IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020

1 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020

Il tempo non si trattiene; la vita è un compito da fare e che ci portiamo a casa. Quando uno guarda...e sono già le sei del pomeriggio. Quando uno guarda ed è già venerdì. Quando uno guarda ed è finito già il mese. Quando uno guarda ed è già finito un anno. Quando uno guarda e sono già passati 50 o 60 anni. Quando uno guarda e si accorge di aver perso un amico. Quando uno guarda l'amore della propria vita andarsene e accorgersi che è tardi per tornare indietro...

Non smettere di fare qualcosa che ti piace per mancanza di tempo, non smettere di avere qualcuno accanto a te o di goderti la solitudine! Perché i tuoi figli subito non saranno più tuoi e dovrai fare qualcosa con questo tempo che ti resta.

Prova ad eliminare il “dopo”... dopo ti chiamo ... dopo lo faccio ... dopo ti dico ... dopo lo cambio ... ci penso dopo ... Lasciamo tutto per dopo come se il dopo fosse il meglio, perché non capiamo che: dopo, il caffè si raffredda... dopo, la priorità cambia... dopo, l'incanto si perde... dopo, il presto si trasforma in tardi... dopo, la malinconia passa... dopo, le cose cambiano... dopo, i figli crescono...

2 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 dopo, la gente invecchia.... dopo, le promesse si dimenticano... dopo, il giorno è notte... dopo, la vita finisce...

Non lasciare niente per dopo perché nell'attesa del dopo puoi perdere i migliori momenti, le migliori esperienze, i migliori amici, i migliori amori...

Ricordati che il dopo può essere tardi. Il giorno è oggi. Magari avrai tempo per leggere e condividere questo messaggio o altrimenti, lascialo per … “dopo.”

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1. L'ANGOLO DELL'ATTUALITA'

1.1 IL VIRUS “BLASONATO” Il Coronavirus è un virus che, con la sua mania di grandezza, sta livellando tutti. Prendo spunto dal principe Antonio De Curtis, in arte Totò. Infatti, il principe della risata, come veniva chiamato, nella sua poesia in dialetto napoletano, 'A livella, paragona la morte ad una livella, appunto, che pone tutti sullo stesso piano. Il Coronavirus, sta facendo la stessa cosa. Anche se – per fortuna – sono sempre di più le persone che guariscono. Ne risente l'economia e il turismo, due pilastri per l'Italia, che è uno dei Paesi più visitati e più belli del mondo. Oggi, mi alzo presto, prendo il mio caffè e leggo le solite notizie, ma con una sorpresa in più: “Gli americani cancellano i voli per Milano!” Bene, io dico agli italiani: “Comprate italiano, cominciate a disdire i vostri viaggi all'estero, e riempite i nostri alberghi. Vestiamoci con i nostri bei capi d'abbigliamento, la moda è sempre “uptodate”, e mangiamo le nostre eccellenze culinarie: il pecorino sardo, il parmigiano e le arance siciliane. Comprate il nostro pesce e bevete il nostro vino. Aiutiamoci, non facciamo post disfattisti! Noi italiani, siamo una forza! Le nostre nonne ci hanno insegnato a risparmiare e magari anche ad amare la nostra nazione. Ragazzi, qui non siamo di fronte solo a un'epidemia pericolosa, ma anche ad uno sciacallaggio mediatico senza pari. Non assecondiamo i sciacalli! Seguiamo con fiducia le direttive del nostro sistema sanitario che, in Italia, è il primo per eccellenza. Medici specialisti, infettivologi ed immunologi, lavorano instancabilmente giorno e notte per vigilare sulla nostra salute e dare una spdranza ai pazienti, positivi al Coronavirus. Non sappiamo quanto questa “peste bubbonica” durerà né che sviluppi avrà. Il segreto per affrontarla senza traumi, è la “santa pazienza.” E la pazienza, è la virtù dei forti.

Ehi tu, Coronavirus, COVID-19, stammi bene a sentire! Sono nato sul finire degli anni Quaranta e sono venuto alla luce in una sala da parto dove medici e infermieri mangiavano panini col salame e fumavano una sigaretta dietro l'altra nell'attesa che mia madre partorisse. Senza mascherine, e senza guanti.

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Sono sopravvissuto a tutti i vaccini, e ho resistito a tutte le malattie infettive che, per fortuna, ho fatto da bambino (morbillo, varicella, scarlattina), e chi più ne ha, più ne metta. Mi sono imbattuto in influenze ad alto rischio come l'Asiatica, la Filippina e altre peggiori di te. Mi sono vaccinato contro la Tubercolosi e ho voluto sapere se fossi positivo all'aids (esito negativo). Ho vissuto la pericolosità della diossina di Seveso e per fortuna, non sono stato contaminato dalle radiazioni di Chernobyl. Mi sono disinfettato le ferite delle cadute in bicicletta e sono cresciuto mangiando cibi che non avevano ancora la scadenza per legge. Ho attraversato il boom economico con l'incoscienza e la tranquillità di un ragazzo di sedici anni. E sono stato curato con farmaci non testati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Facevo le iniezioni con siringhe di vetro dagli aghi enormi che si sterilizzavano sul fuoco in un terrificante contenitore di latta, che ancora oggi mi fa venire gli incubi! Non ho mai avuto uno psicologo o un sostegno scolastico, e qualche volta le ho anche prese di santa ragione. E tu, COVID-19 pensi di farmi paura? Ti avverto: “Io sono un italiano vero, non farti illusioni! Siamo italiani, abbiamo conquistato il mondo due volte, abbiamo scritto la storia dell'arte, e l'Italia è la Patria dei poeti, dei santi e dei navigatori e del bel canto. In passato, abbiamo superato crisi anche peggiori. Non ti temiamo anzi, sai una cosa? Ci beviamo una buona birra in compagnia nella speranza che tu possa schiattare per primo e... alla svelta!”… Naturalmente la birra è una “Corona,” ghiacciata – perché abbiamo imparato ad essere consapevoli, guardinghi e, in qualche misura, anche un po' fatalisti.

1.2 “CHE BARBA CHE NOIA, CHE NOIA CHE BARBA!!” Ricordate “Casa Vianello?” Lui a letto con la moglie, leggeva il giornale mentre lei, sentendosi trascurata, sbatteva i piedi gridando: “Che barba, che noia!”… E' la stessa cosa che in questo momento particolare e molto delicato, stiamo dicendo noi, costretti, volente o nolente, a restare a casa. Ma quello che ci viene richiesto è un sacrificio tutto sommato sopportabile, soprattutto se rapportato a quello che i nostri nonni e bisnonni furono costretti a subire: una dittatura, la guerra, la fame e altre sofferenze immani. Ho sempre visto la tecnologia come il diavolo e l'acqua santa, ma se ci rifletto, mi devo ricredere. Grazie alle nuove tecnologie, infatti, siamo comunque interconnessi con amici, parenti, e con il resto del mondo. Possiamo parlare, vederci, inviare e guardare messaggi e video, ascoltare musica. Molte professioni contemplano la possibilità di lavorare, studiare e insegnare da casa e tantissimi lo stanno facendo con gli strumenti più svariati. La cosa oltretutto ha

5 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 l'indubbio vantaggio di ridurre il traffico privato e di conseguenza l'inquinamento in città. Certo, non tutti i lavori e non sempre si possono svolgere da remoto, ma questa emergenza può aiutare il mondo del lavoro a riflettere proprio su questo punto: per tante buone ragioni e quando ce ne sono i presupposti. Il lavoro agile è una via da percorrere. Giochi e ginnastica fai da te. Un'intera famiglia in un appartamento per tante ore rischia di trasformarsi in una faida: è importante scandire e gestire il tempo unendo l'utile al dilettevole. E' arrivato il momento di rispolverare quei giochi di società usati mezza volta a Natale e poi messi sullo scaffale in alto, oppure di dedicarsi insieme a una attività fisica. Esercizi e ginnastica senza attrezzi o con strumenti domestici riadattati, magari approfittando delle scale di casa o del giardino. Un po' di musica e tanta voglia di mettersi in gioco e magari prendersi un po' in giro e siamo pronti a tenerci in firma! Di grande aiuto può essere la lettura. Sfogliare un libro aiuta la mente a “evadere,” ma può rappresentare anche una preziosa occasione per studiare e approfondire, cosa sempre più difficile con i ritmi forsennati dell'oggi. In ogni caso, leggere fa passare piacevolmente il nostro tempo, ci arricchisce ulteriormente e ci fa crescere. Il gusto di scrivere è un'attività da riscoprire, non per forza con velleità da best seller. Ci si può cimentare nell'inventare una favola o un racconto per i figli o i nipoti, lo si può fare per gradi, magari in maniera partecipata e condivisa, leggendo un pezzo insieme, in chat o al telefono prefigurando i capitoli successivi. Anche da soli, scrivere storie, ripercorrere con la penna o la tastiera di un computer quel particolare evento che si voleva da tanto tempo mettere nero su bianco, è appassionante e coinvolgente, così come lo è tenere un diario: questo potrebbe essere anche un esercizio catartico per tutta la famiglia, si raccontano gli accadimenti, le ansie e le piccole gioie di questi giorni, in modo che tra qualche tempo, passata l'emergenza, resti traccia di questo momento che in ogni caso resterà indelebile nei nostri ricordi. Amando la musica e il pianoforte il modo per ammazzare il tempo lo trovo sempre. Mi manca la possibilità di andare

6 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 al cinema o a teatro? Stando in casa ho la possibilità di recuperare vecchi film dalla rete, ascoltare buona musica e magari suonare. Un mio grande amico mi diceva sempre di non abbandonare le mie passioni. Non so dipingere e scolpire, ma mi arrangio a “impapocchiare” qualcosa al pianoforte: il risveglio di questa passione mi aiuta non solo a passare il tempo, ma anche a distrarmi e pensare a cose belle.

2. L'ANGOLO DELLA FEDE

“A volte perdiamo la speranza e pensiamo che sia la fine... ma tu, fermati un attimo, respira a fondo e ricorda: è solo un brutto periodo... passerà” Madre Teresa

Ho sempre pensato, e lo credo fermamente, che la fede sia la certezza di cose che si avverano. E' inutile nascondersi dietro un dito! Abbiamo paura! Anche se cerchiamo in tutti i modi, di non darlo a vedere. E siccome la paura fa 90, d'un tratto riscopriamo la fede, la forza della preghiera, e cerchiamo l'aiuto del buon Dio. Ma perché sempre e solo nel momento del bisogno? Forse perché un amico vero si riconosce proprio nel momento del bisogno o forse anche perché, consci di essere sull'orlo del baratro, abbiamo bisogno di aggrapparci a qualcosa. E quel qualcosa, è Dio, la sola e unica ancora di salvezza che ci resta. Ce ne rendiamo conto? Dio è costantemente negato, vituperato, beffeggiato, eppure, quando occorre basta una telefonata: “Padre nostro che sei nei cieli, perché ci fai soffrire così?”. Per gli ebrei è il Dio d' Israele, che li ha liberati dalla schiavitù, per i cristiani è l'Agnello che toglie i peccati del mondo, per i musulmani è il profeta Maometto, e per i fanatici, è un grido di guerra: “Allah è grande!”… Ma se ci pensiamo bene, siamo tutti sotto lo stesso cielo, uniti nella diversità in un caldo abbraccio universale. Vi sembra poco? Meditate gente, meditate!

