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collana a cura di Riccardo Bertoncelli EDDY CILÌA - FEDERICO GUGLIELMI contributi di Carlo Bordone e Giancarlo Turra

» PIÙ CENTO DISCHI DI CULTO « Progetto grafico: Adriano Tallarini

Impaginazione: Studio Angelo Ramella, Novara

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ISBN: 9788809895935

Prima edizione digitale: ottobre 2019 ISTRUZIONI PER L’USO

La storia di questo libro parte da molto lontano. Il 1989 stava volgendo al termine quando noi due, entrambi quasi trentenni e con già alle spalle un’attività piuttosto lunga nel campo del giornalismo musicale, pensammo di organizzare per la nostra rivista “Velvet” un maxi-articolo in due puntate dedicato ai cento che ritenevamo indispensabili per inquadrare quanto meglio possibile il rock (e dintorni) del decennio in via di conclusione; benché sposassimo la tesi in base alla quale i decenni finiscono con il dicembre dell’anno con lo zero alla fine, e quindi avremmo dovuto rimandare il tutto di dodici mesi, ci rassegnammo a seguire la corrente dei tantissimi che parlavano di fine imminente degli ’80. Naturalmente, lo scopo, era anche quello di vendere copie, ma a darci la spinta maggiore era il desiderio di ordinare, catalogare e divulgare la materia nella quale tanto amavamo e amiamo tuttora sguazzare, come professionisti e come appassionati; all’epoca le cose non funzionavano come in questi giorni, in cui chiunque sale in cattedra a compilare elenchi, e certe iniziative erano davvero rare. Il successo del doppio dossier ci indusse a preparare un supplemento estivo con “il nostro rock in 333 album”: ai cento proposti mesi prima, ripresi pari pari, ne aggiungemmo cento per i ’70, cento per i ’60 e trentatré per i ’50 e i precursori. “Velvet Gallery”, così lo battezzammo, uscì nelle edicole e andò decisamente bene; del resto l’opera, se non la prima in assoluto di questo tipo firmata da italiani, era la più ampia mai realizzata nella Penisola, e i consensi erano fin troppo facili da prevedere.

Quasi esattamente dieci anni dopo, nell’estate del 2000, ci trovammo a ideare un progetto simile legato a un periodico in procinto di essere lanciato sul mercato, il trimestrale di approfondimento musicale “Mucchio Extra”. Volevamo che ogni numero ospitasse una lista di album essenziali divisi in tre categorie di importanza, e iniziammo con i “100” di quegli anni ’90 che di lì a poco si sarebbero spenti. Nel n. 2 toccò agli ’80, nel 3 ai ’70 e nel 4 ai ’60, mentre nel 5 “i 100” furono equamente divisi tra anni ’50 e dischi dal vivo. Nel 2002, mentre noi procedevamo – sempre con la collaborazione dello staff della rivista, come già si era fatto con “Velvet” – a redigere altri elenchi di cento (e poi cinquanta) titoli focalizzati su singoli generi o anche aree geografiche, la Giunti volle raccogliere quei primi sei blocchi di schede in un libro, Rock: 500 dischi fondamentali, di cui furono realizzate due fortunatissime edizioni. La sopraggiunta obsolescenza del volume e il nuovo cambio di decennio ci avrebbero in seguito indotto – inevitabile – a rimetterci al lavoro: Rock: 1000 dischi fondamentali vedeva la luce sempre con il marchio Giunti a fine 2012 e segnava un ulteriore passo avanti. L’ambizioso obiettivo rimaneva quello di offrire agli appassionati, sia neofiti che più o meno esperti, una guida alla conoscenza di base del pianeta rock e dei vari satelliti che gli orbitano attorno, ma il raddoppio delle schede – che furono disposte in semplice ordine alfabetico, lasciando che il grado di importanza

5 fosse chiarito dalla lunghezza – consentì di ampliare in modo notevole il quadro, nell’ottica usuale di suggerire gli album sui quali puntare l’attenzione per inquadrare gli artisti principali e i diversi sottogeneri, senza limitarsi ai soliti classici e rinnegando in buona parte l’obsoleto concetto che vede nel rock unicamente una musica “suonata con le chitarre da bianchi”. La sfida da noi raccolta, in estrema sintesi, era quella di dare adeguata rappresentanza a tutti i musicisti più influenti e a ogni tesserina di quell’immane puzzle genericamente etichettato come rock: non i mille dischi che personalmente reputavamo più belli in tale ambito, ma mille che ritenevamo particolarmente significativi. Il tutto privilegiando il rock in senso stretto ma prendendo in considerazione pure gli stili laterali, a condizione che avessero esercitato su esso una certa influenza e riscosso consensi fra il suo pubblico: quindi blues, rhythm’n’blues, soul, funk, reggae, hip hop, world music, elettronica, più alcune incursioni nel jazz.

Tracciati i confini, ci sforzammo di adottare criteri di selezione il più possibile oggettivi, dovendo però fare i conti con un passato che, per quanto concluso e quindi definito, non è mai immobile: la percezione che se ne ha cambia a seconda che lo si sia vissuto in prima persona o no, della distanza che ce ne separa e da quanto accaduto nel frattempo, ristampe comprese. È noto che sono i vincitori a scrivere la storia ed è parimenti lampante che, se è di arte che si tratta, il mutare del gusto e l’ampiezza della disponibilità ridisegnano eventi e manufatti trascorsi. Va da sé, dunque, che la scelta dei nostri “magnifici mille” non poteva che rispecchiare il momento in cui venne effettuata, e che in un’altra epoca essa sarebbe stata in qualche misura differente. Per dire: sul finire degli anni ’80 saremmo stati più parchi nel pescare nella musica tedesca dei ’70, visto che il post-rock e certa elettronica che tanto devono a Can, Faust, Kraftwerk, Neu! o Ash Ra Tempel ancora non esistevano; avremmo dato risalto al Sixties-revival, che ai tempi sembrò centrale o poco meno e da lungi pare invece poco più che una curiosità; mai e poi mai avremmo inserito i Pet Shop Boys e magari avremmo snobbato i Black Sabbath, perché il fenomeno grunge che li ha giustamente rivalutati era allo stadio embrionale. A fine ’70 il piatto della bilancia avrebbe probabilmente pesato di più dalla parte del punk, comprendendo anche testimonianze di quel pur valido pub rock che sul rock successivo ha esercitato un’influenza minima. Del resto, non è forse vero che la canonizzazione dei Velvet Underground è iniziata solo nei ’70 e che un referendum sui migliori dischi dei ’60 tenuto alla fine di quel decennio probabilmente non li avrebbe nemmeno citati? O che PET SOUNDS dei Beach Boys, votato da molti come il più bel disco pop-rock di sempre, in oltre mezzo secolo di esistenza ha avuto fortune critiche altalenanti?

Siamo così arrivati ai giorni nostri, cioè a quest’ultimo e ancora più imponente tomo che non si limita ad aggiungere ma in qualche misura “rettifica” il precedente. In primis, senza rinnegare il principio di fondo dell’estensione del concetto di “rock” di cui sopra, abbiamo eliminato alcune decine di album di world ed elettronica (quelli, per così dire, “meno vicini”

6 ISTRUZIONI PER L’USO al rock), molto hip hop e quei pochissimi titoli di (per quanto elettrico) jazz. La mannaia si è poi abbattuta, a seguito della decisione di iniziare la trattazione con la nascita del rock’n’roll, su tutti quegli artisti – specie di area blues/folk – che per il rock sono stati essenziali sul piano dell’influenza ma le cui registrazioni storiche precedono la metà dei ’50; benché si ritrovino per forza di cose citati qui e là, Big Bill Broonzy, Carter Family, Woody Guthrie, Son House, Blind Lemon Jefferson, Robert Johnson, Louis Jordan, Leadbelly, Charley Patton, Bessie Smith, T-Bone Walker, Bukka White e Hank Williams non hanno quindi più schede a loro nome. Infine, abbiamo omesso una piccola quantità di dischi all’epoca recenti di band e solisti che otto anni fa ci erano parsi meritevoli in prospettiva – delle piccole scommesse, insomma – ma che con il senno del poi abbiamo ridimensionato. I posti lasciati liberi dai depennati sono stati rilevati sia da album immessi sul mercato negli ultimi anni che da titoli più datati che nel 2012 non avevamo proprio potuto inserire per mere ragioni di spazio. Ulteriori ragionamenti ci hanno poi indotto a qualche sostituzione (stesso artista, ma disco diverso).

La novità principale è però l’istituzione della sezione “100 culti”, alcuni semplicemente spostati dai vecchi “1000” e molti, molti di più introdotti ex novo. Avevamo voglia di stupirvi, cogliendo impreparati su questo o quel disco anche lettori dalle conoscenze enciclopediche, ma – confessiamo – avevamo pure voglia di divertirci, proponendo, addirittura ripescando noi stessi lavori bellissimi ma che all’epoca dell’uscita vennero ignorati o, se qualcosa vendettero, sono poi caduti nel dimenticatoio, restando patrimonio di circoli iniziatici. Non hanno fatto la storia (come del resto cento e anzi mille altri che avremmo potuto designare in loro luogo a qualità media invariata: trattavasi in fondo di un gioco) e per lo più non hanno avuto emuli, ma ascoltateli e sappiateci dire: non avrebbero meritato una sorte migliore? L’arco temporale coperto va dal 1967, ossia dacché il 33 giri prese il sopravvento sul 45 nel mercato della musica allora giovane, ai primi anni ’90, quando il 33 giri venne a sua volta sopravanzato dal CD, mentre il successo clamoroso e inatteso da tutti di NEVERMIND risultava quasi altrettanto decisivo per cambiare per sempre il rapporto fra discografia maggiore, e dunque e sostanzialmente il mainstream, e quello che da un quarto di secolo veniva chiamato “underground”. Oggi, in una situazione ancora (e ancora più radicalmente) mutata da Internet, in cui sempre meno nomi vendono sempre più dischi lasciando a tutti gli altri le briciole, il concetto stesso di album “di culto” non ha più senso.

