Comunità/1

Gino Massullo

BAGNOLI DEL TRIGNO

Territorio e società dalla preistoria ad oggi

Edm Edizioni di Macchiamara

© 2011 Edizioni di Macchiamara Via Campanile, 24 (IS) [email protected] www.macchiamara.it

Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Indice

Premessa p. 9

I . Prima del castello

1. Primi insediamenti nella preistoria 17 2. Recinti e santuari sanniti 18 3. Municipi, villa e fattorie 21 4. Tra Bizantini e Longobardi: le fare 24

II. Tra Longobardi, Franchi e Normanni

1 Terra Burrelensis 27 2. Benedettini 29 3. Balneoli da oppido a castello 31 4. Speronasinum 35

III. I Sanfelice

1. Svevi, angioini, aragonesi 37 2. Antonio Sanfelice primo conte di Bagnoli 38 3. Feudo e universitas: forti contrasti sociali 42 4. Aumento della popolazione e immigrazione 45

IV. Nella crisi del Seicento

1. I Sanfelice resistono, i D‟Alessandro avanzano 51 2. Sprondasino nel Seicento: scomparsa o trasferimento 54

V. Il Settecento: crescita demografica e lotta per la terra

1. Economia, mercati, popolazione 59 2. Urbanistica 62 3. Percorsi di ascesa sociale 68

VI. Dopo il castello: dall‟Ottocento al Terzo millennio 58

1. Risorgimento in periferia 71 2. I bagnolesi vanno a Roma 73 3. Galantuomini e contadini 75 4. Autarchia 76 5. L‟esodo 77 6. Verso il futuro? 78

Appendice 83

Ai miei genitori

Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Premessa

Mi sembrava che, a ben raccontarle [le storie di uomini che hanno impersonificato le condizioni e le lotte politiche e morali del loro tempo] si po- tesse appagare l‟immaginazione che si diletta dello straordinario e inaspettato, senza perciò de- ludere le richieste della seria intelligenza storica.

B. Croce, Vite di avventure, di fede e di passione

Era da qualche tempo che mi tornava sempre più di frequente alla mente la vecchia idea di riordinare ed even- tualmente pubblicare una discreta mole di materiale storio- grafico accumulato negli anni, relativo al mio paese natale, Bagnoli del Trigno, in . Si tratta perlopiù di informazioni, note e noterelle relative a questa ormai piccola comunità del medio Trigno nella quale mi è capitato di nascere, alcune volte trovate per caso, altre proprio cercate, per svago della mente, durante i

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società momenti di pausa delle molte e lunghe giornate di lavoro passate a scorrere scaffali di biblioteca e a scandagliare fondi di archivio nel corso del mio lavoro di storico. Quelle raccolte più tempo fa le ho di recente riesumate ritrovandole diligentemente annotate su vecchie schede di catalogazione di cartoncino, dal fondo bianco ormai un poco ingiallito ma con le righe e i caratteristici bordi frastagliati di un bel verde ancora intenso, acquistate molti anni fa, agli inizi della mia attività di ricerca, in una di quelle cartolerie di una volta, già alquanto antica allora, tutta pervasa dagli odori penetranti ed evocativi di inchiostro e colla. Quelle schedate più di recente, diciamo negli ultimi venti anni, sono invece risalite, grazie ad un provvidenziale backup, dalle profondità abissali e sconosciute della memoria dell’hard disk del mio attuale computer nelle quali negli anni erano precipitate e giacevano disperse, anche in conseguenza dei molteplici travasi di dati dal primo ingombrante calcolatore utilizzato negli anni ottanta al più compatto e sofisticato portatile che uso oggi. Ho a lungo esitato prima di decidermi a riordinare in un testo quei semplici appunti. Sospettavo nell’idea una qualche eccessiva indulgenza in - quasi senili e dunque ancor più pericolose - regressioni verso il mio personale passato o comunque il rischio di nostalgico vagheggiamento del “piccolo mondo antico” da cui, come quasi tutti quelli della mia generazione, provengo. Passato che, certo, è pur assolutamente necessario conoscere ed elaborare per costruire la propria personalità individuale e sociale, ma

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Premessa entro il quale non è bene rifugiarsi, come in un poco vigliacco e comunque impossibile ritorno all’utero materno; specie in tempi come i nostri – ma è stato quasi sempre così del resto – nei quali l’attenzione va tenuta fortemente all’attualità e al mondo intero nella sua complessità e lo sguardo dritto alla prora indirizzata fermamente alla costruzione di un futuro non necessariamente peggiore del presente. Mi frenava nell’intrapresa, con paradosso solo apparente, anche lo stesso mio mestiere di storico e la consapevolezza che ne deriva della differenza sostanziale tra aneddotica più o meno erudita e vero e proprio esercizio storiografico; premeva in me la coscienza della diversità di ruolo tra la figura del cronista e quella dello storico; unicamente attento al racconto, più o meno scientificamente suffragato dalle fonti, il primo; il secondo invece concentrato sulle questioni storiografiche, sulle domande da porre al passato per riuscire a dotarlo di senso, al fine di far luce sul presente. La pletora di monografie municipali, anche molisane, spesso ridondanti nell’esposizione quanto scarne per contenuti originali e ancor di più per problematicità storiografica, incontrata e faticosamente scorsa in anni di studi, non mi aiutava nella decisione. Alla fine due considerazioni mi hanno convinto. La prima riguarda la necessità di prestare la dovuta attenzione alla divulgazione, ed alla sua correttezza filologica e meto- dologica, in particolare in un paese come l’Italia in cui modestissima è la tradizione nel campo, comparativamente,

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società ad esempio, a quella dei paesi di tradizione anglosassone. Tradizione modesta anche nel settore storiografico e forse soprattutto in esso, a giudicare dall’uso a volte davvero inavveduto e incauto o, peggio, ignobilmente strumentale che spesso della storia si fa. Ed esempi di uso, almeno, incauto e sprovveduto della divul- gazione storiografica se ne possono purtroppo trovare num- erosi anche relativamente al Molise. Essi vanno anzi pur- troppo aumentando correlativamente alla più recente tende- nza di singoli e comunità - in sé positiva ed auspicabile - a prestare maggiore interesse per il proprio passato, per la propria storia. In un processo tipico di ogni luogo, uscendo dal sottosviluppo, dalla miseria, dall’isolamento e dall’ano- nimato, solitamente le comunità locali smettono di rimuo- vere il proprio passato – ed anche, più o meno velatamente, di vergognarsene - e avviano il suo recupero, la sua vera e propria ri-costruzione. Maggiori risorse economiche a dispo- sizione degli enti locali consentono, sia pure in misura sem- pre troppo modesta, di mettere in campo esperienze di ricer- ca, di avviare il restauro di monumenti, di consegnarli alla fruizione ed alla appropriazione culturale e sociale da parte della collettività, tentando di farne magari anche strumento di sviluppo economico locale. Questo processo in sé stesso positivo, se non rigorosamente controllato dal punto di vista culturale, può però sostituire alla negatività dell’abbandono della memoria e dell’oblìo del passato, l’altra, ancor più insidiosa e pervasiva, di una nuova ignoranza tanto più diffusa e condivisa quanto più inconsapevole perché

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Premessa costruita, rilanciata ed amplificata proprio da canali, strutture, enti che nella coscienza comune o per definizione godono di legittimazione – troppo spesso di semplice auto legittimazione – per l’appunto culturale. A pagare le conseguenze di questo increscioso fenomeno è, come al solito, quel cittadino comune, non necessariamente pienamente inculturato ma comunque colmo di curiosità ed interesse per la storia e la conoscenza in genere, proprio quando egli venga a trovarsi, tanto per esempio, di fronte alle pregevoli e restaurate vestigia del castello ducale del proprio paese natale. Visitando l’antico maniero, egli non ritroverà più la pericolante e pericolosa petraia dei suoi ricordi resa tale da secoli di abbandono e saccheggio collettivo di pietre squadrate e stipiti scalpellinati con maestria ormai perduta, luogo mitico dei propri giochi di infanzia e dei connessi suoi riti di passaggio. Non più il complice rifugio per le fugaci adolescenziali prime avventure amorose un tempo lontano vissute, tra quelle mura dirute, le prete e i mazzacani dispersi in nugoli di polvere calcinata che, fissata agli abiti necessariamente, dopo l’escursione, un poco stazzonati, avrebbe puntualmente finito per tradire presso genitori furenti la fragile segretezza del, peraltro quasi sempre innocente, consesso amoroso. Al posto di quelle rovine egli trova ora di fronte a sé final- mente un monumento–documento reso agibile e – forse – leggibile da un lungo restauro ancora in corso curato dalla competente sovrintendenza ai beni architettonici. Quel bravo cittadino, nel desiderio di saperne un poco di più sulla sua

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società storia, non troverà facilmente materiale scientifico o divul- gativo utile a conoscere il passato del castello, del paese che gli è cresciuto intorno, degli uomini e le donne che lo hanno abitato nei secoli, correndo così il rischio di trovarsi involontariamente a perdere, in un solo momento, il luogo della propria memoria – ormai necessariamente cancellato dal restauro – senza poter trovare quello della propria storia.

Insieme alla necessità di una divulgazione controllata, a convincermi ulteriormente all’impresa ha poi molto autore- volmente contribuito l’esempio del grande Benedetto Croce. Se anche l’universale maestro, nelle pause delle sue fonda- mentali e inarrivabili riflessioni, scritture storiche e filoso- fiche, trovò il desiderio e il tempo di dedicarsi alla ricostru- zione di vite di avventure di fede e di passione, tra le quali quella di Cola Monforte conte di Campobasso1, posso ben spendere anche io un poco del mio tempo per dedicarmi a qualche esercizio aneddotico. Chissà che poi tra un aneddoto e l’altro, non si riesca anche ad intercettare qualche questioncella storiografica ed a gettare su di essa un poco di luce, contribuendo così a dotare di senso un passato altri- menti inintellegibile, senza per questo togliere fascino alla scrittura e, speriamo, anche interesse e piacere alla lettura. Per quanto riguarda poi la stretta relazione tra “piccola” e “grande” storia, ci piace infine citare Le Roy Ladurie e il

1 Benedetto Croce, Vite di avventure di fede e di passione, Adelphi, Milano 1989.

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Premessa suo ormai classico Montaillou,2 il capostipite di tutti gli studi seri di comunità, per ricordare come sia possibile coniugare contesto locale della ricerca e globalità della riflessione sto- rica sfuggendo al localismo, ed allo stesso tempo tenere insieme ricerca e divulgazione. Del resto se lo storico francese ha dedicato tante energie allo studio di un villaggio medievale occitano di 200 anime che oggi ne conta appena 24, potrò io, senza che il confronto risuoni fragorosamente per l’immodestia, con discreta tran- quillità dedicarmi all’indagine di un paese molisano che di abitanti ai primi del Seicento ne aveva intorno a seicento per arrivare a contarne quasi cinquemila nei primi decenni del Novecento e ad averne oggi, dopo la falcidia dell’emigra- zione comunque ancora settecento? Sull’onda di queste variegate ed estemporanee consi- derazioni – e prima che confronti così autorevoli mi convin- cessero definitivamente per la rinuncia – ho deciso di dare principio all’opra partendo con questo volumetto sul territorio bagnolese e della valle del medio Trigno e le forme dell’insediamento umano che su di esso si sono avvicendate nel corso dei millenni, costruite dalle donne e dagli uomini che su di esso hanno vissuto.

2 Emmanuel Le Roy Ladurìe, Montaillou, village Occitan de 1294 a 1324, Paris 1975,trad. It. Storia di un paese: Montaillou, Rizzoli, Milano 1977.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

I. Prima del castello

1. Primi insediamenti nella preistoria

Il territorio circostante l‟enorme e suggestiva rupe calcarea sulla quale tra il X e l‟XI secolo fu edificato il massiccio ca- stello le cui imponenti rovine ancora oggi dominano il cen- tro storico di Bagnoli del Trigno, in Molise, è zona di anti- chissimo popolamento. Allo stato attuale degli studi, la contemporanea presenza di insediamenti mesolitici, cioè risalenti a circa 10.000 anni fa, lungo la sponda adriatica così come nella valletta di S. Lorenzo a 1200 metri di altitudine sulla Montagnola di , nel Molise centrale, consentono almeno di ipotizzare una qualche temporanea frequentazione umana, già per quel tempo lontano, anche dell‟area intermedia tra quei due poli geografici nella quale il territorio bagnolese è compreso.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Numerosi e certi sono comunque i ritrovamenti databili al Neolitico in tutto il Medio ed Alto Trigno, dai territori di S. Biase a quelli di , di e . Nel II millennio a.C. con la linea di penetrazione demo- grafica distesa dalla costa adriatica alle zone interne lungo le valli fluviali si incrociano quelle tracciate attraverso i vali- chi montani in direzione dei massicci abruzzesi, delle aree umbre e campane che, arrivando al Biferno, dovettero necessariamente interessare anche la Valle del Trigno, con una sempre maggiore utilizzazione del territorio, comprese attività pastorali stagionali a piccolo raggio.

