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TOP NEWS______01 NATO TV 0 3 COSTRUIRE LA PACE 04 COMMENTI 0 4 AGENDA 06 ISSUES 06 DI PIù 08/3 1

In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:

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№ 84 1 SETTEMBRE 2011 Periodo dal 25 AGOSTO Aggiornato al 1 SETTEMBRE

TOP NEWS______

1 SETTEMBRE - TAGIKISTAN: AFGHANO KARZAI A VERTICE QUADRILATERALE DUSHANBE (di più) Il presidente afghano è partito oggi per Dushambe, in Tagikistan, dove domani si svolgerà un vertice presidenziale fra i presidenti di Afghanistan, Pakistan, Tagikistan e Russia. (ANSA).

1 SETTEMBRE - AFGHANISTAN: AGOSTO 2011, MESE PIU' LETALE PER USA DAL 2001 (di più) Con un bilancio di 66 morti, il mese di agosto è stato il più cruento per l'esercito americano in Afghanistan dal 2001. Lo ha reso noto il Pentagono. (ANSA).

1 SETTEMBRE - USA:ADDIO PETRAEUS A ESERCITO,PROSSIMA SETTIMANA A GUIDA CIA (di più) Dopo 37 anni di onorata carriera, il generale David Petraeus dà l'addio all'esercito americano e a 58 anni si appresta a iniziare, la prossima settimana, la sua nuova avventura alla guida della Cia. (ANSA).

31 AGOSTO - AFGHANISTAN: STAMPA PAKISTAN, KARZAI A RIAD CON TALEBANI (di più) Nella sua recente visita in Arabia saudita in cui ha incontrato re Abdullah, il presidente afghano Hamid Karzai avrebbe avuto anche modo di avvicinare esponenti dell'opposizione armata Hizb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar ed anche dei talebani del Mullah Omar. Lo scrive oggi il quotidiano The Express Tribune. (ANSA).

30 AGOSTO - AFGHANISTAN: RAMADAN, NUOVO APPELLO KARZAI A TALEBANI (di più) Il presidente afghano Hamid Karzai ha rivolto oggi, in occasione dell'inizio dell'Eid, la festività che conclude il mese islamico del Ramadan, un nuovo appello all'opposizione armata ad unirsi al processo di pace e a ''non uccidere più i propri fratelli''. (ANSA).

30 AGOSTO - AFGHANISTAN: EID AL-FITR, A KABUL 13MILA POLIZIOTTI IN STRADA (di più) Eid al-Fitr tra misure di massima sicurezza e paura di attentati per gli abitanti di Kabul, la capitale afghana. Per sventare il rischio di attacchi durante la festa di fine Ramadan, le autorità - secondo dati del ministero dell'Interno - hanno schierato nelle strade della città 13.500 agenti di polizia. (ADNKRONOS). 2 / 31

30 AGOSTO - AFGHANISTAN: SCOPPIA 'IED', FERITI DUE PARA' ITALIANI (di più) Ancora un attentato contro i militari italiani in Afghanistan. Ancora l'esplosione di un ordigno rudimentale contro cui, stavolta, ha retto la blindatura del 'Lince'. Due i feriti: ''non sono gravi'', assicurano allo Stato maggiore della Difesa. (ANSA).

30 AGOSTO - GB-AFGHANISTAN/ LONDRA: SODDISFATTI PER ADDIO KARZAI NEL 2014 (di più) La Gran Bretagna "dovrebbe essere contenta dell'addio al potere del presidente afgano Hamid Karzai, nel 2014": è quanto si legge in alcuni documenti riservati inavvertitamente esposti all'obbiettivo di una macchina fotografica dal ministro britannico per lo Sviluppo, Andrew Mitchell. (TMNEWS 30 AGOSTO).

30 AGOSTO - AFGHANISTAN, AP: KARZAI HA MANDATO ALL'ARIA NEGOZIATO USA – TALEBANI (di più) Erano in corso negoziati tra Stati Uniti e talebani afgani, ma, proprio nel momento in cui questi stavano raggiungendo risultati apprezzabili, funzionari di Kabul li hanno mandati all'aria, temendo l'indebolimento del governo del presidente Hamid Karzai. Lo hanno rivelato fonti militari afgane e americane all'Associated Press (Ap). (PEACEREPORTER 30 AGOSTO)

29 AGOSTO - AFGHANISTAN: SCONTRO CON MARINES USA, MORTI 12 TALEBANI (di più) Almeno 12 talebani sono morti in uno scontro a fuoco con i marines americani nella provincia meridionale afghana di Helmand. (ANSA).

28 AGOSTO - AFGHANISTAN: MULLAH OMAR;NO BASI USA,CONFERENZA BONN INUTILE (di più) Il Mullah Omar, guida spirituale dei talebani afghani, ha inviato un messaggio in occasione della festività di fine Ramadan in cui ribadisce che non ci sarà negoziato fino al ritiro completo ''delle forze di invasione'', che l'Afghanistan respinge l'idea di basi permanenti Usa sul suo territorio, e che la prossima Conferenza di Bonn ''è inutile''. (ANSA)

28 AGOSTO - AFGHANISTAN/ ZABUL, DUE CIVILI FERITI IN ATTACO TALEBANO A PRT (di più) E' di due civili feriti il bilancio delle vittime dell'attacco talebano alla sede della Squadra Provinciale di Ricostruzione (Prt) della Nato nella provincia afgana di Zabul secondo quanto reso noto dalla polizia afgana. (TMNEWS)

28 AGOSTO - AFGHANISTAN: MINISTRO FINANZE, NON DATA PARTE AIUTI PROMESSI (di più) L'Afghanistan ha ricevuto solo 57 dei 69 miliardi di dollari di aiuti che erano stati promessi dalla Comunità internazionale, e del denaro realmente utilizzato per progetti nel Paese, solo il 18% è passato attraverso il governo del presidente, Hamid Karzai. Lo ha sostenuto il ministro delle Finanze afghano, Omar Zakhilwal. (ANSA)

27 AGOSTO - TALEBANI ALL'ATTACCO TRA AFGHANISTAN E PAKISTAN, STRAGI (di più) A due giorni dalla fine del mese sacro del Ramadan, i talebani afghani hanno messo in campo tre kamikaze per realizzare altrettanti sanguinosi attentati nelle province meridionali di Helmand e . (ANSA).

27 AGOSTO - AFGHANISTAN: KARZAI IN ARABIA SAUDITA PER PROSPETTIVE PACE (di più) Il presidente afghano, Hamid Karzai, ha lasciato Kabul per una visita ufficiale di due giorni in Arabia Saudita, dove sarà ricevuto da re Abdullah con cui, fra l'altro, esaminerà gli ultimi sviluppi della crisi afghana. (ANSA).

27 AGOSTO - UCCISO IN PAKISTAN IL NUMERO DUE DI AL QAEDA (di più) Il libico Atiyah Abd al-Radham ucciso da un drone americano Nelle carte sequestrate dai Navy Seals i legami con Bin Laden. (LA STAMPA.IT)

26 AGOSTO - AFGHANISTAN: PRIMICERJ, PIU' FORMAZIONE ISTRUTTORI CAA AOSTA (di più) “Penso che la funzione di formazione di istruttori per l'esercito afghano sviluppata dal Centro di addestramento alpino di Aosta possa essere ulteriormente incrementata in futuro''. Lo ha dichiarato all'ANSA il comandante delle truppe alpine Alberto Primicerj. (ANSA).

26 AGOSTO - AFGHANISTAN: ATTENTATO IN MOSCHEA DEL NORD-OVEST, 4 MORTI (di più) Una carica esplosiva è stata attivata oggi nel cortile di una moschea della provincia afghana nord-occidentale di Faryab, causando la morte di quattro persone ed il ferimento di altre 14. (ANSA). 3 / 31

NATO TV______

Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il contingente ISAF.

Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast. Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles:

Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation Officer [email protected] (+32 475 470127)

Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili: - grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli oppure: - montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode, trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini.

La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice e- mail che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico. Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web: www.natochannel.tv

QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO

1) Logar's Dairy Farmers – (Produttori di latte a Logar)

Il Team Cecoslovacco per la ricostruzione provinciale della provincia afghana di Logar, sta lavorando ad un progetto di sostegno per i produttori di latte a Kabul.

Link: http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1464

2) General Allen visits British troops in Helmand province – (Il Generale Allen in visita alle truppe britanniche nella provincia di Helmand)

Il comandante delle truppe ISAF e delle truppe statunitensi in Afghanistan, ha visitato i soldati britannici in servizio in Helmand. Il generale John Allen si è recato nel distretto di Nad-e-Ali, dove ha incontrato i membri locali della polizia afghana che vengono addestrati dagli inglesi.

Link: http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1465

3) Shock Trauma Platoon: training medics in Marjah – (Shock Trauma Platoon: medici in prima linea a Marjah)

Lo Shock Trauma Platoon sta lasciando la base dei marines in Marjah, data la mancanza di combattimenti. Il loro lavoro pero’ continua aiutando il gruppo medico di ANSF, affiancandoli durante le esercitazioni di trasporto dei feriti.

Link: http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1466 4 / 31

4) Hunting a Taliban commander – (Caccia al comandante Talebano)

Una squadra di assalto composta da Marines americani e membri delle forze di sicurezza afghane, hanno preso parte ad una missione congiunta per catturare un esponente Talebano di alto livello nel distretto di Marjah, provincia di Helmand.

Link: http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1467

COSTRUIRE LA PACE______

1 SETTEMBRE - LA MIA SPERANZA SONO I BAMBINI (di più) Il contributo dei militari italiani alla ricostruzione dell’Afghanistan nel racconto del tenente Luca Olivari. “Il futuro di questo paese è legato a doppio filo alle nuove generazioni, sono i bimbi che guideranno il paese”. Rubrica a cura di Fabrizio Paladini- (PANORAMA – RUBRICA INDISCRETO)

31 AGOSTO - ITALIA E USA INSIEME A KABUL PER LE VITTIME TERRORISMO (di più) A dieci anni dall'attentato dell'11 settembre, la Tavola della pace e l'associazione americana dei familiari delle vittime 'Peaceful Tomorrows' hanno deciso di andare insieme a Kabul "per dire basta alla violenza, alla guerra e al terrorismo". (AGI-PEI NEWS 31 AGOSTO)

31 AGOSTO - AFGHANISTAN, UN LIBRO RACCONTA 10 ANNI DI COOPERAZIONE (di più) A dieci anni dall'avvio della missione della Cooperazione italiana in Afghanistan per riformare il sistema giudiziario, un libro ricostruisce la storia del contributo italiano, ripercorrendo le tappe di un impegno che ha faticosamente avviato l'amministrazione della giustizia afghana sulla strada della modernità. (AGI-PEI NEWS 31 AGOSTO)

RIPARTE IL TRENO MERCI IN AFGHANISTAN (di più) Dopo anni d'interruzione causata dalla guerra, riparte il trasporto ferroviario delle merci. Per ora solo lungo i 75 chilometri che partono dallo scalo di Hairatan, al confine con Uzbekistan e finiscono in un terminal vicino all'aeroporto di Mazar-e-Sharif. (TRASPORTOEUROPA.IT)

30 AGOSTO - A VALTOPINA TAPPETI AFGHANISTAN PER 'CALPESTARE LA GUERRA' (di più) La tredicesima edizione della Mostra del ricamo e del tessuto in programma dal 2 al 4 settembre a Valtopina sarà anche l'occasione per lanciare un messaggio di pace tra i popoli. Saranno esposti infatti prodotti dell'artigianato tessile israeliano e palestinese ed alcuni ''tappeti di guerra'' dell' Afghanistan. (ANSA 30 AGOSTO).

27 AGOSTO - AIUTI BRESCIANI IN AFGHANISTAN LI HANNO RACCOLTI GLI ALPINI SOLIDARIETÀ (di più) Dopo i Balcani 157 gruppi delle penne nere sostengono il villaggio di Barghanà I pacchi alimentari consegnati dai paracadutisti della «Folgore» a 70 famiglie povere del posto. (BRESCIA OGGI 27 AGOSTO)

COMMENTI______

1 SETTEMBRE - PERCHE' VADO A KABUL 10 ANNI DOPO (di più) Alla vigilia dell'11 settembre un gruppo di associazioni pacifiste va in Afghanistan. Il coordinatore della Tavola della pace spiega perché. Di Flavio Lotti. (TERRA)

31 AGOSTO - IL "CHANGE" DEI TALEBANI (di più) A 10 anni dall’11 settembre l’Afghanistan era la “guerra giusta”. Se tutto questo è vero, allora ci chiediamo cosa stanno negoziando i rappresentanti del mullah Omar e del clan Haqqani con le autorità americane? Un manifesto, promette il vecchio leader orbo dei Talebani, che protegga la proprietà privata, favorisca la produzione dei minerali del Paese e consenta all’Afghanistan di mantenere buone relazioni con i suoi vicini. A modo loro un "Change, We Can Believe In". (L’OCCIDENTALE) 5 / 31

30 AGOSTO - IL RITIRO DEGLI USA DALL’AFGHANISTAN? NEL 2024 (di più) Le truppe statunitensi potrebbero restare in Afghanistan fino al 2024. Ancora a lungo rischia quindi di far tramontare le già scarse speranza di giungere a un accordo di pace in tempi rapidi. Intese bilaterali come quella in discussione tra afghani e americani potrebbero coinvolgere anche Paesi europei interessati compresa l’Italia. Il commento di Gianandrea Gaiani. (PANORAMA BLOG)

30 AGOSTO - LA STORIA DI LUCA È DIVENTATA UN LIBRO «NON MI ARRENDERÒ» (di più) A Luca Barisonzi, l’alpino di 21 anni rimasto gravemente ferito il 18 gennaio scorso in missione di pace, è dedicato il libro dato alle stampe per Mursia editore da Paola Chiesa, insegnante 31enne di Lettere nelle scuole superiori di Pavia: “L’Italia chiamò” è un libro diario sull’esperienza di Luca raccontata da Luca. Di Simona Bombonato. (LA PROVINCIA PAVESE)

30 AGOSTO - DIECI ANNI DOPO. L'IMMENSO FALLIMENTO DELLA STRATEGIA DI AL-QAEDA (di più) L’11 settembre segna una sconfitta per l'Occidente soprattutto perché ha perso l'occasione di usare le «armi della politica» per ricostruire la mappa degli equilibri mondiali. Di Luigi Bonante. (L’UNITA’)

30 AGOSTO - TROPPE DIVISE, CI METTONO IN PERICOLO: «ALLONTANATE IL PRT» (di più) Esasperati dalla presenza di una struttura militare in un’area residenziale, molti abitanti di Herat ne hanno chiesto il trasferimento altrove. Di G. Batt. (IL MANIFESTO)

29 AGOSTO - UNA LETTURA BUROCRATICA DELLA SOCIETÀ CIVILE (di più) Una sintesi della ricerca “La società civile afgana. Uno sguardo dall'interno” che è parte del progetto sulla società civile afgana promosso dal network italiano “Afgana”, realizzata da Giuliano Battiston, ricercatore e giornalista. (TERRA)

29 AGOSTO - AFGHANISTAN: TERRA, OPPIO E GUERRA (di più) Il rapporto tra terra e guerra, proprietà fondiaria e conflitto, potere (militare) sul territorio e relazioni sociali, costituiscono alcuni degli aspetti meno indagati della storia recente del Paese: lacuna che finisce per far ignorare, e/o considerare come secondario, il problema del possesso della terra, del rapporto economico tra possidenti, affittuari o contadini poveri e la catena di relazioni sociali connesse. Di Emanuele Giordana. (TERRA)

29 AGOSTO - LETTERA DALL’AFGHANISTAN. KABUL DICEMBRE 2020 (di più) “Dovresti vedere la gioia degli afghani quando, dopo anni di bombe e massacri, finalmente raggiunta la democrazia, possono accedere al pagamento dell’Irpef sulla prima casa e andare, col ticket da 50 euro, all’ospedale da campo per la risonanza magnetica”. Da una lettera spedita al giornalista del Fatto Quotidiano Giovanni Scardovi. (IL FATTO QUOTIDIANO)

28 AGOSTO - DRONI A CACCIA DI AL QAEDA COLPITO ANCHE IL NUMERO DUE (di più) Atiyah Abd al-Rahman aveva grandissime responsabilità organizzative. Pianificava di persona molte delle operazioni, aveva background, esperienza e capacità uniche. Ora che si trattava di tenere insieme la rete e di gestire la nuova strategia, Al Zawahiri aveva puntato su di lui. Rimpiazzarlo, non sarà tanto facile dopo la sua morte. Il commento di Francesco Battistini. (CORRIERE DELLA SERA)

26 AGOSTO - “AFGHANISTAN, CAMERA OSCURA”. IL LIBRO DI GABRIELE TORSELLO (di più) Nel suo nuovo libro "Afghanistan,Camera oscura" a distanza di quasi 5 anni dal rapimento nel tragitto che da Lashkargah conduce a Kabul in Afghanistan, il fotoreporter italiano Gabriele Kash Torsello ripercorre con lucidità i momenti salienti di quella esperienza. Il resoconto di Franco Nuccio. (AGENZIA RADICALE)

26 AGOSTO - KABUL SENZA FUTURO (di più) La visita di Petraeus, il pessimismo della Farnesina e le critiche italiane agli alleati nei dispacci di Wikileaks in esclusiva per l’Espresso. Di Stefania Maurizi. (L’ESPRESSO) 6 / 31

AGENDA______

DAL 5-16 SETTEMBRE 2011 – A ROMA, CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA, ISTITUTO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE, 32° CORSO DI COOPERAZIONE CIVILE MILITARE (COCIM)

DAL 31 AGOSTO AL 5 SETTEMBRE – A KABUL ARRIVA UNA DELEGAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE USA ‘PEACEFUL TOMORROWS’ E DI QUELLA ITALIANA ‘LA TAVOLA DELLA PACE’ (di più)

2 SETTEMBRE – FINO AL 1 OTTOBRE L’ARTISTA MONIKA BULAJ ESPONE AL PALAZZO DUCALE DI VENEZIA LA MOSTRA FOTOGRAFICA “NUR/LUCE APPUNTI AFGHANI”. (di più)

OTTOBRE – LA BRIGATA SASSARI TORNA IN AFGHANISTAN

2 NOVEMBRE – LA TURCHIA OSPITA AD ISTAMBUL UNA CONFERENZA REGIONALE SULL’AFGHANISTAN (di più)

5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA (di più)

23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 2011.

MAGGIO 2012 – SUMMIT NATO DEDICATO ALL’AFGHANISTAN A CHICAGO (di più)

ISSUES______

BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 1 SETTEMBRE (dal sito icasualties.org)

Australia 29 Georgia 9 New Zeland 3 Turkey 2 Belgium 1 Germany 53 Norway 10 UK 380 Canada 157 Hungary 7 Poland 30 US 1754 Czech 4 Italy 39* Portugal 2 Nato 5 Denmark 41 Jordan 2 Romania 19 Not yet Reported 0 Estonia 8 Latvia 3 South Korea 1 Finland 2 Lithuania 1 Spain 33 France 74 Netherlands 25 Sweden 5 TOTALE 2699 * Le vittime italiane in realtà sono 41. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo e del Tenente colonnello dei carabinieri Cristiano

Congiu.

VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO 26 AGOSTO 1SETTEMBRE

GB 1

USA 5

NATO 4

VITTIME TOTALI (VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO) 10

VITTIME TOTALI 2011 418 7 / 31

(Non si segnalano variazioni nei contingenti militari rispetto alla scorsa settimana)

http://www.italiafghanistan.rai.it/Dati.aspx

UNA CASA PER LUCA BARISONZI Il Gruppo Alpini di Ferrara aderisce al progetto "Una casa per Luca" e invita tutti i ferraresi ad effettuare un versamento per aiutare un giovane alpino che si trova in grave difficoltà dopo esser stato gravemente ferito in Afghanistan. L’alpino Luca Barisonzi, gravemente ferito durante la guerra nell’ex paese dei Talebani, sta affrontando un periodo di cure e di faticosa riabilitazione per cercare di recuperare la funzionalità quantomeno degli arti superiori. Di concerto con il Comando dell’8° Reggimento Alpini l’Associazione Nazionale Alpini ha deciso di intervenire per fornire a Luca una casa adeguata alle sue particolari esigenze. Per tale motivo è stato aperto un conto corrente bancario intestato alla Fondazione A.N.A. Onlus (in modo che i contributi versati siano anche fiscalmente detraibili) sul quale è possibile versare contributi per dare sostanza a questo progetto: C/C Nr. 100000002866 presso Banca INTESA SANPAOLO ag. 1027 – Via Volta, 21 Milano IBAN: IT65 F030 6909 4521 0000 0002 866 intestato a: FONDAZIONE A.N.A ONLUS Via Marsala 9, 20121 Milano. (FERRARA24ORE.IT 1 SETTEMBRE)

USA, LO SPRECO DEGLI APPALTI MILITARI Almeno un dollaro ogni sei, negli investimenti in commesse e contratti in Iraq e Afghanistan, è andato sprecato. Trenta miliardi di dollari nell'arco di dieci anni. La cifra emerge da una ricerca condotta dalla 'Commissione per le commesse belliche in Iraq e Afghanistan', un gruppo di lavoro bi-partisan che questa settimana presenterà i risultati della decennale indagine al Congresso. Se non verranno adottati provvedimenti urgenti sia in termini di leggi che di politiche, il rischio è quello di un analogo spreco nei prossimi anni, ammonisce la commissione. Decine di miliardi di dollari dei contribuenti Usa sono stati gettati al vento a causa di cattiva pianificazione, requisiti contrattuali vaghi e oscillanti, mancanza di competizione, contabilità inadeguata, scarso coordinamento tra agenzie governative locali, per finire con vera e propria negligenza da parte di alcuni contractors e di funzionari federali. La forza-lavoro impiegata in Iraq e Afghanistan è arrivata a punte di 260mila addetti, spesso superando il numero delle forze militari impiegate nei due teatri. Da questo rapporto di uno a uno discende una verità: gli Stati Uniti non sono in grado di condurre prolungate missioni militari all'estero senza il sostegno dei contractors. La dottrina della difesa Usa spiega che ormai dagli anni Ottanta i contractors sono da considerare parte della 'forza totale' da dispiegare in operazioni belliche. Invece, nelle guerre cominciate nel 2001 e nel 2003, gli Stati Uniti si sono imbarcati in missioni senza un'adeguata pianificazione e senza personale dedicato alla gestione dei contratti. Uno dei problemi più seri riguarda l'insostenibilità locale dei progetti. Ad esempio, i contribuenti americani sono stati chiamati a finanziare una prigione che costa 40 milioni di dollari, che l'Iraq non voleva e che non è stata mai finita. Gli stessi contribuenti hanno pagato 300 milioni di dollari per la centrale energetica di Kabul, che necessita manutenzione e assistenza tecnica continua, e che gli afgani non possono garantire per mancanza di expertise. Così come un colossale piano per infrastrutture militari per l'esercito afgano costato 11,4 miliardi di dollari è a rischio insostenibilità. Gli autori del rapporto individuano alcuni provvedimenti urgenti per porre fine agli sprechi, tra i quali approfondite analisi di rischio, un team di funzionari che fornisca il necessario collegamento tra l'ufficio di gestione del budget statunitense e il consiglio nazionale afgano per la sicurezza, la modifica o cancellazione di progetti con elevato tasso di insostenibilità. Il dipartimento della Difesa Usa è criticato per la storica riluttanza a ridurre il proprio budget. Recentemente, in occasione del dibattito sul tetto al deficit federale, è finito nell'occhio del ciclone per l'eccesso di spese in progetti di sviluppo e ricerca sui nuovi armamenti, l'acquisto di pezzi di ricambio a prezzi gonfiati e le tangenti a compagnie di trasporti afgane legate ai Talebani. (PEACEREPORTER 30 AGOSTO DI LUCA GALASSI) 8 / 31

TOP NEWS (DI PIU’)______

TAGIKISTAN: AFGHANO KARZAI A VERTICE QUADRILATERALE DUSHANBE Il presidente afghano Hamid Karzai è partito oggi per Dushambe, in Tagikistan, dove domani si svolgerà un vertice presidenziale fra i presidenti di Afghanistan, Pakistan, Tagikistan e Russia. Lo ha reso noto una fonte ufficiale a Kabul. All'ordine del giorno di questo terzo vertice fra i quattro paesi - i due precedenti si sono svolti nella stessa capitale tagika e a Sochi, in Russia - vi sono l'esame del processo di pace e riconciliazione in corso in Afghanistan, una più efficace lotta contro il terrorismo ed il narcotraffico, e la cooperazione economica specialmente in tema di energia e infrastrutture. Dopo il vertice i Capi di Stato firmeranno una Dichiarazione congiunta e svolgeranno una serie di incontri bilaterali. (ANSA 1 SETTEMBRE).

AFGHANISTAN: AGOSTO 2011, MESE PIU' LETALE PER USA DAL 2001 Con un bilancio di 66 morti, il mese di agosto è stato il più cruento per l'esercito americano in Afghanistan dal 2001. Lo ha reso noto il Pentagono. A far impennare il numero dei caduti è stata la morte di 30 soldati, inclusa una unità di elite dei Navy Seals, che si trovavano a bordo di un elicottero abbattuto dai talebani. Gli ordigni di fabbricazione artigianale (Ied) restano la causa principale delle perdite. In precedenza, il mese più tragico per i soldati Usa era stato il luglio 2010, con 65 militari uccisi, sempre secondo il Pentagoni, Secondo il sito specializzato icasualties, nel 2011 sono morti finora 418 soldati stranieri, di cui 306 americani. Dall'inizio del conflitto, secondo il sito, sono 1.752 i militari americani caduti. (ANSA 1 SETTEMBRE).

USA:ADDIO PETRAEUS A ESERCITO,PROSSIMA SETTIMANA A GUIDA CIA Dopo 37 anni di onorata carriera, il generale David Petraeus dà l'addio all'esercito americano e a 58 anni si appresta a iniziare, la prossima settimana, la sua nuova avventura alla guida della Cia. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in una nota ha definito ''storica'' la carriera militare di Petraeus, soprattutto ''per lo straordinario contributo dato alla sicurezza nazionale'' nel corso delle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ora la sua lotta ad Al Qaida e al terrorismo internazionale proseguirà alla guida della Cia. Presterà giuramento il 6 settembre, a pochi giorni dall'anniversario degli attentati dell'11 settembre 2001. (ANSA 1 SETTEMBRE).

AFGHANISTAN: STAMPA PAKISTAN, KARZAI A RIAD CON TALEBANI Nella sua recente visita in Arabia saudita in cui ha incontrato re Abdullah, il presidente afghano Hamid Karzai avrebbe avuto anche modo di avvicinare esponenti dell'opposizione armata Hizb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar ed anche dei talebani del Mullah Omar. Lo scrive oggi il quotidiano The Express Tribune. Il giornale cita fonti dell'Hizb-e-Islami secondo cui il principale consigliere politico di Hekmatyar, Ghairat Baheer, era a Riyadh contemporaneamente a Karzai ''per trattare con i sauditi questioni legate alla riconciliazione in Afghanistan''. Secondo queste stesse fonti, in Arabia saudita sarebbero stati presenti anche non meglio specificati emissari dei talebani. A sostegno di questa ipotesi il giornale ricorda che lo scorso anno una delegazione di Hizb-e-Islami si era recata a Kabul per contatti con il governo afghano, e che in un recente messaggio in occasione delle festività dell'Eid (fine del Ramadan) il Mullah Omar si è mostrato molto pragmatico sulla prospettiva di ''un dialogo fra afghani''. Al riguardo infine il consigliere per gli affari internazionali dell'Alto Consiglio per la pace afghano, Muhammad Ismail Qasemyar, ha detto ad una tv afghana che i dirigenti talebani ''sembrano essersi ammorbiditi''. (ANSA 31 AGOSTO).

AFGHANISTAN: RAMADAN, NUOVO APPELLO KARZAI A TALEBANI Il presidente afghano Hamid Karzai ha rivolto oggi, in occasione dell'inizio dell'Eid, la festività che conclude il mese islamico del Ramadan, un nuovo appello all'opposizione armata ad unirsi al processo di pace e a ''non uccidere più i propri fratelli''. Dopo essere ritornato da una visita ufficiale in Arabia saudita, Karzai ha raccolto oggi i membri del suo governo, numerose personalità afghane e i capi tribali di molte province per una preghiera comune nella moschea presidenziale in occasione dell'Eid-ul-Fitr. Al termine della celebrazione, il capo dello Stato ha ricordato che l'Afghanistan ha purtroppo attraversato decenni di guerra e di tumulti politici ed ha quindi rivolto un vibrante appello ai talebani e agli gruppi armati. ''In questo fausto giorno - ha detto - ancora una volta mi rivolgo alle forze dell'opposizione affinché smettano di uccidere i loro fratelli, smettano di distruggere il paese, ed invece servano la patria scegliendo il cammino della pace''. (ANSA 30 AGOSTO).

AFGHANISTAN: EID AL-FITR, A KABUL 13MILA POLIZIOTTI IN STRADA Eid al-Fitr tra misure di massima sicurezza e paura di attentati per gli abitanti di Kabul, la capitale afghana. Per sventare il rischio di attacchi durante la festa di fine Ramadan, le autorità - secondo dati del ministero dell'Interno - hanno schierato nelle strade della città 13.500 agenti di polizia. Sotto stretta sorveglianza 9 / 31 soprattutto le moschee dove stamani migliaia di musulmani si sono recati per le preghiere del mattino. Così, ha assicurato il portavoce del ministero dell'Interno, Ghulam Seddiq Seddiqi, si può festeggiare l'Eid in ''un'atmosfera di pace''. Nelle ultime ore erano state le stesse autorità di polizia, si legge sul Daily Outlook Afghanistan, a chiedere la collaborazione degli abitanti di Kabul per evitare incidenti durante l'Eid. Tra le richieste, anche quella di evitare i petardi, ''che creano confusione tra la gente e problemi per la polizia''. (ADNKRONOS 30 AGOSTO).

AFGHANISTAN: SCOPPIA 'IED', FERITI DUE PARA' ITALIANI Ancora un attentato contro i militari italiani in Afghanistan. Ancora l'esplosione di un ordigno rudimentale contro cui, stavolta, ha retto la blindatura del 'Lince': 'San Lince', come i soldati hanno ormai da tempo ribattezzato questo veicolo. Due i feriti: ''non sono gravi'', assicurano allo Stato maggiore della Difesa. I fatti, riferiscono dal quartier generale di Herat, si sono verificati in mattinata, nei pressi della base di italiana di Camp Snow, nel Gulistan, lo stesso avamposto dove il 31 dicembre venne ucciso il caporal maggiore degli alpini Matteo Miotto. Alcuni parà stavano svolgendo una attività di ricognizione e di affiancamento con i fucilieri di Marina del Reggimento San Marco, che a breve sostituirà il 186/o Reggimento della Folgore (di stanza a Siena) nella zona sud-orientale del settore ovest, tutto sotto il controllo del contingente italiano. All'improvviso, l'esplosione di un 'Ied', un ordigno rudimentale, ha investito un blindato Lince. Il mezzo ha retto all'urto e per due dei paracadutisti a bordo solo ''lievi ferite''. I due militari sono stati subito soccorsi e ricoverati presso l'ospedale militare di Farah. Sono stati loro stessi ad avvisare le rispettive famiglie. Il distretto del Gulistan, a ridosso del profondo sud 'talebano' dell'Afghanistan, si conferma una delle aree più calde tra quelle affidate alla responsabilità dei militari italiani. In questa zona, il 9 ottobre scorso, gli 'insorti' presero di mira un convoglio di blindati che scortava una settantina di mezzi civili: uno dei veicoli su cui viaggiavano gli italiani saltò in aria, sempre su un Ied, e in quella occasione 'San Lince' purtroppo non fece il miracolo. Morirono i primi caporal maggiori Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi e Sebastiano Ville e il caporal maggiore Marco Pedone. Oltre ai convogli, ad essere esposte ai rischi maggiori sono le basi avanzate, tra cui - nel Gulistan - quelle denominate 'Ice' e 'Snow'. Avamposti presi di mira quasi ogni giorno e nei quali bisogna guardarsi anche dai possibili infiltrati. Vicinanza ai due parà e auguri di pronta guarigione sono stati espressi, tra gli altri, dal presidente del Senato Schifani, dal ministro della Difesa La Russa, dalla parlamentare di Fli Barbara Contini (che sollecita il Governo ad avere ''maggiore attenzione sulle questioni di politica e sicurezza internazionale'') e dal deputato Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd, il quale ha chiesto a La Russa di ''riferire in Parlamento sulla natura dell'incidente e sugli sviluppi delle condizioni di salute dei due militari''. (ANSA 30 AGOSTO).

GB-AFGHANISTAN/ LONDRA: SODDISFATTI PER ADDIO KARZAI NEL 2014 La Gran Bretagna "dovrebbe essere contenta dell'addio al potere del presidente afgano Hamid Karzai, nel 2014": è quanto si legge in alcuni documenti riservati inavvertitamente esposti all'obbiettivo di una macchina fotografica dal ministro britannico per lo Sviluppo, Andrew Mitchell. "Si noti che Karzai ha pubblicamente annunciato la sua volontà di ritirarsi alla fine del suo secondo mandato, in conformità con la Costituzione: ciò è molto importante e migliora sensibilmente le prospettive politiche per l'Afghanistan", si legge nel documento che Mitchell teneva in mano mentre usciva dall'ufficio del premier David Cameron. Mitchell è il secondo Ministro britannico ad essere stato colto dai fotografi mentre portava con troppa disinvoltura dei documenti riservati: nello scorso novembre era toccato al sottosegretario alle Finanze, Danny Alexander, il quale aveva così inavvertitamente rivelato il numero di impieghi pubblici che il governo era intenzionato a sopprimere. (TMNEWS 30 AGOSTO).

AFGHANISTAN, AP: KARZAI HA MANDATO ALL'ARIA NEGOZIATO USA – TALEBANI Erano in corso negoziati tra Stati Uniti e talebani afgani, ma, proprio nel momento in cui questi stavano raggiungendo risultati apprezzabili, funzionari di Kabul li hanno mandati all'aria, temendo l'indebolimento del governo del presidente Hamid Karzai. Lo hanno rivelato fonti militari afgane e americane all'Associated Press (Ap). Oggetto delle trattative bilaterali era l'eventuale liberazione di Bowe Bergdahl, ufficiale statunitense catturato dai talebani più di due anni fa nella parte orientale dell'Afghanistan. Incaricato talebano dei negoziati era tale Tayyab Aga, che era intento a scambiare la liberazione di Bergdahl con quella dei prigionieri afgani detenuti a Guantanamo e nella base aerea afgana di Bagram. Ad interrompere il dialogo segreto tra le parti sarebbe stata una fuga di notizie operata deliberatamente da qualcuno legato a Karzai. Secondo le fonti, il presidente di Kabul temeva che il raggiungimento di un accordo diretto Usa-talebani minasse la sua autorità. Il negoziato sembrava essere giunto a un punto importante, prima che la fuga di notizie lo facesse saltare in aria e costringesse il mediatore talebano Aga a riparare in Europa. La trattativa costituiva un'importante possibilità di raggiungere il mullah Omar, condizione essenziale per porre fine alla lotta 10 / 31 talebana contro gli Stati Uniti. Trovare un accordo tra il governo di Karzai e i talebani è la priorità per gli Stati Uniti, che entro il 2014 intendono ritirare le proprie truppe dall'Afghanistan. (PEACEREPORTER 30 AGOSTO)

AFGHANISTAN: SCONTRO CON MARINES USA, MORTI 12 TALEBANI Almeno 12 talebani sono morti in uno scontro a fuoco con i marines americani nella provincia meridionale afghana di Helmand. Lo scrive oggi l'agenzia di stampa Pajhwok. Gli scontri, ha indicato il portavoce del governo provinciale Daud Ahmadi, sono cominciati ieri, quando gli insorti hanno attaccato un convoglio della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) nell'area di Shah Pushti del distretto di Washir. Nella controffensiva, ha precisato, 12 talebani sono stati uccisi ed il loro comandante, Mullah Abdul Salam, è rimasto ferito. Da parte sua un portavoce degli insorti, Qari Yousuf Ahmadi, ha rivendicato l'azione sostenendo che tre militari stranieri sono stati uccisi, senza però fornire informazioni su possibili vittime talebane. (ANSA 29 AGOSTO).

