei reati posti a suo carico e di comminargli la pena richiesta. Queste richieste vengono trasmesse ai difensori dell’imputato insieme con gli atti del processo, affi nché presentino le loro dichiarazioni a difesa48. Dopo l’inizio del processo pubblico i difensori possono parlare con l’im- putato per ricevere da lui i chiarimenti e le spiegazioni necessarie o utili alla sua difesa. Nel giorno fi ssato, in presenza dell’avvocato e procuratore dell’imputa- to, uno dei giudici del tribunale tiene una relazione sugli atti del processo, quindi vengono ascoltate le esposizioni orali dei difensori e le eventuali os- servazioni del pubblico ministero. Sui semplici reati sottoposti a pene di polizia decidono per via sommaria i Giudici di mandamento. I giudizi dei Tribunali superiori e di Prefettura devono contenere i capi d’accusa e, in caso di condanna, l’indicazione dei fatti da cui risultano i reati di cui l’imputato si è reso colpevole, insieme con l’indicazione degli articoli di legge da applicare49. Come motivazione per una condanna possono servire indizi atti a convincere il giudice della colpevolezza [27|28] dell’imputato50. La legge del 14 gennaio 1840 ha introdotto una notevole modifi ca dei proce- dimenti penali davanti ai tribunali superiori. Vi si conferma l’autorizzazione tanto dell’imputato quanto dell’autorità statale a ripetere l’audizione dei te- sti, purché si adducano i motivi di questa richiesta. Il tribunale decide in seduta segreta sull’ammissibilità o sull’inammissibilità della richiesta, indica i testi che devono di nuovo essere ascoltati ed ordina anche che si ripeta l’audizione di altri testi ritenuta opportuna51. I costi della convocazione, del viaggio e del soggiorno dei testi, così come i restanti costi del processo pena- le, vengono anticipati dallo Stato. I testi che si rifi utano di comparire senza fondato motivo sono soggetti a una pena pecuniaria52. La ripetizione dell’ascolto dei testi avviene a porte chiuse davanti all’au- torità giudiziaria e, se lo vuole, in presenza dell’imputato, nonché del suo

48 Ibid., § 12, 13, 14. 49 Ibid., § 12. 50 R. R. P. P. 11 genn. 1840, art. 5. 51 Arg. §§ 20, 22, 26, 31, Tit. 11, § 2, Tit. 17, art. 4, Cost. R.R. 52 R. R. P. P. 11 genn. 1840, art. 10, 11, 12. 92 Mario G. Losano difensore e del pubblico ministero. I testi vengono ascoltati dal presidente e dal relatore; anche i restanti membri del tribunale e il pubblico ministero hanno il diritto di rivolgere loro domande, dopo aver chiesto la parola al presidente. L’imputato e i suoi difensori possono anche chiedere che i testi vengano ascoltati sulle circostanze che ritengono utili. Il verbalizzante anno- ta le domande e le risposte53. Questa ripetizione dell’ascolto dei testi, nell’interesse dell’autorità statale o dell’imputato, non ha luogo nei casi in cui la legge prescriva un proce- dimento ex abrupto oppure quando l’imputato ha ammesso [28|29] il suo reato, a meno che l’autorità giudiziaria non ordini d’uffi cio di ripetere l’in- terrogatorio del teste54. Nella seduta successiva ha luogo la sessione conclusiva del processo. In essa l’autorità statale formula le sue richieste motivate e gli avvocati possono in tutta libertà sviluppare tutti i motivi utili alla difesa dell’imputato55. Anche nei casi in cui non ha luogo la ripetizione dell’ascolto dei testi, ma si tratta di un delitto, l’imputato ha il diritto di essere presente alla seduta pubblica del suo processo e, su richiesta del presidente e del relatore, di allegare le memorie dei suoi difensori che gli sembrino ancora utili a questo fi ne. L’imputato presenzia alla seduta senza catene, sorvegliato dalla forza pubblica soltanto in modo da impedire ogni tentativo di fuga. L’autorità giudiziaria può anche ordinare d’uffi cio che l’imputato sia presente agli atti conclusivi del suo processo56. La prova del reato dell’imputato deve essere desunta dai documenti scrit- ti del processo, in collegamento con i risultati delle ripetute audizioni dei testi e con le asserzioni dell’imputato. Se dall’una o dall’altra dovesse risul- tare una nuova circostanza da cui il reato risultasse aggravato, attenuato o mutato, la conoscenza delle nuove circostanze deve essere attestata in modo opportuno, indipendente da come sia avvenuta la contestazione57. In presen- za di reati assai gravi e di lesa maestà di primo grado, se il reo è stato colto sul fatto, se la fattispecie è stata commessa in modo notorio o se il reato [29|30] è notorio, ha luogo il procedimento sommario ex abrupto. Esso consiste nel fatto che la fase istruttoria del processo viene accelerata al massimo, impo-

