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Stefano Piano, Laudatio del Prof. Dr. Satyavrat Shastri.

ādaraīyācārya ādarapurasaram praamyate mayā! “Io m’inchino con profondo rispetto al venerabile Maestro!”

। śio guruśreha śiyena praamyate!

“Al dotto che eccelle fra i Maestri dal discepolo è reso omaggio!”

Ricorderò anzitutto brevemente un evento molto piccolo, ricco della semplicità del quotidiano ma, nel medesimo tempo, straordinario, che ho vissuto con il Prof. a Parigi – dove stavamo seguendo i lavori della “Third World Conference (Paris, 20-25 June 1977)” – durante una breve pausa che ci concedemmo (insieme col collega e amico Mario Piantelli) nel dehors di un caratteristico locale del quartiere latino: grazie all’amicizia che ormai ci legava provammo tutti un’intensa gioia per quell’incontro. Mi chiese quale metro della prosodia sanscrita io preferissi e io menzionai subito la śikhariī, poiché avevo da poco pubblicato (nei Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche dell’Accademia Nazionale dei Lincei, fasc. 7- 12, Luglio-Dicembre 1973, Serie VIII, vol. XXVIII, uscito nel 1974) la traduzione italiana di un dūtakāvya del secolo XVIII , il Manodūta “La mente messaggera” di Tailaga Vrajanātha, composto proprio con quel metro in 202 strofe di non facile traduzione; egli afferrò quindi il foglietto del conto e scrisse di getto, sul retro bianco, una strofa in sanscrito proprio in quel metro śikhariī (piuttosto complesso, di quattro pāda di 17 sillabe ciascuno), col solo scopo di ricordare quel momento di intenso sentire. Si può facilmente comprendere da questo semplice evento come il Prof. Satya Vrat Shastri non sia soltanto un grande studioso, di fatto uno dei più stimati sanscritisti a livello mondiale, e un insuperabile grammatico, ma anche poeta e prolifico autore di opere originali composte nella lingua classica per eccellenza del suo Paese: il sanscrito appunto, una lingua il cui nome significa “perfettamente elaborato” e che egli conosce fin dalla tenera età, avendone appreso i segreti, nel suo stesso ambiente familiare, dal padre, il dotto ( pait ) Shri Charu Deva Shastri. Costituiscono una prova evidente della maestria straordinaria con cui il Prof. Satya Vrat Shastri padroneggia il sanscrito, essendo nel medesimo tempo dotato della fantasia e della creatività proprie di un poeta, le opere letterarie originali da lui composte, fra cui spiccano tre “grandi poemi epico-artistici” ( mahākāvya ), ciascuno di circa mille strofe, ai quali si affiancano anche opere letterarie di minore ampiezza, come tre khaakāvya (poemi in una sola sezione), un

1 prabandhakāvya e un patrakāvya e altre opere minori, oltre ad alcuni saggi critici, redatti sempre in quella lingua. I contributi alla ricerca e i saggi che egli ha offerto alla comunità scientifica internazionale – molti dei quali sono stati raccolti nell’opera “Discovery of Sanskrit Treasures ” in ben 7 volumi (Delhi 2006) – sono innumerevoli. Inserito come sono nella illustre tradizione torinese di studi indologici, io credo di poter dire che esista un legame particolare fra l’illustre studioso indiano che oggi onoriamo e la nostra città di Torino. Esso riguarda una storia mitica dell’ universalmente nota, che è la Rāma-kathā, “la storia di Rāma”, il celeberrimo principe di Ayodhyā le cui vicende hanno ispirato molte opere letterarie a cominciare dal Rāmāyaa (Il viaggio di Rāma) del celebre i/kavi Vālmīki. La prestigiosa scuola di studi sanscriti della nostra Università vanta infatti, nel nostro Paese, un primato, che è quello di aver conferito la prima cattedra italiana di questo settore di studi all’abate Gaspare Gorresio nel 1852, pochi decenni dopo la creazione dell’analoga cattedra al Collège de France, affidata a Léonard de Chézy (1773-1832). Formatosi alla scuola di Eugène Burnouf (1801-1852), successore del Chézy, Gaspare Gorresio aveva già cominciato a dare alle stampe il suo opus magnum , l’edizione della recensione bengalese ( gaudīya ) dell’opera di Vālmīki (6 voll., Parigi 1843-1867; si veda la facsimile Indian edition, Indian Heritage Trust, Madras 1980-82) con traduzione italiana (6 voll., Parigi 1847-1870). Ebbene, anche il Prof. Satyavrat Shastri, come ho accennato, vanta un primato legato all’opera di Vālmīki: durante il suo soggiorno di studio e insegnamento in Thailandia egli non solo ha compiuto approfondite ricerche sull’originale tradizione thailandese relativa alla “storia di Rāma”, che si differenzia da tutte le altre ed è rappresentata dal Ramakien , ma ha composto a sua volta un’opera in sanscrito basata proprio su di essa, intitolata Shrīrāmakīrtimahākāvya “Il grande poema sulla gloria di Rāma” e pubblicata con traduzione inglese a nel 1990. Si tratta di un’opera che conferma l’amore per la Thailandia che il Prof. Satyavrat Shastri – il quale è stato anche precettore della principessa Mahachakri Sirindhorn, autrice del Foreword al volume – aveva già dimostrato con la composizione del poema Thaideśavilāsa (1979). Le notizie biografiche che riguardano il Prof. Shastri sono ben note (anche ai frequentatori della rete informatica, ove un sito gli è dedicato: http://www.satyavrat-shastri.net/ ), ma non sarà fuori luogo richiamarle qui per sommi capi, con speciale riferimento alle tappe della sua carriera accademica. Nato il 29 settembre 1930, dopo aver ricevuto i primi insegnamenti nell’ambiente familiare direttamente da suo padre, si spostò a Vārāṇasī, che potremmo considerare la Firenze dell’India, dove proseguì i suoi studi sotto la guida di Pandit Shuk Deo Jha e del Dr. Siddheshwar Varma. Dopo aver ottenuto il Ph.D. presso la Banaras Hindu University, egli cominciò ben presto il suo servizio presso l’Università di Delhi, dove, divenuto Pandit Manmohan Nath Dar Professor of

