Visite Guidate Magistrale 2019-2020 Dott.ssa Valeria Marino

Solo per studenti frequentanti

Ore 17

5 dicembre, Galleria di Palazzo Spada

12 dicembre, Basilica di Santa Cecilia in Trastevere

9 gennaio, Palazzo Barberini

16 gennaio, Museo degli Strumenti Musicali la musica strumentale conosce una grande stagione. Possiamo individuare i l suo vertice nella figura di Francesco da Milano, il divino Francesco (ricercari e fantasia), uno dei massimi esponenti della musica strumentale del secolo per genialità e originalità: intorno a lui ruotano gli allievi lombardi Pietro Paolo Barrono, Giovanni Maria da Crema e Pierino Fiorentino. Dove mancano le fonti musicologiche supplisce proprio l'iconogràfia, con una varietà e intensità da farci credere che la musica fosse una delle arti più coltivate anche fra gli artisti del pennello. Non è un puro caso se nella versatilità geniale di Leonardo, che si era proposto alla corte di Milano vantando anche la sua abilità di "musico" di cui sono testimonianza alcuni schizzi di strumenti, talora di pura invenzione, come la , o come il flauto fessurato per ottenere (o immaginare di ottenere) un glissando di suoni. La "lira" da lui costruita in forma di teschio di cavallo è un tratto in più che viene raccontato dal Vasari. Né mancano fra i Codici leonardeschi alcuni rebus musicali che attestano la sua ingegnosità e il suo interesse per la musica, la cui inferiorità rispetto alla pittura è dovuta semplicemente alla !abilità del suono che non può essere fermato: "La Musica non è da esser mpi circondano la proporzionalità de' membri, di che tale armonia si compone, non altrimenti che si faccia la linea circonferenziale le membra, di che si genera la bellezza umana. Ma la Pittura eccelle e signoreggia la Musica, perché essa non more immediate dopo la sua creazione, come la sventurata Musica"

Leonardo pioniere dell’enigmistica

l'amo re mi fa sol la za re — b) amo re [la] sol [la] mi fa re mi rare | la sol mi fa sol lecita questa gratitudine rembneratione [= remenberatione] — amore la sol [la] mi fa remirare | sol la [sol] mi fa sollecita — c) la sol mi fa sol lecita | amo re la sol mi fa re mi rare

Foglio di Windsor (part.), f. 9-12692 Corgano e piva (cornamusa) Cod. II (8936), a-b-c) f. 76-r

Tamburo meccanico Cod. Atlantico, a1) f. 837-r [306];f.877-7[319] La viola organista disegnata da (Codice Atlantico, 1488–1489)

Leonardo da Vinci aveva inventato la “viola organista”, uno strumento musicale a metà strada fra il clavicordo, l’organo e la viola da gamba Leonardo musico

Orpheus Charming the Animals about 1505. Marcantonio Raimondi (Italian, 1470/82– 1527/34). Engraving; 21.4 x 17.3 cm. Cleveland Museum of Art, Dudley P. Allen Fund 1930.579 «Questi due fluti non fanno le mutazione delle loro voci a salti, anzi nel modo proprio della voce umana. E fassi col movere la mano su e giù, come alla tromba torta, e massime nel zufolo. E possi fare 1/8 e 1/16 di voce, e tanto quanto a te piace»

Cod. Atlantico, c) f. 1106-r [397]

Campana meccanica Cod. Madrid II (8936), f. 75-v

Strumento di scena Fogli di Windsor, a) f. 9-12585 “E la musica ancora fa nel suo tempo armonico le soavi melodie composte delle sue varie voci, dalle quali il poeta è privato della loro descrizione armonica. E benché la poesia entri pel senso dell’udito alla sede del giudizio siccome la musica, esso poeta non può descrivere l’armonia della musica perché non ha potestà in un medesimo tempo di dire diverse cose, come la proporzionalità armonica della pittura composta di diverse membra in un medesimo tempo, la dolcezza delle quali sono giudicate in un medesimo tempo cosí in comune, come in particolare. In comune, in quanto all’intento del composto; in particolare in quanto all’intento de’ componenti, di che si compone esso tutto. E per questo il poeta resta, in quanto alla figurazione delle cose corporee, molto indietro al pittore, e delle cose invisibili rimane indietro al musico..”

Leonardo da Vinci - Trattato della Pittura (XVI secolo) Parte prima Conclusione del poeta, del pittore e del musico

Alle p. 2 e 5 [di iii/1] i passi relativi a Leonardo musicista (la modifiche in corsivo): «Dette alquanto d'opera alla musica, ma tosto si risolvé a imparare a sonare la lira, come quello che da la natura aveva spirito elevatissimo e pieno di leggiadria. Onde sopra quella cantò divinamente all'improvviso. [...] Avvenne che morto Giovan Galeazzo duca di Milano, e creato Lodovico Sforza nel grado medesimo l'anno 1494, fu condotto a Milano con gran riputazione Lionardo al duca, il quale molto si dilettava del suono de la lira, perché sonasse. E Lionardo portò quello strumento ch'egli aveva di sua mano fabricato d'argento gran parte in forma d'un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, accioché l'armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce. Laonde superò tutti i musici che quivi erano concorsi a sonare. Oltra ciò fu il migliore dicitore di rime a l'improviso del tempo suo»

G. Vasari, Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori e architettori scritte da m. Giorgio Vasari pittore et architetto aretino di nuouo dal medesimo riuiste et ampliate con i ritratti loro et con l'aggiunta delle vite de' viui, & de' morti dall'anno 1550 infino al 1567 In Fiorenza: appresso i Giunti, 1568

“bisogna imitar col canto chi parla”

Le regole che dettavano la pratica esecutiva della musica antica rivelano una notevole attenzione nella scrittura e nella comunicazione emergono tre elementi fondamentali: affetto, figura e orazione.

