UNIVERSITÁ DEGLI STUDI ROMA TRE

Corso di Laurea in Lettere Moderne: letteratura e linguistica italiana

Joyce Lussu e «Noi donne» (1949-1953)

Candidata: Giada Iman Ferru Matr. 520238

Relatrice: Prof.ssa Laura Fortini

Anno Accademico 2019/2020

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Indice

Introduzione p. 4

1. La vita e l’opera di p. 5

1.1. Portrait: come Joyce Lussu si rappresenta p. 7 1.2. Joyce L.: Una vita per p. 12 1.3. Joyce Lussu e la costruzione del mondo a partire da sé p. 15 1.4. Joyce Lussu protagonista femminile del Novecento p. 17

2. Joyce Lussu e la collaborazione con «Noi donne» p. 22

2.1. Contributi del 1949 p. 26 2.2. Contributi del 1950 p. 30 2.3. Contribuiti del 1951 p. 34 2.4. Contributi del 1952 p. 37 2.5. Contributi del 1953 p. 40

Materiale fotografico p. 42

Bibliografia p. 43

3 Introduzione

Questa tesi di laurea è dedicata alla vita e all’opera di Joyce Lussu: partigiana, scrittrice, poeta, dirigente dell’UDI, attiva nel movimento delle donne in Sardegna, nei movimenti della pace, nella difesa della memoria della storia locale marchigiana, nella difesa delle minoranze, nella lotta per l’istruzione, per i diritti delle donne. La mia attenzione, in particolare, si è soffermata sulla collaborazione che la scrittrice intraprende nel 1949 con la rivista “Noi donne”, organo ufficiale di stampa dell’Unione Donne Italiane, che lascia bruscamente nel 1953. I soli quattro anni di pubblicazione nella rivista risultano un’importante testimonianza dell’attenzione che Lussu pone a varie tematiche volte alla tutela dei diritti umani. La mia curiosità nei confronti di Joyce Lussu nasce sicuramente dai molteplici campi di interesse di cui si è occupata la scrittrice, ma sono state le origini sarde comuni, le mie di sangue, le sue acquisite, che hanno permesso un approccio sempre più approfondito della sua vita e del suo operato. La lotta per l’autonomia della Sardegna e per l’autonomia delle donne sarde occupa un’importante parte nella vita di Joyce Lussu: il legame, invisibile ma tenace, con l’isola le aprirà la strada verso il Terzo Mondo, impegnandosi negli anni successivi nei movimenti della pace. Recandomi questa estate in Sardegna ho potuto passeggiare per le vie di Armungia, paese che si trova nella subregione del Gerrei, paese natio di Emilio Lussu, dove attualmente vive il nipote della coppia, Tommaso Lussu, uno dei fautori dell’Associazione Casa Lussu, volta a favorire il mantenimento della memoria della figura di Emilio e di Joyce Lussu. In un caldo 12 agosto ho potuto visitare il Museo Storico “Emilio e Joyce Lussu”, che ha sede all’interno della Casa del Segretario, da cui emerge l’attenzione al rapporto di Joyce Lussu con l’isola ma soprattutto con Armungia, che ha visitato l’ultima volta nel maggio del 1998, circa sei mesi prima della sua morte, avvenuta il 4 novembre dello stesso anno. L’attenzione che la scrittrice riservava alla Sardegna si può riscontrare in alcuni articoli della rivista «Noi donne», schedati nel secondo capitolo, che testimoniano l’impegno della scrittrice per l’autonomia delle donne sarde e l’intenso lavoro che compì all’interno della rivista, pubblicando attivamente per quattro anni. La tesi è composta da due capitoli: il primo capitolo tratta della biografia di Joyce Lussu, ripercorsa attraverso quattro opere di fondamentale importanza: Portrait, il volume autobiografico della scrittrice; Joyce L. Una vita contro, volume di Silvia Ballestra che contiene diciannove conversazioni incise su nastro, tenute con Lussu dal 1994 al 1996; Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu, di Federica Trenti che nasce da una tesi di laurea per poi svilupparsi in un analisi ampia e puntuale della vita e dell’opera della scrittrice; Joyce Lussu, Una donna nella storia a cura di Luisa Maria Plaisant, volume miscellaneo in quattordici studi e profili. Il secondo capitolo tratta della collaborazione di Joyce Lussu con la rivista «Noi donne», su cui pubblica attivamente dal 1949 al 1953, e vi sono riportati in forma di scheda descrittiva articoli a firma della scrittrice che evidenziano l’attenzione che Lussu ebbe verso varie tematiche come l’infanzia, le donne, la cultura, impegnandosi nella difesa delle categorie più deboli della società. La mia ricerca ha mostrato come Joyce Lussu ai primi anni del Novecento abbia sfidato una società a misura d’uomo, per portare avanti la sua lotta in favore della salvaguardia dei diritti umani, della diffusione della cultura e della parità uomo-donna. La partecipazione attiva in molti ambiti ha reso Joyce Lussu una protagonista del Novecento, in tutti i cambiamenti che il secolo ha prodotto, donando sempre un proprio e personale contributo volto all’incontro con l’altro.

4 1. La vita e l’opera di Joyce Lussu

La vita di Joyce Lussu ed il suo operato vengono analizzati nel capitolo che segue tramite l’analisi di quattro contributi, uno autobiografico, due biografici ed uno miscellaneo che termina analizzando tematiche centrali nella vita della scrittrice. Portrait è il volume autobiografico di Joyce Lussu dove la scrittrice ricorda gli avvenimenti fondamentali del suo vissuto, evidenziando il rapporto tra Emilio Lussu e scrivendo «Emilio era l’unico che approvasse completamente il mio sdegno e le mie rivendicazioni. Il rapporto di coppia era per lui un rapporto di parità, e mai gli sarebbe venuto in mente di propormi un ruolo subalterno o di considerarmi incapace di affrontare rischi e iniziative autonome».1Se in Portrait l’attenzione della scrittrice è posta spesso sull’analisi del proprio rapporto di coppia, in Joyce L. Una vita contro,2 volume di Silvia Ballestra che consiste in diciannove conversazioni che la scrittrice ebbe con Joyce Lussu, l’accento è posto sulle opinioni che Lussu aveva su svariati argomenti come la religione, la storia, l’istruzione, la guerra. Il contributo a firma di Federica Trenti,3 invece, offre un’analisi delle tappe fondamentali della vita della scrittrice soffermandosi sul ruolo di Joyce Lussu nella storia, durante la guerra, nei movimenti per la pace, essendo un volume nato da una tesi di laurea in Discipline Storiche presso l’Università di . La miscellanea,4 infine, si propone di analizzare gli ambiti in cui la scrittrice fu di fondamentale importanza, come nella questione femminile, nell’autonomia della Sardegna, nei movimenti di pace, nella rivalutazione della storia locale marchigiana. Joyce Lussu presenta nella sua vita delle tappe fondamentali ripercorse dalla maggior parte dei volumi, che hanno contribuito a fondare l’immagine di una donna anticonvenzionale e totalmente libera da ogni costrizione imposta dalla società. Il primo elemento da analizzare nella vita della scrittrice, che fu la base per la costruzione di una vita di lotta, fu l’educazione ricevuta dai genitori, Giacinta Galletti e Guglielmo Salvadori, antifascisti, amanti della cultura, che insegnarono ai figli il valore della giustizia, del libero pensiero, della conoscenza come unico mezzo per non avere padroni. Spesso sono ricordate le origini inglesi della scrittrice, alle quali Lussu fa risalire la lotta per l’emancipazione femminile, lotta perseguita dalle nonne inglesi che sposarono uomini marchigiani. Il 1924 fu un anno importante per la scrittrice per l’aggressione da parte dei fascisti a Guglielmo Salvadori, padre di Joyce Lussu, dichiaratamente antifascista; da quell’episodio si decise il trasferimento in Svizzera. In Svizzera Lussu frequentò la Fellowship School, scuola istituita da pacifisti dopo le stragi della prima guerra mondiale, basata sui principi di non violenza e fratellanza tra i popoli. Il 1929 fu l’anno di fondazione di Giustizia e Libertà, movimento fondato da esuli antifascisti, tra cui Emilio Lussu, a cui prese subito parte anche Joyce Lussu. Nel 1932 fu impegnata in una missione di collegamento tra i prigionieri dell’isola di Ponza, tra cui il fratello Max, e i compagni di Giustizia e Libertà, che consisteva nel consegnare un piano di fuga dei prigionieri a Mister Mill, nome in codice di Emilio Lussu.

1 Joyce Lussu, Portrait, Ancona, Transeuropa, 1988, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, prefazione di Giulia Ingrao, p. 78. 2 Silvia Ballestra, Joyce L.: Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012 3 Federica Trenti, Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu. Vita e opera di una donna antifascista, Sasso Marconi (BO), Le Voci della Luna, 2009. 4 Joyce Lussu: Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, , CUEC editrice, 2003. 5 Il 1932 fu anche l’anno del comizio di Hitler ad Heidelberg, città in cui Lussu frequentava la facoltà di filosofia, dopo il quale la scrittrice decise di abbandonare la Germania e riprendere i contatti con i compagni di Giustizia e Libertà. Gli anni dal 1932 al 1938 furono gli anni africani, oscurati volutamente da Lussu, in cui la scrittrice sposò Aldo Belluigi, un giovane “possidente di condotta regolare”, ed insieme al fratello Max e la nuora si recarono in Kenya con il progetto di avviare un’azienda agricola, che si rivelò fallimentare. La separazione tra i due coniugi avvenne poco tempo dopo la partenza in Africa, probabilmente per la grande distanza di idee soprattutto politiche, Lussu lasciò l’Africa nel 1938. Nel 1940 Joyce Lussu ed Emilio Lussu furono tra la folla di profughi in fuga da Parigi, appena occupata dai tedeschi; giunsero a Marsiglia dove Lussu si dedicò alla contraffazione di documenti per molti ebrei ed antifascisti desiderosi di imbarcarsi per raggiungere Casablanca e poi l’America. Nel 1942 Emilio Lussu era a Londra impegnato nelle trattative per la progettazione di uno sbarco in Sardegna da parte degli alleati, mentre Joyce Lussu era la sola donna nel campo di addestramento militare. Nel 1943 Joyce Lussu assistette all’occupazione di Roma, poco dopo fu impegnata nella missione per mettere in comunicazione il Comitato di liberazione nazionale (Cln) con il Sud Italia, progressivamente abbandonato dai tedeschi ed occupato dagli alleati. Il 1944 fu l’anno del matrimonio civile tra Joyce ed Emilio Lussu e la nascita, nel giungo dello stesso anno, del loro primo ed unico figlio, Giovanni, in una Roma liberata. Nel settembre del 1944 Joyce Lussu era in Sardegna, isola dilaniata dalla miseria e dalle malattie, e con Nadia Spano parteciparono alla lotta per le donne che portò nel 1952 al primo Congresso delle donne sarde. Dal 1949 al 1953 Joyce Lussu fu nel direttivo dell’Unione donne italiane, nonché molto attiva nella redazione della rivista «Noi donne», organo ufficiale dell’associazione. Nel 1955 la scrittrice era impegnata nei movimenti per la pace, e nello stesso anno a Stoccolma conobbe Nazim Hikmet, poeta turco con il quale trasformò il compito di delegata del movimento della pace in traduttrice di poesie. Nel 1961 la scrittrice fu impegnata nelle traduzioni di Agostinho Neto, futuro presidente dell’Angola, incarcerato a Lisbona, dando vita, dopo la fuga di Neto, all’Associazione per i Rapporti con i Movimenti Africani di Liberazione. Nel 1965 Lussu assunse l’incarico di organizzare in Italia una sezione del Tribunale Russel. Nel 1968 partecipò alle proteste dei ragazzi del Sessantotto e poi al femminismo degli anni Settanta. Nel 1975 Emilio Lussu morì all’età di 94 anni, a Roma, e Joyce Lussu tornò nella casa della sua infanzia nelle . Nel 1977 Lussu guidò un gruppo di studio per promuovere ricerche di storia locale marchigiana, promuovendo incontri nelle scuole sulla Resistenza, sulle differenze di genere, sul popolo curdo. Il 4 novembre del 1998 Joyce Lussu, in seguito ad una parziale cecità e difficoltà sempre maggiori di deambulazione, morì in una clinica romana.

6 1.1. Portrait: come Joyce Lussu si rappresenta

Portrait (cose viste e vissute) era il titolo della prima edizione del 1988 pubblicato da Transeuropa di quello che oggi è: Portrait.5 Il titolo precedente, corredato di sottotitolo, risulta essere più specifico prefigurando il contenuto del libro stesso. Con il sostantivo “cose” si voleva forse specificare che l’autobiografia comprende la totalità del vissuto concreto ma anche astratto cercando di creare una commistione di fatti e pensieri. Il volume presenta una prefazione di Giulia Ingrao che ripercorre molto brevemente le tappe fondamentali della vita della scrittrice per poi lasciare il posto a delle pagine introduttive che riportano un brano tratto da: l’acqua del 2000 di Joyce Lussu. Mettendo in atto la scelta editoriale di riportare questo brano in apertura del libro Giulia Ingrao nota come il cibo, ma soprattutto il rapporto umano che ne consegue, abbia avuto un ruolo predominante nella vita della scrittrice. Il volume è ripartito in dodici capitoli tramite degli spazi bianchi sprovvisti di titolo che però scansionano i numerosi periodi della vita di Joyce Lussu. Nel primo capitolo la scrittrice tratta della sua nascita, avvenuta a Firenze nel 1912, descrivendo anche la sua costellazione famigliare e soffermandosi in particolar modo sui genitori, il padre Guglielmo Salvadori libero docente di filosofia all’Università di Firenze e la madre Giacinta Galletti, ottima disegnatrice e pittrice. La scrittrice riserva inoltre grande attenzione a entrambe le nonne evidenziando come la loro origine inglese abbia determinato il loro stile di vita libertino, antipapale, slegato dalle costrizioni tipiche del tempo. Joyce Lussu racconta della sua formazione da autodidatta curata da entrambi i genitori con letture vaste ed eterogenee come l’Ariosto, Don Chisciotte, Orazio, Longfellow in lingua originale oltre ai libri di storia e di letteratura, di viaggi, di poesia e di filosofia, le sacre scritture come la Bibbia, i Vangeli, la mitologia classica, il Corano, il Bhagavad Gita, le massime di Confucio, i sogni di Lao Tse. Nel secondo capitolo la scrittrice ripercorre le prime esperienze del fascismo e della conseguente fuga con la sua famiglia dall’Italia per le posizioni antifasciste dei genitori. Se infatti nei propri genitori la scrittrice vedeva il simbolo dell’antifascismo, nel nonno paterno, proprietario terriero, vedeva il vessillo del fascismo, spartiacque che divise Guglielmo Salvadori e Giacinta Galletti dalle loro radici famigliari rinnegandole. La scrittrice osserva come la sua coscienza politica si sia sviluppata precocemente attraverso la descrizione di due episodi che hanno caratterizzato la sua infanzia. Il primo episodio riguarda le elezioni del ’21 quando è stata picchiata da uno squadrista per non aver rinnegato la sua precoce avversione per il regime; il secondo episodio riguarda invece le torture che subisce Guglielmo Salvadori dagli squadristi quando Joyce Lussu ha dodici anni. Per le conseguenze che potevano scaturire dall’aggressione da parte delle squadre fasciste la scrittrice ricorda come la sua famiglia decide di scappare in Svizzera dove Emma Thomas, una conoscente di origine inglese, dirigeva una scuola di tipo nuovissimo, situata tra Losanna e Ginevra, chiamata Fellowship School, esperimento di una nuova didattica basata sui principi di non violenza. Della Fellowship School Joyce Lussu ricorda soprattutto i variopinti compagni: c’era la famiglia olandese Prins (genitori docenti e figli discenti), i fratelli Georg e Charlotte Metz tedeschi, Alexander Katznatcheff pallido adolescente russo che aveva perso in genitori nel trambusto della Rivoluzione di Ottobre e aveva peregrinato con la nonna in mezzo a tremende violenze; Wanda polacca, Karl

5 Joyce Lussu, Portrait, Roma, L’asino d’oro, 2012. 7 ungherese, Walter gallese, David afro-americano, Joan che veniva dalla Tasmania, Zouzou Zézette e Georgette francesi, e tanti altri.6

Nel terzo capitolo continua il racconto delle diverse peregrinazioni nella Svizzera italiana tedesca e francese ospite di pastori di sette varie e stravaganti e del periodo trascorso in un castello, lo château de Martheray, situato a Begnins, un villaggio vicino Gland. La scrittrice racconta di essere scesa in Italia in varie occasioni, per affrontare gli esami di licenzia ginnasiale e liceale, per distribuire stampa antifascista ai compagni di Giustizia e Libertà o per andare a trovare il fratello in carcere, arrestato nel 1932. Evidenzia inoltre come le visite italiane fossero contraddistinte da due oasi paradisiache destinate ad accoglierla: Villa Marina a Porto San Giorgio di proprietà ormai dei suoi zii e Palazzo Filomarino a Napoli da Benedetto Croce. Joyce Lussu ricorda il primo incontro con Benedetto Croce a diciassette anni munita di poesie, racconti e un dramma in cinque atti a sfondo politico, offrendo una descrizione molto accurata del momento in cui Croce passa al vaglio le sue opere «Leggeva con rapidità incredibile, voltando le pagine una dopo l’altra, col naso che quasi toccava il foglio; tanto che pareva che non usasse gli occhi, ma che aspirasse le parole scritte con la proboscide».7 Nel quarto capitolo la scrittrice si accinge a ricordare gli anni del suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, riportando le prime esperienze autonome come il lavoro da istitutrice presso una famiglia napoletana nel Bengasi e l’esperienza universitaria alla facoltà di filosofia di Heidelberg. Importante risulta essere quest’ultima per il comizio di Hitler al quale Lussu pensa di opposi con un discorso che non ha però la possibilità di pronunciare: ricorda come già la sera prima avevano cominciato ad affluire in città gruppi di nazisti in uniforme e di come l’indomani la città era in stato di assedio ed il discorso di Hitler veniva diffuso con auto parlanti potentissimi ovunque, interrotto solo dal fragore degli applausi e delle canzoni patriottiche. Nel quinto capitolo Joyce Lussu tratta della prima missione e dell’incontro con Emilio Lussu, uno dei maggiori esponenti di Giustizia e Libertà, un gruppo animato da un robusto spirito rivoluzionario, molto attivo nei rapporti con l’Italia e nell’organizzare gruppi di azione. La scrittrice descrive la prima missione compiuta per compagni di Giustizia e Libertà che le affidano un lungo messaggio su una sottile striscia di carta che nasconde nel manico della sua valigia. Quel messaggio contiene il piano d’evasione dei confinati dall’isola di Ponza, dove è imprigionato anche Max, suo fratello maggiore, da consegnare solo ed esclusivamente ad Emilio Lussu, che fissa un appuntamento a Ginevra nella casa del repubblicano Chiostergi. L’amore per Emilio, scrive Lussu, è stato «immediato e totale»8 premessa «per un grande amore e una robusta militanza comune»9. Evidenzia inoltre come nella vita clandestina la loro relazione si rivela particolarmente preziosa poiché per la polizia di allora il rivoluzionario era un individuo irregolare, scostante, antisociale. La scrittrice osserva come Emilio Lussu le abbia insegnato molteplici cose ed in particolare come le abbia delineato una più precisa analisi della lotta di classe grazie soprattutto all’esperienza della prima guerra mondiale, in cui era ufficiale di una brigata speciale nella quale gli ordini venivano dati in sardo. La scrittrice passa poi al ricordo dell’aggressione di Emilio Lussu avvenuta intorno alla fine del 1926 da degli squadristi, e di come il militare si difese con le armi uccidendone uno. La famiglia dello squadrista non si costituì parte civile anzi riconobbe che Lussu aveva agito per

