Music from Big Pink Reviews
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MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS RETROSPETTIVA #5 – KEN HENSLEY 1973-1981 -PROUD WORDS ON A DUSTY SHELF -EAGER TO PLEASE -FREE SPIRIT Tra le figure centrali del rock britannico negli anni ’70, ancora attivo oggi con numerosi progetti solistici e collaborazioni, Ken Hensley è un personaggio chiave nell’evoluzione della scena hard rock inglese. Noto soprattutto per essere stato un cardine degli Uriah Heep nel periodo d’oro (dalla fondazione fino a Conquest del 1980) ha in realtà attraversato da protagonista il passaggio tra prog e hard dell’intera scena inglese. Fin dal primo apprendistato chitarristico, a metà degli anni ’60, ha sviluppato un personale approccio di scrittura e performance, prima con i The Gods, successivamente con i Toe Fat e con gli Head Machine, fino alla breve parentesi con i Weed e il fondamentale lavoro con gli Uriah Heep. La retrospettiva qui presentata si concentra tuttavia sulla prima parte della carriera solistica, quella che riguarda i primi tre album: i primi due pubblicati come note a margine al suo periodo negli Heep, il terzo all’indomani della sua separazione dalla band. MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS NOME HENSLEY KEN LINE UP KEN HENSLEY – vc, ch, ts TITOLO PROUD WORDS ON A DUSTY DAVE PAUL, GARY THAIN – bs SHELF LEE KERSLAKE - bt ANNO 1973 ETICHETTA ISLAND TRACKLIST 1-When Evening Comes PRODUTTORE GERRY BRON 2-From Time to Time N. SERIE ORIG. ILPS 9223 3-King Without a Throne 4-Rain VALUTAZIONE 5-Proud Words 6-Proud Words 7-Black-hearted Lady 8-Go Down 9-Cold Autumn Sunday 10-The Last Time Nel 1973 gli Uriah Heep sono all’apice del successo, consolidata quarta punta dell’hard rock inglese, in termini di fama dietro solo a Led Zeppelin, Black Sabbath e Deep Purple. Dal debutto, datato 1970, i musicisti hanno infatti inanellato un’impressionante serie di album di grande livello, rifinendo e cambiando poco a poco il già personalissimo stile epico, pastorale e progressivo di heavy rock, dapprima con i due germinali Lp editi dalla Vertigo[1] e successivamente con la trilogia per la Bronze[2]. La formazione, saldamente guidata da Mick Box e sostenuta dalla sezione ritmica Thain/Kerslake, si fonda su due punte di diamante quali David Byron[3] (tra i maggiori screamer hard-rock del periodo) e sul polistrumentista Ken Hensley. Quest’ultimo, dopo una formazione di carattere blues, soul e R&B, si era distinto per la militanza nei The Gods, autentica fucina di talenti per l’intera scena rock britannica[4], e nei ruvidi Toe Fat[5], prima di approdare agli Uriah Heep. Ad una solida impostazione blues, arricchita da un’attitudine progressiva, si aggiungeva una breve esperienza nell’underground psichedelico con gli Head Machine e, nella pausa tra i primi due album degli Heep, una parentesi nell’universo krautrock con i Weed[6]. La versatilità di Hensley, ben dimostrata nei primi anni con gli Uriah Heep, è straripante, così come un’irrequietezza di fondo che lo spinge a sperimentare e a diversificare la propria scrittura. Il debutto solista, uscito lo stesso anno di The Magician’s Birthday , viene spesso descritto come uno spin-off della band madre, non solo per la riproposizione di Rain (presente, in una versione differente, anche nel quinto album degli Heep) ma anche perché Hensley è coadiuvato dai compagni Gary Thain e Lee Kerslake (oltre a Dave Paul). La produzione è affidata a Gerry Bron, esperto nell’ambito del nuovo rock inglese dei primi anni ’70, al lavoro, oltre che in tutti i primi lavori degli Uriah Heep, anche con Colosseum, Juicy Lucy e Osibisa[7]. MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS Tuttavia anche un ascolto preliminare mette in risalto un sound che si distacca piuttosto nettamente dall’hard rock epico e progressivo, affondando le proprie fondamenta in un blues rock melodico, venato di folk e soul. Pur richiamando alla mente le ampie volute melodiche caratteristiche degli Uriah Heep Proud Words on a Dusty Shelf svuota infatti il suono della band londinese di ogni retorica e magniloquenza, abbassando i toni in sonorità più soffuse, introspettive, guidate da un chitarrismo meno invadente. Il primo disco solista di Hensley si mostra dunque sotto una duplice luce; se da un lato presenta alcuni punti di contatto con il lavoro di gruppo degli Heep, in special modo nelle melodie ed in alcune armonizzazioni vocali, dall’altro si concentra su un aspetto autorale più rarefatto ed intimo rispetto al sinfonismo rock congeniato in collaborazione con Box, nonché pensato per la voce e la personalità interpretativa di Byron. Lo scarto stilistico è netto fin dal principio dell’album, introdotto da due sofferti blues, solo sporadicamente puntellati da elementi di rock elettrico o da esplosioni chitarristiche, ma bensì condotto attraverso un pesante andamento crepuscolare, caldo ed emotivo. La splendida When Evening Comes, posta in apertura del lavoro, si caratterizza per un’impronta strumentale molto diversa rispetto a quella di Mick Box, saldamente votata alla costruzione di riffs e