Mille dischi (più cento) possono sembrare tantissimi e per molti versi lo sono, ma ciò non significa che le operazioni di cernita siano state facili: anzi, per complicarci il lavoro (e renderlo più agevole a voi) li abbiamo suddivisi in tre fasce con schede di lunghezza decrescente. I “200 capolavori” sono gli imprescindibili in assoluto, i “300 imperdibili” quelli ai quali sarebbe comunque appena meno assurdo rinunciare, i “500 consigliati” servono ad allargare ulteriormente la visione d’insieme e quanto ai “100 culti” ne abbiamo

7 detto or ora. Quadro dal quale al solito abbiamo tenuto fuori tanto gli artisti italiani (su scala mondiale e a questi livelli di importanza il rock di casa nostra è purtroppo trascurabile), sia le raccolte di artisti vari. Sono invece presenti, in massima parte per solisti e gruppi fra i più antichi, parecchie antologie, subito visualizzabili grazie al simbolino collocato accanto all’intestazione. Alla luce di come l’album abbia acquisito il significato oggi attribuitogli soltanto dalla metà dei ’60 (in precedenza i 33 giri erano quasi sempre collezioni di singoli arricchite – o spesso impoverite – con qualche inedito), ci è parso logico operare così, scegliendo quelle con il rapporto migliore tra rappresentatività e qualità dei contenuti, reperibilità e prezzo contenuto. E, con appena un paio di eccezioni (ma economicissime), solo singole o doppie (niente cofanetti, dunque). E ci sono infine pure un tot di live, per lo più “storici” e magari composti da brani del tutto o in prevalenza inediti in studio all’epoca dell’uscita ma anche, in qualche caso di davvero straordinaria rilevanza, confezionati a distanza di decenni con materiali d’archivio. A patto che le incisioni documentino un unico concerto, o più concerti molto vicini temporalmente.

Può sembrare bizzarro che, nell’epoca dello streaming e delle singole canzoni da consumare in fretta, si sia voluto (ri)organizzare un libro legato all’idea “antiquata” dell’album, inteso come oggetto fisico e come strumento di cultura. Saremo fuori dal mondo, ma continuiamo a ritenere che certa musica – unitamente ai mezzi con i quali viene diffusa – non sia solo intrattenimento bensì Arte, oltre che una possibile chiave di accesso a conoscenze, immaginari e messaggi in grado di influire sulle sensibilità e le vite di quanti ne subiscono il fascino. Altro che “it’s only rock’n’roll, but I like it”! Con buona pace degli amatissimi Rolling Stones.

Eddy Cilìa e Federico Guglielmi

8 200 CAPOLAVORI AC/DC BLACK e del suo record pazzesco: ventidue i dischi di platino colle- Let There Be Rock zionati a oggi. (Atlantic, 1977) Classifiche e statistiche a parte, questo lavoro dal titolo biblico/ programmatico resta la pietra d’angolo dell’edificio di una fa- ma immensa. Già popolarissimi in patria (tre gli LP in curricu- lum), gli AC/DC non fallivano l’appuntamento con il primo la- voro concepito espressamente vagiti il rock poteva ancora in- per i mercati europeo e statuni- ventare modalità espressive tense. Hard granitico ma nel “nuove”, se non proprio nelle contempo dinamico il loro, vena- componenti di base almeno nel Quel che si dice uno “slow sel- to di blues e di rock’n’roll e scan- loro amalgama in schemi che ler”... Consulti gli annali di “Bill- dito da riff di fenomenale effica- non rimandino subito a espe- board” e scopri sorpreso che, cia. Hanno scritto in fondo sem- rienze già note. Semplificando lungi dall’essere il successo tra- pre la stessa canzone o al massi- all’osso, un intrigante e fascino- volgente che si è cementato in mo le stesse due i fratelli (origi- so abbraccio tra radici gospel e una falsa memoria collettiva, il nari di Glasgow) Angus e Mal- trame all’insegna di un (post) primo album per la Atlantic del colm Young, ma almeno fino a post-punk filo-industriale, im- quintetto di Sydney arrestava la BACK IN BLACK dell’80 (primo al- merso in atmosfere poco lumi- sua corsa nella graduatoria USA bum con il nuovo cantante Brian nose che a volte diventano spet- dei 33 giri a un modesto n.154. Johnson, sostituto del defunto trali e corredato di testi che Eppure negli Stati Uniti è certifi- per troppo alcool Bon Scott) sarà spaziano fra religione e politica. cato doppio platino, il che signifi- lecito non farci caso. LET THERE Volendo coniare un’etichetta, ca almeno due milioni di copie BE ROCK è una parata di classici soul-wave “in opposition” in cui vendute dacché nel luglio 1977 gioiosamente annichilente, dal arde il sacro fuoco dell’ispirazio- LET THERE BE ROCK raggiungeva i brano omonimo a Bad Boy Boo- ne, che è veicolo non solo di negozi americani oltre che quelli gie, da Problem Child a Hell Ain’t emozioni e suggestioni ma an- europei. Faranno in ogni caso A Bad Place To Be a (soprattutto) che di propaganda a favore di parecchio meglio la raccolta HI- Whole Lotta Rosie. giuste cause. Musica intellettua- GH VOLTAGE, la riedizione datata le e assieme spirituale, fisica e 1981 di DIRTY DEEDS DONE DIRT assieme melodica, e persino im- CHEAP e HIGHWAY TO HELL: rispet- Algiers pegnata: cos’altro chiedere? tivamente tre, sei e sette i milio- The Underside Of Power THE UNDERSIDE OF POWER ribadì il ni di copie totalizzati sempre e (Matador, 2017) concetto con dodici brani prodot- solo oltre Atlantico (anche se, Nel 2015, con l’omonimo album ti da Adrian Utley dei Portis­ trattandosi di australiani, sareb- d’esordio, gli Algiers – da Atlan- head e Ali Chant, nel complesso be più corretto dire oltre Pacifi- ta, Georgia – dimostrarono che a più compatti e potenti grazie co). Per non parlare di BACK IN oltre sei decenni dai suoi primi all’innesto di un batterista – l’ex

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Bloc Party Matt Tong – nella ta- mente portare in giro la leggen- volozza che già comprendeva il daria ragione sociale fin dentro canto e la chitarra di Franklin gli anni ’10 del secolo successivo James Fischer, l’altra chitarra di è stato grazie al lascito – filosofi- Lee Tesche e il basso di Ryan co quasi quanto musicale – di AT Mahan (in origine il groove era FILLMORE EAST. garantito con il battere di mani e Nella versione originale, poco piedi, cori ed elettroniche co- meno di ottanta minuti magma- munque mai invadenti). Musica tici di cui, nell’immaginario del al contempo tesa e rassicurante, rock, sono rimasti principal- caleidoscopica a dispetto delle mente i poco più di sessanta nei tinte per lo più livide, con agli dettero questo doppio dal vivo quali l’arte della jam viene por- estremi dello spettro la laceran- evidenziò la capacità di distilla- tata ad apici toccati forse solo te, ossessiva Animals e la dolce e re in brani relativamente succin- dai di LIVE/DEAD e comunque inquieta A Hymn For ti blues e soul, country, jazz e dai Quicksilver di HAPPY TRAILS. An Average Man; in mezzo, infini- rock’n’roll, mettendo abilità tec- Non dai Cream, di cui gli All­ te varianti, con la più netta pro- niche sensazionali al servizio di man vennero detti con superfi- pensione verso un r’n’r magnifi- una forma-canzone che era colta cialità il contraltare americano, camente ibrido dichiarata dal senza volerlo sembrare. Quella quando sarebbe dovuto risulta- poker d’assi di apertura, che che, persi tragicamente e lette- re evidente che nella loro musi- dalla convulsa Walk Like A Pan- ralmente per strada due compo- ca la tecnica non scadeva mai in ther giunge alla tenebrosa Death nenti fondamentali, si acconciò a tecnicismo e i volumi mai veni- March (il momento più “dark”: semplificarle assai quelle canzo- vano alzati gratis. Alchimia im- nomen omen) passando per l’in- ni, buttandole sul country a sca- prendibile quella delle due sere calzante Cry Of The Martyrs e la pito del blues e continuando pe- al Fillmore di New York – 12 e maestosa traccia omonima – raltro a riscuotere (addirittura 13 marzo ’71 – di cui qui si fa scelta come singolo per via del incrementandolo) un successo sinossi. Irripetibile anche, giac- suo pur ambiguo appeal “pop” – enorme. E c’è stata poi una All­ ché il 29 ottobre di quello stesso definita “un incrocio fra Suicide man Brothers Band rimasta in anno Duane Allman – il chitarri- e Temptations”. circolazione fino al 2014 conti- sta bianco più “nero” che mai ci nuando a riempire negli Stati sia stato – si ammazzava in mo- Uniti palasport e persino stadi e, to e medesima sorte sarebbe The Allman se fu certo un vivere di glorie toccata, tredici mesi più tardi, al Brothers Band trascorse, lo fu relativamente: bassista Berry Oakley. At Fillmore East giacché il repertorio storico ve- (Capricorn, 1971) niva ogni sera insieme celebrato Quante Allman Brothers Band e trasfigurato come se si fosse Laurie Anderson diverse ci sono state? Quattro trattato, in toto e non in parte, di Big Science almeno? Quella che nei due al- jazz. Se questa ultima incarna- (Warner Bros, 1982) bum in studio (l’omonimo del zione del gruppo fondato nel Laurie Anderson nasce a Chica- novembre 1969, IDLEWILD SOUTH marzo 1969 dai fratelli Duane e go nel 1947, studia violino al del settembre 1970) che prece- Greg Allman ha potuto legittima- Conservatorio, si trasferisce a