AFGHANISTAN: MULLAH OMAR;NO BASI USA,CONFERENZA BONN INUTILE Il Mullah Omar, guida spirituale dei talebani afghani, ha inviato oggi un messaggio in occasione della festività di fine Ramadan (Eid-ul-Fitre) in cui ribadisce ancora una volta che non ci sarà negoziato fino al ritiro completo ''delle forze di invasione'', che l'Afghanistan respinge l'idea di basi permanenti Usa sul suo territorio, e che la prossima Conferenza di Bonn ''è inutile''. Nel suo lungo messaggio ufficiale, il Mullah Omar si sofferma anche sul futuro del paese, entrando nel merito di un possibile negoziato e assicurando che ''la politica dell'Emirato islamico dell'Afghanistan non punta al monopolio del potere''. Commentando i piani di ripiegamento del contingente militare annunciato dal presidente americano Barack Obama, il Mullah Omar sostiene che ''un limitato ritiro delle forze di invasione non può, in alcun modo, risolvere la questione dell'Afghanistan''. Invece, insiste, queste ''forze di invasione dovrebbero trovare una duratura e convincente soluzione alla questione ritirando immediatamente tutti i loro uomini''. Dopo aver ribadito che l'idea di ''basi permanenti americane'' è considerata dagli afghani come ''una occupazione straniera”, il leader talebano ripete che ''l'Afghanistan dovrebbe avere un autentico regime islamico che sia accettabile a tutti gli abitanti del paese''. ''Tutti i gruppi etnici - aggiunge - avrebbero il loro posto nel governo. I ministeri saranno distribuiti sulla base del merito”, mentre ''si manterranno buone relazioni con le nazioni della regione e del mondo sulla base del rispetto reciproco”. Omar ammette poi per la prima volta che i talebani hanno avuto contatti con paesi occidentali: ''I contatti che sono stati fatti con alcune parti per il rilascio dei prigionieri, non possono essere definiti negoziati onnicomprensivi a causa dell'attuale aggrovigliata situazione nazionale''. Per la guida dei talebani, poi, la prossima 2/a Conferenza di Bonn in programma all'inizio di dicembre ''non sarà differente da quella svoltasi dieci anni fa, perché non vi parteciperanno gli autentici rappresentanti del popolo afghano e non si darà attenzione ad una soluzione reale e complessiva dei problemi afghani''. (ANSA 28 AGOSTO)

AFGHANISTAN/ ZABUL, DUE CIVILI FERITI IN ATTACO TALEBANO A PRT E' di due civili feriti il bilancio delle vittime dell'attacco talebano alla sede della Squadra Provinciale di Ricostruzione (Prt) della Nato nella provincia afgana di Zabul: lo ha reso noto la polizia afgana. Secondo quanto reso noto della polizia l'attacco sarebbe stato portato da un gruppo di quattro uomini: un primo kamikaze si è fatto saltare con un'autobomba ferendo due persone, altri due miliziani sono stati successivamente arrestati mentre il quarto è riuscito a darsi alla fuga e viene ora ricercato. In Afghanistan vi sono 28 Prt, unità miste della Nato (civili e militari) incaricati di assistere le autorità locali nei progetti di sviluppo e ricostruzione; negli ultimi mesi diverse sedi sono state oggetto di attacchi talebani fra cui quella di Herat, dove 4 persone sono morte e altre 33 sono rimaste ferite, fra cui cinque militari italiani. (TMNEWS 28 AGOSTO)

AFGHANISTAN: MINISTRO FINANZE, NON DATA PARTE AIUTI PROMESSI L'Afghanistan ha ricevuto solo 57 dei 69 miliardi di dollari di aiuti che erano stati promessi dalla Comunità internazionale, e del denaro realmente utilizzato per progetti nel Paese, solo il 18% è passato attraverso il governo del presidente, Hamid Karzai. Lo ha sostenuto il ministro delle Finanze afghano, Omar Zakhilwal. L'82% dei 57 miliardi di dollari donati, ha insistito il ministro, ''sono stati spesi direttamente dalle diverse nazioni che li hanno messi a disposizione''. I principali paesi donatori, ha detto Zakhilwal a Tolo Tv, sono stati gli Stati Uniti, il Giappone e l'Unione europea (Ue). Da tempo il governo afghano chiede che almeno il 50% delle risorse finanziarie internazionali passino attraverso il bilancio dello Stato. Fonti ministeriali hanno precisato che la Comunità internazionale ha cominciato a elargire denaro all'Afghanistan a partire dal 2002 e che del totale ricevuto, il 51% è stato speso per rafforzare la sicurezza del paese, il 41% per progetti di consolidamento infrastrutturale e in agricoltura, e l'8% in altre aree. (ANSA 28 AGOSTO) 11 / 31

TALEBANI ALL'ATTACCO TRA AFGHANISTAN E PAKISTAN, STRAGI A due giorni dalla fine del mese sacro del Ramadan, i talebani afghani hanno messo in campo oggi tre kamikaze per realizzare altrettanti sanguinosi attentati nelle province meridionali di Helmand e Kandahar, dove più intenso è lo scontro con le forze di sicurezza afghane e internazionali, con un bilancio di almeno otto morti e 44 feriti, fra cui molti bambini. Quasi contemporaneamente il governo di Islamabad ha denunciato che centinaia di talebani pachistani, espulsi dai loro santuari e trasferitisi in Afghanistan, hanno varcato la frontiera per attaccare sette check-point nel distretto di Chitral causando la morte di 35 uomini della sicurezza. La reazione armata, ha indicato l'ufficio stampa dell'esercito (Ispr), ''è stata veemente e 20 terroristi sono stati uccisi''. L'Ispr ha spiegato che ''si tratta di terroristi che in passato operavano nelle zone di Swat, Dir e Bajur con l'organizzazione di Fazlullah e Maulvi Faquir Muhammad'' e che ''dopo l'espulsione dalle loro aree originarie si sono riorganizzati nelle province afghane di Kunar e Nuristan''. Il primo attentato è avvenuto a fine mattinata nel quartiere di Chowk-e-Mokhaberat a Lashkargah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, quando un kamikaze ha portato la sua auto imbottita di esplosivo fino davanti alla sede locale della Kabul Bank, dove facevano la fila numerosi agenti di polizia e soldati in attesa di ritirare lo stipendio. La deflagrazione, a 50 metri dalla sede del governo della provincia, ha però causato la morte di sei civili che, secondo il portavoce provinciale Daoud Ahmadi, erano per lo più negozianti della zona. Molti invece i membri delle forze di sicurezza fra i 21 feriti. La preoccupazione delle autorità e dei media locali è massima perché Lashkargah è una delle sette città e province la cui sicurezza e' stata trasferita nello scorso luglio dalla Coalizione internazionale alle forze afghane. Poco dopo, quando ancora le squadre di soccorso stavano intervenendo per soccorrere le vittime di questo attacco, altre due autobomba sono esplose in rapida sequenza nel centro di Kandahar City, capoluogo della omonima provincia, contro obiettivi militari, con un bilancio in questo caso di due morti e 22 feriti, fra cui moltissimi bambini. Pronta la rivendicazione dei talebani che hanno spiegato nel loro sito Internet che si e' trattato dell'azione di tre mujaheddin che ''cercavano il martirio'' e che hanno fatto esplodere il veicolo su cui viaggiavano, causando ''decine di morti fra i militari invasori ed i loro fantocci afghani''. Il presidente Hamid Karzai, dall'Arabia saudita dove si trova in visita ufficiale, ha condannato in modo veemente questi ennesimi attentati, e alla condanna si è aggiunta quella del generale John Allen, comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). Questo, ha sottolineato l'alto ufficiale, ''è un altro esempio di come gli insorti non hanno rispetto per la gente afghana. L'attacco di civili innocenti, compreso un così grande numero di bambini, è un atto codardo ed ingiustificabile''. Questi ultimi attentati giungono nel momento in cui il governo afghano è impegnato a trovare il modo di aprire un dialogo con i seguaci del Mullah Omar, attraverso l'Alto Consiglio per la pace da lui creato e con l'aiuto di vari paesi della regione. I progressi in questo campo, però al momento sono stati pochi. (ANSA 27 AGOSTO).

AFGHANISTAN: KARZAI IN ARABIA SAUDITA PER PROSPETTIVE PACE Il presidente afghano, Hamid Karzai, ha lasciato Kabul per una visita ufficiale di due giorni in Arabia Saudita, dove sarà ricevuto da re Abdullah con cui, fra l'altro, esaminerà gli ultimi sviluppi della crisi afghana. Lo riferisce l'agenzia Afghan Islamic Press. Il capo dello Stato afghano, che ha iniziato il suo viaggio la notte scorsa, è accompagnato dai suoi principali collaboratori e cercherà di ottenere una conferma della disponibilità, già manifestata in passato dai sauditi, a collaborare a una soluzione del conflitto con i talebani. Il ritiro delle truppe straniere dall'Afghanistan è cominciato nel luglio scorso e dovrebbe prendere fine nel 2014, quando le forze di sicurezza afghane avranno la piena responsabilità del presidio del territorio nazionale. In questo ambito e' cruciale che il dialogo con gli insorti che accettino di deporre le armi prosegua e per questo Karzai ha creato lo scorso anno un Alto Consiglio per la Pace incaricato di intavolare il negoziato, per ora senza particolare successo. (ANSA 27 AGOSTO).

UCCISO IN PAKISTAN IL NUMERO DUE DI AL QAEDA Grave colpo all’organizzazione terroristica internazionale Al Qaida che, dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, ha perso anche l’attuale numero due del movimento, il libico Attiyah Abd Al-Rahman. La sua morte, avvenuta il 22 agosto in Waziristan, è stata annunciata oggi negli Stati Uniti. Le fonti americane non hanno fornito particolari sulle circostanze dell’attacco, precisando solamente che il decesso è avvenuto durante un attacco di un drone contro un veicolo con quattro persone a bordo nell’area di Norwak, nel distretto di Mir Ali. La scomparsa di Al-Rahman, a lungo rappresentante di Al Qaida in Iran e che era membro del Gruppo combattente islamico libico e di Ansar al-Sunna, in rappresenta un'«enorme perdita» per l’organizzazione, in quanto il suo attuale leader, Ayman al-Zawahri, «contava molto» su di lui, ha sottolineato un alto responsabile del Pentagono. Sulla testa del terrorista, considerato da tempo il responsabile operativo del movimento dello “sceicco del terrore”, pendeva una taglia di un milione di dollari. Il collegamento fra 12 / 31 quest’ultimo e Bin Laden, e le responsabilità a lui delegate, sarebbero emersi anche dai documenti trovati nel computer portatile sequestrato durante l’attacco del commando dei Navy Seals alla residenza di Abbottabad. (LA STAMPA.IT 27 AGOSTO)

AFGHANISTAN: PRIMICERJ, PIU' FORMAZIONE ISTRUTTORI CAA AOSTA “Penso che la funzione di formazione di istruttori per l'esercito afghano sviluppata dal Centro di addestramento alpino di Aosta possa essere ulteriormente incrementata in futuro''. Lo ha dichiarato all'ANSA il comandante delle truppe alpine Alberto Primicerj, oggi ad Aosta per la cerimonia di avvicendamento al vertice dell'unità valdostana tra il generale di brigata Claudio Rondano e il suo successore, il generale di brigata Antonio Maggi. ''L'esercito afghano sta compiendo grandi progressi anche sotto la nostra guida. In tal senso dobbiamo fornirgli continuamente capacità in settori sofisticati e tecnologici. Anche alla luce della futura evoluzione della presenza italiana in Afghanistan, l'opera di formazione di istruttori nei diversi settori delle forze armate è quindi sempre più centrale'' ha aggiunto Primicerj. Il comandante delle truppe alpine ha ricordato anche il lavoro del Centro sportivo esercito di Courmayeur: ''Prepara ragazzi e ragazze che tutto il Paese ci invidia. Basti ricordare la medaglia d'oro alle ultime olimpiadi invernali''. ''Torno in Valle d'Aosta dopo 26 anni - ha dichiarato il generale di brigata Antonio Maggi - e ho da subito notato gli ottimi rapporti con le istituzioni locali. E' mia intenzione onorare il Centro con tutto il mio impegno, proseguendo l'opera del mio predecessore''. Nell'ultimo discorso ai militari che ha guidato per oltre due anni, il generale di brigata Claudio Rondano ha ricordato gli alti ideali degli alpini, ''l'importanza del rispetto reciproco e della collaborazione che devono superare le meschinità e le invidie'' e ha raccomandato ai comandanti: ''Raccontate ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze la storia della madre patria e la nostra fulgida tradizione, in modo che possano continuare a esserne i depositari''. (ANSA 26 AGOSTO).

AFGHANISTAN: ATTENTATO IN MOSCHEA DEL NORD-OVEST, 4 MORTI Una carica esplosiva è stata attivata oggi nel cortile di una moschea della provincia afghana nord-occidentale di Faryab, causando la morte di quattro persone ed il ferimento di altre 14. Lo scrive l'agenzia di stampa Pajhwok. L'esplosione, ha detto Mohammad Akmadzai, portavoce della polizia nell'Afghanistan settentrionale, è avvenuta nel distretto di Almar ed è stata provocata da un ordigno collocato su una motocicletta parcheggiata nel cortile della mosche ed detonato a distanza. Da parte sua il capo del distretto, Muhammad Umar, ha precisato che lo scoppio è avvenuto dopo la Jumma (le preghiere del venerdì) quando i fedeli defluivano dal luogo di culto in cui si trovavano però ancora molte personalità locali, fra cui il comandante della polizia distrettuale e funzionari governativi. Unendosi alla condanna dell'attentato espressa dal presidente Hamid Karzai, il gen. John Allen, comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), ha rilevato come ''ancora una volta gli insorti abbiano ucciso dei civili innocenti''. ''E' chiaro da questo e da molti altri atti disumani - ha concluso - come la vita e la sussistenza stessa dei cittadini afghani non abbia alcun significato per questi nemici dell'Afghanistan''. (ANSA 26 AGOSTO).

COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) ______

LA MIA SPERANZA SONO I BAMBINI Riesco a scrivere questa lettera nonostante i numerosissimi impegni che ogni giorno affronto insieme con i miei colleghi. Vorrei raccontare, in particolare, una cerimonia di posa della prima pietra di una scuola in un distretto remoto della mia area. Ciò che maggiormente mi ha colpito è stata la sentita partecipazione degli abitanti di questo villaggio situato in una zona arida e povera. Tutto il villaggio partecipa alla posa di una prima pietra, accompagnata da una preghiera che possa proteggere in futuro il progetto. È come una festa. I bambini sono quelli che mi hanno compito di più. Si trovano a studiare in aule di fango, magari cadenti e senza materiali; i meno fortunati, poi, usano un tappeto in cortile come aula. Il futuro di questo paese è legato a doppio filo alle nuove generazioni, sono i bimbi che guideranno il paese, noi abbiamo la responsabilità di aiutarli in questo cammino non senza ostacoli. (PANORAMA – RUBRICA INDISCRETO – 1 SETTEMBRE A CURA DI FABRIZIO PALADINI)

ITALIA E USA INSIEME A KABUL PER LE VITTIME TERRORISMO Portare un messaggio di solidarietà al popolo afghano e rendere omaggio a tutte le vittime del terrorismo: con questa missione, una delegazione italo-americana partirà questa sera alla volta di Kabul, per una cinque-giorni di incontri con i rappresentanti della società civile afghana e delle principali organizzazioni internazionali presenti nel Paese asiatico. L'iniziativa, promossa dalla Tavola della pace e dall'associazione americana dei familiari delle vittime dell'11 13 / 31 settembre "Peaceful Tomorrows", prevede un fitto calendario di incontri con personalità' della società civile afghana, nei quali saranno discusse idee e proposte per il futuro del Paese. Il tour, spiegano fonti della missione, vuole essere un forte gesto di solidarietà verso il popolo afghano che, come i caduti negli attentati alle Torri Gemelle, è vittima innocente del terrorismo internazionale. La visita in Afghanistan, spiegano gli organizzatori, rappresenta la terza tappa di un percorso ideale, avviato lo scorso marzo a Kabul con un summit del network "Afgana" e proseguito a Roma a maggio con una Conferenza della società civile afghana, finanziata dalla Cooperazione italiana. Alla missione partecipano, tra gli altri, il rappresentante di Peaceful Tomorrows, Paul Arpaia, il coordinatore nazionale della Tavola della pace, Flavio Lotti, e il coordinatore di Afgana, Emanuele Giordana. (AGI-PEI NEWS 31 AGOSTO)

AFGHANISTAN, UN LIBRO RACCONTA 10 ANNI DI COOPERAZIONE A dieci anni dall'avvio della missione della Cooperazione italiana in Afghanistan per riformare il sistema giudiziario, un libro ricostruisce la storia del contributo italiano, ripercorrendo le tappe di un impegno che ha faticosamente avviato l'amministrazione della giustizia afghana sulla strada della modernità. "L'Italia e la rinascita dello stato di diritto in Afghanistan" è frutto di un accurato lavoro di raccolta e analisi dei dati svolto dal Dipartimento giustizia dell'ufficio della Cooperazione italiana a Kabul, che ha sfidato le insidie della burocrazia afghana scavando negli archivi, svolgendo sopralluoghi e raccogliendo le testimonianze di rappresentanti delle autorità locali, delle organizzazioni partner e della società civile. Le pagine del libro testimoniano gli importanti passi compiuti verso la riforma del sistema giudiziario afghano - nella quale l'Italia ha investito oltre 80 milioni di euro - ma anche gli ostacoli e le difficoltà affrontate dalla Cooperazione nel suo lavoro quotidiano. Il cuore del testo sono le iniziative realizzate nei tre principali settori di intervento, l'assistenza alla riforma di norme e procedure giuridiche, la formazione degli operatori di settore e la ricostruzione delle infrastrutture penitenziarie. In questi campi, grazie alla collaborazione con istituzioni e organizzazioni internazionali, è stato possibile ottenere numerosi successi, tra cui, solo negli ultimi mesi, la realizzazione di una biblioteca legale all'università di Herat, la formazione di 76 studenti in procedura penale e diritto penale afghano e un progetto di assistenza e riabilitazione dei minori in conflitto con la legge. Accanto ai successi, il libro introduce anche le sfide ancora da affrontare in un Paese che, nonostante i progressi compiuti, fatica a trovare stabilità e pace. (AGI-PEI NEWS 31 AGOSTO)

RIPARTE IL TRENO MERCI IN AFGHANISTAN Dopo anni d'interruzione causata dalla guerra, riparte il trasporto ferroviario delle merci. Per ora solo lungo i 75 chilometri che partono dallo scalo di Hairatan, al confine con Uzbekistan e finiscono in un terminal vicino all'aeroporto di Mazar-e-Sharif. Il servizio viene svolto dalla compagnia ferroviaria uzbeka UTY, che ha investito 165 milioni di dollari, stanziati dall'Asian Development Bank, per rimettere in sesto la linea ferroviaria, costruita dall'Unione Sovietica all'inizio degli anni Ottanta. Nella fase iniziale, i convogli trasportano metà delle importazioni afgane (pari a circa 4000 tonnellate al mese) provenienti dall'Uzbekistan e che finora viaggiavano solamente su strada. Questo è il solo il primo passo del programma di sviluppo di questa linea ferroviaria, che dovrebbe raggiungere Herat (Afghanistan) ed il Tajikistan. Inoltre, dovrebbe presto nascere una compagnia ferroviaria afghana per svolgere i trasporti interni. Una seconda linea internazionale, tra Afghanistan ed Iran, è in costruzione. (TRASPORTOEUROPA.IT)

A VALTOPINA TAPPETI AFGHANISTAN PER 'CALPESTARE LA GUERRA' La tredicesima edizione della Mostra del ricamo e del tessuto in programma dal 2 al 4 settembre a Valtopina sarà anche l'occasione per lanciare un messaggio di pace tra i popoli. Saranno esposti infatti prodotti dell'artigianato tessile israeliano e palestinese ed alcuni ''tappeti di guerra'' dell' Afghanistan. Si tratta di tappeti particolari utilizzati dai mujhaeddin come strumenti di propaganda che inneggiano alla ''guerra santa'', prima contro l'occupazione sovietica ed oggi contro gli Stati Uniti e i loro alleati. La presenza alla mostra, presentata oggi a Perugia, vuole essere anche un invito ai visitatori che vi cammineranno a ''calpestare la guerra''. (ANSA 30 AGOSTO).

