SAN BIAGIO DELLA CIMA E LE SUE CHIESE

FRANCESCO GIORDANO

SAN BIAGIO DELLA CIMA

E LE

SUE CHIESE

Il cammino di fede di una Comunità cristiana

Prima edizione a cura di P. Carlo Crignola

1 * 2016 Parrocchia Santi Fabiano e Sebastiano Via Biamonti, 4 18036 SAN BIAGIO DELLA CIMA (IM)

Stampa: Tipografia Alba 18039 (IM) Tel. 0184 351425 [email protected]

2 Presentazione

Luis Sepulveda, giornalista cileno, ha scritto una frase molto significativa: “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro e rischia di essere spazzato via come un albero senza radici.” La frase è certamente vera e può essere approfondita o meglio riscritta in ma- niera più incisiva. Chi dimentica il passato rischia di non capire il presente, soprattutto di non saper programmare il futuro. Tutti noi siamo figli del pas- sato: il passato sono i nostri genitori, i nostri nonni, su, su fino a mille, due- mila anni fa; dove un fatto ha dato origine ad una vita impensata, incredibile che dà senso al nostro vivere e di conseguenza a tutto quello che facciamo. San Biagio della Cima è un borgo del retroterra ligure, in provincia di , a pochi chilometri da Ventimiglia, sorto intorno al XII secolo. La specificazione della Cima è casuale, dovuta al fatto che esistono molti paesi che portano questo nome, per distinguerlo si è pensato a quello sperone di roccia, alto trecentocinquanta metri, alle spalle del paese, per far diventare San Biagio: San Biagio della Cima. Attualmente ha circa 1350 abitanti. E’ il paese delle rose.Tutti gli anni, a maggio, si fa la mostra delle rose e la seconda domenica di maggio il paese diventa un giardino. Per anni la rosa è stata la risorsa economica principale della Comunità. Oggi, le ele- vate spese per la coltivazione, hanno fatto chiudere molte serre. Spesso si sente dire che è un paese dormitorio, infatti i canoni bassi per le case e la vicinanza del mare, lo rendono appetibile alle giovani coppie.

3 Come tutti i paesi liguri, è tradizionalmente cattolico. Le quattro chiese così dette grandi (la parrocchiale dei Santi Fabiano e Sebastiano, San Biagio, l’Assunta e l’Addolorata) e i quattro oratori (San Sinforniano, L’Annunciata, la cappella del Rosario e Santa Croce) sono la testimonianza di una fede vissuta e concreta che scandiva i ritmi e le stagioni dell’anno. Fino al secolo scorso la vita era principalmente rurale e le feste religiose richiamavano attorno a questo o a quel santo non solo i paesani, ma anche i vicini. Allora sì, che si faceva festa! Questo è il lamento di oggi nelle nostre feste che diventano sempre più povere. E’ vero che il ritmo di vita è cambiato, che il mondo industrializzato ci impone orari a volte impossibili e ci tempesta di messaggi ingannevoli, ma l’uomo è sempre lo stesso, i valori autentici li ha scritti nel cuore. Quando parliamo di valori non possiamo fare a meno di sottolineare un aspetto importante: i valori non si trasmettono mai da soli, devono essere proposti da persone con uno stile di vita coerente al proprio credo. Sono gli adulti che hanno la grande responsabilità di indicare il cammino alle nuove generazioni, non tanto a parole, ma col buon esempio. Il presente libretto ha questo scopo: indicare il percorso che i nostri nonni hanno fatto: un cammino segnato a fatica e con sacrifici che oggi noi conserviamo con difficoltà. Ma per capirle, forse meglio per viverle, bisogna frequentarle, lasciarle parlare, saperle ascoltare. Hanno una sto- ria centenaria da raccontare, una storia di fede, di preghiera, di amore, di vita comunitaria che non possiamo dimenticare. E’ la nostra storia che ci qualifica e ci differenzia da tutte le altre per cui ci sentiamo e ci gloriamo di essere sanbiagini.

Padre Carlo Crignola parroco

4 LA CHIESA DI SAN BIAGIO

“Chi vuol fare un buon viaggio, per la lunga eternità, raccomandasi a San Biaggio, che di guida gli sarà”. (1)

Questa scritta dal tono ben augurante, fino a pochi decenni or sono, campeggiava a caratteri cubitali sopra la porta della chiesa, intitolata al Santo Patrono del nostro borgo: San Biagio, protettore dei cardatori e dei tessitori, vescovo di Sebaste, era annoverato nella schiera dei quattordici Santi Ausiliatori tra cui figuravano il potente S. Giorgio, S. Erasmo, S. Pantaleone, S.Vito, S. Cristoforo, S. Dionigi: santi particolarmente celebri per l’efficacia della loro invocazione. Per i nostri antenati che vivevano nei secoli cupi del basso Medioevo, il santo taumaturgo era la guida sicura “in ogni pericolo e per qualunque angustia”, nel lungo e travagliato cammino della vita. Come il pio pellegrino del passato, anche noi vogliamo iniziare da San Biagio un itinerario sacro alla riscoperta delle radici religiose della nostra Comunità che ci ha tramandato lungo i secoli, il proprio “Testamentum fidei”, in numerosissime testimonianze di arte e di fede. Partendo dalla primitiva cappella, ci porteremo lungo le vie del borgo alla Chiesa parrocchiale dedicata ai santi Fabiano e Sebastiano e alle numerose cappelle dedicate alla Vergine, sotto la cui protezione è posto il nostro borgo: l’Assunta, l’Annunziata, l’Addolorata, la Madonna del Rosario. Ovunque il pio pellegrino del passato trovava segni di fede e di meditazione religiosa ed anche il pellegrino contemporaneo, nonostante l’apparente eclissi del sacro, può lentamente riscoprire il senso recondito di una fede che da 2000 anni interroga e coinvolge l’umano sentire.

1. Scott William: Rock Villages of the Riviera/ (IISL )

5 1. Notizie storiche La chiesa di San Biagio, menzionata negli atti del notaio Amandolesio del XIII secolo,(2) è forse il primo luogo di culto cristiano della valle, come ci conferma una antica tradizione cultuale tramandata nei secoli e ripresa nella cronaca ottocentesca. “La Cappella che abbiamo aderente al cimitero è antichissima. E’ tradizione che anticamente , Soldano e San Biagio accorressero le feste in detta Cappella per assistervi ai Divini Uffizi diretti da un Canonico della Cattedrale di Ventimiglia che qui recavasi a celebrare ogni festa. Detta Cappella pertanto in allora era la Parrocchia di detti tre luoghi, ossia la Cappella Comune. Dicesi che i due limitrofi paesi, Vallecrosia e Soldano, per lunghi anni portasssero annualmente due candele in detta Cappella e che quando si formarono essi la propria chiesa continuassero ancora per alcuni anni a dare a quella Cappella la paga per dette due candele”. Per spiegare l’offerta delle due candele, Don Noaro riporta ciò che tutti gli anni gli abitanti di Ragusa facevano nel giorno di San Biagio. “Al sanctus Blasius offrivano nel fausto giorno del suo martirio, la candela della fede e della pia venerazione che ardeva accanto alle sacre reliquie sempre gelosamente conservate nel suo argenteo reliquario. (3) Il culto del Santo martire si era mantenuto vivo nei secoli successivi e nel settecento “per le preghiere del parroco e del clero”, si ottenne un indulto della Sacra Congregazione dei riti per la messa ed officio proprio di S. Biagio, vescovo e martire patrono principale del Luogo.” Questo importante documento del 1747 era stato trascritto dallo zelante parroco Noaro (4) per essere conservato tra i documenti dell’archivio parrocchiale, in data 20 settembre 1839.

2. Amandolesio: notaio genovese i cui Atti Rogati a Ventimiglia sono conservati a Genova nell’Archivio di Stato. 3. Questo reliquiario si trova a Dubrovnik: la vecchia Ragusa, città marinara, colonia Veneziana, sulle coste dell’Iugoslavia. 4. Don Noaro è stato parroco di San Biagio dal 1833 al 1844. Morì a Ventimiglia nel 1870

6 Nei primi decenni dell’ottocento, la cappella si trovava in cattivo stato, e sospesa già da 30 e più anni. Scrive il Noaro: “Dal pilastro che è in cornu Evangelii, e che divide il Sancta Sanctorum dalla navata, ne usciva in lunghi palmi l’erba detta “canaroffo”. La stessa chiesa rendevasi tetra a segno che non pareva più chiesa. Io la feci ristorare del prodotto che si ricavò da una fornace fatta cuocere a pro della chiesa e mediante l’opera che tutto il Paese grazioso prestò a tale oggetto. La rinnovazione del tetto costò una somma considerabile. I maestri vennero da ”. Infatti nel 1823 era stata interdetta per ordine di Mons. Vescovo, Felice Levreri, finché non venissero fatti i dovuti restauri. (5) Nel 1834 furono intrapresi i restauri voluti e patrocinati dal parroco Nicola Noaro che voleva riportare all’ antico splendore il sacro tempio con la collaborazione di tutta la Comunità. Cinquant’anni dopo, il terribile terremoto del 23 febbraio 1887 causò gravissimi danni. “Il tetto era rovinato e vi pioveva dentro ed il visitatore poteva vedervi crescere l’erba, obbligando la Comunità a nuove ed impreviste fatiche.” (6)

2. Vitalità religiosa Accanto ai santi patroni della parrocchia, San Biagio rimaneva sempre il santo patrono del paese. A conferma della grande devozione di cui era oggetto questo luogo di culto, il parroco Lombardi scriveva nel 1894: “ Il giorno della festa, i fedeli si recavano in processione alla Chiesa, (7) nonostante il freddo intenso di quei giorni.” Nuovi restauri furono attuati negli anni venti del novecento col parroco Giacomo Boeri e negli anni cinquanta con Don Ernesto Arnaldi.

5. Il vescovo Felice Levreri, “in actu primae visitationis S. Blasii”, lascia scritto: “Capella S. Blasii interdicta sit, donec sufficienter et decenter restauretur”. 6. Vedi libro Memorie, in archivio parrocchiale. 7. Don Lombardi è stato parroco dal 1891 al 1899

7 Durante gli anni della seconda guerra mondiale, aveva subito nuovamente danni notevoli. Utilizzata come deposito da parte delle truppe occupanti, poi dai coloniali dell’esercito francese, era in uno stato deplorevole. Tutto sembrava preludere ad un crollo definitivo dell’antica cappella tanto cara al cuore dei sanbiagini. Ma bastò un incontro tra nostalgici che rammentavano le gloriose feste delle passate stagioni, per ridare speranza. L’iniziativa era partita dal giovane Gioacchino che pur vivendo da anni a Vallecrosia lamentava la triste condizione del nostro antico santo: “Come è sceso in basso San Biagio!..” La sua battuta suscitò lo stupore e la reazione di tanti ed Amelio a nome di tutti raccolse la sfida e propose di fare qualcosa per la vicina festa. Si formò quindi un comitato a cui aderirono in molti (Gioacchino Biamonti, Quinto Biamonti, Amelio Amalberti, Adolfo Maccario) e si procedette al restauro del tetto e della facciata. Di casa in casa, si passò per riscuotere contributi volontari a cui tutti parteciparono generosamente. Racconta il figlio di Amelio, Mario Milò, testimone oculare del gioioso evento:- “Tutti partecipavano con gioia e rinnovato ottimismo: tanti i biglietti da mille lire, numerosi quelli da diecimila” Con il ricavato della colletta fu comprata anche la nuova statua del Vescovo martire (opera dell’artigianato trentino) che, nei suoi colori accesi, sembrava benedire il nuovo corso della storia del paese, dopo gli oscuri e tristi anni di guerra. I priori Adolfo Croesi e Francesco Croesi (noti come Adorfì e Chin de Maddalè), accompagnati dalle prioresse Biamonti Giacinta, madre dell’autore di queste note, figlia di Bacicì Biscarra e Ida Croesi, si prodigarono per l’addobbo della chiesa e della nuova statua del santo Patrono. Fu invitata la banda, che sotto la direzione del maestro Luigi Biamonti diede tono e colore alla festa popolare. Era il 3 febbraio del 1954. Nel 1957 fu acquistata una nuova portantina per la statua del Santo, dono del devoto Modesto Guglielmi. Tra i benefattori vanno giustamente ricordati Adolfo Croesi ed Airenti Maddalena, i cui nomi sono incisi su di una lapide a perenne memoria.

8 2015 Vedute interne ed esterne della chiesa di San Biagio

9 La tela (come ci ricorda il parroco Noaro nelle sue memorie) che orna l’altare maggiore è opera del pittore Capoduro di San Remo (8): rappresenta la guarigione di un bambino, teneramente stretto nelle mani della madre, da una lisca di pesce conficcata nella trachea. Tutt’oggi il Santo lo si invoca per i “mali alla gola”. Sul lato destro, nello sfondo, dietro l’alta e ieratica figura del santo, è rappresentato il borgo di San Biagio sorto accanto all’antico sacello sacro. Tutta la scena è soffusa di un’aura di fede semplice e genuina che emana dal volto della contadinella, mentre il borgo sembra vivere nella quiete del giorno festivo, in una luce misteriosa che si riverbera sui tetti rossi di coppi e sulle strade lastricate.

8. Sul telaio della tela è riportata la firma e l’anno 1834 in cui è stato fatto . E’ da notare che alle spalle del santo, Capoduro ha dipinto il paese com’era nel 1834; forse è la rappresentazione più antica che abbiamo.

10 LA CHIESA PARROCCHIALE SANTI FABIANO E SEBASTIANO

11 1. La Chiesa romanica Alla fine del millequattrocento, il paese, come risulta dalle rilevazioni catastali, aveva raggiunto una notevole consistenza demografica ed at- traversava un periodo di prosperità economica. Poteva quindi progettare la costruzione di una nuova chiesa al centro del borgo, là dove sorgeva un oratorio ormai in rovina. La nuova chiesa doveva sorgere su di uno sperone roccioso, la facciata rivolta al borgo e alla piazza in atto protettivo, in un periodo di pestilenze e di crisi religiose che si stavano addensando sull’Europa della “Santa Romana Repubblica”. Al santo martire Sebastiano, trafitto da mille frecce, era affidata la mis- sione di proteggere i fedeli dalle terribili pestilenze che periodicamente si riversavano sulla povera umanità smarrita, in un’epoca di crisi e di feroci passioni in tante regioni dell’occidente cristiano. La nuova fabbrica si ispirava ai gusti architettonici del tardo medioevo ligure: modesta e sobria nelle sue linee essenziali, lontana da ricercatezze e preziosità di una cultura rinascimentale che in questo lembo della non era ancora approdata. Il gusto del tardo gotico fiorito l’aveva impreziosita di tavole lucenti con fondi aurei e sacre elevazioni mistiche come doveva emergere dal polittico erroneamente attribuito ad Andrea della Cella .(1). Era rettore della nostra parrocchia, il reverendo Pietro Crovesio che insieme ai committenti poteva esultare per il nuovo splendido polittico che abbelliva la sua nuova chiesa. Purtroppo nel secolo successivo, il turbolento seicento, il prezioso quadro fu trafugato, come risulta dall’inventario fatto nel 1634 alla presenza del rettore Francesco Amalberti e degli ufficiali di detto luogo in cui si attesta laconicamente: - uno quadro di S. Giovanni Battista è statto preso al tempo della guerra. (2) Oggi possiamo idealmente rivederlo, contemplando il coevo polittico conservato nella chiesa di San Giovanni Battista di Soldano, a cui si ispirava secondo il desiderio dei committenti, “tam de auro quam de tentura”, con le sacre immagini del Cristo Crocifisso, della Beata Vergine e di San Giovanni Battista.

1. SASV. Atti Notai di Ventimiglia n.506 : citati da F. Amalberti nella rivista Intemelion 2005) e da M. Bartoletti in “Il polittico di Soldano”. 2. .(Not Croesi 361).