11 pensato di trovarsi a recitare, di zati, che grossomodo si raddop- rockstar, la Anderson confezio- pia aggiungendovi i progetti soli- na un primo album tutto di stici e paralleli, e l’indole alla estratti da tale lavoro. contaminazione che da sempre BIG SCIENCE declina elettronica guida i passi di questi musicisti dal volto umano, prodotta con i atipici e creativi, in grado di marchingegni più vari, e minima- cambiar più volte pelle rimanen- lismo pop. Incanta, ardito ma per do tuttavia in sintonia con una niente ostico o solo moderata- “visione” – alla luce dei fatti, il mente, intreccio di voci filtrate e termine “stile” potrebbe non es- tastiere solenni, percussioni di- sere totalmente appropriato – New York nel 1971, comincia a screte, flauto, sassofono e un vio- personale e riconoscibile. insegnare. È proprio insegnando lino inventato dalla stessa Lau- Ottava tappa di studio di un iti- che scopre in sé notevoli qualità rie, con un nastro al posto dell’ar- nerario assai tortuoso sotto ogni affabulatorie. Unite ai molteplici chetto e una testina magnetica in profilo, MERRIWEATHER POST PA- interessi per teatro, cinema e luogo delle corde. La frase incisa VILLION tira i fili e riassume i te- arti figurative, sviluppate sul nastro? Tutta un programma: mi salienti di un impegno artisti- nell’ambiente sempre in fertile “Ethics is the estethics of the futu- co che tra il 2004 e il 2007 ave- subbuglio dell’avanguardia re”. E proprio dal futuro sembra va già fruttato ottimi album all’ombra della Big Apple (strin- ancora giungere questo disco. quali SUNG TONGS, FEELS e ge amicizie che porteranno a Mai l’avanguardia era parsa così STRAWBERRY JAM, giungendo a collaborazioni con Peter Gordon vicina alla vita, ai sogni, alle pa- una sintesi dotata del requisito e William Burroughs, John Gior- ranoie dell’uomo comune. In per- dell’omogeneità. Un viaggio poli- no e Robert Mapplethorpe), so- fetto equilibrio fra essenzialità cromo e non privo di colpi di no la materia prima di perfor- strutturale ed esuberanza conte- scena attraverso undici episodi mance via via più audaci e im- nutistica. che vanno a comporre una “sui- pegnative. Presto multimediali. te” straniante-ma-non-troppo ba- Ambiziosissima United States I- sata sulla ripetitività per lo più IV, otto ore nella versione com- Animal Collective pigramente ipnotica dei ritmi, su pleta, pronta all’inizio del 1980 Merriweather Post Pavillion efficaci fantasie elettroacusti- e di cui saranno gli otto minuti (Domino, 2009) che/elettroniche, su bizzarri in- di O Superman, indimenticabile Tanto movimentata, complessa e scorcio di America post-tutto in ricca di avvenimenti contigui da forma di mantra elettronico a potersi definire saga, quella de- pagare la realizzazione: caso gli Animal Collective è una delle unico di musica sperimentale più intriganti avventure rock del che scala le classifiche dei sin- post-2000, anche fuori dal circu- goli fino alle zone altissime (in ito indie nel quale la band ame- Gran Bretagna è un n.2). Proiet- ricana – che per anni ha avuto tata dalle gallerie frequentate come base New York – ha svilup- da ristrette cerchie di intellet- pato il suo percorso. Parlano tuali nel ruolo, che mai avrebbe chiaro il numero di dischi realiz-

12 200 CAPOLAVORI trecci di voci e arrangiamenti. troppo ricco panorama pop-rock dare l’impressione di un’enfasi Cantilene psichedeliche che av- – versante arty – del primo scor- almeno in parte fittizia, in Anto- volgono e cullano, delineando cio di terzo millennio. Un’emer- ny non ci sono falsità o calcoli di un concetto certo un po’ surreale sione fallita ai tempi dell’esordio convenienza: la sensibilità e il e poco estroverso – ma non per sponsorizzato da David Tibet dei trasporto emotivo sono autentici questo povero di fascino, anzi – Current 93, avviata dalla parte- e a venir messa in scena è solo di pop song delicata e onirica e cipazione a THE RAVEN di Lou la verità di una vita e un’anima solo a piccole dosi disturbante, il Reed e pienamente raggiunta a che, fra i disagi, riesce a trovare tutto con un approccio “filo-sin- trentatré anni con questo secon- grazia e armonia. Più che di fonico” e un suono mai definito do album, “benedetto” da parec- “pop”, per quanto alto, è quasi il prima in modo così accurato chi illustri ospiti – dal padrino caso di parlare di un’esperienza (specie negli impasti canori, pa- Lou Reed stesso a Devendra trascendentale, benché i temi recchio Sixties). Delirando un Banhart, Rufus Wainwright, Jo- trattati siano inequivocabilmen- po’, cosa che nel contesto specifi- an As Police Woman e Boy Geor- te terreni e talvolta persino tor- co ha anche senso, una specie di ge (in duetto con il Nostro nella bidi: una delle numerose, stimo- mostro di Frankenstein dove l’e- You Are My Sister emblematica lanti contraddizioni di un musi- stro deviato dei Flaming Lips in- fin dal titolo) – e baciato dal cista per il quale si è a corto di contra – con trame più imponen- plauso degli addetti ai lavori e termini di paragone. ti – l’evocatività mesmerica dei del pubblico più attento. Con- Sigur Rós, sotto lo sguardo com- sensi ampiamente comprensibi- piaciuto di un Brian Wilson in li, alla luce della bellezza di die- Arcade Fire stato di alterazione da acidi. ci brani sospesi fra folk, jazz e Funeral grande canzone classica, con- (Merge, 2004) traddistinti da un assetto elet- Tra le tante, troppe band salite Antony & The Johnsons troacustico tanto elegante quan- alla ribalta negli anni 2000, gli I Am A Bird Now to equilibrato (il pianoforte di Arcade Fire si sono prepotente- (Secretly Canadian, 2005) Hegarty, archi, ottoni), da melo- mente segnalati come una delle Non possono sussistere dubbi die audaci, da testi tutt’altro che pochissime con le carte in regola sul fatto che Antony Hegarty sia leggeri e a tratti inquietanti. So- non solo per una carriera lunga una delle figure più carismati- prattutto, da una voce capace di e gloriosa ma anche per essere che emerse dal caotico e fin infinite evoluzioni che sa essere erede – magari riluttante, ma sofferta e celestiale assieme. A lasciare stupefatti, di I AM A BIRD NOW e dell’intera opera di questo inglese adottato da New York, sono le atmosfere, i magni- fici chiaroscuri, il pathos del quale è imbevuta ogni interpre- tazione. Anche se l’insieme ri- chiama in qualche modo il tea- tro, magari mitteleuropeo, e una lettura superficiale potrebbe

13 non sempre è possibile opporsi un passo dal kitsch; estrosi e reputarli l’ennesima bufala del al destino – di quella grande tra- coraggiosi, gli Arcade Fire ama- “New Musical Express”, o al mas- dizione rock che dalla seconda no tanto rassicurare quanto simo una meteora. Altri lavori di metà dei ’90 sembra(va) essere spiazzare, sorretti da una visio- pregio, compreso il progetto Last stata assassinata dalla mediocri- ne artistica dove antico e mo- Shadow Puppets allestito dal tà e dall’adesione al principio derno, magniloquenza e sobrie- frontman Alex Turner assieme a del basso profilo. Generata dalla tà, genio e sregolatezza trovano Miles Kane, hanno invece affer- fertilissima scena indie di Mon- un loro magico equilibrio. Stra- mato il quartetto di Sheffield co- treal, la compagine guidata da no? Sì e no. Si sta del resto par- me una delle realtà più fresche, Win Butler e Régine Chassagne lando di gente che ha scelto di propositive e determinate del – entrambi cantanti e multistru- presentare come biglietto da vi- rock britannico degli anni 2000, mentisti, nonché marito e moglie sita un disco ispirato dai lutti mai statica sotto il profilo musi- – è infatti dotata di personalità, che avevano colpito quasi tutte cale e brillante per quanto ri- carisma e presenza scenica, e le loro famiglie. Si presume vo- guarda testi nei quali non è as- soprattutto della capacità di in- lesse essere un esorcismo, non surdo vedere una sorta di versio- ventare musica gradita al pub- si può negare che l’obiettivo sia ne aggiornata di quelli dei glorio- blico alternative così come agli stato perfettamente centrato. si Kinks. Al di là di quanto acca- estimatori di formule più classi- duto in seguito, nella Storia è pe- che. E di riscuotere i consensi di rò rimasto scolpito WHATEVER PE- colleghi illustrissimi quali David Arctic Monkeys OPLE SAY I AM..., con i suoi tredici Bowie, Bruce Springsteen, David Whatever People Say I Am, brani per lo più brevi e incalzan- Byrne e U2. That’s What I’m Not ti all’insegna di strutture com- (Domino, 2006) Pubblicato un anno dopo un pro- patte, energia, distorsioni, stac- mettente EP con sette tracce, All’epoca di questo primo album, chi fulminei e melodie orec- l’autentico esordio adulto del lanciato da singoli irresistibili chiabili: post-punk, funk e pop gruppo è un fascinoso, magneti- quali I Bet You Look Good On The frullati in un sound ritmato, co capolavoro di art rock ricco e Dancefloor e When The Sun Goes frenetico e spigoloso, ulteriore solenne, sviluppato in canzoni Down, attorno agli Arctic Mon- (ma non banale) variazione sul dalle costruzioni melodiche ardi- keys regnava ancora un certo tema “chitarre-basso-batteria- te e spesso imprevedibili; canzo- scetticismo: facile, per gli snob e voce”, il tutto esaltato da un’ir- ni che assomigliano a mini sinfo- i cinici, fermarsi alla superficie e ruenza giovanile – quando fu nie, stilisticamente accostabili a inciso, l’età media dei ragazzi esperienze differenti (Echo & era di appena vent’anni – solo The Bunnymen, Interpol, Fla- in parte mediata da una maturi- ming Lips...) ma riconoscibili in tà che ha del sorprendente. ogni circostanza. Conta poco se a Ispirato a peripezie più o meno prevalere siano le reminiscenze romanzate di nightclubbing, che folk, le tendenze filo-orchestrali, assieme vanno a costituire un le deviazioni psichedeliche, quadro sfaccettato e brioso – a l’impatto rock’n’roll, le sugge- dispetto dei toni un po’ claustrofo- stioni esotiche, le fantasie melo- bici e non sempre rassicuranti – drammatiche o certe soluzioni a della vita di un post-adolescente

