Collana “Anima Borbonica”

Recale tra mito e storia

a cura di Maria Rita Magnotta

Centro Studi Historia Loci

Prima edizione: Settembre 2016

Centro Studi Historia Loci Associazione Sant’Antuono & le Battuglie di Pastellessa Corso Umberto I, 62 c/o Chiesa Abbaziale San Martino Vescovo 81047 Macerata (CE) www.santantuono.it

ISBN: 978-88-941030-1-4

© 2016 Maria Rita Magnotta Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali.

Grafica di copertina di Mariangela Migliaro. In prima di copertina il “Viale degli ombrellini” e in quarta di copertina la “Coffee house”, giardino di Villa Porfidia.

Coordinamento editoriale di Vincenzo Capuano.

Stampato nel mese di settembre 2016 presso la Tipografia Nicola Campomaggiore, (CE).

Opera interamente finanziata dal Comune di (CE).

«… l’utilità pubblica richiedeva che si estirpasse tutto quello che si opponesse al progresso de’ lumi e delle cognizioni… la filosofia è venuta in soccorso de’ governi»

«La scena si è mutata ed i prìncipi han cominciato a conoscere che la vita e la tranquillità degli uomini merita maggior rispetto; che c’è un altro mezzo, indipendente dalla forza e dalle armi, per giungere alla grandezza; che le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale; che la bontà delle leggi è inseparabile dall’uniformità; e che questa uniformità non si può ritrovare in una legislazione fatta tra lo spazio di ventidue secoli».

Gaetano Filangieri, La Scienza della legislazione, ed. integrale, Grimaldi & C., Napoli, 2003

Indice

Introduzione: L’anima borbonica di Recale. 5 di Maria Rita Magnotta

Capitolo I: La corte borbonica tra e provincia. 9 di Antonio Capasso e Pasquale di Carluccio

Capitolo II: L’acquedotto Carolino. 13 di Enzo Martone

Capitolo III: Dalle tre Torri alla Torre annessa al Palazzo Guevara. Le origini dell’attuale Villa Porfidia. 19 di Caterina Noli

Capitolo IV: La Torre nel segno della regina Maria Carolina, Anna Maria Suardo, lady Emma Hamilton. 29 di Ermelinda Iannone

Capitolo V: L’architettura di Palazzo Guevara. 33 di Adriana Lepore

Capitolo VI: Il giardino impalpabile di lady Emma Hamilton. 35 di Roberta Esposito e Salvatore Borriello

Bibliografia 39

Introduzione

L’anima borbonica di Recale.

Le cose più importanti si scoprono sempre un po' per caso o un po' per destino, proprio laddove si ritiene scontato non dover scoprire più nulla. In effetti, la rotta borbonica ha tracciato involontariamente gli sviluppi dello studio di cui pubblichiamo i risultati. L’idea di realizzare una ricerca sistematica per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale territoriale nasce dal progetto ideato dall’Assessore alla Cultura Lello Porfidia, intitolato “L'anima borbonica di Recale”. Il progetto prevedeva uno studio a tutto tondo della presenza della famiglia borbonica nel Comune di Recale, includendo anche altri edifici e itinerari di cui tuttora si conservano poche tracce. Pertanto, le indagini sviluppate si sono focalizzate sul complesso definito oggi “Villa Porfidia – Torre di Recale”, di certo la testimonianza più importante della corte borbonica. Prima di addentrarci nell’indagine, un ringraziamento all’amministrazione comunale, al sindaco Patrizia Vestini e all’Assessore alla Cultura Melina Salzillo, per aver finanziato la pubblicazione delle ricerche svolte dai volontari del Servizio Civile – Garanzia Giovani della Regione Campania. Un sentito ringraziamento a Vincenzo Capuano, Associazione Sant’Antuono & le Battuglie di Pastellessa, per aver realizzato pazientemente il coordinamento editoriale. Un grazie ai proprietari di Villa Porfidia e in particolare a Lucia Porfidia per la infinita disponibilità e a tutti coloro che in vario modo hanno partecipato e contribuito allo sviluppo delle ricerche, quali gli amici dell’Associazione ‘Na Chiacchiera. Infine, grazie a Salvatore Borrelli, Antonio Capasso, Pasquale di Carluccio, Roberta Esposito, Ermelinda Iannone, Adriana Lepore, Enzo Martone, Sara Miele, Caterina Noli, Cesare Raucci, che hanno condotto e realizzato l’anima borbonica di Recale, con spirito di gruppo, grande entusiasmo e passione per la conoscenza e la salvaguardia del nostro patrimonio culturale.

§ Le origini del progetto e premesse di metodo

La ricerca oggetto di questo studio è il risultato delle attività svolte in pochi mesi dai volontari del Servizio Civile – Garanzia Giovani. L’opera intende raccogliere i risultati della prima fase di ricerche svolte sul territorio del Comune di Recale e nelle zone limitrofe, senza pretendere di porre un punto conclusivo alle stesse. L’intento della pubblicazione è la diffusione e circolazione di una prima parte di indagine svolta sul campo, consapevoli che c'è tanto ancora da ricercare e da studiare. L’obiettivo delle ricerche è rappresentato dalla tutela e promozione del patrimonio culturale territoriale legato alla corte borbonica casertana. Interessante è stato porre l’attenzione sul mondo borbonico relativo all’area provinciale e in particolare il nesso storico-economico-sociale che ha esercitato sullo sviluppo della storia del Comune di Recale. L’indagine ha preso le mosse da strumenti di ricerca già in circolazione, quali testi conservati nell’Archivio di Stato di Caserta, documenti provenienti dal Museo Campano di , interviste e seminari sugli argomenti relativi alla ricerca. I volontari hanno seguito i seminari sui profili architettonici svoltisi alla Reggia di Caserta, approfondito lo sviluppo delle vicende dell’acquedotto Carolino grazie al contributo del dott. Ettore Ventrella. In particolare, ringraziamo il grande contributo del sig. Giuseppe Caporaso, appassionato della storia del territorio casertano, che ha svolto ricerche sul Comune di Recale per circa venti anni. Il gruppo di volontari ha infatti seguito le indicazioni tecniche del sig. Caporaso negli approfondimenti soprattutto su usi e costumi dell’epoca, sui documenti storici e sulle prime mappe catastali, come dimostrano anche le attività svolte sui luoghi storici attraversati dall’acquedotto Carolino, a partire dai ponti romani della Valle di , fino alle condotte nell’area di Sant’Angelo in Formis.

