La Biennale Di Venezia 1993

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La Biennale Di Venezia 1993 #2-*!-11-/!*%$)1%,%- /!$2!1%#(--* -11-/!1-$)/)#%/#! ),%-/)!%1-/)%$%**%/1) )#*- ,,-$)$)0#200)-,% %0)$)-11-/!1-$)+!1/)#-*! --/$),!1-/%$%*-11-/!1- 21-/%$%*-11-/!,$- /-&)20%..%!/")%/) /-&00!,'%*!%11%0% La Biennale di Venezia 1993 – 2003 L’esposizione come piattaforma ad Andrea gere curam mei finis Indice Indice Introduzione Tracce del cambiamento nelle pratiche espositive: la Biennale di Venezia e la storia delle Esposizioni Sezione I Contesto e metodologia 1. Il mondo è connesso 1 2. Il fenomeno della biennalizzazione 9 3. La voga del ‘contemporary’ 17 Sezione II La Biennale di Venezia: 1993-2003 4. 1993. La 45esima Biennale di Venezia: I Punti Cardinali dell’Arte. 29 4.1. Venti dell’Arte 47 4.2. 1993. Scheda generale 55 4.3. 1993. Display 69 4.4. 1993. Analisi dell’esposizione 91 4.5. Ricezione critica di Punti Cardinali dell’Arte 101 4.6. Achille Bonito Oliva: la curatela come ideologia del traditore 111 5. 1995. La 46esima Biennale di Venezia: Identità e Alterità. 131 5.1. 1995. Scheda generale 155 5.2. 1995. Display 169 5.3. 1995. Analisi dell’esposizione 183 5.4. Ricezione critica di Identità e Alterità 187 5.5. Jean Clair: come e perché criticare la modernità 199 6. 1997. La 47esima Biennale di Venezia: Futuro, Presente, Passato. 215 6.1. 1997. Scheda generale 229 6.2. 1997. Display 239 6.3. 1997. Analisi dell’esposizione 259 6.4. Ricezione critica della Biennale di Germano Celant 267 6.5. Germano Celant: verso un “Pensiero Povero” 285 7. 1999. La 48esima Biennale di Venezia: dAPERTutto. 295 7.1. 1999. Scheda generale 305 7.2. 1999. Display 315 7.3. 1999. Analisi dell’esposizione 335 7.4. Ricezione critica di dAPERTutto 343 8. 2001. La 49esima Biennale di Venezia: La Platea dell’Umanità 361 8.1. 2001. Scheda Generale 369 8.2. 2001. Display 379 8.3. 2001. Analisi dell’esposizione 403 8.4. Ricezione critica di Platea dell’Umanità 411 8.5. Harald Szeemann: Dall’arte come mitologia individuale all’arte come pensiero totale 417 9. 2003. La 50esima Biennale di Venezia: Sogni e Conflitti. La dittatura dello Spettatore 431 9.1. 2003. Scheda generale 441 9.2. 2003. Display 457 9.3. 2003. Analisi dell’esposizione 477 9.4. Ricezione critica di Sogni e Conflitti. La dittatura dello Spettatore 485 9.5. Francesco Bonami: il curatore non-più-guru 491 Sezione III Esposizione come piattaforma 10. Ritardi e continuità nelle pratiche espositive della Biennale 503 11. Esposizione come piattaforma come dispositivo 523 Bibliografia Fonti Primarie 533 Fonti Secondarie: La Biennale di Venezia 537 Fonti Secondarie: Testi di riferimento 567 Photo Credits 579 Introduzione INTRODUZIONE Tracce del cambiamento nelle pratiche espositive: la Biennale di Venezia e la storia delle esposizioni In Norvegia esattamente a Bergen a pochi mesi di distanza dall’inizio della presente ricerca, si svolse una grande conferenza della durata di tre giorni nella quale numerosi curatori e storici dell’arte furono invitati a riflettere sul senso di fare o meno una nuova biennale in un mondo segnato da una grande proliferazione di questo genere di format. Contestualmente all’uscita degli atti relativi all’incontro, insieme ad un’ampia selezione di altri saggi che vengono per l’occasione ripubblicati o inediti studi proposti per la prima volta, il testo delle curatrici che accompagna la pubblicazione riporta un titolo – Biennalogy – che testimonia l’assunzione del biennali a categoria di studio. Tale scritto si apre con un’osservazione che va nella stessa direzione del presente studio e che si pone a conferma di un’intuizione che si andava verificando negli Archivi della Biennale: “For some sceptics the word biennials has become to signify nothing more tha an overblown symptom of spectacular event culture […]. For others, the biennial is a critical site of experimentation in exhibition-making, offering artists, curators, and spectators a vital alternative to museum, and other similar institutions […]. Some even see the biennial form as being full of redemptive and even utopian possibility, or as a testament to a paradigm shift: a platform – like perhaps no other art institution before it – for grappling with such issues as politics, race ethics, identity, globalization and post colonialism in art- making and –showing today. And while being emphatically also an exhibition the biennial’s supporters often understand it as being “neither exclusively nor even primarily a space of spectacular display” […] bur rather as a “discursive environment: a theatre that allow for staging of arguments, speculations, and investigation concerning the nature of our shared, diversely veined, and demanding contemporary condition”1 1 Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø, “Biennalogy” in Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø (a cura di), The Biennial Reader. An Anthology on Large-Scale Perennial Exhibitions of Contemporary Art, Hatje Cantz & Bergen Kunsthall, Ostfildern, 2010, p. 13. I INTRODUZIONE Il volume inoltre si apre con una citazione: “Exhibitions have become the medium through which most art becomes known”2 è l’affermazione più citata dell’introduzione dei curatori di Thinking About Exhibitions pubblicato nel 1996. Il volume che segna il fiorire, in particolare in ambito anglo-americano, di studi sulle esposizioni è divenuto con il tempo una pietra miliare di quella che oggi è possibile chiamare, afferma Emma Barker, una “cultura espositiva” che ha informato e condizionato la stessa costruzione della categoria ‘arte’ nel mondo occidentale.3 L'asserzione scaturisce dalla convinzione che le mostre d’arte, ed in particolare le mostra di arte contemporanea, pur non essendo mai un campo neutrale ove le opere sono temporaneamente ospitate, hanno progressivamente acquisito il ruolo di medium privilegiato non sono della rappresentazione pubblica dell’opera ma anche di condizione della sua stessa produzione. Non a caso le mostre diventano sempre più un’occasione di produzione artistica, in particolare nel caso delle grandi installazioni.4 Il legame fra arte e produzione artistica con le esposizioni, quasi committenti, è tanto più stringente quando si cerca di comprendere i termini del discorso che delineano il concetto di arte contemporanea al punto che è possibile chiedersi se l’arte contemporanea e la sua evoluzione abbia disposto anche un cambiamento di rotta nelle pratiche espositive o se sia, al contrario, la pratica espositiva con i propri mutamenti ad aver imposto un ruolo diverso all’arte contemporanea e all’artista. Martha Ward suggerisce che sia proprio lo studio delle esposizioni a permettere un’indagine in questo senso5 anche se al momento dell’uscita del suo testo la studiosa lamentava ancora la mancanza di testi metodologicamente strutturati intorno alla storia delle esposizioni.6 2 Reesa Greenberg, Bruce W. Ferguson e Sandy Nairne, “Mapping the International Exhibitions” in Reesa Greenberg, Bruce W. Ferguson e Sandy Nairne (a cura di), Thinking about Exhibitions, Routledge, Londra- New York, 1996, p. 2. 3 Emma Barker (a cura di), Contemporary Cultures of Display, Yale/Open University Press, New Haven-Londra, 1999, p. 13. 4 “La produzione di un nuovo lavoro spesso di un lavoro di grande scala– è in questi ultimi decenni sempre più legato all’occasione espositiva. La storia espositiva vive anche al di fuori del contesto, ma le condizioni di produzione dell’opera si legano sempre più ad esso. Fino a che punto dunque, il format o la forma dell’esposizione influenza l’artista nei meccanismi e nelle scelte di realizzazione dell’opera d’arte?” Paola Nicolin, “Qui Mostra a voi Spazio. L’impatto delle esposizione nella definizione dell’idea di ambiente nell’arte italiana degli anni Sessanta”, in Manuela de Cecco (a cura di), arte-mondo. storia dell’arte, storie dell’arte, postmedia books, Milano, 2010, p. 95. 5 Martha Ward, “What’s important about the history of modern art exhibitions”, in Reesa Greenberg et alii (a cura di), op. cit., 1996, p. 451-464, qui 451. 6 “We don’t have anything like a comprehensive empirical history of this form, which has dominated the public presentation of art in the modern (post-1750) age. […] Despite the progress of the past decade, I think a broad understanding of the history of display and its effects still eludes us. We mostly have a patchwork of studies that feature one or another of the purposes served by various exhibitions.” Martha Ward, Idem, in Reesa Greenberg et alii (a cura di), op. cit., 1996, pp. 451-452. II INTRODUZIONE Negli ultimi dieci anni su riviste, saggi e studi è piuttosto facile rintracciare uno sforzo nel cercare di definire e comprendere la moltiplicazione planetaria delle esposizioni di arte contemporanea e di come sia cambiato il modo di pensarle e organizzarle. 7 Di conseguenza sono fiorite espressioni eterogenee per descrivere le tendenze e le tipologie espositive che hanno caratterizzato l’esplosione intorno all’arte contemporanea, la sua pratica e la sua esposizione come mostre discorsive,8 think tank,9 mostre come arena10 e via dicendo.11 Nonostante il nuovo interesse in questa direzione però l’argomento è ancora sfuggente, dal momento che le esposizioni costituiscono un punto di intersezione fra diversi attori, oggetti e istituzioni che costituiscono il sistema dell’arte di produzione e distribuzione. Così artisti, collezionisti, dealer, critici, curatori, politici, burocrati e pubblico nelle esposizioni s’incontrano
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