14 200 CAPOLAVORI nell’Inghilterra del Nord, l’esor- World, You e The World Won’t dio degli Arctic Monkeys è non Stop dimostrano senza possibili- solo un gran bell’attestato di tà di smentita la capacità della qualità e autorevolezza, ma an- band di Hollywood di infiamma- che uno specchio dei suoi tempi. re corpi, cuori e menti, nonché Nessuno stupore che, complice il la sua straordinaria abilità – battage pubblicitario spontaneo specie della coppia Graffin/Gu- che aveva affermato la band in rewitz, che firma larghissima Rete, sia schizzato in vetta alle parte del repertorio – di dare classifiche d’Oltremanica (fu il vita a canzoni sempre diverse “fastest selling debut album in ed eccitanti a dispetto della so- British history” con oltre approccio melodico rimarcato stanziale semplicità dei loro ele- 360.000 copie vendute nella pri- dalla personalissima voce di menti costitutivi e della limita- ma settimana) e abbia fatto in- Greg Graffin e da testi quanto- tezza degli schemi adottati. cetta di premi in qualsiasi refe- mai lucidi e poetici nel trattare rendum del 2006. scottanti temi politici e sociali; il tutto in un tripudio di chitarre Erykah Badu tanto granitiche quanto guizzan- Baduizm Bad Religion ti (il cofondatore Brett Gurewitz (Universal, 1997) No Control e Greg Hetson dei Circle Jerks), Texana di natali ma di madre (Epitaph, 1989) stacchi mozzafiato e cori dall’en- nigeriana, Erica Abi Wright evi- Senza nulla voler togliere alla fasi quasi epica. Un canone che denzia spirito libero e pulsioni fase iniziale documentata al me- tantissimi, in ogni parte del glo- afrocentriche sin da quando, glio dal grezzo ma travolgente bo, avrebbero cercato di replica- quattordicenne e già una voce HOW COULD HELL BE ANY WORSE? e re con fortune maggiori o mino- familiare per gli ascoltatori di alla comunque ottima produzio- ri, ottenendo in ogni caso l’effet- una radio di Dallas dove fa free- ne successiva, è opinione comu- to di esaltare l’unicità dell’artico- styling, si cambia le generalità, ne che lo zenit qualitativo dei lo originale. modificando un nome “da schia- Bad Religion sia nel tris di al- Con i suoi quindici brani per va”, assumendo un cognome bum pubblicati fra il 1988 e il una durata complessiva appena prelevato da una lingua parlata 1990, ovvero SUFFER, NO CONTROL superiore ai ventisei minuti, NO in Ghana. Tanto è lungo – dodici e AGAINST THE GRAIN. Ricostituito- CONTROL è un’aggressione furi- si dopo alcuni anni di confusio- bonda ma perfettamente coordi- ne e/o inattività, il gruppo cali- nata, un vero e proprio monu- forniano trovava infatti nuovi mento al genere – l’hardcore stimoli e, incentivato dalla note- melodico, appunto, da non con- vole espansione di quell’hardco- fondere con il popcore – di cui i re punk che aveva di fatto tenu- Bad Religion sono e saranno per to a battesimo, sviluppava una sempre gli ideali portabandiera. formula sonora estremamente Inni come Change Of Ideas, Big efficace dove compattezza e rapi- Bang, No Control, Automatic dità di esecuzione sposavano un Man, I Want To Conquer The

15 ulteriori anni, con come tappa cava contiguità con la nazione ti e trentatré secondi di The più cruciale un duetto con D’An- hip hop riannodava trame che Night They Drove Old Dixie gelo – il percorso con al fondo portano ben più lontano di Are- Down. THE BAND vive in una di- questo debutto, tanto è clamoro- tha: a Nina Simone; a una Billie mensione (a)temporale tutta sua, so l’impatto numerico e mediati- Holiday che spesso ricorda nel saporosa di Arcadia, abitata – co di BADUIZM: primo nella gra- fraseggio e nelle inflessioni. Tan- prima che da quanti precedette- duatoria black di “Billboard”, se- te – da Angie Stone a Jill Scott, a ro Rick Danko, Levon Helm, condo in quella pop con il singo- Kelis – le si metteranno in scia, Garth Hudson, Richard Manuel lo On And On dodicesimo, triplo senza però eguagliare né questi e Robbie Robertson sui sentieri platino negli USA e con quattro vertici né quelli, appena meno del rock’n’roll – da scrittori co- candidature ai Grammy Awards vertiginosi, che saprà toccare me Washington Irving e James due delle quali (“migliore album nel 2000 MAMA’S GUN. Dopo l’ar- Fenimore Cooper, Henry David R&B”, “migliore performance vo- tista diraderà le uscite, fino a Thoreau e Nathaniel Hawthor- cale femminile R&B”) coronate una quasi totale scomparsa dalle ne, Herman Melville, Walt Whit- da successo. Ma naturalmente scene: nessun suo album negli man, Mark Twain. E, collocando- non solo per questo (quanti di- anni ’10 dopo quel NEW AMERY­ si programmaticamente e filoso- schi mediocri hanno goduto di KAH PART TWO che li inaugurava. ficamente fuori dal tempo, quel- fortune anche più grandi?) lo si lo che fu non il primo ma il se- può dire “epocale”. Fatto è che condo LP (omonimo a volerne BADUIZM marcava contestual- The Band sottolineare la rappresentativi- mente l’emersione di un’inter- The Band tà) dell’unico gruppo tanto gran- prete come il soul non ne vanta- (Capitol, 1969) de e arrogante da potersi chia- va da un paio di decenni e una mare Il Gruppo non è invecchia- rivoluzione in un ambito in cui to di un giorno dacché vide la da troppo – dimenticandosi del- luce. Sta lì, immutabile, modello le ragioni stesse per le quali que- a oggi insuperato (e avvicinato sta musica si chiama così – tutto da pochi) per chiunque voglia veniva costruito a tavolino, ogni declinare Americana “in rock”. angolo smussato allo scopo di Nel quasi decennale percorso imprimersi (fastidiosamente) con come approdo le dodici can- nella memoria senza mai graffia- zoni in tutti i sensi classiche qui re sul serio il cuore. Rivoluzione contenute c’erano stati per co- che, fosse stata politica (un po’ lo minciare gli Hawks, quattro ca- fu), avrebbe potuto trovare sinte- Ascolti un sacco di dischi del nadesi e un unico statunitense si in uno slogan: guardare indie- 1969 – anche eccellenti, anche (Helm) a dare man forte a un tro per andare avanti. Come so- capolavori che hanno fatto la Sto- cantante americano, Ronnie vente accade le andrà dietro una ria – e, se un po’ ne mastichi di Hawkins, emigrato a nord in Restaurazione, progressivamen- rock, istantaneamente li puoi da- cerca di fortuna. E poi alcune te sempre più fomentata dall’a- tare. THE BAND no. THE BAND se collaborazioni con il bluesman buso di auto-tune. proprio appartiene a degli anni bianco John Hammond. E quindi Co-autrice di quasi tutta la sca- ’60 è a quelli del secolo prima, e soprattutto il sodalizio con il letta, la Badu nel mentre rivendi- celebrati nell’epopea in tre minu- Bob Dylan della svolta elettrica,

16 200 CAPOLAVORI celebrato a cavallo fra il 1965 e ferimenti a Donovan, ai Tyran- il 1966 con il tour mondiale più nosaurus Rex, ai Pearls Before controverso di sempre e di Swine, a Tim Buckley e a nume- chiunque. A Zimmie i ragazzi rosi altri artisti dei Sixties che, erano stati tanto più vicini nel su entrambe le sponde dell’At- ritiro a Woodstock seguito al lantico, cercavano di spingere il leggendario incidente in moto e folk verso strade meno conven- ne erano risultati gli al pari mi- zionali e più visionarie. Sensato tici BASEMENT TAPES. E Bob ave- affermare che il movimento neo- va ricambiato regalando al loro folk fiorito nella seconda metà esordio autonomo, MUSIC FROM degli anni 2000 debba la sua BIG PINK, il dipinto in copertina e major con la Reprise/Warner. ascesa al notevole interesse cre- tre brani immensi. THE BAND ar- Sviluppi successivi a parte, sono atosi attorno al nostro uomo. rivava un anno dopo: prodigio- comunque in parecchi a ritenere so Independence Day (Ro- che l’ispirazione più genuina e bertson assisosi al comando) di- toccante del musicista alberghi The Beach Boys viso fra ballate dolenti e spu- nei dischi marchiati dall’etichet- Pet Sounds meggianti uptempo. ta di e soprattutto (Capitol, 1966) in REJOICING IN THE HANDS, secon- Migliore album di tutti i tempi do album ufficiale (partendo da per il “Times”. Passando alla OH ME, OH MY...) di una produzione stampa specializzata, l’undicesi- Rejoicing In The Hands che si sarebbe magari gradita un mo LP in studio dei Beach Boys è (Young God, 2004) po’ più parca. È qui che il folk di stato analogamente votato mas- Personaggio inusuale, Devendra Banhart, piuttosto scarno nelle simo capolavoro della popular Banhart, non solo per l’aspetto strutture ma ricco e vivace per music dal mensile “Mojo” nel eccentrico o per il nome, suggeri- quanto concerne i colori di una 1995 e dal settimanale “New to ai genitori – padre americano, strumentazione prevalentemen- Musical Express” nel 1997. Nel madre venezuelana – da un san- te acustica, trova infatti il suo 2003 il quattordicinale “Rolling tone indiano. Personaggio che migliore svolgimento, in sedici Stone” lo piazzava invece “sol- nessuno avrebbe presumibil- episodi dove reminiscenze ance- tanto” secondo in una classifica mente ritenuto capace di racco- strali e suggestioni esotico-misti- di cinquecento titoli. Il primo? gliere consensi fuori dal circuito cheggianti incontrano una poeti- underground e che invece, dopo ca stralunata e naïve dalla quale l’avvio di carriera sotto l’egida è difficile non venire conquistati. della Young God, ha capitalizzato Raccolta di quadretti “freakede- i riscontri ottenuti legandosi alla lici” dalla grande forza emotiva, ben più visibile XL Recordings e ora quasi solo abbozzati e ora quindi – divenuto oggetto di un nettamente più rifiniti ma sem- culto di vaste proporzioni, anche pre privi di forzature o eccessi, in ambiti modaioli che con la mu- REJOICING IN THE HANDS è un cu- sica hanno poco da spartire – fir- rioso, seducente patchwork in mando addirittura un contratto cui può sembrare di scorgere ri-