Distinguere una ‘nota buona’ da una ‘nota cattiva’ come affermava Leopold Mozart non era marginale, poiché una battuta può essere alla Frescobaldi “hor languida, hor veloce” o presentare una “sprezzatura” alla Caccini. Nella produzione dei suoni variano nel tempo l'atteggiamento esecutivo improvvisativo e l’uso fondamentale della dinamica. Sulla generalità delle esecuzioni specialistiche un autore come Bovicelli nel 1594, notava che «pare sia quasi lo studiare una lettion», rilevando che norme basilari venivano ignorate, tanto che l’apprensione degli autori era nell’esigere che l’esecutore fosse ‘perito’.

L’aspetto comunicativo era ritenuto essenziale se Muzio Clementi, suggeriva che era meglio sacrificare: «[...] qualche volta la regolarità della battuta per comovere».

In passato molti autori espressero una minuziosa e articolata definizione retorico-musicale del comporre e dell'eseguire attraverso la Teoria delle Figure e la Teoria degli Affetti .

Ad ogni variazione della linea musicale (ascesa, discesa, per salto, per grado, con pause, senza pause, ecc.) cioè ad ogni figura, corrispondeva un significato contraddistinto dal termine ‘affetto’ esemplificabile con l’affermazione di A.Kircher: «ascesa (anàbasi) esprime esaltazione, elevazione, o cose alte ed eminenti; nella discesa (catàbasi) usiamo affetti quali inferiorità, umiliazione e avvilimento per esprimere situazioni deprimenti».

Esiste un ampio ambito di figure retorico-musicali cui corrispondono i relativi affetti e la cui valutazione determina una dimensione esecutiva significante, richiesta in modo specifico dai compositori tra i secoli XVI e XVII quando, cioè, la musica strumentale iniziava a rendersi autonoma da un testo letterario cantato che enunciava un significato

. La musica vocale è caratterizzata dalla presenza significante della parola e dalla nuova ‘scrittura per una voce sola’, che si contrappone alle quattro voci del Madrigale dove, nel «cantare, nell'istesso tempo, tante arie insieme», la parola era stata prevaricata e resa insignificante.

Il nuovo assetto ‘per voce sola’ presentava tuttavia problemi di chiarezza proprio nell’espressione degli ‘affetti’, come nel 1756 affermerà Leopold Mozart: «Per un compositore come si deve questa scienza [retorica] è indispensabile; altrimenti egli è la quinta ruota del carro», ma il problema si era posto molto prima, come rivelano diversi autori.

Vincenzo Galilei nel 1581 sottolineava come fosse necessario: «che l'aria della Canzone fusse composta da buono maestro [...] & recitata da persone perite & voci accomodate» e “cantanti non ordinarii” chiedeva anche Giovani Maria Artusi nel 1603.

Gian Paolo Cima nel 1610 domandava: «Pregovi, gentilissimi Signori, che per vostro diletto vorrete cantare questi miei Concertini [...] mi facciate gratia di cantarli come stanno, con quello maggiore affetto, che sia possibile [...]; Et scuoprendo passi alquanto licentiosi, considerino le parole, ouero l'affetto della Musica, che troueranno esser fatta ogni cosa con sano giuditio». “

Luca Marenzio, (Coccaglio, 18 ottobre 1554 – Roma, 22 agosto 1599) compositore, cantore e liutista italiano. Fu il più acclamato autore di madrigali del suo tempo.

Zefiro torna

https://www.youtube.com/watch?v=NnjtHXhcd5Y Per Athanasius Kircher nel 1650, la composizione, per rivelare il suo significato, andava eseguita da eccellenti cantori “a peritissimis pronunciando”.

Un'analoga costante preoccupazione era espressa in relazione alla musica strumentale, cui mancava il contributo chiarificatore della parola. Per Vincenzo Galilei anche il solo strumento poteva “operare l’affetto” ma, in ogni caso, l’esecutore doveva essere perito:

«Non ne dubitare punto [...] che il suono dello strumento fatto dall'arte senza l'uso delle parole, aveva [...] grandissima facultà d'operare ne gli animi degli uditori gran parte degli affetti che al perito sonatore piacevano».

Oltre alla manifestazione dell’intenzione significante, quella cioè che attribuisce un affetto a ogni figura musicale, i compositori suggerivano agli esecutori anche ‘con quali mezzi’ il significato, ovvero l’ ‘affetto’ delle loro musiche, potesse risultare ben comprensibile per l’ascoltatore. L’esecutore, tra i secoli XVI e XVII, doveva usare ‘i mezzi dell'oratore’, cioè tutte le gradazioni di varia pronuncia, respirazione con le annesse ‘pause’, di varia dinamica, timbrica, agogica, messe in pratica dall'oratore. Si trattava di strumenti impiegati nel campo della

declamazione e ampiamente teorizzati e consigliati

all’oratore, gli stessi ai quali ricorrono gli autori

musicali specificandoli: il dir piano, il dir forte, il dir

veloce, il dir lento; la diversità di tono; respiri e

cesure. Tali mezzi propri dell’oratoria vengono

ritenuti basilari in quanto strettamente connessi alla

composizione musicale, restituendo all’esecuzione la

Frontespizio di Quintiliano Institutio oratoria, ed. Leida, richiesta dimensione discorsiva. 1720. Full title: M. Fabii Quinc[!]tiliani de institutione oratoria libri duodecim, cum notis et animadversionibus Lo stesso Quintiliano,(35-96 d.C.) aveva proposto virorum doctorum, summa cura recogniti et emendati per un parallelo fra 'oratore' e 'musico' che sarà Petrum Burmannum. Lugduni Batavorum, Apud Joannem de Vivie, MDCCXX. Incisione di F. Bleyswyk sottolineato dal Nicola Vicentino nel 1555 e, poi, fino a Beethoven e a Liszt.

L'analogia fra esecuzione musicale e ars oratoria è messa in luce con insistenza da musicisti e teorici della musica( Zarlino, 1558, p. 75; Peri, (1600) 1969, p. 45.) hanno trattato l’argomento: un esempio si ricava da Peri per il quale la musica:

«induce varie passioni [...] quando è recitata con giudicio», ovvero bisogna «imitar col canto chi parla».

