PREMESSA Richiesta Approvazione Piano Di Prelievo Selettivo
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PREMESSA richiesta approvazione piano di prelievo selettivo Il capriolo (Capreolus capreolus) è tra le specie appartenenti alla Famiglia dei Cervidi la più comune e diffusa in Europa. La sua considerevole capacità di adattarsi a situazioni ambientali caratterizzate dalla presenza dell'uomo e delle sue attività ha permesso a questa specie un costante incremento nel tempo. Nonostante la pressione venatoria a cui è soggetto, il capriolo ha raggiunto in molte aree consistenze notevoli, senza dubbio superiori a quelle che caratterizzavano le sue popolazioni nei secoli passati. Dall'ambiente costiero al limite superiore della vegetazione sulle Alpi, la specie occupa oggi quasi tutte le tipologie ambientali che caratterizzano l'Europa dove le maggiori consistenze vengono raggiunte nei Paesi centro-orientali (nel 1982 veniva stimata una presenza complessiva di oltre sei milioni di esemplari). Il capriolo risulta essere assente in Islanda, in Irlanda, nelle popolazioni della penisola scandinava a Nord del golfo di Botnia e nelle isole del Mediterraneo, mentre le sue popolazioni sono discontinue e caratterizzate da basse densità in Inghilterra centrale, in Finlandia, nella Norvegia settentrionale, in Spagna, Portogallo, Grecia e Italia meridionale. In Italia il capriolo era anticamente distribuito in maniera continua su tutto il territorio italiano, ma a partire dal XVI secolo il suo areale distributivo e le sue consistenze andarono progressivamente diminuendo, arrivando nel XIX secolo a una situazione di criticità. Nell'Italia peninsulare la storia del capriolo è simile a quella di altre aree mediterranee. In tali zone la progressiva crescita delle popolazioni umane, con la conseguente diffusione delle attività agricole e di pastorizia e la drastica diminuzione delle superfici boscate è stata la principale causa di estinzione delle popolazioni. La diminuzione della specie fu particolarmente rapida nell'Italia meridionale ed in Sicilia dove si estinse prima della fine del XIX secolo. La scomparsa del capriolo in numerosi settori dell'arco alpino italiano avvenne più tardi (principalmente nelle regioni nord-occidentali), in concomitanza alla I guerra mondiale, dopo la quale la situazione rimase critica sino alla fine degli anni '40. Secondo Perco e Calò (1994) tra il 1920 ed il 1936 il numero complessivo di caprioli presenti in Italia scese da 60'000 a 30'000, per toccare il minimo storico attorno al 1945, anno in cui venne stimata la presenza di non più di 10'000 animali, distribuiti tra Valtellina (Lombardia), parte delle Alpi centro-orientali (Trento, Bolzano, Belluno e Udine) e la Maremma toscana, mentre alcuni nuclei isolati si erano conservati anche nella penisola del Gargano ed in Calabria. Dopo tale periodo, i principali fattori che hanno contribuito al graduale recupero numerico e distributivo del capriolo sono stati il progressivo abbandono delle aree montane e la notevole diminuzione del loro sfruttamento agricolo e zootecnico, con il conseguente aumento delle superfici disponibili per la fauna selvatica ed un incremento delle aree boscate e di ecotono. A partire circa dall'inizio degli anni '60, periodo in cui si stimavano presenti 50'000 caprioli, in alcune aree dell'Italia settentrionale si assistette a un vero e proprio boom demografico che portò nel 1975 a valutare la consistenza di 100'000 capi. Secondo più recenti indagini effettuate dall'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (Pedrotti et al., 2001), la consistenza delle popolazioni italiane di capriolo ad inizio del secolo si aggiravano intorno ai 400'000 capi, per un areale occupato che si estendeva complessivamente per 95'700 km2. Dai dati forniti dall'I.S.P.R.A. (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel più recente 2010, le popolazioni di capriolo si aggiravano su una consistenza stimata a 457'794 esemplari, per un areale occupato pari a 145'000 km2. Con un incremento del 35% rispetto a quanto riportato nel 2000. Il progressivo recupero è avvenuto in parte per dispersione e colonizzazione spontanea ed in parte per immissioni da parte dell'uomo, spesso non completamente documentate. In Italia settentrionale, dove è presente circa il 50% della popolazione totale, il capriolo ha occupato quasi l'80% del suo areale potenziale. Supponendo una densità potenziale media per l'Italia pari a a15 caprioli per 100 ettari, lo status attuale delle consistenze delle popolazioni non supera il 15-20% delle consistenze massime sostenibili. La velocità di colonizzazione di nuovi ambienti è stata stimata in 2,2 km/anno in aree aperte all'attività venatoria e nell'ordine dei 5-7 km/anno dove l'attività venatoria non è permessa (Perco e Calò, 1994). (A. Mustoni, L. Pedrotti, E. Zanon, G. Tosi, 2002 – Ungulati delle Alpi) Un aspetto decisamente preoccupante se si considera che la specie, eccezion fatta per l'uomo durante la stagione venatoria, non ha effettivi predatori che possano agire limitando la crescita e l'espansione della