53 Ibid., art. 13, 14. 54 Ibid., art. 20. 55 Ibid., art. 16. 56 Ibid., art. 17, 18, 19. 57 Ibid., art. 21. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 93 nendo all’imputato il termine più breve possibile per la sua difesa58. Questo procedimento è ammesso solo davanti ai tribunali superiori. Essi sono però autorizzati ad applicarlo anche in quei casi in cui essi ritengano opportu- no il ricorso a questa forma procedurale59. Se l’imputato non si presenta disattendendo gli ordini del tribunale, è suffi ciente una mezza prova per riconoscergli una pena detentiva o pecuniaria. Tuttavia coloro che sono stati condannati in contumacia ad una sanzione penale possono presentarsi in ogni momento e venire ammessi alla difesa come se non avesse avuto luogo alcuna condanna. È ammessa l’opposizione alle affermazioni di testi defunti o assenti. In nessun caso è ammessa una nuova escussione dei testi cinque anni dopo la conclusione del processo in contumacia: l’imputato non è più ammesso a giustifi care il mancato adempimento dell’ordine, se la pena si è prescritta a suo favore60. La nuova legge si occupa soltanto di chi ha subìto una condanna penale in contumacia. Quindi se prevede una pena minore per una condanna in contumacia, si applicano le disposizioni della legge anteriore, cioè quelle del Tit. 15, Libro 4 Cost. R. R. In base a questa legge i condannati, se vengono incarcerati entro sei mesi, ovvero se si costituiscono nell’anno successivo alla sentenza, possono svolgere la propria difesa come se non avessero disatteso l’ordine di presentarsi. Se invece si presentano o vengono arrestati dopo i termini sopra esposti, non resta [30|31] loro che il ricorso per sopravvenuta nullità: incompetenza del tribunale, mancanza di un’appropriata citazione o false affermazioni dei testi all’autorità statale. I tribunali superiori, anche nei procedimenti in contumacia, nel pronun- ciare le proprie sentenze penali devono tener conto soltanto della verità dei fatti, senza considerare le formalità o il mancato rispetto delle formalità del processo, inessenziali e ininfl uenti rispetto alla colpevolezza dell’imputato, oppure dannose per la sua difesa61. Nessuno può essere accusato o indagato per un reato di cui è stato dichiarato innocente o colpevole con sentenza defi nitiva62. Se l’imputato viene rilasciato per insuffi cienza di prove (inibita molestia – absolutio ab instantia), può aver luogo contro di lui un nuovo procedimento se sono state scoperte nuove prove contro di lui. Benché di regola siano affi dati alla giurisdizione dei tribunali superiori