connessioni melodico-solistiche, ma all’opposto improntata su un andamento blues-rock tradizionale, saltuariamente screziata da momenti più ricchi e distorti, basati su ampie linee melodiche dal carattere cantabile. Nella stratificazione compositiva del lavoro il ruolo della chitarra è uno dei fattori che meglio marcano la differenza con il sound degli Uriah Heep, al di là della semplice ed evidente distanza stilistica tra la possente elettrificazione distorta di Box e la più lieve concezione (semi-acustica) di Hensley. In Proud Words on a Dusty Shelf l’ossatura dei brani è nettamente semplificata e asciugata anche sul piano motivico, non fondata dunque sulla concatenazione di riff o sull’accumulazione progressiva di diverse linee ma ricondotta ad uno stato evolutivo primigenio, privata di sovrastrutture barocche o ambizioni progressive. L’intento di Hensley sembra quello di sfrondare le possenti architetture formali e sonore del rock evoluto, ritornando al semplice concetto di canzone, sia essa declinata in chiave rock, blues o folk. Questa attitudine è confermata anche nel secondo brano dell’Lp, From Time to Time, simile nella parte chitarristica al classico Lady in Black, interamente basato su un essenziale giro armonico in minore eseguito dalla chitarra acustica, ma radicalmente diversa nella concezione del pezzo: laddove infatti la prima canzone si presentava come un inesorabile e lunghissimo crescendo corale, il brano solista di Hensley è un intimo e sommesso blues-folk. Anche nel ritornello la differenza è evidente: in Lady in Black il climax raggiunge il suo apice in un canto colelttivo che coinvolge il pubblico; in From Time to Time la melodia si ripiega su se stessa non uscendo dall’andamento ripetitivo ed ombroso dell’intera composizione, alla maniera di Oh I Wept dei Free, nonostante qualche slancio in corrispondenza dei raddoppi vocali. A questi brani soffusi e dalla tematica sentimentale sono affiancati diversi esperimenti autoriali di Hensley. Uno dei più singolari è senza dubbio quello di King Without a Throne, forse la canzone che più si distanzia dalle coordinate sonore del rock duro, virando verso una particolare miscela di folk-pop, canzone d’autore e cesellate filigrane pastorali alla Caravan. Il sostrato armonico poggia ancora nel blues, ma abbandona le tinte malinconiche dei due numeri d’apertura del disco ripiegando su un andamento medio, quasi ballabile, caratterizzato da una scansione ritmica in battere, regolare e decisamente orecchiabile. La voce nasale dell’autore si cala perfettamente nella parte, perdendo del tutto la grana aggressiva ed epica, ma tratteggiando con grande delicatezza la melodia, per la verità tutt’altro che lineare. Ed è proprio sul piano vocale e melodico che risiede la qualità migliore della composizione, capace di nascondere la propria ricchezza e raffinatezza dietro una facciata catchy e radiofonica, collegando torniti frammenti melodici in un ampio ed unitario florilegio melodico. Nonostante queste rilevanti deviazioni della scrittura di Hensley rispetto al lavoro con gli Uriah Heep, in diversi frangenti la mano compositiva che ha marchiato a fuoco l’età aurea della band inglese emerge MUSIC FROM BIG PINK REVIEWS a più riprese, seppure in forme lievemente diverse, forse ancora a causa della mancanza della controparte chitarristica di Box. Il contesto in cui il DNA melodico della band madre si manifesta nell’opera solistica di Hensley è generalmente declinato in diverse varianti della ballad. Il brano che forse si avvicina di più alla scrittura e alla performance collettiva degli Heep è la multipartita Fortune, impostata su tre elementi contrastanti (seppure sempre su un tempi medi e lenti): il primo quello - introduttivo, recuperato nel ritornello- anticipa certe soluzioni da epic-rock più soft che emergeranno in Return to Fantasy e Firefly; il secondo, caratterizzato da semplici pennate della chitarra acustica, riporta a The Wizard o ancora a Lady in Black; mentre il terzo, per la verità il meno efficace sul piano compositivo ed esecutivo, è quello della chitarra distorta che conduce l’esplosione del climax del brano. La riproposizione di Rain, brano presente nel disco in studio The Magician’s Birthday, di pochi mesi precedente al debutto solista di Hensley, permette infine uno studio, per così dire, per sottrazione dello stile dell'autore; che consente cioè di spogliare il brano dagli apporti degli altri elementi degli Heep, facendo emergere in controluce una visione intima e personale dell’autore. Il pezzo, ancora una volta una canzone d’amore, è riconosciuto infatti come una delle prove più intense di Hensley in sede di scrittura, tra i più introspettivi e sentimentali del suo “songbook” settantiano. Un grande motivo di interesse, soprattutto per i fan, risiede nel confronto tra la performance dietro al microfono di Hensley, e quella del cantante titolare degli Uriah Heep, David Byron. Separare la mera parte vocale dall’ambiente sonoro che la avvolge è però riduttivo, specialmente perché è proprio nell’intenzione espressiva data al brano che prende significato la registrazione di Hensley.