12 L’undici giugno del 1504, nello studio del notaio Antonio Ambrogio Rolando, nella città di Ventimiglia, i rappresentanti della comunità di San Biagio: Nicola Curto fu Andrea, Battista Molinari fu Francesco, Dome- nico Balestra fu Pietro, Giovanni Amarberti fu Nicola, Antonio Curto fu Rainaldo Bartolomeo Curto fu Antonio, Benedetto Curto fu Conrado, e Iacobo Biamonte fu Guglielmo e il magister Domenico Merezano, sono riuniti per un memorabile accordo in vista della costruzione della nuova Chiesa “sub vocabulo Sancti Sebastiani”. Il mastro muratore Domenico Merezano “per sé e i suoi eredi” promette di costruire per la fondazione della futura chiesa sei pilastri: tre da entrambe le parti, e sopra i pilastri gettare quattro arcate e le relative ali dalle due parti. I rappresentanti della villa di San Biagio, da parte loro, promettono di osservare i patti e a garan- zia pongono una “hipotheca et obligacione” sui loro beni presenti e futuri. (3) Si impegna quindi di coprire il vallone che scorre davanti al “portale maius”, con una “crota”, una volta che ne ricopra tutto il tragitto e sotto cui possa scorrere agevolmente l’acqua del ritano e le acque piovane del quartiere Bosio e del quartiere Torre. Si prevede pure la costruzione di un banchetto “cum suo arembatorio” verso Vallecrosia. Tutta la chiesa va poi ricoperta di travi e tavole di terebinto, ossia di larice e pino con chiavi e tiranti di quercia all’interno e di ferro all’esterno. La copertura del tetto deve essere fatta con lastre di abbaino, cioè di ardesia. Infine il maestro Domenico si impegna di ultimare tutta l’opera entro i prossimi due anni, a cominciare dalla festa di San Michele e il resto entro un anno. Questa imponente opera, giunta fino alla fine del settecento attraverso restauri e interventi conservativi continui secondo la testimonianza del notaio Zaccaria Riccio, fu sacrificata per dar spazio alla nuova costruzione barocca. Solo pochi frammenti ne sopravvissero, tra cui un crocifisso dalla evidente fattura romanica, ed alcune tele d’altare giunte miracolosamente fino a noi.(4). Nel settecento con il trionfo del barocco, l’opera dei secoli

3. (SASV-NOT Rolando 740 - 171). Intemelion 2012. 4. Il crocifisso è quello che contempliamo ancora oggi sull’altare maggiore. Le tele si curamente quella di Giovanni Battista Casoni (detta del anime, primo altare a sinistra) datata nella seconda metà del 600. (vedi pag 76)

13 precedenti doveva apparire gotica, priva di luce e quindi destinata all’oblio. Noi oggi possiamo con rimpianto solo immaginarla, osservando le chiese di o di Pigna, che hanno mantenuto l’impianto delle tre navate con le belle e ariose arcate che accompagnano ritmicamente il popolo di Dio. Di quell’epoca lontana si è conservato inoltre il meraviglioso lavoro di idraulica della raccolta delle acque del vallone, con gli ampi cunicoli e le volte che nonostante terremoti e alluvioni è giunto intatto fino a noi, dopo oltre cinque secoli.

14 2. Il campanile Nel settecento, dopo l’erezione della cappella dell’Addolorata, si pose mano alla costruzione di una nuova torre campanaria: il nostro bel cam- panile progettato dall’architetto Emanuele Cantone che aveva già ideato il campanile di Mentone.“Nel 1718 si è fabbricato il Campanile aderente a questa chiesa parrocchiale, le cui fondamenta sono tanto profonde che vi discesero con la lunga scala della chiesa. Il capomastro che diresse la fabbrica di detto campanile non aveva intenzione di ultimarlo dov’è ultimato, ma voleva alzarlo ancora circa trenta palmi. La popolazione però stanca dai lunghi travagli non aderì all’intenzione dell’architetto: si fu perciò che lo ultimarono come è di presente”.(5) Si ergeva possente sopra la valle e dominava le terre sottostanti del “ciouso” che digradavano lentamente fino al torrente. Dalla strada del fondovalle, il pellegrino poteva contemplare isolato e svettante quella meraviglia che improvvisamente si animava, in occasione delle feste e delle visite pastorali del vescovo accolto dallo scampanio festoso e dal tuono dei mortaretti. Nei secoli successivi, avrebbe accompagnato con il suono a distesa nei giorni festivi; e nei luttuosi, con il lento rintocco, il trapasso di un’anima. Il suono grave della campana grossa (la campana del perdono nelle grandi funzioni dei frati missionari) e il suono argentino della piccola che faceva da contrappunto nei giorni di giubilo come in occasione della fine di una guerra. Solo alcuni esperti riuscivano ad armonizzare contemporaneamente i due registri, il grave e l’acuto, con una perizia particolare. La storia ha lasciato cadere nell’oblio il nome di questi artisti e solo di uno di cui siamo stati testimoni attoniti, possiamo tramandarne il nome a futura memoria. Era l’indimenticabile Pinò Biamonti, il campanaro della nostra infanzia. Ma secondo una radicata credenza popolare, il suono della campana aveva pure un potere prodigioso, che andava ben al di là della sua semplice funzione di richiamo festoso o triste. Esso era infatti sentito come una potente protezione contro la peste, i fulmini, le tempeste, i banditi:

5. (APSB) Archivio Parrocchiale di San Biagio

15 “Funera plango, fulmina frango, sabbata pango excito lentos, dissipo ventos, paco cruentos. Laudo Deum verum, plebem voco, congrego clerum defunctos ploro, pestem fugo, festa decoro”(6) Al di là della sua funzione sacra, il campanile svolgeva pure una impor- tante funzione sociale, semplice ma essenziale in una società contadina. Dalle sue campane, giungeva provvidenziale il suon dell’ora agli affaticati e stanchi lavoratori della terra che si trovavano nella valle. Solo chi si allontanava oltre il crinale doveva affidarsi al tradizionale orientamento: il sole alto nel cielo nel meriggio e la linea d’ombra nelle ore della sera. “Batti martello, cammina sole” era l’invocazione di chi era stanco delle fatiche, in attesa del meritato riposo. La donna, all’avvicinarsi dell’ora, si affrettava verso casa per rianimare il focolare e preparare la povera cena; mentre gli uomini sarebbero giunti solo dopo il tramonto, quando dal campanile giungevano i rintocchi (Angelus) dell’Ave Maria. Al rientro in paese, il suono della campana che invitava alle ultime preghiere del giorno, alla benedizione col Santissimo (u Ben), era fonte di una dolcezza interiore che allontanava quel velo di melanconia causato dal distacco, come un raggio di cielo, in un animo cristiano, intimamente rasserenato e in pace. (7)

6. (APSB) Traduzione: “Piango i defunti, spezzo i fulmini, canto i sabati, sprono i pigri, disperdo i venti, placo i litigiosi, lodo il Dio vero, chiamo il popolo, riunisco il clero, accompagno i defunti, scaccio la peste, rendo belle le feste. 7. Il nome delle singole campane. Solo due portano il nome: la media (verso Vallecrosia) REGINA MUNDI BENEDICE NOS. La grande (fusa nell’anno 1768, rifusa nel 1927 FABIANE E SEBASTIANE ORATE PRO NOBIS.

16 Il Campanile: costruito nel 1718 dall’architetto Emanuele Cantone

17 3. L’inventario Prima dell’inizio della nuova chiesa, si fece un “Inventario dei beni mobili della chiesa parocchiale di San Biagio, sotto il titolo dei santi Fabiano e Sebastiano, fatto da me, infrascritto preposito, L’otto gennaio dell’anno 1777 ” (8) Ecco l’elenco: due lampadari d’argento, due turiboli con le navette; uno d’argento et altro d’ottone. Due calici d’argento con due patene et uno con piede d’ottone e sua patena. Due pissidi d’argento, e un tabernacolo, ossia ostensorio d’argento, una croce d’argento e chiave parimenti d’argento per il Sacro Ciborio. Tre vasetti d’argento per l’olio santo, un laveggio di rame con una cassetta per il fonte battesimale et al- tro per il lavatoio. Poi reliquarii di rame con frontespizio di cristallo con reliquia della Santa Croce, un’altra con la reliquia di San Biagio. Quattro busti e quattro reliquarii con reliquia due indorati, et altri inargentati. Una reliquia di Sant’Antonio di Padova, altra di San Giacomo Apostolo, di Santa Apollonia, due di San Sebastiano, altra della Santissima Vergine, di San Fabiano e altra di San Giuseppe. Poi un lungo elenco di piviali camici, pianete da vivi e da morti, tovaglie, baldacchini e una “statua di San Seba- stiano grande et altra picciola”. Infine elenca il “confallone del Rosario e del Nome di Gesù”. Il sacerdote Sebastiano Biamonti, residente a San Biagio fece fare a spese della chiesa la pregiata statua maggiore di San Sebastiano per il valore di 400 lire, moneta di Genova, “non compresovi l’angelo, il quale fecesi poi fare a spese della gioventù. Detta statua ed angelo si fecero in Genova. La statua di San Sebastiano dicesi che sia opera del celebre Maragnano (sic). (9) Questa statua arrivò poi a Bordighera dove la gioventù entusiasmata andò a prenderla (ben chiusa nell’armario in cui venne trasportata da Genova per mare) e se la portarono sul proprio dorso”. In questo inventario che precede di poco la completa ricostruzione della chiesa, non vi è alcun accenno alle opere d’arte presenti. Ormai tutti i pensieri erano rivolti ai grandi lavori che avrebbero cambiato il volto della nostra chiesa parrocchiale. ______8. Il parroco era: Bernardino Secondo Biamonti di San Biagio (1770-1796). 9. Anton Maria Maragliano: 1664 - 1739 Insigne scultore genovese

18 Statua in legno di San Sebastiano Opera del Maragliano

19 4. La nuova chiesa barocca del 1779 All’opera del Reverendo Bernardino Biamonti, subentrato alla guida della parrocchia dopo la rinuncia del Revendo Gio Battista Maccario, si deve l’iniziativa del rifacimento settecentesco della chiesa parrocchiale su progetto del Notari.(10) La sera del martedì 25 febbraio 1777 “circa un’ora di notte, con l’opportunità de lumi accesi nella casa canonicale”, si riuniva il Consiglio, “in pieno e legittimo numero, previa la verbale convocazione fatta dal publico traglietta”. (11) Oltre i componenti del detto Magnifico Consiglio erano presenti il Parroco, Bernardino Biamonti e il Signor Antonio Francesco, luogotenente dell’Ill. mo Signor Capitano di Ventimiglia. La relazione del Priore, Bartolomeo Biamonti, posta a conclusione del documento, poneva l’accento sulla ne- cessità del restauro della vecchia chiesa ormai in rovina. “Sanno le Signorie loro la necessità in cui si trova la Chiesa parrochiale di questo nostro luogo d’essere ristorata per liberarla dalla prossima rovina che minacia, non ignorano altresì che a questo oggetto radunatosi questo Popolo li 16 del corrente febbraio nell’Oratorio del presente luogo venne in delibe- razione di dare alla predetta nostra Chiesa il rezzanzo di tutte l’ulivi,che nasceranno nelle terre di tutti l’individui di detto luogo e darglielo non ripassato, ad oggetto che li Signori Deputati per detta Fabrica col prezzo di detto rezzanzo possano suplire le spese di detta ristorazione” (12)

10. Notari: Andrea Notari celebre ingegnere di Lugano. 11. I nomi dei quali sono i seguenti: M.M Bartolomeo Biamonti di Secondo Priore; Sebastiano Maccario q. Nicolò sottopriore; Gio.Batta Amalberti q. Giuseppe agente; Pasquale Maccario q. Martino agente; Gio.Andrea Maccario di Gio. Francesco agente; Giacomo Antonio Biamonti q. Matteo agente; Pietro Antonio Molinari q. Bernardino agente; Ampeglio Maccario q. Giuseppe agente. 12. CAP f 250 (Giuseppe Agostino Rossi Notaro)

20 Secondo questo accordo, i capi di casa produttori di olio, erano tenuti a consegnare il “rezzanzo non ripassato” detto anche “frantume”. Le olive frante dalla macina erano poste nel torchio sopra stuoie di sparto, dette “sportini”: con la spremitura davano il primo olio vergine, il più pre- giato e ambito; poi si otteneva un’altra quantità di olio versando sopra gli “sportini” l’acqua calda che il frantoiano intanto continuamente riscaldava nel grande calderone di rame. L’olio ottenuto non era di prima qualità e veniva raccolto con una speciale cassa “a fieura”, a pelo d’acqua. Era di certo ancora una buona quantità di olio che poteva quindi essere posto in vendita a beneficio della nuova fabbrica della chiesa. Era quella la tecnica dei frantoi a fredddo dei secoli passati, che si è conservata fino all’inizio del novecento, quando le olive si raccoglievano pazientemente a mano e l’olio si vendeva anche nelle più sperdute località facendo la fortuna dei commercianti intraprendenti. Nelle buone annate, si frangevano le olive fino all’inizio dell’estate e tutto l’olio in quantità abbondante veniva con- servato in capienti giare. La comunità era coinvolta in questo grandioso progetto come è ben evidenziato in un documento notarile del 28 Ottobre 1778 che riprendeva in parte il Decreto precedente. (13)

13. ASV-NOT 23 f 234 (Giuliano Biamonti de Maccariis - notaio)

21 5. La chiesa trionfante La nuova chiesa barocca era una immagine plastica della chiesa trionfante del Paradiso, immersa ormai nella gloria dei suoi santi e dei suoi angeli, avvolti da nembi di luce che l’oro profuso sui capitelli, sulle cornici rendeva ancora più fulgente. L’austera visione della precedente chiesa romanica penitente e orante come lo spirito medievale di cui era emanazione, si era dissolta in un tripudio di luci, ori, statue, quadri e baldacchini, stendardi e paludamenti sacri. E infine quasi a coronamento di tutta l’opera era stata eretta la nuova cantoria con il nuovo organo che riempiva la grande navata di una sinfonia di suoni. (14) L’altare maggiore (demolito nel 1950 per far posto ad un rifacimento marmoreo) era già nella sua imponenza la rappresentazione fisica della gloria del Golgota su cui si rinnovava giornalmente il divino sacrificio.(15) Nell’abside, sopra la preziosa cantoria, un quadro, opera di Jacopo Rodi, celebra i santi patroni: San Biagio, San Sebastiano e Fabiano immersi in una luce celestiale. Ai lati della grande aula, si susseguono ritmicamente i sei altari laterali sormontati da un imponente arco trionfale. Alla destra entrando ci accoglie la cappella di San Sebastiano, il santo Patrono; segue la cappella di San Giuseppe, effigiato in una grande tela che ne rappresenta il trapasso assistito dalla Vergine e da Gesù Cristo. Infine la cappella delle Anime Purganti, dove si ammira una pregevole opera del pittore Giovan Battista Casoni. Vi è rappresentato Sant’Antonio da Padova che intercede presso la Beata Vergine, in atteggiamento materno verso le anime purganti assetate di luce che aspirano alla gloria dei cieli. Forse adattamento di una precedente Madonna del latte, il cui benefico effetto si spande sulle anime oranti. La tela è stata restaurata nel 2010 con il concorso del Comune e del popolo di San Biagio. (16)

14. L’organo era un Agati, attualmente esistente nell’Oratorio dell’Assunta. 15. La fattezza e la bellezza di quell’ altare è tutt’oggi visibile nella Chiesa parrocchiale di Vallecrosia Alta. (L’umidità ha consumato le pareti per cui è stato sostituito con l’attuale in marmo) 16. Restauro attuato dal Laboratorio Bonifacio di Bussana. (vedi pag. 75)

22 Quadro nell’abside della Chiesa Patronale Sono raffigurati: SS. Fabiano, Sebastiano e Biagiodella Cima opera attribuita a Jacopo Rodi (1600 - 1630)

23 Sulla parte sinistra, nella prima cappella dedicata alla Vergine della Miseri- cordia di Savona, si ricorda la celebre apparizione della Madonna al devoto contadino Antonio Botta. Nella seconda cappella, sotto il trigramma IHS, una grande tela di Maurizio Carrega, celebra il nome di Gesù (17). Quest’al- tare detto del Nome di Dio l’ultimo giorno dell’anno accoglieva il piccolo Salvatore in fasce, per il bacio rituale. Nella stessa cappella, nell’ottocento con l’introduzione del culto di San Luigi, fu posta una statua del santo, a cui era abbinata la omonima Compagnia giovanile che ne celebrava la festa liturgica, il 21 giugno. Nel 1954, sull’onda dell’entusiasmo popolare e la richiesta di numerosi ex-allievi della scuola salesiana di Vallecrosia, fu acquistata una statua di Don Bosco e posta su quest’altare togliendo la tela del Carrega. Infine l’ultima cappella della Madonna del Rosario, la cui statua è racchiusa all’interno di una nicchia, contornata da formelle raffiguranti i misteri della Vergine(18) . Nelle nicchie laterali troneggiano le statue di S.Giovanni Battista, raffigurato col vello e l’agnello ai piedi; di S. Biagio con gli strumenti del martirio nelle mani di un angelo; e di S.Giovanni Nepomuceno martire ungherese del segreto confessionale: opere di Lucchesi e di Pietro Notari. Tra gli altari del Sacro Cuore e quello del Rosario, vi è il pulpito un tempo utilizzato dai predicatori nei solenni quaresimali. In alto nell’ampia volta, si contempla la rappresentazione lu- minosa del martirio di S. Sebastiano che affronta serenamente impassibile l’estremo supplizio, mentre nei pennacchi si affacciano austeri e solenni i quattro evangelisti. Nel cartiglio della volta, sopra il presbiterio, appare la scritta che ricorda i santi patroni cui è dedicato il tempio (19). La nuova chiesa venne consacrata il 21 gennaio del 1885 dal vescovo Tommaso Reggio di Ventimiglia.