58 Cost. reale, Libr. 4, Tit. 17, § 1, Tit. 4, § 40. 59 Ibid., § 6, 7. 60 R. R. P. P. 11 genn. 1840, art. 22. 61 Cost. reale, Libro 4, Tit. 5, § 11. 62 Cost. reale, Libro 4, Tit. 4, § 28. 94 Mario G. Losano soltanto i reati puniti con sanzioni penali, la nuova legge conferma la loro competenza (accordata in forza della precedente legge) di avocare il giu- dizio sui reati di competenza dei tribunali inferiori, ove lo esiga l’interesse dell’amministrazione della giustizia o se il reato è stato commesso nelle cir- coscrizioni di più tribunali subordinati al tribunale superiore, pur restando a quest’ultimo riservato di trasferire il procedimento a uno di questi tribunali63. Per quanto riguarda la competenza, va osservato che in certi casi il codice penale affi da ai giudici – in presenza di pene di vario tipo – il potere di sce- gliere quelle che [31|32] consentono di riconoscere al reo delle circostanze attenuanti in base alla fattispecie, all’età o ad altre cause previste dalla legge, ovvero di scendere da un tipo di pena più elevato a un altro più lieve. In tutti questi casi la competenza è attribuita in base alla pena più grave comminata dalla legge per il reato in questione64. Per quanto concerne le violazioni di legge assoggettate alla giurisdizione dei Tribunali superiori la competenza è stabilita da una decisione del giudice istruttore, previo parere dell’autorità statuale. In base ad essa il processo è affi dato al tribunale superiore o al tribunale, in base alla natura della violazio- ne. Se però sulla questione della competenza sorgono opinioni contrastanti tra l’autorità statuale e il giudice istruttore, la decisione spetta al tribunale65. Contro le decisioni dei Tribunali di prefettura non è ammesso alcun ricorso se la pena non supera un mese di detenzione, o tre mesi di bando, o una pena pecuniaria inferiore a 300 Lire. È invece possibile il ricorso se la decisione riconosce due delle pene ora menzionate in collegamento fra loro, ovvero commina una pena accessoria. Non sono appellabili neppure le decisioni dei Giudici di Mandamento che comminano una pena detentiva non superiore alle 24 ore o una pena pecuniaria non superiore a 10 Lire66. Però anche in questi casi si può ricorrere in appello per incompetenza, per violazione di una formalità essenziale o per palese violazione di legge67. Se tra più correi soltanto uno ha presentato ricorso, questa misura si estende anche agli altri, siano essi [32|33] stati presenti o contumaci per disobbedienza, cosicché l’autorità giudiziaria deve o confermare o annullare la sentenza nei riguardi di tutti i correi68. Il ricorso deve essere presentato

63 R. R. P. P. 11 genn. 1840, art. 3. 64 Ibid., art 1. 65 Ed. R. 27 sett. 1822, art. 20. 66 Legge dell’11 gennaio 1840, art. 6, 7. 67 Ibid., art. 8. 68 Cost. regia. Libro 4, Tit. 23, § 6. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 95 entro cinque giorni dall’annuncio della sentenza, deve svolgersi in dieci gior- ni e deve essere concluso entro 50 giorni69. I Consigli d’intendenza, istituiti dalla legge del 31 dicembre 1842, sono competenti per i reati penali in caso di violazione di certe leggi e decreti in campo amministrativo e statuale- economico e per vari reati puniti con pene pecuniarie, però soltanto nei casi in cui il massimo [della pena] non superi le 50 Lire. I reati al di sotto di que- sto ammontare sono di competenza dei Giudici di mandamento, fatta salvo il ricorso all’autorità giudiziaria sopra ricordata nei casi in cui le violazioni sono punite con una pena pecuniaria superiore alle 10 Lire70. I verbali e gli atti da cui risulta la prova dei reati vengono trasmessi al pubblico ministero, che chiede al tribunale la citazione del reo. Questi deve presentarsi alla seduta che gli è stata comunicata nell’atto di citazione, o personalmente o per mezzo di un procuratore a ciò delegato. Prima della sua presentazione e con il già ricordato decreto di citazione gli vengono trasmes- si gli atti del processo affi nché li esamini71. Nel giorno stabilito l’autorità giudiziaria ascolta il giudice relatore, l’imputato, il difensore (eventualmente convocando i testi che egli deve presentare in quella seduta) e le richieste del pubblico ministero, alle quali l’imputato e il suo difensore possono risponde- re. Il verbalizzante [33|34] legge le domande, le richieste e le deposizioni dei testi. L’autorità giudiziaria pronuncia poi la sentenza, che in caso di condan- na deve contenere l’indicazione del reato, l’articolo della legge da applicarsi, l’indennizzo e l’importo dei costi72. Se necessario il tribunale può ordinare la ricerca di nuove prove. Se il processo è in contumacia, l’imputato può essere ancora ammesso a presentare la sua difesa entro dieci giorni dall’avvenuta notifi cazione. Se però si rende colpevole di una nuova disobbedienza, la sentenza viene considerata come se fosse stata pronunciata nelle udienze precedenti73. Per le sentenze dei Consigli d’intendenza che comminano una pena pecuniaria superiore alle 300 Lire, l’appello è di competenza della regia Camera dei Conti74. La competenza del Consigli d’Intendenza è limitata alle pene pecuniarie, cosicché anche nei casi in cui non si può dar seguito alle loro sentenze, è competenza non dei Consigli, ma dei Tribunali di Prefettura l’ordinare la