§ Le ricerche svolte sulle tracce borboniche e il contesto storico- sociale locale

Il prezioso contributo dello storico locale Caporaso è stato essenziale per immergerci nel contesto storico-sociale dell’epoca. Questa prima pubblicazione rappresenta solo l’inizio di un lungo percorso di ricerca da sviscerare a tutto tondo. La realtà di Recale si è sempre differenziata dagli altri paesi vicini per una serie di ragioni complesse che richiedono tempo per essere completamente analizzate e portate alla luce. Secondo una visione storico-sociale, la mancata spinta autonomista di Recale è da ricercarsi nel fatto che la quasi totalità delle proprietà immobiliari apparteneva ad un unica famiglia. Dirò brevemente che la definizione amministrativa recalese fu molto tardiva, a differenza degli altri comuni, che presto sentirono il bisogno di darsi un’organizzazione comunale per svincolarsi dall’oppressione dei signorotti locali. Prima di approdare alla realtà settecentesca, va considerata l’evoluzione storica all’interno della comunità recalese prima del 1600. Le origini di Recale risalgono essenzialmente ad una realtà povera e contadina, il cui destino era legato indissolubilmente alla sorte delle proprietà terriere. La visione della persona si dissolveva nella omogeneità monolitica di una concezione feudale, dove il valore dei beni superava quello delle persone, da cui i contadini cercavano di svincolarsi. Si pensi che le organizzazioni comunali limitrofe sono sorte intorno agli inizi del medioevo, come ad esempio e Capodrise, e (la cui denominazione risale 1200 circa). Invece la comunità recalese inizia a strutturarsi, contagiata dall’aspirazione alla libertà avviata dai moti insurrezionali delle realtà vicine che travolsero i potenti oppressori, come organizzazione autonoma amministrativa molto dopo, prima del 1700 circa. Ne abbiamo prova storica nel primo registro delle famiglie residenti a Recale è del 1650, considerato il primo documento ufficiale del Comune di Recale. Nel documento sono raccolti i circa 150 “fuochi”, criterio utilizzato per contare i gruppi familiari allargati anche al personale che veniva preso in carico dalla famiglia e che di fatto ne

costituiva una parte allargata1. Venne costituita per la prima volta la polizia locale, detta Milizia, stanziati a . Si consideri che la zona sud-est dell’attuale Recale era chiamata “case sparse”, poiché costituita da gruppi di abitazioni e dove esistevano resti di antiche costruzioni (colonne di granito), come testimonia il rudere della chiesetta della pietà costruita su una struttura già esistente, probabilmente su una precedente struttura di origine pagana. L’economia della comunità si fondava essenzialmente su attività agricola legata ai Gesuiti e alle loro opere, come dimostrano anche le mappe dell’epoca, incentrate su attività prettamente legate al miglio, al grano, alla canapa. Le attività commerciali site nell’attuale piazza Matteotti, dimostrano che tutta la realtà della comunità si concentrava in uno spazio piccolo, concentrandosi soprattutto nell’attuale piazza, dove esisteva la cappella devota a Santa Maria Assunta (di cui oggi resta solo un’effige), i capanni dove si svolgeva la produzione di miglio, una locanda e la zona delle cosiddette “frasche”, dove i contadini potevano sorseggiare il vino appena prodotto. Grazie alle ricerche condotte presso il Museo Campano da Giuseppe Caporaso oggi sappiamo una piccola parte della vita che si svolgeva presso l’attuale residenza Porfidia, animata dalla Compagnia dei Gesuiti. Lo testimoniano i numerosi riferimenti dell’inventario dei beni presenti presso la struttura, come ad esempio, l’esistenza di una ricchissima biblioteca, documento storico importante, che rappresenta per noi un nuovo filone di ricerca.

1 Al 1700 si registrano 110 “fuochi” identificativi, grosso modo, della popolazione recalese.

Capitolo I

La corte borbonica tra Caserta e provincia.

Prima di parlare della realtà borbonica esistente sul territorio di Recale, accenniamo brevemente agli aspetti storici che consentono un nesso tra la corte borbonica di Caserta e le reali delizie. I Borbone rappresentano di certo una delle più importanti ed antiche case regnanti in Europa, tuttora sui troni di Spagna e del Lussemburgo. Il ramo familiare che ha più influenzato la storia Campana e di conseguenza anche quella recalese fu quello dei Borbone di Napoli: i “Borbone della Real Casa delle Due Sicilie”, fondato nel 1734 da Carlo di Borbone. Asceso quest’ultimo al trono di Spagna (1759) con il nome di Carlo III, dopo un governo a Napoli, gli succedette il figlio terzogenito Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, che tornando in possesso dei due Regni li unificò nel dicembre 1816 e assunse il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie. A lui seguirono fino al 1860, Francesco I (1825-1830), Ferdinando II (1830-1859) e Francesco II (1859-1860), ultimi sovrani che guidarono il regno meridionale d'Italia, prima dell’Unità. I Borbone restano affascinati dal paesaggio casertano, e desiderosi di dare degna sede alla capitale del regno delle Due Sicilie, Napoli, e al suo reame, raggiungono l’obbiettivo di realizzare maestose opere pubbliche anche nel territorio casertano tra cui: la Reggia di Caserta, il Real sito di San Leucio, la Reggia di Carditello e molte altre, le cosiddette “Delizie Reali”, concentrate tra le province di Caserta, Napoli e Salerno, destinate a residenze reali e zone di caccia. Dal Regno di Carlo e Ferdinando IV le strutture feudali dello stato furono profondamente trasformate a seguito di riforme e innovazioni in campo commerciale, culturale, economico, giuridico e militare attraverso la realizzazione di opere pubbliche, il sostegno alle arti, all’archeologia e alla botanica. In campo politico, nonostante il grande impegno profuso in tal senso da Carlo III di Borbone, si dovette aspettare la “Pace di Vienna” del 1738, la quale conferì piena autonomia politico-amministrativa al meridione,

