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QUESTA LA STORIA DEL LIVELLO DI NASSETA proprietà collettiva che risale ad una presunta donazione di Carlo Magno

Carlo Magno, con diploma dell'anno 781, donò alla chiesa di una vasta estensione di ter- ritorio, di oltre 2.000 ettari. Il tenimento passò poi, attraverso numerose contese, risolte anche con le armi, al monastero di san Prospero e infine nel 1834, dopo altre lotte, mediante affrancazioni, agli uomini di Collagna, Acquabona, Cinquecerri, Caprile, e Nismozza frazioni appartenenti alle comunità di Collagna, , . Ma il di Reggio Emilia sostenne più tardi che il contratto di cessione del terreno non venne corroborato dalle formalità volute dalle leggi statutarie e che il canone pagato era irrisorio. Quindi intentò lite ma i giudici diedero ragione agli uomini di Collagna. Si moltiplicarono le cause giudiziarie anche per stabilire la divisione degli utili fra le frazioni affrancatarie, per la compartecipazione delle frazioni che non affrancarono e per riconoscere anche alle donne il diritto di partecipare agli utili del livello. In particolare la frazione di Collagna, avendo per prima di tutte le altre ottenuta l'affrancazione , sosteneva di aver acquistato integralmente il diritto di proprietà e al pascolo spettante alle altre frazioni. Finalmente con il rogito del dott. Apollinare Ferri in data 15 luglio 1840, si addivenne ad una convenzione, mediante la quale si riconobbe che le rendite e le spese del latifondo di Nasseta dovessero dividersi per metà alla frazione di Collagna e per l'altra metà alle altre frazioni interessate. Tutte le frazioni avevano il diritto di uso e godimento promiscuo del pascolo e legnatico, limitato questo però ai bisogni di famiglia. In caso di vendita di legna metà del prodotto doveva spettare alla frazione di Collagna e l'altra metà doveva essere ripartita tra le altre frazioni. Altrettanto doveva accadere per ogni altro prodotto. In egual proporzione dovevano essere ripartite tesse e spese anche in caso di lite. Una vertenza insorse tra il comune di Collagna e quello di Ligonchio. Il primo sosteneva che il latifondo gli appartenesse in gran parte, per giurisdizione territoriale, mentre il secondo sosteneva che il livello di Nasseta, fino ad allora incensito, non dovesse essere censito nelle mappe del comune di Collagna. La lunga e laboriosa vertenza fu definitivamente risolta alla sezione del Consiglio di Stato in data 21 novembre 1923, la quale riconosceva che tutto il territorio del livello doveva essere censito nei comuni di Collagna e Busana. Sorse un' altra più grossa questione, per sapere chi doveva amministrare quel latifondo di promiscua proprietà. Prima di allora una larva di amministrazione era stata tenuta da speciali mandatari, nominati da ciascuna delle frazioni interessate per mezzo di procura notarile. Ma la proprietà collettiva non era disciplinata da norme regolamentari. I livellari e i mandatari più astuti e più audaci vendettero, carbonizzarono, occuparono i migliori appezzamenti del livello, e non sempre a profitto della collettività. Il livello, sul quale venivano fatti tagli di piante, dissodamenti ed emissioni di bestiame e pascolo senza alcuna regola, divenne una specie di 'res nullius' o meglio un territorio dove il primo occupante ed il più astuto faceva ciò che gli tornava comodo. Prima del nuovo catasto quel vasto latifondo era sfuggito alla censurazione, onde nessun tributo pagava allo Stato nè al Comune. Ma dopo l'attuazione della legge 1886 sulla perequazione fondiaria, venne intestato ai comuni di Collagna,Busana e Ligonchio. Il Livello di Nasseta, con decisione del Consiglio di Stato del novembre 1913, venne assegnato per giurisdizione al comune di Collagna e la G.P.A. di Reggio con decisione del 12 ottobre 1903 riconobbe al comune di Collagna il diritto di