2. Recinti e santuari sanniti

Nel quinto secolo prima di Cristo resti di necropoli testimoniano di uno sviluppo comunque evidente, seppure modesto rispetto a quello delle aree litoranee adriatiche. Proprio nell‟agro di Bagnoli sono stati ritrovati un cinturone di epoca italica e un gancio in bronzo fuso di incerta datazione oggi compresi nella collezione Gorga presso il Museo nazionale romano. Sempre in epoca sannitica, intorno al III secolo a.C., il territorio oggi bagnolese era inserito nel contesto di un reticolo di case coloniche, fattorie e villaggi organizzato intorno ad un sistema di luoghi sacri strettamente legato alla conformazione naturale del territorio e costituito dal qua- drilatero sacrale dei santuari di Schiavi, Agnone, Pietrab-

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Prima del castello bondante e , a cui possiamo riferire anche quello di S. Giovanni Lipioni e il recinto di Monte Ferrante di Carovilli, le fortificazioni di S. Onofrio a , quelle sulla Montagnola di Civitanova del Sannio e della Civita di , tutti intorno ai 1000 metri di altitudine e tutti attorno al bacino idrografico dell‟Alto e Medio Trigno3. Al centro del sistema era il santuario di Pietrabbondante in posizione

Sprondasino

strategica a controllo della confluenza nel Trigno del Vella, del Verrino e del Sente presso il fulcro della viabilità locale

3 Utilizziamo, per comodità di esposizione, le attuali denominazioni di luoghi e paesi.

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Sprondasino

Bagnoli del Trigno. Territorio e società del tempo, il guado di Sprondasino dove passava anche il percorso pastorale che diverrà poi il tratturo Celano-Foggia.

Tempio di Schiavi

Tempio di Vastogirardi

Teatro di Pietrabbondante

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Prima del castello

3. Municipi, ville e fattorie romane

Con il riassetto politico e territoriale seguito alla conquista romana del Sannio si ebbe la decadenza dei santuari rurali e dei centri fortificati situati in punti elevati e impervi a cui corrispose l‟affermazione dei municipia4 collocati in zone meno elevate e più aperte come centri urbani con funzione di organizzazione e controllo del territorio. Nelle campagne la popolazione si diffondeva in pagi sui semipiani più ampi e facilmente coltivabili dove, come a Pietrabbondante, Trivento, , è stato possibile rilevare tracce di centuriazione5 relative all‟assegnazione di terra ai veterani dell‟esercito romano. Il fulcro direzionale del Medio e Alto Trigno non sarà più in quell‟epoca Pietrabbondante ma Terventum, l‟odierna Trivento, non più sullo sperone roccioso su cui era stata fino ad allora, ma rifondata sull‟ampia spia- nata orografica sulla quale è tuttora collocata. A questo periodo possono essere riferiti i 13 reperti archeologici (vasellame in ceramica a vernice nera, bacini, cinturoni, dischi e borchie in bronzo) recuperati nell‟area di una necropoli di età ellenistica in una località in agro di Bagnoli, a sud dell‟attuale centro abitato, denominata Vicenne, toponimo non a caso da molti riferito al termine latino vicus, vale a dire un piccolo insediamento rurale, probabilmente riferibile al contesto insediativo derivato dalla Civita di Duronia che si andava spostando verso le altimetrie

4 Centri urbani che, pur annessi a Roma, si reggevano con leggi proprie e i cui abitanti godevano della cittadinanza romana. 5 Sistema con cui i romani organizzavano il territorio agricolo caratterizzato dalla regolare disposizione, secondo un reticolo ortogonale, di strade, canali e appezzamenti agricoli destinati all'assegnazione a nuovi coloni.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società minori in direzione di quello che sarà poi l‟insediamento bagnolese6. Nel corso del II e del I secolo a.C. l‟insediamento rurale prevalentemente sparso in case coloniche, vici e pagi si ridimensiona a favore della diffusione di diverse villae, grandi ed importanti centri di direzione della produzione agricola, oltre che di residenza della nuova aristocrazia fon- diaria, di origine sia romana che sannita, cresciuta in ricchez- za e potere grazie allo sfuttamento del latifondo schiavi- stico. Le più impor- tanti villae nella no- stra area erano quel- la di S. Maria di Canneto e di S. Fa- biano in agro di Roccavivara lungo la sponda destra del Trigno, entrambe di impianto tardo-re- pubblicano (I se- colo a.C.) con conti- nuità d‟uso fino al tardo antico (IV–VI secolo d.C.). Erano Villa romana di Roccavivara

6 Il toponimo è molto diffuso, non solo in area sannita, e quasi sempre è associato a ritrovamenti archeologici, in particolare a necropoli. La più famosa ed importante localita Vicenne in Molise è quella della necropoli nei pressi di Campochiaro dove sono state rinvenute centinaia di tombe risalenti al VII secolo, di un popolazione etnicamente mista, sia tipo atlanto-mediterranea che longobarda ed asiatica.

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Prima del castello queste, con ogni probabilità, i poli direzionali di una rete di insediamenti minori dislocati lungo il corso del Trigno come quelle costruzioni quadrangolari di blocchi di pietra squadrati o poligonali, probabili fattorie,databili al II secolo a.C., una delle quali segnalata anche in agro di Bagnoli in località Cannavine, esattamente al Fosso Vendipiano, nei pressi della chiesa della Madonna della Valle Bruna, poco a valle del ponte, anch‟esso di antiche origini e di recente ristrutturato.

Ponte alla Cannavine prima e dopo il restauro

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3. Tra Bizantini e Longobardi: le fare

Tra il VI e Il VII secolo d.C., nell‟ambito della generale decadenza della penisola connessa alla cesura determinata nella sua storia dall‟invasione longobarda ed alla contem- poranea profonda depressione economica, la Valle del Trigno diviene la mobile frontiera lungo la quale si svolge l‟este- nuante conflitto tra Bizantini, e Longobardi. La lenta avanza- ta longobarda lungo la valle verso il litorale adriatico è segna- ta dall‟insediamento di farae7, spesso su precedenti posta- zioni bizantine.

Da www.francovalente.it

A questo processo storico possiamo riferire, pur con la cautela dovuta all‟assenza di fonti archeologiche, la presenza

7 Gruppi parentali composti da più famiglie che costituivano allo stesso tempo unità di militari e gruppi di emigrazione. Con lo stesso termine si indicano anche i loro insediamenti nei territori conquistati.

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Prima del castello del toponimo fara nella zone di confluenza tra Trigno e Verrino. Mentre gli insediamenti rurali precedenti, comprese le villae maggiori, venivano abbandonati, anche in relazione alla pesante crisi demografica del periodo ed alla generale incertezza dei tempi, oltre alla comparsa di accampamenti di tribù longobarde costituite dalle farae, si costituivano in tutta l‟area siti fortificati di altura, spesso negli stessi luoghi già occupati in epoca sannitica. È possibile che anche nel territorio oggi bagnolese, già in questo periodo, la popo- lazione abbandonasse vici rurali come quello delle Vicenne e fattorie come quella delle Cannavine per rifugiarsi sulla som- mità della morgia intorno alla quale il paese si è poi svilup- pato, proteggendo l‟insediamento con una prima rudimentale fortificazione lignea.

Diverse le fare lungo la valle del Trigno oltre quella alla confluenza

Trigno-Verrino.

Se ne conoscono altre due, una presso Celenza e l’altra alla foce del fiume in località Vallone Torre della Fara presso Celenza sul Trigno della Fara.

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II. Tra Longobardi, Franchi, e Normanni

1. Terra Burrellensis

A partire dal IX secolo d.C. sulla scena trignina del conflitto bizantino longobardo arrivavano due nuovi protagonisti: i Franchi e i monaci benedettini, a cui si aggiungevano i Saraceni con frequenti incursioni dalle loro teste di ponte sul Fortore ed il Volturno. Alla fine del X secolo tutto il territorio compreso tra il medio Sangro e l‟Alta valle del Trigno fino a Trivento e era divenuto la “Terra Burrelensis”, tutta in mano ai discendenti di Berardo il Franco giunto in Italia al seguito di Ugo di Arles, conte di Provenza quando questi fu incoronato re d‟Italia a Pavia nel 926. Berardo il Franco impose il proprio dominio su tutto il territorio della Provincia dei Marsi8, a costituire una zona di interposizione franca tra i ducati longobardi di Spoleto a nord e Benevento a sud. L‟affermazione dei suoi figli, detti Borrello, sui territori sangritani e trignini, avvenne mediante uno spregiudicato uso della forza delle armi esercitata sui piccoli signorotti locali

8 Da l‟Aquila fino a Rieti, la Marsica e Sulmona. Cfr. Angelo Ferrari, Feudi prenormanni dei Borrello tra Abruzzo e Molise, Uni Service, Trento 2007.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società sempre in conflitto tra di loro, come di un‟accorta politica diplomatica sia nei confronti dei principi longobardi che dei monaci benedettini9. Saranno i principi longobardi di Benevento a concedere in feudo, nel 992, tutto il territorio che gravitava intorno a Trivento a Randuisio, figlio di Berardo. A Randuisio succederà qualche anno dopo nel dominio di tutta l‟area suo fratello Berardo, omonimo del capostipite della famiglia; quello stesso Berardo che nel 1002, insieme alla moglie Gemma, donerà all‟abate Pietro le due chiese rurali di S. Benedetto e S. Lucia. Probabilmente le stesse citate già in precedenza, nel 981, come entrambe comprese “in oppido balniolo”. Questa citazione contenuta nella copia di una pergamena riportata nel Registrum di Pietro Diacono, monaco archivista e bibliotecario dell‟Abbazia di Monte Cassino nella prima metà del XII secolo, costituisce la più antica fonte docu- mentale dell‟esistenza di un centro fortificato, appunto un oppidum, denominato Balniolus. Accanto alle fonti archivistiche è la stessa collocazione di Balniolo a inserirlo tra gli esempi classici di quei centri – numerosissimi in tutta l‟Italia meridionale – cosiddetti “di sperone”, posti in prossimità di corsi d‟acqua, ai bordi di terrazzi fluviali, di solito risultato della fortificazione, tra XI e XII secolo di precedenti più piccoli insediamenti sorti durante l‟Alto Medioevo dopo l‟abbandono dei precedenti e meno difendibili centri romani, generalmente posti a più basse altimetrie lungo le vie di comunicazione e i percorsi fluviali e

9 Un‟importante strumento diplomatico usato dai Borrello era il matrimonio. Valga l‟esempio di Oderisio Borrello I, signore di Pietrab- bondante, che aveva sposato Ruta, sorella di Aloara contessa di Spoleto e moglie di Pandolfo Capodiferro principe di Benevento. .

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a volte essi stessi luogo di precedenti insediamenti già in età preromana.

2. Benedettini

Come già accennavamo, nello stesso periodo della discesa dei Borrello nell‟area alto molisana si sviluppa, come nel resto d‟Italia e d‟Europa, l‟importante ruolo economico e politico oltreché religioso e culturale del monachesimo bene- dettino. Spesso sugli antichi resti di villae romane, di vici e castella si distribuisce nell‟area una fitta rete di monasteri, prevalentemente alle dipendenze di quello di S. Vincenzo al Volturno che, insieme agli altri tre di Montecassino, San Liberatore a Maiella e S. Clemente di Casauria contribuiva a costruire una fascia ininterrotta, tra il Pescara e il Garigliano, di presenza economica, culturale, religiosa e - in assenza di

S. Maria di Canneto (da www.francovalente.it)

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società un‟autorità statale - anche di riferimento giurisdizionale per i possidenti fondiari, longobardi o franchi che fossero. È in questo contesto che nell‟area sorgono il monastero di S. Maria di Canneto nel luogo dell‟antica villa romana, quelli di S. Lorenzo e Santa Maria della Noce in Anglonia (Agno- ne), di S. Eustacchio “de Arcu” in agro di Pietrabbondante10, di S. Benedetto de Iumento Albo a sud di Bagnoli oggi in agro di Civitanova del Sannio, l‟altro di S. Bartolomeo in prossimità dell‟omonima torre, al confine tra il territorio di Civitanova e quello di Salcito, in contrada – allora feudo – Moriconi, quello di S. Cataldo nel territorio di Poggio San- nita, di S. Colomba di Frosolone11. Intorno a ciascun mona- stero si distribuivano una serie di chiese e pievi intorno alle quali si strutturavano piccoli villaggi rurali come quelli, per restare al solo territorio bagnolese, di S. Biase, S. Polo, S. Martino, S. Pietro, S. Donato, S. Maria, Sant‟Ianni ed altri ancora, alcune delle quali ancora oggi abitati. Strutture che, poste a corona sulle piccole spianate orografiche da cui originano i valloni che scendono al torrente Vella, portano avanti un intenso sviluppo agricolo della zona con il recupero di insediamenti già esistenti o la creazione di nuovi, con la

10 Nell‟attuale toponomastica cartografica è riportato un «Vallone dell‟Arco» nei pressi del quale è ancora oggi abitata la «Contrada Arco» a sud-est del centro abitato di Pietrabbondante. L‟importante monastero sorgeva con ogni probabilità sul luogo dell‟attuale contrada, a testimonianza della continuità dell‟insediamento nell‟area. 11 Di altri si sono perse le tracce. Come di quello probabilmente edificato sul secondo dei terrazzi naturali (il primo è quello su cui è posta la chiesetta di S. Michele arcangelo) lungo il crinale che da Bagnoli scende in direzione di Sprondasino, dove l‟ampia curva della provinciale, che segna anche l‟attuale confine comunale a nord, è ancora denominata la “curva del monastero”e dove l‟insediamento è proseguito con due piccole masserie di recente trasformate in moderne villette.

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Tra Longobardi, Franchi e Normanni

messa a coltura, mediante l‟intenso sfruttamento del lavoro contadino, di nuove terre per la prima volta sottratte agli allora amplissimi boschi e selve. Nel corso del X secolo il complesso rapporto tra il monastero di S. Vincenzo e le signorie dei Borrello, da una prima fase di riconoscimento dell‟autorità giurisdizionale religiosa da parte di quei feudatari attraverso frequenti donazioni al monastero, evolverà verso l‟affermazione di vere e proprie signorie territoriali laiche in pratica del tutto autonome e dotate di potere giurisdizionale su terre e castelli. A questo processo di autonomizzazione del potere feudale laico può essere associata la fortificazione da parte di Berardo Borrello dell‟oppidum sulla cima della morgia bagnolese, sostituendo il recinto a palizzata di legno, probabilmente già presente dalla prima comparsa longobarda nell‟area, con mura in pietra.