consentendo a Carlo di organizzare il suo regno, soprattutto dal punto di vista fiscale, nella maniera ritenuta presuntivamente più efficace per portare il regno di Napoli in auge. La riforma fiscale, pur restaurando i vecchi sistemi catastali, riuscì ad imporre una tassazione ai beni ecclesiastici pari alla metà della tassazione ordinaria dei laici mentre i beni feudali restarono vincolati al sistema fiscale. Le riforme culturali, politiche ed amministrative, già iniziate sotto la dinastia dei d’Asburgo, che apportarono un radicale cambiamento sia alle condizioni di vita che paesaggistiche del territorio, continuarono con la corona dei Borbone la quale, attenta agli interessi napoletani, intraprese una serie di innovazioni amministrative e politiche, estendendole a tutto il territorio del regno. Il periodo vede la concentrazione nel Regno borbonico di personalità intellettuali di prestigio che diedero l’input per le politiche innovative promosse dai regnanti. Infatti, un forte incentivo alla modernizzazione di istituzioni quasi immobili era avvenuto già durante il dispotismo illuminato dei regni di Carlo di Borbone e Ferdinando IV, in cui operò una figura di grande rilievo, esperto di diritto: il toscano Bernardo Tanucci. Egli si impegnò in un’opera di riorganizzazione della giustizia e si scagliò contro i privilegi baronali ed ecclesiastici, arrivando nel 1767 a far espellere i Gesuiti dal Regno di Napoli. Sul piano economico invece i Borboni si avvalsero dei validi contributi tecnici dei migliori esponenti del ceto intellettuale napoletano, quali Genovesi, Palmieri, Galanti, Pagano, Cuoco, mentre Filangieri e Caracciolo condussero una battaglia contro l’inadeguatezza dei vecchi istituti giuridici. Fu nel 1788 che Domenico Caracciolo, come ministro di re Ferdinando IV, abolì il feudale tributo della chinea al soglio papale, cooperando a frantumare un sistema secolare di anacronistiche consuetudini medievali. Dalle fonti storiche è dato evincere che, grazie alla sua maestria nel regnare, fu molto rimpianto dai sudditi partenopei; il sovrano infatti si era adoperato per risollevare il regno dalla miseria, organizzando con tanta saggezza il territorio, eliminando le vecchie strutture feudali, creando nel contempo uno stato relativamente moderno. È dello stesso periodo che si fa risalire la ricostruzione di antichi quartieri malsani; quali ad es. la Reggia di Caserta (fig. 1), quella di

Capodimonte, Teatro San Carlo, ecc…. Sul versante artistico, Il primo passo interessò la costruzione della Reggia di Caserta e la modernizzazione urbanistica dell’omonima città, che fu riedificata sui disegni razionalistici di Luigi Vanvitelli. Negli stessi anni nel cuore della capitale del regno invece Giuseppe Sammartino realizzava uno fra i più celebri complessi scultorei d’Italia, nella Cappella Sansevero: la cura estremamente formale e la modernizzazione stilistica di cui erano dotate le sue opere generarono polemiche negli ambienti cattolici napoletani, abituati agli esiti artistici del manierismo e del barocco. Proprio la costruzione della Reggia risulta essere per il nostro lavoro di fondamentale importanza, dati gli innumerevoli collegamenti con la Torre di Recale (ad esempio si suppone l’esistenza di un cunicolo sotterraneo che collega la Reggia di Caserta all’attuale Villa Porfidia), oggetto di trattazione specifica nel prosieguo della ricerca. Per ora, è sufficiente accennare al fatto che l’attuale Villa Porfidia, nata come struttura difensiva medioevale, venne col tempo trasformata, prima dai Principi D’Aquino di Caramanico e poi con i duchi Guevara di Bovino quando nel tardo Settecento divenne un castello fortificato e arricchito dalla vita della corte borbonica.

Fig. 1: Veduta esterna, cortile interno, della Reggia di Caserta.

Fig. 2: Acquerello di autore ignoto raffigurante la Torre di Recale, databile al ‘700/‘800, proveniente dalla collezione privata Donato Farro. Nell’immagine la donna con maciulla e canapa e l’uomo con zappa indossano i tipici vestiti d’epoca.

Capitolo II

L’acquedotto Carolino.

È di fondamentale importanza chiarire le dinamiche storico- artistiche che hanno permesso la realizzazione di una delle più importanti opere di ingegneria Idraulica di tutti i tempi, vale a dire “l’acquedotto Carolino” (fig. 3).

Fig. 3: Veduta dell’acquedotto Carolino presso Valle di Maddaloni.

L’anno 1734, che segnò l’ascesa al trono di Napoli di Carlo di Borbone (1715-1788), fu indicato dai pubblicisti dell’epoca come l’inizio di una nuova era. Finalmente il Regno raggiungeva l’indipendenza nazionale e l’autonomia anche se “non per sollevazione o altra asserzione di volontà fatta dai napoletani stessi, sì invece perché largirla piacque a coloro che amministravano il diritto pubblico d’Europa, segnatamente ad una donna italiana, Elisabetta Farnese, che volle che il figliuolo Carlo avesse il regno, glielo fece acquistare con trattati e conquistare dalle armi di Spagna”.

Nel piano generale di rinnovamento civile del Regno di Napoli, un ruolo importante fu svolto dalle opere pubbliche, che si dimostrarono quasi tutte concrete e positive, sia quelle a favore della pubblica assistenza che della cultura, nel campo dell’urbanistica della capitale e della viabilità del Regno e nella costruzione di edifici di lusso, come le residenze reali nella capitale e dintorni. Il progetto, mostrato al Re e alla Regina il 6 dicembre 1751 nella sua stesura definitiva, trovò ampio consenso tanto che, dopo poco tempo, con la solenne funzione per la posa della prima pietra, il 20 gennaio 1752, alla presenza del sovrano Carlo e della giovane consorte Maria Amalia, della corte tutta in un ampia partecipazione popolare, si dette inizio all’attività edilizia per la costruzione del Palazzo Reale e delle infrastrutture che caratterizzerà per alcuni decenni la vita economica e sociale del territorio circostante. L’architetto Vanvitelli, dunque, dovendo assicurare l’indispensabile approvvigionamento idrico per il Palazzo, le numerose fontane ed i giochi d’ acqua che avrebbero animato le reali delizie e considerando l’ambizioso progetto per la nuova città che sarebbe sorta intorno alla residenza reale e alla possibilità di aumentare l’alimentazione idrica di Napoli, approvvigionata, dall’epoca del Viceregno, dall’acquedotto del Carmignano, elaborò un progetto arditissimo per l’epoca. Lunghe e laboriose furono le ricerche per ritrovare le fonti che assicurassero un abbondante e continua portata d’acqua ed un sito più elevato di quello dove avrebbe dovuto sorgere la Reggia, affinché l’acqua giungesse con la pressione necessaria. Alle falde del Taburno, a 254 m.s.l., fu individuata una zona ricca di sorgenti, tutte nel “tenimento” di Airola, appartenente al principe della Riccia, che solo dopo diverse vicende burocratiche e giudiziarie ne fece dono al Re. Vanvitelli stesso aveva pensato che l’acqua proveniente dal Fizzo potesse proseguire fino a rifornire quartieri alti di Napoli. Essa poteva inoltre servire ad irrigare i giardini di Capodimonte, piuttosto che riversarsi nel fosso scoperto costituito dal Carmignano. Il progetto elaborato in tal senso dall’Architetto, che aveva anche fornito due diverse possibili soluzioni, non fu realizzato, optando Ferdinando IV per una maggiore economicità per le casse dello Stato. Fu progettato, quindi, un braccio, in parte interrato, che congiungeva i Mulini di San