17. La tela è opera di Maurizio Carrega (1759-1821) figlio primogenito di Francesco, stabilitosi a . Caratteristica del quadro è la rappresentazione della recente rivelazione del Sacro Cuore a Santa Margherita M. Alacoque: vedi il bambino seduto sul trono con un cuore visibile sul petto e San Francesco di Sales. (vedi pag. 77-78) 18. Le formelle, quattro delle quali sono state rubate, si trovano in archivio quasi com pletamente tarlate. Sono state sostituite da lastre fotografiche. 19. La scritta: DOM – Sanctis Martiribus Fabiano, Sebastiano et Blasio Templum hoc dicatum - Hi sunt qui venerunt de tribulatione magna -

24 6. L’organo della chiesa Dopo cinquant’anni dalla installazione del primo organo nella Chiesa Parrocchiale, si giunge con il parroco Zunino alla decisione di acquistarne uno nuovo. “A dì 25 Settembre 1850 S. Biagio dal Molto Reverendo Don Giobatta Zunino Parroco di S. Biagio mandamento di Bordighera Provincia di S. Remo, ed il Biamonti Gaetano Sindaco Regio di detto Luogo, ricevo io infrascritto Lire nuove Piemonte 1200,00 in moneta effettiva, e più il metallo del vecchio organo valutato lire cinquanta, per il prezzo d’un or- gano nuovo fabbricato, e collocato nella suddetta Chiesa, che però delle suddette Lire 1200,00 ne furono anticipate 200,00 all’atto del contratto fissato d’organo colla persona dell’Ill.mo e Rev.mo Monsignor Vicario Generale di Ventimiglia, talché al detto giorno, ricevo solo lire 1000,00 ed il suddetto metallo, colle quali formano il Saldo Totale di prezzo e valore convenuto del suddetto Organo comprese le Campanette nella somma totale di Lire n. p. 1250 ed in fede dico a me contanti, per i quali ne faccio quietanza di L n. p. 1250. Nicomede Agati e Fratelli fabbricanti d’Organo nella città di Pistoia in Toscana” Suonò la prima volta la domenica infra l’ottava della Natività di Maria Santissima nel 1850. Poi dopo mezzo secolo, il glorioso Agati che tanti concerti aveva donato alla Chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano, nel 1907 fu posto nella Cappella dell’Oratorio, dove continuò ancora per tanti decenni a vibrare di note nelle solennità dell’Assunta. Nella Chiesa parrocchiale fu installato un nuovissimo Organo Locatelli in sostituzione dell’ormai vecchio Agati. “Dietro l’incarico onorifico avuto dalla S. V. M. Reverenda il sottoscritto è ben lieto di poter rilasciare il presente attestato di collaudo del grande Organo di questa Chiesa Parrocchiale, fabbricato dal Sig. Giacomo Loca- telli di Bergamo, secondo le esigenze della liturgia ed in tutto conforme al Progetto di due Manuali, uno per il grand’organo, l’altro per l’espressivo.

25 Questo istrumento possiede tutte le qualità musicali per la forza e la nitidezza del Ripieno, varietà, morbidezza e vera imitazione dei registri di concerto e l’impasto omogeneo di tutte le voci, non che tutte le altre moderne invenzioni e comodità dell’Organista. E mentre fa i più sinceri encomii al Sig. Giacomo Locatelli per la scrupolosa esattezza nell’adem- pimento dei doveri portati dal suo contratto, spera, gli procurerà altre commissioni in merito della sua onestà e diligentissima fabbricazione. San Biagio della Cima il di’ della Collaudazione 4 Aprile 1907. C.co G. Boeri Organista della Cattedrale di Ventimiglia Sac. Antonio Laura Parroco” Il grande Organo Locatelli sarà l’anima pulsante delle messe cantate, dei solenni vespri e delle numerose novene per quasi un secolo di glorioso servizio all’arte ed alla liturgia. Nell’ottocento l’organista fu il celebre Maestro Giordano Giuseppe, fondatore della banda. Nel novecento per più di vent’anni lo suonò Biamonti Augusto, padre del nostro benemerito Maestro Rodolfo; poi per oltre quarant’anni fu animato dalle mani pro- digiose dell’indimenticabile Bernardo Molinari. I tiramantici se lo ricor- dano ancora muovere ritmicamente il busto e la testa imponente al ritmo di arcane melodie. Nel 1937 era stato riportato al suo splendore timbrico dalle mani esperte del Sig. Vesco Lorenzo. “ Il sottoscritto Vesco Lorenzo dichiara di ricevere dal Sig. Molinari Giu- seppe. tesoriere della Fabbricieria della Chiesa di S. Biagio della Cima la somma di lire 1000 a saldo totale del lavoro di riparazione da esso fatto all’organo della Chiesa Parrocchiale durante i mesi di Aprile e Maggio del corrente anno. Inoltre lo stesso Vesco con la presente dichiara di dare piena ed ampia garanzia per la durata di tre anni del lavoro di riparazione eseguito. L. Vesco e Figli S. Remo, li 31 Maggio 1937 Via Roma 28 “ (20)

20. I documenti riportati si trovano nell’archivio parrocchiale; così pure si trova il pro- getto di ristrutturazione (datato 2010) dei due organi per il valore di 120,000,00 Euro.

26 IL GRANDE ORGANO LOCATELLI ... Il grande Organo Locatelli sarà l’anima pulsante delle messe cantate, dei solenni vespri e delle numerose novene per quasi un secolo di glorioso servizio all’arte ed alla liturgia.

27 SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DEI DOLORI

28 1. Il santuario di nostra Signora dei Dolori Oltrepassato il borgo, oltre il quartiere Bosio, si erge in un bel pianoro, il Santuario di Nostra Signora dei Dolori, “a Madona di duluri”. In base a documenti d’archivio, risale all’inizio del settecento, quando i priori e il Rettore della comunità di San Biagio sottopongono al vescovo Ambro- gio Spinola l’umile richiesta di poter erigere una cappella in onore della Madre Dolorosa. “Illustrissimo e reverendissimo Signore Desiderando il popolo di San Biaggio d’erigere una capella, ò sia oratorio campestre sotto il titolo della Madonna dei sette dolori per partecipare di quella beatitudine promessa nella sapienza a chi si studierà d’accrescere la divozione della Gran Madre di Dio : “et qui elucidant me, vitam eternam habebunt”. Perciò noi infrascritti a nome di suddetto popolo supplichiamo instantemente La benignità di Vostra Signoria Illustrissima, e Revendissi- ma, a voler condiscendere a questo pio desiderio, prestando il suo richiesto consenso salvo sempre il beneplacito di Vostra Signoria Illustrissima, e Reverendissima, a cui inchinandosi faciamo profondissima riverenza. Gio Batta Maccario Rettore di S. Biaggio; Bartomelino Biamonte Priore della Communità; e Giacomo Biamonte altro Priore della Communità.” La supplica fu accolta benevolmente dall’eccellenza Reverendissima che in data 28 maggio 1706 così rispondeva: “Visis per nos et auditis precibus earumque tenore mature persuspenso, supplicantibus licentiam dictam novam Cappellam seu oratorium cam- pestre sub titulo B. M. Virginis septem dolorum edificandi et erigendi benigne concessimus et indulgemus ut suo tempore tam misse Sacrificium, exceptis solemnitatibus... Dato Vintimilii in Palatio Episcopali die 28 Maij 1706 - Ambrosius episcopus Vintimiliensis”

29 Il santuario divenne in pochi decenni il cuore della devozione popolare per la Mater Dolorosa, e meta veneratissima di un culto della passione di Cristo, che quasi in un compianto collettivo si snodava lungo le vie del borgo con i piloni che indicavano le tappe della Via Crucis. Sopra l’altare, il gruppo della deposizione opera del Notari illustra il dolore della Vergine Maria che sorregge il figlio, assistita dall’apostolo Giovanni e dalla Maddalena. In una nicchia laterale si trova la statua lignea della Vergine, sola, dolente, il volto segnato dalle lacrime e il cuore trafitto dalla spada, secondo la profezia del vecchio Simeone. E’ la Madonna dei sette dolori che accompagna il Figlio fino al sacrificio supremo: dalla fuga in Egitto, la scomparsa di Gesù per tre giorni, la salita al monte Calvario, la crocifissione e l’addio alla madre e infine la deposizione e la conseguente sepoltura. Maria diventava per i fedeli l’icona del dolore, la Madre degli esuli figli di Eva come si canta nella Salve Regina, la “Mater dolorosa” capace di resistere allo strazio della crocifissione fino al supremo istante “Cuius animam gementem contristatam et dolentem pertransivit gladius”. Nella deposizione del Notari, il dolore e la tragedia del calvario sono accentuati enfaticamente da colori vivaci e palpitanti, come era usanza popolare nelle rappresentazioni del Compianto e le lacrime della Pietà rigano visivamente quel volto, in cui tutte le madri si identificano, parte- cipi all’infinita tragedia del Golgota. La nostra cappella fu sempre oggetto di interventi conservativi lungo tutto il secolo decimonono: nel 1832 si procede a grandi opere nella pubblica piazza della Madonna dei Dolori, e si ripara il muro che sostiene la piazza stessa con un lavoro complessivo di “25 giornate d’arte, 40 di bestie e 90 di operai. Cinque anni dopo, fu eretta una Via Crucis in data 2 Luglio 1837 opera del frate minore Giovanni Maria di . “Io sottoscritto, previe la licenza di Monsignor Filippo Viale vicario capitolare della diocesi di Ventimiglia, le premure del Molto Reverendo Nicola Noaro Parroco del Luogo di S. Biagio, e del mio Superiore del convento di Perinaldo P. Salvatore, attesto di aver eretta in questo dì

30 Gruppo della deposizione: illustra il dolore della Vergine Maria che sorregge il figlio, assistita dall’apostolo Giovanni e dalla Maddalena. (Opera del Notari)

31 2 Luglio dell’anno 1837, nella Cappella Campestre della Madonna de’ Sette Dolori in vicinanza di detto paese ed anche nella Chiesa Parroc- chiale del medesimo Luogo la Santa Via Crucis giusta le forme prescritte dalla S. Congregazione delle Indulgenze, confermate dai sommi Pontefici, particolarmente da Clemente XII e Benedetto XIV. Frate Giovanni Maria di Carpasio Minore.” Nell’anno 1852 si procedette alla elevazione della grande facciata in stile barocco, ma l’atrio restava ancora aperto ai pellegrini e viandanti per una pausa di preghiera, prima di procedere lungo il cammino del crinale verso altri luoghi di culto e di devozione secolare come il santuario di San Gregorio o dell’Addolorata sul versante di . 2. Il Santuario nella memoria dei parroci Don Domenico Peruzzi, parroco dal 1889 al 1892, scrive: - Il flagello terribile del terremoto - anno 1887- 23 febbraio ore 6,30 del mattino - arrecò molti danni alle pubbliche fabbriche. Nostra Signora dei Dolori, chiesetta che io ho intenzione innalzarla al decoro di un piccolo santuario se rimarrò a lungo al governo di questa parrocchia o altrimenti ne lascierò il compito allo zelo de’ miei successori, era in pessimo stato, tetto rovinato, facciata a mal partito, il volto interno diviso in longitudine, specie perché questa cappella antica fu rifatta ed aggiunta per varie volte. L’icona poi era completamente guasta. Alla meglio, con della pazienza fu riparata e con bella festicciola venne benedetta poco prima di quella di S. Biagio al cimitero. Rimane a farci ancora la scalinata esterna. Il popolo è affezionato a questa cappella e sarà sempre pronto se i R.R. Parroci inizieranno riparazioni. (1) Don Giuseppe Lombardi, economo dal 1892 al 1899 scrive: - Il 18 settembre, terza domenica, si celebra con festa solennissima la B.V. Addolorata. Un comitato composto di giovani: Luca Molinari di Antonio, Nicola Molinari di Luigi, Luca Molinari di Bernardo, Serafino Maccario fu Giacomo, Fruttuoso Maccario di Giuseppe e Bartolomeo Biamonti di Sebastiano, passò pel paese a raccogliere offerte per celebrare con pompa solenne detta festa.

1. Don Peruzzi rimase solo tre anni poi rinunciò e gli successe Don Giuseppe Lombardi

32 Per diverse feste e anche in giorni feriali, aiutati da altre persone di S. Bia- gio, lavorarono sul piazzale della Chiesa dei Dolori, rifecero la gradinata che era tutta rotta e pericolosa, ridussero a piano uguale e più ampio lo stesso piazzale e lo circondarono di siepe. Fecero stampare gli Inviti Sacri e li mandarono ai paesi vicini, dai quali vennero molte persone a godere della simpatica festa. Dopo le sacre funzioni, per iniziativa del comitato vi fu la corsa nei sacchi, ascensione sull’albero della cuccagna, ascensione di palloni areostatici, fuochi d’artificio, illuminazione, eseguiti dai fratelli Filippi di . Il giorno dopo si cantò di nuovo messa nella Cap- pella dei Dolori e a mezzodì il Comitato offrì un pranzo al parroco coi due chierici di Perinaldo, al Sindaco Bartolomeo Giordano, e ad altri amici e parenti di componenti il Comitato. Anche qui regnò l’allegria e la pace”. Ancora Don Giuseppe Lombardi scrive: - Anno 1893-17 settembre: Un comitato composto da Molinari Luca di Antonio, Molinari Luca di Bernardo, Molinari Nicola di Luigi, Maccario Luigi fu Giuseppe, Biamonti Bartolomeo fu Sebastiano, passò a riscuotere denaro pel paese e in poco tempo si misero insieme lire 320 (trecentoventi) valore della statua bellissima in legno fatta in Torino da Giovanni Mi- noia (Via Mercanti n. 19). Più occorsero lire 12 di porto. La vigilia della festa, previa licenza di Monsignor Vescovo, la benedissi. Si cantarono i primi vespri in parrocchia. La terza domenica alle 9 si cantò Messa in parrocchia, si fece la processione col Santissimo. Verso le 10,30 si partì in processione con concorso di quasi tutto il popolo, colla banda, e si portò la nuova statua alla Cappella dei Dolori. Messa in terzo. Il parroco cele- brante, diacono D. Giacinto Maccario, Suddiacono il chierico Guglielmi di Perinaldo. Cerimoniere il chierico Lamberti Bernardo di Vallecrosia. Piovve molto sul mattino, ma verso le quattro pomeridiane il cielo si ras- serenò, si cantarono i vespri, e si fece la processione attorno alla Chiesa. Oh quanta gioia e commozione nel popolo numeroso! Tantum ergo in musica. Benedizione data dal reverendo Olivari Parroco di Vallecrosia. Indi corsa nei sacchi, accensione di pallone areostatico, fuochi artificiali eseguiti dai fratelli Filippi di Riva Ligure. Illuminazione. Grande sparo di mortaretti. Il dì seguente alle nove Messa solenne alla stessa cappella. A mezzogiorno pranzo nella terra di Maccario Luigi. C’eravamo circa 50 uomini. 33

Statua bellissima in legno fatta in Torino da Giovanni Minoia (anno 1893)

34 Ancora Don Giuseppe Lombardi scrive: - Anno 1894: La Signora Maccario Maddalena fu Luca il giorno 11 Luglio ha generosamente offerto lire duecento per concorrere ai nuovi lavori che si faranno nella Cappella dei Dolori (orchestra, pavimento, sagrestia) ma ha imposto l’obbligo di fare il Triduo in Parrocchia in preparazione alla festa dell’Addolorata. Così la festa della B. V. Addolorata quest’anno si fece con pompa straordinaria. Qualche tempo prima la popolazione nei dì festivi concorse ai lavori di restauro alla Cappella. S’ingrandì la piazza e la strada e la Chiesa. Si tolse l’atrio e si livellò col restante del pavimento che si fece più basso di circa due palmi. Si sostituì il pavimento che era di calce colle mattonelle di cemento. Si fece la tribuna od orchestra col soffitto sovrastante. Si comprò la cassa nuova adorna di fiori bellissimi e sovr’essa si portò la statua di Maria Vergine.Vi fu illuminazione la sera della quarta Domenica di settembre (invece della terza essendo che per ragioni speciali si rimandò la festa a detta quarta Domenica) illuminazione brillante eseguita dai fratelli Filippi, e i fuochi artificiali eseguiti da Ema- nuele De Marchi di Recco. Messa solenne, discorso detto dal R.mo Rossi parroco del Soldano, Processione, Messa e vespri in musica. La banda musicale era di Dolceacqua. La festa riuscì bella e allegra e pacifica, di pieno gradimento del paese e dei forastieri. In tutto si calcola vi saranno stati tre mila persone. Di tutto va dato lode al paese ma specialmente al Comitato: Luca Molinari di Antonio, Nicola Molinari di Luigi, Luca Moli- nari di Bernardo, Fruttuoso Maccario di Giuseppe, Bartolomeo Biamonti di Sebastiano, Serafino Maccario fu Giacomo.