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Sanskrit (1970–1995) insegnò il Sanscrito per circa quarant’anni, mettendo a frutto le sue molteplici qualifiche accademiche: oltre a quelle, che potremmo chiamare tradizionali, di Śāstrī (che significa “esperto dei trattati dottrinali dell’India antica”) e di Vyākaraācārya (che significa “maestro di scienza grammaticale), aveva infatti conseguito svariati titoli del sistema universitario di tipo europeo [M.A. M.O.L. Ph.D , D.Litt. (h.c.)]. La sua ricchissima carriera universitaria lo ha visto Rettore (Vice-Chancellor) della Shri Jagannath Sanskrit University di Puri (Orissa); Preside della Faculty of Arts dell’Università di Delhi; Professore e Direttore del Department of Sanskrit della medesima Università; ‘Visiting Professor’ di Studi Indiani presso la University di Bangkok; ‘Visiting Professor’ presso l’Università di Alberta, Edmonton, Canada; ‘Visiting Professor’ di Sanscrito presso l’Università Silpakorn di Bangkok; ‘Visiting Professor’, Northeast Buddhist University, Nongkhai, Guest Professor, Catholic University, Belgio e Guest Professor, Tübingen University, Germania. Attualmente è Honorary Professor nello Special Centre for Sanskrit Studies della Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi. Ha diretto prestigiosi periodici di ricerca scientifica, come “Indological Studies”, Research Journal of the Department of Sanskrit, University of Delhi, e “Śrījagannāthajyotiḥ”, Research Journal of Shri Jagannath Sanskrit University, Puri (Orissa). La lista dei premi e dei riconoscimenti onorifici ricevuti dallo studioso è lunghissima e comprende oltre cinquanta premi e/o attestati onorifici a livello internazionale (ottenuti in , Belgio, Canada, Thailandia, Italia [Premio Speciale del Centro Piemontese di Studi sul Medio ed Estremo Oriente – CESMEO per il 1995], , Romania), che si sono aggiunti a quelli conferitigli dal suo Paese, fra i quali: il Sahitya Akademi Award [premio dell’Accademia Letteraria Nazionale, conferitogli per la lingua Sanscrita nel 1968], il Jnanpith Award , sempre per il sanscrito, nel 2006, il Certificate of Honour del Presidente dell’Unione , lo Shiromani Sanskrit Sahityakar Award del Governo del Panjab e il Vishishta Samskrta, Sahitya Puraskara della Sanskrit Academy dello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, per non parlare del prestigioso Padma Shri , il massimo riconoscimento onorifico del Governo dell’India, conferitogli nel 1999. Ho l’onore di conoscere personalmente il Prof. Satya Vrat Shastri fin dal 29 gennaio 1975, quando lo incontrai presso il Dipartimento di Sanscrito da lui diretto nell’Università di Delhi: poco tempo dopo fui tra coloro che lo accolsero nella nostra città di Torino in occasione della “Second World Sanskrit Conference (Torino 9-15 June 1975)”, i cui Proceedings , pubblicati dalla rivista “Indologica Taurinensia” (vols. III-IV, 1976), contengono, a perenne memoria della sua dottrina, ma anche a testimonianza del fruttuoso incontro fra la cultura autentica dell’India e il mondo non solo europeo della ricerca indologica, i due dotti interventi che egli fece durante il Convegno