Benedetto con il Carmignano presso il ponte Tavano in Agro di Montedecoro. I lavori furono poi terminati dal figlio Carlo che eseguì un opera tecnicamente di buon livello ma che purtroppo non risolveva i problemi idraulici della capitale, sfociando le acque del Carolino in un condotto a cielo aperto e quindi inquinato e fangoso. Una volta chiarita la situazione generale riguardo la creazione di questa nuova e necessaria rete idrica andremo ad analizzare come essa abbia influito sul territorio di Recale, attraverso il complesso della Torre. Come già accennato precedentemente il re Ferdinando IV concesse con Real Decreto del 3 settembre 1781 alla duchessa Amalia Suardo di Bovino, un carlino d’acqua a titolo gratuito e per uso personale. Da questo punto parte un effetto a catena che determinerà la storia sia dell’intero territorio recalese che circostante. Difatti, il 13 Ottobre del 1791 grazie all’intercessione dell’architetto Carlo Vanvitelli, continuatore dell’opera del padre, esprimendo parere positivo riguardo all’esplicita richiesta da parte dell’Università di Marcianise, arriva la richiesta di concessione d’acqua indirizzata a sua Maestà in persona. Così si legge nel documento2: Eccellenza Avendo S.M. conceduta l’acqua alla Duchessa di Bovino, della quale dopo fattane uso, si và a disperdere in un pozzo, potrebbesi la medesima incalanare, e condursi a Marcianesi. E con prof. osseq. Le B. le m.i. Di V. E. Umil. Dev. ed Obb. Serv.re Carlo Vanvitelli. Prima di analizzare nello specifico i termini e le condizioni in cui si svolsero le procedure per tale concessione bisogna soffermarsi sulla condizione sociale in cui vivevano i cittadini dell’epoca. Nella suddetta esplicita richiesta non passa inosservata l’espressione “Acqua, della quale dopo fattane uso si va a disperdere in un pozzo”. All’epoca

2 Tutti i documenti richiamati sono descritti nel volume Gaetano Andrisani, Storia di Marcianise, ora in Gaetano Andrisani, Contributi per la storia di Marcianise, Saggi Storici Casertani, 2006.

purtroppo la gente viveva in condizioni igienico sanitarie riprovevoli ed erano costretti a servirsi di un acqua inquinata proveniente dal fiume Clanio, in quello che oggi è il territorio di , la stessa stagnava nel territorio di Recale in presenza di pietre calcaree che rilasciavano agenti tossici provocando alla povera popolazione una malattia mortale, denominata “gozzo”. Per tali motivi siamo obbligati a ricercare la verità storica ed a condannare duramente comportamenti riprovevoli dei nobili del tempo che preferivano gettare in un pozzo l’acqua pura superflua proveniente dal Fizzo, piuttosto che installare una semplice fontanella di pubblica utilità che avrebbe permesso la sopravvivenza di tanta povera gente. A testimonianza di tale situazione sociale la lettera inviata dal ministro di Grazia e Giustizia e degli affari ecclesiastici Sig.re Carlo Demarco, riportata di seguito : Ecc.mo Sig.re Avendo fatto presente al Re quanto codesta Giunta ha riferito in rapporto alla Supplica dell’Università di Marcianise, che domandò accordarsele un poco dell’Acqua conceduta alla Duchessa di Bovino, la M. S. uniformandosi al parere del Cav.r Vanvitelli, e di codesta Giunta, vuole, che subito che la Duchessa di Bovino, la M. S., uniformandosi al parere del Cav.r Vanvitelli, e di codesta Giunta, vuole, che subito che la Duchessa di Bovino abbia fatto uso dell’acqua accordatale s’incanali per condursi a Marcianise. Nel Real nome partecipo a codesta Giunta questa Sovrana determinazione per lo pronto, ed esatto adempimento della medesima, giacchè riguarda il vantaggio della salute di una intera popolazione, e di uno Ospedale in cui vanno anco gli ammalati da Cardito. Napoli 9 Novembre 1791. Ecc.mo Sig.re Carlo Demarco Inoltre la conferma delle condizioni sanitarie riprovevoli vengono analizzate sempre da Andrisani che trascrive una lettera inviata a S.M.: Ecc.za L’Università di Marcianise ha esposto, che quella popolazione è in critiche circostanze per la cattiva acqua, che devono,

vedendosi nel più bel fiore degli anni morire altri idropici, ed altri ostrutti. Che per la stessa causa i malati, che sono io quell’Ospedale, e quelli, che vi vanno da Cardito, ed altri luoghi, invece di sanare, o periscono, o si dispongono ai mali di sopr’accennati. Quindi chiede, che potrebbe S.M. accordare alla Ricorrente un poco d’acqua salutifera di quella, che si degnò accordare alla Duchessa di Bovino, ordinando al Gov.re di Capua, come delegato di quei luoghi Pii, che dalle rendite de’ medesimi facesse costruire un condotto da Regale in Marcianise per riparare così ad un male dell’ultima importanza. E V. E. con Real carta de’ 3 corrente ha ordinato a questa giunta d’informar col parere. La Giunta, avendo inteso il Cav.r Vanvitelli, il medesimo e di sentimento, che avendo S.M. conceduto l’acqua alla Duchessa di Bovino, la quale, dopo fattasene uso, va a disperdersi in un pozzo, potrebbe la medesima incanalarsi, e condursi a Marcianise. Nella stagione estiva del 1794 per causa di una siccità straordinaria fu tolta l’acqua tanto alla Duchessa di Bovino, quanto agli altri, che la godevano, onde supplire a bisogni della Città di Napoli. Ma a clamori degli abitanti di Marcianise con sovrana determinazione del 4 Marzo 1795 fu disposto di far ritornare l’acqua nel giardino della Duchessa di Bovino, per potersene avvalere i Naturali di Marcianise.

Fig. 4: Interno di Villa Porfidia.

Fig. 5: Ingresso al giardino di Villa Porfidia.

Capitolo III

Dalle tre Torri alla Torre annessa al Palazzo Guevara. Le origini dell’attuale Villa Porfidia.