3. Balneoli da oppido a castello

Il periodo compreso tra XI e XII secolo è quello della progressiva estensione della dominazione normanna alle contee longobarde del Principato di Benevento. Alla metà dell‟XI secolo Rodolfo de Molisio avvia la dinastia normanna sui territori molisani a partire dalla contea longobarda di Boiano e Ugo I la rafforza nei decenni successivi a spese di quelle limitrofe. Nel 1142 Ruggero II d‟Altavilla, vinta definitivamente l‟anno prima la resistenza del principato longobardo di Capua e dell‟imperatore Lotario, procedendo alla complessiva ristrutturazione territoriale e amministrativa del suo grande regno, assegna a Ugo II i territori compresi tra Medio Biferno e Medio Trigno, l‟Alto Molise, l‟Alto e

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Medio Volturno, la zona di e l‟area matesina, riuniti nella contea che, dal cognomen di Ugo de Mulisio, prende il nome di Contea di Molise. Sul piano giuridico istituzionale il passaggio dalla signoria longobarda a quella normanna avvenne con una notevole commistione tra la tradizione longobarda e quella normanna derivante dalla necessità di convivenza sul medesimo territorio di popolazioni diverse e di diversa tradizione giuridica. Anche a proposito di ceti dirigenti si ebbe una notevole persistenza di elementi locali. I Borrello infatti, così come avevano fatto con i Longobardi, si integrarono nella nobiltà normanna, mantenendo i loro feudi. Nello stesso periodo rafforzarono ulteriormente i loro rapporti anche con i Benedettini12. Alla metà del XII secolo per il Medio Trigno ritroviamo registrati nel Catalogus Baronum voluto da Ruggero II un Oderisio Borrello che, oltre a possedere feudi nei territori degli attuali e Montenero Valcocchiara, era signore di Civitate Nova (Civitanova del Sannio) e Clau- cia (Chiauci). Berardo di Balneola, con i fratelli Roberto e Tustaiano possedevano Bagnolum, Petram Cupam e Castelluccium e subinfeudavano al fratello Oderisio Civita Veccia (Duronia). Un Matteo Borrello teneva Sporonasinam

12 Numerose furono le donazioni di chiese, cappelle al monastero di S. Vincenzo effettuate dei Borrello per ottenerne la protezione. Alcuni esponenti della famiglia furono avviati alla carriera ecclesiastica, tra cui un Randuisio, figlio di Borrello II, monaco a Montecassino nell‟XI secolo, mentre un Oderisio Borrello diverrà abate di Montecassino dal 1087 al 1135 e cardinale. È venerato come santo dalla chiesa cattolica.

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Tra Longobardi, Franchi e Normanni

(Sprondasino)13. Nel 1077 un Pandolfo Borrello viveva nel castello di S. Lorenzo presso Salceto (Salcito). Saranno i Normanni a dare tra il X e l‟XI secolo a tutto il Molise l‟assetto insediativo praticamente conservatosi fino ad oggi, costruendo o ampliando castelli sull‟intero territorio, così come andava accadendo del resto in gran parte del‟Europa occidentale. Il processo di incastellamento pone- va il castello al centro di una nuova realtà territoriale di cui esso costituiva non solo l‟elemento di difesa militare ma anche il centro del potere amministrativo e giurisdizionale; potere riconosciuto ad un privato dall‟autorità pubblica attraverso la concessione di privilegi relativi all‟immunità, all‟esazione di tributi e prestazioni, all‟esercizio della giustizia. Intorno al castello, divenuto residenza del signore e della sua corte ed anche centro di mercato, gravitava la popolazione del territorio circostante per ragioni contemporaneamente di difesa, economiche, commerciali, fiscali, amministrative. Intorno al castello cominciavano così a crescere i borghi che poi diverranno gli oltre cento presepi ancora oggi esistenti in Molise. A questo nuovo e complesso ruolo doveva corrispondere necessariamente una nuova strutturazione architettonica dei vecchi oppida e castra di origine franco-longobarda. Furono dunque i Borrello, stabilmente insediati sul territorio bagnolese dal X al XII secolo, proprio nel periodo di maggiore diffusione del processo di incastellamento in tutta l‟area, a trasformare in castello l‟oppidum sulla sommità della morgia di Bagnoli che loro stessi avevano costruito o, più

13 La popolazione di Bagnolum alla metà del XII secolo può essere calcolata approssimativamente in 50 famiglie, pari a circa 250 individui. Speronasinum ne aveva invece più o meno la metà.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società probabilmente fortificato sulla base di una preesistente struttura lignea. Al primo impianto di impronta architettonica normanna possiamo far risalire la costruzione di mura a leggera scarpata e a strapiombo su tre lati che hanno dato alla pianta del manufatto la sua forma poligonale; dello stesso periodo la realizzazione in muratura in opus incertum, senza l‟uso di corsi orizzontali e con conci squadrati usati colo come cantonali, della torre a pianta quadrata, il donjon elemento tipico dei castelli normanni e del quale ancora si conservano i resti della base; così come della cisterna, altro elemento tipico dell‟architettura delle fortificazioni normanne, anche essa ancora leggibile.

Castello di bagnoli del Trigno (Foto di Cristian Vespa)

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Tra Longobardi, Franchi e Normanni

4. Speronasinum

Alla stessa tipologia costruttiva possono essere ricondotti i pochi ruderi ancora leggibili della costruzione posta nelle immediate vicinanze della Taverna di Sprondasino, sulla sommità del Colle di Terra Vecchia; lo stesso sul quale oggi è poggiato il ciclopico viadotto della strada a scorrimento veloce -Vasto. Si tratta con ogni probabilità proprio del castello del feudo di Speronasinum assegnato nel Catalogum baronum a Matteo Borrello che stretti rapporti avrà, ancora fino ad oggi, con la comunità bagnolese. Lo studio archeologico delle strutture murarie ha dimostrato l‟origine certamente normanna del manufatto e un

Resti del castello di Sprondasino (www.Archeoclub.it.) suo probabile sviluppo in periodo angioino, quando il feudo, come del resto quello di Bagnoli e gli altri della zona, passò di mano a diversi feudatari di Carlo I e infine ai D‟Avalos.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Anche qui si ritrovano i segni di una struttura muraria peri- metrale a pianta quadrata e, al suo interno, i resti di una torre a pianta rettangolare alta circa 16 metri che rinviano con sufficiente chiarezza all‟impianto normanno. In passato è stata anche avanzata l‟ipotesi che i ruderi di Terra Vecchia potessero essere quelli di un monastero bene- dettino. Oltre alla tipologia costruttiva, identificabile come tipica dei castelli normanni, sembrerebbe escluderlo la mancanza di riferimenti nelle fonti ad un monastero nel te- rritorio del feudo di Sprondasino, esteso sulle due sponde del Trigno, che non fosse quello di S. Bartolomeo di Spero- nasino, invece probabilmente collocato più in alto lungo il percorso tratturale Celano-Foggia in direzione di Salcito, in località “La Torre” in contrada Moriconi, dove si rilevano ancora oggi resti sparsi di attività umane di epoca medievale, quelli di un‟antica torre trasformata in abitazione rurale e di elementi architettonici di un edificio monumentale tardo- repubblicano che rinviano ad una millenaria frequentazione del sito come luogo di culto, in un posizione in diretta cor- rispondenza, sull‟altro versante della valle del Trigno, più o meno alla stessa altitudine, dei resti di Pietrabbondante e di un‟altra torre quella “della Castagna”. Il sito di Speronasino di Terra vecchia sarà comunque abbandonato alla fine del Cinquecento.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

III I Sanfelice

1. Svevi, angioini, aragonesi

A dominare i territori della Contea di Molise al passaggio dalla dominazione normanna a quella sveva dell‟Italia meri- dionale, alla fine del XII secolo, e poi fino alla metà del Due- cento, sarà ancora una volta, pur tra forti e cruenti dissidi con l‟imperatore Federico II, un esponente della feudalità abruz- zese della Marsica; quel Tommaso conte di Celano che aveva sposato Giuditta, l‟ultima erede dei normanni conti di Isernia e che colloca nuovamente i territori alla destra del Trigno nell‟orbita marsicano-abruzzese. Dalla metà del Duecento a quella del Quattrocento i territori del Medio Trigno passarono di mano a diversi feudatari di fiducia dei sovrani angioini. Dai primi del Trecento diven- gono un poco più “molisani” passando agli Evoli che inclu- dono il territorio di Trivento, e dunque anche Bagnoli, nell‟ambito di una grande contea estesa da Castropignano alla valle del Volturno con centro in . Signori di Ba- gnoli furono a quel tempo i Cantelmo. Alla prima metà del Quattrocento, il Trigno fa di nuovo da cerniera tra i vasti possedimenti abruzzesi e quelli molisani che gli angioini Giacomo e Antonio Caldora mettono insie- me lungo i tratturi tra Abruzzo e Puglia. Nel periodo Bagnoli

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società fu feudo dei Mormile per passare nel‟ultima fase della domi- nazione angioina direttamente ai Caldora. Sconfitto, con la battaglia di Sessano, Antonio Caldora, ultimo baluardo molisano della resistenza angioina, Alfonso V d‟Aragona - Alfonso I come re di Napoli - affidò il feudo di Bagnoli ai D‟Aquino, marchesi di Pescara dai quali nel 1450 passò, insieme a tutti gli altri possedimenti della casata, ai D‟Avalos a seguito del matrimonio tra Inigo, primo rap- presentante in Italia della nobile famiglia castigliana, e An- tonella D‟Aquino. Ferdinando Francesco, detto Ferrante, D‟Avalos nel 1520 lo venderà ad Antonio Sanfelice, figlio di Giacomo.

2. Antonio Sanfelice primo conte di Bagnoli

Ai primi del Cinquecento, divenne molto forte l‟interesse all‟acquisto di terre del Contado di Molise da parte di patrizi, ed anche di borghesi della mercatura e dell‟alta finanza, di provenienza extra regionale, genovesi, lombardi come napo- letani. È in questo contesto che vanno interpretati l‟arrivo e il radicamento dei Sanfelice nella realtà del Medio Trigno e di Bagnoli. A partire da castello di S. Felice in Terra di Lavoro14, dona- to nel 1018 da Roberto il Guiscardo al capostipite Pietro, cavaliere normanno sceso nella penisola al suo seguito, nei secoli seguenti i Sanfelice avevano esteso la loro influenza territoriale in più direzioni, dalla Calabria, al Cilento,

14 Località oggi compresa nel territorio comunale di Pietravairano in provincia di Caserta. I ruderi dell‟antico borgo e del castello dei Sanfelice sono ancora oggi visibili in cima alla collinetta alle cui pendici meridionali sorge l‟attuale frazione di S. Felice.

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I Sanfelice

all‟Abruzzo, conquistando anche incarichi di primo rilievo nell‟amministrazione statale sia in età sveva che angioina co- me in quella aragonese15.

Ruderi del castello S. Felice nella frazione omonima dell‟attuale comune di Pietravairano (Caserta)

15 Pietro, conte di Corigliano, aveva fatto parte del consiglio dei “Comes” sotto Federico II di Svevia (prime metà del Duecento). Giordano fu nominato da Carlo I d‟Angiò (1266-1285) Giustiziere di Basilicata e Vicario di Corfù. Nel 1343 Pietro Sanfelice era vicario di Terra di Lavoro di Ludovico e Roberto duchi di Durazzo. Al tempo della regina Giovanna I D‟Angiò (1343-1381) Pietro Sanfelice era Vicerè e Capitano generale in Calabria. Paride sarà invece Vicerè e Capitano generale di Terra di Lavoro e Contado di Molise sotto Carlo III di Durazzo (1382-1386) e Luogotenente della Camera della Sommaria nel 1392 sotto re Ladislao di Durazzo (1386-1414).

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Il primo della nobile casata, patrizia napoletana del Sedile della Montagna16, a stabilire contatti con la realtà molisana fu Giacomo, figlio di Petruccio, che, nella seconda metà del Quattrocento sposa Luisa marchesa della Castagna17 della famiglia dei Conti di Sessano. Giacomo, tenuto in molta stima dal re Ferdinando d‟Aragona, nel 1490 ottenne da questi, insieme ad altri incarichi, le contee di Baranello e Montagano nella valle del Biferno. Sarà un dei tre figli di Giacomo e Luisa18, Antonio, marito anch‟egli di un‟altra pulzella della Castagna, Beatrice, che nel 1520 acquisterà il feudo di Bagnoli da Francesco D‟Avalos, inaugurando così la dinastia dei Sanfelice di Bagnoli con il titolo di conte. All‟inizio del Cinquecento, la signoria dei Sanfelice sui territori del Medio Trigno appariva alquanto ampia e com- patta. Oltre a Bagnoli Antonio possedeva il feudo di Chiauci, che, insieme a quello della Castagna detenuto dalla moglie Beatrice, costituivano una compatta struttura territoriale sulle

16 Sedili, o seggi, erano i consigli medievali della città di Napoli, istituiti dal Duecento e composti dai rappresentati delle famiglie magnatizie. Il Sedile della Montagna risale al XIII secolo; aveva sede in Via Tribunali di fronte alla Chiesa di Sant‟Angelo a Segno. 17 “Castagna” era denominato un piccolo feudo con castello nella località ancora oggi denominata “frazione della Castagna” a sud est di Pietrab- bondante, compresa tra gli attuali territori comunali di Sessano, Civitanova e Chiauci ma amministrativamente compresa nel comune di . In origine i confini del piccolo feudo dovevano estendersi maggiormente a sud, fino a raggiungere, verso sud-ovest, il tratturo Celano-Foggia, appena a valle del tracciato dell‟attuale strada a scorrimento veloce, lì dove un rudere di recente sostituito da una nuova costruzione era chiamato, nella tradizione locale, “casino della marchesa”. 18 Degli altri due, Pietro sarà vescovo di Cava e Berardo erediterà il feudo di S. Felice.