69 Ibid., § 32. 70 Ibid., art. 38. 71 Ibid., art. 78, 79, 80. 72 Ibid., art. 82, 83, 84, 86. 73 Ibid., art. 88, 89, 91. 74 Ibid., art. 39. 96 Mario G. Losano carcerazione dei condannati su richiesta del pubblico ministero75. Nei procedimenti per i reati previsti dal codice penale militare va anzitut- to notato che l’azione penale militare viene esercitata dai tribunali di guerra ordinari o straordinari (subitanei76) del Reggimento e della Divisione, dai tribunali misti di guerra, dall’Uditore generale, dagli uditori di Divisione77 e dal Gran Preposto d’Armata78. [34|35] L’istruzione dei processi di compe- tenza dei tribunali di guerra o misti è affi data all’Uditore o al Vice-Uditore della Divisione o, su loro richiesta, ai Giudici di mandamento79. Le formalità per l’escussione dei testi sono le stesse del processo ordinario80. Conclusa l’istruttoria e ascoltato l’imputato, gli atti vengono trasmessi alla commissio- ne d’indagine, che a sua volta ascolta l’imputato. Se necessario, essa ordina lo svolgimento di nuove indagini per chiarire i fatti e dichiara se deve aver luogo o no l’intervento del Tribunale di guerra81. Nel primo caso la decisione viene resa nota all’imputato, cui viene affi ancato un difensore d’uffi cio, se egli non se ne è nominato uno. Il difensore deve essere almeno un sottote- nente82. Nessuno può rifi utarsi di difendere un imputato senza una fondata ragione approvata dal presidente del tribunale83. L’imputato ha il diritto di rifi utare uno dei giudici senza indicare un motivo; deve invece presentare i motivi se ricusa più di un giudice. Il presidente del tribunale non può essere ricusato84. Nei processi per duello e nei casi davanti ai tribunali straordinari