Situata nell’area di Terra di Lavoro, nei pressi della città di Caserta, protetta dai monti tifatini, la città di Recale ha origini incerte. Così come incerta è la derivazione del suo toponimo che nel tempo ha dato luogo a svariate teorie non ancora sufficientemente documentate. Nella presente ricerca si riportano le ipotesi maggiormente accreditate dagli studiosi e dalla comparazione delle fonti disponibili. Una delle prime ipotesi sull’origine del nome è quella data dal Giudice “circondariale” di Marcianise, il quale riteneva che il nome Recale derivasse da “Regale”, riferito ad una donna longobarda che con la sua corte si era stabilita nella zona dando il suo nome (diffuso in territorio capuano) al sito. La tesi trova riscontro nel fatto che storicamente i Longobardi si insediarono nella zona dando vita ad un agglomerato che fu definito “Fara Raechalis”, appartenente al ducato di Capua. Un’altra ipotesi altrettanto credibile, è quella di Alessio Simmaco Mazzocchi che nella sua prima edizione del “Mutilum Campani amphitheatri Titulum” fa risalire il nome Recale alla deformazione del nome Ercolaneo, derivante da un antico “pago” ercolano presente nella zona. Invece secondo Giancarlo Bove, Recale deriva da “Rigalis” (regina), sostenendo che essa congiuntamente ad altre città come Benevento, Maddaloni, , era un centro ebraico. Di certo, nel 1132 esisteva “Ricari”, area così individuata in un documento dell’archivio del monastero di S. Giovanni di Capua, riferito ad una donazione, di tre lotti di proprietà terriera, fatta al monastero del luogo. In un altro documento capuano nel 1240 si parla di “Villa Recali” ed ancora nel 1259 troviamo fonti documentate sull’uso del termine

“Ricari”. Da queste fonti documentali possiamo desumere, quindi, che Recale fino al XVI secolo era una “Villa” della città di Capua. Questo nome può avere origini ancora più antiche e derivare da “Rio Clanio”, risalendo all’epoca in cui i Tirreni (Etruschi) costruirono sul territorio due strutture difensive dette “Turri”, che normalmente edificavano sui margini dei fiumi. A Recale le due “Turri” sorgevano in prossimità della zona dove attualmente passa l’autostrada Roma-Napoli, sull’argine delle tante rientranze del fiume Clanio (fiume che sorgeva dai monti di San Felice, scendeva attraverso due paesi e si immetteva nelle zone tra , Marcianise e Capodrise, alimentato da molti sorgenti) a difesa di un’antica strada detta via Viria, su cui fu costruita poi dai Romani la via Appia, strada militare considerata dai romani la “Regina Viarum” (regina delle strade). L’origine della comunità di Recale unitamente alle Torri si ritrova anche sullo stemma del Comune di Recale (fig. 6), dove sono presenti tre torri. L’unica attualmente esistente resta la torre afferente al complesso di Villa Porfidia. La villa rustica della famiglia di Guevara, duchi di Bovino, risale al tardo Settecento, localmente nota anche come “Castello”, ma impropriamente perché il complesso nell’angolo rettangolo di sud-est a quei tempi affacciava sull’antica strada detta “La cupa” e su una stradina di campagna detta “Vicciolla”. L’edificio in origine inglobava una torre di più antica preesistenza. In gergo borbonico il complesso viene definito “casino” come, del resto, risulta nel carteggio tra il re Ferdinando IV e la duchessa Amalia Suardo di Bovino, relativo alla concessione di un carlino d’acqua a titolo gratuito. Con il Real Decreto del 3 Settembre 1781 il re Ferdinando IV, presso cui la donna godeva di particolari favori, concesse alla duchessa Amalia Suardo di Bovino un carlino d'acqua a titolo gratuito per servirsene nel suo casino. La Torre, come si può vedere (fig. 7), Fig. 6: Stemma di Recale. inizialmente nacque con funzione di

guardia, poiché si trovava in uno degli incroci cardine della maglia ortogonale prevista dalla centuratio romana. Di questo schema, che i romani utilizzavano per suddividere gli accampamenti e le città, è ancora oggi presente qualche traccia.

Fig. 7: Torre di Recale.

Inoltre, data la posizione e la vicinanza alla via consolare Appia Antica, questa struttura acquisì ben presto una funzione economico- politica rilevante, divenendo anche una torre “daziaria”, ovvero il luogo dove i contadini della zona consegnavano parte del loro raccolto (soprattutto cereali) come tributo ai latifondisti. La Torre domina l’attuale piazza della Repubblica, costituita da un ampio spazio irregolare situato in una zona più decentrata rispetto al nucleo abitativo. Su piazza della Repubblica si affaccia anche la cappellina della Confraternita del SS. Corpo di Cristo (fig. 8).

Fig. 8: Cappella della Confraternita del SS. Corpo di Cristo.

Si consideri che all’epoca a Recale c’era una sola strada (via Ponteselice), che attraversava tutto il paese e passava per piazza della Cappella (attuale piazza Matteotti) o della “Chianca”, percorreva via per la Torre, attuale via Marconi passando per la Torre, conduceva a San Nicola la Strada. Non esistevano altre strade (fig. 9). Fu successivamente inglobata in un ampio plesso di proprietà dell’ordine dei Padri Gesuiti, la cui compagnia non svolgeva solo attività religiose, ma anche agricole e sociali, sia per conto proprio, sia per conto terzi. Le attività agricole erano condotte con mezzi tecnicamente avanzati per l’epoca, come aratri e pozzi, mentre per lo svolgimento delle

attività religiose, esistevano due luoghi di culto, una cappella interna ed una esterna, messa a disposizione della comunità.

Fig. 9: Una parte della mappa di Recale del 1850, proveniente dalla collezione privata Donato Farro.

Quando l’ordine dei Gesuiti venne abolito nel 1773 con l’accusa di corrompere le coscienze a causa del loro atteggiamento conservatore contrario alle nuove ideologie illuministiche, il plesso passò nelle mani di esponenti ecclesiastici locali, un monaco secolare e il parroco della chiesa di S. Salvatore. In questa occasione don Francesco Massaro, economo e curante della parrocchia di S. Salvatore, in presenza di Biasi Monti in qualità di testimone, redisse e affidò a Luca Tozzi l’inventario dettagliato della Torre; l’inventario descriveva le stanze del plesso adibite ognuna a funzioni sociali importanti, quali ad esempio, la stanza per accogliere i malati gravi dell’epoca, la biblioteca, le botteghe artigiane. Nel tardo Settecento la proprietà passò al duca Guevara di Bovino e alla duchessa di Castel d’Airola,

restaurata cambiò totalmente la propria vocazione, divenendo un accogliente casale fortificato. Da un punto di vista architettonico, come meglio si vedrà, la Torre, un tipico maschio di costruzione, si presenta bassa e tozza con una grossa zoccolatura a scarpa (spiovente). Sopra questa zoccolatura, vi è appoggiato un balcone, al di sopra del quale vi è uno stemma araldico come simbolo del prestigio della famiglia Guevara di Bovino. All’angolo del basamento vi è un tabernacolo con un bassorilievo tondo, che raffigura il ritratto della duchessa Anna Maria Suardo Guevara di Bovino (fig. 10). Si tratta in realtà di una copia in gesso, di un’originale marmoreo, conservato in una stanza al primo piano proprio all’interno della Torre. I Suardo poi diedero ai fratelli Caputo in gestione i bassi della Torre, dove allestirono un’osteria. Nel 1924 la proprietà del plesso con annessa la Torre di Recale viene donata a Lorenzo Foglia, amico del duca di Bovino. Il Duca, in base all’accordo stipulato, avrebbe mantenuto il diritto di proprietà per altri quattro anni in modo da poter ospitare nel complesso della Torre il principe Umberto di Savoia. Nel 1928 Lorenzo Foglia entrò in possesso della Torre di Recale e dopo la sua morte la stessa fu venduta, all’incirca nel 1939, da parte della moglie di Lorenzo Foglia, Maria Giuseppa Farina, alla famiglia Porfidia, che ne è l’attuale proprietaria. Come già accennato, oltre la Fig. 10: Busto raffigurante la duchessa Torre attualmente compresa Anna Maria Suardo Guevara di Bovino.