disciplinare l'uso del Livello in parola. Le cause per l'attribuzione dei diritti riguardanti il livello di Nasseta e per stabilire i confini dei terreni di rispettiva competenza continuarono a essere promosse da una parte a dall'altra, con tendenza a riaccendersi perché chi risultava soccombente, con tenacia montanara, non si rassegnava e ricorreva ai superiori gradi di giurisdizione. Nella seduta del consiglio comunale del 22 maggio 1912, il sindaco riferì che il Ministro dell'interno con decreto reale 1 febbraio di quell'anno, risolse in favore dei comuni di Collagna e Busana la vecchia questione relativa ai confini territoriali, che si era accesa col comune di Ligonchio, stabilendo che il fiume Secchia non dovesse essere varcato. Ma Ligonchio presentò ricorso avverso alla decisione e Collagna approvò un controricorso. Un'altra complicazione insorse l'anno seguente. Nella seduta consigliare del 16 novembre Emilio Pulniani manifestò tutta l'amarezza e la protesta dei frazionisti di Collagna, comproprietari del livello di Nasseta, per le forti restrizioni imposte dalla legge forestale che vietava di «legnare e pascolare su tale territorio». In tal modo «aumentava il disagio di questa popolazione, priva di risorse specialmente nell'inverno». L'oratore proponeva quindi che fosse chiesto alle superiori autorità forestali l'autorizzazione a tagliare e pascolare. Le superiori autorità non ne vollero sapere, tanto che la Prefettura, con lettera dell'11 dicembre 1913, restituì non approvata la delibera (seduta del 27.03.1914). Le proteste dei consiglieri furono molto vivaci. Che farsene del famoso Livello di Nasseta se era interdetto ai pastori e se non si poteva nemmeno raccogliervi qualche fascina per cuocere la polenta? In seguito le liti non si spensero. Nel 1930 un'altra causa coinvolse Vaglie, Campo e Ligonchio. Per porre termine a questi contrasti, dopo l'ultima guerra, i sindaci di Collagna, Busana e Ligonchio decisero la costituzione dell'Azienda per il Livello di Nasseta, affinché componga al suo interno i contrasti e amministri nell'interesse di tutti. Attualmente, in base alla legge regionale sulla forestazione, i territori del Livello di Nasseta sono amministrati da un consorzio volontario.

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Nasseta, un duplice week end per entrare nel mistero

Resti del Monastero di Nasseta

Entrare in un paese del crinale e trovare gli antichi abitanti del paese scomparso di Nasseta intenti servire una cena matildica. E, una settimana dopo, incontrare lei, la gran Contessa in persona. È il duplice weekend di luglio, ad Acquabona l’11 e a Corte di Nasseta il 19 (2015) con regia di Ubaldo Montruccoli, per celebrare, in occasione del IX centenario matildico, uno dei luoghi più misteriosi, vissuti e colmi di storia dell’intero Appennino. Siamo a Nasseta, luogo in prossimità della confluenza del Riarbero nel fiume Secchia in Comune di Busana ma con diritti di Collagna, oggi un silente e fascinoso accumulo di ruderi muschiosi che, anticamente, furono il cuore della corte di Nasseta, una incredibile estensione di ben 2000 ettari donata da Carlo Magno al Monastero di S. Prospero di Reggio e successivamente oggetto di utilizzo e controversie dei signori del tempo. Ancora oggi circondata da una meravigliosa cerchia di cime appenniniche. “Un luogo straordinario - commenta Caterina Bottazzi, assessore alla cultura del Comune di Collagna - che si può ammirare bene salendo dalla SS 63, entrando in Acquabona e proseguendo verso Collagna, sulla sinistra nella verde vallata, a pianoro, posta di fronte”. Cessato lo sfruttamento agricolo, oggi il bosco ha quasi interamente coperto i pascoli e i campi, un tempo coltivati a foraggio o a patate, le stalle, calde dimore per greggi e bivacchi per pastori e le case. Articolo fornito da un amico. Non ne conosco la fonte.