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3. L'ANGOLO DELLE RIFLESSIONI

3.1 RESTATE A CASA! Nel pieno dell'emergenza per il coronavirus, abbiamo scoperto che anche stare a casa può essere bello. Si sta così bene sul divano! Leggere un libro, ascoltare buona musica, sono piaceri che ci siamo persi da troppo tempo. Una partita a monopoli, a risico, a scacchi, a dama o anche a carte, ci aiuta a non sentire il peso di questi arresti domiciliari, e la noia di lunghe e interminabili giornate. E i bambini? Come staranno vivendo i nostri bambini questo momento così particolare? Abituati come sono a giocare insieme e a fare il girotondo, si sentiranno forse un po' spaesati!

Sentite amici miei più piccoli, vi voglio raccontare una storia. E’ un po' diversa da quelle che di solito il papà o la mamma vi raccontano la sera, prima di dormire, ma è reale e vi può insegnare molto. Dunque: “C'era una volta un re che non aveva un regno, ma in testa, una strana corona che non era d'oro e neppure d'argento. Anche il suo nome suonava strano: Si chiamava Virus. Re Virus era un re malvagio che aveva manie di grandezza. Per questo, un giorno, attraverso l'aria decise di impossessarsi, senza che noi lo sapessimo, del nostro territorio. Dapprima cominciò a espandere la sua influenza piano piano, come se fosse una comune malattia di stagione, poi, una volta entrato nelle nostre case, si impossessò anche nella nostra vita, e la cambiò completamente. Obbligandoci a cambiare anche le nostre abitudini. In men che non si dica, non solo Re Virus riuscì ad istaurare un regno tutto suo, ma, come una piovra gigante, raggiunse con i suoi tentacoli l'altra parte del mondo. Questo viaggiatore stravagante voleva dettare legge: impedire che baciassimo i nostri genitori e i nostri nonni, e persino che ci tenessimo per mano. Vi immaginate un mondo di persone che non si possono abbracciare? Malgrado tutto questo però, Re Virus una cosa buona l'ha fatta: “Ci ha fatto scoprire quanto è importante lavarsi le mani!”… In questa situazione insolita e molto particolare, insieme possiamo fare una grande cosa: “Fermare una volta pe tutte il Re Virus, questo viaggiatore impertinente che vuole rubare i nostri sogni!”. Se siete d'accordo, battete il 5!!...

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3.2 LA PAURA È UN‘EMOZIONE. La paura è una emozione utile, comune sia nell'uomo che negli animali. Gli psicologi la chiamano “emozione primaria di difesa.” E' presente nel bambino sin dalla nascita, come la gioia, la sorpresa, la tristezza e la rabbia. Questa sua presenza tempestiva è molto importante perchè ci mette in guardia quando incombe una minaccia. Alla paura segue uno stato di autodifesa che ci consente di evitare il pericolo con la fuga, o nella peggiore delle ipotesi, con un blocco emotivo. Io non ho mai avuto paura di niente, se non per gli spazi aperti – la cosiddetta agorafobia. Dalla nascita, per trauma da parto, ho il senso dell'equilibrio che non è stabile, anzi, è molto, molto precario. Questa situazione ha creato in me, da sempre, uno stato d'ansia e di paura che alcuni neurologi dicono sia irrazionale e immotivata. Ho paura di attraversare la strada e ho paura di cadere e farmi male. Per contro, avendo uno scooter elettrico, non ho paura di affrontare il traffico cittadino. Strana bizzarria, non vi pare? La paura è uno stato d'animo di cui non dobbiamo vergognarci, perché stimola anche la memoria e l'apprendimento per fare della brutta esperienza che stiamo vivendo adesso, un'occasione di riscatto e di crescita. Per superarla, è importante non viverla in maniera esagerata.

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4. L'ANGOLO DELLA STORIA

4.1 STORIA DELLA STAMPA DALLE ORIGINI SINO AD OGGI La stampa con blocchi di legno su carta avviene per impressione. L'inchiostro si deposita sul foglio per mezzo di matrici di legno sulle quali sono presenti testi o illustrazioni intagliate. Tale tecnica fu inventata in Cina. Si ritiene che l'invenzione risalga all'epoca della Dinastia Tang (618-907), anche se esistono esempi di epoche precedenti: un tessuto con disegni fantasia risalente a prima del 220 d.C. in Cina e alcuni reperti scoperti in Egitto databili al VI VII secolo. All'epoca della Dinastia Tang, uno scrittore cinese, Fenzhi, fornì per primo una testimonianza a riguardo. Nel suo libro Yuan Xian San Ji descrisse come i blocchi di legno venissero usati per stampare un'iscrizione buddhista durante il regno dell'imperatore Zehngyuan (627-649 d.C.). Il più antico esempio di stampa con blocchi di legno è invece un'altra iscrizione buddhista risalente al periodo di Wu Zetian (684-705 d.C.), scoperta nel 1906 da Tubofan nella provincia cinese di Xinjiang, ora conservata al museo della calligrafia di Tokyo (Giappone). Dai blocchi di legno fino ai nostri giorni, la storia della stampa è costellata da grandi scoperte tecnologiche che si sono diffuse in tutto il mondo. Spesso sottovalutata o data semplicemente per “acquisita”, l'invenzione della stampa ha permesso al genere umano di fermare momenti storici di grande importanza e tramandare, di generazione in generazione, favole, racconti e spiegazioni scientifiche. Senza la stampa, probabilmente, i grandi sviluppi tecnologici che hanno contraddistinto l'umanità negli ultimi secoli, sarebbero stati impossibili o comunque molto più complessi da raggiungere: grazie alla divulgazione dei libri stampati la conoscenza ha potuto viaggiare più velocemente e agevolmente raggiungendo ogni angolo del mondo. La storia della stampa è caratterizzata da un susseguirsi quasi ininterrotto di diverse tecnologie: con il passare dei secoli le tecniche si sono affinate e gli strumenti utilizzati hanno subìto modifiche o sono stati definitivamente messi in soffitta a causa della comparsa di nuove tecnologie e macchinari di stampa. Il punto di svolta si ha con Gutenberg e l'invenzione della stampa a caratteri mobili: dai libri trascritti a mano dagli amanuensi, una

10 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 vera e propria classe sociale che aveva, come unico compito, quello di copiare i testi presenti all'interno delle biblioteche, si passa a dispositivi meccanici in grado di riprodurre velocemente e fedelmente qualunque tipo di testo. Negli ultimi anni l'elettronica e la miniaturizzazione hanno permesso alla tecnologia di stampa di fare letteralmente dei passi da gigante. Si pensi alle prime stampanti ad aghi degli anni '80 per arrivare alle stampanti laser dei nostri giorni, passando per le stampanti a getto d'inchiostro: un'evoluzione velocissima e apparentemente inarrestabile. Il passo successivo, infatti, è quello della stampa 3D, che permetterà di produrre tutto in casa: dal cibo agli utensili per la cucina, dalle automobili alle stesse abitazioni. Con l'invenzione della stampa ad opera del tedesco Gutenberg, nella seconda metà del Quattrocento si iniziarono a stampare i primi libri a caratteri mobili. Il primo libro che fu stampato e diffuso fu la Bibbia tra il 1452 e il 1455; con la stampa, e quindi con la possibilità di riprodurre tante copie di libri, la cultura diventò per la prima volta accessibile a tutti iniziando a diffondersi in maniera più veloce. Da allora ci fu un crescendo tra i progressi della stampa fino ad arrivare, tra il Settecento e l'Ottocento, alla stampa dei quotidiani. Seguirono le invenzioni del telegrafo e del telefono che permettevano i ridurre la distanza tra chi comunicava. Era possibile, infatti, il contatto tra persone molto distanti tra loro. Lo sviluppo tecnologico nel campo delle comunicazioni non si arrestò. Passando per la nascita delle radio, si arrivò nella metà del Novecento, alla nascita della televisione. Si trattava di un mezzo che offriva ad un pubblico vasto di spettatori “cose da vedere da dovunque, da qualsiasi luogo e distanza”. La differenza tra la radio e la televisione era appunto questa: la prima parlava (dal suono della voce con un po' di fantasia, si poteva immaginare di dare un volto a chi parlava), la seconda faceva vedere. La voce della televisione, cioé, serviva semplicemente per commentare le immagini che scorrevano davanti agli occhi. Con la televisione, quindi, assumono più importanza le immagini rispetto alle parole. L'uomo ha sempre avuto il desiderio di “catturare, riprodurre, trasmettere a distanza i suoni delle voci e delle cose” e ci è riuscito. Il mondo, con la stampa di Gutenberg, era in silenzio; ha cominciato a parlare facendo ascoltare la sua voce grazie al successivo sviluppo tecnologico. Oggi il progresso ha fatto ancora passi in avanti. Il computer ha rivoluzionato completamente la nostra vita (agli inizi l'odiavo perché dovevo usarlo solo per lavoro – e non mi piaceva). Poi, grazie ad internet, mi sono reso conto di avere “il mondo in casa!” Infatti, la comunicazione è diventata velocissima. Le notizie sono sempre aggiornate minuto per minuto, e provengono anche dalle parti più lontane del mondo. Di conseguenza anche il diffondersi della cultura è cambiato. Si è passati dal semplice libro di carta al e-book cioè al libro elettronico. Questo può essere scaricato e letto su qualsiasi dispositivo elettronico in grado di decifrare i dati presenti in rete. Dunque, “addio alla carta, addio biblioteche

11 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 con chilometri di scaffali dal pavimento al soffitto.” L'e-book costituisce un'altra importantissima invenzione che permetterà una diffusione della cultura sempre più veloce. Molte più persone, grazie prima Gutenberg e all'e-book dopo, possono avvicinarsi alla cultura. E questo è un grande vantaggio per l'umanità che può continuare a studiare e a investire risorse affinché si progredisca ancora.

