Pecore Bellunesi

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Pecore Bellunesi PECORE BELLUNESI “…L’allevamento delle pecore fu sempre generale e nazionale in questi paesi, ed anzi nei tempi passati lo era molto più che attualmente…Nella mancanza di commercio, e nella ristrettezza dei mezzi economici, le pecore (e con esse le capre) fornivano prima del secolo presente la massima quantità della carne di cui si cibavano gli abitanti del Bellunese…La tenuta delle pecore reca pochissimo lavoro o fastidio ai contadini, e que- sto è appunto uno dei meriti che i contadini attribuiscono ad esse…” (Antonio Maresio Bazolle, Il possidente bellunese, 1890) 25 Pecore Bellunesi LA PECORA ALPAGOTAEL’ALLEVAMENTO OVINO IN ALPAGO La parte sud orientale della Provincia di Belluno è denominata Alpago. In questa conca, che costituisce un’unità geografica ben definita gravitante verso la Val Belluna, ma ben distinta da essa, la zootecnia ha avuto fino alla prima metà del secolo scorso un ruolo importante nell’economia di molte famiglie; l’allevamento ha rappresentato, infat- ti, una compensazione alla stentatezza e scarsa remuneratività dell’agricoltura nelle zone montane (Cason Angelini, 1990). L’importanza dell’allevamento ovino, in particolare, è testimoniata dalla presenza di una pecora nello stemma di uno dei cinque comuni dell’Alpago, quello di Chies. Stemma del Comune di Chies d’Alpago Questa immagine storica si inserisce perfettamente nel quadro d’insieme che oggi è possibile riscontrare in questa zona del bellunese: i paesi sono disseminati sulle pendici dei monti che circondano la conca, fino ai mille metri; sopra tale quota al bosco si alternano prati e pascoli dove, un tempo, venivano condotte all’alpeggio estivo vacche e pecore (Trame, 1984). Il legame della popolazione locale con l'allevamento del bestiame è testimoniato dai numerosi insediamenti pastorali, fioriti nei secoli scorsi nella fascia tra i 1.000 e i 1.600 metri; si tratta delle cosiddette 'malghe', che rappresentarono centri vitali di atti- vità, ma che ora, a causa del loro cessato utilizzo, si trovano spesso in condizioni fati- scenti. In alcuni casi l’abbandono della montagna ha favorito l’avanzare del bosco che ora nasconde, nell’intrico dei suoi rami, le tracce di una presenza umana un tempo estre- mamente diffusa. La malga era costituita, oltre che dai pascoli di pertinenza, dall’insieme delle strut- ture destinate al governo degli animali e da quelle che permettevano la permanenza del pastore nei mesi d’alpeggio. In genere si trattava di una casèra, utilizzata sia come allog- gio che come laboratorio per la lavorazione del latte, di uno stalòn per il ricovero delle vacche (e talvolta anche delle pecore) e di un moltrìn, un particolare recinto in pietrame per la mungitura degli ovini. Poteva essere presente anche un burèl per i maiali e un puinèr per le galline. Essendo indispensabile la disponibilità d’acqua, le malghe erano in genere localizzate nei pressi di una sorgente; se questa non era vicina, si sopperiva con cisterne per la raccolta dell’acqua piovana che sgrondava dai tetti o tramite brevi acquedotti costruiti appositamente. Mentre alcune malghe sono state abbandonate perché meno facilmente accessibili, 27 LE RAZZE OVINE AUTOCTONE DEL VENETO carenti d’acqua o per la difficile praticabilità dei pascoli, altri alpeggi sono tutt’ora mon- ticati; la riduzione del carico e, in alcuni casi, la cessazione completa del pascolamento hanno purtroppo favorito la sensibile diminuzione della superficie utile per gli animali, in quanto il bosco ha avuto il sopravvento sulla vegetazione erbacea (Biblioteca Popolare di Chies e Codenzano). Oltre alle malghe, ancora oggi vengono sfruttati dei pascoli sulle pendici dei monti, nei quali non sono presenti i tipici fabbricati che caratterizzano gli alpeggi, come comu- nemente intesi. Si tratta di superfici estese dal limite superiore del bosco alle vette roc- ciose, più adatti agli ovini che ai bovini, sia per la morfologia spesso accidentata e la gia- citura piuttosto acclive, sia per la mancanza di ricoveri. Nel loro insieme rappresentano qualche centinaio di ettari che consentono il sostentamento estivo di un numero consi- stente di capi. Tra questi alpeggi vi sono il Monte Guslon, sopra Tambre, il Teverone, che sovrasta l’abitato di Lamosano, e i cosiddetti Venal, che prendono il nome dal paese sottostante (Venal di Montanes e di Pieve). Casèra in Alpago 28 Pecore Bellunesi Tecniche di allevamento L’allevamento ovino in Alpago è sempre stato di secondaria importanza rispetto a quello bovino, ciò nonostante esso ha avuto un ruolo non trascurabile nell’economia rurale: quasi ogni famiglia era proprietaria di alcuni capi (da 2 a 7 in media) che con- sentivano di soddisfare alcune necessità primarie, dall’alimentazione all’abbigliamento. La tradizionale tecnica di allevamento prevedeva che durante l’inverno ogni proprietario accudisse alle proprie pecore; queste venivano alimentate con foraggi grossolani e frasche, se non in prossimità del parto e durante la lattazione, quando la dieta si arricchiva con fieni più nutrienti ed appetibili; in estate gli ovini, raccolti in greggi più numerosi, venivano consegnati