17 SGT. PEPPER’S LONELY HEARTS CLUB me i troppi e troppo spesso or- teria, dove i tre sono di casa, co- BAND, ossia un disco che Paul rendi emuli chiariranno, non minciano a unirsi loro dei DJ. Il McCartney ha sempre dichiara- fossero validissime di partenza cambio di pelle si completa nel to essere stato influenzatissimo le canzoni, non fosse studiatissi- 1984. In luglio i Beastie Boys proprio da PET SOUNDS. Laddove mo e misuratissimo ogni detta- supportano Madonna. In ottobre Brian Wilson non ha mai nasco- glio questo pop-rock fra il sinfo- firmano per la Def Jam. Bisogna sto che senza RUBBER SOUL (per nico e lo psichedelico risultereb- però aspettare il 1986 perché inciso: quinto nella graduatoria be un indigeribile pasticcio. È escano i primi 45 giri del nuovo di cui sopra) PET SOUNDS sarebbe invece la pietra miliare che dal corso, quattro, senza che nulla stato a sua volta parecchio diver- giorno dell’uscita – 16 maggio accada. Quando LICENSED TO ILL so o, addirittura, non sarebbe 1966 – si dice che sia. viene pubblicato è novembre e stato per nulla. Non si dà proba- nulla fa prevedere che in un an- bilmente altro caso in questo no collezionerà quattro dischi di volume di influenze reciproche Beastie Boys platino. Ma, come accadrà un tanto virtuose e produttive. Licensed To Ill lustro più tardi con NEVERMIND, Di ritorno a inizio 1966 da un (Def Jam, 1986) per chi ha orecchie per intende- tour di tre settimane di Giappo- Adam “MCA” Yauch e Michael re è subito chiaro che ci si trova ne e Hawaii, sono i restanti Boys “Mike D” Diamond si conoscono in presenza di un lavoro epocale. (da un anno il leader ha annun- il 5 agosto 1980, alla festa per il C’è molto teen spirit (sebbene ciato il ritiro dai concerti) i primi quindicesimo compleanno del non della tormentata qualità di a restare sbalorditi dai brani che primo. I Beastie Boys nascono quello di Cobain; l’opposto) in il maggiore dei fratelli Wilson ha un anno dopo. All’ombra della Rhymin & Stealin’. Un titolo pro- scritto nel frattempo. Ancora di Grande Mela sta sbocciando grammatico: le tre bestioline ri- più, dai complessi arrangiamen- l’hardcore e suonano hardcore i mano su basi campionate e dun- ti che va cucendo loro addosso. primi Beastie Boys. Ma all’om- que rubate. Un colpo di genio: Figurarsi allora quanto devono bra della Grande Mela sta sboc- mettere insieme il ritmo e le tec- restare spiazzati alla Capitol da ciando anche l’hip hop. Un rim- niche dell’hip hop, dal sampling una musica che con le canzonci- pasto nella formazione porta in allo scratching, con i riff chitarri- ne surf d’antan dei ragazzi non squadra Adam “King Ad-Rock” stici del rock più greve. condivide che le intricate armo- Horovitz. Vengono snocciolati i LICENSED TO ILL è un ciclone che nie vocali. Tutto è viceversa primi rap. Al CBGB’s e al Dance- travolge gli USA. Musicale: se cambiato attorno, ricchissimo un The New Style, Paul Revere, Hold tessuto strumentale che agli ar- It Now, Hit It inclinano verso nesi classici del rock – chitarra, l’hardcore nell’accezione hip basso e batteria – non si limita hop del termine, risultando così ad aggiungere un profluvio di poco invitanti per i ragazzini archi e tastiere, ottoni e legni. bianchi (e viceversa magnifiche Osa inserendo dal theremin al per i neri), il resto del program- campanello di bicicletta, da un ma li fa impazzire. Rhymin & Ste- harpsichord a un abbaiare di ca- alin’ è distillato di Sabba Nero, le ni, a una lattina di Coca Cola scansioni alla AC/DC di Fight For trasformata in percussione. Co- Your Right To Party e No Sleep

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Till Brooklyn testosterone puro, boy). Poi c’è la scritta, un assag- no fatto amicizia con Bob Dylan le cantilene dementi di She’s gio di quello stile grafico che e con la marijuana. Hanno jam- Crafty e Girls un anticipo della emergerà da lì a poco con la psi- mato con Elvis. Hanno appena Weltanschaung di Beavis e Butt- chedelia, e perciò sarà detto psi- provato l’LSD. Il futuro appare Head. Di costume: per la prima chedelico, molto prima che la illimitatamente ricco di possibili- volta il pubblico bianco si acco- suddetta etichetta entri nell’uso tà. Le coglieranno tutte. sta in massa all’hip hop e quello corrente. E la seconda canzone, nero adotta dei bianchi. Per una Norwegian Wood, davvero non certa America, una faccenda in- può essere definita in altro modo The Beatles tollerabile. se non “psichedelica”. Ma la pri- Sgt. Pepper’s ma, Drive My Car, è quintessen- Lonely Hearts Club Band (Parlophone, 1967) za di beat. La terza, You Won’t The Beatles See Me, spiattella atmosfere ro- Dalle nove ore e quarantacin- Rubber Soul mantiche e una melodia scicco- que minuti bastanti a registrare (Parlophone, 1965) sissima. La quarta, Nowhere PLEASE PLEASE ME ai centoventi- Man, compendia le prime tre ed nove giorni necessari per com- è scrosciare di applausi a scena pletare SGT. PEPPER’S LONELY aperta. RUBBER SOUL è uno di HEARTS CLUB BAND: anche da un quei rari LP dei quali ogni episo- dettaglio così si misura l’imma- dio è irrinunciabile. Ci sono ne distanza fra il debutto a 33 Think For Yourself e If I Needed giri dei Beatles e quello che è Someone, le prime due grandi considerato unanimemente il creazioni di George Harrison. C’è loro lavoro storicamente più ri- la più bella canzone d’amore dei levante (che ne rappresenti l’a- Beatles – no, non Michelle, che pice della parabola artistica è eccede un tantino in miele ed è invece controverso). Le due Imprescindibile anello di con- discendente troppo diretta di Ye- uscite non sono separate che da giunzione fra trascorsi beat e sterday: Girl. C’è uno dei brani quattro anni, due mesi e nove psichedelia dietro l’angolo, RUB- che più influenzeranno certa giorni, eppure nel frattempo il BER SOUL bignamizza il passato new wave americana (Feelies e rock e più in generale la cultura dei Beatles nel momento stesso dintorni) minimale e schizzata: giovanile si sono trasformati fi- in cui apre scorci di futuro. Già il What Goes On. C’è infine Run For davanti di copertina è paradig- Your Life a chiudere, replicando- matico al riguardo: un’inquadra- ne foga e ispirazione, il cerchio tura “strana”, sguardi seri e sfug- aperto da Drive My Car. genti (solo John guarda in mac- Con questo disco i Baronetti divi- china), un abbigliamento casual, dono a metà i loro favolosi anni da rocker, lontano anni luce dai ’60. Guardandosi alle spalle pos- completi di taglio classico che sono rimirare una sequela di tre su quattro ancora indossano brani canticchiati in ogni angolo sul retro (ma non è un anticipo di un globo terracqueo che han- di futuro, è un revival teddy no già cambiato parecchio. Han-

19 no a farsi irriconoscibili e del quanto erano costati i primi due re un contratto multinazionale e cambiamento John Lennon, Paul LP del gruppo tutto compreso, rendendolo una star: riconosci- McCartney, George Harrison e di un album alla cui uscita il mento all’epoca forse prematuro Ringo Starr sono stati il motore mondo trattiene il respiro per ma poi confermato da una lunga principale. Qui per l’ultima vol- non perdersi, di quei solchi, serie di dischi con molti alti e ta provano e riescono a supera- nemmeno un sospiro. Non era ben pochi bassi, testimonianze re se stessi, dipingendo un affre- mai accaduto prima. Non succe- di una creatività pirotecnica e sco cui concorrono i colori della derà mai più. spesso bizzarra che non si è mai psichedelia come quelli del vau- fatta imprigionare in questo o deville, della musica classica e quel cliché, né tantomeno ha del rock’n’roll, dell’avanguardia Beck voluto piegarsi a logiche di con- e dell’India, del jazz e di un qual- Mellow Gold venienza. Caratteristiche che cosa che ancora non c’è e verrà (Bong Load/DGC, 1994) fanno di Beck uno degli artisti chiamato progressive. Lo scarto più sfuggenti, in senso buono, rispetto a REVOLVER, alla cui for- dell’epopea rock. mula hanno contribuito grosso- Non è naturalmente un caso che modo i medesimi ingredienti Loser, ipnotica filastrocca tra con qualche chitarra in più, è folk-blues e hip hop, apra MEL- misurato dalla ricercatezza di LOW GOLD, esordio major del una registrazione che trascende multistrumentista e cantante (e i limiti del quattro piste, dalla soprattutto autore) e lavoro im- ricchezza di arrangiamenti cui prescindibile dei suoi anni ’90 concorrono l’arpa di She’s Lea- assieme al successivo, più elabo- ving Home e il trio di clarinetti rato ODELAY prodotto dai Dust di When I’m Sixty-Four, il sestet- Il brano più emblematico dei ’90, Brothers. Nelle sue dodici trac- to di sassofoni di Good Morning, almeno in ottica giovanilista, su- ce, un approccio psichedelico Good Morning e l’orchestra di bito dopo Smells Like Teen Spirit analogo a quelli di un Syd Bar- quaranta elementi di A Day In dei Nirvana? Semplice, Loser di rett o un Julian Cope trova più o The Life, il glockenspiel di Being Beck (Hansen) da Los Angeles, meno allucinata espressione in For The Benefit Of Mr. Kite! e quasi ventitreenne quando il trame acustiche, elettriche ed l’harmonium, le tabla, il sitar, il pezzo vide per la prima volta la elettroniche che sanno di arti- dilruba, gli otto violini e i quat- luce in un 12” marchiato dell’eti- gianato lo-fi, fra echi di radici, tro violoncelli di Within You Wi- chetta indipendente Bong Load tecnologia a basso costo, affondi thout You. Brano quest’ultimo in dopo un 7” EP della Flipside – rumoristici, deviazioni funkeg- cui l’unico Beatle a suonare è condiviso con la band Bean – gianti, eccentricità a-go-go, ac- Harrison e con il senno del poi è che aveva come titolo-base l’elo- cenni punk, autoironia e irresi- un indizio che la vicenda più in- quente MTV Makes Me Want To stibili tentazioni pop. Canzoni credibile e fruttuosa negli anna- Smoke Crack. Trasmesso senza rock’n’roll mutanti e per lo più li della popular music va a con- sosta dalle radio alternative claustrofobiche, insomma, into- cludersi. americane, Loser conquistava nate con voce apatica e immer- Tutto fa epoca, a partire da una subito lo status di inno genera- se in atmosfere alienate/altera- copertina che costa da sola zionale, procurando al suo auto- te, dove la classicità – che si