6Joyce Lussu, Portrait, p. 42. 7 Joyce Lussu, Portrait, p. 53. 8 Joyce Lussu, Portrait, p. 65. 9 Ibid. 8 legittima difesa: i magistrati di allora lo assolsero ma il governo lo rinchiuse ugualmente in carcere al confino di , da cui evase con Nitti e Rosselli alla fine del 1929. Gli anni parigini con l’esperienza dell’occupazione vengono descritti nel sesto capitolo del volume che ha inizio con il 1940, anno in cui la Francia cade sotto l’occupazione tedesca. La scrittrice racconta di come lei ed Emilio Lussu attraversarono la Francia nella folla di profughi sperando di incontrare un nucleo di resistenza armata alla quale unirsi. Scesi nel sud fino ai Pirenei trovarono dei compagni italiani e francesi tramite i quali riallacciarono contatti con le organizzazioni clandestine. La scrittrice si sofferma sulla disparità di genere che attanagliava anche quei gruppi armati della Resistenza, dove il suo compagno era l’unico che considerava il rapporto di coppia in estrema parità, scrivendo: io ero irriducibilmente convinta che alla donna non spettassero le retrovie della storia, ma la prima linea. Avevo una gran fiducia nelle mie consorelle. […] Le antenate in cui mi riconoscevo erano le donne della Comune di Parigi, delle leghe contadine, del movimento operaio; e non le femministe e suffragette, strutturalmente antiproletarie, come avevano dimostrato le loro reazioni alla Rivoluzione d’Ottobre e l’insorgere del fascismo.10

Il capitolo successivo è dedicato all’esperienza di tre mesi nel campo di addestramento a pochi chilometri da Londra sulle rive del Tamigi, destinato ai soldati dei paesi occupati dalla Germania, per essere poi paracadutati nel paese occupato per organizzare la guerriglia. Joyce Lussu ricorda di essere stata la sola donna presente nel campo e di essere stata assegnata al quartiere delle ausiliarie britanniche, dove le donne non conoscevano le armi e non venivano addestrate per usarle, ma avevano mansioni di dattilografe e autiste. Con molta fatica Lussu afferma di aver poi ottenuto un addestramento simile a quello che era riservato agli uomini, corredato di un corso che trattava di tutto ciò che sarebbe stato utile per la guerra urbana come le comunicazioni in alfabeto Morse, inchiostri simpatici, codici cifrati; ma anche ordigni di sabotaggio mimetizzati come oggetti di uso comune, composizione ed uso di vari veleni, addestramento all’utilizzo dell’arma bianca fino alle armi da fuoco. La scrittrice attesta di aver poi tenuto una sola arma personale che ha con sé nel 1943 quando Roma è occupata dalle truppe tedesche. L’esperienza della seconda città occupata spinge Joyce Lussu ad accettare la seconda missione che consiste nel creare un collegamento con Cln (Comitato di liberazione nazionale) che si era imposto nell’Italia settentrionale e il governo che si era costituito nel meridione liberato dai tedeschi. La scrittrice correda il suo racconto della data di partenza, il 20 settembre 1943, quando, con vari treni e una notte passata all’aperto, giunge a dodici chilometri da Benevento che era per metà completamente distrutta. Ricorda le sensazioni, soprattutto olfattive, dei cadaveri imputriditi sotto il sole ed in particolare di un corpo carbonizzato davanti ad una casa, vicino ha brandelli di uniforme, l’uniforme di un aviatore americano. Questo ricordo offre a Joyce Lussu la possibilità di iniziare un’invettiva contro le donne che mandavano i loro uomini a combattere in guerra mentre loro erano a casa al sicuro:

Dove sono le tue donne? Pensavo guardandolo. Dov’è tua madre, che fin da piccolo ti metteva in mano il fucilino e la piccola colt perfettamente riprodotta dicendo che non dovevi giocare con le bambole? Dov’è tua sorella, che la notte sogna un eroe con molte medaglie? Dov’è la tua ragazza, che ti veniva a prendere il

10 Joyce Lussu, Portrait, p. 79. 9 sabato sera all’accademia militare, per esibire davanti alle sue amiche la tua bella uniforme da pilota? Dove sono le tue donne, che ti hanno mandato solo in questo scannatoio, così lontano dalla tua terra.11

È evidente che la scrittrice promuove, con le azioni da partigiana e donna attiva nella lotta in prima linea, un nuovo modello femminile, un modello emancipato, un modello che chiama ed incita le donne ad avere un ruolo da protagoniste come gli uomini e prosegue nella narrazione con il racconto del ritorno dopo aver compiuto la missione ed aver messo in comunicazione il Cln con i territori meridionali liberati. Lussu evidenzia una comunanza tra sé stessa e le umili persone che incontra passato il fronte e che definisce come la sua gente: pastori, contadine che avevano una concreta umanità e che, nonostante la loro vita povera, lottavano con i mezzi che avevano a disposizione. Joyce Lussu termina il capitolo descrivendo l’esperienza della maternità che si intreccia con quella della guerra. Nella prima gravidanza racconta di essere stata costretta ad un aborto clandestino per la sua vita piena di rischi, dati soprattutto dalle molteplici fughe dall’Ovra e dalla Gestapo. 12 La maternità, infatti, occupa il capitolo successivo dove racconta della nascita del figlio Giovanni nel giugno del 1944 in una Roma liberata. Nel capitolo seguente Joyce Lussu si focalizza sul contributo dato alla questione femminista in un periodo nel quale l’Udi non era un organo ancora completamente organizzato; viene evidenziato inoltre l’impegno per il Partito socialista, soprattutto nel ruolo di oratrice, che incoraggia le donne dei compagni ad assistere ai suoi interventi. Ricorda inoltre di essere stata anche la responsabile nazionale femminile del Psi e dirigente dell’Udi ma che le riunioni delle sole donne le sembravano riduttive, come quelle dei soli uomini ed anche poco rappresentative per la moderna lotta di classe, e che quindi il femminismo necessitava di “un abito nuovo”. Per questo ricorda di essersi trovata molto meglio con le ragazze del ’68 o con le giovani femministe della generazione successiva. Nelle pagine successive la scrittrice confessa di essersi sentita in un ruolo subordinato al marito, agli occhi della società, dopo che Emilio Lussu diventò deputato nel ministero Parri e nei successivi De Gaspari e che quindi, come soluzione, Lussu decise di occuparsi della questione Sardegna dove riesce, con poche compagne, a mobilitare i partiti per organizzare convegni che riunirono lavoratrici, casalinghe, contadine giunte dai più remoti villaggi per istruirle su che cosa fosse l’autonomia delle masse isolane. Ma anche nell’isola, osserva la scrittrice, venne considerata un surrogato di Emilio Lussu. Gli orizzonti che le si aprirono sono descritti nei capitoli successivi nei quali sono narrati molti viaggi come ambasciatrice dei movimenti per la pace, e vedono impegnata la scrittrice come mediatrice culturale, traducendo poeti del terzo mondo sconosciuti in Italia. Vi si afferma di promuovere quel tipo di scrittura poetica che usufruisce delle virtù sintetiche della poesia per farne un veicolo di conoscenza, riscontrando quell’efficacia nella parola che soddisfa la sua continua ricerca dell’autentico, che aveva già potuto incontrare nei contadini, nei pastori, nelle donne sarde. Il primo periodo ad essere ricordato è quello turco contraddistinto dall’incontro con Nazim Hikmet. La scrittrice ricorda di aver conosciuto di persona il movimento di liberazione curdo in un viaggio

11 Joyce Lussu, Portrait, p. 90. 12 Questo elemento può essere fondamentale per ricollegare l’esperienza personale dell’autrice con la triste storia riportata nell’articolo La bambina, in «Noi donne», 24 luglio 1949, nel quale racconta la storia di una madre che dolorosamente perde la figlia di pochi giorni. Sul finale potremmo riscontrare, in forma di voce autobiografica, un secondo cenno poiché la madre della storia è nuovamente incinta, come Joyce Lussu che darà alla luce, in una Roma liberata, un figlio, Giovanni. 10 in Turchia dove avrebbe incontrato, sulle montagne sopra la città di Ranya, a Sangasàr nel suo quartier generale, Mustafà Barzani, la guida del partito Democratico del Kurdistan, capo militare dei partigiani curdi, i “peshmarga”, letteralmente “primi davanti alla morte”. Il secondo periodo è quello africano durante il quale Joyce Lussu racconta di essersi occupata di un poeta angolano chiuso in carcere a Lisbona, Agostinho Neto, costringendo Alberto Mondadori a proporle un contratto per tutte le opere del poeta e facendo in modo che il caso del poeta incarcerato divenisse un caso mediatico. Dopo la libertà vigilata e provvisoria di Agostinho Neto e la conseguente fuga in Marocco, Joyce Lussu lo raggiunse, ricordando molto bene le lunghe marce nelle file dei guerrieri. I capitoli successivi sono dedicati a vari argomenti trattati brevemente che contraddistinguono la vita della scrittrice dagli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta con gli studi di storia locale delle Marche dei quali fu promotrice; con il Sessantotto, anno nel quale la scrittrice afferma di essere stata molto attiva con assemblee e manifestazioni fino al 1971: anno in cui ricorda l’insorgere dello “strillo femminista” che arricchisce il movimento giovanile di una componente necessaria; anno importante il Settantuno anche per la nascita del primo nipote. Il 1975 si caratterizza come l’anno del lutto poiché Emilio Lussu, compagno di vita e di lotta, muore i primi di marzo. La scrittrice riporta due poesie a lui dedicate che sottolineano l’importanza del loro legame sentimentale ma anche intellettuale che, come emerge dalla lettura del volume, influenza Joyce Lussu nelle sue opere e nelle sue scelte di vita «la più grande gioia era di raccontare a Emilio. Forse, come Sinbad il marinaio, cercavo le avventure solo per poterle raccontare».13Si può infatti supporre che questa influenza non implichi però una subordinazione di genere ma un continuo flusso di pensieri e scambi alla pari, che rendono necessario e piacevole il confronto che diviene, in questo modo, un punto di incontro di due vite autonome l’una dall’altra. Dopo la morte del marito la scrittrice si trasferisce nelle Marche, nella casa di campagna che era stata dei suoi antenati. Dona le carte di Emilio ad un gruppo di giovani amici sardi che le riordinarono e le misero a disposizione degli studiosi. Gli ultimi anni si contraddistinguono per i numerosi viaggi in Sardegna, visite a figli e nipoti, tavolate con amici ed amiche, letture e studi, convegni in Italia e all’estero sulla pace, sull’ecologia, sul femminismo.

13 Joyce Lussu, Portrait, p.112 11 1.2. Joyce L.: Una vita per

Silvia Ballestra è l’autrice di Joyce L. Una vita contro,14diciannove conversazioni incise su nastro in cui la scrittrice si racconta seguendo il filo delle domande poste da Ballestra. Il volume presenta le registrazioni disposte in ordine cronologico, raccolte tra 1994 e 1996, nella casa di San Tommaso. In poche righe introduttive Silvia Ballestra ricorda il primo incontro avvenuto con la scrittrice nel 1991, cercando di rievocare l’atmosfera della casa di Joyce Lussu, luogo in cui si riunivano le “streghe” ammantate in scialli per discutere e divertirsi. Subito dopo Ballestra confessa di essere legata a Lussu da un remoto vincolo di parentela, discendendo entrambe da due “tribù” anglo- marchigiane, per le nonne inglesi che avevano sposato uomini marchigiani. Ballestra ricorda, inoltre, di essere sempre stata affascinata dal personaggio di Joyce Lussu così come raccontato in famiglia, dalle sue avventure riportate come fosse l’eroina di una storia. Il volume ha inizio con le registrazioni del primo semestre 1994, in cui Lussu, guidata dalla scaletta delle domande di Ballestra, si racconta dall’inizio, dalla sua nascita a Firenze nel 1912, da genitori liberali di origine marchigiana Guglielmo Salvadori e Giacinta Galletti, ponendo particolare attenzione ai fratelli, Gladys e Max e ai loro nomi inglesi, che richiamano alla memoria le antenate, protagoniste del viaggio quasi mitico che le ha portate nella casa di campagna delle Marche; l’utilizzo del termine “penati”, infatti, di derivazione antica, rievoca la creazione di un nuovo mito di fondazione famigliare che ha origine proprio dalle due nonne. Il cognome, invece, precisa Lussu, è sardo ed è stato preso dal marito, Emilio Lussu, antifascista sposato nel 1944. Silvia Ballestra, con le domande successive, sembra voler far delineare un ritratto completo del nazismo a Joyce Lussu, che ha assistito alla salita al potere, essendo stata presente ad un comizio svolto da Hitler ad Heidelberg, città tedesca dove studiava filosofia. Lussu propone un’analisi delle cause storiche che hanno permesso ad una tale ideologia di seminare e crescere, evidenziando la disciplina militare votata a formare dei veri cittadini tedeschi, caposaldo della Germania da secoli. Il nazismo ed il fascismo erano due entità così presenti nella vita della scrittrice che la stessa riporta un sogno fatto a circa dodici anni, in cui tradiva il suo antifascismo in mezzo ad un gruppo di squadristi in camicia nera, e al risveglio la scrittrice ricorda di aver provato un grande senso di vergogna, nonostante fosse solo un sogno. Il capitolo successivo tratta l’argomento del viaggio, esperienza che ha contraddistinto la vita di Lussu. La concezione che emerge, dalle risposte della scrittrice alle domande di Ballestra, è una visione del mondo come casa «così, ho sempre pensato che era bello e intelligente conoscere la mia casa e i miei coinquilini».15 La scrittrice continua ricordando come, nei suoi viaggi, andasse alla ricerca dei suoi simili, gli esseri umani «vedi, io sono un animale gregario, e ho bisogno di stare nel mio gregge. La solitudine è qualcosa d’innaturale, per l’essere umano».16 Joyce Lussu, seguendo le domande dell’intervistatrice, espone la sua visione sulle religioni, patriarcali e maschili, che hanno fatto schiavi i deboli e le donne, un potere costruito attorno alla violenza e alla forza, opposto alle società comunitarie delle sibille, scrigno di conoscenze. Queste donne sagge passavano gran parte della vita a memorizzare le conoscenze della comunità, avendo intuito precocemente che la memoria è uno strumento di resistenza culturale. Lussu specifica come, oltre ai coinquilini, la casa che permette la vita sia di fondamentale importanza, sottolineando come la tematica ambientale debba essere posta al centro di un dibattito mondiale per garantire l’esistenza.

14 Silvia Ballestra, Joyce L.: Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012. 15 Ivi, p. 25. 16 Ivi, p. 27. 12 La poesia è il tema che apre il capitolo seguente, in cui Lussu afferma che la vera poesia «ha sempre una qualità sintetica e profetica».17 Profetica nel senso di saper comprendere a fondo i problemi, ponendosi tra passato, presente e futuro. La poesia comunica con tutti, memoria collettiva di un popolo, soprattutto se è in versi e quindi di più facile memorizzazione. Ciò che spinge a scrivere una poesia risulta essere, per la scrittrice, il processo creativo per il quale è considerato essenziale trovare qualcosa in grado di emozionare, un’immagine che si deve cogliere e che ha la caratteristica di somigliare un po’ al quotidiano. Le domande seguenti di Ballestra si focalizzano su un altro campo di interesse molto praticato dalla scrittrice: la storia. Lussu è stata responsabile di una collana di studi storici chiamata «Le molte storie d’Italia», chiusa dopo il Sessantotto, e curatrice della Storia del Fermano, volume che ha suscitato molti interrogativi riguardo alla metodologia storica adottata. Il capitolo seguente si apre con le domande di Ballestra riguardanti Emilio Lussu, compagno antifascista e scrittore, contraddistinto da uno stile diretto ed essenziale. Joyce Lussu passa poi a raccontare dell’infanzia di Emilio Lussu, grande lettore fin da bambino, influenzato dalla cultura orale della Sardegna, divenuto scrittore solo in età matura. I libri di Emilio Lussu vennero pubblicati negli anni Trenta, negli Stati Uniti, e con i diritti la coppia ebbe da vivere negli anni di militanza. Ballestra passa a porre domande sul figlio della coppia, Giovanni e sull’aborto che la scrittrice dovette farsi praticare durante la guerra, per non esporre il nuovo nato al tipo di vita clandestina che conducevano. Il racconto della missione compiuta dalla scrittrice è riportato nel capitolo successivo. Joyce Lussu intraprende la missione il 20 settembre del 1943, portata a termine grazie all’incontro con il fratello Max, che era entrato a far parte delle Special Force, e grazie al quale poté trasmettere il primo messaggio radio ai compagni del CLN. Il settimo capitolo tratta dell’educazione infantile della scrittrice, curata dai genitori, che le insegnavano molta storia, geografia e letteratura; insieme andavano molto spesso ad assistere ai riti di varie religioni, poi c’era il greco, il latino, e le quattro lingue, italiano, francese, tedesco, inglese. Il padre della scrittrice Guglielmo Salvadori era un libero docente presso l’Università di Firenze, aveva studiato filosofia a Lipsia, in Germania, ed era diventato traduttore ufficiale di Spencer in Italia. La madre della scrittrice Giacinta Galletti era un’ottima pittrice e un’accanita lettrice. Lussu, su indicazione di Ballestra, affronta la questione che pone al centro il suo essere scrittrice e poetessa, chiarendo che la scrittura era solo il semplice veicolo per arrivare ad un pubblico vasto, per far arrivare con chiarezza il proprio pensiero tramite le parole. A questo discorso si lega anche il lavoro di traduttrice che Lussu intraprende dal 1958 al 1968, in Angola e in Kurdistan. Nelle pagine successive si può notare come Joyce Lussu non segua la scaletta preparata da Ballestra, ma si faccia trasportare dai ricordi delle esperienze e dai racconti rievocati da determinate domande, «sono io la scaletta, non preoccuparti»18. Il suo racconto è caratterizzato da frammenti di vita sparsi, segnato da continui fughe e ritorni, che colgono l’essenza della vita stessa che non si può considerare come una linea dritta. Nel capitolo che raccoglie le registrazioni del secondo semestre 1995, la scrittrice parla del suo cognome, sottolineando come una donna abbia maggiore libertà nello scegliere il cognome del marito che del padre, almeno il marito lo si sceglie, dal momento che le donne sono sempre state costrette a portare il cognome di un uomo.