AIUTI BRESCIANI IN AFGHANISTAN LI HANNO RACCOLTI GLI ALPINI SOLIDARIETÀ Dopo i Balcani, l'«Operazione Tridentina Avanti» dell'Ana di Brescia da qualche anno è proiettata verso lo stato afghano. Sotto la direzione del 186° reggimento paracadutisti «Folgore», i 157 gruppi della penne nere bresciane hanno fatto avere ai civili del villaggio di Barghanà nel distretto di Bakwa una grande quantità di generi alimentari. E sono gli stessi parà della «Folgore» ad annunciare l'avvenuta consegna degli aiuti umanitari alla popolazione bisognosa, con tanto di foto-ricordo. L'associazione nazionale alpini sezione di Brescia «ha voluto con questo gesto dare un aiuto concreto al popolo afghano ed essere simbolicamente a fianco dei paracadutisti della Caserma Bandini nel rilancio dello sviluppo dell'Afghanistan». UN TRAGUARDO 14 / 31 tagliato soprattutto grazie alla solidarietà dei bresciani che hanno accolto in massa la chiamata dei gruppi locali. «Possiamo addirittura dire che i cittadini ci hanno risposto in maniera commovente confermando la fiducia che hanno nel corpo degli alpini» commenta Davide Forlani, presidente della sezione Ana di Brescia. Una campagna di raccolta aiuti che i 13.800 soci di Brescia portano avanti periodicamente. «A seconda delle richieste del 186° reggimento paracadutisti della Folgore o dal 5° Alpini - spiega Forlani - cerchiamo di dare una mano in modo concreto». Il 186° reggimento della Folgore è alla guida della Task Force South East di cooperazione civile e militare nel distretto di Bakwa in Afghanistan: su quest'area il progetto è iniziato a febbraio e le attività di cooperazione vengono condotte in collaborazione con militari italiani, autortà afghane e comunità locali, fondamentali per portare avanti il percorso di stabilizzazione. «Il minuzioso lavoro svolto sul territorio negli ultimi mesi ha dato i suoi frutti - riferisce il 186° reggimento - e, con effetto domino, altri villaggi si sono aperti con fiducia alla coalizione e alle forze di sicurezza afghane. Di conseguenza sono pervenute numerose richieste di supporto». NEL VILLAGGIO di Barghanà i paracadutisti hanno consegnato aiuti alimentari a 70 famiglie e 40 farm kit che contengono attrezzi per la coltivazione della terra. «Le persone che hanno ricevuto questi aiuti - continuano i paracadutisti in missione in Afghanistan - sono tra le più povere del villaggio e sono state selezionate in modo equo dalle autorità locali». Contenuto in questo gesto di speranza c'è anche la generosità degli alpini bresciani. «Da quando abbiamo istituito nel 2002 l'«Operazione Tridentina Avanti» per il sostegno alle popolazioni bisognose -riferisce Forlani - abbiamo sempre cercato di soddisfare le richieste degli alpini e dei paracadutisti che sul campo facevano appello alla nostra solidarietà». (BRESCIA OGGI 27 AGOSTO DI SILVIA GHILARDI)

COMMENTI (DI Più)______

PERCHE' VADO A KABUL 10 ANNI DOPO Dietro ad ogni guerra c’è il dolore incommensurabile di tanta gente comune senza volto né storia. Cosa sappiamo noi degli afgani che ancora oggi sono intrappolati nella guerra? Cosa sappiamo noi del loro dolore e delle loro sofferenze quotidiane? A dieci anni dall’11 settembre ho deciso di andare a Kabul per incontrare le vittime di questa tragedia infinita. Ci vado con uno dei familiari delle vittime americane dell’attentato alle Torri Gemelle e un gruppo di amici della Tavola della pace. Insieme vogliamo compiere un gesto di solidarietà e di vicinanza nei confronti di un popolo martoriato dalla guerra e dall’assurda pretesa di fermarla con un’altra guerra. Dieci anni fa gli avevamo promesso libertà e democrazia e abbiamo finito con l’aggiungere altra violenza, altro dolore, altri lutti. Il metro per misurare l’immenso disastro provocato dall’11 settembre e da questi dieci anni di “guerra al terrorismo” probabilmente non è ancora stato inventato ma agli afgani non serve. Abbiamo pianto i morti di New York, piangiamo ogni volta che uno dei nostri soldati torna a casa avvolto nel tricolore: non possiamo ignorare il dolore straziante degli afgani e degli iracheni che per lungo tempo continueranno a soffrire le conseguenze delle nostre decisioni più scellerate. Parliamo di oltre 225.000 persone uccise e di centinaia di migliaia di corpi feriti e mutilati. Con questo spirito vado a Kabul. Per fare i conti con le nostre responsabilità, perché sento il dovere di reagire al menefreghismo e al cinismo con cui trattiamo questa vicenda, per cercare di rompere, anche solo con un gesto, questa micidiale spirale di violenza, guerra e terrorismo, per cercare di ricucire una ferita ancora drammaticamente aperta, per capire come possiamo fare. Dopo dieci anni di “guerra al terrorismo” abbiamo il dovere di guardare in faccia la realtà e trovare il modo per fermare questa strage di vite umane, di legalità, di diritto e di diritti. La guerra ha clamorosamente fallito i suoi obiettivi, bisogna dunque smettere di farla e impegnarci a costruire, passo dopo passo, le condizioni per un futuro diverso. Non si tratta solo di riportare a casa i nostri soldati senza spargere altro sangue, ma di imboccare decisamente una strada nuova. Per questa ragione, a Kabul incontreremo e ascolteremo alcuni dei protagonisti nascosti e ignorati del futuro dell’Afghanistan, quelle organizzazioni della società civile che alla democrazia e ai diritti umani ci credono davvero e che ci dobbiamo impegnare a sostenere. A loro consegneremo anche un nuovo invito a partecipare alla Marcia Perugia-Assisi del prossimo 25 settembre. Camminare insieme ci aiuterà a vincere la paura e a rigenerare la speranza che cambia le cose. ( TERRA 1 SETTEMBRE DI FLAVIO LOTTI )

IL "CHANGE" DEI TALEBANI Presi come siamo dalla primavera araba, dalla Guerra in Libia, dalla fuga di Gheddafi e dalla repressione di Assad in Siria, rischiamo di tralasciare quel che sta accadendo in Afghanistan. La guerra iniziata un decennio fa dal Presidente Bush, come risposta agli attacchi dell’11 Settembre, che portò alla caduta dell’emirato talebano e ad un lungo conflitto ancora irrisolto che vede coinvolti in prima persona gli Usa ma anche i contingenti degli altri Paesi NATO tra cui quello italiano. In agosto Obama è intervenuto sul conflitto dopo il sanguinoso blitz talebano che è costato la vita a una trentina di soldati americani, centrati mentre si 15 / 31 spostavano in elicottero. “Continueremo a fare pressioni sull’Afghanistan,” ha detto il Presidente degli Usa, onorando i caduti, “l’America e i suoi alleati non si fermeranno nel duro lavoro di transizione che porterà questo Paese ad avere un governo più forte e stabile”. Attraverso il surge, attraverso i droni, e dilatando i tempi della missione (fino al 2024, come rivela esagerando un po' il Daily Telegraph). Insomma, l’Afghanistan era la “guerra giusta”, quella sposata dal Presidente, e Karzai l’alleato chiacchierato, poco amato, ma necessario a traghettare il Paese dall’anarchia verso una qualche forma di stabilità. Se tutto questo è vero, allora ci chiediamo cosa stanno negoziando i rappresentanti del mullah Omar e del clan Haqqani con le autorità americane? Un manifesto, promette il vecchio leader orbo dei Talebani, che protegga la proprietà privata, favorisca la produzione dei minerali del Paese e consenta all’Afghanistan di mantenere buone relazioni con i suoi vicini. A modo loro un "Change, We Can Believe In". (L’OCCIDENTALE 31 AGOSTO)

IL RITIRO DEGLI USA DALL’AFGHANISTAN? NEL 2024 Le truppe statunitensi potrebbero restare in Afghanistan fino al 2024 secondo gli accordi in discussione tra Washington e Kabul e rivelati dal quotidiano britannico Daily Telegraph. Afghani e americani sarebbero infatti vicini alla firma di un accordo strategico in virtù del quale migliaia di militari statunitensi resterebbero nel Paese per altri dieci anni dopo il 2014, data entro la quale dovrebbe completarsi il ritiro delle forze da combattimento alleate che ha preso il via poche settimane or sono. L’accordo prevede che restino nel Paese non solo istruttori militari per l’esercito e la polizia afghani ma anche unità delle forze speciali e forze aeree per i raids contro al-Qaeda e gli insorti. Rangin Dadfar Spanta , Consigliere per la sicurezza nazionale e uno dei più stretti collaboratori del presidente afghano Hamid Karzai, ha detto al Telegraph che sono stati compiuti ”notevoli progressi”, e funzionari americani prevedono la conclusione dell’accordo entro dicembre. Secondo Spanta la prolungata presenza di forze statunitensi è necessaria non solo per addestrare e organizzare le forze armate afghane ma anche per combattere il terrorismo: “Dovremo affrontare il terrorismo internazionale, il 2014 non è la fine delle reti terroristiche internazionali e abbiamo un impegno comune per combatterle”. Spanta ha ammesso che le forze afghane avranno bisogno anche del sostegno di aerei ed elicotteri Usa, ma ha precisato che gli americani non avranno basi in uso esclusivo ma saranno ospiti di quelle afghane. L’accordo ha già incontrato la ferma opposizione dei Paesi vicini dell’Afghanistan, in particolare Iran e Pakistan ed è stato attaccato dal leader talebano. Il 28 agosto il mullah Omar ha inviato un messaggio in occasione della fine Ramadan in cui ribadisce ancora una volta che non ci sarà negoziato fino al ritiro completo “delle forze d’invasione”, che l’Afghanistan respinge l’idea di basi permanenti Usa sul suo territorio considerata dagli afghani come “una occupazione straniera” e che la prossima Conferenza di Bonn”è inutile perché non vi parteciperanno gli autentici rappresentanti del popolo afghano”. Omar ha poi ammesso contatti con i Paesi occidentali: ma solo “‘per il rilascio di prigionieri” che “on possono essere definiti negoziati onnicomprensivi a causa dell’attuale aggrovigliata situazione nazionale”. La notizia che truppe di Washington resteranno nel Paese Ancora a lungo rischia quindi di far tramontare le già scarse speranza di giungere a un accordo di pace in tempi rapidi. Intese bilaterali come quella in discussione tra afghani e americani potrebbero coinvolgere anche Paesi europei interessati a mantenere una limitata presenza militare a Kabul con consiglieri militari. Anche l’Italia prevede di ritirare le truppe da combattimento entro il 2014 ma la Difesa ha più volte riferito di voler continuare anche successivamente la cooperazione militare con Kabul con istruttori e consulenti. ( PANORAMA BLOG 30 AGOSTO DI GIANANDREA GAIANI )

LA STORIA DI LUCA È DIVENTATA UN LIBRO «NON MI ARRENDERÒ» La decisione a 18 anni di entrare nell'esercito, la partenza per l’Afghanistan due anni dopo, il giorno dell’attentato, fino alla speranza ritrovata mese dopo mese al fianco di Sarah, la sua ragazza. A Luca Barisonzi, l’alpino di 21 anni rimasto gravemente ferito il 18 gennaio scorso in missione di pace, è dedicato il libro dato alle stampe per Mursia editore da Paola Chiesa, insegnante 31enne di Lettere nelle scuole superiori di Pavia, già autrice di 13 pubblicazioni sulla Seconda guerra mondiale raccontata dalle lettere mai recapitate di prigionieri e militari al fronte. “L’Italia chiamò” è un libro diario sull’esperienza di Luca raccontata da Luca, i suoi sogni prima di indossare la divisa e quelli dopo il giorno che gli ha cambiato per sempre la vita. Per scoprire, pagina dopo pagina, che sono rimasti gli stessi. A inizio ottobre Luca lascerà il reparto di Unità spinale al Niguarda dove è ricoverato da febbraio, per affrontare altri mesi di riabilitazione in una clinica specializzata in Svizzera. Una nuova battaglia per lui, che ha perso l’uso delle gambe e sta tentando faticosamente di tornare a usare le braccia. A libro in uscita, Luca ha accettato di raccontarsi alla Provincia Pavese. Ha spiegato perchè ha voluto che una vicenda tanto dolorosa diventasse pubblica. Luca, chi la conosce bene sa che non parla volentieri di sè. Sua madre stessa, in tutti questi mesi, l’ha descritta come una persona molto introversa. Perchè un libro sulla sua storia personale? 16 / 31

«Quando penso al libro, adesso, a lavoro concluso, penso alle persone che mi vogliono bene e ai ragazzi nella mia stessa situazione. Ecco. Ora chi mi ha a cuore saprà di me qualcosa in più. Ai ragazzi con i miei stessi problemi invece non posso dare altro conforto se non raccontando la mia esperienza: ho imparato che la vita è bella comunque. Devono continuare a lottare». Come lo immagina il suo futuro? «Sono troppo concentrato sull’oggi per pensarci. So però che qualsiasi cosa accadrà ci sarà la mia famiglia a darmi coraggio, ci sarà Sarah. Il mio futuro sarà con chi non mi ha mai lasciato solo, questa è l’unica certezza. La strada comunque è ancora lunga. A casa non tornerò prima di aver concluso la riabilitazione che nemmeno so quanto potrà durare. C’è ancora molto da fare. Devo capire su quali parti del mio corpo lavorare e come». E Sarah? «Lei tornerà in Italia per Natale. E’ rientrata in America da pochi giorni, era qui con me. Sarah è una delle persone che più mi ha insegnato a credere nel futuro. Mi ha raggiunto nonostante tutto ed è sempre rimasta al mio fianco». Cosa è cambiato da quel giorno di gennaio? «Nella vita le cose possono cambiare velocemente. Contano le persone vere che ti amano per come sei. Finchè va tutto bene non ci si pensa». ( LA PROVINCIA PAVESE 30 AGOSTO DI SIMONA BOMBONATO )

DIECI ANNI DOPO. L'IMMENSO FALLIMENTO DELLA STRATEGIA DI AL-QAEDA Si potrebbe ben sostenere - cinicamente e provocatoriamente - che «il gesto» dell'11 settembre sia una delle più grandi manifestazioni di estetismo (se non la più grande) di tutta la storia. Con la freddezza del caso, rispondiamo a questa domanda: qual è il bilancio di quell'operazione per bin Laden e/o al-Qaeda? In termini materiali: 3000 vittime nel campo «nemico» contro circa 150.000 nel proprio campo; la distruzione di due grattacieli, su un'area di più di 60.000 mq, il crollo di un settore del Pentagono a Washington, la perdita di 4 aerei di linea, contro la completa devastazione dell'Afghanistan, sottoposto per 10 anni a bombardamenti tanto pesanti quanto inutili e un analogo livello di distruzione in Iraq (a cui andrà sommata la perdita nell'estrazione e commercializzazione del petrolio), senza trascurare il miliardo di dollari che il sindaco di Baghdad ha chiesto agli Stati Uniti, insieme alle sue scuse, per i danni causati in occasione del rovesciamento di Saddam Hussein! Lasciamo da parte dolore, sofferenze, paure e pericoli, e passiamo alla colonna delle conseguenze politiche. Quanto è avanzata la causa islamistica? Nel mondo di religione islamica: né punto né poco. La umma non ha tratto alcun vantaggio dalla criminalizzazione delle sue punte estremistiche, in nessuno dei paesi di prevalenza islamica (anzi, semmai si sono esasperate le contraddizioni tra sciiti e sunniti) è migliorata la condizione, l'immagine o la popolarità della religione; le società politiche e/o i regimi teocratici si sono arroccati o sono stati spinti dalle vicende in posizioni oltranziste o comunque di difesa partigiana: nessuna conquista morale o materiale, ovviamente, e neppure nessun aumento di potere politico internazionale. Nel mondo occidentale, l'Islam deve subire, da allora, la diffidenza aprioristica e il sospetto permanente dei «benpensanti» occidentali che vedono in ogni islamico un potenziale terrorista; in termini politici, la rispettabilità dei paesi islamici è decresciuta quando non crollata. Si potrebbe essere più precisi, ma questo è sostanzialmente il quadro del «passivo» dell'evento per il mondo islamico non direttamente coinvolto, per la sua opinione pubblica. Ma non ci taceremo, ovviamente, che l'impresa, in quanto tale, ha avuto un successo immenso, producendo il più grande clamore mai avuto nella storia (e grazie ai mezzi di comunicazione di oggi) da una singola azione (pochi mezzi, pochi minuti, eccetera): ma se il bilancio è, più o meno, quello appena delineato, ebbene. non resta che una voce da aggiungervi e riguarda il fallimento politico dell'iniziativa, riferibile alla totale assenza di vantaggi per i suoi ideatori, e alla mancanza di effetti in termini di popolarità internazionale. Insomma: l' l l settembre è stato una sorta di «beau» gente (sul lato di chi l'ha fatto); un immensa sconfitta nel giudizio di chi l'ha subito. Né bin Laden né nessun altro ci ha guadagnato nulla; l'unica vera differenza (materiale) tra il prima e il dopo è rappresentato dalla violenza politica ulteriore ma moltiplicata per 10, 20, 100 volte portata in Afghanistan e Iraq. Fin dall'Antico Testamento sappiamo che la strategia autodistruttiva e vendicativa di Sansone (Giudici, 13-16) è sterile e suicida (anche di fatto), proprio come quella messa in atto dagli autori dell'attacco alle Torri, al Pentagono e all'immagine statunitense. Ma che l'evento più mediatico della storia sia stato un vero e proprio «errore»? Dal punto di vista strategico, nessuno specialista lo potrebbe escludere; dal punto di vista morale si è trattato di un atto di violenza cieco e insensato; non aveva lo scopo di colpire in particolare nessuno né poteva pensare di veder svanire la potenza del più grande armato e sviluppato stato del mondo e della storia. Verrebbe persino da immaginare che ciò che è successo sia andato ben al di là delle aspettative più ottimistiche dei suoi creatori. Neppure gli architetti credevano che le Torri sarebbero collassate... (...) Dopo l'11 settembre abbiamo ascoltato poche dichiarazioni di bin Laden, l'autenticità delle quali è irrilevante ma che ne hanno fatto un'icona del «nostro» mondo e non di quello islamico (posto che un'entità del genere esista in se stessa 17 / 31 e non soltanto nel nostro immaginario politologico); nessun atto politicamente rilevante è stato indirizzato dal mondo di al-Qaeda che possa essere ricondotto a una strategia ragionevole, di ampio respiro e finalizzata a un qualche cosa. Non è tale lo stillicidio dei rapimenti effettuati dalla filiale del Maghreb islamico «in franchising» di al-Qaeda che accompagna la nostra vicenda storica senza che ne possiamo individuare la logica, salvo l'autoperpetuazione routinistica di un movimento che agisce per non scomparire ma non per implementare un progetto. Potremmo paradossalmente aggiungere che forse bin Laden trascorre dei periodi di vacanza in qualche dimenticata isola del Pacifico, o che di tanto in tanto si reca in qualche resort costosissimo nel quale si fa rimettere in sesto. Forse è stato in clinica, forse è... un'icona ben più che un leader, un profeta, un capo militare. Questa è un'ulteriore - se non forse la più impressionante e «suggestiva» - ragione per discutere dell'undicisettembre non soltanto in termini politico-ideologici o politologici, strategici o militari, sociologici o morali perché l'undicisettembre ci osserva nella sua «mostruosa» complessità, attendendo ancora di essere smascherata, rivelata, compresa e spiegata. Ciò implica che tutti ne siamo coinvolti, non nell'ovvia ma banale dimensione che è quella delle ulteriori potenziali vittime del terrorismo internazionale, ma in quella (tuttora in-compresa) dell'autorappre-sentazione di un mondo che si interroga su ciò ha visto succedere e di cui non ha ancora sufficientemente elaborato il significato. Tutto ciò ci porterebbe a sviluppare una nuova ipotesi: che quello dell'il settembre non sia stato un momento decisivo dello scontro epocale di civiltà, ma al contrario una sorta di inane e impotente confessione di sconfitta, non militare, ma politica. Danni, disastri, distruzioni se ne possono realizzare altri e anche peggiori, ma la forza devastante di un movimento ideale vero, solidamente costruito nei principi e nelle logiche politiche non esiste e bin Laden non è in grado di costruirlo. Si aggiunga subito che con ciò né si assolve il mondo occidentale né lo si rassicura; si constata semplicemente che uno dei suoi possibili o ipotetici avversari è privo della capacità politica di cambiare il mondo. Può colpirlo ma non cambiarlo. Bin Laden abita qui... Ne concluderemo che l'attacco alle Twin Towers risulta, nonostante le apparenze, appartenere non alla storia della politica internazionale, non alla vicenda dello scontro tra Occidente e Islam, ma essere il gesto finale di chi non ha nulla da sostenere né spiegare o discutere. L'evento più visto della storia non passerà alla storia per il suo messaggio politico rivolto alla società mondiale, da spaventare in parte e terrorizzare, e in parte da galvanizzare e rivitalizzare: sarà invece la manifestazione pura e semplice dell'individualismo dominante nel mondo d'oggi: tutti siamo stati «vittima» dell'undicisettembre e abbiamo condiviso la tragedia americana, ma ne abbiamo discusso pochissimo (e abbiamo lasciato spazio libero agli isterismi di Oriana Fallaci). Migliaia di scritti sono stati dedicati alla giornata dell'11 settembre; pochi, se non pochissimi, all'undici settembre, alla discussione cioè del significato dell'azione. La condanna serve a poco, la spiegazione è molto più utile: sappiamo tutto della strategia di contrasto adottata dall'Occidente vuoi per evitare che si ripetano tragedie come quella, vuoi per sradicare il fenomeno del terrorismo internazionale; ma di quale fosse la razionalità strategica del gesto abbiamo immagini ben più che spiegazioni. (UNITA’ 30 AGOSTO DI LUIGI BONANATE )