35 3. I restauri negli anni ‘900 Anni 1951-1954: Per la festività dell’Addolorata si costituisce un comitato presieduto dal Cavalier Biamonti Fabrizio e composto da: Croesi Anto- nio, Maccario Tommaso, Biamonti Consuelo, Amalberti Pietro, Ghisolfo Guido, Maccario Giuseppe (Peppino de Nietta), Secondo Biamonti di Secondo, Mario Biamonti di Antonio, Croesi Pietro e il cassiere Molinari Giuseppe. Le prioresse sono Biamonti Palmira e Biancheri Irma. Per ren- dere più accogliente l’antica cappella, i giovani priori Consuelo Biamonti e Maccario Giuseppe, con il consenso entusiasta del nuovo parroco Don Ernesto Arnaldi e la partecipazione attiva degli altri soci, passano di casa in casa per una questua eccezionale, in vista dei tanti lavori preventivati: rifacimento della scalinata d’ingresso ormai logorata dagli anni, restauro del campanile, acquisto di due campane (realizzate con il rame e il bron- zo donati dalla popolazione nel 1954) e dei nuovi banchi, restauro della nicchia dell’altare e rifacimento del tetto. Per sopperire alle spese notevoli, organizzano pure una lotteria a cui contribuiranno con grandi donazioni, tanti commercianti di Vallecrosia e Ventimiglia, che ben conoscevano l’importanza del luogo sacro (due biciclette nuove fiammanti come primo premio). Antonio Biamonti (vulgo Gespin), padre di Palmira, prioressa dell’anno, concorre generosamente, con un’offerta staordinaria per coprire una parte delle spese; come lui tanti altri in una gara di gioiosa partecipazione. Per le campane nuove, un piccolo comitato promotore di padrini e madrine delle campane (Alberto Molinari, Salvatore Maccario, Federico Maccario. Ottavia Fassola, Annina e Serafina Maccario) offre generosamente una cospicua somma: 150.000 lire. Secondo una tradizione inveterata, accanto alla festa religiosa, permaneva l’aspetto gioioso e corale della festa campestre, evidenziata dalle luminarie, dai fuochi d’artificio opera dell’impresa Chioccia di Roma, pagati dal Cavalier Fabrizio e dagli immancabili “balui à ventu” di Antonio Maccario.

36 In quegli anni di rifiorente benessere, il Cavalier Fabrizio Biamonti fu protagonista di un gesto memorabile: per una grazia ricevuta dalla Beata Vergine, fa omaggio alla Vergine di una preziosa corona d’oro, che ador- nerà per sempre il sacro simulacro della Madre Dolorosa. Lungo il corso degli anni sulle spoglie pareti del santuario si accumuleranno gli ex-voto, omaggio di tante madri per il figlio malato o lontano sul fronte di guerra, in segno di devota riconoscenza. Dopo la morte del presidente Fabrizio Biamonti, fu posta una targa a ricordo dell’opera di quel benefattore inde- fesso e generoso. Poi giovani leve, nel corso degli anni, porteranno alle nuove generazioni la passione e l’entusiasmo per la festa dell’ Addolorata. Nel 1963 si ricostruisce il coro; nel 1985 si rifà il tetto e così si arriva al 2012 sotto la guida di Padre Carlo Crignola, zelante parroco della co- munità di S. Biagio ed esperto cultore d’arte sacra, i devoti fedeli hanno accettato con animo lieto l’incombenza di un’opera ormai non più procra- stinabile: il restauro della vetusta facciata, e la sua completa e rinnovata tinteggiatura secondo i canoni dell’ arte dell’ ornato, in auge nel secolo decimonono. In una riunione del Consiglio Economico, i Priori dei singoli Oratori decidono di aiutarsi l’un l’altro e così affrontare le spese comuni. Subito si chiedono le dovute autorizzazione e si affida la direzione dei lavori al giovane architetto Davide Gibelli che, consapevole della grande responsabilità verso le passate generazioni, ha affrontato con impegno e solerzia il gravoso compito direzionale. La maestranza di Gallace Dome- nico ha portato a termine l’opera con lodevole impegno. Si è prodigato al felice esito dell’opera Mirco Biamonti fu Danilo, membro del Consiglio Parrocchiale, in collaborazione con il priore Paolo Giacchin. Il preventivo dell’opera era di 15.000,00 Euro. Sul libretto dei risparmi dell’Addolorata vi erano solo 6.744,21 Euro. Molte furono le offerte generosamente date da moltissimi devoti; tra tutte è da menzionare un’offerta particolarmente elevata ( 5.000,00 Euro) risultata anonima, frutto di grande generosità: gesto visto come un evidente segno del cielo per le nuove generazioni.

37 LA CAPPELLA DELLA ANNUNCIATA

38 1. La cappella dell’Annunciata Il nostro itinerario continua, nel segno della Vergine, e seguendo la via Annunziata, ci porta fin sul crinale, dove sorge l’umile cappella circondata da uliveti e boschi, di pini marittimi, avvolti nella chiara luce che emerge dall’orizzonte marino. E’un’ opera tardomedioevale, (forse coeva della cappella di S. Sinforiano) posta a ridosso del sentiero che mena al colle della Crovairola. Negli ovili i pastori accudiscono con cura particolare i nuovi agnelli e nella quiete agreste e bucolica già immersa in una atmosfera primaverile, contempliamo l’umile testimonianza di fede nella Vergine Madre del Dio bambino: è il 25 marzo, Annunciazione del Signore. I primi raggi del sole dell’equinozio illuminano la sacra cella, in cui la Vergine Annunciata accoglie il Sole della vita, che darà alla luce nel giorno del solstizio invernale. Tutto intorno si vive nella magica attesa dell’evento sacro e pare che l’annuncio miracoloso si sposi con la natura circostante e ne esalti la misteriosa bellezza. I pellegrini in transito si fermano, dopo l’erta salita, per una preghiera alla Vergine, ricordando l’umil saluto in un dialogo interiore: -Angelus Domini nuntiavit Mariae – et concepit de Spiritu Sancto – Ecce ancilla Domini – Fiat mihi secundum verbum tuum - Et verbum caro factum est”... Dall’ atrio sormontato da un arco, passia- mo alla cella angusta dove è posta la sacra icona della Vergine, salutata dall’angelo Gabriele. Era cara al cuore dei devoti dei secoli passati, e già nel ‘600 la ricordavano nei loro lasciti testamentari. (1) Ancora oggi come in passato sulle labbra dei pellegrini e dei devoti viandanti, affiora una preghiera semplice come l’animo del contadino orante: “Madonna d’ Anunsià, scia benedetta sta giurnà chelu frutu che portasti, tutu u mundu luminasti, luminasti la mia mente che nu pecchi mortalmente scia de neute scia de giurnu. Spiritu Santu sempre d’aturnu, scia de neute scia de dì, Spiritu Santu sempre cun mi”. La cappella dell’Annunciata è nel cuore di tutti i devoti ma vanno menzio- nati i volenterosi benefattori che recentemente hanno provveduto al suo restauro e alla sua conservazione: Amalberti Ofelio, Molinari Lina, Ver- rando Maria Tina, Biamonti Pinuccia, Tomatis Giovanni, Biamonti Adone.

______1. (SASV Not. Riccio 728) 39 LA CAPPELLA DI SANTA CROCE 40 1. La Cappella di Santa Croce Lungo un aspro e ripido sentiero l’ascesi del pio pellegrino continua fino al colle della Crovairola, dove all’inizio dell’ottocento fu eretta una Cappella dedicata al culto della Santa Croce. Fin dal suo esordio, fu meta di un pellegrinaggio costante del popolo devoto, tanto forte era il sacro richiamo della passione di Cristo. Da tutti i paesi delle vicine vallate, in occasione della festa della Santa Croce, nei mesi di maggio e settembre, uno stuolo incessante di fedeli accorreva, processionalmente, in segno di grande devozione e fede. Il luogo, già ricco di un suo fascino misterioso, acquisiva così una mistica dimensione di elevazione contemplativa. L’ideatore di questa cappella era stato il santo frate Vitaliano, al secolo Giambattista Maccario, erede di una famiglia di ricchi proprietari terrieri. Come tanti coetanei era stato ammaliato dall’ideale religioso e seguendo l’intimo richiamo della vocazione, aveva abbracciato l’ordine delle Scuole Pie, divenendo sacerdote. Nel 1815, dopo un periodo travagliato della sua vita di religioso, aveva deciso di rinunciare alle sue proprietà, per fondare un pio legato, prima di ritirarsi dal mondo e ritornare nella sua Congrega- zione. Come l’umile frate Francesco, si era voluto spogliare, con un atto di rinuncia, di tutti i suoi beni terreni, per elevare al Cristo crocifisso un luogo di culto particolare, su quel colle che dominava idealmente come il Calvario, i borghi sottostanti. Finita la bufera napoleonica, il nostro santo frate sottoscriveva, davanti al notaio Aprosio, il seguente atto di rinuncia, in data 13 Novembre 1815. (1)

2. Il testamento di Padre Vitaliano “Nel nome di Dio, e di S. M. Vittorio Emanuele per grazia di Dio Re di Sardegna, di Cipro, e di Gerusalemme, Duca di Savoja, e di Genova, Principe del Piemonte. Nanti del maestro Giacomo Aprosio, notaio pubblico alla residenza della città di Ventimiglia Capo Luogo del Cantone, ossia mandamento di questo nome, ... ed in presenza dei testimoni qui appresso nominati e sussignati,

1. Detta scrittura si trova in archivio a Ventimiglia, vedi: (NOT 97-870)

41 è comparso il Molto Reverendo Signor Don Giambattista Maccario, figlio del vivente Signor Giuseppe, Sacerdote professo nella Religione delle Scuole Pie nella Provincia Romana sotto nome di Padre Vitaliano, nato a San Biaggio comune del mandamento di Bordighera Provincia suddetta, e qual Precettore di Grammatica Latina domiciliato e dimorante in detta città di Ventimiglia, dal detto ed infrascritto Notaro appieno conosciuto, il quale sapendo che attesi gli avvenimenti successi nei Stati Pontifici, ed in altri Stati di diversi altri Sovrani è stato obbligato ad uscire fuori dei Conventi di detta Religione da superiore forza soppressi, e viveva perciò quale prete secolare in mezzo al mondo, da che ha dovuto abbandonare detta sua Religione... ma siccome stante la felice ripristinazione delle cose viene egli di nuovo in oggi chiamato a rientrare in detta sua Religione, cui già per l’avanti per divino impulso si era dedicato e volendo pria del suo reingresso in detta Religione, lasciare al mondo ciò che è del mondo, ond’è ch’egli per il presente atto, di sua spontanea volontà, animo deliberante, ed in ogni miglior modo di diritto colle riserve, condizioni ed obblighi, nonchè con la facoltà ed autorità, che si diranno in appresso, ha abdicato da sè ed ha rinunciato, siccome da sè abdica e rinuncia a mani del Signor Bartolomeo Bonsignore fu Antonio farmacista,(2) suo intrinseco amico, nato, domiciliato e dimorante in detta città di Ventimiglia qui presente ed accettante e stipulante tanto per se che per i suoi eredi e successori con le facoltà ed autorità suddette e sotto i carichi, ed obblighi, condizioni, e riserve di cui sopra... gl’infrascritti beni stabili e contanti da esso Signor Don Giambattista Maccario al battesimo e padre Vitaliano in religione acquistati e risparmiati...

3. Elenco e finalità dei beni lasciati Padre Vitaliano, al secolo Gianbattista Maccario, da giovane era entrato negli Scolopi a Roma. L’ordine religioso detto “Scolopi” fu fondato da

2. Bartolomeo Bonsignore, farmacista di Ventimiglia, amico di Padre Vitaliano sarà l’erede diretto di tutti i suoi beni. A lui toccherà formare una pia fondazione per la gestione dei beni stessi.

42 Giuseppe Calasanzio a Roma nel 1597 allo scopo di educare i giovani fanciulli in scuole, parrocchie e missioni. Con la soppressione degli Ordini religiosi nell’epoca napoleonica, tutti i religiosi vengono inviati nei luoghi di origine, così Padre Vitaliano torna a casa come sacerdote secolare e data la sua formazione culturale e religiosa insegna, come dice il Notaio Aprosio, grammatica a Ventimiglia. Morto Napoleone si ricostituiscono gli Ordini religiosi e vengono così richiamati tutti gli ex religiosi. Padre Vitaliano è ben felice di tornare, ma prima vuole spogliarsi di tutti i beni acquisiti col proprio lavoro o ereditati, donandoli al Signor Buonsi- gnore Bartolomeo. La donazione ha uno scopo, quello di innalzare al più presto possibile una piccola chiesa, ossia Cappella sotto il titolo di Santa Croce nel Bosco di pini detto della Cima e costituire un fondo che serva a mantenere un cappellano per detta Cappella e una scuola in San Biagio per l’educazione dei fanciulli. I beni che lascia sono consistenti: una casa e una cantina a Ventimiglia, terreni coltivati e boschivi nel luogo detto La Cima in territorio di San Biagio, infine una somma in contanti di duemila monete genovesi. Torniamo al testamento redatto dal Notaio Aprosio: “... Della detta somma di lire duemilla in contanti, ricavo dalla vendita, e alienazione dei detti stabili..il Signor Bartolomeo, ed in suo difetto i suoi eredi, e successori, sarà e saranno tenuti primieramente d’inalzare al più presto possibile una piccola Chiesa, ossia cappella sotto il titolo di Santa Croce nel Bosco di pini detto della Cima, oppure in quell’altro sito più eminente di detta Comune, cioè in vetta del colle che resta fra la riviera di Nervia, ed il Vallone detto di Vallecrosia, quel sito perciò il Signor Bartolomeo o suoi eredi e successori resta o restano autorizzati ad acquistare …con facoltà di costituire a detta nuova cappella per la di lei manutenzione quella dote, ossia annuo reddito, che la Curia Vescovile giudicherà e stabilirà conveniente e necessario per detta manutenzione con ipotecare a tal’effetto quel fondo. (3)

3. L’atto è stato firmato in novembre del 1815, si pensa che la chiesetta sia stata costruita nel 1816 per cui quest’anno ricorre il duecentesimo anno

43 4. Una scuola di cucito per le ragazze Padre Vitaliano, da buon religioso scolopio, fonda una scuola per la for- mazione ed educazione delle ragazze in San Biagio. Leggiamolo nel suo testamento: “...Eretto che sarà il succennato fondo, si dovrà eleggere, e nominare una Donna proba ed onesta, di buona fama e costumi e di una capacità sufficiente, che abbia domicilio e dimora in detto Comune di San Biaggio, la quale quotidianamente, meno però i giorni festivi di precetto della Santa Chiesa Apostolica Romana, sarà tenuta, sotto la sorveglianza del Reverendo Parroco pro tempore di detto Comune di San Biaggio, ad insegnare ivi alle Zitelle di detto Comune dall’età degli anni quattro sino ai quindici a leggere, cuccire, far calzette e veli per il capo, e la Dottrina Cristiana, alla quale perciò pel di lei.. onorario sarà applicato e devoluto e potrà da regola percepire ed esiggere tutto l’intiero reddito del fondo… col carico inoltre di far celebrare ogni anno nella nuova cappella sotto il titolo di Santa Croce... due Messe in suffragio dell’anima di esso Signor Giambattista Maccario, in Religione Padre Vitaliano, e dei suoi Genitori: una cioè il giorno tre Maggio, Invenzione della Santa Croce, e l’altra il quattordici Settembre, giorno della di lei esaltazione”. Inoltre dovrà oc- cuparsi ...”della manuntenzione e riparazione di detta nuova Cappella e suoi arredi. Quella ... donna non potrà mai essere dimessa da tal impiego senza giusti motivi, o cause da conoscersi per tali dal Reverendo Parroco pro tempore di detta parrochia, ed in suo difetto dall’economo pro tempore della medesima senz’alcun processo, causa o sentenza formale, e dopo la morte naturale di detta donna, o cessata detta sua carica si passerà all’elezione e nomina d’altra fornita delle medesime qualità per insegnare quanto sopra alle dette zitelle... e così si continuerà in avvenire sino alla fine del mondo. (4)

4. In questi anni il parroco e molti fedeli, in particolare bambini, adavano, a piedi alla chiesetta, ormai diroccata, il primo maggio; si celebrava la Santa Messa e si pran- zava al sacco.