nel plesso di Villa Porfidia, esistevano altre due torri utilizzate per scopi difensivi e di guardia del territorio in ragione anche della loro posizione strategica. Delle due torri oggi non vi è più traccia in quanto abbattute dal duca di Airola, un noto fiscalista chiamato dal Re per la riscossione delle tasse, essendo stata emanata una legge per cui ogni cittadino a prescindere dal reddito era obbligato a pagare tredici ducati all’anno. Nonostante non siano più esistenti, al fine di ricostruire un quadro storico quanto più inerente all’epoca, torna utile ridefinire la posizione delle due torri.

Fig. 11: Quadrivio della prima Torre. Disegno di Veronica Crisci.

La prima torre era situata al centro del cosiddetto quadrivio della torre o fortezza, in epoca romana (fig. 11). La torre aveva quattro aperture, una per ogni strada che la afferiva. Le quattro strade considerate

erano dirette, secondo le località attuali, una in direzione di , una in direzione di San Nicola la Strada, una verso il centro di Recale, infine l’altra era la via Appia in direzione Capua. Per quanto riguarda la seconda torre, con funzione militare, in particolare di ritrovo dei militari, si trovava nella località chiamata “Starza”. Il significato della parola “starza” era “circoscritta”: probabilmente, questa zona veniva definita di riunione dei centuriati, dai contadini che all’epoca suddividevano le zone del territorio in base alle funzioni che dovevano assolvere.

Fig. 12: Interno di Villa Porfidia.

Fig. 13: Prima parte del documento del Duca di Bovino risalente al 1924, proveniente dalla collezione privata Donato Farro.

Fig. 14: Seconda parte del documento del Duca di Bovino risalente al 1924, proveniente dalla collezione privata Donato Farro.

Capitolo IV

La Torre nel segno della regina Maria Carolina, Anna Maria Suardo, lady Emma Hamilton.

Villa Porfidia a Recale, come già detto, venne restaurata nel tardo Settecento per volere dei duchi Guevara di Bovino: Giovanni Maria Guevara duca di Bovino, piccolo centro della provincia di Foggia, e Anna Maria Suardo duchessa di Castel d’Airola del feudo di Marcianise; da questa unione nasce il doppio cognome Guevara Suardo acquisito dai discendenti della nobile famiglia. La villa divenne in poco tempo centro di attrazione di grandi artisti, letterati e poeti; fu frequentata da Luigi Vanvitelli, dal suo allievo Francesco Collecini, da lord William Hamilton e da sua moglie lady Emma Hamilton. Si racconta inoltre che fosse frequentata anche da giocatori d’azzardo, come Giacomo Casanova (1725-1798), che addirittura si invaghì dell’affascinante duchessa di Bovino. Anna Maria Suardo, figlia di Prospero IV Suardo e della duchessa di Castel d’Airola, apparteneva ad una dinastia illustre molto vicina a Carlo III e a Ferdinando IV di Borbone, tanto da diventare dama di compagnia e confidente della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV. Fu proprio per questo motivo che ella decise di trasferirsi a Recale, a soli 4 km dalla Reggia di Caserta, e di restaurare il complesso che inglobava la vecchia Torre di guardia. Inoltre, proprio per la vicinanza alla famiglia reale, la duchessa ottenne la concessione gratuita di un carlino d’acqua di derivazione dall’Acquedotto Carolino per alimentare il giardino di due ettari da lei fortemente voluto. La duchessa “giardiniera” coltivava infatti nel suo parco (fig. 15) piante esotiche provenienti da tutto il mondo e sperimentava nuovi paesaggi romantici tanto da destare la curiosità della regina Maria Carolina, con la quale si scambiava consigli e idee.

Fig. 15: Veduta dell’attuale parco di Villa Porfidia.

L’impostazione del giardino all’inglese di parte del parco fu data da lady Hamilton, altra appassionata di botanica, che proprio grazie alla sua passione per il verde e grazie al fatto che era spesso ospite della duchessa di Guevara, riuscì ad avvicinare la Regina; inutile dire che a questo avvicinamento contribuì anche il ruolo che il marito aveva alla corte dei Borbone. Da questa amicizia derivò l’importazione di una serie di cose tipicamente anglosassoni, che portarono alla creazione di un giardino all’inglese anche all’interno del vastissimo Parco della Reggia; alla diffusione delle camelie, in entrambi i parchi, di cui la più rara, come detto, è l’atrioviolacea, custodita nel piccolo gioiello di Recale; alla diffusione delle “attitudes” in tutta Europa, una sorta di

quadri viventi misti di danza, posa e recitazione; alla nascita e successiva diffusione di una serie di mode e tendenze legate all’abbigliamento e alla danza. Come accennato pocanzi bisogna aggiungere però che la fama di lady Hamilton e la sua influenza sulla corte dei Borbone, si svilupparono solo in seguito alle nozze con lord William Hamilton, un lord inglese, ambasciatore a Napoli presso i Borbone. Di fatti Emma Lyon, di umili natali, è considerata da alcuni come una delle più attraenti e spregiudicate “arrampicatrici” sociali dell’Ottocento. Nacque nel Cheshire, dall’amore di uno scaricatore di porto e di una cameriera. La famiglia, che non navigava nell’oro, le permise di studiare fino all’età di dieci anni; dopodiché iniziò a lavorare come commessa, cameriera e infine come “cameriera/ballerina” in una taverna al porto. Il suo primo amante fu un pittore che la immortalò in varie tele che fecero il giro del mondo e che oggi sono custodite in importanti musei e collezioni private: mancano solo i nudi integrali di Emma che sir Hamilton acquistò a caro prezzo, quando la prese in moglie, per farli sparire, per ovvi motivi. A ventuno anni col suo amante si trasferì a Londra e si trovò catapultata in un mondo completamente nuovo fatto di salotti eleganti, circoli di prestigio, uomini di alta finanza, artisti e politici. Infatti si dice sia stata mantenuta da diversi uomini dell’alta società e fu proprio un ministro, Charles Greville, a portarla via al pittore. Questo giovane nobile, le riservò una villetta con servitù, in cui lady Emma ebbe a disposizione per due anni tutto quello che poteva desiderare. All’improvviso però il ministro, per motivi economici, decise di sposare una giovane ereditiera e lei fu costretta a svegliarsi da questo bel sogno. Per questo motivo Charles la affidò ad un suo illustre zio, residente a Napoli, sir William Hamilton. Lei aveva venticinque anni mentre il padrone di casa ne aveva sessantotto. L’affascinante Emma riuscì ad ammaliare anche l’anziano ambasciatore e poco dopo, come detto in precedenza, la splendida regina Maria Carolina. Le due si incontrarono a Caserta e ci fu subito affinità, tanto che l’ex-cameriera entrava e usciva a suo piacimento dall’appartamento privato della Regina. Come raccontano Pietro Colletta in “Storia del Reame di Napoli” e Benedetto Croce in