TROPPE DIVISE, CI METTONO IN PERICOLO: «ALLONTANATE IL PRT» Pochi giorni fa, i servizi segreti afghani (National Directorare of Security) hanno fatto sapere di aver arrestato tre militanti dei movimenti antigovernativi guidati da un certo Abdullah, detto «Lala»: l'accusa è di aver pianificato l’attacco al Prt (Provincial reconstruction team) italiano di Herat del 30 maggio scorso in cui 7 civili sono morti e sono rimaste ferite almeno 20 persone, tra cui una decina di soldati italiani. Episodio tra i tanti, in Italia l’attacco al Prt si è guadagnato le aperture dei giornali: il presidente del Consiglio e del ministro della Difesa hanno confermato “stima e sostegno” alle truppe italiane in Afghanistan. Ma non ha sollevato nuovi interrogativi come in passato, sull’efficacia e sulla stessa legittimità dei Prt strutture caratterizzate dalla fusione di attività civile e militari. A Herat, invece quell’attacco ha suscitato estrema preoccupazione nella popolazione locale, soprattutto quella che vive nei pressi del Prt, in pieno centro cittadino. Esasperati dalla presenza di una struttura militare in un’area residenziale, molti abitanti di Herat ne hanno chiesto il trasferimento altrove, mi racconta Rahman Salahi, capo della Shura (consiglio) dei professionisti di Herat, struttura di coordinamento molto importante nel panorama sociale della città e dell’intera provincia: “Subito dopo l’attacco molte persone hanno chiamato il nostro ufficio chiedendoci di fare qualcosa. Anche grazie a Shafiq Arir (parlamentare di Herat, ndr) il 5 giugno abbiamo avuto un incontro con il rappresentante della Nato per la provincia: ci ha detto che ne avrebbe parlato a chi di dovere e lo stesso ci ha promesso il governo di Herat”. I cittadini chiedono che il Prt venga trasferito “lontano della città e dai civili” spiega Abdul Qader Rahimi, a capo della Afghanistan Independent Human Rigt Commission (Aihrc): “Semplice: per i talebani il Prt è un obiettivo, e stando vicino a un obiettivo simile i cittadini lo diventano a loro volta. Per quanto i membri del Prt dicano di non condurre operazioni militari di essere qui solo per la ricostruzione, resta il fatto che indossano uniformi militari. Non vedono che quella che è una protezione per loro stessi, diventa un pericolo per gli afghani?”. Che la presenza del Prt italiano all’interno della città sia diventata un 18 / 31 pericolo, lo conferma Adela Kabiri, docente di giornalismo dell’Università di Herat: “Io abito da quelle parti – mi racconta davanti ai suoi colleghi, che concordano – so bene cosa ne pensa la gente: non gli piace affatto che il Prt sia lì, si sentono minacciati, per questo hanno chiesto agli italiani, anche tramite il governatore di Herat, di cambiare sede. Finora, nessuna risposta. Gli stranieri sostengono di voler promuovere la democrazia in Afghanistan e poi non prestano attenzione a una richiesta democratica… La gente di Herat comincia a sospettare che, se rimangono gli italiani, è perché hanno paura: invece di proteggere i civili afghani, come da mandato, si fanno proteggere da loro”. Secondo Bashir Anif, giornalista di Radio Killid, network di Radio indipendenti con diverse sedi in Afghanistan, “gli abitanti di Herat hanno chiesto più volte anche prima dell’attacco del 30 maggio che la sede del Prt fosse spostata fuori città. Le autorità italiane finora neanche hanno risposto. Perfino le persone che affittano case ed edifici interi agli italiani erano pronte ad annullare i contratti. Ma il governo locale non ha potuto fare granché neanche dopo la manifestazione con cui 300-400 persone hanno chiesto che gli italiani si allontanassero”. Lo stesso governatore della provincia di Herat Daoud Saba si è detto “consapevole che la presenza del Prt nell’area residenziale preoccupa gli abitanti. Ma è una preoccupazione recente”, ha puntualizzato: “Prima dell’attacco del 30 maggio i residenti non si lamentavano anche perché ne traevano benefici economici. Le richieste successive sono state pilotate politicamente”. Ma anche Daoud Saba finisce per ammetterlo nei termini consentiti dalla diplomazia: “La collocazione di una struttura simile è in prio luogo un problema tecnico”, mi dice. “Credo comunque meglio che nelle aree residenziali non ci siano strutture militari. D’altronde abbiamo spiegato ai cittadini di Herat che nell’ambito della ‘transizione’ ci sarà anche il trasferimento della sede del Prt. Ma non c’è alcuna urgenza”, conclude. Aspettando di conoscere le decisioni delle autorità italiane. ( IL MANIFESTO 30 AGOSTO DI G. BATT. )

UNA LETTURA BUROCRATICA DELLA SOCIETÀ CIVILE Negli ultimi decenni si è assistito a un vero e proprio “revival globale” dei dibattiti accademici sulla società civile, oltre che al tentativo di circoscrivere teoricamente la ‘società civile globale’. Anche nell’ambito delle politiche legate allo sviluppo internazionale e al peacebuilding è stata accordata grande rilevanza alle iniziative volte a “costruire e rafforzare la società civile”. Nel caso dell’Afghanistan, tali politiche si sono però basate su “una concezione piuttosto ristretta della società civile”. I paesi donatori, infatti, hanno sostenuto soprattutto le organizzazioni formalmente istituite, le Ong in primo luogo, perché percepite come politicamente neutre prima ancora che indipendenti, strutturalmente flessibili, più efficaci nel raggiungere i beneficiari dei loro progetti. In altri termini, si è preferito dare supporto ad organizzazioni di recente o nuovo conio, composte da individui appartenenti soprattutto alla classe media e urbana, con un mandato fortemente definito, spesso con scarsa rappresentatività del corpo sociale e in alcuni casi legate all’establishment politico o ai leader locali. “Il termine società civile – spiega Mirwais Wardak del CPAU di Kabul - è appropriato per descrivere le organizzazioni che operano in Afghanistan. L’errore sta piuttosto nel credere - come è stato fatto finora - che la società civile sia rappresentata solo dalle Ong, perché vorrebbe dire attribuirgli un ruolo eccessivo. Il fenomeno delle Ong è nato negli anni Ottanta e Novanta, e in quel periodo il loro compito era fornire servizi di base. Ancora oggi molte Ong continuano a limitarsi a questo, affidandosi a finanziamenti esterni, realizzando progetti decisi altrove e dimenticando l’aspetto dell’advocacy sui temi socialmente rilevanti. Oltre alle Ong esistono molti altri gruppi”. “Con tutti i milioni di dollari che arrivano in Afghanistan, con un governo debole, con un settore privato che non capisce davvero cosa significhi sviluppo e che lavora esclusivamente per sé - dice Seema Ghani del Khorasan orphanage di Kabul - le Ong sono state le uniche organizzazioni su cui la comunità internazionale ha potuto fare affidamento, soprattutto all’inizio. Il guaio è che questa attenzione le ha snaturate: stanno diventando sempre di più dei semplici project-implementors, lavorano come delle aziende, aspettando che i donor annuncino nuovi progetti. Per questo sono molto critica verso le Ong che si orientano in base alle richieste dei paesi donatori piuttosto che ai bisogni della gente. Le Ong sono legate alle strategie e alle politiche dei donor, che non necessariamente conoscono il paese o hanno compiuto le indagini necessarie. Le cose dovrebbero andare al contrario: bisognerebbe creare dei gruppi di pressione forti, consapevoli del proprio ruolo, capaci di compiere indagini empiriche, che poi vadano dai donor dicendo: ‘bene, voi avete i soldi, ma noi conosciamo i bisogni della gente’. Le Ong non fanno così, e non sono per niente attive. Tranne che nell’accaparrarsi i soldi”. Aggiunge Seema Samar dell' AIHRC: “In molti casi, il fatto che le organizzazioni della società civile siano dipendenti dai donor e dalle organizzazioni non governative internazionali implica che seguano le agende dei loro finanziatori. Ciò indebolisce lo status delle organizzazioni della società civile e fa perdere loro sovranità e indipendenza”. Il suo collega Nader Nadery spiega che: “Le organizzazioni di tipo formale, come quelle di aiuto umanitario con uno statuto definito, sono un fenomeno piuttosto recente, inaugurato negli anni Ottanta del secolo scorso, ed hanno avuto una forte espansione soprattutto a partire dal 2001-2. Si tratta di associazioni molto strutturate, che 19 / 31 forniscono servizi di diversa natura, e tendenzialmente non sono gruppi di base, né sono molto attivi nella mobilitazione su questioni di rilevanza sociale. Per essere più precisi, potremmo dividere questa categoria in due sottogruppi: uno che si occupa, appunto, di fornire servizi, assecondando le indicazioni di budget definite dai paesi donatori, riempiendo quel vuoto nella fornitura di servizi che non è colmato né dal settore pubblico né da quello privato. In linea generale, in questi anni hanno assicurato servizi anche importanti, ma non hanno rafforzato la società civile in quanto tale. Esistono però anche altri gruppi, anch’essi strutturati, che lavorano su tematiche socialmente e politicamente rilevanti, per cambiare lo stato delle cose attraverso azioni collettive. Sono soprattutto piattaforme, network di gruppi, più che singole associazioni. Anche se realizzano i programmi dei paesi donatori, non dimenticano mai l’aspetto dell’advocacy generale. Un esempio particolarmente significativo sono le organizzazioni di donne, che si sono mobilitate contro l’approvazione della legge di famiglia sciita, contro le ambiguità del processo di riconciliazione e reclamando la salvaguardia dei diritti delle donne. Sono gruppi che possiedono il potenziale necessario per produrre cambiamenti significativi” La preferenza accordata alle associazioni che sottoscrivono la strategia dei paesi donatori è il risultato di alcune caratteristiche generali. Quella che è stata definita “l’interpretazione burocratica” della società civile, infatti, non riguarda solo l’Afghanistan, ed è piuttosto un fenomeno caratteristico del connubio stabilito a partire dagli anni Novanta, nelle politiche allo sviluppo, tra l’agenda della good governance e la progressiva ri-affermazione del discorso sulla società civile: sulla spinta dell’ideologia neoliberista, si è cercato di liberare il ramo esecutivo dello Stato dalla sua responsabilità sociale e dalla sua responsività nei confronti dei cittadini, trasferendo funzioni e servizi dalla macchina burocratica statale, considerata inefficace ed elefantiaca, alle Ong, giudicate più “snelle” e capaci di attuare politiche di compensazione sociale senza sollevare obiezioni di carattere politico. Con la privatizzazione dei sistemi di welfare state e dei servizi delle infrastrutture, alle Ong sono stati dunque assegnati compiti operativi e di supplenza, soprattutto nei casi in cui la debolezza statale era particolarmente grave. E a partire dagli anni Novanta, con l’affermazione dell’interventismo umanitario, anche diverse funzioni di peacebuilding sono state trasferite al settore privato e alla società civile. Una tendenza che in Afghanistan viene considerata ormai inappropriata, perché “deve essere tenuto a mente che le organizzazioni della società civile non devono mai agire come un’alternativa allo Stato nell’implementare i servizi”. La semplice equazione tra società civile e organizzazioni non governative è frutto dell’applicazione miope di una griglia analitica che identifica come società civile solo le forme associative familiari dal punto di vista occidentale, soprattutto le Ong di soccorso ed emergenza, e che marginalizza altre forme locali di associazionismo. Il fenomeno rientra però - come abbiamo visto - in una tendenza più generale, come dimostrano tutti i principali documenti di strategia allo sviluppo elaborati dal governo afgano in partnership con i paesi donatori. In questi documenti, è stato notato, allo Stato viene affidato il compito di creare le condizioni favorevoli alla libera circolazione delle merci, subappaltando il welfare sociale a una schiera di attori privati e alle Ong, e formalizzando le funzioni meramente manageriali dell’apparato statale. A ciò vanno aggiunti almeno altri tre fattori: a) il fatto che “in un contesto caratterizzato da una forte frammentazione politica (al livello locale, nazionale e regionale), era difficile individuare quali attori potessero avere la necessaria autorità e legittimità per agire come interlocutori per stabilire gli accordi di aiuto allo sviluppo”, subito dopo l’intervento militare del 2001. b) il fatto che nei casi di post-conflitto, o di conflitto a bassa intensità, gli imperativi urgenti della ricostruzione possono ridurre la possibilità di modellare i programmi di sviluppo sulle realtà locali, anteponendo la più facile trasferibilità di lezioni tecnocratiche e organizzative al complicato radicamento di strategie politico-culturali (strategie necessarie per garantire un buon funzionamento della società civile). c) il modellamento derivato dalla prominenza dell’agenda della sicurezza su quello dello sviluppo e dell’assistenza umanitaria. Un aspetto che merita qualche dettaglio ulteriore. Sicurezza e aiuti umanitari In Afghanistan, la promiscuità tra aiuto allo sviluppo, sostegno alla società civile, operazioni militari e interessi di politica estera dei paesi donatori è particolarmente evidente. La novità non sta tanto nella politicizzazione degli aiuti, sia bilaterali sia multilaterali, che nel paese centroasiatico - come altrove - sono sempre stati legati a obiettivi di politica estera, ma nella tendenza dei donatori, subito dopo la caduta del regime talebano, a canalizzare gli aiuti allo sviluppo e umanitari attraverso le agenzie dell’Onu e le Ong, a causa dell’assenza di uno Stato funzionante, di una leadership politica riconoscibile e dell’iniziale riluttanza degli stessi donor a impegnarsi nello state-building. Una tendenza che ha contribuito a modellare la mappa associativa del paese, contestualmente alla duplice e contraddittoria strategia adottata dai governi occidentali per stabilizzarlo e indebolire il sostegno alle forze antigovernative: da un lato la componente militare, dall’altra gli aiuti allo sviluppo; da un lato gli obiettivi del contro-terrorismo, dall’altro quelli del peacebuilding e della sicurezza umana delle comunità locali. In questo modo, si è proceduto secondo un doppio e 20 / 31 contraddittorio binario, dando luogo a uno degli aspetti più controversi del coinvolgimento della comunità internazionale in Afghanistan, ovvero l’incoerenza tra obiettivi della sicurezza, dello sviluppo, della liberalizzazione e della pace, in altri termini il “fare la guerra mentre si costruisce la pace”. Lo dimostrano alcuni dati: l’Afghanistan ospita la più ampia e costosa forza di peacekeeping internazionale istituita dalle Nazioni Unite. Dei complessivi 286.4 miliardi di dollari investiti in Afghanistan dal 2002 al 2009, alle operazioni militari nel paese sono andati 242.9 miliardi di dollari, l’84.6% del totale. L’ammontare dei fondi relativi al settore della sicurezza e delle attività di contro-narcotici è estremamente difficile da tracciare, ma si stima che raggiungano almeno 16.1 miliardi di dollari (5.6%). Agli aiuti allo sviluppo è destinato il 9.4% (26.7 miliardi) della somma totale, al peacekeeping multilaterale (Unama ed Eupol) lo 0.3% (0,80 miliardi). Le spese registrate per le operazioni militari delle truppe staniere sono cresciute chiaramente dal 2003 e poi ancora dal 2006, raggiungendo un picco di 63.1 miliardi di dollari nel 2009, più di dieci volte il totale degli investimenti internazionali negli aiuti allo sviluppo in quello stesso anno. A dimostrare la crescente securitizzazione delle politiche di assistenza, anche i casi dei controversi PRT (Provincial Reconstruction Team), insieme ai dati della geografia della distribuzione degli aiuti, che riflettono gli obiettivi politici e militari dei donor: più di metà del bilancio agli aiuti stanziati dagli Stati Uniti, per esempio, è concentrato nelle quattro province meridionali più insicure del paese, che non sono necessariamente le più bisognose. Come spiega Aziz Rafiee (ACSF, Kabul): “L’agenda della comunità internazionale e dei paesi occidentali è dettata dalla sicurezza. Il guaio è che si tratta della loro sicurezza, non di quella degli afgani. A rimetterci è l’Afghanistan nel suo complesso, perché l’agenda della sicurezza ha finito per sostituire quella della ricostruzione e dello sviluppo del paese”. Aggiunge Ghulam Muhammad Masoomi, giornalista di Kandahar: “Le ragioni per unirsi ai movimenti antigovernativi non mancano: la gente non ha visto alcuna ricostruzione; i contadini sono accusati di sostenere i Talebani, e spesso arrestati, i loro campi distrutti dai bombardamenti, gli innocenti uccisi. La gente di qui non conosce le ragioni di tanta sofferenza: si vedono bombardare, senza capire quali colpe abbiano. Per loro gli stranieri non portano la pace, sono quelli che uccidono gli innocenti, che demoliscono le case. Altro che ricostruzione e aiuto alla società civile”. E, spiega Mohammed Anwar Imtiyaz (ADA, Kandahar): “Abbiamo spiegato molte volte ai rappresentanti del PRT che è sbagliato mischiare il lavoro umanitario con i militari. Negli ultimi tempi, pare che abbiano finalmente capito meglio che è controproducente sia per noi sia per loro”. In Afghanistan il flusso di aiuti allo sviluppo ha storicamente generato uno Stato debole, rentier, sostanzialmente dipendente dalle risorse esterne, ulteriormente indebolito dalla tendenza a lavorare “intorno” allo Stato piuttosto che attraverso di esso. La securitizzazione degli aiuti, poi, non solo ha modellato in modo significativo obiettivi e pratiche delle politiche di emergenza e ricostruzione, ma a sua volta ha nutrito una società civile rentier, un assortimento di Ong finanziate dai paesi donatori, configurando un particolare modello di relazioni tra Stato e società civile che accorda priorità alle organizzazioni che forniscono servizi, piuttosto che a quelle che promuovono la discussione pubblica o la mobilitazione sociale, o che reclamano la responsività dello Stato. Non si tratta di criticare le attività di questo tipo di organizzazioni, ma di chiedere loro di dimostrare una consapevolezza politica dell’arena in cui operano, e di elaborare programmi che sostengano quanti cercano un’alternativa al conflitto, evitando di soddisfare soltanto gli obiettivi dei paesi donatori. “Sono molto diffidente verso le Ong che lavorano soltanto per realizzare progetti decisi altrove, e che al di là di questo non hanno alcuna visione della società e di come vorrebbero che diventasse. Sfortunatamente - dice Shinkai Kharokhail, parlamentare, già membro di AWEC - sono la maggioranza, anche se esistono persone con altri valori e obiettivi, che non pensano soltanto a ottenere soldi dai paesi donatori, e che lavorano a titolo anche volontario nei villaggi, nei distretti. Sarebbe sbagliato ignorarle” Quest’orientamento tecnico-strumentale sostiene la società civile soltanto come subappaltatrice di servizi in linea con le priorità di sviluppo concordate da governo afgano e paesi donatori, come mero “canale per l’assistenza all’emergenza e allo sviluppo”. E insieme alla priorità accordata agli obiettivi militari rispetto a quelli dello sviluppo ha trasformato la “società civile in un progetto piuttosto che in un processo”, hanno lamentato molti degli intervistati nel corso della ricerca. Inoltre, l’ha depoliticizzata in almeno due sensi: in primo luogo, dimenticando che ha anche un ruolo politico, in quanto sfera per l’impegno personale diretto dei cittadini, per la deliberazione collettiva sugli affari pubblici; in secondo luogo nascondendo la natura già politicizzata del terreno su cui opera, un terreno in cui, per dirla con Gramsci, una molteplicità di attori, interni ed esterni, portatori di valori e ideologie diverse, si contendono l’egemonia. Spiega assai bene Abdul Rashid Reshad, di AWEC, Maimana: “Proprio perché anch’io ne faccio parte, so che tutte le Ong, che siano nazionali o internazionali, per poter lavorare non possono permettersi di criticare in modo esplicito governo e strutture statali, da cui dipendono, se non finanziariamente, sicuramente per la realizzazione dei progetti. Ma senza libertà di critica non c’è crescita della società civile. Da parte delle Ong internazionali non ho mai sentito pronunciare nessuna seria critica, da queste parti. Questo significa che manca una visione politica degna di questo nome”. 21 / 31