17 Ivi, p. 41. 18 Ivi, p. 175. 13 Ballestra apre la questione delle traduzioni con Lussu, che sottolinea come le poesie dei poeti da lei tradotti risultavano partire dalla vita, senza riferimenti letterari ingombranti, con un linguaggio chiaro e univoco. La scrittura di Lussu sembra essere molto vicina alla scrittura dei poeti del Terzo Mondo, una scrittura visiva e semplice, una scrittura per tutti. Una delle esperienze fondamentali della vita della scrittrice risulta essere l’incontro con il turco Nazim Hikmet, che ha permesso di rivalutare la poesia come mezzo di conoscenza profonda e individuale. Nel capitolo successivo Ballestra torna a chiedere informazioni sulla vita della scrittrice, una volta liberata Roma. Lussu ricorda di aver vissuto in quel periodo a Prati, sotto nomi falsi, Emilio Lussu era un certo professore Raimondi e la scrittrice era la signora Raimondi. Joyce Lussu di lì a poco avrebbe partorito e, secondo le leggi fasciste, il padre doveva riconoscere il bambino, ma se la coppia non fosse stata sposata sarebbe risultato figlio di madre ignota; così decisero di sposarsi con un passante e la portiera come testimoni. Nella diciannovesima conversazione incisa su nastro, ultimo capitolo del volume, Lussu ribadisce che lo scopo di tutta una vita è stato l’altro essere umano, «quel che conta, è che uno vada a cercare la gente».19 Per ciò la preposizione «contro» del titolo dato da Silvia Ballestra, sembra sicuramente ben rappresentare il concetto di continua lotta nella vita della scrittrice, lotta anche armata, come si può riscontrare negli anni della Resistenza, contro tutte le oppressioni, i pregiudizi raziali e di genere. In realtà però Lussu ribadisce spesso che la sua vita non è mai stata «contro» ma sempre «per», per cercare alternative praticabili rivolte all’incontro e alla comprensione del genere umano.

19 Ivi, p. 249. 14 1.3. Joyce Lussu e la costruzione del mondo a partire da sé

Federica Trenti è l’autrice de Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu20, volume che nasce, come esplicitato nell’introduzione, da una tesi di laurea dedicata alla figura di Joyce Lussu, redatta tra il 2001 ed il 2002 e seguita dalla professoressa Anna Rossi-Doria, all’epoca docente di Storia delle Donne, presso il Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna. L’autrice ricorda le difficoltà incontrate nella compilazione, per il metodo storico poco ortodosso propugnato da Lussu e delle difficoltà di compilazione, per il grande lavoro sulle fonti, per il quale furono necessari molti mesi di ricerche. Ripercorrendo brevemente gli studi condotti sulla figura della scrittrice, Trenti propone una sintesi dei contributi che Lussu diede nell’ambito della poesia, della lotta partigiana e della formazione dei giovani. Il volume è suddiviso in sette capitoli, che seguono cronologicamente le tappe della vita della scrittrice, suddivisi a loro volta in paragrafi tematici, con lo scopo di offrire un’analisi puntuale sugli aspetti considerati più salienti. Il primo capitolo tratta delle origini famigliari della scrittrice risalendo al 1833, anno in cui il trisavolo Adlard Welby si trasferisce con le sue cinque figlie a Porto San Giorgio, due delle quali, Ethelin e Casson sposano due uomini marchigiani dando origine alla “tribù” anglo-franco- marchigiana. Trenti sottolinea come Joyce Lussu, tramite le sue radici, riscopre un percorso di lotte per la pace, di indipendenza, di egualitarismo molto più antico di lei, e che lei stessa coronerà con la sua lotta antifascista. Importante risulta essere la figura della nonna materna, Margaret Collier, esempio di donna letterata inglese e le radici albanesi legate all’affermazione della sua famiglia nelle marche. L’infanzia e l’adolescenza di Lussu sono analizzati nel secondo capitolo in cui Federica Trenti evidenzia come i genitori siano stati un esempio imprescindibile, origine delle sue più salde idee, educatori che influenzeranno la concezione che la scrittrice avrà della cultura e della conoscenza e modello per le azioni future; Allo stesso tempo il modello dei genitori si propone come l’unico possibile, dal momento che, la sua strada nella lotta antifascista, sembra essere già predisposta da secoli e secoli di personaggi famigliari, che ricreano un album anticonformista e battagliero del quale Joyce Lussu sarà l’apice. Fondamentale risulta essere il dissenso che i genitori della scrittrice espongono nei confronti dei loro padri, proprietari terrieri che reputavano di dover mantenere l’ordine, finanziando squadre di camicie nere. L’autrice passa poi al 1924, anno dell’aggressione da parte degli squadristi a Guglielmo Salvadori che spinge la famiglia a trasferirsi in Svizzera, dove la scrittrice parteciperà all’esperimento pacifista della Fellowship School. L’esperimento risulta, dopo poco tempo, fallimentare e l’educazione di Lussu torna ad essere curata dai genitori, fino al conseguimento della maturità classica, per la quale dovrà viaggiare spesso in Italia. Nel terzo capitolo vengono analizzati gli anni Trenta, anni in cui la scrittrice frequenta la facoltà di filosofia dell’Università di Heidelberg fino alla manifestazione che si svolge nel 1932, in onore di Adolf Hitler, dopo la quale Lussu lascia la Germania. Già dal 1929, anno della fondazione di Giustizia e Libertà, effettua missioni di collegamento e di distribuzione di stampa giellista per il movimento antifascista, del quale fa parte anche Max, il fratello. Trenti passa poi a delineare gli anni del passato che Lussu ha voluto oscurare lasciando però le sole tracce in poesie scritte in Africa. Dopo il periodo africano si trova in Svizzera, a Ginevra, dove riceve la visita di Benedetto Croce che decide di pubblicare Liriche, edito da Ricciardi.

20 Federica Trenti, Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu. Vita e opera di una donna antifascista, Sasso Marconi (BO), Le Voci della Luna, 2009. 15 L’impegno per Giustizia e Libertà, l’occupazione di Parigi, l’addestramento nel campo vicino Londra vengono trattati da Trenti nel quarto capitolo, che ha inizio nel 1938, quando Joyce Lussu riprende i contatti con il movimento antifascista. Joyce Lussu diviene la compagna di Emilio Lussu spostandosi di frequente per sfuggire all’Ovra. Federica Trenti si sofferma poi sull’esperienza raccontata dalla scrittrice dell’aborto clandestino che si lega all’ennesima tragica esperienza dell’occupazione di Parigi, da parte delle truppe tedesche nel 1940: Lussu ed il compagno sono costretti a seguire la folla di profughi fino a Tolosa, dove Silvio Trentin ha reso la Librairie du Languedoc un centro di attività antifascista, per poi rifugiarsi in un paese ai piedi dei Pirenei. L’autrice passa poi a raccontare di come la scrittrice a Marsiglia si dedicasse alla contraffazione di documenti per favorire l’espatrio dei compagni, fino a giungere al 1942, quando Joyce Lussu frequenta un campo di addestramento militare a pochi chilometri da Londra. Trenti riporta la testimonianza di Lussu che ricorda di essere stata l’unica donna a sottoporsi all’addestramento riservato agli uomini ed evidenzia come «Questa presa di posizione deriva per Joyce anche dalla consapevolezza del suo rapporto paritario con Emilio».21 L’autrice pone in evidenza anche l’aiuto fondamentale che Lussu diede nell’inverno 1942-1943, per portare in salvo Emanuele Modigliani e la moglie Vera, e condurli al confine franco-svizzero attraversando prima la zona tedesca e poi quella italiana, l’impresa riuscì ma Joyce Lussu dovette scontare dieci giorni di prigionia, per poi tornare a Lione, dove era rimasto Emilio Lussu. Il quinto capitolo contiene il racconto della missione affidatale il 20 settembre 1943, di mettere in comunicazione il Cln con il Sud dell’Italia, al ritorno dalla missione scoprì di essere nuovamente incinta, Giovanni Lussu venne alla luce nel giugno del 1944. La prima parte del sesto capitolo è dedicata da Trenti al rapporto esclusivo che la scrittrice aveva con la Sardegna, terra di suo marito. Nel 1944, dopo poco tempo dalla nascita del figlio Giovanni, Lussu e il marito partono per la Sardegna, semidistrutta dai bombardamenti ma animata da un grande fermento politico, che sarà la porta attraverso la quale la scrittrice potrà mettere in discussione la sua visione, come lei la definiva, “eurocentrica e sottilmente colonialista” che la condurrà alla scoperta del Terzo Mondo. Con Nadia Spano si trova impegnata nella lotta per l’autonomia dell’isola e per le rivendicazioni delle donne della Sardegna. Trenti evidenzia l’attenzione che Joyce Lussu riservò a Carbonia, paese di minatori. L’autrice passa poi a ricordare come Lussu partecipi spesso alle riunioni, come oratrice, del partito socialista e agli incontri dell’UDI, dal quale si distacca bruscamente nel 1953, rivolgendo molte critiche alle compagne, accusandole di essere riduttive. Trenti sottolinea come Joyce Lussu si sia spesso battuta per uscire dall’ombra del marito, nella quale la società la relegava, e di come, mentre Emilio Lussu continuava ad occuparsi di politica, Joyce Lussu si fece portavoce del Movimento Mondiale della Pace. Nel 1958, diviene traduttrice di poesie, spinta dall’incontro con Nazim Hikmet, perseguitato dal governo turco per aver scritto e diffuso una poesia, Alle porte di Madrid, per la quale viene arrestato per istigazione alla rivolta; oltre al lavoro da traduttrice Lussu progetta un piano di fuga dalla Turchia per Munevver, moglie di Hikmet i suoi figli, che porterà a termine nel 1951. Alla fine del capitolo Trenti sottolinea l’ennesimo contributo che Lussu diede alla questione del Black Power. Il volume di Trenti si conclude con il settimo capitolo, riportando l’impegno di Joyce Lussu ad organizzare in Italia una sezione del Tribunale Russel, il primo tentativo di dar vita a un tribunale internazionale sopra i governi nazionali. Nel 1976, la scrittrice è presente alla proclamazione della Carta di Algeri, che tentava di favorire la pace; nel Sessantotto prende parte alle proteste e poi al

21 Federica Trenti, Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu, p. 84. 16 femminismo degli anni Settanta. L’autrice passa poi al 1975, anno in cui muore Emilio Lussu a Roma, e Joyce Lussu torna nelle marche nella casa dei suoi avi, per dedicarsi agli studi sulla storia locale, con particolare attenzione alla figura della sibilla. Il volume di Federica Trenti si chiude con il 4 novembre 1998, giorno in cui avviene la morte di Joyce Lussu, le sue ceneri sono deposte accanto alla tomba di Emilio Lussu, nel cimitero del Verano a Roma.

1.4. Joyce Lussu protagonista femminile del Novecento

Joyce Lussu Una donna nella storia22 è un volume miscellaneo composto dal contributo di dodici saggi di autori ed autrici che trattano ognuno un frammento delle tante sfaccettature della vita della scrittrice. I primi cinque saggi si inscrivono sotto la sezione “Studi” evidenziando il percorso di Joyce Lussu come donna attiva nel Novecento, il grande apporto che diede nell’ambito delle traduzioni e della poesia, le tecniche narrative da lei utilizzate e la concezione personalissima che l’autrice aveva della storia. Gli ultimi sette saggi si inseriscono sotto la sezione “Profili” portando l’attenzione sui campi d’interesse dei quali Joyce Lussu fu promotrice come la riflessione sulla natura e la scienza, il movimento delle donne in Sardegna e gli studi su San Tommaso e le sibille. L’introduzione è affidata alla curatrice Luisa Maria Plaisant che espone le circostanze di nascita di questo progetto a più voci chiarendo che il volume raccoglie gli atti del convegno che l’Istituto sardo per la storia della Resistenza e della Autonomia ha dedicato alla figura di Joyce Lussu nel 2001, dopo tre anni dalla morte della scrittrice. In poche pagine la curatrice delinea brevemente l’iter percorso tramite i vari apporti evidenziando come la vicenda individuale della scrittrice sia legata alla vicenda collettiva storica novecentesca. Il primo contributo è offerto da Elisa Signori in L’antifascismo come identità e scelta di vita. Joyce Lussu dal fuoriuscitismo alla Resistenza.23 Lo studio sull’antifascismo di Joyce Lussu condotto da Signori viene supportato da viarie fonti come gli archivi del Ministero dell’interno, degli Affari esteri e della polizia politica che aprirono fascicoli sulla famiglia Salvadori. Interessante risulta essere la corrispondenza delle lettere private, riportate nelle pagine seguenti, corredate da schede segnaletiche di Guglielmo Salvadori, nel fascicolo della polizia politica e nel «Bollettino delle ricerche» che lo segnalava alla polizia di frontiera come sovversivo, la scheda segnaletica di Giacinta Galletti e dei tre figli Gladys, Massimo e Gioconda Salvadori Paleotti. L’autrice evidenzia inoltre come Joyce Lussu debba essere inscritta nell’antifascismo femminile, poco considerato dalla polizia, come dimostrano i solo 4794 fascicoli intestati a donne, pari al 4,2%. Questa percentuale poco verosimile è spiegata nelle righe seguenti come una sottostima dell’opposizione femminile al regime, sia per i ruoli subalterni che andavano a ricoprire le donne, sia per il fatto che le vicende delle protagoniste antifasciste si trovano annesse ai dossiers dei loro parenti maschi. Di conseguenza Elisa Signori non manca di evidenziare come nel mezzo di donne considerate collaboratrici Gioconda Salvadori Paleotti si aggiudichi invece l’apertura di un fascicolo personale, già dalla giovane età di sedici anni, nel 1928. Tutta la famiglia viene bollata con la dizione “antifascista” che ricorre nel 31,4% dei casi, seconda solo per frequenza a quella “comunista”, per quello che Elisa Signori chiama “antifascismo famigliare” in cui questa scelta ideologica sembra essere collettiva e condivisa. L’autrice sottolinea come Joyce Lussu passi dall’antifascismo

22 Joyce Lussu. Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, Cagliari, CUEC, 2003. 23 Elisa Signori, L’antifascismo come identità e scelta di vita. Joyce Lussu dal fuoriuscitismo alla Resistenza, pp. 13-45. 17 famigliare a quello individuale e personale, negli anni tra il 1928 e il 1932, soprattutto con l’adesione al movimento di Giustizia e Libertà che risale all’epoca della fondazione, al 1929 come collegamento e staffetta per la diffusione di stampa giellista. Se Joyce Lussu rimuove dai suoi scritti l’esperienza del suo primo matrimonio, risalente alla metà degli anni Trenta, le fonti poliziesche risultano ben informate, soprattutto sullo sposo Aldo Belluigi, un possidente tolentino di condotta regolare. Nel 1934 Joyce Lussu con il marito, il fratello Max e la nuora si trovano in Kenya per amministrare un’azienda agricola che risulterà fallimentare. Nell’interrogatorio a cui è sottoposto Aldo Belluigi nel 1936, al ritorno dal continente africano, riferirà come motivo predominante di separazione con la moglie l’incomprensione politica, la vicinanza con Joyce Lussu gli valse l’apertura di un dossier personale. Elisa Signori chiarisce come il tentativo del primo matrimonio, successivamente espugnato dalle biografie, abbia delineato per la scrittrice una più forte immagine di sé che ebbe il suo coronamento nel 1938, quando si legò ad Emilio Lussu. Joyce Lussu. Una donna nel Novecento24 è il secondo contributo di Maria Teresa Sega che si propone di analizzare la scrittrice come una donna impegnata politicamente e culturalmente nel secolo scorso. La caratteristica di partenza evidenziata è l’intreccio di vita e storia che porta la scrittrice a considerarsi dentro la storia, ed a raccontarsi con un linguaggio limpido, chiaro, semplice. Maria Teresa Sega evidenzia come nella dimensione politica collettiva Joyce Lussu abbia mantenuto una forte individualità, ed è singolare anche il riconoscimento di una propria genealogia femminile che sottolinea come «l’essere donna è già inscritto nelle sue origini come elemento positivo di forza e di orgoglio».25 Unito ad uno spirito libero originario c’è poi la formazione fatta di letture, incontri, viaggi, il soggiorno alla Fellowship School, tutte esperienze che sviluppano la sua curiosità e il suo pensiero critico. Maria Teresa Sega sottolinea poi la scelta di Emilio Lussu come compagno di vita, colui il quale le mostrerà la sua Sardegna, punto di partenza per i suoi interessi successivi sui poeti del Terzo Mondo. La vita di Joyce Lussu è fatta di azioni, dalla lotta antifascista, ai movimenti per la pace e di liberazione che costruiscono un’immagine femminile inedita della donna combattente. L’autrice pone l’attenzione sull’apporto che Joyce Lussu diede alla “questione femminile” denunciando l’arretramento delle donne e il separatismo che le relegava nelle sezioni femminili, caldeggiando la loro presenza nei partiti e nei sindacati così da trasformare la questione femminile in una questione generale. Con Nadia Spano, responsabile nazionale femminile del Pci e Joyce Lussu del Psi, iniziano le battaglie per l’autonomia e la rinascita della Sardegna con il Congresso del popolo sardo del 1950 e il Congresso delle donne sarde del 1952. Maria Teresa Sega passa poi a delineare il percorso di Joyce Lussu dal 1949 al 1953 nel Direttivo nazionale dell’Unione Donne Italiane (Udi); nel 1953 la scrittrice lascia la redazione di «Noi Donne» e il direttivo dell’Udi per poi sostenere il femminismo degli anni Settanta, che porta al centro della discussione l’aborto, il divorzio, il controllo delle nascite. Il contributo seguente è legato al lavoro di traduttrice che Joyce Lussu compie in maniera del tutto personale, ad indagare questo aspetto è Antonella Gargano ne Il corpo dell’Eschimese. Traduzione e poetica in Joyce Lussu.26 Il metodo di traduzione atipico che Lussu utilizza per tradurre le poesie dei suoi poeti del Terzo Mondo non si avvale di dizionari o grammatiche, come sottolinea Gargano, ma del sedersi accanto al poeta. Il contatto con il poeta è ritenuto fondamentale per la scrittrice che fa della sua traduzione un’opera aperta a possibili riprese. Sulla base della conoscenza dell’autore e