“Aneddoti di varia letteratura”, questa amicizia fu argomento di discussione nei salotti eleganti dove i nobili dell’epoca parlavano, con una certa malizia, del rapporto nato improvvisamente tra le due donne di diversa estrazione sociale. Bisogna però aggiungere che, sempre secondo Colletta, l’affascinante Emma fu solo uno strumento di Maria Carolina per convincere Orazio Nelson a non rispettare il trattato di capitolazione fatto tra i patrioti repubblicani e il cardinale Fabrizio Ruffo, che prevedeva la libertà dei patrioti in Francia che invece furono assassinati brutalmente. Di fatti, quando Nelson giunse a Napoli, fu accolto dall’avvenente Emma in qualità di moglie dell’ambasciatore. L’ammiraglio, che aveva un certo fascino, si innamorò a prima vista di lady Hamilton; lei dal canto suo era pronta a fare di tutto per rafforzare il suo prestigio e la sua posizione, tanto che il giovane ammiraglio impiegò un attimo a cadere definitivamente nella sua rete ammaliatrice. Ebbe così inizio una grande storia d’amore dagli evidenti risvolti politici. Intanto i numerosi impegni di Emma a corte le permettevano di riservare poco tempo all’anziano ambasciatore che, per legarla a sé definitivamente, decise di sposarla. Questo matrimonio cambiò la vita di sir William che arrivò a sognare un figlio con Emma ma lei proprio non ne voleva sapere. L’anziano William di tutto questo soffriva ma restò in silenzio anche quando fu costretto a vendere parte dei suoi averi per far fronte ai debiti di gioco della moglie, come ci racconta Gaetano Saglimbeni nel suo libro “I grandi amori della storia e dell’arte”. Il culmine si raggiunse però quando Emma restò incinta del suo amante e diede alla luce due gemelle di cui una morì. Poco dopo morì anche il marito e lady Hamilton ripiombò nuovamente nella povertà più assoluta, dato che dal marito non ebbe nulla in eredità: fu questa la silente vendetta dell’ambasciatore che in vita aveva tollerato troppe cose. Due anni dopo, durante una battaglia, morì anche Nelson. Contemporaneamente Emma fu abbandonata anche dalla Regina e fu così che a quaranta anni tornò a fare la cameriera e, per affogare i suoi dispiaceri, si buttò nell’alcol. Infatti, giunta in Francia, a cinquant’anni morì a causa dell’alcol in completa solitudine.

Capitolo V

L’architettura di Palazzo Guevara.

Francesco Collecini, l’allievo più dotato di Luigi Vanvitelli, diresse i lavori di rifacimento della facciata e del porticato interno di Villa Guevara, oggi nota come Villa Porfidia. L’architetto, in qualità di primo aiutante a Caserta, nel 1753 aveva lavorato per la livellazione dell’acquedotto Carolino e nel 1769 fu impegnato nella direzione di tutte le fabbriche di Caserta, costruendo la Grande Peschiera e la Castelluccia all’interno del Parco della Reggia di Caserta. Nella Castelluccia, un padiglione per il divertimento del re, sono individuabili molti degli elementi compositivi presenti nella Reggia di Carditello e di San Leucio, le due opere più impegnative eseguite dal Collecini nella piena maturità artistica. Il Palazzo Guevara ha caratteristiche tipicamente settecentesche in stile Neoclassico, movimento culturale europeo manifestatosi fra la seconda metà del XVIII secolo e il primo trentennio del XIX secolo, caratterizzato dal recupero di forme classiche, tendenza alla perfezione, alla logica, alla simmetria e alla chiarezza. Nell’architettura del Neoclassicismo si individuano diversi stili: quello dorico (detto anche neodorico o neogreco), influenzato dalla riscoperta dei templi di Paestum e del Partenone e quello romano, dove si riscontra l’uso dell’ordine tuscanico, ionico e corinzio. Durante il periodo Neoclassico il concetto di utilità, comodità, solidità degli edifici, ripreso da Vitruvio, si unì a quello di semplificazione degli ordini e dei piani, estrema sobrietà decorativa, ricerca di proporzioni chiare e armoniche. Queste caratteristiche, trasferite dal singolo edificio a un complesso di strutture, diedero luogo a interessanti soluzioni urbanistiche, per lo più su schema geometrico (dalle piazze ai parchi, dalle abitazioni ai mercati, dai ponti ai cimiteri e ai musei, che furono creati per esporre al pubblico collezioni fino allora conservate in spazi privati), che trovò larga diffusione in Europa.

La facciata artisticamente più interessante di Palazzo Porfidia è quella antistante il fronte strada, le altre sono di carattere tipicamente rustico e molto semplici. Lo schema presenta dei terrazzi con trabeazione a timpano triangolare in cui si evidenzia il balcone del salone in asse con il portone d’entrata. Una struttura simile si ritrova nella facciata del Casino di San Leucio e nella loggia-belvedere di Carditello dove Collecini costruì una successione di finestre sormontate da timpani triangolari ed arcate fortemente strombate. Villa Guevara consta di un basamento a scarpa con bugnato forte che si collega alla Torre, al di sopra del quale si trovano finestre quadrate non praticabili, con funzioni di illuminazione dei piani terranei, sormontate da piccoli archi che poggiano su particolari gattoni a ricciolo. Il portale d’ingresso ha un arco ribassato in stile medievale catalano- aragonese, mentre il tetto poggia su un cornicione su cui si rilevano dei comignoli in latta, realizzati secondo la moda veneziana di fine Ottocento. È presente anche un portale minore con accesso ad ambienti per cavalli e il bestiame, sopra il quale si trovano finestre di forma irregolare tondeggiante con funzioni prettamente pratiche. La facciata sulla sinistra si prolunga con un’inferriata che separa il varco dall’invaso stradale mentre le altre, rivolte verso la campagna, sono disposte su tre livelli: il piano terra, l’ammezzato e il piano nobile. Il materiale impiegato per la facciata è il tufo giallo tinteggiato di rosa e giallo chiaro, le ringhiere invece sono in ferro e ghisa intonacate di grigio.