44 2015 Una delle tante messe celebrate in questi anni il primo maggio

45 5. Difficoltà e incomprensioni Lodevole l’entusiasmo di Padre Vataliano espresso in quell’ingenua postilla del suo testamento: “.. e così si continuerà in avvenire sino alla fine del mondo”. Purtroppo non ha fatto i conti con la volubilità e la cupidigia dell’indole umana e così a dieci anni della sua rinuncia iniziano i primi contrasti. A seguito di una lite tra i parroci di San Biagio, e Vallecrosia dovuta all’afflusso di numerosi pellegrini che dalle valli sotto- stanti si recavano alla nuova meta religiosa, il Vescovo a cui era pervenuto un esposto di detti parroci, in data 22 agosto 1821 così rispondeva: “...circa il diritto, che ciascun di essi nella detta loro qualità intende avere nella Cappella eretta sul monte Crovairora, ad ogni buon fine ed effetto decreta. 1- Omessa nella prossima festa della Santa Croce la messa in Canto, sarà in diritto il Patrono (Il proprietario) della detta Cappella di far celebrare da chi meglio stimerà la presente Messa letta. 2- Occorrendo poi che una quantità di devoti, sia di San Biaggio, che di Vallecrosia e di Camporosso si spostassero processionalmente a visitare il detto Santuario nella circostanza della festa, accompagnati da rispettivo parroco, questo celebrerà ivi, così lui piacendo, la messa bassa, e non in canto. Riservandosi di provvedere sul merito della questione dopo aver assunto maggiori informazioni, e dopo che sarà nota la decisione dei confini di Camporosso per parte del Governo”.

In attesa della decisione governativa, circa i confini della Magnifica Comunità degli Otto Luoghi, si procedeva a base di carte bollate tra gli eredi e l’esecutore della pia fondazione. Nel 1834, da un documento del notaio Lorenzi, il nuovo cappellano della Pia Fondazione risulta essere il Reverendo Giuseppe Maccarj, religioso dell’ordine delle Scuole Pie e nipote del sudetto Reverendo Giobattista Maccarj. Ad esso il Buonsignore: “cede, dona e assegna a titolo di donazione irrevocabile, sua vita du- rante tutta la proprietà, con la relativa fruizione e usufrutto della stessa eredità...” .

46 Tre anni dopo, il primo aprile 1837, in un documento di locazione, si notano le prime difficoltà di gestione di una così impegnativa impresa. “Per la presente da insinuarsi occorrendo, il Signor Bartolomeo Buon- signore fu Antonio nativo ed abitante di questa città, nella sua qualità di esecutore della Pia fondazione Santa Croce fatta dal fu M.R.D. Vitaliano Maccario, al secolo però Giobatta Maccario, in forza d’istrumento d’erezione del 13 novembre 1815 notaio Giacomo Aprosio apiggiona per anni otto, oggi principianti, e da terminare così a tutto marzo del 1845 al qui presente ed accettante Antonio Maccario fu Giuseppe, nativo ed abitante di S. Biagio le diverse terre aggregate che insieme costituiscono il fondo detto La Cima di Crovaireura, compresovi il bosco, che sotto li 10 Giugno 1823 detto Sig. Buonsignore comprò dal detto Maccario, siti detti stabili nel Comune di detto S. Biagio, e sotto li noti loro confini. La presente locazione è fatta per l’annuo fitto di lire dieci pagabili in fine di ogni anno a detto Sig. Buonsignore in detta sua qualità, o a chi per esso. Inoltre è fatto alle condizioni ed obblighi seguenti, ai quali il conduttore Maccario si sottomette, e che sono: 1- che dovrà questo far celebrare annualmente e pel decorso di detti anni otto, due messe lette, cioè una il tre maggio, e l’altra il 14 settembre, nella Cappella detta di Santa Croce in detta Cima di Croaireura e di fare applicare il S. Sacrificio giusta l’obbligo e la mente espressi in detto instrumento di fondazione. 2- Di mantenere e di riparare detta Cappella e i suoi arredi, giusta il bisogno. 3- Di far costruire a proprie spese e senza speranza d’indennizazione veruna un muro in malta calcina dietro il coro di detta Cappella e sei palmi in distanza da questo dell’altezza e larghezza quanto è larga ed alta detta Cappella, e dello spessore almeno di un palmo e mezzo. 4- Di consegnare e depositare, finita ogni funzione o celebrazione a mani della Maestra pro tempore nominata per detta fondazione, tutti gli arredi,

47 ed utensili di spettanza di detta Cappella, che ha e che avrà per l’avvenire, quale maestra però dovrà consegnarglieli nelle occorenze delle feste o celebrazioni. 5- Finalmente di mantenere in buon stato detta terra e bosco, e da diligente padre di famiglia; come anche di non tagliarvi alberi di sorte veruna. La presente è fatta a doppio originale da restare una presso ciascuna di dette parti, le quali si son rispettivamente sottoscritte in ciascheduno di detti due originali: (5) Bartolomeo Buonsignore - Antonio Maccario.

Il parroco, Nicola Noaro, archivia questo documento aggiungendovi una nota personale: ” Antonio Maccario all’obbligo 3° non intende sottomet- tersi, se il Signor Buonsignore non gli provvede almeno 30 lire”.

Pochi decenni dopo, con la legge Siccardi del 1864 furono soppressi gli ordini religiosi e i beni del Pio Legato Santa Croce incamerati dal demanio. Sappiamo anche che, da un documento ritrovato, i legittimi discendenti del fondatore riuscirono a riscattar i beni del pio legato, grazie all’interessa- mento del Professor don Giuseppe Maccario, nativo di San Biaggio della Cima, e residente in Ventimiglia quale Preside di quel Ginnasio, che li “... svincolava rispetto al Regio Demanio con atto ricevuto: Ferrari in Ventimiglia lì 14 agosto ultimo, costituente già il patrimonio in parte della Cappellania denominata di Santa Croce di cui è parola nell’atto di svincolo... con ogni gius accessorio e relativo, compreso il diritto di proprietà nuda sulla Cappella e fabricato...” Con questo atto giudiziario, finiva in parte la storia della fondazione voluta del mistico frate scolopio Vitaliano, che già agli esordi doveva incontrare non poche difficoltà burocratiche e legali, in un contesto sociale e politico che si stava sempre più allontanando dalla sua visione religiosa.

5. Il documento si trova in archivio parrocchiale, trascritto per copia conforme dall’allora parroco Don Nicola Noaro

48 Tuttavia il suo messaggio, nonostante le numerose contrarietà, continuò a fermentare e a entusiasmare sempre nuove schiere di fedeli e mistici che per oltre un secolo continuarono a frequentare quel luogo di sacre elevazioni. E al di là della fede religiosa, v’era un legame di passioni e di ideali che univa chi saliva sul colle e restava ammaliato da quel segreto numen loci che per frate Vitaliano era coinciso con la sua passione segreta di immedesimazione con il Cristo del Golgota, ritratto in un quadro del Van Dick esposto alla venerazione dei fedeli...(6) La cappella è ora affidata alle cure degli eredi della famiglia Biamonti Ampelio e alla generosità dei volenterosi che tentano di preservarla dalle violenze del tempo e degli uomini.

6. Riguardo a questo quadro del pittore belga Van Dick sono molti che affermano l’esistenza ma non si sa che fine abbia fatto.

49 LA CAPPELLA DEL ROSARIO

50 1. La cappella del Rosario

A metà costa, in località Berna, sorge la cappella privata dedicata alla Ma- donna del Rosario. Fu eretta dal prete Giacinto Maccario, per l’edificazione religiosa dei numerosi contadini di quelle fertili terre ricoperte di vigneti ed uliveti, immersi in una luce meridiana che esalta la serena bellezza del luogo. In una supplica rivolta al vescovo, probabilmente nel 1888, prè Giasintu implorava il permesso di edificare una cappella in ottemperanza di un precedente voto: “Eccellenza Illustrissima e Reverendissima Il sacerdote Maccario Giacinto di San Biagio della Cima, premesso il bacio del Sacro anello, umilmente espone alla S. V. Illustrissima et Reverendis- sima che otto anni or sono fece voto di erigere una pubblica Cappella ad onore della Beata Vergine del Rosario nella regione detta Berna, sita nel territorio di questa parrochia coll’assegno alla medesima di una dote competente a norma delle sinodali costituzioni diocesane... che detta Cappella sarebbe di grande utilità spirituale a molti parrocchiani, i quali solendo passare la stagione estiva ed autunnale nella regione predetta potrebbero ogni sera radunarsi in detta Cappella per la recita del Santo Rosario. Per questi motivi supplica l’Eccellenza Vostra Illustrissima e Reverendissima a volergli benignamente accordare la facoltà di erigere la detta Cappella, di fissarne la dote e dopo averla fatta visitare da persona deleganda dalla Vostra Eccellenza, a permettere di benedirla per potervi celebrare la Santa Messa. L’umile oratore Maccario Sacerdote Giacinto.

2. Don Giacinto Maccario

Maccario Giacinto fu Giobatta era nato l’undici settembre del 1826 a San Biagio. Ordinato prete il 2 giugno 1850, per alcuni anni fu Rettore di varie Cappellanie, poi per vent’anni parroco a Brossasco (Saluzzo). Da oltre 10

51 Interno della Cappella del Rosario

52 anni in patria, San Biagio, col titolo di Vice Parroco e Cappellano dell’Orato- rio. Ha una cappella in casa ove dice Messa e un’altra chiesetta in campagna, regione Berna, chiesa pulita e ben tenuta. Nelle feste dice Messa all’Oratorio e la seconda messa nell’oratorio di Soldano”. (1) Anche il fratello maggiore Giobatta, nato nel 1807, aveva intrapreso la carriera ecclesiatica, e con il suo esempio aveva determinato la scelta di vita del fratello Giacinto. “Il 30 Giugno del 1898, Don Giacinto Maccario con atto notarile rogato dal Regio Notaro Balestra di Camporosso residente a Bordighera in cui cedeva tutti i suoi beni al fratello Giacomo, ha disposto come segue della sua Cappella di Berna. Vuole che alla sua morte il fratello Giacomo o i suoi eredi diano alla Fabbriceria della parrocchia, in assoluta proprietà, la detta Cappella con tutti gli arredi che vi saranno entro il giorno della sua morte, col libero passaggio pubblico a detta Chiesa e diano lire 200 al Parroco pro tempore con l’obbligo di celebrare in detta Cappella due messe: una il 16 Agosto e l’altra il primo lunedì dopo la festa del Santo Rosario. Il parroco dunque che si troverà in S. Biagio all’epoca della morte del Reverendo Don Giacinto si faccia rimettere le chiavi della Cappella e faccia le pratiche opportune per esigere le 200 lire e si consigli con la Curia Vescovile sul modo di impiegarle e supplichi Monsignor Vescovo che lo autorizzi ad accettare tale legato”.(2) Tali passi non furono mai fatti e la cappella è ora custodita e curata dagli eredi di Maccario Luigi, pronipote del Reverendo Don Giacinto. Sopra l’altare si trova un quadro della Madonna del Rosario e ai lati due piccoli quadri dei santi Pietro e Giacinto. Ancora oggi in quel luogo si respira aria di semplice pietà popolare, legata alle piccole devozioni di un tempo, i fiori dipinti e le care immagini ci trasportano in un’altra dimensione di rarefatta letizia. Questa atmosfera raccolta appena oltrepassata la soglia svanisce improvvisamente nella visione della valle, del colle e della marina che emerge nell’orizzonte luminoso: un quadro di una bellezza straordinaria, carica di un fascino arcano.

1. (A.V.V.) archivio vescovile di Ventimiglia 2. ( A.P.S.B.) archivio parrocchiale San Biagio 53 LA CAPPELLA DI SAN SINFORIANO

54 1. San Sinforiano Al di là del torrente, sul versante opposto della valle, sorge la cappel- la tardomedievale dedicata al santo martire Sinforiano, originario di Autun(Francia). Ed improvvisamente ci sentiamo trasportati in un’aura di medioevo occitanico, sulle orme di cristiani catari erranti per le nostre valli in cerca di una purezza primordiale. Del Santo martire caro ai riformatori catari, la storia ci parla degli estremi momenti del supplizio. La madre lo esortava ad affrontare arditamente la prova suprema con ispirate parole: “Figlio mio, figlio mio ricordati della vita eterna! Volgi il tuo sguardo in alto e contempla Colui che regna nei cieli! Tu sentirai che la tua vita non ti è strappata, ma trasformata in una migliore!” L’atrio come nella cappella dell’Annunziata, ha una chiara funzione d’accoglienza dei pellegrini che potevano sostare in preghiera nello spazio antistante il pio sacello e tra- scorrervi le ore della notte della vigilia della sacra ricorrenza. Come testimonia il notaio Croesi Simone in un atto risalente al 1623, la cappella fu ricostruita ex novo, a causa del totale degrado della precedente costruzione ormai completamente “dirupta”. Il rettore Amalberti Francesco pose la prima pietra e benedisse l’opera di ricostruzione, beneaugurante il papa Urbano VII felicemente regnante. Massaro della cappella era Filippo Amalberti fu Francesco e tra i testimoni il Reverendo Padre Priore del Convento di S. Agostino di Ventimiglia, Antonio Molinari fu Pietro e Bartolomeo Maccario fu Luigi. Fu restaurata nuovamente all’inizio dell’ottocento, come ci racconta il parroco Nicola Noaro nelle sue cronache. “- Io infrascritto essendo stato delegato da Monsignor Lorenzo Viale vescovo di Ventimiglia a visitare le cappelle campestri di questo Luogo, con facoltà di sospendere quelle che si trovassero in cattivo stato, dichiaro che avendo trovato la cappella di San Sinforiano indecente per la fessura che scorgesi al muro dell’altare per l’umidità che s’interna nella Cappella procedente dal muro opposto alle finestre, per lo stato della porta, per la necessaria riparazione del tetto, e per il cattivo stato in cui si trova l’altare istesso, valendomi dell’autorità vescovile conferitami ho sospeso la

55 Interno della Cappella di San Sinforiano

56 predetta cappella fino alla nuova ristorazione delle parti indicate. S, Biagio, li 25 settembre 1843 Nicola Noaro Parroco...” “Siccome chi ha fatto il male, deve farne la penitenza, così dopo aver io sospeso la cappella di S. Sinforiano il cuor non mi reggeva di partirmi da questo luogo senza ristorarla. Cominciai pertanto li 6 marzo a trava- gliarvi e la finii in aprile. A maggio poi la feci dipingere, la benedii e vi cantai messa la vigilia dell’Ascensione. Raccomando caldamente al mio successore di non lasciar in detta cappella il nuovo quadro che ho fatto far di recente, fino alla festa di S. Sinforiano, dell’anno 1845. In quest’anno vi si trasporterà ma solo per la festa, quindi si metterà nuovamente nella cappella di S. Biagio. Detto quadro fatto da Capoduro mi costa 20 franchi non compresa la tela e il tellaro. “ Come abbiamo detto in mancanza di fonti certe, è opinione diffusa che il culto di questo santo sia stato portato dalla vicina Provenza nel periodo della crociata contro gli Albigesi o in epoca successiva, dopo la terribile peste del 1348 che sconvolse tutta l’Europa. Profughi di quelle terre lontane erano stati accolti nel territorio del principato di , in località detta Crestiai, dove lontano da occhi indiscreti avevano potuto attenersi al loro spirito puritano. Un grato ricordo ed un ringraziamento cordiale va a quanti in questi ultimi decenni hanno contribuito alla tutela ed alla conservazione della antica cappella: Airenti Francesco; fratelli Maccario Giuseppe, Adriano e Luigi; famiglia Agnese; famiglia Nicodemo; famiglia Biagini; famiglia Maccario Silvia.