Costume indossato da Jacopo Peri, ne La pellegrina Firenze 2 e 15 maggio 1589 Teatro Mediceo degli Uffizi J

. J. Peri, La pellegrina, 1589 - Intermedio 4, La regione de’ demoni

L'Euridice - 8 Nel puro ardor - Jacopo Peri

https://www.youtube.com/watch?v=1hBM_keRlRo

Ricorrono sovente parallelismi e analogie e persino l’idea di identità fra musica e oratoria; in questo ambito emerge anche, nell’epoca di Frescobaldi (1583-1643), l’importanza assegnata al ruolo dell’ascoltatore, affinché si faccia partecipe di questa esecuzione- orazione. Gli autori però risultano consapevoli della inadeguatezza dei segni di notazione per definire le modalità richiesta dagli autori per l’esecuzione-orazione e, dunque, mettono a punto le loro osservazioni o ‘avvertimenti’ rivolti all'esecutore, invitato a usare i ‘mezzi dell'oratore’.

Già Quintiliano, ( Institutio oratoria, I, X, 22, 25 ed. 2001)nel proporre un parallelo fra oratore e musico, aveva evidenziato l'importanza delle varie inflessioni della voce, ‘flexus vocis’, tanto nell'orazione che in musica, ‘ad mouendos audentium adfectus’; analoghi passi ricorrono in Cicerone, che rinvia a quanto riportato da Quintiliano circa l’opinione espressa dall’oratore ateniese Demostene che, nel campo dell’oratoria, poneva al primo posto la declamazione.

L'esecuzione musicale si collega infatti alla declamazione orale, in quanto deve risultare approntata «secondo li modelli retorici», con un «modo di Cantare seguendo l'orme Retoricali». Si riscontra una stretta dipendenza della prassi musicale dalle regole oratorie, messe in atto nella declamazione, per poter approdare alla voluta esecuzione-orazione.

Diversi compositori elencano sostanziose analogie con l’oratoria, prevedendo nella prassi esecutiva indicazioni come: piano, forte, veloce, lento e così via

Elementi ancor più circostanziati riguardano la pratica oratoria in alcuni teorici che hanno trattato l'arte di recitare con il fine di ottenere un’esecuzione-orazione, lontana dalla monotonia dinamica, ritmica, agogica

Cicerone, nell’Orator, parla di dizione flessibile, di pause che separano e interrompono, di fermate per riprendere fiato, di mutamenti della voce che si può elevare o abbassare, poichè la monotonia, segnalata da Quintiliano come tensione uniforme del respiro e del tono, sarà intesa come ‘risultanza umiliante’ cui consegue la noia Cicerone (Orator)

(agogica di una composizione è una qualificazione dell'espressione musicale per quanto riguarda l'accentuazione e il complesso delle leggere modificazioni apportate alle durate delle note e all'andamento)

Gli autori musicali insistono sull’acquisizione di una dimensione 'discorsiva' dell'esecuzione musicale, per cui, le norme dell’oratoria debbono essere assimilate con discernimento.

Il musicista dovrà individuare e vagliare i momenti opportuni per le sue licenze discorsive sostanziate, oltre che dai respiri, dalla punteggiatura e da pause oratorie considerate come ‘leggi superiori’: l’elemento discorsivo dovrà tuttavia essere segnato da significativi contrasti dinamici fra le varie parti della frase musicale, secondo rapporti ritmici e di tessitura evidenziati nella scrittura, ne consegue che un cambio di clima armonico determina la comunicazione di un tipo di ‘affetto’

Per quanto attiene all’esecuzione musicale si palesano riferimenti alla recitazione, ma il risultato fondamentale è dato dall’elemento gestuale: la pronuntiatio infatti era costituita da due elementi: vox e gestus, «per non parer essere di pietra». La gestualità porta a compimento il senso profondo dell’interpretazione musicale attraverso il rapporto figura-affetto-orazione .

La pronuntiatio figurava fra i cinque elementi attraverso i quali si costituiva e si svolgeva l'intero discorso nel cursus retorico latino cioè inventio, dispositio, elocutio, memoria, pronuntiatio.

La delectatio amorosa, citata da Frescobaldi (1615) , è il piacere di aspettare l’inizio o la conclusione di un passaggio musicale, in posamenti per iniziare all’improvviso per: «tanto più fare apparire l’agilità della mano».

Gerolamo Frescobaldi (Ferrara, 13 settembre 1583 – Roma, 1 marzo 1643)

è stato un compositore, organista e clavicembalista

È ritenuto uno dei maggiori compositori per clavicembalo del XVII secolo

Girolamo Frescobaldi, Toccate d'Intavolatura di Cimbalo (Libro I, Roma,

1615)

Claude Mellan, Girolamo Frescobaldi, incisione del 1619.

https://www.youtube.com/watch?v=7R2gc0IGg68

Prime battute dell'intavolatura della Toccata Prima dal Libro primo d'intavolatura di chitarone di Kapsberger (le lettere HK stanno per Hieronymus Kapsberger)

Un'intavolatura è un metodo alternativo al pentagramma per scrivere la musica; si utilizza la dicitura tablatura o tabulatura (dal lat. tabula, "tavola"). È un sistema di notazione musicale adatto per gli strumenti a corda ed è diffusamente utilizzato nella musica contemporanea per chitarra e basso. L'intavolatura era un sistema per scrivere la musica molto usato per gli strumenti polifonici a pizzico e a tastiera dei secoli XVI e XVII; questo sistema, anziché indicare l'altezza del suono, illustrava la posizione delle dita del suonatore sulla tastiera. Un'intavolatura si compone di un certo numero di linee orizzontali ognuna rappresentante una delle corde dello strumento, quindi 6 per una chitarra moderna e da 4 a 6 per un basso moderno. Da sinistra a destra è rappresentato il tempo, ogni rigo rappresenta una corda, i numeri scritti sopra ogni riga rappresentano il tasto da premere sul manico dello strumento. L'intavolatura indica solo la successione di corde da premere, ma non ha modo di rappresentare la durata di queste note senza usare riferimenti esterni. Inoltre, rappresentando direttamente le corde e i tasti da premere, invece delle note come sul pentagramma, è necessario scrivere in modo esplicito a quale strumento ci si riferisce perché ognuno di essi può avere una disposizione diversa delle corde. J. H. Kapsberger: Colascione from Libro Primo d'Intavolatura di Chitarrone (1604) / Celeste Sirene

https://www.youtube.com/watch?v=gpbASIAKCts

Esemplare di colascione (origine sec. XV) Il teorico e compositore Nicola Vicentino, che aveva studiato a Venezia con Willaert, nel 1555 si rivela circostanziato nel richiamarsi all’esperienza dell’oratore nella composizione musicale:

«Qualche uolta si usa un certo ordine di procedere, nelle compositioni, che non si può scriuere, come sono, il dir piano, & forte, & il dir presto, & tardo, & secondo le parole, muouere la Misura, per dimostrare gli effetti delle passioni delle parole, & dell'armonia; non è inconueniente la mutatioue della misura, in ogni compositione, e la esperienza dell'Oratore l'insegua, che si uede il modo che tiene nell’Oratione, che hora dice forte, & hora piano, & più tardo, & più presto, e con questo muoue assai gl'oditori; [...] & che effetto farìa l'Oratore che recitasse una bella oratione senza l'ordine de' suoi accenti, & pronuntie, & moti ueloci, & tardi, & con il dir piano, & forte: quello non muoueria gl'oditori; il simile dé essere nella Musica, perché se l'Oratore muoue gl’oditori con gl’ordini sopradetti, quanto maggiormente la Musica recitata con i medesimi ordini accompagnati dall'Armonia, ben unita, farà molto più effetto». Vicentino, 1555, n. 17.

Anche per Vincenzo Galilei, allievo di Zarlino ed esponente della Camerata fiorentina che, com'è noto, era in polemica con l’artificiosità della polifonia, proponeva uno stile compositivo fondato su una monodia, poiché il musicista deve imparare dai più famosi oratori e attori:

«[...] in qual maniera parla, con qual voce circa l'acutezza & gravità, con che quantità di suono, con qual sorte d'accenti & di gesti, come profferite [queste maniere] quanto alla velocità & tardività del moto[...] come faccia l'infuriato, o il concitato; come la donna maritata; come la fanciulla; come il semplice putto, come l'astuta meretrice; come l’innamorato [...];come quelli che si lamenta; come quelli che grida; come il timoroso; e come quelli che esulta d'allegrezza; il musico cantore esaminava diligentissimamente la qualità della persona che parlava [...] esprimeva poscia il musico in quel tuono, con quelli accenti & gesti, con quella quantità e qualità di suono, & con quel ritmo che conveniva in quell'attione a tal personaggio». Galilei, 1581, pp. 89-90, n. 10.

Nel 1584 il madrigale di Girolamo Casone, Pasco gli occhi e l'orecchie, posto in musica dal madrigalista bresciano Lelio Bertani, rappresenta il duplice piacere, visivo e uditivo, sollecitato dall’ascolto di una cantatrice: «Pasco gli occhi e !'orecchie / mentre miro et ascolto / di voi, bella Sirena, il canto e 'l volto. / L'un senso invidia l'altro / ma concordi poi sono / col lume e col suono / d'un cantar dolce e d'un guardar accorto».

Busto di Emilio de' Cavalieri sulla tomba nella Basilica dell'Ara Coeli a Roma

Nel 1600, per la Rappresentazione di anima, et di corpo, l’autore Emilio de’ Cavalieri (Roma, 1550 – 1602) , richiedeva che l'interprete esprimesse bene le parole: «che siano intese […] e le accompagni con gesti, e motivi non solamente di mani, ma di passi ancora, che sono aiuti molto efficaci à muovere l'affetto» I componimenti erano dunque attenti alla complessa qualità retorica e comunicativa della pratica musicale e quindi all'effetto ottenibile su chi avrebbe ascoltato; a tal fine le componenti letteraria e gestuale divengono essenziali, tanto che lo stesso Monteverdi nel 1608 parla di “cantori buoni per cantar soli”, e “rappresentar” gli affetti dell'animo, valendosi certamente della vox e del gestus.

N.Regnier, Il marchese Vincenzo Giustiniani 1630 c.

Nel 1628 il marchese Vincenzo Giustiniani (committente di Caravaggio) si rivela un accorto osservatore della “musica de’ suoi tempi” quando nella pratica compositiva, si assisteva al passaggio dalla scrittura a quattro voci del madrigale a un assetto ‘a voce sola’ e basso continuo, proposto dalle Nuove Musiche di Caccini del 1601.

Giustiniani sottolinea l'importanza del gesto esecutivo, tanto per il nuovo stile recitativo ‘a voce sola’ quanto per quello madrigalistico, relativo al repertorio delle Dame ferraresi, il celebre gruppo attivo alla corte dei duchi di Ferrara.

«i buoni musici [...] attendono ad uno stile recitativo [...] mostrando nel viso e nei gesti segno del concetto che si canta, ma con moderazione e non soverchi [...]; le dame di Mantova et di Ferrara facevano a gara [...] principalmente con azione del viso, e dei sguardi e de' gesti che accompagnavano appropriatamente la musica e li concetti». A tal riguardo sovviene la testimonianza del filosofo neoplatonico ferrarese Francesco Patrizi, relativa alla giovane e dotta Tarquinia Molza, legata all'ambiente delle Dame ferraresi, ove si loda l’eleganza dei gesti, richiesta nella prassi dell’esecuzione musicale: «ha preso la viuola, e yi suona il basso et il soprano in compagnia sicurissimamente, accompagnando questo suono con bellissimi movimenti delle braccia, delle mani e delle dita, senza sforzo et senza distorcimento alcuno del capo e della persona. E nel soprano nelle diminutioni è cosa sì leggiadra a vederle muovere le dita della mano sinistra in su' tasti» Claudio Monteverdi, Lettera del 1608 al duca di Modena Analogamente in Francia, il teorico musicale, condiscepolo di Cartesio, Marin Mersenne, evidenzia il rapporto fra musico e oratore, una prima volta nel 1623:

«Quelle cose che Fabio [Quintiliano] può esigere nell'oratore, io oserei richiederle nel musicista, affinché il canto susciti sentimenti nel modo più perfetto, e raggiunga il suo fine»,

aggiungendo nel 1636 che l’esecutore deve avere tanto influsso sugli uditori, come se la sua esecuzione «estoit recitée par un excellent Orateur». Il tracciato retorico non risulterebbe sottinteso, ma esplicitato: la linea o il movimento del canto, similmente al tono del discorso di un oratore, divengono fondamento della musica. Si legge infatti:

«Où il faut remarquer que ie commence les regles par le mouement [la passione dell'anima] que l'on doit donner aux

chants, dont on peut dire ce que l'Orateur disoit de la prononciation, ou du recit des harangues [arringhe]» Mersenne, 1623, col. 1611 e 1564, A tal riguardo sovviene la testimonianza del filosofo neoplatonico ferrarese Francesco Patrizi, relativa alla giovane e dotta Tarquinia Molza, legata all'ambiente delle Dame ferraresi, ove si loda l’eleganza dei gesti, richiesta nella prassi dell’esecuzione musicale:

«ha preso la viuola, e yi suona il basso et il soprano in compagnia sicurissimamente, accompagnando questo suono con bellissimi movimenti delle braccia, delle mani e delle dita, senza sforzo et senza distorcimento alcuno del capo e della persona. E nel soprano nelle diminutioni è cosa sì leggiadra a vederle muovere le dita della mano sinistra in su' tasti» La moderazione della gestualità è richiamata poi da Giovanni Battista Magone nel 1615 perché:

«la voce & il gesto si deuono diligentemente custodire: deuissi auuertire il Cantore [...] che ‘l motto delle labra sij legiero, e che non s'apri la bocca immoderatamente, ne che con fauci gonfie, e spirto, o sij fiato annelante, o troppo respirante, o strepitosa voce, ne con le labra torte, o stridore de denti si debbi prononziare, ma che si bene la voce, & il gesto si deuono diligentemente custodire secondo la conuenienza della sua causa, cioè (al proposito) che il Cantore debbi osseruare il luoco doue si canta

[...] Chiavelloni (1668) accenna

« all'aspetto [...] del porre davanti agli occhi» ovvero all’immagine dell'affetto che si intende esprimere. In una linea prevalentemente mimetica si sollecitano requisiti visivi perfino pittorici, atti a sollecitare l’espressione:

«Non con altro maggior risguardo fù detta la Poesia di pintura parlante; perché in simil guisa hà da esporre alla mente de gl'uditori, quasi visibile da gl'occhi istessi, viua, e spirante, l'immagine dell'affetto, che esprime »

L’ allegoria musicale nella pittura veneta del Rinascimento

Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe, 1487 circa, Venezia Gallerie dell’Accademia Caposaldo del periodo maturo dell'artista, venne dipinta per il secondo altare a destra della chiesa veneziana di san Giobbe. L'opera fu una sorta di risposta alla pala di San Cassiano di Antonello da Messina (1475-1476), della quale assimilò le novità e propose ulteriori stimoli. L'opera, forse la prima dipinta a olio dal pittore, divenne subito una delle più rinomate del Bellini.

Antonelllo da Messina, Pala di San Cassiano, 1475-76 Vienna, Kunsthistorisches Museum Nella Sacra conversazione attorno all'alto trono marmoreo di Maria col Bambino, ai cui piedi si trovano tre angeli musicanti, sono disposti simmetricamente sei santi, tre per parte: a sinistra san Francesco, Giovanni Battista e Giobbe, a destra i santi Domenico, Sebastiano e Ludovico di Tolosa. I santi vennero ripresi e imitati per decenni: san Francesco ad esempio ricompare quasi identico nella Pala di Castelfranco di Giorgione

Giorgione, Pala di Castelfranco, 1503, Castelfranco Veneto, Duomo La parte più straordinaria è rappresentata dalla volta a cassettoni che introduce prospetticamente alla composizione sacra, con pilastri ai lati, che sono uguali a quelli reali dell'altare originale.

La nicchia profonda e ombrosa dello sfondo dilata lo spazio attorno al gruppo sacro, all'ombra di una calotta coperta da mosaici dorati nel più tipico stile veneziano.

Si tratta quindi di un prolungamento virtuale dello spazio reale della navata, con figure al contempo monumentali e caldamente umane, grazie al ricco impasto cromatico.

La luce si riverbera sui dettagli, venendo catturata dai mosaici o dagli strumenti musicali degli angeli. La cassa della ribeca di provenienza orientale ha la foggia di una mezza pera che si prolunga nel manico, sul quale si trova la tastiera. Esistevano ribeche con misure e accordature diverse, ma prevalentemente si trattava di uno strumento di registro acuto. Fu molto diffuso nelle corti europee fino al XVI secolo, come strumento per l'accompagnamento del ballo e della lettura di poesie; presso la corte di Enrico VIII d'Inghilterra, essa era presente nell'orchestra reale. Rebecchino era detto il menestrello che lo suonava. Il fregio è emblema della «cultura umanistica dominata dall’esaltazione della ratio e della virtus di fronte al potere sovvertitore del tempo» L’adagio “vitam brevem esse, longam artem” (la vita è breve, l’arte lunga) di Seneca rimanda alla cultura umanistica.

Incunabolo Sidney,

L’iscrizione, vergata in inchiostro nero, recita «A dì 17 setenbrio morì Zorzon da Castelo Francho de peste | Giorgione , fintore excelentisimo da peste in Venezia Fregio delle arti liberali e meccaniche , de | anni 36 et requiese in pace», vale a 1496 -97/ 1502-3 circa, Castelfranco Veneto, casa Pellizzari dire "Oggi 17 settembre morì Giorgione da Castelfranco di peste, pittore eccellentissimo in Venezia di anni 36. E riposi in pace".

Dell'affresco monocromo, che si sviluppa lungo le due pareti principali della sala, risulta attribuibile a Giorgione solo il Fregio della parete orientale, mentre la parete occidentale - come indica la diversità dell'intonaco - sembra sia stata eseguita in un secondo momento, per completare, con uno stile analogo, la decorazione della sala.

Giorgione , Fregio delle arti liberali e meccaniche , 1502-3, Castelfranco Veneto, casa Pellizzari Ritenuto per molto tempo una generica, per quanto raffinata, esaltazione della cultura umanistica attraverso le scienze, il fregio sembra invece nascondere un messaggio assai più inquietante, connesso agli accadimenti storici e alla cultura del tempo.