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due sponde del Medio Trigno tra il salto di Chiauci e il guado di Sprondasino che intanto, con la strutturazione aragonese della pastorizia mediante l‟istituzione della Dogana della Mena delle pecore e la sistemazione della rete tratturale, si imponeva come snodo nevralgico dei percorsi della transu- manza19. Ad essi si aggiungevano Dogliola, più a est sulla sponda sinistra del Trigno e i già citati feudi bifernini di Baranello e Montagano. La successiva pesante disavventura politica dovuta all‟ap- poggio dato da Antonio Sanfelice alla causa francese nel conflitto europeo che vedeva contrapposti l‟Imperatore Carlo V d‟Asburgo e la Francia di Francesco I di Valois, arrivato, dopo il Sacco di Roma del 1527, a coinvolgere il territorio meridionale della penisola con l‟assedio di Napoli e il coinvolgimento di tutta la feudalità locale, costò molto cara al conte di Bagnoli. Accusato da Carlo V di fellonìa20, come tutti quelli che avevano appoggiato Francesco I, Antonio fu privato dei suoi feudi. Non tutto fu però perduto. Se gli altri feudi molisani non torneranno ai Sanfelice, Bagnoli, nuovamente tenuta dopo il 1534 dai D‟Avalos, convinti filo imperiali, potè essere riacquistata, una trentina di anni dopo, da Giovan Vincenzo, figlio di Antonio, con il quale la signoria dei Sanfelice su Bagnoli riprenderà per durare ininterrottamente fino all‟eversione della feudalità, nel1806.

19 Come incrocio tra il tratturo Celano-Foggia e il tratturello -Sprondasino-Civitanova, asse trasversale di collegamento con il Lucera-. 20 Traditore del patto feudale.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

3. Feudo, universitas e conflitto sociale

Non sappiamo quali modifiche e rimaneggiamenti possa aver subito il castello di Bagnoli nei tre o quattro secoli compresi tra il suo impianto e l‟inizio del Cinquecento. Disponiamo però di una chiara e suggestiva sua descrizione risalente proprio ai primi decenni del Cinquecento:

El castillo o tierra de Bagniolo en el Contado de Molise. Esta tierra fue de Antonio Sancto Felice j la posee la princesa de Francavilla j el Marchese del Guasto. Tiene un castillo grande, bello j fuerte, como lo aj en este regno; la tierra està murada j fuerte, està la metad en monte, la medad en liano,es tierra de grandes terminos; tiene hasta LXX fuegos21; està vezina Civita Nova j la ciudad de Trevento; pasale un rio por circa la tierra …

Non solo, dunque, il castello si imponeva per la sua forza e la sua bellezza, resa ancora più evidente dagli interventi di ristrutturazione che, probabilmente proprio Antonio Sanfelice allora introdusse con l‟ampliamento del lato nord-ovest, la costruzione di una loggetta e la complessiva trasformazione della rocca in palazzo baronale. Anche il borgo circostante viene descritto come cresciuto e dotato di mura (da interpretare come case-mura).

21 Corrispondenti a circa 350 abitanti. Il testo, citato anche in Silvio Ciarniello, Storia di Bagnoli del Trigno dalle origine ai giorni nostri, Centro , Bagnoli del Trigno 1881, ma con erronea citazione della fonte, si trova in Nino Cortese, Feudi e feudatari napoletani della prima metà del Cinquecento, in «Archivio storico delle province napoletane» LIV, 1929, pp. 5-150, LV, 1930, pp. 41-128 e LVI, 1931, pp. 235-248.

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Si dice nel documento appena citato: «castillo e tierra», ad indicare la contemporanea esistenza in Bagnoli della giurisdizione feudale e dell‟Universitas22. Troviamo anche già ben descritta l‟esistenza di una metà en monte ed un‟altra en liano: quelle che ancora oggi sono la Terra di sopra e quella di Sotto (“terra di Coppa” e la “terra di Vasc” nel dialetto locale) di cui altre fonti ci restituiscono la già allora esistente forte e drammatica dialettica interna oltre che tra esse e la feudalità. Così si riferisce di disordini nel 1569, ripetutisi dopo altri avvenuti due anni prima:

Spesso la durezza della vita faceva rivolgere l‟uno contro l‟altro gli abitanti e talvolta tutti contro il barone o il capitano o i soldati alloggiati nel paese. I vassalli del barone Giovan Vincenzo Sanfelice, signore di Bagnolo, erano talmente inferociti, che da se stessi si tiranneggiavano e si ammazzavano: nel paese le uccisioni di uomini e di animali, i furti e le rapine e gli incendi delle povere case di contadini erano frequentissimi. Ma tutti d‟accordo furono una volta capaci di mettere in fuga una compagnia di soldati costringendoli a ripararsi nel castello del barone; e un‟altra volta osarono assalire il palazzo della Corte, rubare i processi e il libro dei proventi e gli altri atti; e un‟altra volta riuscirono persino a far fuggire il capitano e il mastrodatti, minacciandoli di morte23.

22 Terrae erano infatti definite, nella terminologia giuridica medievale, i territori costituiti dalle Universitas, vale a dire le municipalità locali costituite dall‟associazione dei cittadini. Pur avendo ordinamenti che prevedevano la nomina di amministratori scelti tra i cittadini più abbienti esse non erano del tutto autonome. Potevano essere distinte in demaniali (sotto la diretta giurisdizione regia) o, come quella bagnolese, infeudate (sottoposte ad un signore feudale). 23 Carlo De Fedre, Rivolte antifeudali nel Mezzogiorno d’Italia, Studi in onore di Amintore Fanfani, vol.V, Evi moderno e contemporaneo, Milano 1962, pp. 2-4. Episodi simili si verificano nello stesso periodo in Molise a Vastogirardi e Campochiaro, ma il fenomeno fu europeo.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Certamente la durezza della vita svolgeva il suo ruolo, in particolare per i contadini sottoposti in quel periodo all‟aggravamento delle loro condizioni di vita in relazione al processo di usurpazione della terra che allora si avviava con la sempre più frequente realizzazione da parte dei feudatari delle cosiddette difese (defenze nel dialetto locale), terreni recintati per essere destinati al pascolo e non più disponibili per gli usi civici tradizionalmente esercitati su di essi dalle popolazioni, nonché per l‟inasprimento dell‟esazione fiscale. Rivolte contadine si ebbero nello stesso periodo non solo in Italia meridionale ma in molte parti d‟Europa. Il testo citato, quando dice che gli abitanti del paese che «si tiranneggiavano e si ammazzavano» tra loro, fa eviden- temente anche riferimento a contrasti durissimi tra fazioni, quelle con ogni probabilità organizzate nelle due parti in cui, già allora, risultava divisa la comunità, al monte e al piano, la cui natura non ci è dato conoscere esattamente ma che, in un‟area rurale come quella bagnolese, possono tranquil- lamente essere riferite a contrasti economici e sociali legati all‟uso delle risorse disponibili, prima fra tutte la terra. Contrasti che nel Molise del tempo, non solo a Bagnoli, trovavano organizzazione in fazioni organizzate territo- rialmente intorno a centri religiosi come parrocchie e confraternite, veri centri di potere in mano alle quali era di fatto il reale controllo della amministrazioni municipali24. Il contenzioso tra le due contrade passava in secondo ordine soltanto quando l‟Universitas (il comune) assumeva come controparte il feudatario per la definizione dell‟ammontare e dei criteri di applicazione delle decime e del tassa di focatico,

24 Il caso più importante e noto in area molisana quello del conflitto tra le confraternite dei Crociati e quella dei Trinitari a a partire dal XVI secolo.

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per la possibilità di disporre della propria libertà personale, per protestare contro il pascolo abusivo o la chiusura indiscriminata di difese o per la discussione degli Statuti comunali. Nella seconda metà del XVI secolo, tra gli anni cinquanta e settanta, si sviluppa infatti un‟ampia azione centralizzata di imposizione di statuti per il governo delle Universitas, giustificata dalla necessità di presentare una soluzione politica alle conflittualità fra i ceti cittadini scatenatesi allorché nuovi gruppi di residenti avevano rivendicato la partecipazione alle cariche politiche ed amministrative delle città pretendendo di essere cooptati nei gruppi dirigenti esistenti. Un forte contrasto tra feudo e Universitas, tra le due fazioni territoriali tra cui questa era divisa, tra ceti sociali,dunque, che attesta, anche per Bagnoli come per molti altri centri molisani del tempo, l‟avanzamento nello sviluppo comunale, la crescita di una coscienza civica locale da parte di ceti borghesi che si contrapponeva al tentativo baronale di mantenere usi e privilegi e lottavano politicamente, anche al proprio interno, per il controllo del potere economico e politico. Non solo rivolta popolare contro la miseria e l‟oppressione, dunque, ma anche, espressione di nuova forza, affermazione di nuovi diritti da parte di ceti emergenti – che puntavano alla guida dell‟Uni-versitas – in una comunità in espansione, sia demografica che economica.

4. Aumento della popolazione e immigrazione

L‟intensa crescita demografica cinquecentesca, comune in quel tempo a tutta Europa, porterà Bagnoli ad contare, nel 1601, 136 fuochi (circa 700 abitanti), quasi il doppio dei 70

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società riportati intorno alla metà del secolo. Una crescita pro- babilmente dovuta non solo al movimento naturale della popolazione, ma anche a un saldo migratorio positivo, come quello legato all‟arrivo nella valle del Trigno di popolazioni slave provenienti dall‟area balcanica croata. È noto che immigrati croati si sono insediati nella valle del Trigno ad Acquaviva Collecroce (Kruč), Montemitro (Mundimitar) e San Felice del Molise (Filič), nella fertile conca compresa tra il Monte di Palata, Monte Mauro e Monte Baiardo, a colonizzare un‟area spopolata a seguito della concomitante azione, alla meta del XV secolo, dell‟afferma- zione lungo la fascia litoranea adriatica del latifondo cerealicolo e del pericolo di scorrerie turche, a cui si aggiunse il terremoto del 1456. La diffusione di tradizioni folcloriche di origine slava, come quella della “pagliara maje maje” ancora in uso a Fossalto ma un tempo presente in molti paesi dell‟area, testimoniano però di una più diffusa presenza slava in tutto il comprensorio del Medio Trigno, con sconfinamenti anche bifernini. L‟usanza anche a Bagnoli, almeno fino ai primi decenni del Novecento, della tradizionale festa dell‟albero di maggio25 e, soprattutto, la presenza nel dialetto locale, in particolare in

25 La versione bagnolese della Pagliare maie maie consisteva nel giro di questua fatto il primo di Maggio nelle strade del paese da due o tre persone, una delle quali rivestita di erbe mentre un‟altra portava un alberello di ciliegio cui si appendevano i doni ricevuti. Il gruppo girando di casa in casa intonava una canzone di maggio dai motivi ricorrenti, quali l‟annuncio del Maggio, l‟augurio di abbondanza, la richiesta scherzosa di doni a volte accompagnata da altrettanto scherzose minacce, sulla base dei quali si introducevano improvvisazioni. Il testo di una canzone di maggio bagnolese nella lezione raccolta nei primi anni cinquanta è riportato in Appendice. Cfr. Alberto Mario Cirese, Canti popolari del Molise, 2 voll., Nobili, Rieti 1953.

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quello della Terra di basso, di alcuni fonemi, parole e qualche cognome di evidente derivazione croata26, possono almeno farci ipotizzare l‟insediamento di croati a Bagnoli a partire dalla fine del XV secolo, proprio nella “Terra di vasc” che, posta a nord-est, guarda in direzione della foce del Trigno da cui essi provenivano.

La crescita demografica e quella economica cinquecentesca trovano concrezione urbanistica nell‟espansione dell‟antico borgo, in particolare legata all‟insediamento in Bagnoli dei Francescani Conventuali dell‟Annunziata27. È proprio intorno

26 Tra i lemmi croati in uso nel dialetto bagnolese: Crkre (pezzetti di lardo), Jokka (chioccia), pas (esclamazione di allontanamento verso i cani), Krest (rubare). Tra i cognomi: Jacavina da cui probabilmente Di Iacovo. Tra i soprannomi di ramo familiare: Filiĉ. Dal punto di vista fonetico è presente l‟articolazione fricativa glottale sorda aspirata di f e s come in hiat (fiato), hiocca (fiocca, neve, nevica), hiume (fiume), hiuhhiatur (soffiatore), hilic (Filiĉ). Tutti elementi fonetici maggiormente, anche se non esclusivamente, presenti nella Terra di Basso, mentre il dialetto della Terra di Sopra, tradizionalmente molto ricco di accentuati dittonghi, sembrerebbe piuttosto riferibile all‟area bifernina e in particolare campobassana. 27 Di questo convento si hanno fonti documentarie soltanto per la fine del Seicento con una bolla di papa Clemente X. Difficile dire a quando risalga esattamente la sua fondazione, collocandosi il fenomeno della grande diffusione di conventi francescani in Molise tra Quattrocento e Seicento. Dopo la divisione dei Francescani nei due ordini degli Osservanti e dei Conventuali, ufficialmente avvenuta ai primi del Cinquecento, ai Conventuali rimasero le case fondate nel XV secolo e agli Osservanti quelle edificate successivamente. Va altresì considerato che i Conventuali incrementarono moltissimo il numero dei loro monasteri nella prima metà del Seicento. Il convento dell‟Annunziata era ancora certamente attivo nel 1788, come si evince da una nota dei Luoghi pii nella Provincia di Contado di Molise di quell‟anno nella quale, per Bagnoli, si riferisce della Congregazione, ossia Oratorio del Rosario

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società a questo convento, posto più o meno nei pressi della torre campanaria di S. Maria Assunta che, tra XV e XVI secolo, l‟abitato si espande dal primigenio insediamento del Mandriglio28 per arrivare fino ad una nuova porta, di cui pure si intravedono le basi dell‟arco inglobate nelle mura di alcune case dette appunto ancora oggi “le case del convento”, che probabilmente segnava il limite cinque-seicentesco della Terra di sopra. «La metad en liano» racchiusa tra le pareti rocciose in cui è incastonata la chiesa di S. Silvestro, dal primo originario nucleo proprio a ridosso della parete rocciosa si espandeva ora fino all‟estremo dello sperone, lì dove, proprio nel Cinquecento, veniva eretta la chiesetta di S. Caterina d‟Alessandria al cui interno, in un dipinto, sono raffigurati ai piedi della Madonna, di S. Antonio e S. Leonardo, Leonardo e Antonia Filacchione, certamente esponenti di quel nuovo ceto emergente alla guida dell‟amministrazione comunale, legato allo sviluppo della transumanza ed alla messa a coltura di nuove terre che riaffermavano così, attraverso il tributo alle figure centrali della devozione molisana del tempo, il loro status sociale di ceto dirigente.

nella Chiesa dell‟Annunziata. Fu poi gravemente danneggiato («diruto» dicono le fonti) dal terremoto di S. Anna, nel 1805. 28 Appena a ridosso del castello e fino alla porta i cui resti ancora oggi sono denominati “Arco del Mandriglio”. Il toponimo derivato da mandra (di origine latina e greca) il cui significato è “recinto di pecore”; a dimostrazione di quanto l‟allevamento contasse nell‟economia del tempo.