popolazione. Il capriolo esercita un forte impatto negativo sulle attività antropiche e agricole e ciò determina il sorgere di contrasti tra diverse categorie sociali (cacciatori ed agricoltori), spesso caratterizzati da interessi divergenti. D'altra parte le oggettive difficoltà che s'incontrano nell'ottenere informazioni affidabili sulla consistenza delle popolazioni e sulle dimensioni del prelievo venatorio di questa specie rendono ancora più complicata la pianificazione delle attività gestionali. La gestione venatoria degli Ungulati, così come di molte altre specie oggetto di prelievo si pone obiettivi diversi: l’aumento dell’abbondanza e della distribuzione di una popolazione oppure il controllo delle sue dimensioni e della sua struttura demografica entro valori definiti. Nel caso del capriolo, il continuo proliferare delle richieste di risarcimento dei danni alle colture agricole, ma ancora di più dei sinistri stradali, impone la necessità di individuare una strategia complessiva da applicarsi su scala nazionale, in grado di appianare conflitti apparentemente insanabili e, nel contempo, di garantire un'adeguata conservazione della specie e la prosecuzione di un suo razionale utilizzo a fini venatori. Le caratteristiche del territorio regionale piemontese si rivelano essere la sua eterogeneità ambientale, con habitat anche molto diversi tra loro, e il suo consistente frazionamento, in cui le diverse tipologie ambientali sono senza soluzione di continuità a causa della presenza di istituti di protezione e gestionali fra loro contigui. In questo mosaico di unità territoriali, con finalità a volte molto diverse e spesso contrastanti, si trovano le popolazioni di capriolo vaganti sul territorio e non in grado di riconoscere i limiti amministrativi e gestionali dettati dall'uomo. Nelle Aree Protette regionali, la sua presenza è legata alla sua completa protezione, per la specie non esistono infatti piani di contenimento, a differenza ad esempio della specie cinghiale. Un'espansione tale della specie, così condensata nel tempo, ha portato a una serie di conseguenze gestionali: a un maggior interessamento da parte della componente venatoria si sono contrapposti i danni alle colture agricole e gli incidenti stradali con conseguente aumento dei conflitti sociali derivanti. Da considerare inoltre come l’attività venatoria, seppure applicata esclusivamente in forma selettiva per la specie in questione, per motivazioni etiche o di trofeistica, punti spesso a prediligere l'abbattimento delle femmine piuttosto che dei giovani e di maschi, dotati di trofeo, innescando irrimediabilmente delle risposte compensative nella popolazione. Ne consegue spesso una destrutturazione della popolazione che comporta un tasso riproduttivo più elevato (con aumento dell'I.U.A.). L’Ambito Territoriale di Caccia di Vercelli (A.T.C. VC 1 “Pianura Vercellese Nord”), in base alle disposizioni contenute nelle linee guida per la gestione delle popolazioni ungulate ruminanti, D.G.R. n.94 – 3804 del 27/04/2012 e s.m.i., richiede l'autorizzazione per il piano di prelievo selettivo per il capriolo. Di seguito viene proposto il piano per la stagione venatoria 2019/2020, da realizzarsi nel periodo compreso tra giugno (data da definirsi a seconda della periodica dettata dalla delibera regionale) e la metà del mese di luglio, e dalla metà del mese di agosto sino alla fine del mese di settembre per il maschio. Un secondo periodo sarà articolato tra l'inizio del mese di gennaio e la metà del mese di marzo 2020 per consentire il prelievo delle femmine e dei giovani. TERRITORIO inquadramento territoriale dell'A.T.C. VC 1 L'Ambito Territoriale di Caccia Vercelli 1 “Pianura Vercellese Nord” si estende su un territorio di 31 comuni. Il territorio in esame può essere racchiuso in un triangolo il cui vertice è rappresentato dal comprensorio alpino C.A. VC 1 “Valle del Sesia”, la base dal confine con l'ambito territoriale di caccia A.T.C VC 2 ed i lati dai limiti amministrativi provinciali di Novara ad Est e di Biella ad Ovest. L'A.T.C. VC 1 confina con i seguenti enti faunistico-venatori: • a Nord: con il C.A. VC 1 e il C.A. BI 1 • a Est: con l'A.T.C. NO 2 • a Sud: con l'A.T.C. VC 2 (con il quale è stato accorpato con D.G.R. n. 35-3980 del 26 settembre 2016) • a Ovest: con l'A.T.C. BI 1 e l'A.T.C. TO 1 La zona in esame, detta di pianura, si estende su un ampio areale dove é possibile identificare diversi ecosistemi. Tale distinzione viene fatta in base alle diverse caratteristiche morfologiche (idrologiche, altimetriche, climatiche ecc.), e agro-forestali. L'area è attraversata da diversi corpi idrici, In direzione Sud-Nord troviamo il torrente Elvo, il torrente Cervo, il torrente Rovasenda, il torrente Marchiazza e il fiume Sesia. Focalizzando l'attenzione sulla specie capriolo all'interno dell'A.T.C. VC 1 si è andati a distinguere la zona a maggiore vocazionalità per la specie e con caratteristiche ambientali ottimali per l'affermazione della stessa definendo il Distretto 1 Capriolo specificatamente dedicato alla caccia di selezione (vedi immagine 1 e 2).