57 LA CAPPELLA DELLA MADONNA DELLA NEVE

58 1. La Madonna della Neve Cappella privata eretta, secondo una tradizione orale, dal prete Antonio Giordano che fu per lunghi anni cappellano della confraternita dell’Ora- torio, da tutti stimato ed ammirato per “l’indefesso e ammirabile zelo” nei confronti della comunità parrocchiale. Per quarantacinque anni, infatti, era stato il cappellano della Confraternita dei Penitenti Bianchi che alla sua morte, unanimemente decretarono solenni funerali (17 dicembre 1884). “La Confraternita nel compiangere la perdita del suo amato Cappellano, ne decretava a spese proprie solenni funerali”. Questo attestato del gennaio 1885 a firma del priore Molinari Luca di Antonio è conservato nelle memorie dell’Oratorio. Primogenito di Pietro Giordano fu Bartolomeo, era nato il 15 agosto del 1806, nella casa sita nella piazza della Chiesa. Avviato alla carriera reli- giosa, aveva ricevuto dal padre un consistente patrimonio che gli consentiva di accedere al Seminario diocesano. Anche il fratello minore Luigi, nato nel 1822, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica, scelta non nuova nella famiglia che annoverava già uno zio prete, il Molto Reverendo Macario. (testamento 1837 vol 89) Nella proprietà privata denominata San Ferian, la cappella, esposta a mezzogiorno e cicondata da ulivi centenari, si protende verso l’orizzon- te marino che la inonda della sua luce meridiana, intensa e calda nelle ore crepuscolari. La cappella dedicata a Maria Santissima sotto il titolo di Madonna della Neve, è costituita da un’unica aula preceduta da una armoniosa facciata, solenne nelle sue linee essenziali. Forse, come la cappella omonima che si erge nel territorio di , fu eretta dopo un periodo di grandi geli della cosidetta “piccola glaciazione”, che segnò il seicento e il settecento. Gli attuali custodi della cappella, eredi della Signora Francesca Giordano madre del compianto organista Molinari Bernardo sposo di Biamonti Mar- gherita, sono Croesi Luigi e Molinari Veglia che con amore e devozione ne perpetuano la memoria.

59 L’ORATORIO DI NOSTRA SIGNORA ASSUNTA

60 1. L’Oratorio dell’Assunta Nella piccola piazza della Madonna, sorge l’Oratorio dell’Assunta, nella cui luminosa facciata sono raffigurati accanto alla beata Vergine, i due santi protettori San Filippo Neri e San Carlo Borromeo: il Neri riformatore degli Oratori e il Borromeo delle Confraternite. Entrambi il volto assorto nell’estatica visione, osservano rapiti la Madonna che si inalza verso i cieli di luce. Era l’Oratorio della confraternita dei disciplinanti bianchi o dei battuti che indossavano lunghe tuniche bianche culminanti in un cappuccio a punta, con due piccole aperture per gli occhi. Durante le pro- cessioni festive e le cerimonie funebri, sopra il bianco vestito indossavano una mantellina rossa o nera bordata di una frangia dorata: il “tabarin” che completava la sacra divisa dei confratelli che intimamente compunti e ripieni di sacra autorità sfilavano per le vie e le piazze del paese. La Confraternita era composta da un priore che la guidava per un anno; da un sottopriore che subentrava al priore alla scadenza annuale; dal maestro dei novizi, dal massaro, dal tesoriere, da vari consiglieri, e dal segretatrio. I nuovi confratelli, i novizi, dovevano sottoporsi ad un periodo di prova, detto Noviziato, durante il quale dovevano avere un comportamento irre- prensibile ed esemplare. Chi infrangeva il codice ideale del buon cristiano, doveva essere corretto e punito: solo in caso di impenitenza e di aperta ribellione era allontanato dalla Confraternita. Nel 1840, il Vescovo, rifacendosi alle norme del vecchio regolamento, era intervenuto su questa importante materia con un suo rescritto dichiarando: “A norma di tutti i priori pro tempore, che ai novizi debbano, fra l’anno del novizia- to, perdonare sei mancanze all’uffizio, ed una sola ai Sacramenti; ed in caso non giustificassero le mancanze come sopra, dichiaro che debbano ricominciare il Noviziato”. I colpevoli di bestemmia, di spergiuro, di furto, e di altri gravi peccati contro la morale cristiana, dovevano essere allontanati. Ogni giorno i confratelli, come i monaci di un convento, dovevano riunirsi per il canto dell’Ufficio, nell’originale testo latino. La loro partecipazione alle feste e

61 ai funerali costituiva un obbligo da cui non potevano esimersi pena la decadenza: “Chi senza legittimo impedimento mancherà di venire alle processioni stia per un mese al di sotto di tutti i fratelli ovvero faccia una volta la disciplina in mezzo all’Oratorio all’arbitrio del priore, se mancherà due volte gli sia raddoppiata la pena, se tre sia cancellato”. Nonostante la severità del regolamento, tutti i giovani ambivano partecipare alla Venerabile Confraternita de’ Disciplinanti.

2. Notizie storiche Una prima notizia storica riguardante la compagnia, risale al XVI secolo ed è tratta da un testamento di un nostro concittadino che si era trasferito ad da poco fondata. Nel suo testamento del 1504, Molinari Pietro fu Gregorio del Luogo di “Sancto Blaxio”, lascia ai suoi eredi due case situate presso la “cazana dei Disciplinanti”. (1) Questo documento ci consente di ipotizzare la presenza ormai consoli- data di questa confraternita laicale, già nel secolo precedente, quando in molte località d’Italia sorsero le confraternite dei Disciplinanti. Quindi l’oratorio della Vergine Assunta potrebbe essere coevo dei tanti oratori sorti sull’onda della grande paura della peste che contribuì a diffondere le confraternite penitenziali. L’inno della confraternita ricco di risonanze provenzali, nella sua essenziale semplicità, è un documento che ben illustra le finalità religiose e sociali di affrattellamento universale e di cristiano perdono, pegno di quella “perdonanza” che ogni anima attende dal Padre Celeste.

Fratel nostro, che se’ morto e sepolto nelle sue braccia t’abbia Dio raccolto.

1. SASV Not.84-740

62 1. O, fratel nostro, la cui fratellanza perdut’abbiamo, che morte ha rapito; Dio ti dia pace, e vera perdonanza, di ciò che l’offendesti in questa vita, l’anima salga se non è salita, dove si vede il Salvator in volto. 2. La Vergine Maria, col grande stuolo degli Angeli ed Arcangeli di Dio, preghiam che pregh’il suo caro Figliuolo che ti perdon’e rimetta ogni rio e dell’anima tua empia il desio quando t’avrà delli peccati sciolto. 3. Gli Apostoli preghiam, Evangelisti, Patriarchi, Profeti e Confessori acciochè tu il santo regno acquisti, e per te Iddio ciascun adori; che se tu nel Purgtorio dimori pervenghi al porto che si brama morto 4. Fratel devoto della Santa Croce, che per la memoria della Passione la carne flagellasti, e con la voce lodasti Dio nella santa orazione il Salvator di te abbia compassione seco, ti tragga, poichè a noi t’ha tolto.

Nel 1619, l’attività dell’Oratorio era in auge e v’era la necesità di co- struire un coro capiente per tutti i numerosi confratelli: il priore Giovanni Antonio Amalberti e il sottopriore Nicola Maccario fu Luigi e Pellegrino Amalberti fu Battista, e Antonio Maccario di Andrea riuniti nella casa del notaio Simone Croesi, (2) “in vesperis luminibus accensis”, stipulano con Domenico Biamonti fu Giacomo un contratto per l’acquisto di “tutta

2. Not. S.CROESI 1619 35 - 365

63 la terra nella di lui proprietà che sta dietro la chiesa della Confraternita, quanta ne basterà per fare il coro e in più il terreno sufficiente per costruire un “correglio” intorno al coro. Contro l’umidità e le infiltrazioni delle acque si premunivano i saggi priori con un corridoio di sei palmi attorno al futuro coro, che sarà costruito in posizione più elevata rispetto all’aula della cappella. E’ del secolo successivo, la protesta dei confratelli contro l’abitudine di- venuta intollerabile di “ battere e mondare grano e altre vettovaglie nella piazzetta dell’Oratorio, come altresì legare e stacare bestie mulatine e asinine alle grate ossia inferriate. Cosa assai indecente al detto luogo sacro come altresì di grave pregiudicio a motivo della polvere che s’introduce nel medesimo Oratorio”. Si supplicava la Signoria Illustrissima a intervenire contro questa situazione intollerabile perchè “in l’avenire persona alcuna di qualsivoglia grado, condizione” osasse ancora inondare la piazza di grano, orzo, lenticchie per battere comodamente in un ambiente grande e pulito, lontano dalla calura dell’aperta campagna. Si annotava pure che nel mezzo della piazza scorre un rivolo d’acqua in un “condutto che serve per trasportare l’acque tutte” e quindi non deveva essere ostruito per il rischio potenziale “in caso di piena” di danni allo stesso Oratorio. Perciò si ribadisce che “niuno non osi in modo alcuno chiudere ne far chiudere il suddetto condutto ad effetto che possano le acque scorrere liberamente senza danno della piazza, ne meno amovere ne far movere alcuna pietra del medesimo condoto”... Per parte del lllustrissimo Capitano Bartolomeo Segni si ordina peren- toriamente di non “battere il grano ne qualsivoglia sorte di legumi”. Si ordina pure agli ufficiali dell’Oratorio“fra il termine di giorni dieci di far costruire una ferriata all’aquedoto”. L’ordine del Capitano veniva quindi proclamato dal banditore “alta et intelligibili voce” nella piazza grande alla presenza di molte persone: era il 4 aprile del 1716. (3)

3. AOSB

64 Alla fine del settecento e nei primi decenni del secolo successivo, dopo il rifacimento della Chiesa Parrocchiale, anche l’Oratorio fu sottoposto a continui restauri e interventi conservativi, sia della facciata che dell’arredo interno, come la nuova cantoria per l’organo. Alla maestria di Pietro Notari figlio di Andrea, si deve sia il nuovo altare con la statua dell’Assunta e le due statue laterali che l’adornano. La nuova statua dell’Assunta, offerta nell’anno 1898, dalla ricca signora Marina Pallanca, sposa in seconde nozze di Biamonti Giovanni Andrea di Bordighera, era opera della ditta Minoia di Torino (del costo di lire 500) e fu benedetta e portata solennemente in processione il 15 agosto 1899. Nel 1903 fu siglata una convenzione privata tra l’amministrazione dell’O- ratorio e il Signor Laura Giuseppe fu Francesco, al fine di “evitare una lite che potesse sorgere tra l’amministrazione e il Signor Laura per aver questi rialzato la casa da lui comprata dalla Congregazione di Carità come lascito del defunto Antonio Molinari per l’erezione d’un asilo infantile”... Per compensare l’Oratorio della perdita di luce, “la suddetta Amministra- zione ha deliberato di costruire un lucernario in vetro presso a poco nel mezzo del tetto dell’Oratorio stesso come fu effettivamente costrutto dal Mastro muratore Luigi Fassola. Per questo lavoro il Laura si obbliga a pagare la somma di lire trecento cinquanta, ed il resto del detto lavoro resta a carico dell’Amministrazione dell’Oratorio”. (4) Il capellano aveva un ruolo importante nella gestione dell’Oratorio, sia come guida spirituale che come coordinatore delle varie attività della confraternita. Nel secolo decimonono si erano succeduti Giobatta Mac- cario, Antonio Giordano e infine Giacinto Maccario. Il priore ogni anno faceva celebrare oltre alle solite messe nei giorni festivi, tre altre messe “in adempimento dei Legati” della Confraternita dando la “limosina di lire tre ossia lire 1 per ogni messa.

4. AOSB

65 ” Il Rev. Don Giacinto celebrava la messa ogni festa e la applicava in suffragio dei fratelli defunti per un compenso annuale di lire 150. Nonostante le inevitabili diatribe con le altre confraternite, l’attività della Confraternita dei Disciplinanti continuava e si ampliava con la gestione della Cappella dell’Addolorata costruita nel settecento. Nell’ottocento, il suo raggio d’azione si espandeva notevolmente divenen- do per molti una piccola banca di prestiti: lasciti e concessioni di facoltose persone trasformano l’Oratorio in un ricco scrigno che per oltre un secolo lieviterà di valore fino a crollare miseramente con la crisi agricola e l’ inevitabile tramonto della sua funzione sociale. Tuttavia, ancora per molti decenni, il ruolo spirituale della confraternita rimase determinante nella vita religiosa e civile del paese e la ricorrenza dell’Assunta un momento culminante dell’anno.

3. La vecchia campana miracolosa Tra i tesori dell’oratorio dell’Assunta v’era una campana miracolosa, la cui fama con il tempo si era diffusa ovunque nel circondario. Si traman- dava che nel 1840, piogge torrenziali avevano rischiato di causare danni irreparabili, quando, al prolungato rintocco della campana, la pioggia cessò improvvisamente e nel cielo ritornò finalmente il sereno. Per quel- la campana, molti paesi avevano fatto offerte di denaro (tanti marenghi d’oro quanti ne poteva contenere), ma i priori della confraternita erano stati irremovibili, e sempre si erano opposti per il bene della comunità ad ogni vile mercimonio. Tuttavia nel 1958 (forse perchè da troppo tempo la vecchia canpana aveva perso il suo timbro originale) a malincuore i priori Palmiro Maccario e Luigi Laura furono costretti ad acquistarne una nuova dalla famosa ditta Picasso di Genova, per il costo totale di lire 280.000. La piccola torre campanaria dell’oratorio si arricchiva di nuove tonalità: la campana maggiore, suonava grave e solenne e la piccola, dal suono argen- tino ne ritmava il concerto, nelle estive serate della novena dell’Assunta. Enrico Picasso, dirigente dell’antica fonderia fondata nel 1750, in data 20 gennaio 1958, comunicava che “la nuova campana in bronzo

66 La nuova statua dell’Assunta

Opera della ditta Minoia di Torino. Fu benedetta e portata in processione il 15 agosto del 1899 per la prima volta

67 del peso di circa kg. 135 e la piccola rifusa a causa di una precedente rottura del peso di kg. 35 saranno installate nel mese di marzo, con la fornitura di due ceppi in ferro e ghisa (completo di ruota e molla per la nuova) e due battagli completi di cinghia e morsetti”. Le nuove campane, assicurava la ditta, saranno perfettissime, avranno for- ma finemente e artisticamente ornata e porteranno impresse le immagini e le iscrizioni richieste. Le nuove campane dovranno rispondere perfettamente all’accordo con la campana esistente rispettivamente quali terza e ottava”. Tra le voci delle spese annuali, per la festa dell’Assunta, figurava l’acquisto delle “negie”, le ostie colorate che adornavano la cappella dell’oratorio in quel giorno solenne. Ai festoni di mirto che si allungavano lungo le pareti o pendevano dal soffitto in lunghe ghirlande, erano sospese, come dono del cielo, quelle “negie” multicolori che dopo la benedizione erano offerte ai fedeli, per le dolci “cubaite” di mandorle e zucchero caramel- lato. La festa era preceduta dalla novena che ne sottolineava la grandezza e l’importanza con lo scampanio festoso che di sera in sera accentuava la febbrile attesa. Fino al giorno fatidico, in cui in un tripudio di note della banda, si snodava per le vie del paese la lunga processione con i priori parati con la mantellina rossa, i portafanali, e le prioresse di bianco vestite precedevano la statua avvolta di fiori aulenti. I canti, i suoni della fanfara e lo scampanio a distesa creavano una atmosfera che coinvolgeva tutti, ed anche i lontani erano presenti con la mente e col cuore a quell’evento unico. Nessuno poteva mancare all’appuntamento con la Madonna.