Capitolo VI

Il giardino impalpabile di lady Emma Hamilton.

Il giardino di Villa Porfidia è stato realizzato per volere dei duchi Guevara di Bovino alla fine del XVIII secolo. Si suppone che la famiglia dovette godere di un particolare consenso presso la corte di Ferdinando IV di Borbone dato che a Donn’Anna Maria Suardo viene concesso, tramite il “Real Decreto del 3 settembre 1781” un carlino d’acqua a titolo gratuito per l’irrigazione del giardino nel suo casino di Recale. Ciò è stato possibile sfruttando un tronco dell’acquedotto Carolino ideato da Luigi Vanvitelli nel 1752.

Fig. 16: Ingresso del giardino con agapanthus.

Il giardino ha un’estensione di un ettaro e mezzo, esso è caratterizzato dalla tipica forma regolare del giardino all’italiana che è stato inglobato tramite vari sentieri ad un boschetto già esistente. Per poter entrare nel parco bisogna oltrepassare un cancello di ferro battuto, piuttosto recente in stile novecentesco, che presenta le iniziali della

Famiglia Porfidia. Subito dopo troviamo un viale fiancheggiato da alberi di agrumi, soprattutto piante di limoni, rose ed aiuole di agapanthus (fig. 16), caratterizzate da fiori blu. Proseguendo per il viale principale troviamo una piccola peschiera a cui si accede ad un padiglione tardo-settecentesco, rinominato “coffee house” (fig. in quarta di copertina), dove all’interno ci sono affreschi con girali di fiori e voli d’uccelli, che molto probabilmente sono opera di Filippo Pascale dato che nella retrostanza del bagno di Maria Carolina, presso la Reggia di Caserta, è presente lo stesso graticcio centrale su cui si avviticchiano pampini fioriti. Da un verbale redatto dalla Reale Soprintendenza ai Monumenti di Napoli si evince che la peschiera, come anche le colonne poste alla fine dei vialetti, erano decorate da statue rimaste all’interno della Villa fino al 1915. Il giardino nei decenni ha subito varie trasformazioni, una delle più significative è avvenuta nel momento in cui sono stati piantati gli alberi della canfora e dei tulipani, lasciati crescere spontaneamente, presenti ancora oggi, che vantano ben 250 anni. Mentre a delineare i tragitti dei vari viali troviamo tratti di bosso potato a mo’ di cespugli tondeggianti, vasi in terracotta con palme di cycas di cinquant’anni e plinti in pietra vulcanica. Le aiuole sono ricche di camelie di tutte le specie, dalle più comuni con fiori a cinque petali alla più rara a fiori rosa. Tra tutte emerge in particolar modo l’atroviolacea (fig. 17), unica nel suo genere, che a differenza della solita fioritura rossa, presenta caratteristici fiori viola cupo. Dobbiamo la sua presenza a lady Hamilton, dama di corte di Maria Carolina d’Austria. Parallelo al percorso centrale troviamo il “Viale degli ombrellini” (fig. in prima di copertina), esso costituisce l’esempio più Fig. 17: Camelia atroviolacea presente significativo di arte esclusivamente a Villa Porfidia.

topiaria settecentesca presente all’interno del giardino. Il viale è caratterizzato, per circa settantacinque metri di lunghezza, da trentasei sedute in pietra vesuviana, in cui le siepi fanno da schienale, mentre quelle di bosso, che raggiungono un’altezza di 2,50 metri, sono potate a forma di ombrellino in modo da diventare dei graziosi e particolari parasole. Proseguendo ci imbattiamo nel bosco di lecci, risalente al XVI secolo, dove è ancora possibile ammirare vari esemplari di alberi di quattrocento anni e di notevoli dimensioni tra cui un quercus robur, che ha una circonferenza del fusto di sette metri, un pinus pinea ed una sequoia del Canada. Inoltre sono presenti vasche d’acqua limpida, ovvero una peschiera ellittica dove è possibile ammirare anche buffet in pietra, probabilmente usati per depositare la selvaggina catturata durante la caccia, fasci di fiori e frutta. Possiamo rilevare la presenza di una piccola vasca circolare a zampillo centrale e la “Fontanella dell’ombrellino” (fig. 18) del XX secolo, che rappresenta due giovani innamorati sotto un ombrellino e si suppone sia un omaggio al sovrano d’Italia Umberto II e sua moglie Maria Josè. Nei pressi del muro di cinta è presente una torre cilindrica, ovvero una cisterna dell’acquedotto borbonico di alimentazione. Il bosco è delimitato ad ovest da un roseto rampicante posto su una struttura metallica con forma ad arco. Esso crea una galleria lunga circa sessanta metri che va a separare il bosco da quattro riquadri vegetali che ospitano un frutteto piantato da non molto tempo. Questo frutteto va a sostituire un precedente disegno, del quale sono stati conservati solo un’araucaria imbricata ed una magnolia grandifoglia e anche una piccola peschiera con ninfee bianche. Negli ultimi dieci anni per la conservazione del giardino è stata adottata una tecnica di manutenzione ragionata, ovvero una gestione differenziata del verde effettuata con interventi meccanici. Infatti si è iniziato ad operare con rilievi grafici e fotografici ed un censimento delle piante presenti, in modo da fare un’analisi conoscitiva dello stato della botanica. Per quanto riguarda la parte idraulica, essendo stato interrotto l’acquedotto borbonico nel periodo repubblicano, si è optato per uno scavo di un pozzo facendo in modo che il flusso d’acqua alimentasse di nuovo le vasche e le fontane. I lavori sono proseguiti controllando lo stato di salute delle piante che

presentavano disagi, come scarsità d’acqua e alterazioni parassitarie. Poi si è provveduto al controllo estetico della vegetazione nel corso delle quattro stagioni. Tutti gli interventi sono stati fatti in modo da conservare l’immagine originale del giardino, per quanto possibile. Negli ultimi anni è stato curato in particolare l’aspetto paesaggistico, infatti un leccio secolare caduto è stato lasciato giacere a terra considerandolo un arricchimento pittoresco. Negli anni la conoscenza del giardino è stata promossa con varie attività tra cui visite guidate, anche con finalità didattiche, e pubblicazioni su riviste specializzate e in vari campi editoriali. L’intera struttura ha fatto spesso da sfondo per spettacoli e opere cinematografiche internazionali.

Fig. 18: Fontanella dell’ombrellino.

Bibliografia

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