STORIA DELL'APPENNINO REGGIANO. Il livello di Nasseta

Glossario: livello: podere dato in enfiteusi; enfiteusi: contratto con cui si cede ad altri lo sfruttamento perpetuo o per lungo periodo di un podere o fondo, dietro pagamento di un canone annuo; affrancazione: è l'acquisto della proprietà da parte dell'enfiteuta mediante il pagamento di una som- ma di denaro; lama: zona, terreno con acque ferme o paludose; Lama Fraularia: antico nome del Livello di Nasseta che, secondo lo storico Fantuzzi Prospero, vole- va indicare una zona paludosa e pericolosa; Nasseta: il nome deriverebbe dal rio Nasseta, ora “Bisciara”, che lo attraversava; 781: anno della presunta donazione della Corte di Nasseta al Vescovo di Reggio Apollinare da parte dell'Imperatore Carlo Magno e confermata dall'Imperatore del S.R.I. Ottone I nel 964, all'epoca costi- tuita da un castello, la chiesa di S. Maria di Nasseta, una grossa borgata di contadini, ampi boschi secolari, abbondanti pascoli e grandi quantità di greggi e di bestiame. Era evidente che l'antico nome non aveva più senso poiché le terre erano state bonificate dalle popolazioni della pianura sfuggite alle invasioni barbariche. I confini si estendevano da Bismantova al Parmigiano fino alla Toscana, ma in pratica la zona donata al Vescovo era racchiusa fra il fiume Secchia (Siclae), il torrente Ozola (Auzole), il rio Riarbero (Albo- lo) e il monte Palaredo; 978: anno di donazione da parte del vescovo di Reggio Teuzone, al nuovo monastero dei monaci be- nedettini di S. Prospero extra muras, della Corte di Nasseta; 1055: inizio delle criticità per i possedimenti dei Benedettini di S. Prospero.

Nel raccontare la sfortunata storia del Livello di Nasseta, ho voluto di proposito partire con le note, per dare subito una introduzione all'argomento con date, che scandiscono gli eventi, e alcune parole che, usate nei libri di Diritto, non sono di uso popolare, i preamboli li abbiamo fatti, partiamo con il racconto. La storia è molto lunga, piena di lotte, vendette, guerre e liti legali che si sono protratte sino ai giorni nostri, quando, con la fine della seconda guerra mondiale in un clima di riappacificazione si è creata una cooperativa che unisce tutti i comuni interessati mettendo fine ad una diatriba millenaria. Ma partiamo con ordine, chi erano gli abitanti di Nasseta del V secolo. Come abbiamo detto nelle note, probabilmente erano schiavi o/e contadini Romani fuggiti in montagna per scampare alle orde barba- riche che, in varie ondate, seminavano il terrore nelle città e campagne della pianura. Arrivati alla Lama Fraularia capirono subito che, se bonificate, quelle terre potevano diventare una ricchezza per tutti, e così fecero e vissero felici e contenti per 2/300 anni, fino a quando l' Imperatore Carlo Magno (Re dei Franchi) che neanche conoscevano, senza chieder loro il permesso “donò” la Corte di Nasseta (così si chiamava dopo la bonifica), al Vescovo di Reggio, Apollinare, il quale mandò subito dei messi a quelle popolazioni per notificare la nuova proprietà e chiedere tasse e parte dei raccolti e del bestiame. Immaginiamo come presero questa novità i montanari contadini. Ma come, prima vivevamo d'amore e d'accordo con le nostre famiglie e i nostri vicini, facevamo i nostri commerci, tutto filava bene e adesso viene qua un vescovo e dice che ora è tutta roba sua e anche noi siamo suoi. I montanari non ne volevano sapere di pagare tasse e dare il frutto del loro sudore a uno che, seppur Vescovo, non riconoscevano come loro padrone. Fatto sta che dopo 197 anni di tira e molla il Vescovo di Reggio Teuzone “donò” la Corte di Nasseta, come dote, al nascituro monastero di S. Prospero fuori le mura, lasciando ai monaci benedettini la “gatta da pelare” della riscossione dei tributi. Purtroppo la fama della ricchezza di quella Corte cominciò a circolare e altre fameliche mani si allun- gavano su quelle terre. Il marchese Azzo II d'Este, provò ad avanzare diritti, ma