20 200 CAPOLAVORI sente, benché filtrata attraverso Dolls). Gli sarebbero familiari, con i suoi due CD stipati da com- lenti deformanti – abbraccia il pur senza averle mai sentite, plessivi cinquantasei pezzi, ri- postmoderno in un affresco so- You Can’t Catch Me per tramite sulta ormai da parecchi anni la noro di grande impatto, dai colo- dei Fab Four di Come Together e scelta migliore. ri lividi ma non per questo me- Sweet Little Sixteen sotto le men- no suggestivi. tite spoglie di Surfin’ USA dei Beach Boys. Per non fare che Big Brother & The pochissimi esempi. Quanti di Holding Company Chuck Berry rock dei primordi sono appena Cheap Thrills (Columbia, 1968) Reelin’ And Rockin’ oltre l’ABC sono poi ben consa- (Chess, 2006) pevoli, al di là degli innumere- Nell’estate del 1968, quando vie- voli brani che sono stati riletti ne pubblicato CHEAP THRILLS, l’A­ da chiunque e hanno fatto da me­rica intera si inginocchia da- imprinting ciascuno a decine di vanti a , spedendo altri (per dire: in All Aboard, del l’album al n.1 in classifica. L’e- 1961, si rinviene il Bob Dylan di state precedente, quella dell’a- Subterranean Homesick Blues, more per antonomasia, la ragaz- che è del 1965), di come l’in- za texana e i suoi valletti califor- fluenza di Chuck Berry si sia niani si erano limitati a stregare esplicata anche in altri modi. qualche migliaio di freak e, par- Chi ha fotografato l’esuberanza ticolare ancora più importante, i dell’adolescenza più nitidamen- dirigenti delle grandi case disco- Ipotizziamo per assurdo che un te che in School Day? Il cui sotto- grafiche, che avrebbero fatto qualcuno con una conoscenza titolo la dice lunga: Ring! Ring! carte false per metterli sotto con- appena più che superficiale del Goes The Bell. Chi ha delirato tratto (l’impresa sarebbe riuscita rock dei ’60, da cui in linea di- per un motore, una carrozzeria e alla potente Columbia). Sarebbe retta o indiretta discende gran quattro ruote, e tutte le possibi- stato perfetto se questo disco fos- parte dell’odierno pop occiden- lità che recano in nuce per chi è se uscito in quel momento, il tale, sia affatto digiuno di quan- “nato per correre”, più... erotica- vertice della breve parabola esi- to accaduto nel decennio prece- mente di quanto non accada in stenziale e artistica di colei che dente. Che il nostro eroe non No Money Down? Bruce Spring- fu chiamata “Pearl”, tre anni più l’abbia mai sentito nominare. Di steen, insomma, l’ennesimo evi- lui conoscerebbe nondimeno dente allievo. Roll Over Beethoven e Rock And Patendo gli album d’epoca, in Roll Music grazie ai Beatles, un’epoca che non era ancora Come On, Around And Around, quella degli album, scarsa coe- Carol, Little Queenie e un’abbon- renza d’assieme e qualche riem- dante mezza dozzina di altre via pitivo di troppo, il modo miglio- Rolling Stones. Avrebbe ascolta- re per fare i conti con il nostro to dai Kinks Beautiful Delilah e uomo è sempre stato quello di Too Much Monkey Business (la mettersi in casa una corposa canzone che inventò i New York raccolta. REELIN’ AND ROCKIN’,

21 tardi titolo di un magnifico al- Big Star rio, fra beat e soul. Da lì al 1969 i bum postumo. Box Tops mettono in fila quattro Forse Janis era davvero felice, 3rd LP, molti 45 giri e un bel po’ di (PVC, 1978) nell’estate del ’67, come mai lo altri successi. È quasi tutta farina era stata prima e come non sarà del sacco dei produttori Dan mai più. Nel 1968 le droghe e Penn e Spooner Oldham, però, e l’alcol la stavano già stritolando, di ciò Alex non è contento. Via! la fama finalmente giunta ampli- Vita nuova. Fa società con il qua- ficava paradossalmente le atavi- si coetaneo Chris Bell e fonda i che insicurezze di un carattere Big Star. Sembrerebbe un matri- fragile, il rapporto con i Big Bro- monio in paradiso fra un secondo ther & the Holding Company, il Lennon (Alex) e un nuovo Mc- gruppo con cui aveva condiviso Cartney (Chris). Sembrerebbe. la gavetta nelle ballroom di San Il titolo ottimistico di #1 RECORD Francisco, si stava già consu- si rivela sensazionalmente falla- mando. Eppure, nonostante un Come passare da un primo posto ce. Bell abbandona e morirà gio- destino inevitabilmente tragico in classifica a uno di tassista (in vane e infelice. I superstiti ap- cominci a fare capolino, CHEAP tale veste ebbe a conoscere il no- prontano RADIO CITY: un altro mi- THRILLS, fulgido esempio di live stro eroe uno sbalordito Peter sconosciuto capolavoro. Alla fine in studio, è un vero trionfo musi- Buck), in poche, semplici lezioni. Chilton resta solo con il batterista cale (e della volontà). In esplosio- O di uomo delle pulizie (Paul We- Jody Stephens. È deciso. Farà il ni di vitalità e bollente abbando- sterberg, che gli ha dedicato una disco più commerciale della sua no erotico, di perdizione e catar- canzone, se lo trovò davanti sco- carriera. Che strada facendo, fra si quali Ball & Chain, l’indimenti- pa in mano). Volete sapere come chitarre ancora canterine e qual- cabile Piece Of My Heart, I Need si fa? Fino al 17 marzo 2010 avre- che intarsio di fiati, si trasforma A Man To Love (un titolo che dice ste potuto chiedere ad Alex Chil- in un tossico peana alla depres- tutto) e la cover della Summerti- ton. Sfortunatamente non più, vi- sione suadente come mai se ne me di Gershwin, la voce della sto che moriva all’improvviso sono uditi. I This Mortal Coil ne Joplin si erge sopra ogni cosa: non ancora sessantenne e pro- caveranno Holocaust, Jeff Buck- dai limiti dei suoi accompagnato- prio quando pareva che quell’im- ley Kanga Roo. È l’album soul che ri alle aspettative del pubblico, brogliona della buona sorte fosse i Velvet Underground non hanno dai codici estetici dell’epoca ai tornata a sorridergli. Beh, era un mai inciso. Nessuno vorrà pubbli- canoni del formato blues, dalla ghigno. Caso esemplare di disce- carlo e uscirà allora con quattro disperata voglia di essere accet- sa dagli altari alla polvere com- anni di ritardo. tata fino a quelle ferite interiori piuta tuttavia in gloria, Chilton. che nessuna canzone può lenire. Subito in cima al mondo: il primo Nel 2018, in occasione del cin- 45 giri con lui – sedicenne! – al Björk quantenario, il disco è stato ri- canto dei Box Tops, gruppo di Post stampato in forma espansa con Memphis di e per adolescenti, (One Little Indian, 1995) quello che avrebbe dovuto esse- The Letter va al n.1 negli USA nel Come una corsa su una strada re il suo vero titolo: SEX, DOPE & 1967. È una deliziosa canzoncina fitta di cambi di direzione e osta- CHEAP THRILLS. in bilico, come il resto del reperto- coli sempre più alti che nondi-

22 200 CAPOLAVORI meno vengono superati con una abbacinante ogni pregresso sva- scioltezza che lascia a bocca nisce. Spazzati via i record di aperta chi assiste: così la vicen- vendite degli Sugarcubes, cam- da artistica di Björk Gudmun- bia proprio l’ambito di riferimen- dsdóttir, da Reykjavik, sin da to: non più il mercatino dell’in- quando una delle sue insegnanti die rock quanto l’ipermercato di piano spedisce alla radio di del pop globale. A lasciare stupe- stato islandese un nastrino in fatti è che il triplice salto morta- cui canta I Love To Love della di- le si compia con una musica che va disco Tina Charles. È il 1976, scansa ogni stereotipo e quando Björk ha undici anni. Pubbliche- anche si muove (cerchio che si rà il primo, omonimo LP a dodici chiude) in un ambito dance non i genitori”, si leggeva nell’adesi- e un mese: collezione con dentro si porge affatto con fruibilità im- vo promozionale). Nei suoi quin- dai Beatles a Stevie Wonder pas- mediata. E poi? dici brani, la cui durata media è sando per Edgar Winter e in E poi i miracoli qualche volta si di poco superiore ai due minuti, mezzo la prima composizione replicano e, addirittura, si perfe- DAMAGED è un assalto furioso e autografa della ragazzina. E tut- zionano. Come il predecessore, devastante, un omaggio senza tavia ha un senso eccome che POST coniuga organico ed elettro- compromessi al r’n’r più crudo e nel 1993, artista ormai matura, nico slalomeggiando fra gli stili corrosivo, intriso di una soffe- intitoli DEBUT il primo lavoro più distanti che si possano im- renza – privata e sociale – che post-Sugarcubes, quando già pri- maginare – universi separano il però non ha mai il gusto della ma di costoro c’era stata una ruggire di industrial rock di resa bensì quello inebriante del- miriade di gruppi e due (Tappi Army Of Me dal jazz da musical la voglia di riscatto. Reputato Tikarrass e Kukl) con uscite di- filtrato dalla chanson di It’s Oh unanimemente una delle pietre scografiche di un certo rilievo e So Quiet – facendo sembrare che miliari dell’hardcore punk d’ol- inoltre, nel 1990, la frizzante rac- tutto non sia solamente possibile treoceano, anche per via di una colta di brani tradizionali isolani bensì logico. Che solo i bpm se- formula che sfugge la ripetitività e sempreverdi jazz GLING-GLÓ. parino (per citare gente coinvol- tipica del genere, l’esordio sulla Ma DEBUT in un certo qual senso ta) Tricky dagli 808 State e anzi lunga distanza della band dell’a- è davvero l’inizio di una vita no, che non li separino per nulla. rea di Los Angeles è una vera nuova nel fulgore della cui luce bibbia del rock estremo, per cat- tiveria oltre che per rapidità di Black Flag esecuzione: pezzi come Six Pack, Damaged Rise Above, Police Story, TV Par- (SST/Unicorn, 1981) ty, Thirsty And Miserable o Gim- Ai tempi, nonostante il contratto mie Gimmie Gimmie, specie se firmato e il suo logo già apposto ascoltati ad alto volume, lacera- sul retrocopertina, la major MCA no a sangue timpani e coscienze, si rifiutò di distribuire questo forti della fantasiosa compattez- primo album dei Black Flag, e za della sezione ritmica Chuck non è difficile capire perchè (“Da Dukowski/Robo, delle chitarre genitore lo trovo un disco contro al vetriolo di Greg Ginn e Dez