75 Ibid., art. 40. 76 [Per un evidente errore di trascrizione, il testo tedesco presenta qui la parola italia- na «seditanei», invece di «subitanei»: cfr. nota 78]. 77 Il territorio del Piemonte è ripartito in Divisioni militari, composte di più province. Ogni Divisione ha una capitale, sede del Governatore, che è la massima autorità politica e militare della Divisione. 78 Cod. pen. mil., art. 1. [Per la corretta denominazione in italiano degli uffi ci si ripor- ta l’art. 1 del Codice penale militare per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, emanato da Carlo Alberto nel 1840: «La giustizia criminale è amministrata da’ Consigli di guerra di Reggimento e di Divisione, ordinari o subitanei, da’ Consigli di guerra misti, dall’Uditore generale di guerra, dagli Uditori di guerra delle Divisioni, e dal gran Preposto d’Armata». L’intero codice è digitalizzato in Internet: http://books.google.it/books?id=G__4CPHRQD4C&pg 79 Ibid., art. 76, 77. 80 Ibid., art. 59. 81 Ibid., art. 18-22, 61-63. 82 Ibid., art. 64. 83 Ibid., art. 66. 84 Ibid., art. 70. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 97 di guerra (subitanei85) non ha luogo l’intervento della commissione d’indagi- ne86. Il tribunale straordinario di guerra viene convocato per reati meritevoli della pena di morte ovvero quando un imputato è stato colto sul fatto o è stato oggetto dell’ira popolare, oppure [35|36] per fatto notorio e se si è reso necessario dare rapidamente un esempio87. Nei processi di competenza dei tribunali misti di guerra si osservano le regole del processo ordinario e deve presenziarvi il pubblico ministero della provincia o l’avvocato fi scale militare della Divisione di Torino88. Negli altri tribunali di guerra la rappresentanza del fi sco è affi data al maggiore o al suo rappresentante89. Le udienze dei tribunali militari sono pubbliche, ma il presidente può disporre altrimenti90. L’imputato deve essere presente all’udienza ed ha l’ultima parola. Dopo la relazione orale l’impu- tato, il difensore e i coadiutori escono. Ogni giudice deve dare il suo voto per iscritto, con l’indicazione dei motivi. Per l’emanazione di una sentenza è necessaria la maggioranza assoluta dei voti. Se nel tribunale si manifesta- no più di due opinioni, si respinge la pena più severa richiesta e si procede a ulteriori votazioni sulle due proposte restanti sino a che sia raggiunta la maggioranza assoluta. L’Uditore stende la sentenza91. Il tribunale straordi- nario di guerra ha luogo all’interno di un quadrato di militari armati e lì si ascoltano la relazione, l’imputato e il difensore. La sentenza può comminare soltanto o la pena di morte, o l’assoluzione92. Quando in tempo di guerra il Re nomina un Gran Preposto d’Armata, questi è titolare di tutto il potere che compete ai tribunali di guerra: è in- caricato di istruire i processi e [36|37] ordina l’esecuzione delle sentenze93. L’Uditore generale ha la giurisdizione su certi reati contro il servizio militare e deve attenersi alla procedura ordinaria. Le sue decisioni, prima dell’esecuzio- ne, vengono però sottoposte al Senato per essere confermate o modifi cate94. Esaminando il sistema del procedimento penale regolato dalle leggi pie-

85 [Cfr. nota 76]. 86 Ibid., art. 71, Libr. 1, Tit. 3, cap. 1. 87 Ibid., art. 37. 88 Ibid., art. 73. 89 Ibid., art. 21, 27. 90 Ibid., art. 83. 91 Cod. pen. mil., art. 87, 90. 92 Ibid., Libro 1, Tit. 3, cap. 5. 93 Ibid., art. 28, 35. 94 Ibid., art. 56, 57. 98 Mario G. Losano montesi, di cui abbiamo fi n qui fornito una sintesi, si constata anzitutto che esso è un processo inquisitorio fondato su documenti scritti. In tutti i pro- cessi l’autorità statale partecipa come pubblica accusa, ma essa può anche chiedere che nell’indagine si proceda contro una persona che è accusata d’un reato da una denuncia o dalla voce pubblica. Va però notato che i giu- dici dell’indagine e gli altri giudici di grado inferiore, in presenza di prove suffi cienti, sono autorizzati a dar inizio a un procedimento fondandosi sui poteri del proprio uffi cio e anche in assenza d’una richiesta dell’autorità statale. I funzionari dell’autorità statale devono partecipare a ogni attività dell’istruttoria come rappresentanti del potere statale che è chiamato a vi- gilare sull’applicazione delle leggi. Essi devono prendere ogni misura atta a condurre alla scoperta del reato e del reo. Soltanto il giudice dell’istruzione è competente a svolgere le indagini necessarie (o direttamente, o attraverso un giudice subordinato a ciò delegato), ad ascoltare i testi e a svolgere tut- te le azioni pertinenti all’istruttoria. Accertati i fatti, raccolte tutte le prove possibili e chiusa l’istruttoria del processo appare come conseguenza natu- rale che resti riservato all’attività dell’autorità statale di desumere dall’esame degli atti del processo tutte le prove e le conclusioni [37|38] atte a gravare sull’imputato e – se essa considera provata la commissione del reato – di presentare all’autorità giudiziaria competente la richiesta di punire il reo conformemente alla legge. Data la situazione sociale del momento, appare oltremodo urgente evitare di affi dare la punizione del reato tanto all’odio o al timore del danneggiato quanto alla comodità di terzi. V’è bisogno di un’autorità superiore alle passioni private che abbia il compito di perseguire tutti i reati, instancabilmente ed esclusivamente nell’interesse della sicurezza pubblica e privata. Da questo punto di vista l’istituto dell’autorità statale – recepito da quasi tutte le nazioni europee – è tutt’altro che inutile, come invece hanno cercato di dimostrare alcuni penalisti, peraltro degni di tutto il rispetto. Di recente Lord Brougham ha riconosciuto che quest’istituzione è necessaria per ogni Stato ed ha lamentato che essa non sia stata adottata in Inghilterra e in Irlanda95, adducendo gli abusi e le disfunzioni che discendo- no dall’assenza di una simile istituzione statale. È anche molto importante per l’accertamento della verità nei processi penali che, da un lato, tutte le prove a carico dell’imputato vengano raccolte da un unico punto di vista e che, dall’altro, il difensore fondandosi sugli atti si adoperi in ogni modo per contraddire le conclusioni e le prove addotte dall’autorità statale e per