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I Sanfelice

Arco del Mandriglio (Foto di Roberto Massullo)

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Giovan Vincenzo Sanfelice (1570-1640) Incisore Francesco de Grado, stampatore Domenico Antonio Parrino Napoli 1601- Particolare

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IV. Nella crisi del Seicento

1. I Sanfelice resistono, i D’Alessandro avanzano

Ai primi del Seicento, dei due figli del conte Fabio, morto nel 1586, Giovan Vincenzo (circa 1570–1640), abbracciata la carriera militare combatte prima nelle Fiandre nel corso della Guerra dei Trent‟anni per poi divenire il valoroso difensore degli interessi coloniali della Spagna in Brasile difendendo Bahia dagli interessi olandesi e divenendone governatore. Alla guida del feudo troviamo invece Marco Antonio che nel 1625 acquisirà il titolo di primo duca di Bagnoli. Seguiranno nella dinastia suo figlio Cesare (nato nel 1604) e il figlio di questi Fabio (1633-1703). Il Seicento è stata, come è noto, epoca di crisi gravissima: crisi economiche, finanziarie e monetarie, carestie, pestilenze e dunque crolli demografici scandirono il secolo. La difficile congiuntura investì anche la feudalità molisana, soprattutto quella maggiore spesso più esposta finanzia- riamente, costretta in molti casi a vendere i propri feudi per fare fronte ai debiti. La difficile congiuntura non comportò però la difficoltà indifferenziata di tutta la nobiltà, quanto una sua ristrutturazione interna. Come accade sempre nei periodi

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società di crisi, mentre alcuni videro ridimensionato il loro potere economico, altri riuscirono a resistere o anche a trarne van- taggio. Sembrerebbe questo il caso dei Sanfelice di Bagnoli che, nel corso del secolo non vendono, prestano anzi denaro ad altri29 e conseguono, come dicevamo, un miglioramento di status acquisendo prima il titolo ducale e poi, con Giovan Vincenzo, l‟eroe di Bahia, quello di principe di Monteverde. La crisi della rendita fondiaria spinge molti nobili alla riconversione dell‟investimento nell‟allevamento ovino, nel tentativo di controllare il mercato laniero. I Sanfelice, Fabio (n. 1633) e il figlio Cesare (n. 1671), unici grandi produttori di lana bagnolesi, alla fine del secolo registrati alla Dogana di Foggia anche per il possesso di animali grossi (cavalli, buoi ecc.) fatti pascolare nel pascoli del Saccione, furono tra i principali protagonisti di questa iniziativa, producendo, soprattutto nella seconda metà del secolo, quantità di lana, infondacata a Foggia, davvero ragguardevoli. Nella graduatoria delle prime venti località produttrici di lana comprese nella paranza di Castel di Sangro, Bagnoli registra quasi 13.000 libbre nel 1675 che arrivano a 15.000 nel 168030. Una produzione inferiore soltanto a quelle delle località principali della grande transumanza abruzzese e

29 È il caso di Orazio Sanfelice, fratello di Fabio e zio di Marco Antonio, che nel 1603 presta duemila ducati all‟Università di Campobasso. 30 1 libbra corrispondeva nel Regno di Napoli a 343 grammi. Consi- derando che al tempo da una pecora si potevano ottenere circa 600/700 grammi di lana, cioè due libbre, possiamo calcolare tra 7000 e 8000 il numero di pecore possedute dai Sanfelice.

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altomolisana, Roccaraso (98.000 libbre), Pescasseroli (46.000), (35.000), Vastogirardi (22.500)31. Non molto di più di una semplice mantenimento di posizione, invece, l‟azione dei Sanfelice sul piano territoria- le. Nel corso del Seicento unico loro feudo risulta essere quello bagnolese, più o meno corrispondente all‟attuale terri- torio comunale disteso intorno al medio bacino del torrente Vella. Ad imporsi nell‟area come attori principali dell‟acquisizio- ne fondiaria saranno invece i D‟Alessandro di Pescolanciano che, acquistando all‟inizio del secolo i feudi di Carovilli, Castiglione, Civitanova, Civitavecchia, Castagna, Selvapiana Frasso e Sprondasino fino alla Torre di S. Bartolomeo – gli ultimi cinque in precedenza tutti dei Sanfelice - costituiranno la più importante struttura feudale dell‟Alto e Medio Trigno ed una delle più importanti del Contado di Molise. Una struttura tutta centrata sul‟agricoltura, la silvicoltura ed il controllo dei percorsi della transumanza. Con una produzione laniera di molto inferiore a quella dei Sanfelice, i D‟Alessandro, comunque compresi tra i primi venti produttori di lana anche se con soltanto 1800 libre, puntavano, evidentemente, al controllo dei percorsi dei tratturi e delle loro taverne e dunque alla riscossione dei pedaggi per il transito degli animali. Risultato reso possibile dal loro possesso dell‟intero territorio steso a cavallo tra i due

31 Roberto Rossi, Produzione e cmomercio della lana nel Regno di Napoli nel secolo XVII, Tesi di dottorato, coordinatore Francesco Balletta, 2005, in htpp://www.fedoa.unina.it/1019/1/Tesi_Rossi_Roberto.pdf.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società tratturi Castel di Sangro-Lucera e Celano-Foggia e delle due importanti taverne, quelle del Barone, a Pescolanciano, e quella di Sprondasino, feudo appartenuto, come si ricorderà, nell‟XII secolo ai Borrello presenti anche a Bagnoli e poi alle diverse casate nobiliari che si erano succedute nel controllo del territorio bagnolese.

2. Sprondasino nel Seicento: scomparsa o trasferimento?

È molto probabile che sia stato proprio in relazione a questa ristrutturazione territoriale degli equilibri feudali che gli abitanti del piccolo centro abitato di Sprondasino sorto intorno al castello sulla collina di Terra vecchia e risultante abbandonato alla fine del Cinquecento32, si sposteranno sull‟altra sponda del Trigno, quella sinistra, piuttosto lontano dal greto fluviale, a mezza costa, al limite del terrazzo pliocenico che discende da Pietrabbondante, poco a valle del luogo in cui era posta la masseria, poi divenuta casino di campagna, del duca di Pescolanciano. Lo stesso luogo dove ancora oggi, in corrispondenza di una tornante della provinciale, si trova un nucleo rurale abitato da diverse famiglie di agricoltori. Un centro abitato denominato Speronasino sarà in effetti indicato nelle carte geografiche del Cartaro (1613), del Magini (1642) e delle altre disegnate fino alla metà del Settecento, non più sulla sponda destra ma su quella sinistra del Trigno, proprio nel punto che dicevamo, lì dove anche il grande geografo Lucio Gambi lo collocava

32 Come afferma Giovan Battista Masciotta e come fonti archivistiche di metà Seicento della Dogana della mena delle pecore di Puglia confermano.

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Nella crisi del Seicento

nel suo insuperato studio di geografia antropica condotto negli anni cinquanta del Novecento sull‟area del Medio Trigno. Vista l‟assenza di notizie quattrocentesche come di interventi edilizi sul castello di Sprondasino riconducibili al XV secolo e considerando che esso appariva già comple- tamente “diruto” alla metà del Seicento, è molto probabile che il processo del suo progressivo spopolamento e abban- dono si sia andato realizzando già nel corso di quei secoli, forse addirittura a partire dal terremoto del 1456. Due elementi possono avervi contribuito. Il primo è costituito dalla messa a coltura di terreni, certo migliori di quelli molto acclivi coltivabili intorno al guado fluviale, come quelli dei semipiani dei feudi di Castagna e Selvapiana, Frasso, posseduti nel Cinquecento dai Sanfelice e passati poi, ai primi del Seicento, al duca di Pescolanciano. Messa a coltura attraverso il diboscamento e la pratica del debbio che richiedeva molta manodopera e dovette dunque contribuire allo spostamento di popolazione in quella che, secondo la nostra ipotesi, diveniva da allora la nuova Sprondasino come centro nevralgico della gestione di tutti i feudi del D‟Alessandro ad ovest di Civitanova. Contemporaneamente il sito di Terra vecchia, mentre perde- va la sua funzione prevalentemente difensiva e di controllo militare del territorio - probabilmente avviatasi già con il primo arrivo dei Longobardi nel VII secolo a costituire la vicina fara – assumeva quello di importante taverna del tratturo Celano-Foggia, nell‟ambito dello straordinario svi- luppo dell‟allevamento transumante verificatosi nel corso del Cinquecento e del Seicento. Un ruolo che non richiedeva un insediamento umano numeroso, se si escludono gli addetti alla riscossione del pedaggio imposto dal duca di

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Pescolanciano e alla gestione della Taverna all‟uopo costruita al margine del tratturo e sulle sui pareti era murata la pandetta con le tariffe di pedaggio di recente recuperata e conservata presso la sede comunale di Bagnoli. L‟ipotesi spiegherebbe anche l‟antica presenza di coltivatori bagnolesi sulla sponda sinistra del Trigno lungo il tratturo Celano-Foggia, come nella Taverna di Sprondasino sulla riva destra, in territorio oggi compreso nel territorio comunale di Civitanova.

La Pandetta di Sprondasino, 1691

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Nella crisi del Seicento

Nell‟importante documento lapideo è scritto:

CAROLUS DEI GRATIA REX

PANETTA SEU TARIFFA DELLI DIRITTI DEL PASSO DI SPERONASINO DELLN.LRE DN GIUSEPPE D’ALESsANDRO DUCA DI PESCOLANGIANO

PER QUALS.A SALMA DI ROBBE MERCANZIE DI QUALS.A SORTE E VALORE CHE PASSA PER D.O PASSO GRANA UNO E MEZZO PER QUALSIASI PERSONA A PIEDI ED A CAVALLO GRANO UNO E MEZZO

PER CENTENARO DI PECORE, CASTRATI, PORCI, CAPRE ED ALTRI AN.LI MINUTI G(ran)A VENTICINQE, E SE SARANO DI MAG.RE O MINOR NUMERO SI PAGHI PRO RATA A D.TA RAG.NE DE CENTENARIO, PERO’ SE LI ANIMALI SARANNO DEI LOCATI DELLA RE.A DOGANA S’ESIGGA SOLAM.E A RAGIONE D’UN CARLINO PER MORRA E NON PIU’ CITRA PREGIUDIZIO PER L’IMMUNITA’ PRETESA PER LI LOCATI PREDETTI

PER CENTENARIO DAN.LI VACCINI ED ALTRI AN.LI GROSSI CHE PASSERANNO PER D.O PASSO CARLI NI CINQUE, E SE SARANNO DI MAG.RE O MINOR NUM.RO SI PAGHI PRO RATA A D.A RAGIONE DI DENARO

DATUM NEAPOLI EX REG.A CAM.RA SUMARIAE, DIE 20 M.OCTOB.S 1691.D. SEBASTIANO DE COrTES R- M- L- L- ANDREA GUERRERO DE TORRES VT FISCUS=LANVARIUS CECERE ACTVARIOS

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Bagnoli non sembra essere stata colpita in maniera grave dall‟epidemia di peste del 1656, dal momento che il numero dei suoi fuochi, per quanto possa essere attendibile questo tipo di fonte, resta stabile tra la numerazione del 1595 e quella successiva del 1669, intorno ai 160, a fronte di una drastica generale diminuzione della popolazione che nell‟intero Contado di Molise raggiunse il 24%, con punte fino al 50%. Le condizioni di vita della popolazione non dovettero comunque essere delle migliori dal momento che i feudatari che seppero resistere alla crisi economica, come quelli bagnolesi, riuscirono a farlo soprattutto grazie alla potente loro offensiva contro le Università portata avanti con la più dura imposizione fiscale e l‟appropriazione di terre demaniali. Per fare fronte alla pressione fiscale baronale le Università furono spesso costrette all‟indebitamento ed all‟aumento delle gabelle sui consumi o affittando beni comunali. Un‟operazione quest‟ultima che diveniva occasione per l‟avvio della selezione di una nuova elite sociale comunale, a volte anche di origine contadina, spesso la stessa alla guida amministrativa delle Università.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

V. Il Settecento

1. Economia, mercati, popolazione

Dal punto di vista produttivo il Settecento è il secolo della grande ulteriore affermazione in tutto il Molise della cereali- coltura estensiva favorita dal rialzo dei prezzi del grano sui mercati regnicoli e internazionali ed attuata mediante il diboscamento selvaggio, anche in zone molto acclivi e non particolarmente adatte a quel tipo di coltura, con grave danno per le già precarie condizioni idrogeologiche dei franosi terreni della zona. Contemporaneamente causa ed effetto di questo forte incremento della produzione è la straordinaria ripresa demografica che alla fine del secolo porterà i semipiani del medio Trigno, tra cui quello su cui è posto Bagnoli, a raggiungere una densità di popolazione di oltre 100 abitanti per chilometro quadrato, tra le più alte del regno, in aree fino al secolo precedente caratterizzate dalla rarefazione della popolazione. A Bagnoli dai circa 800/1000 abitanti dell‟inizio del Seicento, si passa ai 1747 del 1712, ai 2224 del 1739, ai 3242 del 1800, per arrivare, nel 1812 ai 3900, con un incremento percentuale complessivo in un secolo del 123% per l‟intero paese, addirittura del 158% per S.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Silvestro, di un inferiore ma comunque importante 89% per S. Maria. Incrementi annui eccezionali, superiori al 10 per mille.