4. L'ANGOLO DELL' AMBIENTE

4.1 IL FUMO DI LONDRA: LO SMOG Smog, è la fusione di due parole inglesi, smoke – fumo e fog – nebbia. Ogni anno circa 3 milioni di persone in tutto il mondo muoiono prematuramente a causa dell'inquinamento dell'aria. Lo dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che punta il dito sui rischi derivanti dall'accumulo di polveri sottili. (Secondo l'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ogni anno in Italia muoiono per questa ragione circa 34.000 persone, vale a dire 100 al giorno. Polmoni, cuore e cervello sono gli organi più colpiti, ma ne risentono anche le ossa. Più in generale, la bassa qualità dell'aria può provocare asma, disturbi respiratori, polmoniti, disturbi cardiovascolari, tumori, osteoporosi e persino la depressione. Coronavirus e smog: “Meno traffico ma il problema sono meteo e riscaldamenti.” Poche piogge e molti riscaldamenti accesi in casa hanno contribuito a tenere alti i livelli di inquinamento. Come mai la riduzione del traffico per l'emergenza Covid non ha drasticamente ridotto le polveri? Nonostante anche il bollettino Arpav di oggi attesti allerta zero in tutta la regione, molti hanno osservato che in questi ultimi giorni le centraline Arpav non hanno rilevato valori bassissimi dell'inquinamento da polveri. “Il motivo principale – spiega Luca Marchesi, direttore generale dell'Agenzia veneta – è la stretta correlazione fra polveri e condizioni meteo. Quest'ultimo è comunque e sempre nel breve termine il fattore determinante e prevale rispetto agli atri fattori emissivi. Inoltre, più persone a casa significa più riscaldamento acceso. La notizia positiva è che in primavera le condizioni meteorologiche sono favorevoli a una dispersione degli inquinanti quindi nel prossimo periodo l'aria dovrebbe migliorare.” Il coronavirus spaventa anche le polveri sottili!

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5. L’ANGOLO DEL DIALETTO Per non dimenticare le origini.. Pur essendo nato a Milano, non so parlare il dialetto milanese. In casa i miei genitori hanno sempre parlato italiano e anche da parte dei nonni materni, che erano pugliesi, non si è mai parlato in dialetto, salvo qualche espressione un po' colorita . Da buon lombardo, non ho inflessioni di alcun tipo, ma poiché sono curioso e mi piace indagare,in tempi di coronavirus, dedico a tutti gli amici milanesoni, questa simpatica traduzione dall'Italiano al dialetto meneghino:

Assembramento : Rebelot Smart working : Laurà da cà Asintomatico : Al sent nient Distanziamento socjale : Sta giù de doss Picco : Sù 'n sum Dispnea : Al manca al fià Lockdown : Tut sarà Pre-triage : Ta ste de fò Autocertificazione : 'Ndo te vet Virus : Porcheria Contaminato : Al l'ha ciapada sù Quarantena : Sta a cà tua

Il dialetto è l'identità di un popolo. Peccato che non tutti siano capaci di parlarlo. E' un altro modo di esprimersi, una seconda lingua contrapposta a quella naionale. Esiste ad esempio il dizionario della lingua napoletana, così come quello del dialetto genovese. Parlare in dialetto,è così bello e divertente, che mi piacerebbe venisse insegnato a scuola! Certo quando si sente dire che il passato remoto di sapere, è "io sapei", c'è gente che non sa neanche cosa sia la grammatica italiana, l'analisi grammaticale o l'analisi logica. Insomma, non sa l'Italiano! Ora, se non si sa cosa sia un verbo, come si può pretendere di studiare una lingua straniera???

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6. L'ANGOLO DELLA MUSICA

6.1 IL PIANOFORTE Lo amo talmente tanto, che quando ancora non lo avevo, facevo finta che un divanetto di casa fosse il “mio pianoforte!” Ma chi è stato l'inventore del pianoforte? Il primo modello di pianoforte fu messo a punto in Italia da Bartolomeo Cristofori, padovano cittadino della Repubblica di Venezia alla corte fiorentina di Cosimo III de' Medici, a partire dal 1698. Era un “gravicembalo col piano e forte”, chiamato verso la fine del '700 con il nome di pianoforte, piano-forte, ed anche “fortepiano” (come risulta dalle locandine coeve dei concerti di Beethoven ed altri grandi compositori dell'epoca in cui il pianoforte andò affermandosi). La novità era l'applicazione di una martelliera al clavicembalo. L'idea di Cristofori era di creare un clavicembalo con possibilità dinamiche controllabili dall'esecutore; nel clavicembalo, infatti, le corde pizzicate non permettono di controllare la dinamica (anche per questo pianoforte e clavicembalo non appartengono alla stessa sottofamiglia). Il pianoforte in Italia fu apprezzato soprattutto dal compositore Benedetto Marcello. L'idea, molti anni dopo, si diffuse in Germania, dove il costruttore di organi Gottfried Silberman, nel 1726, ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori e la sottopose al parere di Johann Sebastian Bach, che ne diede un giudizio fortemente critico; successivamente, probabilmente a seguito dei miglioramenti tecnici apportati da Silderman, Bach favorì la vendita di alcuni pianoforti del costruttore, come risulta da un vero e proprio contratto di intermediazione firmato nel 1749. I pianoforti di Silberman piacquero molto a Federico II di Prussia che ne comprò sette a 700 talleri (secondo la testimonoanza di Johann Nicholaus Forkel Federico acquistò negli anni più di 15 pianoforti Silberman). Nel 1739 un allievo di Cristofori, Domenico Del Mela, concepì e costruì il primo modello di pianoforte verticale, usando come modello il clavicytherium e seguendo le idee e i progetti del proprio maestro. La cassa, posta al di sopra della tastiera, è modellata in modo da non seguire la curva del ponticello: si allarga verso l'esterno in prossimità della sua parte superiore, conferendo al pianoforte una forma a giraffa. Nel 1928 il pianoforte fu ceduto da Ugo Del Mela, discendente dell'inventore, al Conservatorio Luigi Cherubini ed è conserato presso il museo degli strumenti musicali di Firenze. Nel frattempo, nella bottega Gottfried Silbermann si formò Johann Andreas Stein che,

14 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 dopo essersi reso indipendente, perfezionò ad Augusta, in un proprio stabilimento, i sistemi dello scappamento e degli smorzarori. Nel 1777 ricevette la visita di Wolfgang Amadeus Mozart, entusiasta delle infinite possibolità espressive dello strumento. I figli di Stein si traferirirono a Vienna, dove crearono una fabbrica di pianoforti. In Italia, tra quelli che si dedicarono alla costruzione dei pianoforti (in precedenza tutti costruttori de clavicembali) nel periodo napoleonico e della Restaurazione, fu degna di fama la famiglia Cresci, di origine pisana, trasferitasi nella seconda metà del Settecento a Livorno. Il musicologo Carlo Gervasoni, nella sua opera Nuova Teoria di Musica, ricavata dall'odierna pratica, ossia del 1812, menziona i pianoforti Cresci come paragonabili in qualità e sonorità agli Erard francesi, che andavano per la maggiore a Parigi ed erano molto apprezzati da Franz Liszt. La meccanica dei Cresci era di tipo viennese, cioè del tipo dei pianoforti di Joseph Bohm, Conrad Graf e Johann Schantz. La scuola viennese era la più importante tra gli ultimi decenni del '700 e i primi dell''800. Non fu un caso che Mozart, Beethoven, Haydn, tutti legati a Vienna, sviluppassero per primi le incredibili potenzialità del nuovo strumento. Quello che frenava la diffusione del pianoforte nascente era il suo altissimo costo, per cui esso andò affermandosi solo nelle corti reali, nei palazzi governativi e nei saloni delle principali famiglie nobili. Inoltre il suo livello sonoro non era neppure paragonabile all'attuale e questo permetteva il suo uso solo in salotti o saloni di dimensioni relativamente contenute. Fu in epoca romantica, dal 1840 in poi, che l'utilizzo di strutture rigide metalliche all'interno (in precedenza i pianoforti erano quasi tutti interamente in legno), con funzioni di telaio, consentì l'incremento della sonorità, grazie a più corde con tensioni maggiori e casse armoniche più grandi (ed andarono affermandosi i “coda” e “gran coda”, che all'epoca andavano da 220 a 260 cm). E anche il peso passò da 180-200 kg (struttura interamente in legno) ai 300-400 (strutture in ferro), sino ai 600 ed oltre di inizio '900 (strutture in ghisa). Questo incremento della potenza sonora, consentì l'uso del pianoforte nei grandi teatri o nelle sale da concerto, ma trasformò profondamente la sua qualità sonora. Il pianoforte attuale, apparso sul finire del XIX secolo, ha ben poco della timbrica originale d'inizio '800. Oggi è molto diffuso chiamare “fortepiani” gli strumenti costruiti sino al 1870, a causa della grande diversità della struttura e quindi della timbrica rispetto al pianoforte attuale. Tuttavia, non è sempre distinguere nettamente tra l'uno e l'altro tipo, perché non si tratta di strumenti diversi, ma di uno strumento che si è gradualmente evoluto; all'epoca non si avvertì mai un vero momento di stacco nel passaggio dal fortepiano al pianoforte moderno, come si desume da documenti e testi.

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I primi pianoforti verticali, più economici e meno ingombranti, furono creati, forse, nel 1780 da Johann Schmidt di Salisburgo e nel 1789 da William Southwell di Dublino. I costruttori francesi più famosi, Sébastien Erard e Ignace Pleyel, furono i più grandi produttori di pianoforti dell'Ottocento. L'Erard, in particolare, era uno strumento di relativamente grande potenza sonora e di suono deciso (potremmo dire “più moderno”), che dava particolare risalto espressivo. Franz Lisz ne fece il suo preferito. Ad Erard si devono moltissime invenzioni e perfezionamenti, tra cui quella del doppio scappamento. Il Pleyel invece aveva una grande dolcezza e pulizia sonora ed era relativamente più faticoso e difficile da suonare, perché permetteva molte sfumature interpretative ed aveva una maggiore sensibilità. Era il pianoforte romantico per eccellenza.Chopin ne fece il suo preferito (sebbene si narri che, quando era stanco, suonasse l'Erard, perché il Pleyel “gli chiedeva troppo”). Nel 1861 i torinesi Luigi Caldera e Ludovico Montù inventarono il melopiano, un pianoforte dotato di motore con carica a manovella. All'inizio del XX secolo la Steinway & Sons di New York ma con maestranze esclusivamente di origine italiana, brevettò il pianoforte con telaio in ghisa e divenne il maggior produttore mondiale di pianoforti di qualità nel Novecento.

…“Stretta la foglia e larga la via, avete detto “la vostra” e io vi dico “la mia” Ho sempre avuto una passione istintiva per il pianoforte! Un talento innato per la musica, che avrebbe avuto bisogno di un approfondimento per manifestarsi. Avevo quattro anni quando mio padre, acceso verdiano, mi portò per la prima volta al museo della piccola Scala di Milano: Fu lì, che ammirando un ritratto di Giuseppe Verdi, rimasi letteralmente “stregato”. C'erano tra gli altri cimeli del maestro esposti in bacheca (il cappello a cilindro, la sciarpa, e il bastone da passeggio), due pianoforti “gran coda”, mentre, nascosta da un siparietto, si riusciva a scorgere una spinetta con la targa “Non Toccare”... Ma la curiosità di un bambino è irrefrenabile! Lasciai la mano di mio padre, e corsi verso la spinetta. Ne sollevai il coperchio, e, con grande meraviglia del mio papà, accennai le prime note del “Brindisi” da LA TRAVIATA. (Mio padre mi raccontò poi, che su quella spinetta aveva studiato Giuseppe Verdi). Il guardiano del museo, lì a controllare che tutto fosse a posto, in segno di complicità mi fece l'occhiolino, e, scambiando due parole con mio padre, gli consigliò di farmi studiare il pianoforte. Purtroppo, per ragioni diverse, non ho potuto sfruttare al meglio questa occasione e, non sapendo come conciliare il profitto scolastico con lo studio del pianoforte, ho dovuto arrendermi. Fu un vero peccato! Perchè se “tradisci” il pianoforte, il pianoforte “tradisce” te! Per fortuna, non è successo a me!