Il fregio, infatti, testimonierebbe lo stretto legame dell'ignoto committente dell'opera e di Giorgione con le teorie astronomiche-astrologiche di uno dei massimi esponenti della scienza dell'epoca: il campano Giovanni Battista Abioso, stabilitosi nel 1496 a Treviso.

Nello specifico, il ciclo testimonierebbe la profonda inquietudine che attraversava i contemporanei di Giorgione a causa della nefasta congiunzione astrale di Saturno, Giove e Marte in Cancro, che si sarebbe verificata tra il 1503 e il 1504, con una successiva, temutissima, eclissi totale di luna. Questa congiunzione avrebbe portato disgrazie e rivolgimenti dell'ordine costituito, e faceva temere la fine di una età dorata per la civiltà Giorgione , Fregio delle arti liberali e meccaniche , 1502-3, Castelfranco Veneto, casa Pellizzari

I primi due terzi del Fregio trattano di astrologia. I vari libri che affollano

la prima parte stanno ad indicare che l’astrologia qui praticata non è quella degli indovini senza sapere scientifico, ma quella che si basa sullo studio approfondito dei suoi fondamenti teorici.

E dopo aver mostrato, attraverso libri e strumenti, la scientificità dell’astrologia praticata, una sfera celeste riporta la grande congiunzione di Saturno, Giove e Marte annunciata per il 1503-1504, aggravata da un’eclisse totale di Luna e dalla mancata corrispondenza tra segni e costellazioni

La parte centrale del Fregio affronta il tema della guerra, la guerra vista come manifestazione immediata dell’ira del cielo annunciata dalla previsione astrologica.

I due trofei d’armi raffigurati nella sezione, esibiscono però armi e armature smesse che, insieme con i motti delle due tabelle, mostrano un’ottica antieroica e un distacco ideologico e morale nei confronti della guerra, tanto da ritenere più importante la battaglia che ognuno ingaggia contro le sue debolezze, anziché quella contro un ipotetico nemico.

La seconda parte è dominata dalla rappresentazione di una cospicua serie di strumenti di misurazione, con lo scopo di suggerire che il vero astrologo deve unire allo studio della teoria, la sperimentazione eseguita con strumenti adeguati.

La terza parte è dominata da schemi geometrici: rappresentano la formulazione dei principi derivati dalla teoria e dalla sperimentazione proclamate nei settori precedenti del Fregio. L’avvento della grande congiunzione annunciata dalla sfera celeste avrebbe provocato una grave perturbazione dell’ordine cosmico, scatenando l’ira dei cieli, quell’ira riportata dalla cultura umanistica trevigiana che, alla fine del ’400, si stringe intorno alla figura di Giovan Battista Abioso

Pittura e medicina solitamente considerate arti meccaniche, nel Fregio assurgono al rango di arti liberali accanto alla musica. Quadri, cavalletti e pennelli introducono la pittura che, tramite l’esercizio della prospettiva alla quale fa riferimento il testo raffigurato, riproduce l’armonia del cosmo Calchi, bulini e ciotole annunciano invece la medicina che si rapporta con lo spazio celeste attraverso le pratiche terapeutiche del tempo, dai sigilli astrologici ai quali alludono bulini e calchi raffigurati, fino ai farmaci a base di erbe dai poteri magici, ai quali rimandano le numerose ciotole.

La terza sezione del Fregio tratta di musica, di pittura e di medicina, arti che riflettono l’armonia del cosmo. La prima parte della sezione tratta di musica, ma, in un universo come quello descritto nel Fregio, che ha ormai perduto l’armonia, un’arte come la musica che ad esso si ispira, non può che tradursi in frastuono o in silenzio, così come suggeriscono i vari strumenti raffigurati senza corde.

Giorgione , Fregio delle arti liberali e meccaniche , 1502-3, Castelfranco Veneto, casa Pellizzari La 'baga' veneta è uno strumento a fiato antico che appartiene alla vasta famiglia delle cornamuse. Compare ne fregio di casa Pellizzari

Omnia vincit virtus

Omnia vincit amor … et nos cedamus amori

(lett. "L'amore vince tutto, arrendiamoci anche noi all'amore") è una locuzione latina di Publio Virgilio Marone (Bucoliche X, 69)

Judá Abravanel (Lisbona, 1460 circa – Napoli, 1530circa), noto come Leone Ebreo è stato un filosofo e poeta portoghese. Studioso del pensiero ebraico poté dedicarsi alla professione medica e agli studi filosofici. I Dialoghi d'Amore, pubblicati postumi a Roma nel 1535 furono scritti forse prima in lingua ebraica e tradotti successivamente in lingua italiana. Protagonisti dei dialoghi, aventi il tema neoplatonico dell'amore, sono Filone, rappresentante della Passione amorosa, e Sofia, la Saggezza razionale. L'opera

esercitò una grande influenza sulla cultura della seconda metà del XVI secolo. In accordo con il

pensiero di Pico della Mirandola rapporta Platone e Aristotele, secondo l’interpretazione di Avicenna e

Averroè, col pensiero mosaico esposto allegoricamente dalla Cabala. Secondo Plotino

distingue tra la "Venere terrena" e "celeste", sono i concetti di appetito naturale che si quieta nel bene,

e di amore che ha per oggetto la bellezza emerge la simpatia per la dottrina averroistica

della copulatio dell'intelletto umano con la suprema Leone Ebreo, Dialoghi d'Amore, pubblicati bellezza, che è principio di ogni intelligibilità. postumi a Roma nel 1535

Tiziano, Concerto campestre, 1510, Parigi Louvre L'opera originariamente apparteneva ai Gonzaga, forse già posseduta da Isabella d'Este; essa venne poi venduta prima a Carlo I d'Inghilterra e poi al banchiere francese Eberhard Jabach; quest'ultimo lo vendette a Luigi XIV di Francia nel 167. E’ il "manifesto" dello sviluppo stilistico della pittura veneta all'aprirsi del Cinquecento,. ( sovrapposizione di velature di colore, un contenuto ricorso al disegno e una linea di contorno sfumata, elementi chiave del tonalismo) . Tre giovani seduti su un prato suonano, una donna in piedi versa dell'acqua in una vasca marmorea. Le due donne nude mentre i due uomini parlano tra di loro, abbigliati in costumi dell'epoca. sfondo si Il pastore e il paesaggio diventano elementi fondativi. L'attenzione al dato vegetale in primo pianorimanda alla lezione di Leonardo da Vinci.