Anno 1712 1739 1749 1759 1774 1800 1812 S. Maria 870 990 1188 871 1274 1641 S. Silvestro 877 1234 1524 1449 1968 2259 Bagnoli 1747 2224 2320 3242 3900

Popolazione bagnolese 1712-1812. Fonte: Stati delle anime delle parrocchie di S. Maria Assunta e S. Silvestro papa.

Partendo da una popolazione ad inizio secolo praticamente di pari entità, il destino demografico delle due parrocchie si distinguerà nettamente nel corso del secolo. Nella prima metà a crescere sarà soprattutto la popolazione di S. Silvestro, con un incremento annuo medio del 2%, esattamente il doppio di quello di S. Maria Assunta. A contribuire ad un incremento demografico così evidente nella Terra di sotto, non poté essere soltanto il saldo naturale tra nati e morti, il cui andamento non può essere stato così diverso tra le due parrocchie, ma anche il trasferimento di popolazione dalle campagne al centro abitato. A questo trasferimento può essere messa in relazione la scomparsa dalle carte geografiche, alla metà del Settecento, anche dello Sprondasino a sinistra del Trigno apparso ai primi del Seicento. Piuttosto che ad un reale abbandono del sito, la sua assenza successiva dalle carte geografiche e dalle registrazioni demografiche può essere stata dovuta alla perdita dello status di terra di cui esso aveva goduto fin ad allora, in conseguenza dell‟ingresso dei suoi abitanti nella Universitas bagnolese nella quale essi costruirono casa nelle contrade di S. Caterina, Orti, Fonte Vecchia33, come attesta il

33 A partire dalla bella fontana-abbeveratoio che proprio in quel periodo veniva sistemata con i bei conci calcarei ancora oggi ammirabili pur nel

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Il Settecento

forte incremento demografico in quelle contrade, estendendo

Fonte Vechia (foto di Roberto Massullo) l‟abitato più a nord e più a valle rispetto allo sperone di S. Caterina dove fino ad allora si era attestato. Così, pur continuando a lavorare le terre del duca di Pescolanciano sulle quali mantenevano i pagliari in pietre a secco e frasche che fino ad allora avevano costituito la loro unica abitazione e nella quale avrebbero continuato ancora almeno un secolo a passare la maggior parte del loro tempo, i contadini del Frasso, di Sprondasino, di Moriconi, Santo Ianni, in genere delle aree agricole poste a nord, nord-est e nord-ovest del centro abitato, resi anch‟essi un poco meno poveri dalla favorevole congiuntura economica del periodo, aprono casa nella zona del paese più prossima alle terre che

degrado in cui l‟area viene tenuta nonostante un recente abortito tentativo di sua riqualificazione.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società lavoravano, nella “Terra di Vasc‟”, ponendo in rapporto diretto, sul piano insediativo, l‟ordine dei campi con quello delle case. La drammatica carestia del 1763 provocherà circa 700 morti per fame e stenti tra la i bagnolesi, con una ferita così grave che ancora dieci anni dopo, nel 1774, la popolazione del paese sarà ancora di poco superiore a quella del 1739. Ma nell‟ultimo venticinquennio del secolo e nei primi anni di quello successivo il trend di crescita riprende con ancora maggiore forza, anche se con modalità diverse nei due territori parrocchiali. La popolazione aumenta moltissimo in entrambe le parrocchie, con un incremento complessivo tra il 1774 e il 1812 del 68%, ma ad avere il primato dell‟incremento demo- grafico è ora il territorio di S.Maria Assunta con un incre- mento dell‟88% a fronte di un più modesto 56% di S. Silvestro34.

2. Urbanistica

Oltre a quello sul numero di abitanti, un altro dato molto importante da trarre dalle fonti demografiche è quello sul numero delle abitazioni. Nei cento anni considerati le case del paese passano dalle 263 del 1712 alle 637 del 1812, aumentando del 180% in percentuale superiore all‟aumento degli abitanti (158%).

34 Il periodo di maggiore crescita demografica è quello corrispondente all‟ultimo quarto di secolo, quando, tra il 1774 e il 1800, la popolazione bagnolese cresce addirittura del 154%, vale a dire ad un tasso del 6% annuo; quella di S. Maria dell‟88%, il 3% all‟anno¸ quella di S. Silvestro del 36%, l‟1% all‟anno.

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Il Settecento

Nella prima metà del secolo l‟incremento di abitazioni risulta tutto sommato proporzionale – e un poco inferiore – all‟aumento della popolazione in entrambe le parrocchie, con una maggiore attività edilizia dunque nella Terra di sotto, con circa 3 o 4 nuove case all‟anno, a fronte delle 2 costruite nella Terra di Sopra. Nell‟ultimo quarto del Settecento il quadro cambia. Nei 38 anni compresi tra il 1774 e il 1812, mentre la popolazione della Terra di sopra e di quella di sotto aumenta rispettivamente del‟88% e del 56%, le abitazioni di S. Maria praticamente raddoppiano (93%), mentre quelle di S. Silvestro aumentano soltanto del 24%. Il rapporto di crescita urbanistica tra le due parrocchie è in quegli anni di 1 a 4 in favore della Terra di Sopra. Il periodo di più intenso sviluppo urbanistico risulta essere stato il primo decennio dell‟Ottocento quando, in soli 12 anni, le case di S. Maria aumentano del 54% e quelle di S. Silvestro soltanto del 18%.

Anni S. M. S. S. S.M. S.S X anno X anno 1774-1788 13 2 2,7 2,3 1774-1799 11 3 1,9 1,4 1774-1812 93 24 2,4 0,6 1800-1812 54 18 4,5 1,5 1739-1812 103 74 1,4 1,0

Incremento delle abitazioni nelle due parrocchie. Valori percentuali

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Anni abt S. M. S. S. Bag S.M S.S X anno X anno 1712-1749 91 2,5 1712-1759 55 1,5 1774-1788 13 2 6 1,0 0,2 1774-1799 25 3 12 1,0 0,1 1774-1812 93 24 40 2,4 0,6 1800-1812 54 18 22 4,5 1,5 1712-1812 108 180 142 1,1 1,7

Incremento della popolazione. Valori percentuali

In alto l‟abitato, dalla cinta compresa tra Castello e Annun- ziata, si slarga fino al Pesco Alfiero ed anche nella zona della Neviera. Una nuova cinta di case-mura arriva praticamente fino in fondo all‟attuale via Castel Sanfelice. Le due terre sono ormai ricongiunte da una strada corrispondente all‟attuale via Marconi, lungo la quale si allineano nuove case. A questo periodo e comunque non oltre la prima metà dell‟Ottocento si può approssimativamente datare anche la sistemazione secondo l‟aspetto attuale, certamente sulla base di strutture precedenti, del palazzo sul Pesco Alfiero, ancora oggi evidente con la sua torretta triangolare. Emblema architettonico e urbanistico proprio dell‟affermazione di quella nuova borghesia locale fondata sulle professioni, l‟arte medica, ma soprattutto l‟avvocatura e il notariato, utilissime per districarsi vittoriosamente tra i numerosi e continui contenziosi che si accenderanno intorno all‟acquisizione e spesso all‟usurpazione delle terre demaniali che sarà il fondamento della sua affermazione.

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Il Settecento

Se la crescita urbanistica della Terra di Sotto va infatti messa prevalentemente in relazione all‟inurbamento di fami- glie contadine, non sembra possa dirsi altrettanto, almeno non nella stessa misura, per quella di sopra, dove i contadini, lavorando terre prossime al centro abitato, vivevano già da tempo quasi tutti in paese35. Qui più evidente appare il ruolo di alcune famiglie, legate spesso in gruppi di parentela costituiti mediante opportuni matrimoni, rappresentanti dei nuovi ceti emergenti costituiti da alcuni contadini più agiati che aprono i propri destini familiari all‟artigianato ed alla mercatura, e soprattutto da nuove figure di notabili che attra- verso l‟esercizio delle professioni liberali, la gestione delle gabelle, il possesso fondiario e, ancor di più, la gestione dei terreni del demanio universale (comunale)36 e l‟ammini-

35 Nel 1810 in S. Maria Assunta vivevano in campagna solo 10 famiglie: 2 a S. Pietro, 3 alla Vallebruna, 5 alle Cannavine. A vivere in pagliai erano 6 famiglie. Fonte: Stato anime S. Maria Assunta, 1810. 36 Come è noto, la moderna proprietà fondiaria privata individuale come oggi la intendiamo è istituto giuridico molto recente, proprio del capitalismo, introdotto in Italia meridionale soltanto nel 1806 con l‟eversione del sistema feudale sancito dai Francesi e poi sostanzialmente confermato dai Borboni alla restaurazione che li manterrà al potere ancora fino al 1860. Almeno a partire dalla dominazione normanna (XI-XII secolo) e fino al 1806 il territorio di ogni comunità era invece stato diviso tra Demanio universale, Demanio feudale e Demanio regio. Il primo era formato da quelle terre detenute collettivamente da tempo immemorabile dalle popolazioni che vi esercitavano il pieno dominio a titolo originario singolarmente o in forma associata, godendone i frutti attraverso la coltivazione, la raccolta, l‟allevamento, l‟estrazione di materiale utile. Il Demanio feudale era costituito dalle terre gravate da una particolare forma di comunione dominicale tra il feudatario e la collettività, e per questo oggetto di continuo contenzioso, ma sostanzialmente in mano al feudatario. Il Demanio regio, infine, era formato da vere e proprie riserve

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società strazione dell‟Università, traggono vantaggio dal favorevole andamento del mercato del grano, accumulando cospicue ricchezze e discreto potere. A mettere in moto il mercato della terra e la lotta sociale per la sua conquista contribuì, dopo alcune prime riforme in senso liberistico degli anni ottanta37, l‟editto reale del 1792 con il quale si disponeva la censuazione - in pratica la divisione e l‟assegnazione a singoli coltivatori a fronte del pagamento di una tassa annuale (il censo) - delle terre del demanio universale e feudale.

3.Percorsi di ascesa sociale

Intorno alla risorsa terra si scatenò un forte conflitto sociale, fatto di controversie tra Università, baroni e particolari possessori, così come anche tra università confinanti, soprattutto per la definizione dei confini in occasione della divisione dei demani. Controversie organizzate non secondo uno schema di classe sulla semplice opposizione tra feudatario e università, ma secondo più complesse alleanze di

(difese) che il sovrano aveva il potere di chiudere all‟uso e di darle in concessione dietro pagamento di una tassa, sottraendole così agli usi civici, vale a dire al diritto dei membri della comunità di pascolare, raccogliere legna, seminare, erbe e ghiande, cacciare e pescare. I provvedimenti del 1806 furono preceduti da quelli borbonici del 1792.

37 A quelle disposizioni faceva riferimento il duca D‟Alessandro di Pescolanciano quando, nel 1784, chiedeva al sovrano l‟autorizzazione al diboscamento dei suoi feudi di Moricone, Frasso, Sprondasino e Selva Piana, tradizionalmente lavorati da contadini bagnolesi, per coltivarvi grano ma anche per affermarne con chiarezza i confini e affermarne la proprietà.

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Il Settecento

fazione egemonizzate da nuove élites sociali per le quali la lotta anti baronale, in nome della quale si mobilitava il popolo, diveniva pretesto per l‟affermazione del proprio potere. Lo scontro fu particolarmente duro proprio in quelle aree, come il Molise, nelle quali l‟estensione delle terre demaniali era larghissima. La diocesi molisana sul cui territorio si verificò il maggior numero di controversie nell‟applicazione dell‟editto del 1792 fu proprio quella di Trivento nel cui territorio Bagnoli era compreso. Come caso di ascesa sociale realizzata tra professione, possesso fondiario e amministrazione locale, può valere proprio l‟esempio della famiglia dei Pascasio che ha storicamente abitato al Pesco Alfiero, al cui simbolismo architettonico di affermazione di potere facevamo poc‟anzi riferimento. Composta all‟inizio del Settecento da un unico nucleo, che comunque comprendeva già l‟arciprete della parrocchia di S. Maria e un “dottore fisico”, sistemato in una sola abitazione, la famiglia arriverà nel corso del secolo a comporre 3 nuclei, sistemati, nel 1815, in 3 case diverse. Quelle che insieme andranno evidentemente a costituire il palazzo. I maschi della famiglia sposano donne di altre casate in evidente ascesa sociale, i Moccia, gli Zingarello, della Terra di Sopra, i De Vita della terra di Sotto, ed altri ancora38.