95 In uno scritto contenuto nella «Revue du Droit» di Foelix, Nouvelle Série, Tom. I, p. 89. [Albini abbrevia così il titolo della «Revue étrangère et française de législation, de jurispru- dence et d’économie politique» di Jean Jacques Gaspard Foelix, 1791-1843]. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 99 chiarire tutte le circostanze e i motivi che possono escludere o attenuare l’imputazione. In presenza di queste opposte tendenze è quasi impensabile che dei giudici preparati e imparziali non riescano ad accertare la verità, po- tendo così pronunciare una sentenza rispondente a giustizia. [38|39] È tuttavia da lamentare che i funzionari dell’autorità statale, nei loro interventi, manifestino uno zelo che sfi ora la passione, come se l’unico scopo dell’autorità statale fosse scoprire dei colpevoli e come se l’assoluzione di un imputato costituisse una minaccia per la sua dignità e il suo onore. Aggiungo alcune osservazioni sulle esperienze fatte in Piemonte dopo l’en- trata in vigore della legge dell’11 gennaio 1840. Si deve anzitutto tenere presente che le modifi che nel processo penale, oggetto di questa legge, sono state intro- dotte anzitutto sperimentalmente, prima che si pensasse di accettare il sistema del procedimento orale e quello del dibattimento pubblico. Quelle modifi che vanno quindi considerate come un elemento transitorio. L’esperienza di quattro anni ha dimostrato l’imperfezione di questo sistema che rappresenta una via di mezzo, che lascia sussistere ancora alcune manchevolezze del sistema scritto, mentre fruisce soltanto in parte dei vantaggi del procedimento orale e del dibat- timento pubblico. Questo tentativo è comunque una prova della prudenza del governo piemontese che, prima di introdurre nuove istituzioni, ha voluto accer- tarsi della loro utilità e della loro accoglienza da parte dell’opinione pubblica. La ripetizione dell’audizione dei testi ha avuto luogo in ben pochi casi; al Senato di Casale ciò è avvenuto tre o quattro volte, quasi esclusivamente nei primi anni dopo la promulgazione della legge. Questi processi si sono conclusi con la condanna degli imputati. Il risultato del Senato di Torino è stato ancora più limitato. In generale i testi hanno ostinatamente confer- mato le loro precedenti affermazioni. Gli imputati, non senza imbarazzo, hanno prodotto contro di essi sospetti infondati, col risultato di rafforzare nei giudici il convincimento della colpevolezza dell’imputato. In seguito si chiese di rado una nuova audizione dei testi e ancora più di rado [39|40] essa venne ammessa, perché il Senato – se, previo esame degli atti, non giungeva al convicimento della necessità o dell’opportunità di una nuova audizione dei testi – respingeva la richiesta. Più frequente è invece il caso in cui gli imputati fanno uso delle facilitazioni accordate dalla legge e partecipano alla presentazione della relazione e allo svolgimento del processo. In me- dia si può ritenere che ciò avvenga per un terzo degli imputati. Nel Senato e nella Camera dei Conti è stato osservato che la presenza dell’imputato ha avuto conseguenze negative per l’imputato. Le risposte che, nella mag- gior parte dei casi, sono state fornite al presidente consistevano in vuote scuse in contraddizione con quanto affermato nelle indagini e in critiche 100 Mario G. Losano infondate sull’operato dei giudici dell’istruzione. Se a ciò si aggiunge il loro atteggiamento, il loro imbarazzo (che spesso li tradisce dando voce alla loro coscienza), ci si rende facilmente conto di quale successo possa avere la pre- senza degli imputati davanti ai giudici. Va tuttavia anche sottolineato che nei procedimenti penali del Senato di Casale negli ultimi quattro anni dal- la promulgazione della legge, confrontando il numero degli imputati che hanno assistito al dibattimento e sono stati condannati con il numero degli assolti che hanno chiesto di partecipare al dibattimento del proprio proces- so, il numero degli assolti è superiore a quello dei condannati. L’esperienza di questi quattro anni ha anche insegnato che la presenza dell’imputato nel dibattimento, se è stata dannosa per i colpevoli, ha invece favorito gli inno- centi: infatti la loro presenza e le loro risposte (anche senza la partecipazione dei testi) è stata un indiscusso vantaggio nell’accertamento della verità e già di per sé questo mezzo è stato in grado di fornire ai giudici il più forte con- vincimento nel pronunciare la loro sentenza. Più d’una volta il pubblico, liberamente ammesso al pubblico dibattimento, [40|41] ha previsto l’esito del processo e lo ha valutato positivamente. Questo esperimento ha con- tribuito decisamente a diffondere la convinzione dell’utilità del principio di pubblicità nei procedimenti penali, cosicché in generale tutte le persone ragionevoli – ad eccezione di chi è accecato dal pregiudizio e dall’abitudi- ne al vecchio procedimento – si augurano come un benefi cio che la futura procedura penale possa introdurre il sistema dell’oralità e del pubblico di- battimento, così come è stato fatto in Francia, a Napoli e in Toscana. Tutto sembra dar spazio affi nché possano avverarsi i desideri della parte più ragio- nevole della nazione. Sarebbe altamente desiderabile che nella riforma della legge sul procedi- mento penale venissero introdotti due essenziali miglioramenti. In primo luogo, bisognerebbe che la regola delle due istanze venisse applicata anche nei procedimenti penali per reati gravi, per garantire con un duplice di- battimento una maggior garanzia della giustizia delle sentenze. Questa proposta è già stata formulata dal Conte Sclopis, Avvocato Generale presso il Senato di Torino96. È infatti sconcertante che – secondo il sistema attuale – vengano sot- toposti a due istanze i reati più lievi, puniti con pene di polizia o anche con una detenzione superiore a un mese, mentre per i reati per cui è prevista la pena di morte o altre gravi pene è ammesso un solo dibattimento, cioè una sola istanza, anche se essa ha luogo presso la più elevata autorità giudiziaria. In secondo luogo, bisognerebbe che ai giudizi penali venissero allegate