Le conseguenze della preferenza accordata alle Ong come fornitrici di servizi, a scapito del rafforzamento della società civile nel suo complesso sono diverse: si è tolto spazio e rilevanza a forme di associazionismo e luoghi di discussione pubblica, come i consigli di villaggio (jirga e shura) e i gruppi culturali, più rappresentativi ma meno riconoscibili secondo i parametri sanciti dal concetto normativo di società civile, perché informali o solo debolmente strutturati; la società civile nel suo complesso è stata sostanzialmente esclusa dalla formulazione delle politiche nazionali; è stata limitata la creazione di uno spazio comune, un’arena per la deliberazione pubblica, per l’esercizio della cittadinanza attiva: quella sfera pubblica dove raggiungere un consenso normativo (legittimo perché condiviso) a partire da una pluralità di interessi e posizioni spesse confliggenti. Non è un caso dunque che in alcune delle interviste realizzate nel corso della ricerca, alla società civile sia stato attribuito come compito principale proprio quello di creare una spazio di discussione pubblica, che esiste al livello locale, ma fatica a imporsi a livello nazionale, quello spazio tra società e Stato che, sostiene Habermas, “garantisce la critica discussione pubblica di questioni di interesse generale”. Allo stesso tempo, è stata spesso sottolineata la distanza che corre tra le organizzazioni che si limitano a fornire servizi di diversa natura, e quelle che invece cercano di coagulare interessi e partecipazione per formare una “voce” che sia sufficientemente forte da essere udita nell’ambito pubblico, nazionale e internazionale. Il rapporto con la comunità internazionale Quanto ai principali attori internazionali, la maggior parte degli intervistati imputa loro di agire senza una strategia coordinata, con i singoli paesi coinvolti nell’aiuto allo sviluppo che perseguono agende legate ai propri interessi specifici, piuttosto che al benessere dell’Afghanistan; di avere la tendenza a imporre i propri orientamenti sulla controparte locale, percepita come mera esecutrice di progetti, anziché costruire percorsi condivisi. La comunità internazionale dovrebbe invece considerare la società civile afgana nel suo complesso, trattarla come un interlocutore serio e affidabile; adottare equilibrate strategie di sostegno che siano fondate sulla reale conoscenza del paese e della sua composizione sociale, così da evitare il rischio di minare la legittimità delle associazioni locali; diversificare il sostegno alla società civile dalle politiche di aiuto umanitario, evitando di ridurla a semplice distributrice di servizi; prima ancora di equilibrate strategie di sostegno finanziario, dovrebbe esercitare pressioni sul governo afgano, affinché consolidi il quadro istituzionale all’interno del quale opera la società civile. Perché la possibilità di influenzare le politiche statali non dipende solo dalla forza della società civile e dall’accesso che ha presso gli organi statali, ma dalla stessa capacità statale di elaborare ed eseguire politiche innovative. E perché “dietro al peacebuilding c’è lo state-building, la costruzione di un’autorità politica legittima”. In questo senso, è stato giustamente suggerito che piuttosto che sulla sconfitta dei movimenti antigovernativi o sul negoziato politico tra due attori (governo afgano e movimenti ribelli) entrambi con scarso appoggio tra la popolazione, ci si dovrebbe concentrare sulla creazione di uno spazio politico attraverso il quale la società civile possa esprimersi e articolare un progetto di società alternativo. Uno spazio fatto di un sistema istituzionale funzionante, di un apparato giuridico regolato, di un adeguato ambiente politico, di media indipendenti. Dice Fawzia Farhat (CCA, Mazar-e-Sharif): “Sono poche le organizzazioni internazionali che hanno piani concreti, ben definiti, adatti alla situazione locale. In genere manca un approccio strategico generale. Inoltre, a volte ci chiedono soltanto di eseguire i loro piani. Vengono con delle proposte già pronte e ci dicono, ‘ecco, fate questo’. E’ un atteggiamento del tutto sbagliato, perché sono le associazioni locali quelle che sanno ciò di cui c’è più bisogno e conoscono i modi migliori per farlo. A volte c’è l’impressione che ci prendano per dei semplici fax, a cui spedire i progetti”. Ancora Nader Nadery: “Il rapporto con la comunità internazionale dipende molto dalla forza e dal coordinamento che riesce a darsi la società civile: nei casi in cui quest’ultima prende l’iniziativa, la comunità internazionale tende a sostenerla politicamente o finanziariamente, come è accaduto nel caso del dibattito sulla legge di famiglia sciita. Ma quando manca il coordinamento, o quando si affrontano questioni politicamente delicate come nel caso della legge sull’amnistia, la comunità internazionale tende a defilarsi, a rimanere in silenzio, evitando di appoggiare le battaglie della società civile”. Alla comunità internazionale viene inoltre richiesto di rinunciare all’appoggio, diretto e indiretto, concesso a quegli attori politico-militari che fin qui hanno impedito il rafforzamento della società civile; gli si chiede di adottare un principio di coerenza tra dichiarazioni pubbliche e provvedimenti concreti; di applicare anche al proprio interno un serio monitoraggio sulla corretta distribuzione dei fondi destinati all’Afghanistan; di saper distinguere con maggiore attenzione le organizzazioni che si battono effettivamente per il miglioramento delle condizioni del paese da quelle che mirano alla soddisfazione di interessi egoistici e parziali; di sostituire i progetti di breve durata con programmi di lunga scadenza, attraverso i quali costruire percorsi esemplari, basati sulla collaborazione reciproca e sulla continuità, dove partecipazione non si riferisca soltanto alla condivisione di informazioni, alla consultazione, alla raccolta di dati, ma alla sovranità condivisa, alla 22 / 31 trasparenza reciproca e alla possibilità che anche gli afgani possano orientare le agende politiche di rilevanza nazionale. I rappresentanti della società civile incontrati chiedono ai paesi donatori di rinunciare progressivamente al ruolo protettivo nei loro confronti, e di poter decidere quali politiche siano più appropriate per il futuro dell’Afghanistan. Nel corso degli anni, è cresciuta infatti la richiesta di ottenere di nuovo la sovranità su tempi, modalità e strumenti per la propria affermazione. Le istituzioni realmente legittime - è stato notato - non possono che risultare da processi politici e sociali autoctoni, mentre la percezione che il potere sia eterodiretto disincentiva la partecipazione pubblica. In conclusione Mirwais Wardak: “Un consiglio che mi sentirei di dare alla comunità internazionale è di aumentare la percentuale di fondi la cui gestione passa per il governo afgano, e allo stesso tempo di usare criteri di trasparenza più rigidi, per verificare che i soldi vengano spesi effettivamente nel paese. Più in generale, suggerirei di cominciare a restituire sovranità al governo e alla società civile afgana”. Il rapporto con il governo Secondo quanto emerge da questa e altre ricerche, pur guardati con sospetto dal governo e percepiti come antagonisti, i rappresentanti della società civile sarebbero comunque disposti a lavorare al rafforzamento delle istituzioni statali e governative, nel rispetto delle reciproche sfere di competenza. In una situazione come quella dell’Afghanistan, è stato spesso ripetuto, la funzione della società civile non può limitarsi a essere “normativa per il potere”, tradursi soltanto nello scrutinio delle debolezze e opacità del governo, a cui chiedere trasparenza e correttezza procedurale; deve svolgere anche una funzione di supporto, di integrazione, di confronto aperto, di stimolo alla crescita. Per molti infatti il compito della società civile, che comunque deve rimanere indipendente dal governo, “non è solo di criticare. La società civile ha una responsabilità più ampia. In alcuni casi il suo lavoro è lo stesso del governo...il governo e la società civile sono ugualmente importanti e non possono esistere l’uno senza l’altro...”.Secondo quanto sostenuto nell’ambito di una conferenza da Seema Samar, tra le fondatrici della Ong “Shuhada” e ora portavoce dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission, “la governance democratica richiede l’istituzione di legami stabili ed effettivi tra il governo e tutti i membri della società civile...la società civile offre una piattaforma sulla quale le istituzioni statali e i membri della società civile possono interagire e consultarsi l’un l’altro...La società civile agisce non solo per rilanciare il potere dello Stato, ma anche per aumentarne la credibilità legale. La società civile riconosce l’autorità statale e lo stato di diritto e sottolinea il bisogno di promuovere i principi istituzionalizzati per costruire una società prospera...la società civile dunque non è ostile al governo, ma gli mette pressione affinché diventi responsabile e attui riforme democratiche...rivelando casi di abuso del potere ufficiale e pratiche negative, aumenta le aspettative pubbliche verso lo Stato ed esercita su questo una pressione politica affinché crei meccanismi per migliorare le proprie performance...”. Le posizioni di Seema Samar, secondo la quale gli attori della società civile “devono studiare e valutare la vita, le credenze, le tradizioni, la cultura e gli orientamenti degli afgani e poi, sulla base dei risultati e dell’interpretazione, definire programmi di sviluppo”, da realizzare anche in collaborazione con il governo e le istituzioni statali, sono condivise da molti tra quelli che hanno partecipato alla ricerca. Al governo infatti viene chiesto di riconoscere nella società civile non un antagonista, ma un soggetto che, pur seguendo traiettorie e metodi diversi, punta a un obiettivo comune a quello del governo: garantire la stabilità dell’Afghanistan: “Noi diamo dei suggerimenti al governo, perché riteniamo che sia importante avere un governo che funzioni, un buon governo, e un governo può lavorare meglio in un contesto in cui anche i cittadini e la società civile facciano la loro parte”, dice Niamatullah ‘Hamdard’ del CSHRN di Jalalabad. Aggiunge Samira Hamidi (AWN, Kabul): “Il rapporto è difficile. Il governo ritiene che la società civile sia portata sempre a ragionare in termini negativi e a creare problemi, la società civile crede invece che il governo sia incapace, che non si sforzi abbastanza per lavorare insieme. E’ estremamente importante migliorare questo rapporto. Durante un mio recente viaggio in Pakistan, ho notato che alcune organizzazioni della società civile ricevono dei fondi governativi, mentre qui in Afghanistan a volte neanche parliamo con il governo. La situazione deve cambiare: il governo deve comprendere l’importanza del ruolo svolto dalla società civile, che a sua volta deve imparare a capire i problemi del governo, che di per sé non è molto stabile, perché sopravvive grazie all’assistenza e ai fondi della comunità internazionale. E’ il momento di cominciare a cambiare la cultura della critica reciproca, e di favorire la comprensione, il coordinamento e l’assistenza reciproca. Come Afghan Women Network abbiamo lavorato con il governo per la jirga di pace: è stato difficile, ma alla fine abbiamo trovato sostegno e siamo riusciti a coordinarci. Dovremmo continuare lungo questa strada”. A dispetto di alcune iniziative sporadiche, finora l’apertura della società civile non sembra essere stato accolta dal governo, che continua ad attribuirle un ruolo accessorio, cerimoniale: ne tiene conto soltanto in occasioni pubbliche di particolare rilevanza, quando la presenza di rappresentanti delle associazioni locali serve a dimostrare alla comunità internazionale il rispetto degli impegni presi. Nelle altre occasioni, sostengono alcuni 23 / 31 degli intervistati, il coinvolgimento avviene seguendo un criterio selettivo ambiguo, legato alle conoscenze personali piuttosto che a protocolli formali o istituzionalizzati. Un metodo che dimostra la riluttanza ad attribuire alla società civile una patente di legittimità come interlocutore, e la diffidenza verso la creazione di meccanismi di coinvolgimento certi e realmente praticabili. Il governo afgano è sembrato interessarsi soprattutto alle attività delle organizzazioni funzionali ai propri programmi di sviluppo, e ha eretto invece una barriera, più o meno permeabile a seconda dei casi, con il resto dei soggetti che compongono la società civile, lamenta la maggior parte degli intervistati. Molti di coloro che hanno partecipato alla ricerca sottolineano comunque come la situazione vari a seconda delle province, con alcuni rappresentanti governativi più permeabili alle istanze della società civile rispetto ad altri. Il ruolo dei media Il compito che molti degli intervistati attribuiscono alla società civile - un ponte tra la società e il governo - si riflette nell’importanza che viene accordata ai media. I media dovrebbero essere strumento di espressione dei cittadini, occasione di dialogo, meccanismo attraverso il quale far conoscere le realtà e i problemi dimenticati del paese alle istituzioni governative centrali e periferiche. Inoltre, in modo simile a quanto spetta alla società civile, non dovrebbero mai rinunciare a chiedere la trasparenza del governo nella gestione degli affari pubblici, dando conto di eventuali casi di malgoverno e sollecitando i rappresentanti istituzionali, mediante la pressione pubblica, a comportamenti corretti e responsabili. Le esigenze commerciali non dovrebbero condizionare eccessivamente la tutela e la promozione degli interessi collettivi, mentre il governo dovrebbe consentire la libera espressione delle opinioni, evitando censure e pressioni dirette o indirette. Molti degli intervistati vedono nei media, soprattutto nelle radio - accessibili alla maggioranza della popolazione - un mezzo indispensabile per favorire la diffusione delle idee su cui lavora la società civile; un veicolo adatto a spiegare l’importanza della partecipazione collettiva alle questioni di interesse comune e per far maturare la consapevolezza dei cittadini sui diritti umani. Ai media, se correttamente usati, viene inoltre riconosciuto un ruolo cruciale nella riaffermazione di un senso civico compromesso da decenni di guerra, oltre che di una cultura di pace capace di trascendere le divisioni etniche e territoriali ancora presenti in Afghanistan. Tra gli intervistati c’è piena consapevolezza che “ottenere e scambiare informazioni sulle questioni pubbliche è un altro metodo efficace che la società civile può usare per sviluppare una governance democratica...”, e che il libero scambio di informazioni è “uno strumento essenziale per combattere la corruzione e l’abuso di potere...”, perché rende “lo Stato responsivo, così che venga incontro ai bisogni della gente”. Uno sguardo dall’interno Se la comunità internazionale tende a identificare come società civile prevalentemente le Ong strutturate, dalla ricerca emerge l’esigenza di rivedere questa equazione. Le Ong, è stato più volte ribadito, costituiscono solo una parte di una ben più complessa topografia dell’associazionismo afgano. Secondo la maggior parte degli intervistati, in Afghanistan la società civile “non è un gruppo omogeneo; include uno spettro molto ampio di organizzazioni formali e informali, associazioni, movimenti e gruppi sociali”. Se è vero che esiste una “società civile prodotta”, modellata dai partner internazionali, è altrettanto vero che, al di là di questa e all’interno di essa, esiste una galassia variegata, piuttosto attiva e diffusa, di gruppi che rivendicano pienamente la capacità di trovare percorsi di autonomia progettuale, a dispetto delle condizioni di sicurezza e dello scarso sostegno ricevuto. Un panorama composto da gruppi diversi, spesso informali o poco strutturati, che a volte non seguono alcuno statuto definito se non la volontà di aggregazione attiva. E che continuano a coagulare in modo collettivo risorse e capacità individuali, a dispetto della disillusione sulla mancata ricostruzione del paese e sul mancato coinvolgimento da parte del governo. E nonostante lo schiacciamento subito tra i vari attori politico-militari, inclusa la comunità internazionale. Seguendo le opinioni raccolte, della società civile afgana fanno parte infatti tutte le persone e i gruppi che assumono un ruolo attivo nella società, che lavorano con assiduità e continuità su alcune tematiche di rilevanza comune; tutti coloro che si sentono responsabili e in virtù di questa responsabilità attivano dei progetti di interesse collettivo; tutti coloro che sono coinvolti nel lavoro umanitario e nel rafforzare le istituzioni democratiche. Il concetto di società civile che ne esce è di tipo inclusivo, indica delle forme di associazionismo dai confini porosi, che variano nel grado di autonomia e formalità, composte da soggetti legati dalle attività che svolgono e dagli obiettivi che le animano più che dalla struttura che si danno. Le attività e gli obiettivi con cui si identificano i gruppi appartenenti alla società civile sono poco rigidi, e rimandano alla priorità accordata all’interesse collettivo sul profitto personale, alla ricerca del dialogo costruttivo e condiviso piuttosto che all’imposizione del proprio punto di vista mediante la forza o in virtù di uno status autoritario acquisito. Si tratta dunque di un insieme “sfocato” di associazioni e singoli individui, che contraddice l’assioma del conflict fetish, secondo il quale nei paesi in guerra “la violenza è il problema e l’unica lente attraverso cui guardare alla vita delle persone”. I partecipanti alla ricerca intendono la società civile come un insieme piuttosto eterogeneo di gruppi culturali e giovanili, media indipendenti, associazioni per i diritti umani, sindacati, organizzazioni di donne, strutture 24 / 31 tradizionali, avvocati, religiosi, attivisti e semplici cittadini. In una situazione di estrema vulnerabilità e precarietà, rivendicano il ruolo fondamentale svolto fin qui, avendo organizzato incontri e dibattiti, campagne di opinione e di informazione, e in senso più generale avendo promosso la coesione sociale tra comunità diverse. Oltre a questo, alcuni rivendicano la lunga tradizione afgana di attività riconducibili all’idea di società civile, che si sarebbe espressa in forme diverse da quelle più familiari alla comunità internazionale ma non meno efficaci né importanti. Per alcuni, bisogna distinguere tra il termine ‘società civile’, adottato recentemente, e le attività a cui si riferisce, radicate anche in Afghanistan. Altri, pur consapevoli che il termine società civile porta con sé connotazioni storico-culturali che ne influenzano la stessa ricezione, rivendicano la necessaria maturità per modellare sulla realtà afgana in modo originale e produttivo un concetto che rimane estraneo alla maggioranza della popolazione. Ajmal Samadi (ARM, Kabul) riassume così: “Quello di società civile non è un concetto nuovo. L’Afghanistan ne ha avuto esperienza in passato. Non abbiamo vissuto in anarchia. Ci sono state diverse espressioni istituzionali e della società civile. La realtà dunque è che si può parlare di società civile in Afghanistan da decenni, forse da secoli. Certo, nel periodo post-talebano si è diffusa una nuova terminologia, ma il fatto che si faccia ricorso a parole nuove non significa che siano inedite le attività a cui si riferisce. Qualcuno pensa che società civile significhi promozione di una visione secolare e dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere, ma già negli anni Sessanta c’erano donne che sedevano nel parlamento afgano; inoltre, il secolarismo come idea politica già circolava nel paese sotto il regime comunista. Ai tempi dei sovietici si parlava di internazionalismo, oggi gli Stati Uniti hanno portato con sé tutta una serie di nuovi termini, ma non sono così nuovi come sembrano”. Sulla base della consapevolezza maturata negli ultimi anni sul proprio ruolo e le proprie responsabilità, gli intervistati non nascondono, oltre ai progressi raggiunti, i limiti che condizionano l’efficacia della società civile: la mancanza di coordinamento, la fragilità delle proposte, la difficoltà a identificare priorità e obiettivi precisi e a individuare gli strumenti più adatti con cui tradurre efficacemente orientamenti etici e posizioni normative nel quadro politico-legislativo, senza perdere autonomia. ( TERRA 29 AGOSTO DI GIULIANO BATTISTON)