38 Nel corso del Settecento Gaetano Zingariello (1712), Pietro Pascasio (1749), Antonio Moccia (1793) ricopriranno la carica di Luogotenente del Governatore che, di nomina baronale, in assenza del governatore, amministrava la giustizia, curava l‟ordine pubblico, approvava gli atti deliberativi dell‟Università. Un Moccia erano notaio. Un Angelo De Vita sarà procuratore baronale, un Domenico De Vita e un Anselmo Filacchione amministratori dell‟Università, un altro Filacchione notaio. Nel 1803 Angelo Maria Moccia era Ufficiale interino della Dogana della Mena delle pecore di Puglia.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Inizia così a costituirsi anche a Bagnoli quel notabilato che nel corso dell‟Ottocento si sostituirà definitivamente alla nobiltà nella proprietà fondiaria più estesa e nel potere locale, tenendolo poi ininterrottamente fino alla fine della seconda guerra mondiale. Più modesto ma comunque importante segno architettonico di discreto prestigio sociale, anche la casa signorile - anche questa fornita di torretta, questa volta tonda - posta su uno sperone roccioso in S. Caterina, probabilmente riferibile ai De Vita, una delle famiglie borghesi dell‟artigianato e del commercio della Terra di sotto che dalla fine del Settecento iniziano a farsi importanti nel paese.

Quella dei nobili è ormai una battaglia di retroguardia, pure combattuta con qualche residuo vigore, come testimoniano i numerosi documenti che vedono contrapposto il duca Cesare e poi suo figlio Nazario agli amministratori dell‟università in contenziosi relativi all‟amministrazione della giustizia, alla prestazione di servizi, alle tariffe del mulino baronale, all‟entità del terraggio e, soprattutto all‟uso dei terreni demaniali. E le proteste e le azioni legali non erano soltanto tra università e duca, ma anche tra cittadini e amministratori spesso accusati di dilapidare il patrimonio pubblico utilizzandolo a fini privati. Il castello, per secoli possente simbolo architettonico del potere baronale appare ora ancora più separato che mai dal contesto urbanistico e sociale locale. I Sanfelice, come molta parte della nobiltà molisana, in procinto di perdere il loro potere politico nell‟imminenza della rivoluzione che ad inizio Ottocento determinerà la fine del loro potere politico, si preparano a lasciare il paese per concentrare la loro atten- zione sulla capitale del Regno. Qui, nel corso dell‟Ottocento riconvertiranno il loro potere economico - mantenuto in realtà

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Il Settecento

ancora molto cospicuo per la trasformazione della maggior parte dei loro possessi feudali in moderna proprietà fondia- ria39 - nell‟investimento urbano, nelle professioni, nelle car- riere politico amministrative. Già alla metà del Settecento negli Stati delle anime della parrocchia di S. Maria Assunta la prima casa registrata nella contrada Valle, il castello Sanfelice, risulta «vacante» e la famiglia tutta trasferita a Napoli. Il terremoto di S. Anna, del 26 luglio1805, danneggerà seriamente il castello, come, nel riferire sui danni procurati nella parrocchia dall‟evento naturale, notava don Andrea Pascasio, arciprete di S. Maria Assunta: « … Nella parrocchia di S. Maria cadde l‟antica terra dentro le mura, anche il Palazzo Ducale, che era una Rocca …». Da allora inizia per l‟antico maniero la fase dell‟abbandono e del degrado; sottoposto a razzia collettiva diviene cava per materiale edilizio da riutilizzare nelle nuove costruzioni.

39 Con la legge napoleonica del 1806 i baroni furono privati soltanto della giurisdizione, dei diritti proibitivi e di alcune prerogative fiscali. Ottennero invece in libera proprietà quei terreni del feudo – o buona parte di essi – fino ad allora da loro goduti e amministrati in maniera esclusiva (difese, terreni chiusi e migliorati). La stessa legge prevedeva che i terreni del demanio universale e di quello feudale non riconosciuti in libera proprietà agli ex feudatari fossero affidate “temporaneamente” alle amministrazioni locali (Universitas e poi, dal 1860, comuni) perché provvedessero a distribuirle tra i contadini residenti.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

VI. Dopo il castello: dall‟Ottocento al Terzo millennio

1. Risorgimento in periferia

La nobiltà e il feudalesimo sono ormai lontani. Alla metà dell‟Ottocento Nazario Sanfelice, nono duca di Bagnoli, nipote di quel Nazario Fortunato (1770-1781) che per ultimo della famiglia aveva abitato il castello nel Settecento, sarà sindaco di Napoli dal 1839 al 1847 e Intendente della Capitanata nel 1859. Dal punto di vista economico e socio-politico l‟Ottocento è il secolo in cui lo scontro tra ceti emergenti dell‟artigianato e delle professioni e contadini per l‟appropriazione della terra resa disponibile dai provvedimenti di liquidazione delle terre demaniali prevista dalla legge di eversione della feudalità decretata dai Napoleonidi nel 1806. Uno scontro cruento che connoterà tutta la vicenda del Risorgimento molisano e meridionale nel corso di tutto il secolo ed anche strettamente legato al fenomeno del brigantaggio pre e post unitario, come al tremendo eccidio di Isernia del 1860, riconducibile, al di là dei suoi aspetti più contingenti, ad una vera e propria guerra civile tra settori della borghesia locale nella quale, in forma fazionaria, vengono coinvolti i ceti contadini.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Bagnoli non fu particolarmente toccato, aldilà di qualche episodio marginale di incursione di briganti triventini, dal brigantaggio come dai moti politici che nel corso del secolo si verificarono. Le élites locali appaiono piuttosto moderate, se si esclude l‟autorevole eccezione di Giuseppe Nicola Rossi che, del resto a Bagnoli, dov‟era nato il 30 novembre del 1767, visse soltanto i primi 17 anni della sua vita poi allontanandosene per non farvi più ritorno40. Anche al momento dell‟unificazione nazionale la conservazione sembra aver prevalso. Nei giorni dei fatti di Isernia del settembre-ottobre 1860, a Bagnoli la guardia nazionale viene disarmata nel corso di un tumulto popolare e il primicerio (capo di una confraternita) don Alessandro Colaneri, favorevole alla costituzione, viene violentemente percosso da alcune popolane fino a morirne dopo 17 giorni di agonia. Primo dei processati per il fatto un Alessandro Moccia. Immediatamente dopo, nel giorno della votazione del plebiscito per l‟annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d‟Italia, il 21 ottobre 1860, il contadino Luigi De Luca, notoriamente avverso al governo costituzionale viene arrestato per aver gridato in piazza, secondo la testimonianza del calzolaio Palmerino Ciarniello, che «chi votava per Francesco II avrebbe baciato S. Michele e chi votava per Vittorio Emanuele avrebbe baciato il diavolo». Più che le idee di costituzione o assolutismo, di adesione alla causa

40 Nel 1784 si trasferiva a Napoli dove nel corso dei suoi studi di legge fu allievo di Mario Pagano. Esule a Marsiglia e Parigi dopo i fatti del 1799 durante i quali aveva parteggiato per la Repubblica partenopea, fu poi di nuovo a Napoli come avvocato, quindi a Trani come segretario dell‟Intendenza, poi giudice di corte criminale ad Aquila, Chieti, Salerno. Fu poi nominato deputato supplente nel Parlamento napoletano del 1820, pagandone poi il prezzo con l‟esilio a Roma per 4 anni. Fece ritorno quindi ritorno a Napoli per morirvi nel 1834.

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Dopo il castello: dall‟Ottocento al Terzo millennio

nazionale o a quella borbonica, verosimilmente lontane dall‟orizzonte esistenziale delle popolane bagnolesi, nel segnare il destino di don Alessandro e nell‟opporre il contadino De Luca al calzolaio Ciarniello dovettero pesare ancora di più rancori sedimentati nel tempo tra famiglie, gruppi parentali, confraternite e parrocchie, in continuo contrasto per la spartizione della terra e comunque del potere. Quanto meno si verificò un‟intreccio tra livello ideologico e l‟altro, più sostanziale, dello scontro delle fazioni organizzate intorno ai protagonisti della vita economica, sociale e amministrativa locale del tempo, vale a dire quei i ceti borghesi che attraverso il controllo dell‟amministrazione comunale gestivano il cospicuo patrimonio fondiario acquisito al demanio pubblico, in pratica appropriandosene proprio attraverso l‟utilizzo della risorsa politico amministrativa, lucrando sui fitti comunali, affidandoli a propri parenti, spesso semplicemente usurpando i terreni.

2. I bagnolesi vanno a Roma

L‟Ottocento è anche il periodo della crisi definitiva della transumanza che per secoli aveva offerto opportunità di lavoro stagionale, come cavallari, tosatori ed altro, ai bagnolesi come a migliaia di altri contadini molisani. Di fronte alla crisi, protagonisti del lavoro, come sempre, i ceti contadini che, con evidente capacità imprenditiva, trovano comunque il modo di incrementare i magri redditi prodotti dalle loro famiglie con il lavoro agricolo, ricon- vertendo la tradizionale secolare occupazione stagionale nei mestieri della transumanza, ormai messa in crisi dalla messa

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società a coltura del Tavoliere di Puglia, con quella rivolta al settore dei servizi domestici nelle aree urbane, alcuni a Napoli, ma la stragrande maggioranza nella Roma capitale della cristianità e dello Stato pontificio. È infatti dall‟inizio dell‟Ottocento che si registra la presenza di centinaia di bagnolesi e salcitani a Roma, a servizio presso le famiglie della nobiltà papalina come addetti di stalla; un‟attività, stagionale o pluriennale ma comunque periodica, da cui deriverà, nel corso del Novecento la numerosa attuale comunità di garagisti e tassisti, ed anche ristoratori, romani di origine bagnolese e salcitana41. Con i risparmi rimessi in paese dalle stalle della nobiltà romana i contadini bagnolesi partecipano anch‟essi alla corsa alla terra, guadagnandosi, praticamente tutti, una sia pure piccolissima proprietà fondiaria; il pezzetto di terra che credevano dovesse metterli per sempre al riparo, insieme alle loro famiglie, dalla miseria in cui da sempre avevano versato. Piccoli frustoli di terra che saranno soprattutto le donne a lavorare e gestire mentre alleveranno i numerosi figli frutto dei fugaci incontri con i loro mariti nel poco tempo da questi passato in paese tra un periodo di permanenza a Roma e l‟altro. Intanto il paese è uscito dalle mura, anche la porta più esterna viene abbattuta ed una nuova doppia quinta di case si allinea sui due lati della strada che collega Terra di sotto e Terra di sopra, non senza dimenticare di segnare attentamente con un termine lapideo il preciso confine tra i territori delle due

41 Oltre agli stallini e a qualche più raro cocchiere, si segnala la presenza a Roma negli anni sessanta dell‟Ottocento di Eliseo Tosti da Bagnoli del Trigno, autore, per ordine del Municipio romano, della copia della pianta della città disegnata e incisa da G.B. Falda nel 1676, aggiornata al 1756 ed eseguita a penna dal nostro nel 1864.

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Dopo il castello: dall‟Ottocento al Terzo millennio

parrocchie. La popolazione passa dai 3242 abitanti del 1800 ai 4779 del 1901, con un incremento del 47,4%, pari ad un aumento medio annuale dello 0,5%, un trend comunque importante anche se pari soltanto alla metà di quello settecentesco

3. Galantuomini e contadini

Il potere nella prima metà del Novecento resterà saldamente in mano ai notabili locali, i quali in molti - emarginati con il ricatto e l‟olio di ricino quelli tra loro, pure presenti, più sensibili al liberalismo ed alla massoneria risorgimentale - sapranno prontamente sostituire la paglietta e il mantello a ruota con l‟orbace fascista. I protagonisti del vero cambiamento saranno però ancora una volta i contadini che, a partire dagli ultimi anni dell‟Otto- cento, se ne vanno a centinaia alla Merica, a lavorare nelle miniere della West Virginia, a Fairmont, a Youngstown in Ohio, o ancora più a ovest, a costruire la ferrovia, e alcuni già fino in Canada. Con le rimesse dell‟emigrazione transocea- nica saranno loro ad ampliare ancora il paese costruendo le cosiddette “case degli americani”, lungo le vie d‟uscita dal centro abitato, soprattutto via Roma e via Cesare Battisti, o a sopraelevare la vecchia casetta ad un solo piano, magari aggiungendovi nel prospetto un bel balconcino con la ringhiera in ferro battuto, segno architettonico del piccolo benessere raggiunto a almeno così percepito; non prima di

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società aver comprato, a caro prezzo, un altro poco di terra tra quella messa in vendita dai galantuomini ora messi in difficoltà dalla loro incapacità a dare risposte efficaci ai problemi posti dalla globalizzazione del mercato del lavoro che allora si determinava, mostrando così anche tutta la loro debolezza come classe dirigente. Dalla Merica e da Roma i contadini bagnolesi riportarono non solo i denari per comprare terra e casa ma anche le idee dell‟anarchia e del socialismo, la consapevolezza dei diritti sindacali che farà di Bagnoli, in quegli anni, la culla molisana dell‟anarchia, del socialismo e, dal 1921, del comunismo, e poi, durante il regime dell‟opposizione clandestina antifascista. Due nomi per tutti tra i molti bagnolesi schedati come sovversivi nel casellario politico del regime quelli del militante socialista Giuseppe Podesta detto (Turati) e di Ercole Mastrodonato, dirigente comunista regionale e combattente nelle brigate internazionali antifranchiste nella guerra civile spagnola.

Il castello, passato in proprietà ad una famiglia borghese originaria di Agnone, i Vecchiarelli, imparentata con i Rossi di Bagnoli, vive i suoi ultimi fasti in una sua piccola parte ristrutturata a dimora civile, mentre il resto, in rovina, continua ad essere depredato e utilizzato come materiale di risulta per altre costruzioni. Nel 1921 Bagnoli raggiunge il massimo storico, da allora non più superato, della sua popolazione: 4958 abitanti.