96 Dell’autorità giudiziaria, Cap. 4. [Federigo Sclopis, Della autorità giudiciaria, Tipografi a di A. Muratori, Palermo 1843, 190 pp.]. Appendice II - Sul procedimento penale in Piemonte 101 anche le motivazioni. Motivare una sentenza non signifi ca altro che [41|42] elencare individualmente e coordinare tutte le idee contenute nelle asserzio- ni generali della legge, per poter essere certi che i giudici si sono fatti un’idea chiara di tutti gli elementi di quest’asserzione generale, in modo da esprime- re con precisione che tutti questi elementi sono presenti nel caso dedotto in giudizio. Si può così conoscere con certezza se, per esempio in una sentenza di omicidio intenzionale, i giudici hanno errato nell’interpretare le formu- lazioni della legge che defi niscono la premeditazione o nell’individuare gli elementi che dissolvono ogni dubbio sulla fattispecie. Il costringere il giudi- ce a questo sforzo intellettuale è al tempo stesso un effi cace ostacolo contro l’arbitrio e una solenne garanzia per l’imparzialità e la giustizia delle senten- ze. Nel Regno di Napoli è prescritta la motivazione delle conclusioni97. Questa sintetica descrizione del sistema penalistico del Piemonte consen- te di vedere che in esso – ad eccezione delle manchevolezze inevitabilmente connesse con il procedimento scritto – sono presenti tutte le garanzie com- patibili con la natura di un tale sistema e che alla libertà della difesa viene lasciato abbastanza spazio. Il nuovo ordinamento del processo penale in- trodurrà, com’è sperabile, tutti quei miglioramenti e perfezionamenti che tanto i progressi della scienza quanto l’esperienza delle altre Nazioni han- no dimostrato essere fruttuosi per conseguire le fi nalità della legislazione processuale. Non appena questo nuovo codice sarà pubblicato ci faremo premura di renderne conto.