AFGHANISTAN: TERRA, OPPIO E GUERRA Nel giugno dell'anno scorso Viktor Ivanov, a capo del Servizio narcotici della Federazione russa, spiegò in un forum internazionale sul narcotraffico che Mosca intendeva sostenere la creazione di un archivio della proprietà terriera in Afghanistan. In altre parole la costruzione di un catasto. Che non esiste o esiste solo in forma ridotta. Ivanov diceva dunque quel sarebbe stato opportuno spiegare diversi anni fa: come si può mettere mano al problema della produzione di oppio se non si conosce chi possiede e protegge i campi coltivati a papavero? Apparentemente una banalità ma così a lungo ignorata che il catasto afgano è ancora quello – monco – cui mise mano con un riforma, una quarantina d'anni fa, re Zaher Shah. L'ultimo monarca afgano. In Afghanistan infatti, oltre ai “ignori della guerra” ci sono anche dei “signori della terra”, proprietari terrieri che spesso sono anche “signori della guerra”. Oppure ci sono dei signori della guerra a vario titolo (commander più o meno importanti) che, col tempo, sono diventati signori anche della terra. Il rapporto tra terra e guerra, proprietà fondiaria e conflitto, potere (militare) sul territorio e relazioni sociali, costituiscono alcuni degli aspetti meno indagati della storia recente del Paese: lacuna che finisce per far ignorare, e/o considerare come secondario, il problema del possesso della terra, delle relazioni economiche tra possidenti, affittuari o contadini poveri e la catena di relazioni sociali connesse (non ultimo il ruolo delle donne nei matrimoni combinati e il loro valore come merce di scambio nel mondo rurale). Elementi che in un Paese eminentemente agricolo contano in maniera preponderante: la proprietà della terra e il suo controllo, sembrano invece fattori tanto importanti quanto sotto stimati e studiati, salvo rarissime eccezioni. Eppure proprio il “nuovo ordine” economico e sociale, importato in Afghanistan con la cacciata dei talebani nel 2001, ha innestato o favorito liberalizzazioni e alienazioni di beni pubblici, utilizzo del suolo (un aspetto strettamente connesso alla produzione di oppio e al narcotraffico), speculazione edilizia e occupazione di terreni demaniali in assenza quasi totale di regole e di archivi di riferimento e in un quadro di scarsa attenzione al problema della legislazione in materia di diritti di proprietà. Temi che hanno ottenuto scarsa considerazione nel processo di state-building (o rebuilding) da parte della comunità internazionale e dello stesso governo afgano. Quanto all'oppio in sé, il problema della sua produzione ci sembra solo in parte risolvibile con strategie di eradicazione, sostituzione o monopolio di Stato delle coltivazioni, che sono i temi su cui si incentra il dibattito: affrontato in sostanza come un problema di contadini poveri che, per sfamarsi, preferiscono l'oppio alle patate. In gran parte ci sembra invece che si tratti di un nodo che ha a che vedere più con il possesso della terra che co di ruolo di agricoltori bisognosi che, il più delle volte, sono solo mezzadri, braccianti e landless. E' ai loro “padroni” che bisognerebbe guardare. E dunque al catasto - se ci fosse - che certifica proprietà e gestione della terra Proprietari e contadini senza terra 25 / 31

Il 78% degli afgani vive in aree rurali (di questi il 20% è nomade). Otto afgani su dieci insomma sono agricoltori o pastori. La maggior parte tra loro sono landless, coltivano la terra in regime di mezzadria o sono piccoli o piccolissimi proprietari. Solo il 2,2 % degli afgani detiene il 19% del totale della terra (652mila kmq), che per il 40% è composto da aree incolte e inutilizzabili e per il 45% è pascolo (per il quale i diritti sono regolati da una legislazione assai più chiara rispetto a quella vigente per i terreni irrigui). La proprietà privata dunque, inevitabilmente, finisce per insistere sulle poche zone irrigue e pianeggianti, un risicato 12-15%, che costituiva però una delle aree più redditizie dell'economia primaria dell'Afghanistan. Si stima che in Afghanistan vi siano circa 1,2 milioni di aziende agricole con una media di 5 ettari di terra arabile: ma il 73% dei contadini possiede meno di 5 ettari mentre il 5,4% fra loro possiede appezzamenti superiori ai 20 ettari e controlla il 30% delle terre irrigue e il 46% dei terreni che sfruttano le precipitazioni: solo l'11% dei terreni irrigui e il 3% di quelli che utilizzano acque pluviali (sul totale del 15% coltivabile), scrive il ricercatore scrive Hector Maletta, è messo a coltura da coltivatori diretti. Una realtà poco indagata eppure fondamentale, come argomenta la studiosa Liz Alden Wiley:“...disconoscendo la centralità dei diritti sulla terra come centrali in un processo di pace e di ricostruzione....l'aiuto internazionaleha rinforzato la perczione che il problema della rpoprietà della terra è troppo complesso e sensibile per prenderlo in mano ora... (dopo il 2001 ndr)”. Le cose non sembrano molto cambiate col procedere del nuovo assetto istituzionale. Ginepraio legislativo Attualmente la riorganizzazione del settore è affidato alla nuova Afghanistan Land Authority (Ala) che ha diverse gatte da pelare. Il vecchio catasto agrario coprirebbe infatti il 30% del territorio ma non è l'unico problema: il nodo della terra è complicato dalla legislazione esistente che si divide tra diverse regolamentazioni spesso in contraddizione tra loro: la legge consuetudinaria (rawaj), che opera attraverso codici tribali, come il pashtunwali per le tribù pashtun; la legge civile (qanoon madani) del 1970 che include un migliaio di direttive; la sharia, spesso applicata anche alle diatribe di proprietà se il codice civile non copre il caso; infine, le leggi statali (nazionali), spesso in contraddizione con gli altri codici, e la nuova Costituzione che fissa i diritti fondamentali di proprietà. A complicare il quadro c’è una materia da amministrare davvero complessa: terre del demanio (amlaki dawlati); terre pubbliche (maraa), controllate ma non possedute dallo stato e spesso oggetto di vendita a privati; terre private (amlaki shakhsi), terre comunitarie (mushtarak), ossia di tutti ma in pratica controllate dai khan, i dignitari tribali; terre delle fondazioni religiose (waqf), in gran parte ormai sotto controllo statale. Il vuoto di potere, il prolungarsi del conflitto, l'enorme massa di sfollati interni e di profughi verso Pakistan e Iran (che lasciando case e terreni ne hanno perso di fatto il possesso) e le varie legislazioni (consuetudinaria, civile, religiosa) hanno finito per favorire le appropriazioni indebite da parte dei “signori della guerra”, che fossero già o meno “signori della terra”. L'appropriazione – storia recentissima persino nella capitale su terreni demaniali - dipendeva (e ancora dipende) dall'uso o dalla minaccia della forza, in una situazione caratterizzata dall'enorme fragilità delle già debolissime classi contadine, in molti casi e per anni profughe all'estero, dall'incertezza sui diritti di proprietà e sullo sfruttamento delle acque, dal collasso di infrastrutture e canalizzazioni, dall'indebitamento cronico, dall'impossibilità di ottenere il riconoscimento dei propri diritti dopo le confische a opera di comandanti militari, dalla debolezza dello Stato e del sistema giudiziario. Un quadro sovrastato dall'assenza di una minima base archivistica (catasto dei terreni, registro dei beni immobili etc). Riforma e ribellione La questione del rapporto tra terra e conflitto viene da lontano. Prestando attenzione ai soli avvenimenti del XX secolo, è la riforma agraria di Muhammad Daud, presidente della neonata repubblica afgana (1973-78), il primo tentativo serio di regolare il problema della land tenure: in sostanza la riforma consisteva nella definizione di un tetto alla proprietà terriera oltre il quale si procedeva alla confisca. Un nodo che nemmeno grandi riformatori monarchici come Amanullah Khan (che aveva proclamato nel 1919 l'indipendenza dell'Afghanistan e promulgato la prima Costituzione) avevano toccato e che costituiva del resto per la monarchia afgana la base di una pace sociale garantita dalla sostanziale intangibilità dei diritti dei landolord. Fallita con Daud, la riforma venne ripresa dai governi filosovietici insediatisi già prima dell'invasione dell'Armata rossa nel 1979. Quella di Nur Muhammad Taraki (poi proseguita da Hafizullah Amin, l'uomo che “chiederà” l'intervento sovietico) fu imposta con la forza e senza fissare una ricompensa agli espropriati, mentre il governo decideva la cancellazione retroattiva fino a cinque anni dell'indebitamento dei mezzadri. Ma nelle campagne la riforma, che già ai tempi di Daud era stata fortemente osteggiata, trovava fortemente contrari proprietari e mullah già oppositori della ventata di modernismo che, iniziata con la repubblica, era stata portata alle estreme conseguenze dai governi comunisti: la riforma riduceva il loro potere e quello delle fondazioni islamiche e metteva inoltre in discussione le regole consuetudinarie su cui si basava da secoli la forza dei kahn, i capi tribali custodi della tradizione. Alla base c'era dunque, oltre all'aspetto ideologico anti comunista e alla condanna di tutta una serie di innovazioni di carattere socioculturale (dalle politiche di genere alla diffusione dei programmi di educazione, tutte forme che sottraevano a khan e mullah, almeno in 26 / 31 parte, il controllo sociale), un problema di controllo e proprietà della terra. Com'è noto, la reazione soprattutto nelle campagne (il luogo dello scontro sul controllo territoriale), fu uno dei motivi – su cui per altro il dibattito degli storici è ancora molto vivace – che portarono Mosca a decidere la svolta interventista. “La ribellione, accompagnata da quella dovuta alla radicale riforma nel settore educativo – scrive la Wiley – portò all'occupazione sovietica”. Parafrasando la studiosa, si potrebbe dire che, indubbiamente, la riforma e la conseguente ribellione furono effettivamente uno dei motivi chiave che poi fecero decidere a Mosca l'intervento. Uno dei motivi. E forse non il principale (è nota la teoria sul timore che gli americani stessero accerchiando l'Urss da Sud con un programma – di cui non c'era alcuna prova – che li voleva creatori di una sorta di scudo missilistico in Afghanistan). Certo però la terra, non meno dell'avversione all'ideologia laica e progressisti dei nuovi governi modernisti, giocò un ruolo fondamentale. La ribellione alla riforma, fortemente osteggiata dalle leadership religiose e tribali che guidavano la rivolta, finì per trovare l'appoggio persino per degli strati più poveri della popolazione che in realtà dalla riforma agraria avrebbero avuto tutto da guadagnare. Fu l'insieme di diversi elementi a giocare a favore delle ragioni dei proprietari. La studiosa italiana Elisa Giunchi lo spiega così: “Si andavano a toccare i tre pilastri della società, zar, zan e zamin” (donne, oro, terra). E si andava a turbare un equilibrio consolidato, ignorando “...i rapporti di reciprocità che univano le varie componenti del mondo rurale: il proprietario terriero era, spesso, anche il capo tribù...non vi erano due classi sociali separate e contrapposte, proprietari e contadini, ma gruppi uniti da legami di solidarietà clanico-tribale o clientelare”. Giocò anche l'ostilità a “qualsiasi tipo di interferenza esterna” (un tema che ricorre ciclicamente e ancora oggi è il perno della propaganda talebana ndr) mentre si ignorava l'esistenza di “terreni comunitari registrati sotto il nome dei khan, l'inadeguatezza dei documenti scritti e il nomadismo. La conseguenza fu – conclude Giunchi - che il mondo contadino, invece di approfittare di queste riforme, insorse in difesa dei suoi oppressori.” Oppressi e oppressori finirono così per andare d’accordo in nome di una tradizione millenaria che era stata minata nel giro di pochi anni. E’ anche su questo sentimento che giocherà poi la nascita del movimento di mujaheddin che, oltre che al Corano, si ispirerà alla tradizione locale, diventando il baluardo della difesa di antichi principi consuetudinari e identitari. Conclusioni Per tornare all'oppio, con cui abbiamo iniziato, il problema della sua produzione non può dunque essere trattato solo come un'emergenza criminale o una questione “agricola” di sostituzione delle coltivazioni, come se non fosse la proprietà ad orientare il sistema delle colture. Il che sembrerebbe una tesi assai più logica della teoria che va per la maggiore, secondo cui si tratta semplicemente di una scelta dei contadini sulla base dell'andamento del mercato. Tutti gli elementi fin qui menzionati appaiono far parte dunque di una stessa filiera: di una catena che ricongiunge i suoi anelli attraverso gli anni del conflitto e della pace “armata” che ancora comanda nelle campagne le relazioni economiche. Non di meno, e come evidentemente racconta una letteratura scarna e che appare quasi occasionale, né la comunità internazionale né il governo afgano sembrano aver preso in seria considerazione un problema che appare come un'emergenza (la riforma agraria, le controversie sulla proprietà, l'archivio delle proprietà) che si trascina da sei lustri e che è stata – e probabilmente continua ad essere – una delle tensioni latenti del conflitto. E che, se è vero che la maggior parte dei dissidi tra comunità dipende dai contenziosi sulla terra, continua probabilmente ad alimentarlo. ( TERRA 29 AGOSTO DI EMANUELE GIORDANA )

LETTERA DALL’AFGHANISTAN. KABUL DICEMBRE 2020 Caro Giovanni, dovresti vedere la gioia degli afghani quando, dopo anni di bombe e massacri, finalmente raggiunta la democrazia, possono accedere al pagamento dell’Irpef sulla prima casa e andare, col ticket da 50 euro, all’ospedale da campo per la risonanza magnetica. Il burqa in Afghanistan non si indossa più, le donne liberate dalle forze Isaf, ora si coprono il capo e il volto col tanga e sono accompagnate a far la spesa dai marines. Anche qui la benzina un giorno aumenta di 1 euro, l’altro cala di 5 centesimi. Le grandi opere vengono finalmente realizzate, come ad esempio l’autostrada Herat-Kandahar a ben cinque corsie, compresa quella per il somaro. Nell’ambito delle grandi opere, a Herat è stato inaugurato da Berlusconi e la Minetti il centro estetico “Il gluteo” per la liposuzione, che darà lustro al territorio richiamando moltissime donne dall’Europa per il ritocchino; centro attraverso il quale la presidenza del Consiglio creerà “Potenza della democrazia”, il primo concorso di Bunga Bunga del Medio Oriente. Ma non è finita qui: è in costruzione la ferrovia Jalalabad-Kabul che traforando cento chilometri di montagne, porterà pomodori, cetrioli e patate nella capitale. E’ commovente vedere il tripudio di felicità della popolazione davanti a questa titanica impresa. Se penso a quello che è successo in Italia per un tunnel di cinquanta chilometri in Val di Susa, mi vien da piangere. Ma ora i soldati italiani per Natale, davanti a un cespo di insalata (ciò che è rimasto in Italia da mangiare dopo i costi della guerra e della politica) potranno dire “Io c’ero” e anche nel giorno dei morti diranno “Sì, lui c’era”. La raccolta differenziata ha avuto sviluppi clamorosi, oltre l’umido ci sono i bidoni per le 27 / 31 mani, per i piedi, per i nasi e i capelli, tutto viene riciclato. Un grande inceneritore per cadaveri rimasti intatti, che darà luce a tutta Kabul, verrà inaugurato dal ministro Frattini. Brunetta invece, che era stato incaricato di snidare i fannulloni di stato, a Kabul, spaventato da un missile terra-terra passatogli a 5 centimetri dal naso, è tornato in Italia. Bersani, che era stato invitato a organizzare l’opposizione nel parlamento afghano, dopo aver saputo che chiedendo i rimborsi elettorali ti tagliano la gola, ha desistito ed è tornato a Roma, con D’Alema che non ha accettato incarichi perché in Afghanistan ha scoperto che non c’è il mare. Gli americani continuano come sempre a bombardare in qua e in là, perché per loro, le guerre non finiscono mai, ma ogni volta che sbagliano bersaglio chiedono scusa, anzi sorgerà prossimamente, per massacri ed affini, il Ministero del Perdono, presieduto da Rosy Bindi con il generale Petraeus. Le arti figurative, data la polvere, stanno avendo uno sviluppo eccezionale, i Morandi sono andati alle stelle e si è manifestata con successo una nuova tendenza estetica: il “Polverismo”, dove il quadro e la scultura vengono letteralmente polverizzati con bombe artigianali e fucili mitragliatori. Insomma è tutto un proliferare di iniziative senza tregua, tanto che il Pil afghano, dopo l’apertura della Borsa e la coltura intensiva del papavero da oppio, è schizzato alle stelle, facendo invidia alla Cina e all’India. Del resto l’Afghanistan è l’unico paese senza debito pubblico, anche perché qui, se i Talebani beccano quei coglioni delle agenzie di Rating, la Borsa gliela riempiono loro. Dall’alba di un nuovo giorno, Tuo Sandro ( IL FATTO QUOTIDIANO 29 AGOSTO DAL BLOG DI GIOVANNI SCARDOVI)