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(Sanskrit usage e Sanskrit Synonyms ) e un saggio dal titolo The Kumārasambhavacampū – A study , che continua a essere interessante e stimolante rileggere di tanto in tanto, anche se sono passati quasi quarant’anni. Posso quindi affermare qui tranquillamente, non solo per conoscenza di studioso, ma anche per esperienza diretta ( pratyaka, direbbero gli Indiani) che il Prof. Satya Vrat Shastri padroneggia perfettamente non solo la lingua sanscrita e le sue straordinarie possibilità espressive, ma anche le molteplici melodie tradizionalmente utilizzate per il canto delle opere poetiche composte in quella lingua, ed è quindi in grado di rappresentare, nel nostro mondo contemporaneo, la tradizione culturale e letteraria classica del suo Paese come una realtà ancor oggi vivente. Autentico pait e vidvān (dotto, sapiente) della più pura tradizione brahmanica, egli ha nel medesimo tempo acquisito, fin dagli inizi della sua carriera, la metodologia di ricerca scientifica di stampo europeo, che ha senz’altro contribuito a far emergere sul piano internazionale la sua figura di studioso e ricercatore acuto e innovativo, fondatore una scuola di studi indologici su basi filologiche di tale rilievo da diventare essa stessa oggetto di studi e ricerche scientifiche. La sua figura, ampiamente illustrata, come s’è detto, anche nel sito internet a lui interamente dedicato, gode di grande e indiscussa stima non solo in Europa, culla degli studi indologici su base scientifica, ma anche, in generale, nel cosiddetto mondo “occidentale”. In Italia egli è noto a tutti gli studiosi del settore non solo per la sua ricca e varia produzione scientifica, ma anche per aver partecipato a molti Congressi internazionali, a cominciare da quelli promossi dalla International Association of Sanskrit Studies, attiva dal 1973, per giungere fino al Convegno internazionale su “Religioni e Sacri Monti”, svoltosi nel 2004 in Piemonte nell’ambito delle iniziative di promozione del sito “Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia”, che l’UNESCO ha iscritto nella lista del patrimonio dell’umanità nel 2003. Sembra pertanto che il conferimento della Laurea honoris causa , su proposta della Facoltà di Lettere dell’Università di Torino, al Prof. Dr. Satya Vrat Shastri rappresenti non solo un giusto e meritato riconoscimento del suo straordinario impegno come scienziato e come uomo, ma possa contribuire a consolidare le basi di una sempre più ampia e proficua collaborazione scientifica fra l’Italia – e, in particolare, l’Università di Torino appunto – e l’India. L’illustre Professore emerito di Indologia e Religioni comparate Paul Thieme (1905–2001), condirettore della “Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung” e membro della Sächsische Akademie der Wissenschaften, ebbe ad affermare di lui: “I had the rare opportunity of teaching at Tübingen the same class. We differed on many points. Every time I found that he was invariably right. He is the tallest of the Sanskrit scholars of India. His knowledge of Sanskrit grammar is unbelievable”.

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La locuzione latina tanto nomini nullum par elogium , traducibile come “a un sì gran nome nessun elogio [è] adeguato” e ancor oggi leggibile come epitaffio sul monumento a Niccolò Machiavelli eretto in Santa Croce, a Firenze, decisamente liberata da qualsiasi sfumatura ironica che le sia stata talvolta conferita nel tempo, ben si adatta al protagonista di questo dotto incontro che l’Università di Torino ha voluto organizzare. Dirò di più, e precisamente che, nel caso dell’illustre studioso del quale indegnamente ho cercato di tracciare un elogio, non c’è alcun bisogno di far ricorso all’iperbole ( atiśayokti , uno dei quattro principali arthālakāra della poetica indiana [gli altri sono upamā , “similitudine”, ślea “doppio senso, gioco di parole” e vāstava o svabhāvokti “descrizione fattuale, naturale”), utilizzata spesso proprio dai testi sanscriti, specialmente, appunto, nel caso in cui si voglia esaltare una figura degna del massimo riguardo: l’altissimo profilo della persona è in grado di parlare da sé. Per concludere, di fronte a quest’assemblea di rappresentanti di alta dottrina mi si conceda di proporre come suggello non tanto del mio dire, quanto piuttosto di quanto Egli ci dirà nella sua lectio doctoralis , le poche parole pronunciate fin dal tempo delle Upaniad da ogni maestro nei confronti del discepolo:

śrutam me gopāya

“E ora custodisci quel che io ho udito!”.

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