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4. Autarchia

Gli anni del fascismo trascorrono senza che l‟annunciata modernità ruralista del regime porti alcun vantaggio al paese. Nonostante la pratica chiusura degli sbocchi internazionali all‟emigrazione e i tentativi del governo di evitare anche i trasferimenti in Italia, i bagnolesi continuano ad andarsene, alcuni volontari in Africa orientale alla ricerca di quel “posto al sole” che non troveranno, altri a combattere al soldo del duce con i Franchisti nella guerra civile spagnola i più soprattutto a Roma, clandestinamente e contro le leggi di limitazione dei trasferimenti di residenza, come è attestato dalla diminuzione della popolazione in paese che già nel 1936 scendeva a 4315 residenti, senza contare i moltissimi trasferimenti non registrati proprio per la ufficiale illegalità della mobilità territoriale. Nessun progresso deriva all‟agricoltura dai corsi per le improbabili produzioni autarchiche di fibre tessili dalle ginestre che pure a Bagnoli la Cattedra ambulante di agricoltura di Campobasso organizzava. Nessuna attenzione viene prestata alla tutela del territorio che, anzi, proprio in questo periodo, inizia ad essere assalito con attività imprenditoriali fondate sul degrado ambientale, come l‟apertura di una cava di pietra e breccia sul versante orientale della “Pietra” che, aperta ancora per decenni anche nel secondo dopoguerra, lascerà una ferita profonda nel paesaggio ancora oggi ben riconoscibile, e comprometterà

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società ulteriormente il già precario equilibrio geologico dell‟area, peraltro ad alto rischio sismico.

5. L’esodo

Basti dire, a bilancio di un epoca, quella fascista, che ancora ai primi anni cinquanta a Bagnoli, su 1.119 abitazioni, soltanto il 19% (220) avevano acqua corrente al loro interno; lo 0,6% (6) erano dotate di un rubinetto all‟esterno e il 6% (60) di pozzo. Solo il 26% delle case avevano acqua potabile. Appena il 13% erano dotate di latrine interne, e un altro 1,7% all‟esterno. Per il resto, per liberarsi dagli escrementi, dei rifiuti e delle acque luride, si usava la finestra. Diverse strade avevano un canale centrale come fogna a cielo aperto. Soltanto 4 case in tutto il paese avevano bagni dotati di impianto di scarico che ovviamente, in assenza di rete fognaria, finiva anch‟esso a cielo aperto. L‟80% delle case erano dotate di illuminazione elettrica, ma l‟impianto consisteva generalmente di una sola lampadina da 25 watt sospesa al centro dell‟unica stanza che serviva contemporaneamente da sala da pranzo, da stanza da letto e da cucina42. Praticamente la stessa situazione di fine Ottocento, quando il paese si era dotato di centrale elettrica e di illuminazione, m solo in paese e solo quella pubblica. Per avere una lampadina nelle case rurali si dovrà aspettare la nazionalizzazione dell‟energia elettrica attuata dal governo di centro-sinistra nel 1962.

42 Leonard W. Moss, Stephen Cappannari, Estate and class in a South Hill Village, in «American Anthropologist», giugno 1962, pp. 287-300

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Ma a quella data l‟esodo da Bagnoli, come dal Molise e da tutto l‟Appennino meridionale verso i centri dell‟industria- lizzazione e della modernizzazione italiana, europea e transatlantica, era già avvenuto; la popolazione bagnolese nel censimento dell‟anno precedente risultava di appena 2727 abitanti, una cifra destinata a scendere ininterrottamente fino agli attuali 730. La lampadina da 25 watt fu spenta via via in quasi tutte le case contadine di pietra e quercia lasciate ora in balìa della polvere e dell‟abbandono.

6. Verso il futuro?

Una discreta ripresa economica, pure in una situazione di grave crollo demografico e di invecchiamento della popola- zione, si è avuta a partire dagli anni Settanta per l‟effetto incrociato del sostegno alla realizzazione di infrastrutture e ai redditi delle famiglie mediante i fondi della Cassa per il Mezzogiorno e degli investimenti degli emigrati a Roma, nella ristrutturazione delle case abbandonate venti anni prima. Lo standard delle infrastrutture e dei consumi raggiunge finalmente in paese livelli analoghi a quelli metropolitani, ma una complessiva crisi identitaria investe la comunità, in un destino peraltro comune a tutta la montagna meridionale. Crisi essenzialmente legata a due fattori. Il primo la diffusione di pratiche assistenzialistiche nella gestione dei fondi pubblici; nuova risorsa - come erano state le terre

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società demaniali nell‟Ottocento - a disposizione del ceto politico amministrativo locale per la legittimazione del proprio potere a cui quasi mai è corrisposta efficienza e trasparenza ammin. Il secondo, altrettanto se non più importante, l‟eccessivo spopolamento. Una crisi identitaria leggibile anche nell‟architettura delle numerose ristrutturazioni, troppo spesso ispirata agli stili propri delle periferie metropolitane piuttosto che un qualche genius loci, ad una qualche attenzione al restauro conservativo, ad una qualche sensibilità nei confronti del proprio ambiente e delle proprie tradizioni. E nonostante queste siano tutelate da precise leggi dello Stato, che vinco- lano tutto il territorio bagnolese dal punto di vista architettonico e urbanistico, e persino da leggi comunitarie che hanno individuato nel territorio comunale ben due siti SIC (Siti ambientali di interesse comunitario), uno nella Morgia, o per meglio dire in quello che di essa resta, e l‟altro nell‟area delle Cannavine presso il fiume Trigno della cui importanza archeologica abbiamo detto ed ora gravemente messa a rischio dal progettato passaggio di una strada provinciale.

Intanto i ruderi del castello Sanfelice, acquisiti nel 1999 dalla Sovrintendenza ai beni architettonici per il Molise e da questa sottoposti ad un intervento di recupero e restauro tuttora in corso, continuano a guardare il paese dall‟alto. Il problema è sapere se qualcuno, in un futuro neppure troppo lontano, continuerà a guardare a quelle pietre sapendo leggere in esse il proprio passato, traendone quel senso di

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identità personale e sociale che solo la profondità della propria memoria e della propria storia possono dare a ciascuno ed alle comunità; o se esse, mummificate nel restauro, resteranno a guardia di un deserto, quantomeno sociale. Queste note sono state scritte nel tentativo di dare un piccolo contributo a che questo malaugurato caso non si verifichi.

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Bagnoli del Trigno.Territorio e società

Appendice

Canzone di Maggio43

Chi te l‟ha ditte ca maie n‟è menute iesce da fore ca sta ben vestute. Chi te l‟ha ditte c‟ha maie non è bille, ogni pecura porta l‟ainille. A maie càntene li cardilli, iéscene a ru sole re vecchiarilli. Maie porta fronne e rose, Maie fa belle tutte le cose. Maie ze ne va pe re vuscitti Lassane ri sciuri a li ramaglitti. Appriesse a maie vé l‟Ascenza, ogni tumbre ietta trenta. Pouzza fa tanta tombra de grane, pe quanta prète stanne a re campanare. Puozza fa tante tombra de cicerchie

43 Cfr. Alberto Mario Cirese, Canti popolari del Molise, volume II, Nobili, Rieti 1953.

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Bagnoli del Trigno. Territorio e società

Pe quante prète stanne a Terra Vecchia. Puozza fa tante varèla de vine, pe quanti pili tène na faine. „N chesta casa ce sta ru vecale, che puozza fà nu figlie cardenale. „N questa casa ce sta ru manire, che puozza fa nu figlie cavalire. „N chesta casa ce sta nu sonatore Che puozza fa nu figlie sanatore. „N chesta casa ce sta ru presutte, se nen truve re curtille pigliare tutte. Tu padrona vattene a ru nide, se nen truve l‟ove piglia la gallina. Tu patrone mia se‟ tante bille Sempre se ce purte l‟ainille. Ecche maie ben vestute Tutte re dicene benvenute.

Chi te la ditte che maie nn‟è vinute, iesce qua fore che lu trove vistute. Maie che ti vène de la Nivèra Vene a salutà lu protettore san Michele. Maie che ti vène cu l‟allegrie Vene a salutà la Vergine Marie. Maie che ti vene da la Difenze, l‟uorie ha spicate e lu grane mo cumenze. Maie che ti vène da Santa Iuste, l‟uorie ha spicate e lu grane mo zi radune.

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Appendice

Maie che ti vène da Larine, salutamme li massare antiche. Maie che ti vène di là da mare, salutamme tutti li massare. E tu padrona mia gira pe la casa, pìia la pizzulella di lu casce. E tu padrona affaccete a lu nide, si non c‟è l‟ove dacce la gallina. E tu padrona pìia lu presutte, si nun c‟è crtelle dàccele tutte. Che pozzà fa tante salme del grane Pe quanta prète stanne a lu campanare. Che pozza fa tante salme de vine pe quanta prète stanne a lu campanine. Scusate amici che lu cante è poco, doveme ì cantà a n‟altro loco.

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Edizioni di Macchiamara

edm

Perché Macchiamara?

Macchia Amara è il toponimo di una piccola contrada rurale oggi appartenente al comune di Civitanova del Sannio, in provincia di Isernia, in Molise, anticamente compresa nel piccolo feudo di Selva Piana, uno dei molti posseduti dal Duca di Pescolanciano. Distesa, più o meno intorno ai 650 metri di altitudine, tra il vallone del Lupo e quello di Creta Rossa, a sud-ovest dell‟antica masseria poi casino di caccia del Duca di Pescolanciano, essa è la parte estrema, verso Mezzogiorno, dell‟ampio semipiano che digrada da Pietrabbondante prima di precipitare, dal Colle Favara, in una ripida costa fino al greto del fiume Trigno, poco a monte del ponte di Sprondasino. L‟area che oggi appare interamente coltivata a seminativo se non per alcuni calanchi franosi, non ha sempre avuto l‟aspetto odierno. L‟avvio della sua progressiva messa a coltura risale alla fine del Settecento, dopo che, nel 1788, il duca D‟Alessandro di Pescolanciano, ebbe chiesto al sovrano l‟autorizzazione al dibo- scamento di diversi suoi feudi della zona. Richiesta dovuta all‟intento dell‟importante feudatario del Contado di Molise di aumentare l‟area coltivabile dei suoi possedimenti e contempo-

Edizioni di Macchiamara raneamente produrre l‟estinzione degli usi civici esercitati su di essi dalle popolazioni locali, affermandone così la sua piena proprietà. Già in una mappa del 1801 Macchia Amara, ancora per la sua gran parte descritta come la «Contrada boscosa che principia dal vallone del Fossato e le coste di S. Donato, fino alla strada per la masseria», presentava un‟area «seminatoria» piuttosto ampia, che si sarebbe in seguito ulteriormente estesa fino alla completa scomparsa del bosco. Delle due parole che compongono il toponimo che ancora oggi individua la contrada, quella che più ha colpito la nostra fantasia è ovviamente l‟aggettivo, per la sua crudezza. «Amara» era definita dalla tradizione orale, che sta sempre a fondamento della toponomastica, quella macchia. Perché? Ovviamente non abbiamo una risposta certa, verificabile su fonti attendibili, a questa domanda. Qualcosa deve comunque aver fatto connettere dai suoi antichi abitatori quel territorio ad un sentimento di amarezza talmente radicato da connotarne il nome. «Amaro è più che acerbo. Amara riprensione indica nel riprensore un risentimento più profondo, più insultante, più, a dir così, raffinato; indica un‟offesa tale, che amareggia non solo chi la riceve, ma l‟animo ancora di colui che la fa», scriveva nel 1830 il Tommaseo nel suo Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana. «Che ha sapore contrario al dolce, che procura dispiacere, disappunto o dolore, che manifesta tristezza e dolore, delusione; amaramente: in modo doloroso e sconsolato», leggiamo alla voce amaro in un aggiornata edizione dello Zingarelli. Dolore senza consolazione, profondo risentimento affiorano dunque dalla semantica di quel toponimo. Ma dolore sconsolato di chi se non degli stessi antichi abitatori di Macchia Amara che il toponimo ebbero a coniare ed a trasmettere di generazione in

Perché Macchiamara

generazione? Vale a dire dolore di quei contadini poveri del vicino paese di Bagnoli, ammassati in totale promiscuità di animali ed umani nei preistorici pagliari di pietre a secco e arbusti allineati ai margini della Macchia, lungo il vallone Creta Rossa. Gli stessi che già da tempo lavoravano, dopo averla dissodata, per conto del duca, la «pezza della masseria» e che avrebbero poi, sempre per conto del duca, iettat’ lu sangh, gettato il sangue, per sradicare con la scure ed il fuoco i numerosi alberi di Macchia Amara, secondo quella pratica del debbio preistorica come le loro capanne e la loro diuturna fatica. I medesimi che nel mettere a coltura altro bosco avrebbero perduto la possibilità di raccogliervi ghianda per il maiale, legna per il fuoco, come avevano fatto per secoli secondo l‟uso feudale, divenendo così, se possibile, ancora più poveri; senza dire dell‟aggravamento del dissesto del già fragile equilibrio idrogeologico dell‟area che il taglio del bosco avrebbe comportato. Qualunque possa essere stata l‟effettiva origine del triste toponi- mo, per i contadini che in essa vissero e lavorarono, quella mac- chia, fu certamente amara; nella fatica, nel dolore, nella enorme difficoltà del riscatto … che pure un giorno venne, sia pure al prezzo dell‟abbandono e dell‟esodo! Per questo a noi - che gli ultimi abitatori novecenteschi dei pagliari di Creta Rossa abbiamo fatto in tempo a conoscere e ad amare – nell‟avviare queste edizioni è piaciuto dare ad esse il nome di Macchiamara. In ricordo di quei contadini poveri che un tempo popolavano la contrada e l‟intera valle del Trigno; in onore di tutti quelli che ancora oggi popolano numerosi il mondo, in attesa di riscatto.

Stampato per conto di Ass. cult. Macchiamara da Global Print Gorgonzola (MI) nel Luglio 2011