DRONI A CACCIA DI AL QAEDA COLPITO ANCHE IL NUMERO DUE «Taghut al Asr, il tiranno dell'era presente, ci ha colpiti ancora». La conferma che la Cia aspettava, per divulgare la notizia, è arrivata due giorni fa dall'intercettazione di due colonnelli di Al Qaeda. Sconvolti, furiosi, preoccupati. A ragione. Perché il «tiranno dell'era presente», come i qaedisti chiamano il Grande Satana, questa volta aveva centrato un bersaglio forse meno simbolico, di sicuro più pericoloso dello stesso Bin Laden. Il cosiddetto nuovo «numero due» della rete terroristica è stato ammazzato il 22 agosto in un'operazione nella terra di nessuno del Waziristan, la regione tribale nel nord del Pakistan, poco lontano dalla villetta d'Abbottabad dove il 2 maggio i corpi speciali stanarono e uccisero il capo dei capi, Osama. Atiyah Abd al-Rahman sui forum islamici lo chiamavano anche Al Libi, perché nato in Libia: 35 anni, da teenager aveva lasciato le opposizioni islamiche a Gheddafi, le stesse che ora fanno parte dei ribelli in guerra civile a Tripoli, e se n'era andato in Afghanistan a raggiungere il fondatore di Al Qaeda, diventandone pian piano il braccio armato e il naturale successore operativo. Non si sa come l'abbiano ucciso. Rahman era uno che si muoveva spesso, rapido, nascosto. Senza scorte vistose. Entrava e usciva dall'Iran con grande facilità, circolava in piena libertà fra Isfahan e Teheran, perché secondo fonti israeliane è stato per anni «l'ambasciatore» qaedista presso gli ayatollah. Lunedì, il giorno in cui sarebbe stato individuato e colpito, proprio sulle montagne del Waziristan c'è stata un'operazione coperta della Cia, con l'uso di droni, gli aerei senza pilota. E' probabile che Rahman sia stato seguito nei suoi spostamenti via satellite, quindi eliminato con un bombardamento mirato: è servito forse qualche giorno, per avere da informatori sul terreno la conferma che il cadavere eccellente fosse il suo. «La sua morte è una perdita terribile per Al Qaeda», dicono al Dipartimento della Difesa americano. Il mese scorso, visitando l'Afghanistan, il segretario Leon Panetta aveva illustrato ai suoi «la strategia dei 20»: dopo la cancellazione di Bin Laden, questo l'ordine, era «fondamentale mantenere alta la pressione» e cercare d'uccidere «al più presto possibile i venti capi» sopravvissuti a Osama. In cima alla lista dei ricercati c'è naturalmente il sessantenne Ayman Al Zawahiri, il nuovo numero uno, il medico egiziano che da maggio ha ripreso la strategia dei video, per esortare la galassia qaedista a reagire «ovunque». L'ultimo attentato all'Onu in Nigeria fa probabilmente parte di questa nuova campagna. Ma potrebbe anche essere una risposta immediata all'uccisione di Rahman, che in un ideale organigramma del terrore islamico sarebbe stato l'amministratore delegato e il direttore generale insieme, laddove Al Zawahiri fa il presidente dell'impresa: «Il materiale trovato nel compound di Bin Laden ad Abbottabad — dice una fonte d'intelligence americana — dimostra senza dubbio che Rahman aveva grandissime responsabilità organizzative. Pianificava di persona molte delle operazioni, aveva background, esperienza e capacità uniche. Ora che si trattava di tenere insieme la rete e di gestire la nuova strategia, Al Zawahiri aveva puntato su di lui, libico, preferendolo per esempio al misterioso Saif Al Adel, egiziano. Era molto conosciuto, rispettato dalle cellule di tutto il mondo. Rimpiazzarlo, non sarà tanto facile. Specie adesso, vigilia del decimo 11 settembre: se gli orfani di Bin Laden sognano il grande bis, avranno prima bisogno d'un altro numero due. ( CORRIERE DELLA SERA 28 AGOSTO DI FRANCESCO BATTISTINI )

“AFGHANISTAN, CAMERA OSCURA”. IL LIBRO DI GABRIELE TORSELLO 12 ottobre 2006. Il fotoreporter italiano Gabriele Kash Torsello, viene rapito nel tragitto che da Lashkargah conduce a Kabul in Afghanistan. Uomini armati fermano l'autobus (...credevo si trattasse dell'ennesimo controllo di routine...) su cui viaggia, lo prelevano "a colpo sicuro" e lo conducono in una prigione con 28 / 31 l'accusa di spionaggio. Inizialmente incredulo, Torsello cerca di mantenere la calma continuando però a porsi domande sul perché del rapimento. L'esperienza vissuta e le modalità del sequestro lo inducono tuttavia ad escludere responsabilità ascrivibili ai Talebani. Nel governatorato di Helmand si sospetta, infatti, il coinvolgimento di ambienti di polizia deviati. Viene rilasciato tre settimane dopo. Nel suo nuovo libro "Afghanistan,Camera oscura" (320pp, Kash GT Edizioni) a distanza di quasi 5 anni dalla vicenda ripercorre con lucidità i momenti salienti di quella esperienza, raccontando in maniera puntuale e coinvolgente - anche attraverso immagini suggestive - fatti ed emozioni utili a far luce definitivamente su alcuni aspetti ancora controversi. Ricorda il lungo periodo di prigionia, regalando ai lettori uno spaccato davvero emozionante e conducendoli in un viaggio nella cultura, nell'essenza e nelle contraddizioni di un paese dove, spesso, un limite sottile divide legalità e crimine. E lo fa con doti di abile scrittore. "La vera liberazione è accaduta realmente pochi giorni fa, quando per la prima volta ho avuto modo di iniziare a raccontare esattamente ciò che è avvenuto in quel periodo, e dar voce a tutti i momenti che hanno caratterizzato quell'esperienza" ci dice lasciando trasparire una certa emozione nel rivivere quei giorni. Aggiunge, inoltre, di averlo fatto per "chiarire e descrivere tanti fatti che permettono di capire cosa è accaduto realmente, smontando quell'informazione che a volte i media sono costretti a seguire consapevolmente e inconsapevolmente". Dottor Torsello, nel libro dedica una parte importante al rapimento che colpì molto l'opinione pubblica. A Suo avviso chi furono i responsabili? "Non sono stato sequestrato dai Taliban, l'ho detto più volte e non è servito a far correggere l'onda mediatica che continua ancora oggi a ritenerli responsabili. Ora nella pubblicazione "Afghanistan CameraOscura" fornisco molti dettagli che provano l'evidenza: i Taliban non sono responsabili del mio sequestro, anzi pare che loro abbiano collaborate al mio rilascio. Con ciò non voglio difendere il movimento "Taliban" ma solo far chiarezza. I Taliban sono responsabili per molte atrocità, come altri, in Afghanistan ma non per questo devono essere "utilizzati" come capro espiatorio, come la giustificazione ad ogni problema. In Occidente si tende ad identificare il nome di un "nemico" ed incollargli tutte le colpe. Ciò può agevolare qualcuno, ma certamente non aiuta ad analizzare una problematica e risolverla. I problemi esistono per esseri risolti e non per essere camuffati e ignorati, altrimenti gli stessi problemi continuano a crescere e a ripresentarsi in maniera più difficile e complicata da risolvere. Lei è un ritornato all'Islam. Cosa è cambiato? "In realtà nulla è realmente cambiato. Quell'esperienza ha rafforzato in me il pensiero che la religione continua ad essere sfruttata e strumentalizzata dall'essere umano. E nel caso specifico ribadisco che il musulmano non rappresenta necessariamente l'Islam. Ancora una volta riscontriamo un onda mediatica finalizzata a obbiettivi politici più che informativi. Ciò è evidente quando un qualsiasi fatto di brutta cronaca accade: se un reato viene commesso da un cittadino qualunque, il fatto viene riportato identificando il cittadino con le generalità di nascita e/o di residenza non menzionando se è cristiano, hindu o ebreo. Se lo stesso crimine viene commesso da un cittadino qualunque ma di fede Islamica, la notizia viene riportata evidenziando principalmente la religione ‘un musulmano ha commesso.....' Il Suo libro offre anche spunti ulteriori circa la situazione in Medio Oriente, spazzato da un vento di rivolta senza precedenti. Quali sono le cause della situazione attuale e quali le prospettive future? Le cause attuali sono le stesse che ci hanno portato ad una situazione in cui sia la società che la natura sono molto inquinate: il soldo, l'economia. Viviamo in un mondo in cui si è innalzato in cima alla vetta l'economia e a seguire tutto il resto. Un mondo in cui ‘il fine giustifica i mezzi' indipendentemente dal mezzo che si utilizza. Tutto è lecito purché si raggiunga quel fine economico immediato e che a distanza di tempo inizia a crepare perché cresciuto e alimentato da mezzi spesso ingiusti ed erosivi. Il cambiamento è semplice ma occorre una forte volontà priva di compromessi: sulla vetta del nostro mondo occorre scalare l'economia al secondo posto e lasciare la cima, la testa, all'essere umano. Se tutte le decisioni fossero prese partendo dai valori umani comuni sarebbe il "mezzo" a giustificare il fine e non il contrario, e dovremmo ottenere l'utile ma un medio-massimo sforzo, tale da non compromettere e da non danneggiare il mondo che dobbiamo custodire, tutelare e consegnare per la prossima generazione, e per i figli dei figli dei nostri figli". A Suo avviso, quali potrebbero essere le possibili influenze di gruppi estremisti nel cavalcare e condizionare la protesta? Riguardo ai gruppi estremisti (di ogni genere) questi sono liberi di agire quando in un Pese c'è caos e guerra e sicuramente ne potrebbero trarne vantaggio se la condizione libica continua a rimane molto instabile. A proposito di questo, sono stato colpito dalle dichiarazioni di alcuni politici italiani rilasciate ai media durante i primi giorni di attacco in Libia. Dicevano "E' un fatto molto positivo che in queste rivolte non abbiamo visto bruciare la bandiera americana o simile..., significa che tra i ribelli non ci sono estremisti...' E cosa pensano, mi chiedo, che gli eventuali estremisti si ‘pubblicizzano' proprio nel momento in cui qualcuno gli sta creando i presupposti per poi agire? ( AGENZIA RADICALE 26 AGOSTO DI FRANCO NUCCIO )

KABUL SENZA FUTURO Pochi giorni prima del Natale 2008 il generalissimo Petraeus si è presentato a Roma con la lista dei doni chiesti dalla Casa Bianca: più soldati italiani per l’Afghanistan o quantomeno più carabinieri e più uomini della 29 / 31

Guardia di finanza per addestrare la polizia di Kabul. Ma si è trovato davanti una squadra di comandanti più pronti a criticare gli alleati che a fornire risposte. Il documento della visita romana di Davi Petraeus, all’epoca al vertice della truppe Usa impegnate nella guerra al terrorismo e che adesso andrà a dirigere la Cia, ottenuto da Wikileaks e che “l’Espresso” pubblica in esclusiva, mostra però i nostri ministri e i nostri capi di stato maggiore “ansiosi” di avere la linea dal Pentagono. Petraeus presenta una situazione di crisi, con l’aumento degli attacchi in molte aree del Paese che ha spinto gli Usa a ordinare massicci rinforzi. E anche Franco Frattini si mostra – contrariamente a quanto fa nelle interviste pubbliche – pessimista: “Frattini fa presente di avere ricevuto un rapporto molto sconsolante dall’ambasciatore italiano all’Onu sul viaggio in Afghanistan. Il ministro è preoccupato per le prospettive limitate di una soluzione politica globale”. Frattini propone di potenziare il ruolo dei carabinieri nella formazione della polizia afghana, un’idea che piace molto a Petraeus. E spinge il generale Fabrizio Castagnetti a contestare l’opera dei tedeschi, a cui è stata affidata la missione europea per l’addestramento della polizia di Kabul. “Castagnetti ha dichiarato che gli sforzi tedeschi sono un ‘fallimento miserabile’ specificando che la ‘Germania butta i soldi in un programma che non funziona’”. Un altro dei principali punti di attrito con gli alleati è la lotta alle coltivazioni di oppio. Gli italiani sono contrari alla distruzione della piantagioni che – se non accompagnata da risarcimenti o incentivi a seminare altro – porta i contadini a sostenere i talebani. Il generale Camporini, all’epoca il numero uno delle forze armate, sostiene di “essere sotto pressione nella lotta la narcotraffico specialmente da parte degli inglesi, per andare oltre gli obiettivi fissati dalla Nato”. Ma Petraeus non offre sponde e sottolinea come colpire il commercio di droga sia fondamentale per “togliere l’ossigeno che alimenta la guerriglia”. Petraeus evidenzia poi il problema della presenza fondamentalista in Pakistan. E Berlusconi indossa i panni dello statista: “Ha detto di aver parlato con il presidente pachistano Zardari su richiesta del premier indiano Singh per rinforzare la necessità di stroncare il movimento talebano in Pakistan. Berlusconi si farà carico di spingere le istituzioni economiche internazionali ad aiutare il Pakistan ma solo a condizione che il governo intraprenda azioni determinate contro i terroristi”. Oggi invece la grandeur è tramontata ed è l’Italia a dovere chiedere il sostegno della istituzioni finanziarie internazionali. ( L’ESPRESSO 26 AGOSTO DI STEFANIA MAURIZI )

AGENDA (Di più)______

AFGHANISTAN: A 10 ANNI DA 11 SETTEMBRE 'TAVOLA DELLA PACE' A KABUL A dieci anni dall'attentato che l'11 settembre 2001 distrusse le torri gemelle di New York e dall'inizio della guerra in Afghanistan, la Tavola della pace e l'associazione americana dei familiari delle vittime dell'11 settembre 'Peaceful Tomorrows' hanno deciso di andare insieme a Kabul "per dire basta alla violenza, alla guerra e al terrorismo". Una delegazione italo-americana si recherà nella capitale afghana dal 31 agosto al 5 settembre prossimi per incontrare i familiari delle vittime del terrorismo e della guerra, le organizzazioni della società civile afghana e i rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali presenti nel Paese. La missione di pace, organizzata grazie alla collaborazione di Afgana e del Coordinamento nazionale degli Enti locali per la Pace e i diritti umani, si svolge alla vigilia della marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli del prossimo 25 settembre. La missione della Tavola della pace e di 'Peaceful Tomorrows' vuole innanzitutto essere un forte gesto di solidarietà verso il popolo afghano e rendere omaggio a tutte le vittime della guerra e del terrorismo. Ai loro familiari verrà consegnata la 'Luce di Assisi', la lampada ideata dai francescani a simbolo della pace che tutti devono impegnarsi a costruire. La delegazione intende inoltre raccogliere valutazioni e proposte per il futuro del Paese, ascoltare le diverse espressioni della società civile afghana e i rappresentanti delle principali istituzioni internazionali presenti a Kabul. La missione intende dare seguito agli impegni assunti dalla società civile italiana in occasione delle Conferenze della società civile afghana di Kabul (marzo 2011) e di Roma (maggio 2011) organizzate da Afgana. (ADNKRONOS 29 AGOSTO).

A PALAZZO DUCALE SI PARLA DI AFGHANISTAN: INCONTRO IL 2 SETTEMBRE, MOSTRA FOTOGRAFICA FINO AL 1 OTTOBRE L'Afghanistan è il tema dell'incontro che si svolgerà venerdì 2 settembre, alle ore 16, in Sala del Piovego di Palazzo Ducale a Venezia a cui interverranno l'assessore comunale alle Politiche Giovanili e Pace, Gianfranco Bettin, il fondatore di Emergency, Gino Strada, la soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia, Renata Codello, l'artista Monika Bulaj che espone fino al 1 ottobre, sempre a Palazzo Ducale, una mostra fotografica "Nur/luce appunti afghani". Si inizierà partendo dalla straordinaria documentazione fotografica realizzata da Bulaj durante il suo solitario viaggio in Afghanistan nei luoghi attraversati dalla guerra. In bus, a cavallo, in autostop, a piedi, o a dorso di yak, con o senza burqa, l'artista ha ricercato ciò che i media non mostrano: riti segreti, magie, transumanze, fanatismi, canzoni, dolore, santità, droga, 30 / 31 contrabbando, povertà e un affascinante pianeta femminile. In più di trent'anni il conflitto afghano ha causato un milione e mezzo di morti e quattro milioni di profughi: denutrizione, scarso accesso ad acqua sicura, epidemie di tubercolosi e malaria non trovano risposte in un sistema sanitario nazionale inadeguato ai bisogni della popolazione. L'attività di Emergency nel territorio afghano e la situazione che sta vivendo il Paese saranno spiegate dal fondatore della nota Ong, Gino Strada. Da dicembre 1999 a oggi Emergency ha curato 2.975.851 persone nei tre centri chirurgici, nel centro di maternità, nei posti di primo soccorso e centri sanitari; dal 2000 l'organizzazione è inoltre impegnata in un programma di assistenza sanitaria ai detenuti delle maggiori carceri del Paese. L'appello per la liberazione del 34enne volontario di Emergency Francesco Azzarà, sarà lanciato dall'assessore Gianfranco Bettin, confermando la solidarietà dell'Amministrazione Comunale di Venezia, che da venerdì espone sulla facciata di Ca' Farsetti la foto del volontario rapito. (COMUNICATO STAMPA COMUNE DI VENEZIA 30 AGOSTO)

AFGHANISTAN: IN TURCHIA CONFERENZA REGIONALE IL 2 NOVEMBRE La Turchia ospiterà il 2 novembre 2011 ad Istanbul una Conferenza sull'Afghanistan a cui parteciperanno tutti i paesi confinanti e vicini per accompagnare gli sforzi di pace e riconciliazione del governo afghano. Lo riferiscono oggi i media a Kabul. La decisione di tenere la Conferenza è stata presa oggi. a margine della IV Conferenza dell'Onu sui paesi meno sviluppati, durante una colazione di lavoro offerta dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ad Ankara, ed a cui hanno partecipato i ministri dei paesi che parteciperanno all'incontro, quali lo stesso Afghanistan e poi Pakistan, India, Iran, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Arabia saudita e Emirati arabi uniti. In un comunicato stampa in cui manifestano la loro adesione all'iniziativa, i paesi firmatari riaffermano che l'appoggio al processo di trasferimento delle responsabilità della sicurezza all'Afghanistan entro il 2014. ''Un Afghanistan sicuro, stabile e prospero - si legge nel documento - è vitale per la stabilità e la pace di tutti, ma una simile atmosfera può essere assicurata solo in un più ampio contesto che rifletta l'amicizia e la cooperazione regionale''. (ANSA 10 MAGGIO).

AFGHANISTAN: CONFERMATO VERTICE DI BONN IN DICEMBRE L'inviato speciale tedesco per Pakistan ed Afghanistan, Michael Steiner, ha confermato a Kabul che la seconda Conferenza di Bonn sull'Afghanistan si svolgerà come previsto nel dicembre prossimo. Lo riferisce l'agenzia di stampa Pajhwok. La conferma della realizzazione dell'iniziativa è stata data dallo stesso Steiner in un incontro ieri sera con il ministro degli Esteri afghano, Zalmai Rassoul. E se la prima Conferenza, durata nove giorni e svoltasi nel 2001, permise la creazione di costituire una Autorità di transizione afghana, di introdurre una Costituzione post-talebana e definire elezioni presidenziali e parlamentari, la seconda dovrà approfondire le prospettive della transizione in corso ed il futuro dell'Afghanistan. Steiner e Rassoul hanno anche confermato che la seconda Conferenza di Bonn sarà gestita dal governo afghano. (ANSA 3 AGOSTO).

NATO/ IL SUMMIT 2012 SARÀ A CHICAGO, CITTÀ DI OBAMA Sarà a Chicago il summit di maggio 2012 sull'Afghanistan della Nato, insieme al vertice G8. Fonti della Casa Bianca hanno anticipato l'annuncio che il presidente Barack Obama farà in serata, all'interno del discorso sul ritiro delle truppe Usa in Afghanistan. Obama porta così nella sua città un altro importante appuntamento oltre al vertice degli otto più grandi paesi industrializzati. Non è la prima volta che il presidente sceglie un luogo a lui caro per un appuntamento importante: il summit sulla cooperazione in Asia-Pacifico si tiene quest'anno alle Hawaii, stato dove Obama è cresciuto. L'ultima volta che gli Usa avevano ospitato il G8 era stato a Sea Island in Georgia nel 2004. Il vertice Nato di Chicago sarà dedicato alla verifica degli obiettivi fissati allo scorso vertice di Lisbona nel 2010, quando l'alleanza occidentale aveva deciso di fissare la data del 2014 per il passaggio della responsabilità per la sicurezza alle forze armate afgane. (TMNEWS 22 GIUGNO)

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