I pianisti più bravi in assoluto: Non vorrei essere “blasfemo,” ma per me rappresentano la “Santissima Trinità Pianistica di musica ”: sono il maestro

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Dino Siani, Pino Calvi e Renato Carosone. Tre virtuosi del pianoforte, ognuno diverso dall'altro. E poi, c’è il mio maestro, Eugenio De Luca… Ho avuto il piacere d'incontrare e conoscere il maestro Dino Siani il 25 luglio del 1979. Dopo un lungo rapporto epistolare, ci siamo incontrati allo Skiper, un pianobar di Cavi di Lavagna – in Liguria – oggi diventato una discoteca, a strapiombo sul mare (è stato amore a prima vista!). Dino Siani – che purtroppo è venuto a mancare nel 2017 – aveva un sorriso contagioso come lo sbadiglio, era giovane e bello e sapeva suonare il pianoforte con uno stile unico e inconfondibile. “Io so tutto, e forse qualcosa di più, e suono il pianoforte in maniera “evangelica!” La mano destra non sappia quello che fa la sinistra”, dice Gesù nel vangelo di Matteo... “Io suono il pianoforte così...ce l'ho incorporato!” Aveva un tocco magico, i suoi accordi – melodici e armonici – erano corposi e, per così dire “caldi”. E' stato un pianista “leggero”, dall'impronta classica. (Del resto, un pianista che è stato allievo di Arturo Benedetti Michelangeli, non poteva essere diverso). Pino Calvi – grande amico del maestro Siani – era il cesellatore del pianoforte. Pianista e direttore d'orchestra, i suoi arrangiamenti erano un ricamo e il pianoforte, il telaio dove il maestro sapeva tessere le più dolci melodie. Autore di celebri sigle di programmi televisivi, e di musiche per sceneggiati, era di Voghera. “Quando la musica diventa arte”, è stata una manifestazione organizzata a Milano dalla pittrice Alessandra Castiglioni. Le musiche di Dino Siani e di Pino Calvi – come per magia – si sono trasformate in mervavigliosi quadri: “Un'esperienza indimenticabile!” Renato Carosone, è stato l'ultimo dei miei incontri fortunati. L'ho conosciuto nel 1987 al teatro Nazionale di Milano. Quando al termine dello spettacolo sono riuscito ad incontrare il maestro Carosone in camerino, gli ho chiesto una foto con autografo. Lui mi ha guardato sorridendo e mi ha detto:”Nun ne teng' cchiù!” Ha preso dalla toilette un pezzo di carta igienica, e l'ha autografata!! (Ho conservato quell'autografo) per quanto ho potuto. Renato Carosone era un eclettico. Conosceva il suo pianoforte come le sue tasche. Era talmente padrone della tastiera, da aver composto virtuosismi come “Pianofortissimo” o “Il gattino sulla tastiera” (ascoltando questo brano, si ha davvero l'impressione di vedere un gatto correre su e giu per la

17 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 tastiera del pianoforte. “Renà, si nu babbà!”. Gli urlai a gran voce dalla platea. E lui, di rimando:” E ttu sì 'o sàngh!”. Bei ricordi che mi porto dentro! Il suo arrangiamentto de “Il piccolo montanaro” - pezzo per piccoli pianisti in erba, è originale e molto simpatico. Così come della canzone “E la barca tornò sola.” (Strepitoso!). Con Renato Carosone, La canzone si è vestita di nuovo. Pianista classico e jazzista, è stato uno dei maggiori autori e interpreti della canzone napoletana e della musica leggera italiana nel periodo collocabile tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni Novanta, avendo fuso i ritmi della tarantella con melodie africane e americane, e creato una forma di machietta ballabile adeguata ai tempi. Gli autori classici: “Beethoven, Chopin, Addinsel, pur essendo stati arrangiati con un ritmo “pazzesco,” non hanno perduto nulla della loro originale bellezza: Per Elisa, Il grande valzer, il Concerto di Varsavia, sono suonati in modo molto personale e cioè, “Pianofortissimamente!!”.

Un accenno autobiografico. Qualche anno fa, poteva essere il 2016, navigando in internet ho trovato l'indirizzo e- mail di Eugenio De Luca, il mio “primissimo” insegnante di pianoforte. E' stata un'emozione indescrivibile! Avevo incontrato il maestro De Luca una prima volta a sorpresa, parecchi anni or sono, a Santa Margherita Ligure, dopodiché non ci siamo più rivisti. Nel 1954 Eugenio De Luca era un giovane pianista di 24 anni, che accettò bonariamente di prendersi cura di me. Con lui ho imparato a conoscere il pentagramma, le note musicali e il loro valore, la chiave di Sol e la chiave di basso. Mentre imparavo a solfeggiare, il metronomo sul pianoforte scandiva il tempo. Mi sembrava tutto un po' noioso. Io volevo subito suonare! Do, Re, Mi, Fa, Sol, Sol, Do:”Con che gioia suonerò!”Un motivetto semplice e allegro, fu il mio primo approccio con quello che, con il tempo, sarebbe diventato il mio più grande amico: “Il Pianoforte”. Ero un bambino di sette anni appena. Eugenio De Luca, giovane promessa della musica classica, era un pianista molto richiesto e impegnato in varie tournée in giro per l'Italia e l'Europa, e non aveva più tempo per ne. Fu così che, ahimé, dovetti abbandonare lo studio del pianoforte.. fu per me una delusione cocente!. A oltre sessant'anni di distanza, Eugenio De Luca ed io ci siamo incontrati a Rapallo in occasione di un concerto presso il Teatro Comunale della città. E' stato un ritrovarsi molto toccante! Nel teatro c'era un pubblico di appassionati perlopiù anziani, e quando il maestro mi ha presentato alla sala ha esordito dicendo: “Questo, signori, è stato il mio primo allievo!” Stavo male dall'emozione! Il maestro De Luca – classe 1930 – dagli anni Ottanta è concertista dell'Accademia Culturale di Rapallo ed insegnante di pianoforte presso l'Accademia Musicale Genovese, ha 90 anni, e

18 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 tutt'ora si esibisce.

Dicono di lui... ”Grande successo del concertista Eugenio De Luca che con sapienza ha saputo unire alla bravura tecnica una meditata interpretazione. Il programma del recital pianistico di Villa Cambiaso di Savona a favore dell' UNICEF comprendeva musiche di Bach, Chopin, Liszt, Rachmaninov e Ravel” (da “Il Letimbro”- Settimanale d'informazione – Savona – Sabrina Bianco). “Successo del pianista Eugenio De Luca. Numeroso il pubblico e molti gli applausi. Ha eseguito una originalissima sonatina di Bartok, un tema con variazioni di Weiner ben sviluppato e pianisticamente di notevole difficoltà e poi “Il mago” Listz che ha dato la misura delle possibilità dell'esecutore, il quale ha dovuto concedere un bis con uno studio di Copin...” (da Il Secolo XIX”). “Un successo il ciclo dei concerti del Circolo “Amici di Santa Margherita Ligure e del Tigullio”. Nella cornice di Villa Durazzo ha proposto al numeroso pubblico il recital del maestro Eugenio De Luca che con gusto e accuratezza ha restituito uno dei primi capolavori suonatistici beethoveniani, quell'opera sette così ampia e già complessamente strutturata...” (da Il Giornale”). ...”Il De Luca ha dato prova di un ben misurato senso pianistico e notevole tecnica. E perdipiù sa quel che suina. Il pubblico gli ha tributato calorosi applausi”.(La Stampa). ”Il suo concerto ascoltato nella Villa Durazzo ho già definito “formidabile.” Particolarmente la chopiniana opera 22 – da me sentita e risentita da Arturo Benedetti Michelangeli – ha suscitato intensa e costante ammirazione, direi quasi stupore per la potenza, la vivacità, la nitidezza. Il “bravo” che ho esclamato è meritatissimo. Ignoravo che qui a Rapallo dimorasse un simile pianista...” (Tullio Macoggi – compositore).

Posso dire una parola? Mi pento di non aver approfondito i miei studi musicali! “Bravo maestro De Luca!” Lo dico anch'io e con una punta di orgoglio. Ho avuto il privilegio di averti come insegnante di pianoforte, e mi emoziona profondamente leggere tutti questi apprezzamenti su di te. Con la speranza di poterti incontrare e ascoltare ancora, mi accontento di ascoltare e apprezzare il tuo vasto repertorio classico. Grazie di cuore!

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6.2 80 VOGLIA DI MINA!

MINA è sempre stata la mia cantante preferita. Di lei ero e sono un vero “fanatico!” Ma cosi fanatico, che da ragazzino – nel '60 avevo 13 anni – andavo a letto con le copertine dei 45 giri sotto il cuscino! Ricordo che alle medie, c'era una ragazza che era la sosia di Mina: così somigliante, da sembrare la sua gemella. Tale e quale persino nel taglio dei capelli! Le stavo dietro come un segugio e siccome lei stava al centralino della scuola, durante l'intervallo, andavo a trovarla. Ero ancora troppo ingenuo per fare... “Il provolone!”. Mi accontentavo di guardarla e di parlare con lei. Il 25 marzo di quest’anno, Mina ha compiuto 80 anni, e in occasione di questo importante giro di boa, con grande umiltà ma anche con immenso piacere, le dedico quanto segue. Ha cominciato a cantare per gioco. Durante un'estate trascorsa a Forte dei Marmi, sfidata dagli amici sale sul palco del locale la Bussola: non se ne staccherà più, né dal palcoscenico né dal microfono. Mina Anna Mazzini, in arte Mina, nel 1958 aveva 18 anni ed io 11. Fu un colpo di fulmine. Bella, allegra, sbarazzina e sorridente, stava per lanciare un nuovo modo di cantare, un nuovo stile musicale. “,” era, secondo me, una canzone all'avanguardia: preannunciava che dieci anni più tardi, ci sarebbe stato lo sbarco del primo uomo sulla Luna. I successi degli esordi mi fanno ricordare la canzone “Nessuno,” cantata da Wilma De Angelis, e completamente “stravolta” nella versione giovane di Mina. “Il cielo in una stanza”, canzone scritta e cantata da Gino Paoli, che, nella versione di Mina, ha un altro sapore ed è, a tutt'oggi, un classico della canzone italiana (un arrangiamento stupendo). Era il 1962, Mina aveva 22 anni. Altre canzoni che sarebbero passate inosservate, Mina le ha sapute valorizzare: “E se domani” a Sanremo non aveva fatto niente. Mina l'ha fatta sua, ed è stato subito un successo. Come anche un successo, è