24Maria Teresa Sega, Joyce Lussu. Una donna nel Novecento, pp. 46-74. 25 Maria Teresa Sega, Joyce Lussu. Una donna nel Novecento, pp. 47-74: p. 52. 26Antonella Gargano, Il corpo dell’eschimese. Traduzione e poetica in Joyce Lussu, pp. 75-90. 18 del suo corpo, spesso descritto da Joyce Lussu, poggia il titolo del contributo di Gargano poiché nella poesia degli eschimesi il corpo è assente e la lingua sembra farsi corpo. Joyce Lussu scrittrice viene indagata da Gigliola Sulis in Le parole di tutti i giorni. Appunti sulla scrittura di Joyce Lussu, in cui la riflessione ha inizio dalla formazione letteraria di Lussu vasta ed eterogenea che ha come modello Carducci e la poesia di fine Ottocento. L’esordio è con il volume Liriche del 1939 in italiano, tedesco e francese curato da Benedetto Croce. Gigliola Sulis considera come con il romanzo Fronti e Frontiere del 1944 abbia inizio la pubblicazione in prosa, e come si possano già rilevare gli elementi che caratterizzeranno le prose future: una narrativa lineare con ritmo incalzante, una visione “cinematografica” della narrazione che procede per immagini, l’attenzione rivolta alle concrete e piccole cose, ai dettagli e alle descrizioni fisiche. Dagli studi di Sulis emerge che il principale modello della scrittrice fosse quello del compagno Emilio Lussu, che proponeva chiarezza e semplificazione, essendosi formato nel contesto rurale sardo con i racconti orali popolari e dovendo spiegare problemi anche complessi alla gente che non disponeva di un amplio vocabolario; inoltre evidenzia come: si costruisce così una tradizione simbolica che, individuato in Omero il capostipite, passa per le mitiche Zane-Diane-Sibille e giunge fino ai pastori sardi o ai guerriglieri che raccontano dopo le lunghe marce, la sera, attorno al fuoco, per perpetuare la memoria e dunque l’autocoscienza della comunità.27

Sulis reputa che proprio dalle narrazioni orali la scrittrice riprenda la tecnica del riuso, un procedimento narrativo che consisterebbe nel riproporre le stesse sequenze testuali in varie opere; in altre parole Joyce Lussu riproporrebbe episodi con le stesse modalità narrative, ed a supporto di tale tecnica, l’autrice propone lo spoglio delle varianti operate nel passaggio di una sequenza di testo da Che cos’è mio marito a Portrait. Patrizia Caporossi è l’autrice di Joyce Lussu e la storia28 nel quale si evidenzia come la storia sia intessuta nelle trame della vita di Lussu, sia essendo protagonista della storia sia facendo storia; lo slogan ambientalista infatti, riadattato da Patrizia Caporossi alla personalità di Joyce Lussu è “pensare globalmente” e “agire localmente”, riferendosi all’impegno della scrittrice nelle sezioni partigiane, al contributo per la questione femminile, ai movimenti di pace e di liberazione senza però mai dimenticare le sue origini, avviando gruppi di studio nelle Marche e nella terra del suo innesto, la Sardegna, occupandosi di storia popolare, di tradizioni, di favole e ricette. Inoltre, secondo Patrizia Caporossi, una delle caratteristiche principali della scrittrice era l’intuizione che le permetteva, grazie anche al suo bagaglio culturale molto amplio, di isolare gli eventi nella storia e considerarne la portata, molto difficile risulta trovare esseri umani che, all’interno del flusso storico, sappiano riconoscere le conseguenze future nonostante ne siano protagonisti. Così ha seminato29 ad opera di Giuseppe Caboni è il saggio che apre la seconda sezione intitolata “Profili”; l’autore ripercorre brevemente i tanti campi nei quali Joyce Lussu ha offerto il suo contributo soffermandosi sulla ricerca relativa ai documenti di pietra della Dea Madre, testimonianza che sino al 4000 a.C in Europa e nel Medio oriente l’organizzazione sociale era pacifica, feconda e ad impronta femminile per poi passare agli studi successivi che trovavano nel potere militare, sorretto dall’industria, la causa dell’oppressione e del dissolvimento ambientale. È a queste ricerche che Giuseppe Caboni fa risalire l’impegno della scrittrice nei movimenti

27 Gigliola Sulis, Le parole di tutti i giorni. Appunti sulla scrittura di Joyce Lussu, pp. 91-110: p. 99. 28 Patrizia Caporossi, Joyce Lussu e la storia, pp. 111-120. 29 Giuseppe Caboni, Così ha seminato, pp. 123-126. 19 internazionali della pace, contro la guerra in Iraq nel Novantuno, ma anche la rivendicazione della presenza attiva degli anziani tramite dei vivaci interventi nelle Marche ed in Sicilia. A Mario Albano si deve il contributo Joyce Lussu e le lotte di liberazione nazionale30 nel quale l’autore pone l’attenzione sull’impegno di Lussu nei movimenti per la pace e di liberazione condotti su tre fronti: il primo fu di assicurare ai movimenti una serie di contatti con organizzazioni internazionali; il secondo mirava alla costruzione di una solidarietà tramite films, articoli, libri, reportage; mentre il terzo riguardava la traduzione di poesie di grandi poeti e letterati, recandosi di persona nelle zone di guerriglia, abitando con le popolazioni delle “zone liberate”. Mimmo Franzinelli si occupa in Anticlericalismo e antimilitarismo in Joyce Lussu31 di due aspetti che la scrittrice considerava come due facce dello stesso male poiché, mediante lo strumentalismo della religione, si ricorre alla presa delle armi contro gli avversari, autolegittimando il potere. Franzinelli evidenzia come Lussu considerava l’unione di religione e guerra come l’affermazione del maschilismo, con la conseguente repressione della donna, sottolineando le resistenze trovate, anche dalla scrittrice, nell’essere una donna combattente. Joyce Lussu, i giovani e la scuola32 è il contributo che Donatella Picciau dedica all’impegno della scrittrice per la formazione dei giovani, guardando la scuola come luogo della costruzione dell’identità, d’integrazione, di condivisione di valori. La cultura e la conoscenza per Lussu, come sottolinea Picciau, sono i valori fondamentali di una vita che permettono la formazione di un cittadino del mondo, che sappia valutare e auto valutarsi, accettando i propri limiti e affermando con coraggio le proprie idee. La scrittrice amava definirsi una “nonna narrante” poiché, attraverso le sue storie, proponeva momenti di riflessione e stimolo per i ragazzi, individuando la narrazione come interpretazione del mondo. Donatella Picciau sottolinea come la scrittrice proponesse narrazioni basate sul rispetto, sulle culture comunitarie e non sulla storia dei vincitori, ma sulle esperienze delle sibille, figure femminili libere e sapienti, sui temi della tutela dei diritti umani, sull’ecologia, sul disarmo. In La natura e la scienza33 Enzo Tiezzi evidenzia come Joyce Lussu sia stata una delle prime voci a trattare di temi come la sostenibilità, la biodiversità, la difesa dei propri prodotti alimentari e della propria storia e cultura, temi oggi attualissimi ma che dimostrano, ancora una volta, la capacità della scrittrice di cogliere l’oltre che nasconde la reale condizione esistenziale dell’uomo. Nadia Spano offre in Joyce Lussu e il movimento delle donne in Sardegna34 un contributo particolare ed autentico per la conoscenza privata con la scrittrice; Spano affiancò Lussu nei movimenti di liberazione delle donne della Sardegna, accomunate dall’origine dei loro compagni. L’autrice ricorda l’apporto dato da Joyce Lussu nei villaggi sperduti tra le colline a parlare con la gente, soprattutto con le donne che non si limitavano ad esporre le loro problematiche ma proponevano soluzioni concrete, ricordando la battaglia per ottenere che le donne fossero iscritte agli elenchi anagrafici, la lotta delle raccoglitrici di olive nel Sassarese, le donne in difesa della miniera e dei lavoratori, le donne di Sant’Avendrace che fecero funzionare le tre prime classi elementari; Nadia Spano afferma sul finire che probabilmente l’innesto era riuscito per entrambe.

30 Mario Albano, Joyce Lussu e le lotte di liberazione nazionale, pp. 127-130. 31 Mimmo Franzinelli, Anticlericalismo e antimilitarismo in Joyce Lussu, pp. 131-137. 32 Donatella Picciau, Joyce Lussu, i giovani e la scuola, pp. 139-143. 33 Enzo Tiezzi, La natura e la scienza, pp. 145-149. 34 Nadia Spano, Joyce Lussu e il movimento delle donne in Sardegna. 20 Antonietta Langiu è l’autrice di San Tommaso e la sua sibilla35 uno dei contributi contenuti nel volume, che evidenzia il rapporto stretto di Lussu con le Marche e soprattutto con la sua casa di campagna, appartenuta alle nonne inglesi: una casa rifugio per partigiani ed evasi dai campi di prigionia, una casa nido alla quale ritorna dopo la morte del suo compagno Emilio Lussu. È nelle Marche che la scrittrice conduce ricerche sulle antiche memorie sibilline, artefici di comunità pacifiche e sedentarie chiamate Comunanze, fatte di uomini e donne che vivevano all’insegna della democrazia, dove non esisteva la proprietà privata e dove la sibilla aveva il compito di custodire il patrimonio culturale collettivo. Antonietta Langiu evidenzia come Joyce Lussu possa essere definita come una moderna sibilla che apre la sua casa ad amici ed estranei facendola divenire luogo di scontro e incontro, promuovendo studi sul territorio marchigiano e ponendo sempre maggiore attenzione alla formazione dei giovani. All’autrice si deve anche Lezioni di vita, capitolo contenuto in Biografia e bibliografia ragionate,36 Quaderni del Consiglio regionale delle Marche che si prefigurano di offrire sinteticamente le tappe della vita di Lussu e i contributi reputati più salienti. Langiu, all’interno del suo scritto, riporta il racconto dell’incontro con la scrittrice nelle Marche nel 1991, offrendo una descrizione di Joyce Lussu con la quale instaurò una salda amicizia. A Joyce Mattu si deve l’ultimo intervento intitolato Fare storia: innestarsi in una cultura37 che si propone di evidenziare i punti salienti dei contributi precedenti, soffermandosi sul rapporto che la scrittrice aveva con la storia, sottolineando come la visione solidale e umanitaria di Joyce Lussu ha permesso di non creare barriere ma sempre nuovi punti di scambio e di incontro.

35 Antonietta Langiu, San Tommaso e la sua sibilla, pp. 157- 165. 36 Antonietta Langiu, Lezioni di vita, in Biografia e bibliografia ragionate, a cura di Antonietta Langiu e Gilda Traini, Quaderni del consiglio regionale delle Marche, 2008, pp. 119-128. 37 Joyce Mattu, Fare storia: innestarsi di una cultura, pp. 167-175. 21 2. Joyce Lussu e la collaborazione con «Noi donne»

«Noi donne»

L’Unione Donne Italiane ebbe, tra i primi obiettivi politici e organizzativi, la creazione di uno strumento di comunicazione che si esplicitò nella rivista «Noi donne», giornale dell’associazione, come ricordato da Marisa Ombra.38 Il volume ha lo scopo di raccogliere il materiale archiviato nelle varie sedi dell’UDI, sparse in tutta Italia, e di delineare, tramite i documenti, la storia dell’organizzazione e della rivista, fondate nel 1944. Patrizia Gabrielli, in La pace e la mimosa,39volume che si occupa di ripercorrere la storia dell’UDI fin dalla fondazione, sottolinea come la rivista sia stata un importante veicolo di diffusione che ha permesso alle sarte, alle mezzadre, alle contadine di uscire dalla sfera domestica per confrontarsi con qualcosa di diverso, e di sviluppare senso critico e sempre più consapevolezza della loro condizione. La rivista assunse immediatamente un ruolo primario nel proporre alle lettrici un possibile modello a cui ispirarsi, tramite rubriche dedicate alle eroine del Risorgimento come Anita Garibaldi, pioniere della lotta all’emancipazione, o tramite racconti di donne diversamente epiche, pronte a costruire un mondo partendo da sé stesse. La rivista ha avuto quindi un ruolo fondamentale nella costruzione della memoria della lotta partigiana femminile, occupandosi della divulgazione della partecipazione femminile nella lotta armata, con biografie di partigiane e staffette, che infondevano alle lettrici coraggio e orgoglio. Laura Fortini a questo proposito sottolinea l’importanza di «Noi donne» in quanto «prisma vitale e ineludibile per comprendere le modificazioni dell’Italia, dell’Europa e del mondo contemporaneo dalla seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri»40, evidenziando il valore storico della rivista, che ha permesso il riconoscimento da parte della Soprintendenza archivistica e bibliografica del , come patrimonio riconosciuto, come bene di interesse storico e culturale.41

Joyce Lussu e «Noi donne»

Joyce Lussu, subito dopo la fine della guerra, entrò a far parte dell’UDI come rappresentante delle donne socialiste, come ricorda Federica Trenti42 nel volume che nasce da una tesi di laurea per poi divenire uno dei maggiori contributi sulla vita e l’opera della scrittrice. Lussu è stata dirigente nazionale dell’UDI dal 1949 fino al 1953, anno in cui se ne distaccherà bruscamente, dopo un burrascoso congresso, descritto in Padre padrone padreterno,43 volume in cui Joyce Lussu si proponeva di ripercorrere la storia delle donne e della loro schiavitù nelle varie epoche. Riguardo quel giorno scriveva «lasciai l’UDI abbastanza tempestosamente, durante un congresso, difendendo con ambo le mani dai tentativi di strapparmelo un microfono, attraverso il quale mi ostinavo a

38 Archivi di stato, Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, 2002, pp.7-27. 39 Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944- 1955), Roma, Donzelli editore, 2005. 40 Laura Fortini, “Noi donne” dalla carta al web. Il progetto di digitalizzazione dell’Archivio storico della rivista “Noi donne” del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, in «Scaffale aperto», 10 (2019), pp. 153-158. 41 Ibidem. 42 Federica Trenti, Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu, Sasso Marconi (BO), Le Voci della Luna Poesia, 2009. 43 Joyce Lussu, Padre padrone padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, Milano, Mazzotta, 1976, Camerano (AN), Gwynplaine edizioni, 2009, a cura di Chiara Cretella. 22 tentare un’analisi classista degli anni del dopoguerra: è inutile prendersela genericamente con gli uomini»,44 denunciando l’isolamento dell’organizzazione, con riunioni riduttive e poco rappresentative per la moderna lotta di classe. È sempre in Padre padrone padreterno che Lussu chiariva «è necessario che le donne si adoperino per la trasformazione dell’intera società, rifiutando l’isolamento e inserendosi con vigore in quelle forze reali che, nonostante le loro basi teoriche, non lottano con coerenza contro il capitalismo»45 sottolineando la necessità di discutere con gli uomini nelle sedi comuni di problemi generali che riguardassero la società, costruendo un ragionevole rapporto donna-uomo. Antonietta Langiu e Gilda Traini sottolineano l’impegno che la scrittrice mantenne nell’organizzazione dopo l’abbandono del Direttivo dell’UDI e della redazione della rivista «Noi donne», fino al 1959, tramite attività culturali e politiche.46 La schedatura degli articoli di «Noi donne», messi a disposizione in formato digitale, contenuti nell’archivio storico della rivista,47è stata effettuata fino al n. 19, dell’anno 1952, ovvero fino alla loro possibile consultazione in formato digitale.* La schedatura dei numeri successivi al n. 19 dell’anno 1952 e dell’anno 1953 è stata svolta presso Archivia,48biblioteca/archivio che custodisce una documentazione imponente conservando la collezione completa della rivista. Dalla schedatura si sono distinti 24 contributi a firma di Joyce Lussu, che evidenziano la partecipazione attiva della scrittrice alla rivista.

Dai cinque contributi del 1949 emergono temi come la Resistenza, soprattutto tramite racconti di donne partigiane e l’attenzione rivolta ai bambini, soprattutto nel campo dell’istruzione.

Dai cinque contributi del 1950 si possono riscontrare temi simili, come l’attenzione rivolta all’infanzia, ma anche l’introduzione del tema della Sardegna, dell’autonomia dell’isola e delle donne di quella terra incontrate nei vari viaggi compiuti dalla scrittrice, viaggi ispirati dalle origini del marito Emilio Lussu.

