Comune Di Calvi

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Comune Di Calvi Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Caserta e Benevento COMUNE DI CALVI (PROVINCIA DI BENEVENTO) Progetto per lavori urgenti di recupero e messa in sicurezza delle parti comuni del Palazzo del "Principe Federico II" alla località Cubante nel Comune di Calvi (BN). RELAZIONE STORICA Il Collaboratore Tecnico (A.T. Andrea D’ANNA) Il Collaboratore alla Progettazione (A.T. arch. Ernesto SCARANO) Il Progettista (arch. Antonio Michele IZZO) Casino del Principe Il Casino del Principe o Palazzo del Cubante è una residenza fatta costruire dall'Imperatore Federico II di Svevia nella località agricola del territorio comunale di Calvi, presso Benevento. Inteso dall'imperatore come dimora per la caccia, il Casino deve il suo nome ai principi Spinelli di San Giorgio la Montagna, che lo possedettero dal 1593 ai primi del XIX secolo. La facciata principale (NW) e la torre con avancorpo (NE). Stato Italia Regione Campania Provincia Benevento Comune Calvi, località Cubante Indirizzo Via Federico II Coordinate 41°05′55.93″ N - 14°55′46″ E Condizioni Rudere (ad esclusione dell’ala SW) Costruzione Circa 1240 con interventi successivi Stile Gotico italiano Uso Residenza di caccia e di campagna, dogana, masseria, agriturismo Piani 2 Proprietario Frazionato in più proprietà Committente Federico II di Svevia Storia Gli accertamenti storici che il Casino del Principe sia stato, in origine, una residenza di Federico II di Svevia sono attribuiti allo storico locale Laureato Maio, che ha pubblicato uno studio nel 1982. In precedenza, la tradizione riteneva il casino appartenuto all'imperatore Federico Barbarossa e della presenza di un principe solitario che lì viveva. Allo stato attuale delle ricerche, si ritiene che il Casino del Principe fosse uno dei loca solatiorum, ovvero una delle residenze extraurbane che Federico II soleva far costruire in luoghi ameni del Sud Italia da utilizzare nel corso dei suio frequenti spostamenti dedicati alla caccia. La presenza di Federico II nella zona è attestata al 1229 quando era impegnato a riconquistare i territori che, in sua assenza, i beneventani soggetti al potere papale avevano occupato. Fra questi territori vi erano anche le terre fortificate più vicine al Cubante: Apice e Montefusco. Nel 1240, inaspritisi nuovamente i rapporti con papa Gregorio IX, Federico II tornò presso Benevento per cingerla d'assedio; verso maggio era «apud Apicem», terra che aveva appena acquisito per la morte senza eredi del vecchio feudatario. Se ne deduce che la costruzione del palazzo ebbe luogo già nel 1229 o, più probabilmente, nei primi anni quaranta. Nello Statutum de reparatione castrorum (1241-1246) appare infatti il palazzo del Cubante con il nome «domus domini imperatoris Apicii»: si specifica che la sua manutenzione, così come quella del castello di Apice, spettava agli abitanti di Apice, Grottaminarda, Morroni, Montemiletto, Bonito, Paduli, Montemalo, Pietramaggiore, San Severo e Negini. Forse fu dal palazzo che, nel 1243, Federico II scrisse una lettera a papa Innocenzo IV localizzandosi «apud Beneventum». Dopo la fine della dinastia sveva, Carlo d'Angiò mise in opera alcune trasformazioni al palazzo, come attestano alcuni documenti del 1271 e del 1274 in cui si ordinava la riparazione del tetto, delle porte e delle finestre. Con tali modifiche il palazzo venne dotato di alcuni caratteri di fortificazione, in linea con la tendenza di Carlo d'Angiò a non distinguere fra edifici residenziali e fortificati: da qui iniziò ad essere chiamato "castello" (castrum). In un processo del 1272 una serie di testimoni affermavano che l'abbazia di Santa Sofia di Benevento possedeva tutto il Cubante, fatta eccezione per il palazzo costruito «oltraggiosamente» (nei confronti del papa, probabilmente Gregorio IX) da Federico II. Anche se sono attestate fin dall'XI secolo pertinenze di tale monastero al Cubante, rivendicazioni così categoriche sembrano difficilmente conciliabili con il fatto che il palazzo doveva essere circondato da una defensa, ovvero riserva di caccia. Non fanno riferimento ad una defensa i documenti di età federiciana ma essa appare nel 1275, custodita da nove cittadini di Montefusco, e quindi doveva avere dimensioni notevoli. Nel 1278 custode del palazzo e della riserva era Tristano de Cantalupo, e si specificava che essa era appartenuta a Federico II. Lo sfruttamento della riserva da parte di estranei era regolamentato, come dimostrano le concessioni al provenzale Americo de Sus di tagliarvi la legna (1278) e ai beneventani di portarvi animali al pascolo (1279). Nel 1284 la stessa abbazia di Santa Sofia ottenne di tagliare la legna nella defensa del Cubante e qualche altra autorizzazione; in tale anno custode della tenuta era il già citato Americo de Sus. Nei secoli successivi, Santa Sofia continuò a possedere alcuni terreni al Cubante. Nel 1407 il re Ladislao di Durazzo utilizzò il palazzo in vista dell'occupazione di Benevento, che mise in atto l'anno successivo. Ancora, nel 1460 vi risiedette Ferdinando I d'Aragona durante la guerra contro gli Angioini; egli