20 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 stata “La canzone di Marinella,” di Fabrizio De Andrè. Nel 1963 scoppia lo scandalo della gente “per bene:” alla clinica Mangiagalli di Milano, il 18 aprile, Mina dà alla luce “Paciughino,” Massimiliano Pani, avuto dalla relazione con Corrado Pani, attore di teatro di grande talento, allora sposato. Date le circostanze, la relazione con Mina diventa ben presto di dominio pubblico. I media si appropriano della notizia e continuano a lungo ad aggiungere scoop, dettagli e supposizioni su questo rapporto di coppia, in chiave molto critica e negativa. Ho sempre davanti agli occhi la foto di Mina in clinica, che tiene tra le braccia Massimiliano appena nato. Ma in seguito alla sua nascita, la storia con Corrado entra in crisi, complici gli impegni di lavoro di entrambi e i conseguenti lunghi periodi di lontananza fra i due. Presto ha una nuova relazione con il compositore Augusto Martelli, con cui convive per diversi anni. Risale al 1970 il primo incontro con il giornalista romano Virgilio Crocco. I due si erano conosciuti nel camerino della cantante dopo un'esibizione a Terni ed era scattato subito in loro il classico colpo di fulmine, soprattutto per i modi garbati ed eleganti di Crocco. Le nozze arrivano improvvise il 25 febbraio 1970 a Trevignano Romano, sul lago di Bracciano, ma gli impegni professionali dividono subito gli sposi. I due, probabilmente proprio per motivi lavorativi, non vivono insieme, e dopo non molti mesi il matrimonio naufraga. Erano già separati quando l'11 novembre 1971, sempre alla clinica Mangiagalli di Milano, Mina dà alla luce, con circa tre settimane di anticipo, la sua secondogenita Benedetta. La cantante rimane comunque in buoni rapporti con suo marito, fino alla sua morte, avvenuta l'8 ottobre 1973 a La Crosse, nel Wisconsin, investito da un'automobile, in circostanze mai chiarite. Dopo la nascita di Benedetta, Mina inizia a frequentare Alfredo Cerruti, discografico napoletano e membro del gruppo satirico-demenziale degli Squallor. La loro relazione dura circa tre anni. Sul finire degli anni Settanta reincontra un amico di vecchia data, Eugenio Quaini, cardiochirurgo cremonese di diversi anni più giovane; con lui inizia una nuova e lunga relazione. Nel frattempo Mina aveva acquisito nel 1989, la cittadinanza svizzera, pur mantenendo quella italiana, e quando il 10 gennaio 2006 lei e Quaini si sposano, prende il cognome del marito secondo le consuetudini elvetiche. Mina rimane comunque legata al suo cognome da nubile, come dimostrato anche dalla scelta del nome del suo sito ufficiale. In seguito al matrimonio rimane a vivere a . E' nonna dei due figli avuti dal suo primogenito Massimiliano: Axel ed Edoardo, nati rispettivamente nel 1986 e nel 2004. Il 9 maggio 2018, Mina diventa bisnonna di Alma, primogenita di Axel. Mina con la sua voce può fare ciò che vuole. La sua estensione vocale le consente di arrivare alle tonalità più alte senza sforzo e senza “steccare.” E' brava, come il titolo di una sua canzone virtuosa, in realtà scritta e arrangiata per il sax. Per quanto possa sembrare strano, Mina non voleva fare la cantante. Non canta mentre cucina e nemmeno sotto la doccia, ma solo in sala di registrazione.

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Per cercare di incontrarla mi sono fatto accompagnare a Lugano da un amico. Sono andato a vedere una sua mostra fotografica a Milano (era il giorno del suo 50° compleanno). Ricordo che all'epoca, ero in compagnia di Enrica – la mia dolce metà di allora – e le proposi di comprare l'intero album fotografico di Mina ritratta in tutte le più originali caricature. Costava 50.000 lire, e per tutta risposta, mi arrivò un calcio in uno stinco. Sapendo che il marito di Mina, il cardiochirurgo dottor Quaini, operava all'ospedale Niguarda di Milano, sono persino andato là per vedere se potevo parlare almeno con lui. Ma senza successo. A parte tutto, quello che mi piace di Mina è che ama la vita, le piace bere, mangiare, ridere, scherzare e addirittura giocare a carte. A scopone scientifico non la batte nessuno! E' una persona semplice e alla mano che odia i convenevoli, le cerimonie. “Lavorare con Mina è meraviglioso perché lei si mette al microfono e canta una volta sola. Ed è sempre buona la prima. E' precisa e corretta, ma anche molto pigra, come ha sempre ammesso.” (Paolo Limiti) Ama leggere Topolino e Paperino, personaggi di Walt Disney, che trova meravigliosi e rilassanti. E' memorabile l'intervista con Mario Soldati, provocatoria ed ironica, che le chiedeva se avesse mai letto un libro. “Mi piace Paperino, questo papero così disgraziato e sfortunato! Poi, anche se volessi leggere, non ne ho il tempo!”. Legge molto, e le piacciono i libri di fantascienza. Quando scrive, ha una bella calligrafia. E quello che scrive non è mai banale: “Sto fatto che dietro un grande uomo ci sia una grande donna mi sembra una gran cretinata. E' la solita storia che puzza di mancia, di gratifica natalizia, di carità, di “bel gesto” nei confronti di noi donne, esseri inferiori. Io mi sono rotta. E dietro una grande donna c'è sempre chi o che cosa? Solo se stessa, temo!”... Una volta rispondendo a una lettrice tradita, ha scritto questa frase: “Siamo delle povere cose esposte al vento della stronzaggine.” “Non è la nostra natura. Non l'abbiamo nel DNA la capacità di rispettare le file, di parcheggiare le macchine solo nei posti consentiti, di rispettare i parchi e le strade! Quello che, invece, ci caratterizza, è il mettere in pratica il volgare “lei non sa chi sono io!” In una serie di arroganze quotidiane che sono il piedistallo su cui elevare la nostra meschinità. Ma se fosse solo questo, non sarebbe neanche gravissimo. E' quell'arietta di farlo con l'amicizia che non esiste, dato che siamo pronti a tagliare la gola per il nostro tornaconto, che mi strema e mi fa sorridere! Ma tant'è. Siamo tutti poeti, artisti, santi e navigatori. Siamo dei geni. Viva l'Italia!” Mina VANITY FAIR 2012. Se non avesse fatto la cantante, avrebbe voluto fare il medico: a 36 anni voleva iscriversi a medicina. “Vorrei smettere di fumare...in realtà smetto di fumare ogni venti minuti, ahimè...” “Ho paura solo di una cosa. Del buio. Siamo una famiglia di fifoni: anche mia madre e mio figlio hanno paura del buio. Dormiamo con la luce accesa. “Non seguo la

22 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 moda: compero soltanto le cose che mi piacciono. E mi piacciono moltissimo le scarpe, anche quelle coloratissime; mi piacciono gli abiti sportivi; gli abiti lunghi, da sera, nei quali, però, non mi sento mai completamente a mio agio; le parrucche che non metto mai.” In “Nuda” di Don Backy cantava: “Sono qui radiografata Sono nuda anche vestita Di me sapete tutto Forse più voi di me.”

I versi di questa canzone danno la misura di quanto Mina fosse stanca del pubblico, del clamore, del gossip sulla sua vita privata. Da più di 40, dall'agosto del 1978, non compare in pubblico. Eppure Mina, che dal 2001 è stata nominata Grande Ufficiale al Merito della Repubblica da Carlo Azeglio Ciampi, è sempre rimasta presente. Nata a Busto Arsizio, ma legata per tutti a Cremona, ora compie 80 anni. Un compleanno speciale che passerà come sempre in maniera riservata, ma che per gli appassionati di tutto il mondo è un giorno di festa. Ha inciso canzoni in inglese, spagnolo, tedesco, giapponese, francese, ha coperto un repertorio che va da Napoli a Frank Sinatra, dal pop al rock'n roll, dalla canzone d'autore all'Opera, alle canzoni di Natale. E' diventata anche un fumetto Disney e le sue canzoni continuano ad essere tra i pezzi più ricercati dai collezionisti. Negli ultimi anni dà sempre più spazio al suo amore per il jazz, in questo assecondata dal figlio Massimiliano Pani, che la circonda costantemente di alcuni dei migliori jazzisti italiani. Il suo catalogo continua a produrre cifre imporranti, Liza Minnelli l'ha definita la più grande. Quello di Mina è un repertorio sconfinato e raffinato, “Le mille bolle blu”, anno di grazia 1961, “E se domani,” “Grande grande grande,” “Ancora, ancora. Ancora,” “L'importante è finire,” “Non credere” sono alcuni titoli dei brani che l'hanno resa famosa e irraggiungibile. Louis Armstrong definì Mina “la cantante bianca più grande del mondo.” Liza Minnelli l'ha definita “la più grande.” Pare, che per la paura dell'aereo, Mina rifiutò un invito di Frank Sinatra. Il rapporto tra Mina e Sinatra ha origini lontane: nel 1973 Sinatra telefonò a Mina, chiedendole di diventare la nuova “The Voice.” Il grande Frank (Ol'Blue Eyes), l'aveva sentita più volte cantare, aveva avuto modo di ascoltare alcuni suoi successi. Mina, pur se non conosciutissima dal pubblico americano, era molto apprezzata nell'ambiente discografico. Fu per questo che Frank chiese a Mina di continuare a portare in giro per il mondo i suoi successi, da “My way” a “You make me feel so young” ,da “I've got you under my skin” a “Strangers in the night.” Un'offerta faraonica con tanto di assegno in bianco, casa a Manhattan e possibilità, concreta, di diventare la popstar più famosa del mondo: Sinatra, infatti,