68 4. L’elezione del priore Essendo tutti convocati nell’Oratorio, il Priore uscente intimava silenzio; poi inginocchiatosi unitamente a tutti i Confratelli, diceva con essi a chiara voce e devotamente la seguente orazione: - Signor mio Iddio, prestatemi virtù e grazia per le quali la mia bocca sempre annunzi la vostra lode. Signor Iddio mio, riguardate con occhio di misericordia questa Congregazione, riguardate noi poveri servi vostri congregati a penitenza per amore di Gesù Cristo vostro Figliuolo e no- stro Redentore: come illuminasti la mente degli Apostoli nella elezione di Mattia, così degnatevi per nostra salute di aprire le nostre menti, e muover i nostri cuori, affiché eleggiamo, seguendo la vostra santa ispi- razione, un priore che sia uomo devoto, di buoni e santi costumi, e fatto secondo il cuor vostro; che sia a noi specchio di buon esempio, norma di divozione, regola di carità, e dottrina di ben fare; forte, onde possa senza timore riprenderci de’ nostri vizi e peccati; umile, mansueto e casto, sobrio, moderato, vigilante, e di virtuoso ed edificante conversare, ed il cui regime in fine sia sempre ad onore e gloria vostra, ed a salute delle anime nostre. Così sia”. Si intonava il Veni Creator; dopo di che il Priore in carica, col Sottopriore e con il più anziano della Compagnia, andavano al luogo destinato a rac- coglier i voti. Ciò terminato, il detto Priore, unitamente ai suoi compagni, leggevano i nomi dei votati; il più votato sarà il nuovo priore eletto. In seguito il Priore in carica andava a levare dal suo luogo il nuovo Priore eletto, che vestito del suo abito, conduceva davanti all’altare. Inginocchiatosi quest’ultimo, gli si dava il Crocifisso fra le mani; quindi si cantava il “Te Deum laudamus”. Nel frattempo che si proseguiva il canto del medesimo, andavano ordinatamente, prima il Priore e Sottopriore in carica, ed in seguito tutti gli altri confratelli, a congratularsi col nuovo Priore per l’avvenuta di lui elezione: e ciò finchè sia terminato il canto. Indi con due torcie accese accompagneranno il nuovo Priore alla cattedra, ossia al suo stallo onde proseguire il canto dell’Ufficio.

69 5. Elezione di uno o più novizi Il Rettore, od altro Sacerdote con cotta e stola, inginocchiato davanti all’altare tra il Priore ed il Sottopriore e due dei Sindaci, oppure due dei più anziani confratelli, comincierà il canto del salmo Miserere; frattanto due Maestri de’ Novizi condurranno quelli o quello che debbono essere accettati ad inginocchiarsi presso l’altare dietro il Rettore. Finito il canto del Miserere il Rettore recita una preghiera invocando sui nuovi novizi lo Spirito Santo, poi si volta verso di loro e dice: - Fratelli, che domandate? Rispondono: - La misericordia di Dio, e la pace di questa Compagnia. Il Priore in carica dice loro: - Vi preghiamo di osservare i precetti di Dio, ed i nostri Capitoli, acciochè siate pienamente consolati. Tutti i Confratelli rispondano: - Iddio dia loro la grazia. Prima di imporgli l’abito, il Priore col Crocifisso in mano, e voltatosi ai Novizi dice: - Ricordatevi, Fratelli, di quella grande umiltà che ebbe il nostro Signor Gesù Cristo, quando fu vestito di una veste bianca in sua derisione, ver- gogna, e vitupero. Adunque per quella memoria e riverenza vi vestiremo indosso questa veste, acciochè vi guardiate da ogni atto di superbia, e soprattutto che siate umili e pazienti, nelle vostre avversità e tribolazioni. I novizi si vestono e il Priore, dando la benedizione col Crocifisso, dirà: - Ricordatevi ancora di quella grandissima pazienza ed ubbidienza che ebbe il nostro Signor Gesù Cristo quando fu spogliato nudo, e si lasciò legare alla colonna in casa di Pilato, ove fu battuto e flagellato per i nostri gravi peccati. Dunque per quella memoria e riverenza vi cingeremo il corpo come alla colonna della santa pazienza col cordone della santa ubbidienza e castità, acciò vi guardiate da ogni brutto vizio carnale e siate ubbidienti a Dio, ed ai vostri maggiori.

70 Dopo qualche attimo di riflessione , il Priore prosegue: - Fratelli, con grande compassione dobbiamo ricordarci di quella acerbis- sima flagellazione ed incoronazione di spine che per nostro amore ricevette il nostro Signore Gesù Cristo, come dice Isaia Profeta: Disciplina pacis nostrae super eum, el livore sanati sumus (6), cioè, fra le altre sue pene, sopra le sue spalle ha ricevuto la flagellazione per i nostri gravi peccati, e per noi ha pagato i nostri debiti, e procurata la pace, e le sue piaghe sono state la sanità nostra”. Qui si mettono il cappuccio e il Priore continua l’orazione dicendo: - Adunque in memoria di tanta carità e smisurato amore pregheremo il Signore, che vi conceda il dono perfetto della santa penitenza e contrizione, con la quale voi possiate avere la remissione dei vostri peccati. Lo stesso Priore concluderà la preghiera dicendo: - Induat vos Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus est, in justitia et sanctitate veritatis; In nomine Patris... Dopo di che, il Priore bacierà il Crocifisso e lo darà in mano al Novizio, e voltatosi verso l’altare, intonerà il Veni Creator Spiritus. Giunti al versetto: “Accende lumen sensibus” i Sagrestani accenderanno due torcie, e le terranno in mano. Finito l’inno, si canterà il Te deum laudamus, mentre il Priore rivolto ai Novizi si rallegrerà coi medesimi e quindi se ne andrà alla cattedra. Finito il canto, il maestro dei Novizi li accompagnerà alla Cattedra e rivolti tutti verso il Priore, uno degli Uffi- ciali prenderà il Crocifisso, lo bacierà, e lo metterà nelle mani dello stesso Priore, il quale col medesimo li benedirà uno dopo l’altro. (7)

6. Isaia, cap.53,5 7. Ufficio B.Vergine ad uso delle Compagnie de’ Secolari.

71 6. Le Confraternite Nella visite pastorali del Vescovo, tutti gli altari delle varie cappelle di cui le confraternite erano responsabili venivano mirabilmente addobbati: era un giorno di grande festa. Le campane suonavano a distesa e colpi di mortaretti ne rilanciavano il richiamo a distanza, accentuando il clamore ed il giubilo per la festa imminente. I fedeli assiepavano le strade e la piazza in attesa dell’arrivo del Vescovo che, tra due ali di folla festante entrava in chiesa. Visitava le cappelle del Rosario, del Nome di Gesù, delle Anime Purganti, di San Giuseppe della chiesa parrocchiale e infine si recava nell’Oratorio per la visita dell’altare di Maria Assunta. Questa è la cronaca di una giornata particolare in occasione della visita pastorale del vescovo Clavarino nel 1776. (8) V’erano nella nostra parrochia numerose confraternite che facevano rife- rimento alle varie cappelle degli altari laterali della Chiesa parrochiale e al culto del Santissimo conservato nel tabernacolo dell’altar maggiore. Col passar degli anni, si erano aggiunte altre compagnie, sempre animate dallo stesso spirito di edificazione morale e spirituale, come la Compagnia di S. Luigi, la Compagnia delle Figlie di Maria sotto il patrocinio dell’Im- macolata Concezione e quella di S. Agnese costituitosi nell’ottocento. Riportiamo un elenco delle principali confraternite: *Compagnia dei Battuti o dei Disciplinati: fondata nel XV secolo *Compagnia del Santo Rosario: fondata nel 1615 *Compagnia del Corpus Domini: fondata nel 1617 *Compagnia del Nome di Gesù: fondata nel 1645 *Compagnia di S. Luigi: fondata nel 1800 *Compagnia delle Figlie di Maria: fondata nel 1800

8. (AVV) archivio vescovile di Ventimiglia

72 GLI ALTARI DELLA CHIESA PARROCCHIALE 73 1. Le Prioresse Negli anni cinquanta del novecento, ogni altare della chiesa parrocchiale aveva due prioresse, solo l’altare della Madonna della Misericordia ne aveva quattro, che si avvicendavano ogni due anni. Tutti i sabati facevano la pulizia generale della chiesa. La domenica cantavano gli uffizi e par- tecipavano a tutte le sacre funzioni e alle processioni, sempre precedute dallo stendardo della compagnia e vestite di bianco con la mantellina orlata di azzurro e il lungo velo sul capo. Nella settimana santa avevano il compito di allestire il Santo Sepolcro con i germogli di grano, di granturco e di linosa (i semi di lino erano posti in grandi pigne). Era compito delle prioresse della Madonna del Rosario addobbare la chiesa della Annunziata e di S. Sinforiano. Le prioresse di San Sebastiano (l’altare delle donne) erano dette le prioresse del pendarello. Alle prioresse del Corpus Domini spettava la cura dell’altar maggiore, nonché la periodica pulizia delle cotte del parroco e dei numerosi chieri- chetti che si avvicendavano al servizio dell’altare e al canto dell’ Epistola nelle messe cantate.

2. L’Altare delle Anime Dei sei altari laterali della Chiesa Parrocchiale, ne ricordiamo due in particolare perché sono i più belli, ma soprattutto perchè in questi ultimi anni abbiamo dovuto sistemarli e riportati all’antico splendore: l’altare delle Anime e quello del Nome di Gesù. Nel 1887 ci fu un terremoto che danneggiò gravemente l’arco dell’altare delle Anime. Per anni si è convissuti con una lesione di circa dieci centi- metri, finchè nel 2009 si affidò alla ditta Pappone il delicato intervento. Per eseguire le opere di muratura e consolidare l’arco si dovette togliere la tela, così si scoprì il valore della tela stessa e si pensò al restauro. La tela raffigura Sant’Antonio da Padova che intercede presso la Vergine e il Bambino per le anime purganti. E’ una preziosa testimonianza della storia antica della chiesa parrocchiale di San Biagio precedente alle trasformazioni apportate tra il 1777-1779 da Andrea Notari. Il dipinto, riportato a piena leggibilità, è opera di Giovanni Battista Casoni (Lerici, 1610 - Genova, 1686)

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Altare delle anime Dipinto di Giovanni Battista Casoni (Lerici 1610 - Genova 1686) Restaurato nel 2009 con il concorso del Comune e dei fedeli. 75 cognato e principale collaboratore di Domenico Fiasella, del quale ere- ditò alla morte la bottega in Genova. L’attribuzione al Casoni, che qui si propone, è sostenuta da considerazioni di ordine stilistico: si vedono in particolare le mani e il volto carico di pathos di Sant’Antonio, realizzati con un sapiente chiaroscuro, giocato su tonalità brune, tipicamente caso- niano; o ancora i gruppi di angioletti ai lati della Vergine, caratterizzati da posture e fisionomie altrettanto peculiari del fare pittorico dell’artista. Per restare a Ponente, un confronto decisivo è offerto dalla pala raffigurante Sant’Antonio intercedente presso la Vergine per Vallecrosia, che Casoni realizzò per la parrocchiale di quella località nel 1675. Il percorso di ge- stazione della tela - di cui non sono ancora note le circostanze dell’arrivo a San Biagio - dovette essere piuttosto travagliato. Impostata inizialmente come una Lactatio Virginis, con la figura della Vergine raffigurata nell’atto di dispensare il latte dal seno, venne riadattata nell’attuale iconografia attraverso una serie di modifiche sovrapposte alla stesura originaria, in parte imputabili allo stesso Casoni, artista piuttosto incline a rielaborare le proprie opere, in parte ad una diversa mano non identificata. In ogni caso, in termini di composizione, definizione espressiva e iconografia, tali modifiche sono ormai parte integrante del quadro e si è ritenuto di non rimuoverle in fase di pulitura. La tela di San Biagio costituisce un tassello decisivo per ricostruire l’attività di Casoni nell’estremo Ponente, specie se si considera la totale dispersione di tutte le sue opere documentate dalle fonti, ad eccezione della pala di Vallecrosia. Un’attività che appare strettamente legata al rapporto avuto dal pittore con due eminenti figure della Ventimiglia del seicento: l’agostiniano Aprosio e il vescovo Mauro Promontorio. (Commento di Francesca De Cupis)

76 3. L’Altare del nome di Gesù L’altare del Nome di Gesù, fu mano messo nel 1950 per collocare la statua di Don Bosco. ormai da un secolo esposto nella nostra chiesa parrocchiale sull’altare appunto chiamato del Nome di Gesù. A ben guardare, il centro del quadro non è un personaggio, ma un simbolo dai colori vivaci, ripetuto tre volte nell’insieme dell’altare. E’ il trigramma del Nome di Gesù pensato e realizzato da San Bernardino da Siena. Nel quadro è il frate francescano ritratto dal pittore, in atteggiamento quasi da incredulo per la compiacenza di Gesù Bambino che l’ha scelto come suo trono. Questo trigramma fu disegnato da Bernardino stesso. Il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, (osservalo fuori dal quadro, sulla lunetta dell’altare) sopra vi sono le lettere IHS che sono le tre iniziali del nome di Gesù in greco. Si sono date anche altre spiegazioni, come “In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano; oppure di “Iesus Hominum Salvator”. Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che da la vita come fa il sole (nel quadro è simboleg- giato dalla figura di Gesù Bambino con il cuore in mano). Il calore del sole è diffuso dai raggi diretti che rappresentano le beatitudini (nel nostro altare era raffigurato nel medaglione appeso sopra il quadro, purtroppo cancellato per scrivere il nome di Don Bosco). Bernardino aveva anche allungato l’asta sinistra della H tagliandola in alto per fare una croce (nel nostro quadro la croce è simboleggiata dai tre chiodi dipinti sotto la H). Il celeste dello sfondo su cui è seduto il Bambino è simbolo della fede. Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi” Nel nostro quadro è scritto in alto. Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti. La figura di San Francesco di Sales, unica figura non centrata sul simbolo, ma rivolta verso di noi, indica la recente rivelazione del cuore di Gesù a Santa Maria Alacoque (1647-1690) a Paray-le-Monial, diffusasi nel “ottocento, epoca del quadro.

77 Tela di Maurizio Carrega (1739 - 1821) Maurizio figlio di Francesco Carrega si stabilì a Sanremo. Molte sono le opere da lui lasciate nelle Chiese del ponente ligure. 78 Quadro dell’800 con la serie dei parroci (archivio parrocchiale)

DE REVERENDI PAROCHI LOCI SANCTI BLASII

79 1. Serie cronologica n. Anno Nominativo Patria Titolo

1 1518 Crovesi Pietro Rettore 2 1579 Ascherio Pietro Rettore 3 1594 Balestra Bartolomeo Rettore 4 1597 Biamonti Gioantonio San Biagio Rettore 5 1598 Marrazzano Giovanni Rettore 6 1600 Aurenda Nicola Rettore 7 1600 Bellomo GioBattista Rettore 8 1608 Balaucco Bernardino Rettore 9 1615 Biancheri Girolamo Rettore 10 1623 Amalberti Francesco Rettore 11 1648 Aprosio Antonio Rettore 12 1693 Maccario Gio:Battista San Biagio Rettore 13 1709 Biamonti Pietro Antonio San Biagio Rettore 14 1739 De Martiris Giuseppe Rettore 15 1742 Biamonti Giuseppe San Biagio Rettore 16 1766 Maccario Gio.Battista San Biagio 1°Parroco 17 1770 Biamonti Bernardino San Biagio Parroco 18 1802 Rebaudo Giuseppe San Biagio Economo 19 1831 Giordano Macario San Biagio Economo 20 1833 Noaro Nicola Apricale Parroco 21 1844 Zunin Gio:Battista Baiardo Parroco 22 1853 Ruggeri Nicola Economo 23 1853 Raffa Nicola Baiardo Parroco 24 1878 Giordano Antonio San Biagio Economo 25 1879 Borelli Goi:Battista Carpasio Parroco 26 1888 Maccario Giacinto San Biagio Economo 27 1888 Traverso Bartolomeo Economo

80 n. Anno Nominativo Patria Titolo

28 1889 Peruzzi Domenico Parroco 29 1892 Lombardi Giuseppe Economo 30 1899 Semeria PierGiovanni Coldirodi Economo 31 1899 LauraAntonio Perinaldo Parroco 32 1913 Boeri Giacomo Parroco 33 1948 Arnaldi Ernesto Parroco 34 1984 Colucci GioBattista Economo 35 1985 Collecchia Umberto Genova Economo 36 1986 Brendolan Battista Gambellara (VI) Economo 1988 Brendolan Battista Parroco 37 2002 Pessina Antonio Rho (MI) Parroco 38 2006 Lomazzi Adriano Economo 39 2007 Crignola Carlo Beregazzo (CO) Parroco