23 Cadena, della voce potente e sando all’ascolto del tutto, sicco- ragazzotti che in precedenza sgraziata dello sciamanico Hen- me che si tratti di stoner o di do- tutt’altro avevano suonato, blues ry Rollins appena arrivato da om, di black, di dark o di thrash, e pop-rock intriso di psichedelia. Washington D.C. È un pugno in o di scorie di grunge, a ormai Non che qui non ci sia del blues. pieno volto, come quello che lo mezzo secolo dalla pubblicazio- L’armonica di The Wizard lo è e stesso cantante sferra allo spec- ne (avvenuta un venerdì 13: pri- così l’impianto di Evil Woman. E chio che ha davanti nella cupis- ma impagabile dimostrazione di non che non ci sia un’attitudine sima foto di copertina. un sense of humour che in pochi psichedelica, espressa da bislac- Nel non meno burrascoso prosie- hanno riconosciuto al combo di che trovate come l’intreccio di guo di una carriera fieramente Birmingham) suoi echi riverbe- chitarra acustica e scacciapen- vissuta all’insegna dell’autar- rano dappertutto nel moderno sieri che introduce il pauroso chia – la SST, l’etichetta indipen- rock pesante. Tanto da fare indi- riffarama di Sleeping Village (e dente americana più importante viduare in un gruppo dileggiato che dire di The Warning, che par- degli ‘80, era gestita da Ginn – e dalla critica all’apparire, e poi te con un assolo di elettrica?). interrottasi nel 1986, il gruppo costantemente sottovalutato Ma ciò che alla fine ricordi è il ha mutato più volte indirizzo sti- (fuori dai circoli metallari) fino mostruoso muro di suono che ti listico, approcciando generi di- all’arrivo dei Soundgarden, uno si staglia davanti quando dai pri- versi (hard, psichedelia, persino dei più rilevanti di sempre in mi solchi, dopo uno scrosciare di jazz...) e divenendo uno dei prin- materia di rock: quanto Beatles pioggia e un rintoccare di cam- cipali riferimenti del grunge. Ma e Velvet, Hendrix e Dylan, Byrds pane a morto, si leva la mefitica, è su questi brani, magari assie- e Stones e Stooges, e natural- squassante scansione di Black me a quelli dei precedenti 45 gi- mente quei Led Zeppelin consi- Sabbath. ri che nel 1983 furono raccolti in derati contraltare più nobile, as- THE FIRST FOUR YEARS, che è sal- surto ad archetipo. damente piantata l’asta della Non male per un primo disco Blur Bandiera Nera. (cui ne seguiranno almeno due Parklife parimenti catalogabili alla voce (Food, 1994) “capolavori”, PARANOID in quello In determinate circostanze una Black Sabbath stesso, magico 1970 e MASTER OF band può, conservando intatta Black Sabbath REALITY l’anno dopo) registrato nel tempo la propria magia, co- (Vertigo, 1970) in un giorno appena da quattro gliere lo spirito di un’epoca e/o Quel che si dice un classico sin da un’iconica copertina che si rivelerà influente quanto i suoni, per il tempo inauditi, che sorti- scono dai solchi. Per averne con- ferma non dovete che recarvi in un negozio ben fornito di musica hard’n’heavy e passarne in ras- segna gli scaffali: vi troverete copie in gran copia. Non parlia- mo poi di cosa accadrebbe pas-

24 200 CAPOLAVORI di una generazione. Accadde nel dal ballabile tormentone Girls & 1994, quando i Blur distillarono Boys e chiuso dalla meravigliosa tre decenni di suono e stile bri- malinconia di This Is A Low e tannico per imporsi da perfetti dalla cabarettistica Lot 105, l’al- figli di Ray Davies, da fratelli bum fa dei Blur star planetarie e minori – solo in senso anagrafi- inaugura la fugace stagione del co, però – di Paul Weller. Un pas- Britpop che sarà cavalcata dal so avanti notevolissimo da LEISU- successore THE GREAT ESCAPE; al RE, modesto primo album omag- suo spegnersi, i ragazzi riusci- giante le voghe shoegaze e ranno ancora a distinguersi dal- “Madchester sound” che comun- la massa con ingegnosi ibridi tra que otteneva un successo da Top krautrock e new wave e misu- sensuali dei T.Rex, volano sulle 10 con There’s No Other Way. randosi con trip-hop, dub, musi- ali del glam, che Bowie investe Laddove il successore MODERN ca etnica. Nondimeno spetta a di perversione urbana presa in LIFE IS RUBBISH aggiustava il tiro, PARKLIFE, disco in più di un’acce- prestito da Lou Reed, esprimen- preparando il terreno a questo zione epocale, consegnarli all’e- dola un po’ per sottintesi ma più gioiello degno di Kinks (End Of A ternità nel meritatissimo ruolo che altro spettacolarizzandola Century) e Jam (Tracy Jacks) co- di primi della classe. tramite abiti e make-up strava- me di Madness (Jubilee, Parklife: ganti, rivelazioni di bisessualità ospite Phil Daniels, protagonista e scioccanti concerti-spettacoli. del film Quadrophenia), Small David Bowie Entrando nella storia del costu- Faces (Badhead, Clover Over Do- The Rise And Fall me e in quella della musica po- ver) e Walker Brothers (la balla- Of Ziggy Stardust polare in un momento non più And The Spiders From Mars ta To The End, con Laetitia Sadier (RCA, 1972) ripetibile e infatti non ripetuto. degli Stereolab). Solido e vivace Prima di uccidere la sua creatu- sia per foggia (la produzione, cu- È narrando l’ascesa e la caduta ra nel luglio 1973 sul palco ratissima, è appannaggio del na- di un divo fittizio che David dell’Hammersmith Odeon di vigato Stephen Street) che per Bowie finalmente ottiene il suc- Londra, David/Ziggy consegna ai contenuti (le liriche di Damon cesso a lungo rincorso e assapo- posteri un concept in cui il “rac- Albarn restituiscono sotto forma rato fugacemente tre anni prima conto” non soffoca le composizio- di pungente commento sociale con il singolo Space Oddity. Un ni e queste ultime risultano ulte- un nitido spaccato della vita in paradosso ma nemmeno tanto, riormente rafforzate da arran- Inghilterra a metà anni ’90), si se del rock si prendono in consi- giamenti levigati ma muscolari e concede digressioni punk (Bank derazione il senso di provocazio- da sonorità attente a dettaglio e Holiday) e psichedeliche (pastel- ne, l’abilità a sfruttare i media e dinamica; ne è responsabile in lo per Magic America; svagate in soprattutto quel magico, ineffa- larga misura il chitarrista Mick Far Out), divagazioni come l’iro- bile farsi carico dei desideri, dei Ronson, che accompagna Bowie nico techno-pop London Loves e sogni e delle inquietudini che sin dal 1970 interpretandone una Trouble In The Message Cen- popolano l’universo dei teena- l’azzeccato contraltare “macho”. ter sottratta al Bowie berlinese ger. Teenager che nel 1972, tra- A impressionare sono a ogni senza che l’unità di fondo ne ri- scinati lungo il riflusso post-hip- buon conto le canzoni, che si senta minimamente. Trainato pie dalle melodie pigramente tratti delle languide Lady Star-

25 dust e Soul Love o degli inni co giungeranno poi i lustrini rivi- proto-punk (i New York Dolls sitati new wave di SCARY MON- stanno prendendo nota...) Star e STERS e la svolta “edonista” di Hang Onto Yourself, delle trasci- LET’S DANCE, i cali ispirativi e, nanti Moonage Daydream e Suf- prima di spegnersi nel 2016, il fragette City o delle orecchiabili sorprendente, oscuro colpo di Starman e Five Years. Estremi coda e di scena BLACKSTAR con conciliati dalla Ziggy Stardust cui Bowie tornava per l’ultima non a caso riletta dai Bauhaus e volta a visitare il centro pulsan- risolti nel conclusivo vertice di te del rock da autentico genio teatrale emotività Rock‘n’Roll carismatico e visionario. Suicide. Una dicitura sul retro- considerare introduzioni di ran- copertina avverte di suonarle al go (qualora non vere e proprie massimo del volume, ed è esor- prove generali) per la suddetta Billy Bragg tazione che tuttora ci sentiamo svolta, un’infatuazione per il Talking With The Taxman di sottoscrivere. krautrock di Neu!, Kraftwerk e About Poetry (Go! Discs, 1986) Can trasformata in realtà nella cosiddetta Trilogia Berlinese. Il diciannovenne Stephen Wil- David Bowie Nell’esatto mezzo tra l’altrettan- liam Bragg non deve compiere Heroes to imprescindibile LOW e le vena- che un tragitto di pochi chilome- (RCA, 1977) ture etniche di LODGER, spicca tri (essendone la natia Barking Bowie traslocò temporaneamen- HEROES, diviso come il predeces- un sobborgo) per verificare co- te in quel di Berlino ricorrendo sore in una prima facciata di me la Londra del 1977 stia in ef- al “non musicista” Brian Eno per canzoni e una seconda consacra- fetti bruciando come cantato da assecondare una perenne voglia ta a strumentali di sapore am- Joe Strummer. Prova subito ad di cambiamento e consegnare bientale; stavolta, però, allestiti aggiungere combustibile all’in- l’ennesima tra le sue camaleonti- affidandosi a Cluster e primi cendio fondando i Riff Raff, ma che mutazioni. Senza dubbio Tangerine Dream e chiudendo i non se ne accorge nessuno, ben- quella più fulgida dal punto di giochi con un brano cantato, ché il quintetto pubblichi fra il vista artistico e in prospettiva la l’autoesplicativa ipnosi The Se- ’78 e l’80 una cinquina di singo- più influente, che lo vide inven- cret Life Of Arabia. Si aggiungo- li. Scoraggiato scioglie il gruppo tare un futuro scagliato oltre il no poi l’ospite Robert Fripp, che punk già nel ’77 dopo averne registra le parti chitarristiche al delineato le fondamenta esteti- primo colpo decantando un me- che all’epoca del glam. L’essere tafisico post-blues, un omonimo umano arrivava da un periodo brano-capolavoro che da solo di dipendenze dalla droga e di basterebbe a garantire l’immor- deliri assortiti, superati aiutando talità, una Beauty And The Beast l’amico Iggy Pop (e se stesso) a che inventa gli LCD Soundsy- rinsavire tramite gli eccellenti stem, la struggente Sons Of The THE IDIOT e LUST FOR LIFE; lavori Silent Age che fa lo stesso con gli che in un certo senso possiamo Ultravox!. Per l’artista britanni-