23 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 prima di dare l'addio alla canzone avrebbe presentato al pubblico Mina come sua unica erede musicale al mondo. Ma Mina rifiutò: dopo essersi recata più volte a New York, decise che quella non era la sua vita. Troppo stress, troppo clamore, troppe luci della ribalta. “Probabilmente si spaventò – ricorda Massimiliano Pani – anzi, mia madre si ammalò fisicamente, tanto era angosciata dall'idea d'intraprendere una carriera “americana”, stare nove mesi all'anno negli Stati Uniti, una scelta che avrebbe probabilmente fatto la felicità di molti ma non di mia madre.” E così, dopo una lunghissima trattativa, Mina decise di rinunciare al sogno americano e all'idea di raccogliere l'eredità di “The Voice.” Mina decise di inviare una lettera a “The voice” tramite “Liberal,” il settimanale con cui a quel tempo lei collaborava. “Questa è una lettera d'amore. Anche se non lo conoscevo personalmente, anche se cerco di svincolare il talento e la voce dal corpo, dalla mortalità dell'uomo, anche se so che quello che mi ha dato fino ad oggi lui continuerà a darmelo per sempre, non riesco a controllare un vago senso di nausea, un piccolo dolore alla bocca dello stomaco. Non sentirete mai più cantare così. Questa è una delle rarissime occasioni in cui sono felice di fare, anche se indegnamente, la cantante, cioè il suo stesso lavoro. Ne sono felice perché sono in grado di capire quando prende un fiato e perché, quando rompe la voce e perché, quando decide di allungare una nota fino a caricaturarla, perché sono in grado di capire come divide, godere dello swing morbido ma inesorabile che esprime persino quando parla. Perché riconosco la grandezza nel salvare canzoni mediocri. Per quel timbro di voce che ti fa morire di piacere, che ti obbliga a sorridere e che ti procura dei piccoli mancamenti, come quando sei davanti a un quadro del Caravaggio. Perchè sono in grado di riconoscere che le note le mette tutte al posto giusto e solo quello, né un sedicesimo prima né un sedicesimo dopo. Ascoltate i suoi dischi, non ascoltate quelli che parleranno dei suoi amori, delle sue amicizie, dei suoi legami con gente di malaffare; direi addirittura di non guardare i suoi film, anche se qualche volta è stato grande anche come attore. Ascoltate i suoi dischi, tutti. Perché no, anche “Strangers in the night” oppure “My way” che secondo me lo rappresentavano meno; sì, insomma non erano delle gran belle canzoni, non erano il suo specifico, anche se sono quelle che hanno venduto di più. Ascoltate tutti quei pezzi favolosi con Billy May e Nelson Riddle e con Don Costa. Fate un piccolo investimento di denaro in qualcosa di irripetibilmente unico, comprate tutta la sua produzione e pian pianino ascoltatela. Ascoltate tutti gli album: “Come swing with me”, “Come dance with me,” e cento altri, ma soprattutto, se avete come me un'indole un pochino malinconica, “Only the lonely,” inarrivabile, perfettissima, drammaticamente struggente raccolta di ballad in cui lui è assoluto imperatore. Non ascoltate gli inevitabili, miseri chiacchiericci sulle mogli, sui figli o, peggio ancora, sull'eredità. Ascoltate lui, ascoltatelo soltanto; perché che cosa si chiede a un essere umano più che cantare come un angelo? Nel pezzo che conclude “Trilogy”

24 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 dice: “E quando la morte verrà a tirarmi la manica della giacca, starò cantando mentre me ne andrò.” Ed è quello che ha fatto. Stava cantando ancora quando il fiato, l'età e la salute dicevano che non era più il caso. Lui stava cantando come voleva fare sempre. E ancora faceva dei miracoli con quello strumento incantatore fatto di carne, di sentimento, di altissimo talento, di amore insomma. Se quella grande porta dorata sopra tutte le nuvole e sopra tutti i nostri pensieri esiste davvero, per aprirla per lui questa volta ci sarà proprio Dio in persona. Perché così si canta solo in Paradiso”. Mina

Ho voluto riportare per intero questa lunga lettera di Mina a Frank Simatra, perché, leggendola, mi è venuta la pelle d'oca. Mina non è soltanto la cantante per eccellenza, lei, secondo me, è “La Divina!” Come Greta Garbo per il cinema e Maria Callas per l'Opera lirica. La possono chiamare come vogliono. Iva Zanicchi è “L'aquila di Ligonchio,” Milva “La pantera di Goro”, fatto sta che “La tigre di Cremona,” è solamente lei: Mina, Mina, Minona! 80 anni di vita e oltre 60 di carriera. Lei però, contravvenendo a tutti gli stereotipi, non è una “vecchia gloria” da esibire nei programmi televisivi (cui del resto non partecipa più da tempi non sospetti) ma una grande interprete contemporanea, che trasforma in oro tutto quello che sceglie di cantare. Merito delle sue doti vocali superlative, a cui è impossibile dare un'età, ma anche frutto di un pensiero lucido e coerente, la capacità di rinnovarsi e aggiornare di continuo il repertorio, proseguendo a giocare “in assenza”. E ve li ricordate Mina e Celentano? Un magnifico duo della musica italiana che periodicamente confeziona brani inediti. Ricordo che Brivido felino, del 1998, riuscì a vendere un 1.600.000 copie. Un record mai eguagliato da nessuno! Trasformati in cartoni animati – lei nel ruolo della “fatale” Pennutella, lui nel bubero Destino Solitario – cantano in dialetto pugliese il loro ironico e litigioso menage. Accade nel coloratissimo videoclip di “Che t'aggia dì”, canzone tratta dal bestseller “” l'album – evento dell'annata discografica italiana, dall'alto delle sue 900.000 copie vendute. Ma c'è di più. Perché nel nuovo progetto il Molleggiato e la Tigre stanno studiando un'apposita app per smartphone e tablet e altre piattatorme tecnologiche. Insomma, il progetto ha un sapore vintage ma guarda al presente. E' al passo coi tempi. Chi la conosce bene e la frequenta da anni per lavoro, assicura che nella vita quotidiana Mina ama scherzare (come fingersi la segretaria di suo figlio quando lo

25 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 cercano al telefono) e rilassare l'atmosfera dello studio portando da casa ottime torte fatte con le sue mani per tecnici e musicisti. Canta in qualunque posizione e “non se la tira mai,” al contrario di tanti personaggi dello spettacolo molto meno dotati di lei. Come se si sentisse più donna che cantante, perché, come sottolinea a volte, “il canto è la seconda cosa nella mia vita, ”La prima, appunto, è la mia vita.” Anche se non ha mai aspirato al ruolo di modella, Mina, fin da ragazza ha sempre avuto un rapporto stretto con la moda, seguendo quella del momento e adottando look, make-up e acconciature che le sue coetanee, vedendola in tv, cercavano di imitare. Crescendo, ha cominciato a giocare in modo più ironico e provocatorio con la propria immagine, stravolgendola e segnando l'immaginario collettivo, 20 anni prima di Madonna e 30 prima di Lady Gaga. Facendo cose che a loro volta hanno influenzato la moda: dai mitici Carosello Barilla, agli spot nel festival di Sanremo. Dal 1978, anno del ritiro, questo corpo a corpo sempre più studiato con l'immagine è continuato attraverso le copertine dei suoi dischi pubblicati puntualmente ogni anno e premiati in classifica. I suoi occhi magnetici e l'ovale del suo viso, sotto le mani di fotografi creativi come Mauro Balletti, ha assunto via via diversi aspetti: vampiresco, barbuto, fumettistico, alieno... Fotomontaggi come la torta copri-capo di compleanno (per l'album ), il culturista (), la treccia-proboscide (Bula Bula) o quella ricorrente dello specchio (Maeba) hanno fatto il giro del mondo e continuano a stupire. La scelta di fondare già nel 1967, insieme con il padre Giacomo, la propria etichetta per produrre e distribuire in autonomia i dischi, ha spinto Mina a raccogliere intorno a sé le migliori risorse umane e tecnologiche del momento. Del primo studio, chiamato “La Basilica” perché realizzato in una chiesa sconsacrata di Milano, sopravvivono nell'ultima sala di incisione di Lugano attrezzature analogiche perfettamente funzionanti. Come lo Studer, un registratore a nastro a 24 piste, in grado di restituire un suono più caldo di quello digitale che fa tuttora la differenza. Cara Mina, amica mia, grazie di esistere! Grazie per non averci mai abbandonati del tutto. Tu sei “nata libera,” e così, a un certo punto hai detto: “Non gioco più, me ne vado, non gioco più, davvero!...” “Preferisco un contratto a vita con la mia famiglia che con la tuvù, il rapporto col pubblico vive con i miei dischi.”… Così è se vi pare. Mi piace ricordare quando c'era e il sabato sera era dedicato al varietà. Tra i tuoi ospiti hai avuto stelle di prima grandezza, come Totò, Alberto Sordi e Marcello Mastroianni. Hai cantato con Raffaella Carrà e le Gemelle Kessler. Tra i tuoi dischi più belli c'è “MINA CANTA LUCIO”, con le più belle canzoni del grande Lucio Battisti: un vero capolavoro! “Emozioni,” cantata duettando con lui, è qualcosa di grande, grande, grande! Le tue canzoni fanno parte del nostro DNA: “Città vuota,” “Se telefonando,” “Vorrei che fosse amore”… Pensa che quest'ultima, ho avuto il coraggio di cantarla persino io! Nello studio di registrazione di Gianni

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Bobbio, e sotto la supervisione del maestro Dino Siani (grande pianista e mio grandissimo amico di vecchia data). E mentre la cantavo, ti pensavo. Ora ti domanderai come faccio a sapere tutte queste cose su di te. Beh, mi sono documentato! Te lo dovevo. E’ il mio regalo per il tuo compleanno, anche se so che non ami le ricorrenze, ma ti prego, accettalo! Mina, sai qual è il mio sogno nel cassetto? Poterti un giorno incontrare, vedere da vicino in carne ed ossa. “Live,” dal vivo. Potrei svenire dall'emozione! Ma come si dice, “mai dire mai.” “I sogni son desideri...” Ed è molto probabile che il mio rimanga solamente un desiderio irrealizzabile, un sogno destinato a rimanere tale. Che dire di più! Se me lo concedi, una parola ancora ce l'avrei: non possiamo dimenticare Lelio Luttazzi. Sono lontani i tempi di “Una zebra a pois,” o... “Bum, ahi, che colpo di luna!” Ma quando le sento, mi ricordo che, a suo tempo, erano le canzoni che gettonavo di più nel juke-box. Quando a Studio Uno il grande Lelio scandiva il tuo nome, saltavo sulla sedia: Signore e signori, MINA!! Wow che sballo! Ma per venire a un periodo più recente, ti dico che “Parole, parole, parole,” “Vorrei che fosse amore,” “Se telefonando,” “L'ultima occasione”, “Città vuota,” e “Due note,” sono, fra le tante, le canzoni tue che mi piacciono di più. In ogni modo, tu sei, e resterai il mio anzi, “il nostro mito.” Di sempre e per sempre. (Enrico Secchi)

6.3 ADDIO A EZIO BOSSO Purtroppo, il maestro Ezio Bosso ci ha lasciato, a 48 anni, a causa di una patologia neurodegenerativa. Personalmente, non lo conoscevo. Mi è stato consigliato da Piermario, mio grande e fedele amico, anche lui appassionato di musica (quella vera). Dopo aver ascoltato alcune sue composizioni per pianoforte solo, come per tutte le cose nuove, ho pensato che la musica di Ezio Bosso non era il mio genere. Non la capivo, e non mi piaceva. Poi, una sera, facendo zapping con il telecomando, mi è caduto l'occhio su un titolo:"UNA SERATA DI MUSICA CON IL MAESTRO EZIO BOSSO." Il programma era trasmesso dalla terza rete RAI. Quello che subito mi colpì di Ezio Bosso, fu il suo sorriso. Rimasi incantato dalla dolcezza della sua voce e dalla calma che emanava il suo modo di parlare. Vedevo che, dal profondo del suo animo, scaturiva una grande gioia, e

27 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 mi sentii felice per lui, e anche per me. In una recente intervista, alla domanda: "Ma tu, ti senti felice?," Ezio rispose: "Io non ti so dire se sono felice, mi tengo stretti momenti di felicità." Ezio Bosso è stato l'artista che ha saputo commuovere e anche far ridere il suo pubblico. Diceva che della musica non se ne può fare a meno, come dell'aria che respiriamo: "La musica è una terapia per la società." "La prima cosa che farò è mettermi al sole. La seconda sarà abbracciare un albero." Dalla sua casa di Bologna, Ezio Bosso stila i propositi per quando si apriranno le gabbie. Ezio Bosso è scomparso con la sua grande umanità. Era nato a Torino il 13 settembre 1971 è morto venerdì 15 maggio a 48 anni. Aveva saputo incantare per la sua musica ma anche per la dignità con cui aveva affrontato la sua malattia, come testimoniano alcune delle sue frasi più celebri: "La musica è come la vita, la si può fare in un solo modo: insieme."