81 2. I Parroci dell’800 Nella serie cronologica che trovate alla pagina 80/81 i parroci dell’otto- cento sono quattordici. La durata media per ogni parroco sarebbe di sette anni, ma qualcuno è durato solo pochi mesi. Questo è dovuto al clima politico, sicuramente poco religioso, di quegli anni. Il nostro parroco Don Peruzzi, in una nota delle cronache della nostra parrocchia, così sintetizza la storia travagliata, di aperta conflittualità, di quei decenni. Si ricordano le vicissitudini del prevosto Gio Batta Maccario che “resse la parrocchia per dieci anni e poi molestato e vessato dovette riparare in Soldano”; e i noti drammi dell’intraprendente Nicola Noaro, che “da al- cuni malevoli minacciato di vita” e perseguitato fu costretto a “dislocare” nella parrocchia di S. Michele, ove operò ancora a lungo e “morì vittima di zelo avendo assistito i colerosi nel lazzaretto fatto costruire nel piano di Latte”. Ma il caso più grave si verificò con il prevoso D. Zunino Giobatta che resse la parrocchia per nove anni, dopo l’abbandono del Reverendo Noaro. Si era nel momento cruciale del risorgimento, il fatidico decennio di preparazione. Lo scontro si verificò in occasione che “il Zunino volle togliere l’abuso della bandiera in processione”. Tale fu il baccano che fecero i patrioti sanbiagini che anch’egli fu costretto ad abbandonare, “per ire a ”, sua patria. Alla sua partenza ci fu un vero assalto alla canonica rimasta incustodita. Molti libri furono asportati dall’archivio e mai più ritrovati, con grave danno alla memoria storica della nostra Par- rocchia. Il clima era così infuocato che bastava il pretesto di una bandiera estromessa dalla processione per avvivare la rivolta, tanto era il fanatismo unito all’amor di patria in quegli anni roventi. Un altro grave episodio di rivolta popolare si verificò con il Reverendo Raffa Nicola posto sotto processo per aver osato infrangere il divieto di manifestazioni religiose. “Erano già 24 anni e più che pacificamente reggeva la Parrocchia e sebbene avesse avuto vessazioni non poche, non di meno gli parevano sopportabili, quando in ottobre 1877 venne denunziato al Pretore o fisco dal Reggente la cosa pubblica in qualità di Sindaco, il Signor Paolo Biamonti, per aver fatto sulla porta della Chiesa Parrocchiale due Processioni religiose, in contravvenzione alla Circolare

82 Nicotera” Oramai la fede civile dominava e dettava legge anche in ambito religioso e per gli amministratori dell’epoca le disposizioni di un ministro del Regno avevano maggior peso delle antiche tradizioni della nostra chiesa e delle sue tradizioni secolari. Un altro caso eclatante si verificò con l’energico prevosto Domenico Peruzzi che tanto aveva operato in questa parrocchia, ma dovette subire attacchi e accuse da parte di alcuni esponenti più in vista, come il maestro Secondo Molinari che lo accusava di sperperi e malversazioni. Infine, nel clima di odio anticlericale imperversante, fu sottoposto ad un processo infamante, con l’accusa di furto. Era il 24 Febbraio del 1892, quando si svolse il processo contro il nostro parroco: “ipsum R. D. Peruzzi aliquo modo implicatum in furto ingenti patrato contra civem S. Romuli”. Egli pur proclamando la sua innocenza, di sua spontanea volontà lasciò la parrochia, rifugiandosi dapprima in Francia e poi in America, sulle orme di tanti nostri emigranti che in quegli anni si allontanavano in cerca di lavoro e fortuna. Il parroco Lombardi mite e remissivo fu anch’esso bersaglio di critiche feroci per una sua decisione riguardante le prioresse, a cui si dedicava con tanta sollecitudine e con tanto zelo. Ecco l’amara testimonianza nelle sue memorie. “La festa delle Figlie mi è stata ben amara in quest’anno (1895). L’aver detto che ero poco soddisfatto e poco contento delle Figlie perché poco osservanti del Regolamento, le vestite di bianco, tolte le prioresse erano quattro o cinque, varie non fecero la comunione e simili lamenti, l’aver messo prioresse che non contentarono tutte, oh che tempesta mi scatenò contro! Quali grida, ingiurie, imprecazioni, minaccie, bestemmie ecc. si udirono sotto le mie finestre e alla mia porta, nella notte dal 9 al 10 settembre! Il baccano per opera di alcuni istigati da alcune…durò dalle ore otto alle 11 e mezza. Dire tutto è impossibile!..Signore, perdonate loro perché non sanno quel che si facciano”. Conclusione amara di un devoto martire della modernità che avrebbe causato ben altre vittime!

83 3. Lettera di addio Questa è la pagina più toccante e vibrante di umana e cristiana passione tramandataci dal diario dei nostri parroci. Anche in seguito, si dovranno registrare altre vicende analoghe, a causa di contrasti inevitabili in un secolo di grande fede religiosa e di ardenti passioni civili, in cui spesso prevaleva un aperto scontro con la Chiesa Cattolica e il suo potere tem- porale, in nome dei nuovi ideali risorgimentali. E’ una lettera appesa alla porta della chiesa dal parroco Don Noaro Nicola, a mezzanotte, prima di lasciare la parrocchia: “Quel Dio, che per un tratto speciale di sua bontà mi aveva destinato, pria ch’io nascessi a venire Parroco di questa chiesa, quel medesimo Iddio nelle cui mani stanno le sorti di tutti, ora mi destina per prevosto di Ventimiglia. Non posso esprimervi, figli miei dilettissimi, quanto doloroso mi sia il distacco da voi che sempre mi avete ubbidito, rispettato ed amato contr’ogni mio merito, e che per conseguenza vi avete meritato tutto il mio amore. Avrei desiderato prima di partire, di ringraziarvi personalmente, domandandovi perdono, e lasciarvi gli ultimi ricordi, ma per fare tuttociò ci voleva un’ altro cuore, non già un cuore da Padre quale mi sento in petto. Ah che s’io mi fossi presentato in pubblico per darvi l’ultimo addio, forse non avrei potuto aprir bocca che già si sarebbero aperti gli occhi miei a un diluvio di lagrime che mi avrebbero soffocato le parole sul labbro: e voi stessi non avreste potuto reggere alla violenza dei vostri cuori ben fatti senza mescolare le vostre lacrime colle mie. A che partito dunque appigliarmi? Partire senza darvi l’addio? Giammai. Siccome uno sposo fedele che debba abbandonare l’amata sua sposa s’industria di palesarle se non di presenza almen per scritto gli ultimi suoi sentimenti, così ho di- segnato di far io manifestandovi su questa carta quei medesimi sentimenti che il cuore non mi reggerebbe di palesarvi a bocca. In primo luogo io vi ringrazio dell’amore che mi avete sempre portato, della docilità con cui tutti ascoltavate la parola di Dio, dell’ubbidienza che mi avete professato, dei segni esterni della vostra bontà e generosità, delle preghiere che finora avete fatto per me, onde Iddio mi conservasse pel bene di questa vostra chiesa e mi illuminasse nella direzione delle anime vostre: sicchè di tutto questo ve ne ringrazio cordialmente e pregherò Iddio, che ve ne renda

84 la ricompensa in Cielo. In secondo luogo vi domando perdono se in questi undici anni non vi ho servito bene come voi meritavate, e se in qualche cosa vi avessi offeso; che io sappia nessuna contrarietà ha mai turbato la bella pace ed armonia che sempre ha regnato fra noi; ma senza badarvi, o per umana fragilità, o per l’adempimento dei miei doveri avessi disgu- stato qualcheduno, glie ne domando umilmente perdono. Perdonatemi ancora figli miei se vi lascio, se me ne parto da voi perché la colpa non è mia. Io non ho mai cercato di abbandonarvi anzi ho pregato, ho fatto istanze per non essere traslocato, perché troppo contento io ero di voi e desideravo finire i miei giorni in mezzo a quelle mura che col vostro aiuto mi ho fabbricato” Era l’alba del 18 Maggio 1844 quando diede l’addio al suo amato borgo e alla sua cara dimora, la casa canonica, da lui fatta e in cui pensava di trascorrere ancora lunghi anni. “La mia traslocazione ebbe luogo la notte precedente al 18 Maggio 1844 e la sera del 18 presi possesso, in giorno di sabato, nella chiesa di S. Michele”, ove operò ancora a lungo e “morì vittima di zelo avendo assistito i colerosi nel lazzaretto fatto costruire nel piano di Latte”. Di notte quindi, quasi di nascosto, fu costretto a lasciare, con il pianto nel cuore, quel suo piccolo mondo raccolto di devoti, quel suo nido protetto che egli “si pensava di non dover abbandonar giammai”. Ma, come testimonierà un suo successore, furono le minacce di alcuni malevoli che lo costrinsero al “doloroso passo” dell’addio.

85 4. Boeri Giacomo, parroco e poeta A conclusione di questo breve excursus sulla vita della nostra parrocchia, riportiano la lirica “Sacerdotium”, dedicata alla missione sacerdotale. Fu composta dal nostro parroco Giacomo Boeri, figura di grande studio- so e poeta dalla sensibilità profondissima. La poniamo a suggello della secolare storia religiosa della nostra comunità, verso la quale i sacerdoti come i priori delle varie confraternite si sono prodigati nell’espletamento della loro missione. L’inno in ottave inizia con una visione della vita umana che, con imma- gine biblica, è paragonata ad un fiore che appena sbocciato, nell’arco di un giorno appassisce e muore. A questo destino, quasi un baratro in cui tutto fatalmente precipita, l’uomo riesce a fuggire solo con l’ausilio di un Salvatore che gli addita un cammino di redenzione: “Sorgi, cammina e ama”. Ciclicamente, come nei drammatici anni dei due conflitti mondiali, l’uomo è posto davanti a tragiche scelte di vita e di morte: un’ora triste che tutto travolge, semina odio, “tristezza e duol”. Davanti a questa furia devastatrice, solo il sacerdote “sorridente e pio” può diffondere pace e serenità, additando quel regno eterno “ove miseria non è più”. Ma la missione del sacerdote non s’arresta in questo compito consolatore di buon samaritano dell’umanità: si espande continuamente in uno sforzo titanico di evangelizzazione, oltre “l’oceano immenso” in terre sconosciute e inospitali. Ritorna infine nelle due ultime ottave, il pensiero sull’ora presente, in cui il “crudel nemico” della fede e della croce sembra ingaggiato in uno sforzo titanico di annientamento. Solo il vessillo della croce e la fede nel “Verbo infallibile” possono offrire la certezza della finale vittoria e di un totale trionfo sopra “l’idra infernale” incatenata per sempre nell’abisso. Con questa immagine apocalittica si chiude profeticamente l’inno sacro “Sacerdotium”, dato alle stampe alla vigilia del terribile conflitto che insanguinerà l’Europa e il mondo nel quinquiennio più tragico del ven- tesimo secolo.

86 SACERDOTIUM Siccome fiore che rivolge il calice al cielo, e sol desia rugiada e luce, ma a sera giace lunge dal suo cespite gettato a terra da bufera truce, così è l’uom. Scioglie un alato canto sogna la gioia, palpita d’amor, pace desia: ma una canzon di pianto pone sul labbro il ruvido dolor.

Con intenso desio per molti secoli ricercò l’uomo il vero e l’ideale; ma sempre invano! Egli trovò sol tenebre, precipitò in un baratro fatale. Ma un dì, bello e gentile il Salvatore la folta tenebra illuminò: mostrò il suo Cuore sol spirante amore, Sorgi, cammina e ama, all’uomo gridò...

Ora novellamente, triste e indomita un’ora passa che conturba i cuori: strappa dai campi e dai tuguri gli uomini le menti inebria di odio e di livori. Tutto travolge l’onda impetuosa, troni ed altari; amori e speme, e sole getta nel seno rabbia furiosa, funebre schianto la tristezza e il duol.

87 Ma ecco nell’onda ardimentoso slanciasi il sacerdote sorridente e pio; passa e diffonde amor, pace e letizia, e l’uom novellamente eleva a Dio. Ai lacerati cuori un regno eterno addita ove miseria non è più, piange coi mesti, stringe al sen paterno, mostra dolce la vita anche quaggiù.

Passa fra noi come visione mistica, a tutti ei benedice ed apre il cielo, patria e famiglia, culla, fossa e talamo, tutto rinnova col suo ardente zelo. Solca per l’uomo l’oceano immenso vergini selve e non s’arresta ancor; sprezza i perigli, il caldo, il freddo e, il guardo intento avanti, lieto muor. Sacerdote di Dio, il mio canto fervido a te drizza il suo volo: o grand’atleta, vieni fra noi, vieni t’aspetta il palpito dei nostri cuor, vieni santa è la meta. Crudel nemico un’empia guerra atroce oggi ti move: non ti sbigottir, stringi nel pugno il tuo vessil: la croce, con quel si vince, e non si può morir.

E’ tuo il trionfo ne la lotta orribile, promesso da Gesù siccome certo; e noi fidenti nel Verbo infallibile, a te fin d’ora prepariamo il serto. Per te redento è l’uomo, per te doma l’idra infernale sempre noi vedrem: è tuo il trionfo, e sovra la tua chioma, cinta d’aureola, il serto poserem.

88 CONCLUSIONE

1. Un Grazie al Professor Francesco Giordano

La prima pagina del presente quaderno, proprio come primo scritto porta un nome: Francesco Giordano. Mi direte che lo conosciamo tutti, concordo con voi, ma qui lo ricordo non per farlo conoscere, ma per ringraziarlo, perchè senza di lui questo quaderno non sarebbe mai uscito. Ricordo una sua conferenza al Polivalente nel 2013 in cui presentava un suo libro dal titolo “San Biagio: il giardino delle rose” in quell’occasione, lo dissi anche pubblicamente, lanciai l’idea di una storia della parrocchia disposto a finaziarne le spese. Qualche giorno dopo, al termine di una Santa Messa venne in sacristia e mi disse: “Ho pensato di raccontare la storia della parrocchia descrivendo le sue chiese visitandole e narrandone la storia come se fossi un pellegrino”. L’idea mi è subito piaciuta e presa la chiave della canonica e dell’archivio gli dissi: “Ecco, puoi entrare quando vuoi e rivoltare l’archivio dal primo all’ultimo foglio”. Per mesi e anni alla sera, dopo il lavoro, saliva in canonica a consultare documenti e confrontarli con quelli dell’archivio della diocesi e di stato a Ventimiglia. Il risultato fu un centinaio di cartelle quasi tutte confluite in questo quaderno. Mi permetto di dire che le originali sono finite in archivio parrocchiale, mentre nel presente quaderno sono state alcune riassunte altre italianizzate per renderle più comprensibili. Le originali rimangono a vostra disposi- zione se qualcuno volesse approfondire le proprie conoscenze. Nuovamente un grazie da parte mia come parroco e da parte di tutta la Comunità parrocchiale di San Biagio della Cima.

89 INDICE

Presentazione pag. 3

La Chiesa di San Biagio pag. 5 1. Notizie storiche 6 2. Vitalità religiosa 7

La Chiesa parrocchiale pag. 11 1. La chiesa romanica 12 2. Il campanile 15 3. L’inventario 18 4. La nuova chiesa barocca 20 5. La chiesa trionfante 22 6. L’organo 25

La Madonna dei Dolori pag 28 1. Il Santuario di nostra Signora dei Dolori 29 2. Il Santuario nella memoria dei Parroci 32 3. I restauri nel ‘900 36

La Cappella della Annunciata pag. 38 1. La cappella dell’Annunciata 39

La Cappella di Santa Croce pag. 40 1. La Cappella di Santa Croce 41 2. Il testamento di Padre Vitaliano 41 3. Elenco e finalità dei beni lasciati 42 4. Una scuola di cucito per le ragazze 44 5. Difficoltà e incomprensioni 46

90

La Cappella del Rosario pag. 50 1. La Cappella del Rosario 51 2. Don Giacinto Maccario 51

La Cappella di San Sinforiano pag 54 1. San Sinforiano 55

La Cappella della Madonna della Neve pag. 58 1. La Madonna della Neve 59

L’oratorio di Nostra Signora Assunta pag. 60 1. L’Oratorio dell’Assunta 61 2. Notizie storiche 62 3. La vecchia campana miracolosa 66 4. L’elezione del Priore 69 5. Elezione di uno o più novizi 70 6. Le confraternite 72

Gli altari della Chiesa parrocchiale pag. 73 1. Le Prioresse 74 2. L’Altare delle Anime 74 3. L’Altare del nome di Gesù 77

De Reverendi Parochi Loci Sancti Blasii pag. 79 1. Serie cronologica 80 2. I Parroci dell’ottocento 82 3. Lettera di addio 84 4. Giacomo Boeri, parroco e poeta 86

Conclusione pag. 89 1. Un grazie al Professor Francesco Giordano 89

Indice pag 90

91 Padre Carlo Crignola crs [email protected] Cl. 3405819156 In Copertina: veduta del paese con la Chiesa parrocchiale retro: Chiesa della Madonna dei dolori