26 200 CAPOLAVORI e si arruola nell’esercito. Impie- jakovskij) segna un balzo in poi Flames e (ottimisticamente) ga per fortuna giusto tre mesi a avanti sia per la qualità della Famous Flames, alla prima uscita rinsavire, comprarsi il congedo, scrittura (è fra il resto il disco di con il 45 Please Please Please, bal- riprendere in mano penna e chi- Levi Stubbs’ Tears, forse la più lata pianistica di impronta doo tarra e cominciare un tour infini- bella canzone sul soul che si ri- wop, venderanno nel 1956 un to di pub, stazioni della metropo- cordi, da chiunque) che per ar- milione di copie. È la prima delle litana, assortiti angoli di strada rangiamenti che scansano il mi- cinquanta tracce che sfilano in londinesi. Ha provato a emulare nimalismo dei predecessori con questo doppio CD, la migliore an- i Clash alla testa di una intarsi delicatissimi di tastiere e tologia disponibile del Nostro nel rock’n’roll band e ha fallito. Ri- percussioni, archi e ottoni. malaugurato caso voleste rinun- tenta cercando di fare in modo ciare all’epocale quadruplo STAR che la sua chitarra elettrica suo- TIME (Polydor, 1991) che qui si ni da sola altrettanto fragorosa, James Brown cerca di riassumere al meglio: le nuove canzoni che va scriven- 50th Anniversary Collection purtroppo scorciando alcuni bra- do al pari innodiche. Il giovanot- (Universal, 2003) ni, incomprensibilmente non in- to è abbastanza intraprendente cludendo la tambureggiante in- da intrufolarsi, fingendosi un nodia di Unity (duetto con Afrika elettrotecnico, nell’ufficio di un Bambaataa per tramite del quale discografico del livello e della la giovane nazione hip hop rico- storia di Peter Jenner per allun- nosceva nel 1984 l’enorme debito gargli un demo. E poi infilarsi nei riguardi del Padrino del Soul), negli studi BBC con la scusa di liquidando troppo frettolosamen- portare uno spuntino a John Pe- te (le dedica appena un terzo del el e dargli, con le cibarie, copia primo disco) la non breve evolu- del mini LIFE’S RIOT WITH SPY VS. zione che portò al prevalere degli SPY. La buonanima sostenne elementi ritmici su quelli melodi- sempre che no, non si era fatto Chissà quali altri percorsi avreb- ci. Fintanto che, all’altezza del corrompere con un biryani, che be seguito la musica dello scorso 1965 e di Papa’s Got A Brand New quel disco l’avrebbe trasmesso secolo se nel 1953 il ventenne Bag, i primi non diventarono, da comunque. In ogni caso: chi sia lanciatore di baseball James soli, la canzone. Cinque anni più Billy Bragg da quel dì lo sapran- Brown non si fosse seriamente tardi con i suoi cinque minuti e no pure fuori da Londra. infortunato. Per la seconda volta quindici secondi di chitarra spi- BREWING UP WITH è nel 1984 il in una vita già molto vissuta, con golosa, basso sensuale, batteria primo album “vero” di questo tanto di soggiorni nelle patrie ga- implacabile e piano trillante Sex Phil Ochs punk capace, fra un lere, doveva rinunciare a una Machine getterà le fondamenta inno sindacale e una concione promettente carriera sportiva, vi- della house, con buoni tre lustri socialista, di piazzare puntual- sto che qualche tempo prima ave- di anticipo. mente una qualche squisita can- va appeso i guantoni da boxe al Sono stati i singoli a disegnare la zone d’amore con il gusto agro chiodo. Per sua e nostra fortuna parabola artistica del Soul Bro- della vita vera. Due anni dopo gli restavano un’altra passione, ther (fra gli LP in studio – decine! TALKING WITH THE TAXMAN ABOUT un altro sogno di gloria: tali Go- – si segnalano come imprescindi- POETRY (titolo in prestito da Ma- spel Starlighters. Divenuti Avons, bili forse soltanto THE BIG PAY­BACK

27 e BLACK CAESAR, una colonna so- Non è appartenuto ad alcuna mente visionari; e la prova di un nora; più l’atipico, notturno e jaz- corrente, Jeff Buckley, e pochi inarrivabile mix di talento e tra- zato THINKING ABOUT LITTLE WILLIE hanno provato a seguire la sua sporto emotivo, che senza la cru- JOHN AND A FEW NICE THINGS). Qua- scia; è rimasto nella sua orbita deltà di un fato bastardo avreb- lunque raccolta va allora integra- solitaria a guardare il mondo di- be illuminato la scena rock per ta con qualcuno dei tanti (e quasi menarsi, e dall’alto ha lasciato chissà quant’altro ancora. tutti formidabili) album dal vivo. cadere poche manciate di canzo- Cominciando con il capostipite ni meravigliose. Canzoni lievi della gloriosa genia, di cui potrete ma profondissime, costruite so- Tim Buckley leggere più avanti. prattutto su malinconiche poli- Goodbye And Hello cromie folk-psichedeliche ma a (Elektra, 1967) tratti accese di furore r’n’r e sem- A seguire l’omonimo esordio in Jeff Buckley pre marchiate da una voce dalle stile folk-rock, Tim Buckley si in- Grace mille sfumature, dolcissima nei cammina lungo la via che lo con- (Columbia, 1994) sussurri e potentissima nei mo- durrà in breve tempo a essere Un “navigatore delle stelle”, Jeff menti di maggior tensione; non- uno dei cantautori più originali, Buckley. Proprio come quel padre ché spinta coraggiosamente tan- ispirati e coraggiosi di sempre. in pratica mai conosciuto, dal qua- to oltre da farsi all’occorrenza Sospeso magicamente tra rock e le aveva però ereditato i linea- strumento, esaltando la sobria tensioni avanguardiste, ballate e menti, la sensibilità, il genio crea- bellezza dei brani qui magica- psichedelia, jazz e assortite radi- tivo e un canto in grado di spin- mente catturati in studio dal dut- ci, GOODBYE AND HELLO vede il gersi, citando “Star Trek”, dove tile Andy Wallace. È dunque ventenne già influen- nessuno era mai giunto prima; e rappresentativo solo di se stesso, zato dagli stupefacenti ma non con il quale ha purtroppo condivi- GRACE: uno di quei rari capolavo- ancora “alieno”: il legame con la so anche il tragico destino di una ri che, pur vendendo “solo” mi- forma-canzone resta saldo, seb- morte prematura, seppure con lioni di copie e non decine di bene qualche episodio mostri modalità diverse (un incidente e milioni, si scolpiscono nella sto- strutture inconsuete; in primis la non gli abusi di sostanze), che ha ria e lì rimangono, inattaccabili title track, che si svolge per oltre reso questo suo unico, vero album e inattaccati dal trascorrere de- otto minuti fra imprevedibili voli una straordinaria presentazione e gli anni. Dieci splendide gemme, pseudo-sinfonici e contorte alle- uno struggente testamento. senza tempo nello spirito e clas- gorie post-dylaniane. Buckley sicamente moderne nei suoni, per quasi cinquantadue minuti di estasi appena velata di inquie- tudine, con sette composizioni autografe e tre appassionatissi- me cover – Hallelujah di Leo- nard Cohen, Corpus Christi Ca- rol di Benjamin Britten, la Lilac Wine resa celebre da Elkie Brooks e Nina Simone – a dipin- gere affreschi sonori intensa-

28 200 CAPOLAVORI suona varie chitarre, kalimba e na, gioiosa e solare più di qual- siffatti e che importa se questo vibrafono, coadiuvato da una siasi altra abbia mai adornato rude proletario di Newcastle cre- mezza dozzina di strumentisti di un disco di un Buckley. sciuto a blues poteva sembrarne valore: dal chitarrista Lee Un- un cantore improbabile? Che ven- derwood al percussionista Car- ti di cambiamento soffiassero im- ter C.C. Collins fino al produtto- petuosi veniva raccontato anche re Jerry Yester (Lovin’ Spoonful), & da metamorfosi simili, dal r’n’b che intesse parte delle trame di Winds Of Change garagista degli Animals primevi (MGM, 1967) organo, piano e harmonium. Ri- alla proteiforme psichedelia (do- levante è pure il contributo del Superfluo, per individuare l’anno po il passo falso costituito dal paroliere Larry Beckett, che co- di pubblicazione di questo album, pop banalmente mainstream di firma cinque testi su dieci, ma a cercare la data su un retro di co- ) di una formazione emergere è soprattutto la forza pertina che dà del resto altre indi- totalmente rinnovata dal leader, espressiva di un canto capace di cazioni eloquenti al riguardo con trasferitosi nel frattempo sulla arrivare a inenarrabili livelli di titoli come costa Ovest degli States. Talvolta lirismo, passando con disinvol- (quando fu che la città california- ingenua e invecchiata male (fa- tura da delicati sussurri ad af- na fu, con Londra, la capitale stidiosa la parte parlata di The fondi quasi epici, da toni morbi- dell’immaginario giovanile?) e Black Plague), più spesso tuttora di e discorsivi ad accenni di fal- Yes I Am Experienced, chiara ri- fresca e valga come esempio su- setto. Oltre, ovviamente, all’in- sposta al quesito posto dal debut- premo il raga del brano che inau- tensità e al magnetismo dei bra- to a 33 giri di Jimi Hendrix. Basta gura e battezza. ni, dall’onirica Hallucinations scorrere le prime due righe del Da lì a pochi mesi Burdon e i suoi all’invocazione di Phantasmago- discorsetto che campeggia sul da- nuovi sodali (particolarmente ri- ria In Two, dalla solennità di No vanti e che dicono di un “nuovo levante l’apporto del chitarrista Man Can Find The War e Plea- mondo diverso dal vecchio, con ) offriranno convincen- sant Street alla grazia di Mor- nuovi gioielli da consumare, nuo- tissima replica con un THE TWAIN ning Glory (poi riletta dai Blood, ve frontiere da conquistare e tan- SHALL MEET che, nel complesso, si Sweat And Tears) e della non to più amore da donare”. Macchi- farebbe anche preferire al prede- meno suggestiva Once I Was. na del tempo puntata dunque sul cessore, ma deve cedergli il pas- È un album intriso di dolcissi- 1967 e su una Summer Of Love so per l’assenza di un brano di ma malinconia, GOODBYE AND mitizzata anche grazie a dischi punta della forza di San Franci- HELLO, privo di atmosfere dav- scan Nights. Con EVERYONE OF US vero cupe nonostante vi si rac- e l’addirittura doppio LOVE IS, contino per buona parte storie anch’essi incredibilmente usciti d’amore finite male (strascico in un iperproduttivo 1968, la for- della separazione da Mary Gui- mula mostrerà invece chiara- bert, madre dell’allora piccolis- mente la corda. L’ultimo apporto simo Jeff). Un album, insomma, di nota del tascabile cantante al- il cui umore è molto più in li- la storia del pop sarà rappresen- nea con la foto interna, dove tato dalle sei facciate con gli afro- l’artista appare assorto, che americani War date alle stampe non con l’immagine di coperti- a cavallo fra il 1970 e il 1971.

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