i monaci ricorsero all'Imperatore Arrigo III, il quale sentenziò che nessuno aveva il diritto di mettere in dubbio la proprietà del monastero di san Prospero in quanto i documenti parlavano chiaro. E così anche altri signorotti locali che avevano mire su quella Corte dovettero chinare la testa quando a difesa della proprietà dei monaci benedettini inter- venne la Gran Contessa Matilde. Ma i guai più grossi dovevano venire dai vicini di casa. Viene narrato dall'abate Affarosi e ripreso dal Fantuzzi, di un fatto significativo sui rapporti di vicinato. Siamo nel 1098 in pieno dominio Matildico, gli abitanti di Vaglie occupano da tempo, una parte dei pascoli di Nasseta facendovi pascolare le loro greggi, tanto ce n'è per tutti, ai monaci però non va bene e si appellano al giudice Ubaldo da Carpineti il quale ristabilisce l'inviolabilità dei confini del Fondo. Gli uomini di Vaglie, allora, ricorrono alla Con- tessa Matilde raccontando di essere stati ingiustamente espropriati. A questo punto, dopo aver sentito il giudice Bono di Nonantola, nonostante i documenti importanti presentati dai benedettini, la Contessa si appella alla prova di Dio, ossia i campioni delle due parti in contesa si sfideranno a mani nude in lotta e chi vincerà avrà vinto la causa. Si arriva, così, al giorno della “singolar tenzone” in località Garfagnolo. La Chiesa, per evitare umi- liazioni da un eventuale sconfitta, decide all'ultimo momento di concedere le terre in questione agli abitanti di Vaglie, ma questi certi della vittoria, rifiutano e propongono di iniziare subito la lotta. Siamo nel campo della disfida, da una parte stanno numerosi e agitati gli abitanti della Valle (Vaglie), dall'altra un gruppetto silenzioso di monaci benedettini, a lato, fra le due parti il giudice Ubaldo con alcuni armigeri. I due contendenti sono uno di fronte all'altro al centro del prato, il campione di Vaglie è un boscaiolo grande e grosso con due mani callose che sembrano di pietra, ma anche il rappresentante dei monaci non scherza, è un fratone che nel convento fa il fabbro e le sue mani non sono da meno da quelle del boscaiolo. I due si guardano negli occhi, ad un tratto il campione di Vaglie sfila dalla tasca un guanto colorato di donna e lo getta sulla testa del contendente a scopo di scherno e di malaugurio. Il giudice interrompe subito la sfida e ammonisce con multa il boscaiolo per gesto antisportivo e contrario alle leggi. Si riprende il combattimento, i due campioni si avvinghiano l'uno contro l'altro cercando di buttare l'avversario a terra, ma quando il fratone sembra avere la meglio sul boscaiolo intervengono in massa i vagliesi che sommergono di legnate il povero monaco, a quel punto anche gli altri monaci che stavano assistendo alla sfida si buttano nella mischia cercando di salvare il loro campione, prima con le buone (preghiere supplichevoli) poi con le cattive, ma la differenza delle forze è sproporzionata, a stento i monaci riescono a salvarsi dalle botte che arrivano da ogni parte, decisivo è l'intervento degli armigeri del Giudice che riportano la calma (apparente). Gli uomini di Vaglie si proclamano vincitori, ma il campione dei monaci non si ritiene battuto e chiede “virilmente e prudentissimamente di continuar la tenzone”, i Vallesi irrompono di nuovo sul campo e uccidono il monaco. A questo punto, il giudice Ubaldo dichiara sospesa la sfida per invasione di campo e condotta irregolare del boscaiolo e dei suoi compaesani, non decidendo, però, a chi spettano i terreni. La questione fu dibattuta da altri giudici ma non se ne venne mai a capo, ma gli abitanti di Vaglie, per orgoglio, avevano perso l'occasione di chiudere la disputa prima dell'incontro. Da notare che gli abitanti di Nasseta non sono mai menzionati, a loro non interessava granché, le terre non erano più loro e quindi se qualche vicino, gente come loro, usufruiva di un po' d'erba per le pecore, non ne facevano un dram- ma. I drammi c'erano