dovette effettuare qualche altro lavoro di ristrutturazione. Ferdinando, in seguito, donò alla universitas di Montefusco il feudo del Cubante con il palazzo federiciano ed un altro edificio, detto "Cancellaria". In seguito a varie usurpazioni, nel 1484 si procedette alla reintegrazione del Cubante in favore della universitas, riconfermata nel 1512 in risposta a tentativi di ricorso. Nel frattempo, il palazzo federiciano doveva aver svolto il ruolo di dogana, come sembra suggerire l'atto del 1499 con cui si dava il feudo di Montefusco a Giovanni Borgia. Il casino degli Spinelli e l'abbandono Nel 1582 la universitas di Montefusco, di nuovo vittima di usurpazioni al Cubante che avevano intaccato anche il suo possesso sul palazzo, vendette la parte di cui rimaneva in possesso a un privato, Oratio Botta. Dopo solo pochi anni, nel 1593, il palazzo del Cubante e tutto il feudo (fatte salve le porzioni ancora nelle mani di usurpatori) furono messi in vendita in un'asta giudiziaria: se li aggiudicò Pier Giovanni III Spinelli, barone di San Giorgio. Nel 1638 suo figlio Giovanni Battista III ebbe il titolo di principe: tale titolo, perduto dai suoi discendenti nel 1689, fu recuperato nel 1717 da Carlo III Spinelli. Egli, contrariamente alla tendenza di molta nobiltà locale a trasferirsi a Napoli, ebbe cura di restaurare il palazzo federiciano per adibirlo a propria residenza di campagna, procurandogli così il nome "Casino del Principe" con cui è stato designato in seguito. È significativo che nel 1762 Luigi Specioso, figlio di Carlo, nel rilasciare i suoi feudi al fratello Giovanni Crisostomo perché risiedeva altrove, volle comunque tenere pieno possesso del palazzo del Cubante, con le sue pertinenze, fino alla morte. Nella prima metà del XIX secolo i beni degli Spinelli finirono frazionati fra più proprietari. Molti di essi furono gradualmente acquistati dal parroco di San Giorgio, Domenico Nisco, già amministratore per conto del principe Domenico Spinelli. Attorno al 1840 gli fu assegnato il Casino del Principe e nel 1873 suo nipote Nicola acquistava formalmente quanto rimaneva dei possedimenti degli Spinelli al Cubante. In seguito ai cambi di proprietà, il Casino del principe subì ulteriori alterazioni, divenendo una masseria suddivisa in piccole case contadine. Così fu impiegato fino ai terremoti del 1962 e del 1980, che causarono il suo abbandono quasi totale e, conseguentemente, il decadimento delle strutture. Nel 1989 il Casino del Principe è stato riconosciuto di "interesse particolarmente importante" dall’allora Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Al 2015 risultava suddiviso fra cinque proprietari, fra cui il comune di Calvi ed un privato che ivi possiede un agriturismo. Descrizione In linea con le scelte che Federico II operò anche altrove per le sue residenze, la domus del Cubante si trova in un punto panoramico, vicino a strade, boschi e corsi d'acqua, sulla sommità di una collina che guarda il corso del fiume Calore distante soli 300 metri. A ovest essa è delimitata da un torrente, il vallone San Giovanni, che si riversa nel citato fiume. A circa 1,5 km di distanza il fiume Calore è attraversato dal ponte Appiano della via Appia, che probabilmente era ancora usato ai tempi dell’imperatore e che cadde in rovina solo successivamente. Nella zona sono anche venuti a mancare i boschi dove Federico II si dedicava alla caccia, boschi la cui esistenza è ben documentata storicamente. L'architettura dell'edificio appartiene ad una tipologia che si trova anche nelle residenze federiciane di Gravina di Puglia (coeva o precedente), di Palazzo San Gervasio e di Marano di Napoli (più tarde). L'edificio originario è costruito per la maggior parte in muratura a sacco con paramenti in ciottoli di fiume; il complesso ha una pianta quasi quadrata con gli angoli orientati verso i quattro punti cardinali. Le suddivisioni interne sono definite a partire da una griglia quadrata di 4×4 con una corte interna (molto alterata in seguito). Alla pianta del palazzo federiciano vanno aggiunte quattro esili torrette, addossate all'esterno durante la ristrutturazione voluta da Carlo d'Angiò (in maniera simile a quanto avvenuto alle altre tre residenze citate). L'ala frontale è quella nordoccidentale, più elevata delle altre. Qui si trova anche l'unico accesso al palazzo. Il portale in pietra è ottocentesco, ma attorno ad esso rimangono alcuni elementi in tufo che contornavano quello originario, a partire da un arco a sesto acuto che inquadrava una nicchia circolare, presumibilmente con decorazioni scultoree. Ai due lati del portone sporgono dal muro anche due capitelli, inseriti su brevi tratti di semicolonna, che potrebbero costituire probabili piedistalli di statue che si integravano con la nicchia. I due vani ai lati dell'androne dovevano essere di servizio e poco illuminati. Solo quello di sinistra conserva le aperture originali, ovvero due monofore frontali e, sul muro a sinistra della facciata, un oculo in tufo a doppia strombatura. Quest'ultimo elemento, che ricorre per tutto il palazzo, sarebbe il più antico del genere in Campania.
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