Dei quattro contributi del 1951, i primi due derivano da un viaggio della scrittrice compiuto in Cecoslovacchia nei panni di inviata speciale, mentre i restanti contributi ripropongono il tema della salvaguardia dell’infanzia e il tema della condizione di uomini e donne della Sardegna nel dopoguerra, espressi tramite la pubblicazione di due poesie.

Due dei sette contributi del 1952 riguardano la Sardegna, poiché il 9 marzo del 1952 si tenne a Cagliari il primo grande Congresso delle donne sarde in cui Joyce Lussu ebbe un ruolo fondamentale, inserendosi nella lotta delle donne della Sardegna fin dal dopoguerra. Due contributi riguardano l’istruzione infantile ed uno in particolare a firma della redazione di «Noi donne», il numero 26 del 28 giugno 1952 I bambini ci disegnano,49 riguarda la creatività dei bambini riportando una foto di Giovanni Lussu, figlio di Joyce ed Emilio Lussu, vicino ad un suo disegno che era esposto a Roma nella casa di via di porta Pinciana, allo scopo di dimostrare come i bambini traessero le immagini dei loro disegni dalla vita quotidiana. Due sono i servizi svolti durante il

44 Joyce Lussu, Padre padrone padreterno, p. 44. 45 Joyce Lussu, Padre padrone padreterno, p. 45. 46 Joyce Lussu. Biografia e bibliografia ragionate, a cura di Antonietta Langiu e Gilda Traini, Ancona, Quaderni del consiglio regionale delle Marche, 2008. 47 http://www.noidonnearchiviostorico.org/ * causa covid 48 https://www.archiviaabcd.it 49 I bambini ci disegnano, in «Noi donne», 28 giugno 1952, p. 7. 23 viaggio che la scrittrice fece nell’URSS, mentre dei restanti contributi uno è una novella, l’altro è dedicato alla Resistenza e l’ultimo alla morte di Benedetto Croce, intellettuale antifascista, amico di Joyce Lussu, morto il 20 novembre del 1952.

Nel 1953 la scrittrice faceva parte della lista delle candidate al Partito Socialista Italiano che facevano parte del Comitato Direttivo dell’Udi.50 L’impegno di Lussu nel partito è testimoniato anche dai numeri del 1953, dai quali emerge che la tematica più indagata dalla scrittrice fosse il socialismo: ragionando su fatti di cronaca, come la morte di Stalin, offrendo una minuziosa analisi sugli sviluppi del socialismo negli anni Cinquanta.

Il contributo di Joyce Lussu all’UDI fu di fondamentale importanza, come è evidente nella partecipazione della scrittrice alle tante iniziative, in particolare alla Festa popolare in onore del Congresso della Donna Italiana, documentata da un manifesto,51 contenuto nell’archivio digitale UDI,52 in cui è testimoniata la partecipazione della scrittrice come oratrice alla festa popolare che si tenne il 12 aprile 1953, alla Basilica di Massenzio, a Roma. L’importanza che rivestì Joyce Lussu nell’UDI si può ripercorrere tramite le pagine della rivista «Noi donne» che, oltre a contenere articoli e servizi a firma della scrittrice, pubblicò pagine di elogio dedicate a Lussu, come si può riscontrare nel contributo contenuto nel numero 47 del 4 dicembre del 1949,53 in cui la scrittrice è esaltata dalla redazione, tra le dirigenti, come partigiana modello, esempio di donna coraggiosa della Resistenza; oppure il numero 11 del 18 marzo 195154presenta un occhiello redazionale in cui è attestata la presenza di Joyce Lussu durante la Giornata Internazionale della Donna svoltasi a Marzabotto, luogo della strage compiuta il 29 settembre 1944 dai nazisti sulla popolazione civile. La partecipazione di Joyce Lussu alla giornata è testimoniata anche da un manifesto, schedato negli archivi digitali dell’UDI, che attesta la presenza della scrittrice come oratrice nella manifestazione pubblica del 4 marzo 1951, che fu prevista per l’incontro internazionale «contro il riarmo tedesco, contro la scarcerazione dei criminali di guerra, per la pace».55Nel numero 14 del 6 aprile 195256nella rubrica La settimana viene celebrato il ruolo della scrittrice come oratrice alla commemorazione delle Fosse Ardeatine, ribadendo il principio della pace che doveva guidare le donne italiane e proponendo una foto di Joyce Lussu, ritratta durante un incontro sulla Resistenza, a Roma, nel 1945, mentre è intenta a pronunciare un appassionante discorso sul palco. Nel numero 5 del 1 febbraio 1953,57Lussu veniva citata come facente parte della giuria che aveva il compito di premiare il migliore dei racconti che giungevano alla redazione, conferendo all’autrice o all’autore un premio di L. 50.000, il racconto doveva avere come protagonista una madre degli anni Cinquanta ed il premio sarebbe stato assegnato l’8 marzo. Nel numero 14 del 5 aprile 195358venivano pubblicati i risultati del concorso che ebbe come vincitrici a pari merito la novella I pini di mamma Lucia e la novella Questa è una storia vera. Nei

50 Donne illustri candidate, in «Noi donne», 17 maggio 1953, p. 7. 51 Vedi materiale fotografico n°1, Festa popolare in onore del Congresso della Donna Italiana. 52 https://archiviodigitale.udinazionale.org/ 53 Le nostre dirigenti, in «Noi donne», 4 dicembre 1949, p. 11. 54 La giornata internazionale delle donne, in «Noi donne», 18 marzo 1951, p. 3. 55 Vedi materiale fotografico n°2, Marzabotto città martire-partigiana della pace. 56 La settimana, in «Noi donne», 6 aprile 1952, p. 3. 57 Il premio per un racconto, in «Noi donne», 1 febbraio 1953, p. 15 58 I risultati del concorso per un racconto, in «Noi donne», 5 aprile 1953, p. 3. 24 numeri del 1953 compaiono due articoli a firma di Emilio Lussu, 59 60a testimonianza di come la coppia fosse impegnata attivamente nella pubblicazione della rivista, contribuendo con articoli legati al Parlamento e alla Resistenza. Nel numero 17 del 26 aprile 195361Joyce Lussu viene citata come facente parte del Comitato Direttivo Nazionale dell’Udi, ruolo che abbandonerà dopo poco tempo.

59 Emilio Lussu, Una legge che non è una legge, in «Noi donne», 12 aprile 1953, pp. 6-7. 60 Emilio Lussu, Onore alla Resistenza, in «Noi donne», 26 luglio 1953, p. 5. 61 Cariche direttive, in «Noi donne», 26 aprile 1953, p. 7. 25 2.1. Contributi del 1949

La signora Maria, in «Noi donne», 22 maggio 1949, p. 12

Nella rivista è riportato un estratto di un brano, La signora Maria, contenuto in Fronti e Frontiere,62volume in cui l’autrice ricordava l’esperienza della seconda guerra mondiale, della Resistenza, delle donne che hanno rischiato la loro vita per la causa antifascista.63Nelle colonne della rivista Joyce Lussu pubblicò un capitolo del volume, in cui ricordava la signora Maria, moglie di un antifascista che collaborò all’attività antifascista del marito, abitando ad Annemasse, una cittadina francese al confine con la Svizzera. Joyce Lussu ed Emilio Lussu si occupavano di mettere in comunicazione la Svizzera con l’Italia e, nel preciso episodio ricordato, furono sorpresi da una pattuglia tedesca e portati al comando per essere interrogati; dopo poche ore furono liberi di tornare alla casa della signora Maria, che li aspettava seduta al tavolo della cucina, con dei tarocchi in mano, interrogandosi sulla sorte dei compagni.64

La bambina, in «Noi donne», 24 luglio 1949, p. 10

Il titolo del racconto di Joyce Lussu è La bambina, ponendo in evidenza il fulcro della narrazione: la nascita di una neonata. Il racconto narra di Antonia ed Egidio, una coppia di contadini con cinque

62 Joyce Lussu, Fronti e Frontiere, Edizioni “U” Collezione Giustizia e Libertà, 1945. 63 Emilio Lussu, il compagno di Joyce Lussu, era uno dei fondatori di «Giustizia e Libertà», un movimento politico fondato nel 1929, di cui l’autrice faceva parte dalla data di fondazione e che, durante il fascismo, era un baluardo di opposizione. 64 Joyce Lussu, nei suoi volumi, offriva un contributo straordinario con i ritratti di donne partigiane che documentavano la partecipazione delle donne alla lotta antifascista, che si scontravano con molte fonti della memoria della lotta partigiana, che subordinavano il ruolo femminile ad un ruolo secondario e sostitutivo di un padre, di un marito, di un fratello, come è tratteggiato nel volume di Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Donzelli editore, 2005, che ha lo scopo di delineare la storia dell’associazione Unione Donne Italiane, fin dalla fondazione. Patrizia Gabrielli osserva come le pratiche dell’UDI insistettero sulla triade donne guerra e Resistenza come base per la cittadinanza appena acquisita, tendendo a rafforzare il legame con gli eventi sul piano simbolico, per evitare l’auspicato ritorno alla normalità che imponeva il modello maschile come modello dominante. L’UDI, grazie alle testimonianze delle donne in prima persona, e grazie a volumi, come questo di Joyce Lussu, si adoperò per la definizione di un modello di partigiana, di eroina della Resistenza, e tante donne parteciparono attivamente a questa delineazione, al di sopra dei partiti politici, poiché come evidenzia Gabrielli, l’eguaglianza con i compagni partigiani era una necessità di tutte. Gabrielli sottolinea inoltre l’importanza della stampa che, ancora una volta, diviene il veicolo prioritario poiché, tramite le pagine di «Noi donne», rivista ufficiale dell’UDI, si imponevano modelli e figure femminili diversi che infondevano alle lettrici coraggio e orgoglio. «Noi donne», infatti, si soffermava su tutti i generi di donne che avevano contribuito alla Resistenza ma soprattutto sulle partigiane, protagoniste di azioni militari, che avevano versato il sangue o avevano subito mutilazioni gravi. Joyce Lussu, fin da bambina, aveva una approfondita conoscenza di quattro lingue: francese, tedesco, italiano e inglese, che le furono di grande aiuto nelle missioni che dovette compiere in Europa. Oltre alla conoscenza di più lingue, e soprattutto del tedesco, l’autrice ribadiva spesso, come in Portrait, Ancona, Transeuropa, 1988, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, prefazione di Giulia Ingrao, quanto fosse più semplice passare i controlli in coppia, poiché la figura del rivoluzionario di allora era di un individuo asociale e irregolare. Alla formazione da donna partigiana ha contribuito non poco il servizio militare svolto in un campo vicino Londra, in Portrait, pp. 81-83, in cui Lussu ricordava di essere stata l’unica donna sottoposta all’addestramento maschile, imparando ad usare inchiostri simpatici, codici cifrati, alfabeto Morse, ordigni di sabotaggio, composizione e utilizzo di veleni, coltelli a serramanico e armi da fuoco. Dell’autrice non si può non ricordare il contributo offerto nel campo delle contraffazioni, falsificando documenti e firme che portarono in salvo compagni ed esuli. La testimonianza di Joyce Lussu offre un esempio di donna che combatté insieme agli uomini, che partecipò alla Resistenza a fianco degli uomini, che lottò per l’egualitarismo, che andò oltre la divisione di generi, immaginando una lotta comune per la libertà.

26 figli vivi e tre morti, che attendevano l’arrivo della sesta figlia, l’unica femmina. La scrittrice si soffermò spesso sui particolari della vita di campagna, fatta di privazioni, malattie, morte infantile, sacrificio, descrivendo Antonia, la protagonista, con i capelli radi e senza denti, e i cinque figli con «gli occhi cerchiati di febbre».65 Febbre che colpisce anche la piccola appena nata, che si aggravò contraendo l’enterite. Tramite le parole del medico che visitò la neonata, Lussu sottolineava la vera malattia che colpiva il paese: la fame. La bambina morì l’indomani, il prete del paese, Don Gesumino andando a consolare la famiglia, si accorse della nuova gravidanza di Antonia.66

È morto un bambino per consolare Mindszenty, in «Noi donne», 13 novembre 1949, p. 5

Joyce Lussu, nella prima parte dell’articolo, propone un breve excursus sulla situazione italiana l’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, e in particolare dell’art. 33 della Costituzione, che rendeva la scuola obbligatoria per tutti i bambini e sovvenzionata dallo Stato, ma che permetteva ad enti privati di istituire scuole senza onere dello Stato. La scrittrice precisava che l’on. Gonella si fece promotore di una lotta contro la scuola di Stato, e a favore delle scuole cristiano cattoliche private, che garantivano assegni famigliari scolastici per tutti i frequentanti. La critica che la scrittrice poneva in atto venne supportata da un articolo, riportato nelle righe successive della rivista, tratto dal periodico della Pia Unione Eucaristica, Il Santo Cenacolo, diretto da Padre Alfonso Paiotti. L’articolo, riportato da Lussu, aveva come titolo UN CENACOLINO DI

65 Joyce Lussu, La bambina, p. 10. 66Lussu, ricreando l’atmosfera della vita contadina della fine degli anni Quaranta, evidenziava la religiosità dei contadini, unica fonte di speranza e consolazione per i dispiaceri, che nel testo era resa dalla Provvidenza, sottolineando la credenza che Dio possa indirizzare le cose umane al fine previsto. L’attenzione che la scrittrice riservava alle fatiche della vita contadina, ma soprattutto alle privazioni che le donne contadine dovevano compiere quotidianamente, è testimoniata da una miscellanea di cui Lussu fu curatrice dal titolo Donne come te, Milano-Roma, edizioni Avanti!, 1957. Questo volume si proponeva di raccogliere inchieste e dati statistici, dando inizio ad uno studio al fine di fornire un resoconto del tenore di vita di casalinghe, lavoratrici o disoccupate, offendo, in ogni capitolo, un’analisi della vita della donna posta nelle varie realtà. La seconda inchiesta del volume, a firma di Carlo Graffigna, denunciava gli abusi di una vita contadina votata al sacrificio, riportando il racconto di una giornata tipo di una contadina di nome Caterina, e dei suoi due figli, in Il destino ha un nome, in Donne come te, pp. 72-84. Anche in un altro volume della scrittrice, Padre Padrone Padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, prolaterie e padrone, a cura di Chiara Cretella, Camerano (AN), gwynplaine edizioni, 2009, Lussu poneva in evidenza il mondo contadino femminile proponendo un’analisi delle società rurali dove il lavoro di tutti i componenti della famiglia, comprese le donne, era essenziale per la riuscita del raccolto, fino all’arrivo, specifica l’autrice, del diritto canonico nelle campagne che subordinò la donna ad essere una costola dell’uomo, collegando, ancora una volta, campagna e religione. La perdita di un figlio fu un’esperienza che le parole di Lussu riuscirono a evocare con tutto il dramma di madre, forse ciò è dovuto alla conoscenza diretta che la scrittrice ebbe dell’aborto clandestino, durante gli anni di militanza, in fuga dall’Ovra e dalla Gestapo, raccontato nelle pagine di Portrait, Ancona, Transeuropa, 1976, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, il suo volume autobiografico. Il figlio a cui Lussu dovette rinunciare, a causa della guerra e della Resistenza, era convinta fosse una femmina, come la bambina della storia, ed anche la scrittrice, come Antonia, la protagonista, si accorse dopo poco tempo di essere nuovamente incinta. Joyce Lussu diede alla luce il suo unico figlio Giovanni in una Roma appena liberata. Un altro aspetto dell’articolo che si può considerare è come la scrittrice riservò una grande dignità per il personaggio di Antonia: lo stoicismo con il quale la protagonista affrontava la perdita di un’ennesima figlia evidenzia il carattere mite ma forte della contadina, prototipo di quelle che la scrittrice incontrò sulla strada della Resistenza. In Portrait al ritorno da una missione scrisse:

Ero contenta di ritrovarmi tra la gente di tutti i giorni, tra le donne con le mani rovinate dal bucato e dalla zappa, che non avevano una laurea e nemmeno la licenza elementare, ma che una concreta umanità e un pratico senso della vita portavano a partecipare alla lotta, ad assumersi in proprio le responsabilità della Resistenza, anche se comportava dei rischi mortali. p. 94.

Era nella vita contadina che la scrittrice sembrava riscontrare quell’autenticità e quel carattere carsico, tratti propri di una reale e rara umanità.

27 10 ANNI: “vittima volontaria”, trattando della morte di un bambino a soli dieci anni, di nome Eugenio Ponti. Il bambino, trovandosi in una scuola cattolica, assistette alla preghiera per il Primate di Ungheria, Jozsef Mindszenty, affermando che avrebbe dato la vita per salvare il Cardinale, che venne arrestato quando l’Ungheria divenne un paese satellite dell’Unione Sovietica. Pochi giorni dopo il bambino morì, senza chiarire le circostanze del decesso, ma l’articolo contenuto nel periodico esaltava la figura del piccolo Eugenio come un angelo che compì un atto eroico. Il commento della scrittrice occupava le poche righe finali, ed era rivolto alle madri italiane, che non potevano considerare la morte dei propri figli come un gesto eroico finalizzato alla salvezza dell’anima. Anche il titolo provocatorio, scelto da Lussu, chiariva le sue posizioni in merito all’argomento, opponendosi all’idea che la morte di un bambino debba essere considerata “consolatoria” per una comunità religiosa.67

L’analfabetismo. Triste primato della Lucania, in «Noi donne», 27 novembre 1949, p 13

L’articolo ebbe lo scopo di denunciare la condizione di analfabetismo in cui versava la popolazione, soprattutto infantile, in Lucania. L’analfabetismo, evidenziava Lussu, fu un fenomeno che comprese gli adulti ma soprattutto i bambini della nuova generazione, che erano costretti a fare lezione, coloro che potevano frequentare la scuola dispensati da ogni forma di lavoro minorile volto a coadiuvare le famiglie, in stalle, cantine, edifici con scarse condizioni igieniche. L’autrice chiariva, inoltre, come i bambini spesso non avessero scarpe per camminare i chilometri che servivano a raggiungere la scuola, di come gli insegnanti fossero demoralizzati, e i genitori disoccupati. L’ignoranza, chiariva Lussu, è un male che non permette la crescita del cittadino e la formazione della persona, era un problema del quale, chiariva nuovamente l’autrice, si sarebbe dovuto occupare il governo democristiano, ma il ministro Gonella, già citato in un articolo precedente sempre nell’ambito dell’educazione infantile, reputò che non si dovessero più concedere fondi alle scuole statali, segnando il destino di questi futuri cittadini, che erano bambini lucani senza istruzione. Nell’ultima parte dell’articolo Lussu esorta all’azione popolare, ritenendo inaccettabile una tale violenza dei diritti della Costituzione, che avrebbe creato solo dei cittadini ignoranti senza diritti né doveri.68

67 All’argomento religione, Lussu e Ballestra dedicarono delle pagine in Joyce L. Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012, volume che contiene diciannove conversazioni incise su nastro in cui Lussu delineava i tratti più salienti della sua vita e le sue riflessioni, seguendo le domande di Ballestra. Lussu reputava che la religione cristiano cattolica, che presenta un Dio padre che impone norme comportamentali senza discutere, fosse un atto terroristico, «ti mettono in testa sin da piccolo che sei impotente, che sei uno straccio e che non vali niente», p. 34; concetto fortemente ribadito dalla scrittrice, come dimostra lo stesso articolo.