quando venivano i messi dei monaci a riscuotere le tasse e a portare via il bestiame per il convento in città, spesso di questi messi non se ne seppe più nulla, andar per le strade di mon- tagna a quei tempi era pericoloso, specialmente se qualcuno voleva portar via il frutto del sudore di tanti contadini, ma anche i signorotti confinanti non volevano che i monaci portassero via della ricchez- za, la volevano prendere loro! Infatti le lotte tra vicini per depredare la Corte si fecero sempre più aspre, le continue ruberie di boschi, pascoli e bestiame avevano insterilito il Fondo. E così, vista la quasi impossibilità di trarre il giusto guadagno da quelle terre, all'Abate di san Prospero Gregorio, non rimase che livellare la Corte di Nasseta dando in enfiteusi la gran parte dei pascoli a quelli delle Vaglie, ai signori Da Dallo e ad altre famiglie minori confinanti. Neanche questa soluzione servì per portare pace alla sfortunata Corte. Per porre fine alle lotte, l'Abate livellò tutta la Corte ai Conti Da Dallo per la misera somma di L. 200 (circa € 20.000). Le continue lotte sanguinose fra le famiglie Da Dallo, Vallisnera e Gonzaga, per il possesso dei territori di Nasseta, portò alla rovina questa sfortunata terra. L'epilogo si ebbe nel XV secolo quando, una guerra civile scoppiata tra i nobili di Busana, Sologno e Piolo, portò alla distruzione totale del piccolo convento, della chiesa di santa Maria e del paese, nonché del castello. Sulla fine di Nasseta c'è anche una versione più cruenta, sembra che una donna di Vallisnera fosse stata violentata da un uomo di Nasseta e che questi avesse rifiutato il matrimonio riparatore, scatenando la collera e la vendetta dei vallisini che, arrivati a Nasseta in massa e di sorpresa, bruciarono le case e distrussero tutto uccidendo tutti gli abitanti; giustizia era fatta e l'onore era salvo. Le liti sul possesso della terra (anche se abbandonata da anni) continuarono per i secoli successivi, fino ad arrivare alla fine della seconda guerra mondiale quando, finalmente, i comuni dell'Alto Appennino si misero d'accordo per lo sfruttamento dei pascoli e del legname fondando una Cooperativa intercomu- nale. Una curiosità: ai primi dell'ottocento, le donne di Nasseta ottennero di poter partecipare agli utili delle affrancazioni nate per gestire al meglio i terreni della Corte. Attualmente la zona di Nasseta è totalmente abbandonata e disabitata. Il silenzio regna sovrano. La na- tura se la sta riprendendo. I ricchi e ben tenuti pascoli di un tempo, costati tanto sangue per il loro possesso, sono inselvatichiti e invasi da razze e altre piante. Il bosco avanza e il lavoro dell'uomo per tanti secoli si sta cancellando, anche i sentieri del CAI stanno sparendo nascosti dagli invasivi bianco- spini e roveti. Giustizia è fatta: il sangue versato per il possesso di questa terra non ha fatto ricco nessuno e ora torna al suo vero e unico padrone... la natura. http://www.lacortedivallisnera.it/gli-articoli/1-storia-di-vallisnera/50-lo-statuto-dei-vallisneri.html

Piccola bibliografia sul livello di Nasseta 1. “Questa la storia del Livello di Nasseta” - dal “Librogiornale di Collagna”; 2. Marco Fornaciari Chittoni : • “Nasseta nei secoli” - Tutto Montagna n. 46, novembre 1997 • “Il livello di Nasseta” - La Libertà, 25 maggio 1996 • “Esiti eccellenti nel Livello di Nasseta” - La Libertà, 25 giugno 1996 3. Rosa Maria Manari: • “Nasseta e le tracce di una comunità” - Reggio Storia n.64/65, dicembre 1994 • “Alla Corte di Nasseta. Storia di un paese che non c’è” - Quaderni d'Appennino, 2012 (?) 4. Ministero Agricoltura e Foreste-Comunità Montana dell'Appennino Reggiano: • “Ricerche relative all'individuazione di tecniche colturali finalizzate alle attività di esbosco”. Progetto realizzato nel complesso forestale del “Livello di Nasseta” 5. L. Bonilauri: • “La diffusione dell'azienda curtense nel territorio reggiano nei sec. VIII - IX - X”. Bollettino Storico Reggiano n. 36