7. L'ANGOLO DELLA RISATA

Ridere fa bene alla salute: lo sapevi? Ridere è liberatorio, afrodisiaco, spiazzante, esaltante, piacevole e intelligente. Ed è pure gratis. Ed è tutto oggettivamente vero, perché una sana risata fa bene alla nostra salute: rinforza il cuore e il sistema immunitario, fa bene all'autostima e al rapporto di coppia, e, inoltre, diminuisce stress e insonnia. Sai che ridere allunga la vita? Numerosi studi hanno dimostrato che essere positivi e ridere spesso può aumentare l'aspettativa di vita di 7- 8 anni. Preoccupazioni, vita frenetica, stress... ahimé, è sempre più difficile trovare un buon motivo per ridere! Ti ricordi quando è stata l'ultima volta che ti sei concesso una bella risata, quella che viene dal cuore? Eppure ridere è una cosa seria, perché fa bene alla salute e scatena delle reazioni benefiche per il tuo organismo. Quando ridi il cuore batte più forte e i vasi sanguigni si dilatano: tutto il sistema vascolare è stimolato. Quest'onda che ti pervade si diffonde nell'addome provocando delle comtraziono che lottano contro la stitichezza e stimolano la produzione dei succhi gastrici e degli enzimi che favoriscono la digestione. Se la ridarella si prolunga, le tue gambe diventano molli e perdi il controllo del tuo corpo al punto di farti la pipì addosso! Il ritmo cardiaco rallenta e la pressione diminuisce. Quindi, se hai problemi di

28 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 ipertensione, non ti trattenere, ridi di cuore! Io ho riso sempre. A volte, anche quando non c'era niente da ridere. Bastava un colpo di tosse grassa del nonno, gran fumatore di sigari toscani, che mi sganasciavo fino alle lacrime! Ma perché, dico io, se qualcuno scivola su una buccia di banana viene da ridere? Durante la copiosa nevicata del 1985 a Milano, ricordo che stetti a casa dal lavoro per due settimane. La coltre di neve bianca e soffice, arrivava alle gionocchia e il traffico era in tilt. Qualche giorno dopo, la neve ghiacciata faceva scivolare pericolosamente i passanti. Il mio divertimento più grande era osservare dalla finestra questi malcapitati, e ridere a crepapelle nel vedere qualcuno cadere. Poveretti! Facevano di tutto per rimanere in piedi, sembrava camminassero sulle uova...E, ahimé, la caduta a un certo punto, era inevitabile, e poteva essere anche brutta. E allora, perché mai ridere delle disgrazie altrui? E' buffo, ma quando si ride in un attacco acuto di "stupidera," non si pensa mai alle conseguenze di uno scherzo fuori luogo, di una scivolata o di una caduta fatte male!

Nota informativa: “Si sospende la settimana santa, uscirà solo Pilato perché l'unico che si lava le mani.”

Proma ci dicevano che il virus non arriva a un metro, poi hanno parlato di 4 metri, e dopo che galleggia in aria. Tra poco ci citofona!

Mi ricordo come se fosse oggi quando il mio professore di educazione fisica mi diceva: "Non combinerai mai nulla nella vita!" E invece eccomi qui, sdraiato sul divano a salvare il mondo.

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Mi ha chiamato la banca. Ho risposto: Andrà tutto bene!

Volevo dire una cosa al postino che stamattina mi ha messo le bollette da pagare nella mia cassetta: DEVI STARE A CASA!!

8. L'ANGOLO DELLE CURIOSITA'

8.1 ANNO BISESTO ANNO FUNESTO? IL CORONAVIRUS E LA MALEDIZIONE DELL'ANNO BISESTILE. E' difficile in questi giorni così drammatici, guardare con distacco i proverbi che associavano l'anno bisestile alle peggiori sfortune: “Anno bisesto, anno funesto,” “Anno bisesto, basta che passi presto,” e via dicendo. Tradizioni che si ritengono legate ai cicli della terra e alle coltivazioni. E ripetere che non vi è alcuna evidenza scientifica e statistica non serve a nulla. D'altra parte i nostri nonni qualche memoria “a sostegno” dei proverbi l'avevano, come il terremoto di Messina del 1908, o, per restare più vicini, quello nel Belice del 1968 o in Friuli nel 1976. Del tutto inutile elencare i terremoti avvenuti in anni non bisestili, che sono ovviamente un gran numero. Per sdrammatizzare un po' e cercare di strappare un sorriso, possiamo ricordare che per la cultura anglosassone quello bisestile è considerato al contrario un anno fortunato. In Irlanda in particolare chiamano il 29 febbraio il “leap day,” giorno del salto. In quel giorno le ragazze possono chiedere al fidanzato di sposarle. Secondo alcuni era prevista anche una penitenza per quegli uomini che decidevano di rimanere scapoli a tutti i costi: dovevano regalare alle

30 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 fidanzate dodici paia di guanti, uno per mese per coprire la mano “orfana” di anello.

Perchè si chiama così? Bisestile, o bisesto, è una parola di origine latina. Per la precisione dal latino tardo bisesxtus “due volte sesto,” secondo l'uso romano di contare due volte negli anni bisestili il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio. Calcolo facile siccome le calende (ricordate la parola calendario con cui abbiamo aperto questo 2020) identificavano il primo giorno del mese. Quindi accanto a questo sesto giorno se ne aggiungeva un altro, per questo detto “bisesto.”

La scelta del 29 febbraio Il calendario giuliano, decisione mantenuta poi in quello gregoriano, ha stabilito che questo giorno “doppio” cadesse oltre l'ultimo giorno del mese, quindi il 29 febbraio. L'unica differenza è che il calendario gregoriano, per avvicinarsi sempre di più alla durata dell'anno solare, introduce un'altra piccola variante: non considera bisestili gli anni secolari se non siano multipli di 400. Per capirci sono bisestili gli anni 1600/ 2000/ 2004...mentre non lo sono gli anni 1700/ 1800/ 1900/ 2100/ 2200 e così via.

La precisione impossibile Quindi, per avvicinarsi il più possibile all'anno solare ci sono 97 anni bisestili ogni 400 anni. Ma uno scarto rimane lo stesso, pari a circa 26 secondi. Quindi nell'arco di 3.323 anni ci troveremo con un giorno in più. Evenienza di cui si occuperanno, se ne avranno voglia, i nostri trisnipoti nel 4905.

Un giorno particolare Il 29 febbraio è stato senz'altro un giorno straordinario. I nati in questo giorno possono festeggiare il compleanno solo ogni quattro anni, ma potranno consolarsi facendo parte di una ragguardevole schiera. Tra i tanti, sono nati il 29 febbraio papa Paolo III (1468, nato Alessandro Farnese), il musicista Gioacchino Rossini (1792), il pittore francese Balthus (1908).

La prima rivoluzione del 1848 Nella storia non sono molti gli episodi che lo ricordano, ma uno riguarda il nostro Risorgimento. Il 29 febbraio 1848 Ferdinando II, re delle due Sicilie, accettò che venisse promulgata la Costituzione palermitana, nel tentativo di placare la rivolta scoppiata il 12 gennaio proprio a Palermo. Fu il primo episodio in un anno colmo di

31 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 rivoluzioni e rivolte popolari, avviando quell'ondata di moti rivoluzionari che sconvolse l'Europa e che viene definita primavera dei popoli. La rivoluzione siciliana portò alla proclamazione di un “nuovo” Regno di Sicilia indipendente, che sopravvisse fino al maggio del 1849.

8.2 LA SABBIA CHE CANTA La sabbia che canta chiamata anche fischio o sabbia che abbaia, è la sabbia che produce suono. Tutto ciò è stupefacente e meraviglioso! Il suono può essere prodotto dal vento che passa sulle dune o anche camminando sulla sabbia. Perché la sabbia canti, bisogna che si determinino certe condizioni. Marco Polo e altri si sono a lungo domandati: “Perché la sabbia canta?” Un nuovo studio ce ne dà un'idea. Quando Marco Polo ne sentì parlare in Cina, pensò che fossero gli spiriti maligni. Quando i residenti di Copiapo in Cile, sentirono il vento soffiare da una duna di sabbia, per le sue raffiche e sibili lo chiamarono El Bramador (il campanello). Oggi gli scienziati lo chiamano “singing sand”. Quando i granelli di sabbia si trascinano giù lungo i pendii delle dune producono un suono che si può sentire per miglia e miglia. Ma come le dune riescano a produrre questo suono, è un mistero che ancora fa discutere. Un'altra domanda curiosa e interessante, è come mai dune diverse cantano motivi diversi, e come possono certe dune emettere anche più di una nota allo stesso tempo. Un trio di biofisici parigini crede di conoscere la risposta. Non è necessariamente il movimento delle sabbie negli oceani a determinare l'intonazione della nota – ma la misura dei granelli di sabbia (il perché è ancora ignoto).