a pastori di professione, che li portavano negli alpeggi. Come detto, l’allevamento ovino era sempre subordinato a quello bovino; in malga infatti erano monticate prevalentemente vacche e manze alle quali venivano destinati i pascoli migliori. Le zone più impervie erano invece sfruttate dalle pecore, animali in grado di avvantaggiarsi anche delle scarse risorse delle zone più marginali. Alle quote più basse rimanevano le pecore in lattazione, mentre le sterpe, nate l’anno precedente, e le pecore non gravide erano mandate in alta montagna per gran parte del periodo del- l’alpeggio. Generalmente prima di arrivare in malga, agli inizi di maggio, gli ovini sfrut- tavano i pendii erbosi e i prati nelle vicinanze degli abitati; essi precedevano nell’Alpe le vacche, che venivano monticate solo nella prima decade di giugno. A fine settembre Pecore alpagote al pascolo 29 LE RAZZE OVINE AUTOCTONE DEL VENETO erano invece i bovini a scendere per primi, mentre le greggi li sostituivano sui pascoli abbandonati, usufruendo di quanto rimasto ancora per 15-20 giorni, finchè le condizio- ni atmosferiche lo consentivano. Durante il periodo di monticazione le pecore venivano munte due volte al giorno e il loro latte, in genere misto con quello vaccino, veniva trasformato in formaggio e ricot- ta. Per la mungitura gli animali in lattazione venivano radunati nel moltrin e di qui, ad uno ad uno, sospinti in uno stretto passaggio obbligato, il moldidor, dove veniva effet- tuata l’estrazione del latte. Poco prima della tosatura estiva, alla fine di agosto, le peco- re andavano in asciutta. Ciascun proprietario si occupava della rasatura del vello, scegliendo se provvedervi direttamente in malga o se farlo a valle. Talvolta, dietro adeguato compenso, incaricava il pastore stesso di eseguire l’operazione. Agli inizi di settembre le greggi si ricompo- nevano e alle pecore venivano aggiunte le sterpe e i montoni, fino ad allora tenuti sepa- rati: era il periodo delle monte, detto di fardjma. La maggior parte delle nascite aveniva nei mesi di gennaio e febbraio, essendo programmati per la produzione dell’agnello pasquale (Biblioteca Popolare di Chies e Codenzano). Rispetto al passato le modalità di allevamento non sono di molto cambiate. Tutt’ora, infatti, le pecore pascolano il più a lungo possibile cominciando a fine aprile dai prati di valle per terminare ad ottobre vicino ai paesi, dove, di ritorno dall’alpeggio, si soffer- mano ancora per qualche settimana. La durata media della monticazione si aggira sui 125 giorni per i bovini e 150 per gli ovini, ed è tra le più elevate della Provincia: essen- do le malghe localizzate nella fascia prealpina, sotto i 1.500 m s.l.m., ed in condizioni climatiche favorevoli, è possibile protrarre lo sfruttamento dei pascoli per un periodo più lungo che in altre zone del bellunese. Solitamente viene adottata la tecnica del pascolo a rotazione, e solo una volta con- sumato il foraggio disponibile entro una certa zona, gli animali vengono spostati in altri appezzamenti in cui l’erba, nel frattempo, è potuta ricrescere. In genere, a fine sta- gione, dopo il passaggio degli ovini, si procede al taglio dei residui rilasciati dagli animali, per evitare che le specie meno appetite od infestanti si diffondano. Nei prati- pascoli più comodi viene effettuata anche la fresatura del terreno, operazione finaliz- zata alla regolarizzazione della superficie, allo sminuzzamento degli scarti e quindi a garantire un migliore accrescimento della nuova vegetazione. In questo periodo si procede anche alla pulizia dei ricoveri, eliminando il letame prodotto nella stagione precedente. Durante l’inverno le pecore vengono rinchiuse nelle stalle. In questo periodo la loro dieta è prevalentemente costituita da fieno e insilato d’erba, con aggiunte in taluni casi di concentrato (granella di mais e orzo fioccato); in quasi tutte le aziende viene inoltre messo a disposizione degli animali il sale pastorizio. Il foraggiamento viene effettuato una volta al giorno, in genere al mattino. 30 Pecore Bellunesi Femmina e agnello alpagoti In alcuni allevamenti, soprattutto in quelli con un consistente numero di capi, si punta alla sincronizzazione delle nascite per adeguarsi all’andamento del mercato degli agnelli, caratterizzato infatti da una spiccata stagionalità. Invece, negli allevamenti di dimensioni minori viene, in genere, lasciato libero corso alla natura. Gli agnelli destinati al macello vengono allattati dalle madri per circa due mesi, mentre le femmine allevate per la rimonta, restano con le adulte per 150-180 giorni, durante i quali, oltre al latte, integrano la loro dieta con i foraggi o l’erba fresca. La quota di rimonta è stimata attorno al 15-25%. Negli ultimi anni vi è la tendenza ad allevare un maggior numero di agnelli con lo scopo di incrementare la quota delle fat- trici, visto l’intento più o meno comune di ampliare gli allevamenti. Abitualmente, pur essendo già fertili a 6-7 mesi, le agnelle vengono allontanate dalle pecore e dai montoni, per evitare che rimangano gravide prima di aver raggiunto il peso idoneo, pari ad almeno il 60-70% del peso vivo del capo adulto.
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