Il soggetto è un'allegoria della poesia e della musica. La Musica come armonia nudità della donna è legata all'essenza divina e quella col vaso di vetro sarebbe la musa della poesia tragica superiore, mentre quella col flauto la musa della poesia pastorale. Tra i due giovani, quello ben vestito che suona il liuto sarebbe il poeta del lirismo esaltato, mentre quello col capo scoperto sarebbe un paroliere ordinario, secondo la distinzione operata da Aristotele nella Poetica. Forse un'evocazione dei quattro elementi che compongono il mondo naturale (acqua, fuoco, terra, aria) e del loro relazionarsi armonioso Inoltre l'accordo tra il liuto, strumento colto e "cittadino", e il flauto, strumento rustico e campestre, era un tema legato alla teoria musicale neoplatonica, che nell'incontro degli opposti indicava la via per realizzare una conoscenza superiore. La donna che mischia è letta come simbolo di purificazione, ma anche di temperanza, cioè armonia, dei suoni nell'accordo musicale, arrivando a quella concordanza tra musica mondana e musica celeste dei pitagorii Tali teorie erano comuni nei circoli umanistici veneziani, animati da personalità come Pietro Bembo, Mario Equicola e Leone Ebreo. L'arrivo del pastore da destra, inferiore per classe e per cultura, interrompe il concerto delle muse e dei due nobili, che si scambierebbero un'occhiata di perplessa circostanza. L'accordo tra il liuto, strumento colto e "cittadino", e il Musica come armonia flauto, strumento rustico e campestre, era un tema legato alla teoria musicale neoplatonica, che nell'incontro degli opposti indicava la via per realizzare una conoscenza superiore.

La donna che mischia l’acqua è letta come simbolo di purificazione, ma anche di temperanza ovvero armonia dei suoni nell'accordo musicale

E’ espressa la concordanza tra musica mondana e musica celeste dei pitagorici.

Tali teorie erano comuni nei circoli umanistici veneziani, animati da personalità come Pietro Bembo, Mario Equicola e Leone Ebreo.

L'arrivo del pastore da destra, inferiore per classe e per cultura, interrompe il concerto delle muse e dei due nobili, che si scambierebbero un'occhiata di perplessa circostanza

Nella mentalità dell’epoca, la musica era considerata somma, per la sua capacità di suscitare emozioni, anche molto intense attraverso i suoni che non hanno né materia né consistenza.

Nella pittura del Cinquecento, spesso il significato è metaforico. Allegoria e metafora sono due procedimenti retorici molto utilizzate nell’arte figurativa.

L’allegoria (ἄλλος «altro» e tema di ἀγορεύω «parlare»): figura retorica, per la quale si affida a una scrittura (o in genere a un contesto, anche orale) un senso riposto e allusivo, diverso da quello che è il contenuto logico delle parole ( o immagine). Una metafora (, da metaphérō, «io trasporto») è invece il significato nascosto in un’immagine, diverso da quello apparente. Nel caso del Concerto Campestre, quello che vediamo sono due uomini e due donne nude che stanno suonando. Ma il vero significato non è quello che vediamo, ma quello che l’immagine ci suggerisce di capire e cioè che per ricevere la musica in dono dalla natura bisogna avere un animo sensibile.

L’azione di prendere l’acqua con la brocca simboleggia un rito di purificazione; la ninfa che sta suonando il flauto invece allude alla stretta relazione che c’è tra il “fare musica” (ovvero comporre armonie e melodie) e la natura Si tratta di due musicanti vestiti alla moda del tempo So che i loro vestiti potrebbero sembrarti strani, ma ricordati che siamo nel ‘500 e quelli sono abiti del tempo, uno di loro ha un grande liuto tra le mani di fronte alla donna nuda con un flauto un flauto .

I musici sono talmente impegnati a suonare e comporre musica che non si rendono nemmeno conto della presenza della donna ,una ninfa che rappresenta la natura e l’abilità musicale che concorda con l’armonia naturale. Nella cultura del 500 la musica è in grado di suscitare emozioni soltanto con i suoni e non con degli oggetti materiali. E’ soltanto la natura che sceglie a chi regalare i suoi doni .

Le ninfe rappresentano la natura ed il fatto che stiano così vicini ai due musicanti, significa che entrambi partecipano al dialogo con la natura ispiratrice di armonia

Il pastore è tradizionalmente il simbolo di una classe sociale inferiore e forse, l’espressione quasi stizzita dei due uomini protagonisti potrebbe essere data data dalla fastidiosa presenza dell’uomo appena arrivato.

Il musico vestito in rosso con il liuto potrebbe essere il simbolo del poeta della lirica esaltata; quello accanto a lui, con i capelli arruffati, potrebbe trattarsi del suo paroliere.

L’uomo sta suonando il liuto e la ninfa un flauto: il primo è considerato uno strumento musicale colto e riservato ai musicisti d’alto rango, mentre il flauto è un tradizionale simbolo del mondo della campagna. Sono due strumenti contrastanti. La ninfa che mischia l’acqua ha un valore lustrale, di purificazione e allude all’armonia che può nascere dall’unione di due elementi diversi.(allusione alla copulatio tra intelletto e sensi)

Il quadro è una metafora della musica. Le due donne nude sono in realtà delle allegorie: in questo caso due ninfe, che personificano lo spirito della natura. I due uomini, invece, sono vestiti, segno che appartengono alla realtà e alla cultura del proprio tempo. Il fatto che i due uomini non guardano le due ninfe significa, chiaramente, che non possono vederle. Una delle due ninfe ha in mano un flauto, a significare che la musica, intesa come capacità di creare armonie e melodie, appartiene alla natura. L’altra ninfa sta versando dell’acqua da una brocca in una vaschetta di marmo. Il suo gesto ha un significato preciso: rappresenta un rito di purificazione. La presenza delle ninfe, in questa scena dove si vedono due uomini che stanno cercando di suonare uno strumento musicale, ha il seguente significato metaforico: la musica è un dono che ci fa la natura, a patto di essere puri, cioè di avere un animo sensibile.