68L’ attenzione alla formazione dei giovani portò Joyce Lussu a divenire una “nonna narrante” nelle scuole marchigiane, come è raccontato nel capitolo di Donatella Picciau, Joyce Lussu, i giovani e la scuola, contenuto nella miscellanea Joyce Lussu, Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, Cagliari, CUEC, 2003, pp. 139-143, in cui l’autrice chiarisce che «a questo Joyce Lussu risponde offrendoci un nuovo e diverso concetto di “cultura” intesa come fattore imprescindibile per un’esistenza autenticamente umana: non si insegnano in realtà valori al di fuori della conoscenza e all’opposto non si insegnano conoscenze senza valori», p. 140. L’impegno di Lussu nella lotta contro l’analfabetismo è testimoniato anche dal volume miscellaneo Donne come te, a cura di Joyce Lussu, Milano-Roma, edizioni Avanti!, 1957, uno dei primi studi statistici condotti sull’occupazione delle donne. Nella seconda sezione occupata alle statistiche, è dedicato un capitolo all’istruzione e all’analfabetismo, percentuale ancora molto alta per uomini, donne e bambini nel 1951, risultante dall’elaborazione dei dati ISTAT. Il fenomeno dell’analfabetismo è stato uno dei temi più indagati e combattuti dalle redattrici della rivista «Noi donne» e dalle direttrici come Lussu, come evidenziato da Patrizia Gabrielli, in La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Donzelli editore, 2005, volume che si propone di delineare il percorso storico compiuto dall’UDI, partendo dalla nascita, evidenziando i contributi e gli avvenimenti più salienti. Con iniziative nazionali, locali 28

È necessario ricordare!.., in «Noi donne», 11 dicembre 1949, p. 5

Lussu introduceva l’articolo con una breve premessa dove ricordava la data del 18 dicembre, in cui si sarebbero tenuti raduni di donne della Resistenza per denunciare la svalutazione continua degli ideali in nome dei quali era stata condotta la guerra di liberazione, arrestando e processando partigiani, non offrendo alcuna assistenza alle famiglie dei caduti. In questo contesto storico Joyce Lussu si proponeva, tramite il ricordo di una figura femminile, di riportare alla memoria quella resistenza popolare, in particolare romana, che fu condotta con sacrificio, forza e coraggio, e che trovò in Carla Capponi, Medaglia d’Oro, una valida esponente. Carla Capponi veniva definita dalla scrittrice come una semplice donna, una moglie, una madre, ma una donna coraggiosa e con una grande coscienza sociale, che la spinse a porsi in primo piano nella lotta di liberazione. Lussu passava poi a ricordare l’incontro con gli esponenti dell’antifascismo che Carla Capponi ebbe a diciassette anni, ai quali si unì per inseguire il progetto di una società socialista. Lussu proseguiva sottolineando come la donna, dopo essersi procurata una pistola, sottraendola ad un milite sul tram, entrò a far parte del G.A.P, i combattenti che operavano in prima linea. La partigiana, ribadiva Lussu, fu presente a tutte le azioni più significative, come l’attacco del 18 dicembre verso le 11 di sera ai tedeschi mentre uscivano dal cinema Barberini, causando 16 morti; fu vicecomandante della squadra armata garibaldina di Centocelle, coadiuvando gli alleati sbarcati ad Anzio. Lussu passava poi a ricordare la protesta delle donne, davanti alla caserma dell’81° Fanteria, per il rastrellamento di settemila uomini, dove Carla Capponi venne arrestata dai fascisti e rilasciata dopo poche ore, soprattutto per l’abilità con la quale condusse l’interrogatorio. La scrittrice sottolineava come fu la partigiana a preparare le bombe per l’attentato di via Rasella, attentato per il quale fu chiamata in giudizio, puntualizzava Lussu, durante la Repubblica De Gaspari. Successivamente, molto malata, prese parte all’insurrezione di Roma, colpita da pleurite, emottisi e tubercolosi. Dopo quattro anni di cure Carla Capponi ritornò in ottima salute, madre e moglie, continuò il suo impegno nella lotta.69

e con la diffusione, tramite organi di stampa, di una letteratura di carattere prevalentemente pedagogico, chiarisce Gabrielli, si mossero i primi passi verso l’alfabetizzazione.

69 L’articolo di Joyce Lussu è un esempio di come la rivista «Noi donne» si sia impegnata attivamente per proporre un modello di donna coraggiosa e attiva nella lotta, cercando di non disperdere la memoria, rivestendo un ruolo significativo per la divulgazione della partecipazione femminile nella lotta armata con biografie di partigiane e staffette. Interessante è considerare le varie iniziative dell’UDI, volte all’esaltazione del coraggio delle partigiane, riportate nel volume di Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Donzelli editore, 2005. Tra le tante manifestazioni svolte, si ricorda il primo incontro nazionale delle partigiane al Cinema Lux di Milano, nel marzo del 1948, di cui redasse una cronaca Italo Calvino, dove erano presenti dirigenti come Ada Gobetti, Joyce Lussu, Elvira Pajetta, Camilla Revera che parteciparono all’incontro insieme alle contadine con gli scialli neri, casalinghe, operaie, partigiane, in La pace e la mimosa, p. 146. Nella figura di Carla Capponi si può rintracciare, inoltre, l’ideale di donna delineato da Joyce Lussu, nel suo autobiografico, Portrait, Ancona, Transeuropa, 1988, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, nel quale scriveva «E trovai tante donne come me, capaci di combattere e decise a combattere, a usare le armi pur odiandole, a sconfiggere le forze della guerra per non avere mai più guerre», Portrait, p. 83. In Padre padrone padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, a cura di Chiara Cretella, Camerano (AN), Gwynplaine edizioni, 2009, Lussu delineava una breve storia della subordinazione femminile in una società androcentrica, ribadendo che «non era affatto un’aspirazione a mascolinizzarmi. Il bello era appunto agire come donna, sentendomi sempre più donna, e apprezzando sempre di più le diversità e le complementarietà con l’altro sesso», p. 26. La pubblicazione delle biografie delle donne in lotta, infatti, rompeva l’idea di una donna nel focolare domestico, mansueta 29 2.2. Contributi del 1950

Donne spaccapietre, in «Noi donne», 5 febbraio 1950, p. 7

L’articolo di Joyce Lussu ha origine dalle osservazioni della scrittrice maturate durante il suo viaggio in Sardegna. Lussu chiariva, già nelle prime righe, che per le donne della Sardegna il matrimonio era l’unica soluzione per la sussistenza, per questo erano sempre mogli. Le donne che avevano mariti poveri, pastori, contadini, minatori, braccianti, erano donne che erano capaci di fare molte cose, tra le quali filare e tessere la lana, raccogliere i fichi d’india con l’ausilio di lunghe canne, ma il loro lavoro le portava a sfiorire presto, già a trent’anni perdevano i denti per la malnutrizione, si ammalavano sovente, e morivano giovani. La scrittrice passa poi alla descrizione delle abitazioni di queste famiglie, di pietra o di mattoni crudi, senza acqua corrente, senza luce, senza vetri alle finestre. Il pasto principale delle famiglie più povere, chiariva Lussu, era un tozzo di pane bagnato o pane con formaggio. La scrittrice evidenziava come le donne contadine avessero come nemico il clima, poco piovoso e molto arido, mentre le donne braccianti o minatrici i padroni che licenziavano quotidianamente o pagavano poco. Per questa situazione disastrosa le donne erano costrette a cercare dei lavori stagionali, come le donne spaccapietre, che spaccavano con un martello rudimentale il granito sardo sul ciglio della strada. Per queste donne, chiariva Lussu, solo parlare di Camera del Lavoro equivaleva ad un licenziamento immediato che corrispondeva a far morire di fame i loro figli. Lussu sottolineava come, tramite le organizzazioni democratiche, in queste donne lavoratrici fosse tornata la speranza di un miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita, tant’è che ai primi di marzo, a Cagliari, si sarebbe tenuta l’assemblea per la rinascita della Sardegna. 70

e fragile per coglierne le tante sfumature, una tra queste era la femminilità, scardinando l’idea di mascolinizzazione delle militanti in ogni epoca, ribadendo i propri caratteri femminili.

70La scrittrice spendeva parole di stima nei confronti del carattere carsico di queste donne, scrivendo «le loro naturali qualità d’intelligenza e di coraggio», in Donne spaccapietre, p. 7, facendo emergere un legame tenace e invisibile che collegava la scrittrice alle donne di quella terra. Dal cognome “Lussu” è evidente la famigliarità che la scrittrice provava nei confronti della Sardegna, terra di suo marito, Emilio Lussu. Nel volume Con Emilio, Per la Sardegna nella storia di tutti, a cura di Giuseppe Caboni, Cagliari, CUEC editrice, 2013, che raccoglie interventi, articoli, prefazioni di Joyce Lussu riguardanti l’isola, nell’introduzione riportata al volume Sa contra. Racconti sardi di Antonietta Langiu, Lussu scriveva «fu così che m’innamorai di un sardo e anche della Sardegna, perché me ne parlava moltissimo, e a me che non la conoscevo sembrava favolosa e remota. (…) Oltre alle radici, ci sono anche gli innesti, che moltiplicano foglie e frutti», p. 227. Come evidenziano Silvia Ballestra e Joyce Lussu, in Joyce L. Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012, volume basato su diciannove conversazioni incise su nastro, incentrate sulla vita e sulle personali riflessioni della scrittrice, le origini sarde di Emilio Lussu emergevano soprattutto dal suo stile narrativo, semplice ed efficace, legato ai racconti intorno al fuoco dei pastori sardi, pp. 60-61. Il legame della scrittrice con le donne della Sardegna, però, divenne unico e personale dopo la fine della guerra, quando Joyce Lussu si trovò sull’isola per occuparsi delle donne del mondo agropastorale sardo, come ricordato da Nadia Spano in Joyce Lussu e il movimento delle donne in Sardegna, contenuto nel volume miscellaneo Joyce Lussu, Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, Cagliari, CUEC, 2003. Nel contributo viene ricordata la vicenda che coinvolse Joyce Lussu e Nadia Spano in prima persona, nei movimenti di liberazione delle donne della Sardegna, affrontando il problema della disoccupazione, della casa, dell’infanzia, delle condizioni di lavoro, del diritto alla terra. Federica Trenti, in Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu, Vita e opera di una donna antifascista, Sasso Marconi (BO), Le Voci della Luna, 2009, volume che nasce da una tesi di laurea per poi divenire uno dei più importanti contributi sulla vita e l’opera di Joyce Lussu, sottolinea come l’incontro della scrittrice con la realtà sarda, di povertà, miseria, ma anche di autenticità e coraggio, le aprì una porta verso il Terzo Mondo, del quale si occuperà negli anni successivi, partendo dall’incontro con la Sardegna e i suoi abitanti, terra selvaggia, povera, ma contraddistinta da un grande senso di libertà e vigore.

30 La Resistenza continua, in «Noi donne», 26 marzo 1950, p. 4

L’articolo venne scritto per l’anniversario della strage delle Fosse Ardeatine, avvenuta il 24 marzo 1944, in occasione del quale si teneva il Convegno Nazionale delle Donne della Resistenza. La scrittrice ricorda la strage dei 340 partigiani che, portati davanti alle fosse di Via Ardeatina, furono massacrati e sepolti alcuni vivi, altri morti. Joyce Lussu ricorda che, mentre accadeva il massacro, i compagni si ponevano domande sulla sorte degli amici, caricati sugli autocarri tedeschi, nel cortile di Regina Coeli. La scrittrice opponeva il ricordo ancora vivido dell’angoscia che attagliava i suoi compagni, all’indifferenza e svalutazione della Resistenza da parte dell’aristocrazia romana, del Parlamento, dei quotidiani, della gente comune. Lussu evidenziava come durante il processo Graziani, maresciallo fascista accusato di aver commesso crimini di guerra, si susseguirono manifestazioni fasciste a sostegno del maresciallo, e di come le carceri si riempivano di partigiani e antifascisti. In occasione dell’anniversario delle Fosse Ardeatine, sottolineava Lussu, da ogni parte d’Italia sarebbero arrivate donne della Resistenza per opporsi alle vessazioni continue e alle oppressioni subite da uomini e donne, dimostrando che la lotta per la liberazione continuava. Lussu raccomandava unione e solidarietà che portarono alla vittoria in passato, non dimenticando i sacrifici e le gesta di partigiani e partigiane, essendo la memoria uno strumento di resistenza. 71

Oscure eroine le maestre, in «Noi donne», 4 giugno 1950, p. 7

Oscure eroine le maestre fu un articolo tratto dalla documentazione offerta dalle maestre sulla scuola, mediante il concorso “Ho raggiunto la mia sede”, promosso da «Noi donne». La nota che introduce l’articolo è a firma di Joyce Lussu, nella quale veniva sottolineato, come emerso dalle descrizioni delle maestre, la vita dura che le rendeva delle «oscure eroine della lotta per la civiltà».72 Joyce Lussu sottolineava come le maestre si facevano portavoce dei problemi più seri della scuola italiana, dei bambini che infreddoliti ed affamati andavano a scuola quando non dovevano lavorare per coadiuvare la famiglia, senza libri, senza lavagna, in stalle o cantine. Questa preoccupante situazione viene indagata nei paragrafi successivi, mediante le risposte che le maestre inviarono alla rivista, riportando le testimonianze di insegnanti che offrivano descrizioni delle classi: stanze in case coloniche con pochi banchi rimediati e inutilizzabili, stanze in case paesane annerite dal fumo, stalle senza luce elettrica. Dalle testimonianze emergeva, inoltre, che i bambini erano costretti ad aiutare le famiglie pascendo le pecore, potendo frequentare la scuola solo nei mesi invernali quando, a causa della neve, erano impossibilitati a svolgere il lavoro. In quei mesi di frequenza scolastica, raccontavano le maestre, i bambini erano affamati, sporchi, cagionevoli di salute, affaticati dalla strada percorsa per raggiungere l’edificio adibito a scuola. I bambini, descritti dalle insegnanti, erano infelici, denutriti, già stanchi della vita alla loro tenera età, e le maestre, davanti a questo misero spettacolo si chiedevano come potevano aiutare i loro alunni, in che modo migliorare la loro attuale condizione. A questo punto veniva sottolineato come non avrebbero dovuto essere le

71 L’articolo di Joyce Lussu è corredato da rapporti fotografici che rappresentano le salme dei 340 trucidati poste nel Mausoleo, innalzato nel punto dove furono ritrovati i cadaveri, a testimonianza dei sacrifici degli uomini e delle donne della Resistenza; un’altra immagine presenta le bandiere innalzate durante il corteo funebre di sei operai uccisi dalla polizia a Modena e una foto che ritrae l’on Gina Borellini, Medaglia d’Oro, mutilata della lotta partigiana, una delle figure di spicco della Resistenza.

72 Joyce Lussu, nota in Oscure eroine le maestre, p. 7. 31 maestre, con i loro pochi fondi disponibili, a cercare soluzioni concrete, impreparate dall’Istituto magistrale a diffondere la cultura in contesti simili, ma veniva ribadito anche l’impegno di queste insegnanti che non potevano fare a meno di occuparsi di questi numerosi bambini, reietti della società, mosse da una grande umanità e un grande coraggio, lottando per il diritto all’istruzione, lottando per i cittadini di domani. 73

Difendiamo le colonie estive, in «Noi donne», 30 luglio 1950, p. 5

Joyce Lussu nell’articolo denunciava i fondi stanziati per equipaggiare le forze armate, lasciando nella miseria i bambini, privi di istruzioni e denutriti. La scrittrice evidenziava come il governo stanziò solo due miliardi per l’assistenza estiva, che vennero gestiti dall’Ente Nazionale per la Protezione Morale del Fanciullo, legato all’Azione Cattolica, dal passato finanziario assai poco chiaro. L’Unione Donne Italiane si batteva, ribadiva Lussu, per l’infanzia e il mantenimento della pace e, per far fronte all’indulgenza del Governo, riorganizzò le colonie estive servendosi del reciproco aiuto collettivo.74

Il bambino di Marzabotto, in «Noi donne», 13 agosto 1950, p. 2

Il bambino di Marzabotto è una poesia di Joyce Lussu tramite la quale l’autrice ribadì l’importanza della memoria, ricordando Tonello, il bambino di Marzabotto, morto a sei anni per l’esplosione di una granata fascista, per non aver voluto abbandonare il cadavere della madre, appena uccisa. Nelle strofe della poesia la scrittrice ricordava il primo giorno di scuola di quei bambini in grembiule, accompagnati dalle loro madri, trascinati tutti dai fascisti nel cimitero e lì mitragliati, con i corpi delle madri che cercavano di proteggere quelli dei figli. Joyce Lussu si soffermava poi sui tre bambini sopravvissuti, Tonello, Lidia e Lucia, quest’ultima portava in braccio il cadavere della sorella in fasce, Lidia e Lucia scapparono prima del ritorno dei fascisti, Tonello decise di morire con sua madre. Da questo episodio la scrittrice ricordava le morti infantili avvenute ad Hiroshima e

73 Nel volume Con Emilio, per la Sardegna nella storia di tutti, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012, che raccoglie gli scritti di Joyce Lussu riguardanti la Sardegna, è contenuto un articolo di Lussu comparso sul numero del “Ponte”, dell’ottobre del 1951, dedicato alla situazione scolastica della Sardegna, in cui scriveva «il problema della scuola (…) si pone a ogni cittadino consapevole come un problema di coscienza, alla cui soluzione siamo tutti chiamati a portare un contributo: è un impegno morale di tutta la generazione presente nei confronti della generazione cui abbiamo dato la vita a cui dobbiamo dare anche la civiltà», p. 25. La scrittrice denunciava le condizioni di arretramento della scuola italiana, in particolare delle scuole della Sardegna, riportando le statistiche che dimostravano come nell’isola ci fossero in tutto solo 509 plessi scolastici. Joyce Lussu ribadiva, inoltre, come fosse un dovere di tutti gli uomini e le donne lottare per l’istruzione dei propri figli, futuro della società.