97 Leggi organ. di Napoli, art. 219; Leggi organ. Sicil., art. 236; Legg. di Proc. pen. 293.

INDICE DEL VOLUME 37, FASC. 2 (a.a. 2012-2013)

Alle origini della fi losofi a del diritto a Torino: Pietro Luigi Albini di Mario G. Losano

1. La commemorazione di Albini all’Accademia delle Scienze di Torino pp. 6-10 2. La fi losofi a del diritto a Torino dal Risorgimento al Novecento ...... 10-13 3. La vita di Albini tra università, avvocatura e politica ...... 13-17 4. Le opere di fi losofi a del diritto ...... 17 a) Saggio analitico sul diritto (1839) ...... 17-24 b) Principii di filosofia del diritto (1857) ...... 24-30 5. Le opere storico-enciclopediche: ...... 31 a) Enciclopedia del diritto (1846) ...... 31-34 b) Elementi della storia del diritto in Italia (1847) ...... 35-37 6. I diritti, i doveri e le libertà del cittadino ...... 37 a) Della libertà d’insegnamento e dei doveri che essa impone (1860) ...... 38-43 b) Della pena di morte (1852) ...... 43-48 7. Le opere sul diritto positivo ...... 48-50 8. L’attività parlamentare ...... 50-53 9. Le lettere di Albini a Federico Sclopis ...... 53 a) Albini nell’Università di Torino ...... 54-57 b) Albini all’Accademia delle Scienze di Torino ...... 57-60 10. Mittermaier «ammiratore della bella Italia» ...... 60 a) Il libro di Mittermaier sull’Italia ...... 61-63 b) L’Italia nella «Kritische Zeitschrift» di Mittermaier...... 63-65 11. Il rapporto tra Albini e Mittermaier ...... 66 a) La recensione di Mittermaier su Albini e l’articolo di Albini... etc...... 68-71 b) Un esempio della circolazione delle idee in Europa... etc...... 71-73 12. Il retaggio di Albini ...... 72-74

APPENDICI I. Recensione di Karl Mittermaier al Saggio analitico di Albini ...... 75-83 II. Albini, Sul procedimento penale in Piemonte ...... 84-102 Direttore responsabile Luciano GALLINO Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 2686 del 13/04/1977 Iscrizione al R.O.C. n. 2037 del 30/06/2001

Finito di stampare nel mese di maggio 2014