Édouard Manet, Colazione sull’erba,1862-63, Parigi, Musée d'Orsay

Tiziano Vecellio, Le tre età, Edimburgo, 1512 c.a, National Gallery of Scotland. Giovanni Cariani, Concerto campestre, 1515 c.a, Varsavia, Muzeum Narodowe.

Tiziano, Concerto, 1507-1508 circa, Firenze, Galleria Palatina Tiziano Vecellio, Concerto (Concerto interrotto) (1507-1508 ) Olio su tela , 86.5 cm × 123.5 cm Firenze, Galleria Palatina

Il dipinto si trovava a Venezia ai tempi di Ridolfi (1648), che lo vide nella collezione di Paolo del Sera. Nel 1654 fu acquistato dal cardinale Leopoldo de' Medici e all'inizio del secolo successivo fu ampliato nella parte alta per essere adattato alla cornice scelta dal principe Ferdinando, che lo volle nella propria collezione fiorentina di Palazzo Pitti, dove è tuttora custodito.

La tela, tradizionalmente attribuita a Giorgione, a partire dalla fine dell'Ottocento è stata assegnata

dai critici a Tiziano. Tiziano Vecellio, Concerto (Concerto interrotto) (1507-1508 ) Olio su tela , 86.5 cm × 123.5 cm

Firenze, Galleria Palatina

Il soggetto permetteva ai pittori di giocare sulle suggestioni simboliche e di fare colti rimandi alla cultura e alle teorie musicali degli umanisti veneziani, in un'epoca in cui l'educazione musical era parte integrante della formazione del gentiluomo.

La cultura neoplatonica degli anni di Tiziano esaltava però come musica colta solo quella eseguita con gli strumenti a corde e con la voce umana, che veniva contrapposta alla musica incolta, campagnola e disordinata dagli strumenti a fiato e a percussione.

Tiziano Vecellio, Concerto (Concerto interrotto)

(1507-1508 ) Olio su tela , 86.5 cm × 123.5 cm Firenze, Galleria Palatina

Il Concerto celebra l'armonia e l'ordine della musica “cittadina”, rappresentata dalla spinetta, suonata dal personaggio al centro della scena, e dalla viola da gamba, retta nella mano sinistra dal religioso ritratto sulla destra.

Il gesto con cui il chierico interrompe il concerto ha un significato simbolico: nel tempo circolare, ideale e perfetto dell'armonia musicale interferisce il tempo reale, da dedicare alla devozione istituzionalizzata.

E' un topos, legato alle riflessioni filosofiche contemporanee, già trattato da Giorgione nelle Tre età di Palazzo Pitti, e che Tiziano affrontò a più riprese in opere quali le Tre età di Edimburgo, il Concerto campestre del Louvre e le “favole mitologiche” Giovanni Cariani, Concerto, 1518-1520, Collezione privata. Giovanni Cariani, Concerto, 1518-1520, Collezione privata. Bernardino Licinio, Concerto, 1530-1540, Vercelli, Fondazione Museo Francesco Borgogna.

Bernardino Licinio A concert or "Woman playing a clavichord, with man and older woman" (c.1490-after 1549) Hampton Court, UK; Royal Collection Giovanni Cariani, Suonatore di liuto, 1515 c.a, Strasburgo, Musée des Beaux-Arts. Parrasio Micheli, Suonatrice di liuto, Schwerin, Staatliches Museum.

Tiziano Vecellio, Concerto campestre, 1509-1510, Parigi, Musée du Louvre.

Tiziano, Venere, Cupido e organista, 1548, Madrid, Museo del Prado. Tiziano dipinse cinque variazioni sul tema di Venere e della musica, non furono realizzate per lo stesso cliente, né intendevano essere esposte insieme. Ambientato in una villa, mostrano Venere sdraiata davanti a una grande finestra. Ai suoi piedi, un organista (nelle versioni al Museo del Prado e allo Staatliche Museen di Berlino) o un liutista (al Metropolitan Museum di New York e al Fitzwilliam Museum di Cambridge) suonano il loro strumento mentre contemplano la nudità della dea. Venere distoglie lo sguardo, distratta dalla presenza di un cane o di Cupido.

Tiziano, Venere, Cupido e organista, 1548, Madrid, Museo del Prado. La tipologia di questi lavori indica che risalgono alla fase finale dello sviluppo di uno dei sottogeneri di Tiziano: il nudo femminile sdraiato, che iniziò con la sua Venere addormentata (Dresda, Gemäldegalerie) e prosegue con la Venere di Urbino (Florince, Galleria degli Uffizi) . L’artista torna al tema musicale in uno spazio aperto che aveva affrontato per la prima volta all'inizio della sua carriera nel suo Concerto campestre del Louvre. Opere manifestamente erotiche presentano un notevole contenuto simbolico come allegorie dei sensi da una prospettiva neo-platonica che considera la vista e l'udito i mezzi per conoscere la bellezza e l'armonia, come definito da Mario Equicola nel suo Libro di natura d'amore (Venezia, 1526 ).

Tiziano, Venere, Cupido e organista, 1548, Madrid, Museo del Prado. Necessario considerare la logica commerciale e le circostanze particolari alla base di ciascuna. La prima versione sarebbe una delle due al Museo del Prado (P420), che è l'unica in cui i volti di entrambe le figure sono individualizzati. Le figure nel giardino sono eccezionali nel lavoro di Tiziano e probabilmente sono una metafora per un matrimonio di successo, cui si aggiunge il cane simbolo di fecondità e fedelta.

Tiziano, Venere di Urbino

Tiziano, Venere, Cupido e organista, 1548, Madrid, Museo del Prado.

Tiziano, Venere, Cupido e liutista (Venere Holkham), 1565-1570, New York, The Metropolitan Museum of Art.