74 Ancora una volta, come in alcuni articoli precedenti, l’attenzione di Lussu si rivolgeva all’infanzia, al diritto all’istruzione, alla cultura, credendo fermamente nella scuola ed in tutti i luoghi di diffusione delle conoscenze, come fondamentali nella formazione del singolo individuo. Come è evidenziato nel volume di Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Dalai editore, 2005, molte furono le iniziative dell’UDI a favore dei bambini, delle quali ne sono una testimonianza gli asili, le colonie e i doposcuola che si realizzarono nel concreto. Gabrielli ricorda che la sede dell’UDI rese pubblica e stabile la presenza dell’associazione all’interno della realtà locale con feste, iniziative tese all’istruzione dei bambini, con asili e scuole. Gabrielli evidenzia come i bambini fecero parte anche di iniziative volte alla costruzione dell’identità dell’associazione, tra i primi esempi ci furono i treni addobbati con bandiere, fiori, e scritte inneggianti alla solidarietà che nel 1945 accompagnarono il viaggio dei bambini di Cassino verso l’Emilia, destinati ad essere poi ospitati da famiglie contattate dall’UDI, accolti alla stazione da bande musicali. Tutto ciò contribuì a scolpire nella memoria dei partecipanti questo evento che venne ricordato, anche a distanza di molti anni, con orgoglio.

32 Nagasaki, ad Auschwitz e Majdanek, evidenziando come quel bambino fosse il figlio di ogni madre. Lussu concludeva la poesia con l’invito rivolto a tutte le madri di difendere i propri figli, collaborando per il mantenimento della pace, lottando perché non avvenissero più cose simili ai loro bambini, riuniti tutti nella figura di Tonello di Marzabotto. La poesia è composta da tre strofe, le prime due introdotte dalla stessa domanda esortativa che la scrittrice rivolgeva alle madri, con la raccomandazione di non dimenticare la strage di Marzabotto; mentre nella terza ed ultima strofa la scrittrice ribadiva la necessità di unirsi contro le stragi, a favore della pace. Nella prima strofa è descritto l’accaduto, con i fascisti che ammucchiarono una folla di civili in un cimitero, sparando contro mamme e bambini indifesi; successivamente viene narrata la morte di Tonello, bambino che decise di non abbandonare il cadavere della madre. Nella seconda strofa Lussu, utilizzando delle immagini molto violente e sanguinose, portava l’attenzione su tutte le stragi infantili compiute durante la seconda guerra mondiale. Nell’ultima strofa Joyce Lussu accumunava Tonello di Marzabotto e i bambini uccisi nelle stragi, ai figli di ogni madre, bambini innocenti sacrificati. La poesia è caratterizzata da un linguaggio semplice e chiaro, 75che si avvale spesso di immagini violente, presentate tramite un lessico cruento.76 Nell’ultima strofa sono presenti molti verbi esortativi che la scrittrice utilizzò per riunire le madri sotto un’unica coscienza, al fine di garantire la vita ai propri figli, lottando per un futuro senza guerre.

75 La semplicità e la chiarezza risultano essere caratteristiche tipiche della scrittura di Lussu, come affermava la scrittrice in una conversazione con Silvia Ballestra, in Joyce L. Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012, in cui scriveva «per ciò che riguarda i problemi concreti e reali della vita, un vocabolario essenziale va benissimo. Più il codice è accessibile alla maggior parte della comunità più si danno le condizioni di far capire e conoscere la poesia» p. 213. 76 Dalle immagini cruente riscontrabili all’interno dei versi della poesia si riscontra la predilezione della scrittrice per le “immagini visive” di tipo cinematografico, evidenziata da Gigliola Sulis nel saggio Le parole di tutti i giorni. Appunti sulla scrittura di Joyce Lussu, contenuto nel volume miscellaneo Joyce Lussu, Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, Cagliari, CUEC editrice, 2003, come è evidente al verso 16 in cui utilizza il verbo “falciare” per le vite di quelle madri e di quei bambini, estirpate come piante. Nel saggio Sulis sottolinea l’attenzione che la scrittrice poneva sulla concretezza dei fatti, che si può riscontrare nella poesia nel discorso portato avanti dai tre bambini sopravvissuti, nei versi 23-28, quando Tonello decise di sacrificare la sua vita e non seguire le due bambine in fuga. Nella seconda strofa si può notare la lingua antiretorica e denotativa tipica della scrittura di Joyce Lussu, sottolineata da Sulis, evidente nella descrizione dei cadaveri dei bambini, morti a causa dei bombardamenti atomici o dei campi di concentramento; l’immagine dei corpi ammassati viene amplificata dagli enjambement presenti ai versi 41-42 e 43-44, lasciando in sospeso le cause delle morti crudeli, per poi rifocalizzare l’attenzione sulle morti a causa delle bombe nucleari e dei campi di concentramento, che avevano sconvolto e cambiato l’assetto del mondo nella prima parte del Novecento. 33

2.3. Contributi del 1951

Cecoslovacchia felice, in «Noi donne», 21 gennaio 1951, p. 11

Il servizio era un resoconto di un viaggio di Joyce Lussu compiuto in Cecoslovacchia come inviata speciale per la rivista: la scrittrice evidenziava come la Cecoslovacchia fosse un paese senza disoccupati, un paese che prestava molta attenzione ai bambini, al contrario dell’Italia che lasciava ai margini della società bambini denutriti e infreddoliti.77 Lussu evidenziava come nella democrazia popolare cecoslovacca i diritti dei bambini fossero assicurati, garantendo lavoro ai genitori ed asili nido per le donne che lavoravano. La scrittrice ricordava come l’organizzazione sociale aiutasse le madri lavoratrici con congedi retribuiti per le donne incinte fino ai sei mesi del bambino. Per i bambini c’erano scuole, Case dei Bambini, dove i giocattoli ed i libri costavano poco, spettacoli, teatri di marionette tanto che Joyce Lussu sottolineava come il paese sembrasse organizzato per favorire lo sviluppo dei bambini, ponendo sempre maggiore attenzione al periodo dell’infanzia, cruciale per la crescita dell’individuo.78

Pupazzi e burattini, in «Noi donne», 28 gennaio 1951, p. 16

In questo articolo Lussu approfondiva il teatro dei burattini in Cecoslovacchia, nella quale si poteva ritrovare una lunga tradizione e l’impegno di musicisti, scrittori e pittori. Agli inizi dell’Ottocento, ricordava la scrittrice, il teatro dei burattini era itinerante, il burattinaio si spostava da un paesino ad un altro, improvvisando anche satire d’attualità, esortando, attraverso questo mezzo culturale, alla lotta antifeudale e antimperiale. Gli intellettuali cechi utilizzarono i burattini come mezzo di propaganda, perfezionando il teatro nel tempo, con trame e musiche sempre più raffinate; la scrittrice riportava il nome di Kasparek, il burattino giullare, proletario e arguto, che divenne simbolo della lotta per l’indipendenza dall’impero asburgico, e successivamente della lotta contro il nazismo. Joyce Lussu sottolineava la grande varietà di marionette che si potevano incontrare nei vari teatri cechi, ponendo attenzione al nome di Josef Skupa, che per le battute di due dei suoi personaggi, il padre semplice e il ragazzo astuto, finì rinchiuso nelle carceri naziste. Alcune marionette, ricordava Lussu, erano azionate da bastoncini, altre erano mosse da mani, molte volte gli stessi attori recitavano sul palco con le marionette. Al momento in cui scriveva Lussu molti teatri di burattini erano itineranti in Cecoslovacchia, arrivando nei paesini più sperduti a portare un’espressione di arte popolare che consolava molti bambini della loro condizione, offrendo pochi attimi di cultura e svago. Lussu proponeva, infine, di riscoprire e riportare questa vecchia tradizione anche nel nostro paese, portando un briciolo di libertà ai bambini italiani analfabeti.

77 L’articolo era corredato di foto che raffiguravano i bambini mentre svolgevano esperimenti a scuola, curati da pediatri che li assistevano con cure costanti, che giocavano indossando il costume nazionale. 78 Il volume di Silvia Ballestra Joyce L. Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012, raccoglie conversazioni incise su nastro che Silvia Ballestra ebbe con Joyce Lussu e nelle registrazioni del primo semestre 1994 Lussu affermava che lo scopo del viaggio era «conoscere la mia casa e i miei coinquilini», p. 25, ponendo come proposito del viaggio l’incontro con l’altro. L’attenzione della scrittrice, in particolare, sembra essere stata spesso rivolta ai bambini, prima cosa che le mamme guardano appena arrivate in un altro paese, come specificava nel servizio, poiché tenere conto dell’educazione e della salute dei bambini è la premessa necessaria per lo sviluppo di una società democratica e di un paese civile.

34 Per la pace, madri, diamoci la mano, in «Noi donne», 29 luglio 1951, p. 11

Lussu dedicava questa poesia alle stragi della Corea, perpetrate per mano degli americani, soffermandosi sulle atroci documentazioni delle stragi infantili coreane. Interessanti sono le prime strofe della poesia, nelle quali la scrittrice riportava la descrizione di un’esecuzione di massa di civili polacchi, richiamando alla memoria le stragi della seconda guerra mondiale, perpetrate dalle SS tedesche. Il massacro dei bambini polacchi si sovrapponeva al massacro dei bambini coreani, richiamandosi a vicenda, facendo contrasto con i visi dei bambini vivi che giocavano nei campi di fiori. La scrittrice sembrava sottolineare come lo scempio condotto in Corea nel 1951 richiamasse lo scempio condotto dai tedeschi in Polonia nel 1943, e come entrambi richiamassero il massacro infantile, la morte dei bambini, che non hanno nazionalità o paese, ma sono solo dei bambini, figli di madri con visi solcati dal dolore. Lussu concludeva con un appello a tutte le madri che lottassero per la pace, che si opponessero alla guerra e allo sterminio dei bambini, di tutti i bambini che non hanno nome, diversi tra loro, ma uguali nella loro innocenza. La poesia è composta da tre strofe, tutte introdotte dalle sensazioni visive della scrittrice: nella prima strofa, la più lunga, viene riportato il racconto dell’esecuzione dei civili polacchi, ricordo rievocato dal ritrovamento di un articolo di un giornale che riportava l’accaduto; la scrittrice si sofferma su una mamma ed un bambino, ammucchiati nel gruppo destinato alla morte, il bambino camminava lentamente, non voleva seguire la folla, la mamma lo convinceva, con i modi dolci di madre, a camminare più velocemente, l’unica consolazione, infatti, era morire abbracciati. La seconda sensazione visiva, che dà luogo alla seconda strofa, è evocata da una foto del cadavere di una donna che aveva, attaccato al seno, un bambino che piangeva, in un villaggio distrutto di Pyongyang, Corea. La terza strofa ha inizio con lo sguardo della scrittrice che si posa sui bambini che giocavano in giardino tra i fiori, riportando un velo di felicità, oscurato poco dopo dal ricordo martellante di quelle immagini, dei corpi delle madri e dei bambini innocenti. La poesia si chiude con l’appello, da parte di Joyce Lussu, all’azione collettiva per la vita e la creazione di una società che garantisse la pace.79

Terra sola, in «Noi donne», 25 novembre 1951, p. 5

La scrittrice dedicava questa poesia alla Sardegna per le condizioni di miseria in cui versava durante la seconda guerra mondiale, e nel dopoguerra.80 I primi aggettivi che la scrittrice riservava a questa terra erano «sola e lontana», sottolineando la particolarità dell’isola, distante e abbandonata dall’Italia. La scrittrice passava poi ad evocare i costumi tipici sardi indossati dalle donne, i pastori,

79 La pace fu uno dei principi guida dell’Unione Donne Italiane, fin dalla sua fondazione, come sottolinea Patrizia Gabrielli, in La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Donzelli editore, 2005, volume che si prefigura di ripercorrere la storia dell’associazione, e dell’organo di stampa ufficiale «Noi donne». Già nei congressi del 1947 e del 1949, il secondo ed il terzo, si trattarono argomenti d’origine generale come la difesa della famiglia, il lavoro e la pace lasciando sullo sfondo la tematica dell’emancipazione femminile. Alla fine degli anni Quaranta le manifestazioni si riempiono di bandiere della pace, dette “Bandiere pellegrine della pace”, simboli concreti che entrarono a far parte del ricco apparato iconografico identificativo. Le donne, come madri e come mogli, sembravano vedere nell’ideale della pace, la condizione necessaria per la sopravvivenza della propria famiglia e dei propri bambini, avendo superato, da soli sei anni, l’incubo della seconda guerra mondiale.

80 L’incuria e la marginalizzazione dell’isola colpirono così tanto la scrittrice che, nella relazione Per la Sardegna, contenuta nel volume Con Emilio. Per la Sardegna nella storia di tutti, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore S.p.A, 2012, pp. 231-236, Joyce Lussu scriveva «ma quando sono arrivata in Sardegna mi sono stupita al vedere che l’Italia era anche questo, era anche la Sardegna», p. 232. 35 i buoi che in processione erano ornati con collane di fiori; Lussu affermava, però, di essere alla ricerca di qualcos’altro nell’isola, della sua anima solitaria e triste, tipica degli uomini e delle donne che affrontavano, un giorno dopo l’altro, la vita, compiendo enormi sacrifici. Nelle strofe successive la scrittrice elencava le fatiche che gli abitanti della Sardegna dovevano affrontare, come la siccità, le malattie, la fame, con fare quasi stoico, di muta accettazione, al fine di sopravvivere un giorno in più; ma è nella penultima strofa che la scrittrice descriveva il vento di rivolta che stava caratterizzando i poveri, i lavoratori contro i padroni, contro la terra arida, chiedendo di più, unendosi alla lotta dei lavoratori comune in tutta Italia. La poesia è composta da strofe molto brevi, le prime quattro ricordano ognuna un aspetto tipico della popolazione, dai costumi, alle processioni pagane, al prete, ma la strofa ha inizio con una negazione, che si ripete in tre strofe, sottolineando la necessità della scrittrice di ricercare nella Sardegna qualcosa che non sia tipico, inflazionato, popolare. Nella quinta strofa ha inizio la lista delle cose che la scrittrice ricercava nell’isola, come i tramonti, la solitudine armoniosa, le fatiche quotidiane di uomini e donne, che avevano come nemico più grande la terra stessa, arida e brulla, che offriva pochi doni, richiedendo però molta fatica. Nella terzultima strofa, la più lunga, la scrittrice ricordava la speranza che caratterizzava da qualche tempo gli abitanti dell’isola, data dall’unione di tutti i lavoratori italiani, contro il padrone ingiusto, che aveva conferito agli abitanti della Sardegna la sensazione di partecipare ad una lotta comune.81

81Dal Primo Convegno Regionale delle Associazioni Donne Sarde, come si può leggere nelle descrizioni delle foto che fanno da cornice alla poesia, tenutosi l’11 novembre 1951, erano emersi dati preoccupanti sulla vita dura e misera di questi uomini e donne colpiti da malattie, fame e analfabetismo, su 352 comuni della Sardegna solo 115 avevano la scuola. Sul tema della poesia Joyce Lussu chiariva le sue posizioni in un volume di Silvia Ballestra Joyce L.: Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012. Nelle registrazioni del secondo semestre 1996, Joyce Lussu affermava che «la poesia è sempre stata un atto di rottura con tutto, con la grammatica, con la sintassi o con la parola stessa. È qualcosa di veramente diverso, che aggiunge un che di altro e di essenziale al nostro linguaggio quotidiano, a patto che la comunicazione sia rispettata nella sua chiarezza e semplicità», p. 214. La scrittrice evidenziava come una delle caratteristiche principale della poesia fosse il linguaggio semplice, che richiamava il quotidiano, per arrivare ad un numero più ampio possibile di lettori. Joyce Lussu infatti, nelle pagine successive, chiariva come la scrittura fosse sempre stata per lei un mezzo di diffusione, non avendo mai avuto l’intenzione di diventare una scrittrice. La poesia, per Joyce Lussu, doveva quindi partire dalla vita, parlando dei problemi concreti e reali, usando un vocabolario essenziale, al fine di essere sempre più accessibile alla maggior parte della comunità.

36 2.4. Contributi del 1952

Gairo scivola a valle, in «Noi donne», 20 gennaio 1952, p. 7

Il servizio della scrittrice riguardava Gairo, un piccolo villaggio situato nelle montagne dell’Ogliastra, che per le continue alluvioni che causarono frane, era prossimo a franare verso valle, nel burrone, destinando la popolazione alla morte.82 Lussu ricordava che Gairo era un paese di 2600 anime, dichiarato inabitabile, per alluvioni e frane, unica casa di questa gente, che non aveva un altro posto in cui rifugiarsi e vivere, per questo la maggior parte della popolazione aspettava aiuti almeno per i bambini e gli invalidi, o la ricostruzione del paese in un luogo sicuro. Joyce Lussu ricordava la resistenza delle donne di Gairo chiuse nel Municipio, contro agenti di polizia che furono mandati da Nuoro, che con lacrimogeni, mitra, sassi cercarono invano di farle uscire. La scrittrice ricordava il giorno di San Silvestro quando le donne si riunirono davanti al Municipio esponendo le loro lecite richieste, chiedendo soprattutto il sopraluogo del Prefetto, decidendo di occupare il Municipio con i loro bambini, in maniera ordinata e pacifica. La mattina, ricorda Lussu, arrivarono squadre di agenti che iniziarono a manganellare le donne, gli uomini e i giovani scesi nella piazza del paese per difenderle. Le donne di Gairo continuarono a resistere fino al giorno seguente, quando gli agenti, penetrati all’interno del Municipio, le portarono fuori una dopo l’altra. La scrittrice passava poi a riportare le testimonianze dirette che poté raccogliere dalle donne del paese, qualche mese dopo, ancora scosse per l’accaduto, qualcuna con gravi traumi e ferite causate dall’incursione violenta degli agenti, spaventate ma ferme ancora nel proposito di salvare il loro paese, la loro famiglia, unite nella lotta comune per la vita.