8.3 ALLE PIANTE PIACE MOZART Secondo una credenza popolare occidentale, parlare alle piante le farebbe crescere più rigogliose. In Oriente invece, si consiglia di far ascoltare loro la musica, ed è dando retta a questo suggerimento che Carlo Gigozzi, ex avvocato ora proprietario del podere “Il Paradiso” di Frassina, a pochi chilometri da Montalcino, ha avuto l'intuizione: collocare degli amplificatori tra i filari della sua vigna, per diffondere le opere di Mozart. Dopo poco tempo la vite appariva sorprendentemente più rigogliosa e l'uva sembrava maturare prima. E' così cominciata una collaborazione con le

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Università di Pisa e di Firenze, dove dal 2006 si stanno studiando rispettivamente gli effetti delle onde sonore sugli insetti e quelli sul metabolismo delle piante. L'ipotesi dei ricercatori è che le basse frequenze della musica classica potrebbero sia stimolare la produzione di sostanze che migliorano il sistema immunitario della vite, che tenere lontani gli insetti che le danneggiano. La speranza è quella di poter ridurre la quantità di pesticidi attualmente necessaria per proteggere il raccolto. Anche se le piante non possono percepire la musica attraverso gli organi di senso come gli animali, è possibile che "sentano" le onde sonore a livello cellulare. Questa almeno è l'ipotesi degli esperti di neurobiologia vegetale, una nuova disciplina che studia la capacità delle piante superiori di ricevere, elaborare e trasmettere gli stimoli provenienti dall'ambiente esterno e di rispondere modificando morfologia e metabolismo. Già alla fine dell'Ottocento Charles Darwin ipotizzò che gli apici radicali delle piante potessero essere una sorta di sistema nervoso che ricve ed elabora gli stimoli ambientali: umidità, luce, sostanze nutrienti e stimoli tattili. Oggi sappiamo, stando agli studi in corso dall'Italia alla Cina, che le piante gradiscono anche la musica. In un vigneto sudafricano, ad esempio, è in corso una sperimentazione analoga a quella toscana, mentre in Cina è stato pubblicato uno studio che dimostra gli effetti benefici della musica classica alternata al canto del grillo sulle piante di ravanello, anguria e arachide. Un mondo senza musica è molto peggio del silenzio assordante di queste lunghe e monotone giornate di sole (oltre al danno, anche la beffa!)

9. L'ANGOLO DELLE CITAZIONI E ora…”Si volta pagina!”

Buonanotte a chi mantiene un sorriso. Non dico che sia sempre facile. Ci sono situazioni che ci preoccupano,

33 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 pensieri cupi che entrano senza chiedere il permesso... c'è la paura per le persone che amiamo. Buonanotte a chi però in qualche maniera resiste e dispensa sorrisi e gesti di tenerezza. Benedetto sia quel cuore che, pur tremando, infonde dolcezza e apre al futuro. La paura è ladra di vita! Ma le persone care sono i nostri “pensieri felici” a cui aggrapparci E Dio dov'è? E' in Quarantena, è in isolamento, è nelle stanze degli ospedali... e non lascia soli nessuno. E' nelle ansie che attraversano il cuore di ogni uomo e donna. E' nelle lacrime che dicono tutta la nostra preoccupazione. E' vicino a ogni cuore che in questa giornata non riesce a stare fermo. E' in ogni casa. E' in quelle mani che si stringono e si danno forza vicendevolmente. E' in ogni chiesa...vuota di persone ma strapiena di preghiere, di desideri e di speranze. Dio si trova sul volto dei bambini, nel loro sorriso pieno di luce. “Non capiscono”... pensiamo noi. Invece capiscono tutto: a loro basta avere vicino le persone che amano e da cui si sentono amati. Non è forse questo il segreto di ogni giornata? Vi auguro di incrociare e di regalarvi questi sorrisi e questi sguardi, anche oggi...soprattutto oggi. Io vi penso: ho la fortuna di avere le chiavi della chiesa e sono proprio lì, portandovi con me. Don Achille, parroco di Bussero

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“Un abbraccio è il più bell'abito da donare: la taglia è unica, quindi va bene a tutti.”

Si educa con quello che si dice, ancor di più con quello che si fa, ma molto di più con quello che si è. Giovanni Falcone

10. L'ANGOLO DELLA POESIA

10.1 IL CANTICO DEI CANTICI “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gl'inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.”

Se non fosse stato per Roberto Benigni, non avrei mai scoperto la bellezza del Cantico dei Cantici. Noto e popolare per i suoi monologhi, è così come lo si vede anche nella vita di tutti i

35 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 giorni. Con la sua comicità ironica e dissacrante, è diventato un personaggio pubblico tra i più conosciuti e apprezzati in Italia e nel mondo. Le sue interpretazioni cinematografiche e le sue apparizioni televisive mettono in scena un carattere gioioso e irruente, capace di “sovvertire” il clima dei programmi di cui è ospite. Tra i numerosi riconoscimenti, l'Oscar al miglior attore conseguito nel 1999 per l'interpretazione nel film – da lui stesso diretto – La vita è bella; a cui segue un Oscar al miglior film straniero per la stessa pellicola. E' stato l'unico interprete maschile italiano a ricevere l'Oscar come miglior attore protagonista recitando nel ruolo principale in un film in lingua straniera. Roberto Remigio Benigni (Castiglion Fiorentino, 27 ottobre 1952), si è impegnato come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, per la cui diffusione è stato candidato al Premio Nobel nel 2007. Nelle vesti di divulgatore ha, inoltre, recitato il Canto degli Italiani, i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, e i Dieci Comandamenti biblici ricevendo consensi di pubblico e critica. Per onestà intellettuale a questo punto, mi sentirei di dire una cosa molto semplice: Roberto Benigni è prima di tutto un attore cinematografico e monologhista teatrale. Non credo che, da “furbetto,” approfitti dell'ignoranza della gente! Semmai, al contrario, con la sua comicità gioiosa e irriverente, Roberto Benigni riesce a spiegare in maniera semplice e diretta, sia gli articoli della nostra Costituzione, che i concetti più difficili. Siamo onesti: “Chi di noi conosce la Costituzione della Repubblica Italiana?”. Io ricordo a malapena il primo articolo: “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.” La Bibbia a dispense che si compra all'edicola, una volta rilegata, fa bella mostra nella vetrina della nostra libreria. Chi l'ha mai letta o solo sfogliata? “Robertooo!!” Urlò Sophia Loren dalla platea quando Benigni nel 1999 vinse l'Oscar per “La vita è bella”. Lo stesso urlo a gran voce io: “Roberto! Grazie!” Grazie per essere così sincero e profondo, così simpaticamente dissacrante e, allo stesso tempo, rispettoso. (Nel film La vita è bella, far comprendere a un bambino piccolo gli orrori della guerra senza spaventarlo o traumatizzarlo, è un bell'esempio di coraggio, di saggezza e di grande e profonda sensibilità!).

10.2 UNA POESIA DEDICATA AL CORONAVIRUS. Te se rivà de nascundòn Te se cascià in tutt i cantòn Te fè tribolà tuta la gènt:

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Dutùr, infermèr e chi l'ha perdù i parent. L'è dura questa pandemia! Te metù in ginòcc la mia Lumbardia. Fa nient, num a molùm nò tant facilmènt anca se te fa murì purtròp tròpa gent! Ch'el distar chi, a nùm, te duvevet minga fal! Adess sem propri stùf e te casciùm fòra di ball!

11. L’ANGOLO DEL FUTURO Com'è bella la città, com'è grande la città, com'è viva la città, com'è allegra la città... Vieni vieni in città Che stai a fare in campagna? Se vuoi farti una vita, Devi venire in città... Piena di strade e di negozi E di vetrine piene di luce Con tanta gente che lavora Con tanta gente che produce Con le réclames sempre più grandi Coi magazzini le scale mobili Coi grattacieli sempre più alti E tante macchine sempre di più...

Quando finirà l'era del coronavirus? E come sarà il "dopo"coronavirus? Abbiamo visto le città svuotarsi, come città fantasma. Deserte e silenzione, immerse

37 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 in un silenzio innaturale. Dov'era la gente che lavora, la gente che produce? Per strada non si vedeva nessuno. Le vetrine dei negozi spente e le scale mobili dei Grandi Magazzini ferme. Chiusi i bar e i luoghi di ritrovo. Le insegne luminose che si vedevano ancora, le croci inconfondibili delle farmacie, le panetterie, e dei negozi di alimentari.

Ora piano piano tutto riprende… Come sarà la vita quando finirà il lockdown? Comunque vada, non sarà più la vita di prima. Da mesi stiamo vivendo in una "campana di vetro" una vita surreale. I mezzi d'informazione diffondono notizie che, se da un lato fanno ben sperare, dall'altro non fanno venir meno l'angoscia e la preoccupazione per un numero di decessi ancora troppo alto. I mezzi di trasporto pubblico che non si sono mai fermati nemmeno durante l'epidemia saranno osservati speciali. Un solo errore potrebbe far riesplodere la diffusione del virus. Per questo dovranno intensificarsi i controlli dei cittadini. Potrebbe quindi ritornare la figura del controllore a bordo che, oltre al ticket, misurerebbe la temperatura corporea. Meno passeggeri a bordo dei mezzi, sarà utilizzata la metà della capienza delle vetture. I primi a riaprire, ma dovranno rispettare rigidi criteri, saranno le piccole medie imprese, negozi e uffici. Rimarrà lo "smart working" – il lavoro a casa – per tutte quelle attività che possono permetterselo limitando la presenza negli uffici. Locali che sarà possibile riaprire garantendo però la stretta osservanza della distanza di sicurezza di un metro tra i lavoratori e, se possibile, la fornitura di mezzi di protezione. Stesse regole anche in presenza di persone esterne come clienti o fornitori.

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Un mare di precauzioni per bar e ristoranti, con una riorganizzazione dei locali. I clienti al bancone dovranno mantenere una distanza di almeno un metro. Nelle sale, invece, la distanza deve aumentare: almemo due metri tra i tavoli, questo per garantire il passaggio dei camerieri. Questi ultimi dovranno obbligatoriamente portare guanti e mascherine. Stesse regole anche per i tavoli all'aperto. Per i negozi forse è un po' più semplice perché saranno copiate le regole già applicate negli ultimi due mesi dai supermercati e dalle farmacie: entrate scaglionate con una presenza di persone variabile in base alla metratura dei locali e, ovviamente, il mntenimento del metro di distanza tra le persone. Non sarà invece facile vedere riaprire in fretta tutti quei luoghi pubblici d'intrattenimento collettivo.Cinema, teatri, stadi per concerti.. tutti luoghi dove l'assembramento è impossibile da evitare. Non tanto all'intermo di alcune strutture dove si può prevedere la classica poltrona sì poltrona no per mantenere le distanze, quanto all'ingresso delle stesse strutture. Sarà un discorso molto complesso anche perché si cerca di evitare la crisi devastante di interi settori. E in famiglia? Anche se la quarantena finirà, bisognerà stare attenti alle affettuosità come baci e abbracci. Ancora per un po' sarà giusto mantenere una distanza di sicurezza, soprattutto coi familiari "fragili" che abbiano cercato con grande sforzo di difendere durante tutte queste settinane in casa. "

Ma come hai fatto a farmi contagiare così tanto! Mi guardo nello specchio e mi domando: "Ma quello lì, sono io?"... Ma come hai fatto a far della mia vita una tua cosa, a trasformare il tempo in un'attesa di debellare te!? La prima volta che dico veramente "Muori ammazzato!!..." (Liberamente "ispirato" dalle parole di una canzone del grande Domenico Modugno)

39 IL GIORNALINO DI ENRICO N.1- Giugno 2020 …ED ECCOCI ARRIVATI ALLA FINE DI QUESTA EDIZIONE DEL NOSTRO “GIORNALINO DI ENRICO”… VI ASPETTIAMO ALLA PROSSIMA USCITA!!

…NEL FRATTEMPO…

A presto!!!!

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