Mimose sui quattro mori, in «Noi donne», 22 marzo 1952, p. 5

Il servizio a firma di Joyce Lussu proponeva una dettagliata descrizione del primo Congresso delle donne sarde, tenutosi a Cagliari il 9 marzo 1952, che riunì le donne della Sardegna, giunte da paesi, villaggi e città, per incontrarsi e discutere la realtà della vita nell’isola. La scrittrice, nella parte iniziale del servizio, descrive il teatro pieno di donne provenienti da ogni luogo della Sardegna, di ogni ceto e provenienza, molte uscite per la prima volte dal proprio paese; evidenziava gli ostacoli posti dalle autorità, che guardavano con ostilità il Congresso, essendo convinti che le donne sarebbero dovute rimanere rinchiuse nel recinto domestico, negando l’autorizzazione a camion e pullman, mobilitando la Celere, pubblicando articoli violenti contro le donne che si sarebbero riunite per discutere delle loro problematiche e delle problematiche dell’isola. Questo comportamento aggressivo, chiariva Lussu, non aveva fatto altro se non stimolare la presenza delle donne, giunte con ogni mezzo a Cagliari. Lussu riportava la documentazione sulle condizioni della Sardegna, denunciate dalla presidente Aida Gardia Tore, che insieme ai problemi indicava anche le soluzioni. L’attenzione, sottolineava la scrittrice, fu posta su tutte le drammatiche condizioni di lavoro tramite le testimonianze di braccianti, mogli di contadini e pastori, dell’istruzione per la mancanza di scuole, di vita come la costruzione di case popolari e acquedotti. Tra un intervento e l’altro, ricordava la scrittrice, vennero portati doni, saluti dalle donne siciliane e romane, e da ogni parte d’Italia, delineando una rete di solidarietà femminile che si stringeva intorno alla condizione

82 Il servizio contiene un rapporto fotografico del paese destinato alla distruzione: le donne di Gairo che indicavano alla scrittrice le fenditure che si potevano notare nella montagna, simbolo della minaccia quotidiana alla vita degli abitanti, un carretto sul quale una delle famiglie del villaggio si allontanava, mettendosi in salvo dall’incombente frana. 37 delle donne sarde. Joyce Lussu terminava il racconto con l’incitamento della Presidente a rimanere unite, e a continuare la lotta per delle migliori condizioni di vita, supportate dalla creazione di un Consiglio delle Donne Sarde con il compito di trasformare in azione le iniziative proposte dal Congresso.83

“I collabòs”, in «Noi donne», 14 giugno 1952, p. 3

Joyce Lussu ricordava il giugno del 1940 quando le divisioni tedesche invasero la Francia e una massa di sfollati si riversò per le strade verso la Loira, ultimo baluardo di opposizione.84 Lussu evidenziava come fu in questa occasione che nacque la parola “Resistenza” alla quale si oppose la parola “collaborazione”; Joyce Lussu chiariva come i collaborazionisti, chiamati anche con il diminutivo “collabòs”, furono coloro che si opposero alla Repubblica e che si opposero alla Resistenza aiutando i nazisti ad arrestare partigiani e comunisti, quest’ultimi chiamati il “partito dei fucilati”. Lussu evidenziava come nel 1952 fosse alla presidenza del consiglio dei ministri francese un “collabò”, e come fosse sostenuto dal governo italiano ricordando che il 2 giugno furono impediti a Pesaro, dove era presente la scrittrice, ed in tutta Italia, comizi di celebrazione per “motivi di ordine pubblico”. La scrittrice chiarisce come la Resistenza fosse stata un’esperienza incancellabile, e come il socialismo si fosse affermato in gran parte del mondo che giudicò colpevoli i gerarchi come Goering e Ridgway, ponendo attenzione affinché fosse mantenuto un governo di pace.

Nel grande mondo dei piccoli, in «Noi donne», 5 ottobre 1952, pp. 16-17

Joyce Lussu al ritorno dall’URSS redige un servizio riguardante la visione che l’Unione Sovietica aveva riguardo ai giocattoli. Lussu evidenziava come i negozi dei giocattoli rimanessero aperti fino a sera, essendo considerati un bene di prima necessità, offrendo una vasta scelta dei più vari giocattoli che si presentavano come manufatti preziosi a basso costo e costruttivi, infatti la scrittrice notava di non aver trovato carri armati, armi, soldatini, giochi votati solo alla morte. La scrittrice citava Makarenko, un educatore sovietico che vide nell’approccio al gioco del bambino piccolo l’approccio al futuro lavoro che avrebbe avuto da grande. Lussu sottolineava come la cura del giocattolo fosse affidata ad un istituto per la ricerca scientifica del giocattolo e ad un consiglio artistico e tecnico del giocattolo facente parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Lussu, alla fine del servizio, contrapponeva l’attenzione che l’URSS poneva sul giocattolo, considerandolo

83 Nadia Spano collaborò accanto a Joyce Lussu alla costruzione dell’autonomia della Sardegna, il loro contributo è descritto in Joyce Lussu e il movimento delle donne in Sardegna, contenuto nel volume miscellaneo Joyce Lussu, Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, Cagliari, CUEC, 2003, pp. 151-155. Nel contributo a firma di Nadia Spano è contenuta la testimonianza dell’impegno di Joyce Lussu per la questione delle donne della Sardegna, raggiungendo i villaggi sperduti solo per parlare con gli abitanti, soprattutto con le donne, per conoscere a fondo le problematiche comuni. Nadia Spano ha evidenziato l’impegno della scrittrice nel denunciare le condizioni di miseria dell’isola, dovute all’indifferenza dei governi, facendosi portavoce di chi la voce non l’aveva. Le donne della Sardegna proponevano soluzioni concrete ai loro problemi, discutendo e organizzandosi, fu così che venne organizzato il primo Congresso delle Donne sarde, in cui, per la prima volta, la voce delle donne non cadeva nell’oblio. 84 Nel suo volume autobiografico Portrait, Ancona, Transeuropa, 1988, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, prefazione di Giulia Ingrao, Joyce Lussu ricordava di essere stata presente all’occupazione di Parigi da parte dei tedeschi scrivendo «Chi avrebbe potuto prevedere, in quel grigio e piovigginoso giugno parigino del 1940, che in poco tempo sarebbe riuscita a raccogliere le sue forze per assestargli un colpo mortale? I tedeschi a Parigi!», p. 75.

38 parte integrante dell’educazione, alla società occidentale che non considerava affatto il gioco del bambino come un oggetto di studio.

I costruttori dell’avvenire, in «Noi donne», 12 ottobre 1952, pp. 16-17

Joyce Lussu in un servizio riguardante l’URSS descriveva il funzionamento delle città dell’Unione Sovietica, in particolare Leningrado, come una città ricostruita e rigenerata che riuniva monumenti storici con elementi moderni. Joyce Lussu ricordava di essere stata guidata nella visita della città dalla vice presidente dell’amministrazione cittadina che aveva mostrato loro anche la periferia della città, illustrando, con l’aiuto di un architetto, un nuovo piano quinquennale di riqualificazione delle periferie in centri abitati forniti di parchi, scuole, ambulatori. Lussu ricordava che a Mosca visitarono la nuova università e parlarono del nuovo piano regolatore per ampliare strade e viali e del progetto di deviare i due più grandi fiumi dell’Asia per rendere fertili le gradi steppe desolate, irrigando campi, costruendo granai, così da creare nuovi centri urbani ed industriali. Lussu evidenziava come tutti i cittadini avessero contribuito allo sviluppo del piano quinquennale, tanto che la scrittrice ricordava un colloquio con la pedagogista Wadezda Parfenova, durante il quale la pedagogista sottolineava l’impegno fondamentale di donne e bambini, parte integrante della società.85

La piccolissima vita, in «Noi donne», 30 novembre 1952, p. 9

La novella pubblicata da Lussu ha come protagonista una giovane donna che, rimasta incinta, cercò di nascondere la gravidanza fino a che, guidata da un consiglio di una prostituta, giunse ad una casa materna, tenuta dalle suore, con l’intenzione di abbandonare il bambino una volta nato. Una volta partorito la ragazza dovette allattare il neonato in un befotrofio dove vide tutti i bambini abbandonati da madri giovani, come era lei, soffrire per denutrizione e morire. Ferma nel suo proposito, finiti i giorni di allattamento obbligato, la ragazza abbandonò il figlio ad una donna che già ne stava allattando due, ma appena posto il bambino nelle braccia dell’altra donna, quest’ultimo iniziò un pianto disperato, tanto da convincere la madre a tornare indietro. Lussu sottolinea come la scelta della ragazza fosse quella di lottare contro una società che le avrebbe posto ostacoli sempre più duri, impedendole di svolgere il ruolo di madre.

Benedetto Croce, in «Noi donne», 7 dicembre 1952, p. 8

Una colonna del numero 48 viene dedicata da Joyce Lussu alla morte di Benedetto Croce, descrivendo il corteo di cittadini che si riversò nelle vie di Napoli rendendole silenziose, diretti a Palazzo Filomarino a rendere omaggio all’intellettuale. Il corteo seguì anche il feretro di Benedetto Croce simbolo, come sottolineava Joyce Lussu, della patria italiana e dell’antifascismo. Joyce Lussu passava poi a ricordare il primo incontro che ebbe con Croce a soli diciassette anni nella sua biblioteca, accolta dalle quattro figlie antifasciste. Alle figlie Lussu inviava un saluto da parte di

85 Nei rapporti fotografici che incorniciano il servizio sono riportati tutti i miglioramenti che l’URSS aveva in piano per un futuro prossimo: l’aumento dell’obbligatorietà scolastica da settennale a decennale, il ribasso dei prezzi per i principali generi di consumo, un’ulteriore meccanizzazione dell’agricoltura, un aumento dei luoghi di svago e dei luoghi culturali, un miglioramento della sanità. 39 tutta la redazione della rivista, sottolineando come quel lutto fosse non solo il loro ma anche di tutta l’Italia.86

2.5.Contributi del 1953

Addestramento all’assassino, 15 febbraio 1953, p. 23

Joyce Lussu nella prima parte dell’articolo ricordava Derek Bentley, ragazzo giudicato colpevole di aver ucciso un poliziotto o di aver sparato il colpo mortale, e per il reato commesso condannato all’impiccagione. Joyce Lussu evidenzia come un ragazzo di diciannove anni fosse stato giudicato colpevole secondo la legge inglese tanto da perdere la vita, stesso reato che stava legittimando la legge per la Mutua Sicurezza, firmata da Truman l’11 ottobre del 1951. Nell’articolo 101 della legge per la Mutua Sicurezza era specificato che sarebbero stati investiti, per l’anno 1952, cento milioni di dollari a favore di persone residenti o fuoriusciti dall’Unione Sovietica per costruire nuclei armati a sostegno del NATO, finanziando corsi di addestramento al terrorismo, al sabotaggio, ai quali parteciparono anche ex membri della Gestapo e delle SS, con lo scopo di sabotare le organizzazioni politiche, economiche, militari dei paesi socialisti. La scrittrice portava in evidenza la notizia dei nove medici sovietici che, complici dell’organizzazione spionistica, divennero assassini di personaggi socialisti illustri. Joyce Lussu terminava l’articolo ribadendo che i colpevoli non erano i ragazzi come Derek Bentley ma ben altri, coloro che avrebbero dovuto rispondere dei gravi crimini commessi davanti al giudizio del popolo.

L’eredità di Stalin: la pace, 19 aprile 1953, p. 7

Joyce Lussu pubblicò questo articolo in occasione della morte di Stalin. Lussu sottolineava come l’Europa e l’America considerassero Stalin un “dittatore”, per questo, a seguito della sua morte nell’URSS, i governi immaginavano rivolgimenti di potere, che non accaddero, ma l’eredità che Stalin lasciò, evidenziava la scrittrice, fu la pace, riprendendo così il titolo dell’articolo. La politica dell’Unione Sovietica si era dimostrata pacifica e volta all’incontro con gli altri governi, Lussu auspicava che anche il governo italiano prendesse spunto per condurre le proprie relazioni internazionali all’insegna della pace, richiesta fortemente da tutte le madri italiane.

Chi sono i veri socialisti?, 24 maggio 1953, p. 10

Joyce Lussu iniziava l’articolo definendo i veri socialisti coloro che: lottavano per la fratellanza, contro i ricchi e la povertà, uniti nel mantenimento della pace. Lussu denunciava come non socialisti coloro che: promossero la scissione del Partito Comunista con il Partito Socialista che avevano lo scopo comune di difendere i lavoratori, sostenevano il governo capitalista,

86 In Portrait, Ancona, Transeuropa, 1988, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, prefazione di Giulia Ingrao, il volume autobiografico della scrittrice, Joyce Lussu ricordando il primo incontro con Benedetto Croce scriveva:

A Palazzo Filomarino bussai la prima volta quando avevo diciassette anni. Portavo in una borsa della spesa un fascio di manoscritti: poesie, racconti e un dramma in cinque atti a sfondo politico. (…) Leggeva con rapidità incredibile, voltando le pagine una dopo l’altra, col naso che quasi toccava il foglio; tanto che pareva non usasse gli occhi, ma che aspirasse le parole scritte con la proboscide. pp. 52-53. 40 appoggiavano la democrazia cristiana asservita al governo americano. Joyce Lussu evidenziava le pessime condizioni dei lavoratori, degli operai, dei commercianti, cagionate dal governo democristiano italiano asservito al governo americano. Un governo socialista, sottolineava Lussu, avrebbe difeso i diritti dei lavori, avrebbe difeso la Costituzione italiana, si sarebbe reso autonomo dal predominio americano; la scrittrice seguitava facendo leva sulla coscienza, ormai sviluppata, delle donne italiane, consigliando di votare il Partito Socialista Italiano alle future elezioni, facendosi guidare dai principi di libertà e democrazia non ancora attuati dai governi precedenti.

41 Materiale fotografico

Materiale fotografico n°1, Festa popolare in onore del Congresso della Donna Italiana.

Materiale fotografico n°2, Marzabotto città martire-partigiana della pace.

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Bibliografia

Opere di Joyce Lussu:

- Donne come te, a cura di Joyce Lussu, Milano- Roma, Edizioni Avanti!, 1957.

- Joyce Lussu, Padre padrone padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, Milano, Mazzotta, 1976, Camerano (AN), Grynplaine edizioni, 2009, a cura di Chiara Cretella.

- Joyce Lussu, Portrait, Ancona, Transeuropa, 1988, Roma, L’Asino d’oro edizioni, 2012, prefazione di Giulia Ingrao.

- Joyce Lussu, Con Emilio. Per la Sardegna nella storia di tutti, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012.

- Joyce Lussu, L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra, a cura di Chiara Cretella, Camerano (AN), Grynplaine edizioni, 2012.

Critica:

- Silvia Ballestra, Joyce L.: Una vita contro, Milano, Baldini&Castoldi, 1996, Baldini Castoldi Dalai editore, 2012.

- Joyce Lussu: Una donna nella storia, a cura di Luisa Maria Plaisant, Cagliari, CUEC editrice, 2003.

- Federica Trenti, Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu. Vita e opera di una donna antifascista, Sasso Marconi (BO), Le Voci della Luna, 2009.

- Laura Fortini, “Noi donne” dalla carta al web. Il progetto di digitalizzazione dell’Archivio storico della rivista “Noi donne” del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, in «Scaffale aperto», 10 (2019).

- Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa. L’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Donzelli editore, 2005.

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Sitografia:

- Archivia https://www.archiviaabcd.it

- Archivi di stato, Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, 2002. http://www.archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Quaderno_100.pdf

- Archivio digitale centrale dell’UDI https://archiviodigitale.udinazionale.org/archivio-digitale/

- Joyce Lussu: Biografia e bibliografia ragionate, a cura di Antonietta Langiu e Gilda Traini, Quaderni del consiglio regionale delle Marche, 2008, consultabile al link:

https://www.consiglio.marche.it/informazione_e_comunicazione/pubblicazioni/quaderni/pdf/90. pdf

- «Noi donne», sito web http://www.noidonne.org

- Noi donne dalla carta al web. Progetto di digitalizzazione dell’Archivio storico della rivista Noi donne. https://studiumanistici.uniroma3.it/ricerca/dhlab/lisa/noidonne/

44 Ringraziamenti

Ringrazio in primis la professoressa Fortini per la pazienza avuta durante lo sviluppo della tesi. Ringrazio il direttore del Museo Storico “Emilio e Joyce Lussu” e tutti i collaboratori che hanno reso il paese di Armungia un importante centro per il mantenimento della memoria storica. Ringrazio Archivia e tutti coloro che si sono impegnati nel progetto di digitalizzazione della rivista «Noi donne». Ringrazio Andrea e Ginevra per tutti i nostri viaggi in treno, e Martina amica cara scoperta solo in estate. Ringrazio Asia, Alessandra, Gloria, Nicola per i tre bellissimi anni percorsi insieme. Ringrazio Mario e Antonio, le ragazze della segreteria, Sara compagna di esami e di laurea. Ringrazio Giulia amica e confidente da più di venti anni. Ringrazio Luca che è al mio fianco da ormai molto tempo, supportandomi in tutte le mie scelte. Ringrazio mamma e papà, nonna, Elisabetta, Eliseo, zia Mascia ed i piccoli Giaime e Gioia che sono stati partecipi di tutti i miei traguardi. Il ringraziamento più grande va a mio nonno, se fosse stato qui sarebbe stata la persona più fiera di me.

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