Monte Sant'angelo P

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Monte Sant'angelo P 1 2 Michele Tranasi MONTE SANT’ANGELO NEGLI ULTIMI DUE SECOLI Bastogi 3 ABBREVIAZIONI A.S. FG Archivio di Stato di Foggia A.C. MSA Archivio del Comune di Monte Sant’Angelo Tutti i diritti riservati 4 PREFAZIONE L’autore si propone di studiare la metamorfosi subita da Monte Sant’Angelo e dalle sue frazioni negli ultimi due secoli, cercando di rintracciare i fili conduttori del suo sviluppo gene- rale: non già degli sviluppi particolari che riguardano poche famiglie di proprietari o di notabili, o alcuni gruppi di intellet- tuali, bensì la marcia di Monte Sant’Angelo nella sua massa umana, nei suoi bisogni economici, nelle sue credenze colletti- ve, nelle sue intime aspirazioni politiche, nelle radici profonde del suo pensiero. Si è voluto delineare il complesso sistema economico e so- ciale montanaro, sottolineando fortemente lo sviluppo dell’agri- coltura, le condizioni climatiche, le trasformazioni delle coltu- re, le rotazioni agrarie, le rese produttive, le crisi di sussisten- za, gli assetti della proprietà e le forme del lavoro, il rapporto tra città e territorio, i problemi demografici, le strutture fami- liari, le tradizioni religiose e comunitarie, nonché le istituzioni. Il massimo di attenzione è stato prestato all’interazione reci- proca tra i diversi fattori. Il filo conduttore che ricollega e anima i principali aspetti della vita montanara – e che perciò percorre tutta l’esposizione e la riconduce ad unità – è costituito dal processo di sbriciola- mento accelerato delle strutture feudali residuali e dal contem- poraneo organico germoglio di una più libera forma di civiltà, a cui si è accompagnato un profondo rinnovamento della fisio- nomia della società agricola e contadina. Si è anche cercato di evidenziare i fenomeni che trascesero di gran lunga le capacità e le possibilità di azione e di reazione delle amministrazioni comunali o dei governi nazionali, facen- do emergere che sovente i progressi più eclatanti non sono av- venuti all’insegna della loro politica, ma si sono avuti al di fuo- 5 ri dei loro interventi: si pensi allo sviluppo dell’agricoltura nei primi decenni unitari o alle grandi realizzazioni urbanistiche di Monte Sant’Angelo, ma anche di Mattinata, nei primi anni del Novecento e del secondo dopoguerra. C’è una storia, altrettan- to reale ed effettiva, che si dispiega in tutta la sua ampiezza, al di sotto dei fenomeni politici più appariscenti! A ricordarci, poi, che Monte Sant’Angelo è stato parte di un sistema economico-politico ben più ampio e complesso con- corrono i continui riferimenti al resto del Gargano e della pro- vincia e, ovviamente, d’Italia. Il libro non vuole essere solo una narrazione dettagliata, ma anche una interpretazione e una volgarizzazione. M. Tranasi 6 IL SECOLO XIX: DAL DECENNIO FRANCESE ALLA FINE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE 7 8 CAPITOLO PRIMO LOTTE POLITICHE Agli inizi del XIX secolo Monte Sant’Angelo era la città più popolosa del Gargano e quella che aveva la più vasta estensio- ne territoriale. Inoltre, era il centro economicamente più im- portante, come è testimoniato, fra l’altro, dalle quattro fiere annuali di animali che vi avevano luogo. Monte Sant’Angelo fu anche il primo comune garganico ad avere una strada car- rozzabile, nel 1833. Va anche ricordato che qui sorgeva il più celebre fra i santuari dedicati alla devozione dell’arcangelo Michele in occidente, da secoli mèta di pellegrini di tutti gli strati sociali provenienti da fuori dei confini ristretti dell’Italia meridionale, ma anche d’oltralpe. Per tutte queste ragioni e per la sua posizione geografica, relativamente alquanto felice rispetto ai centri situati all’inter- no o all’estremità nord-orientale del promontorio, che viveva- no nell’isolamento più totale, Monte Sant’Angelo era il comu- ne più esposto a recepire l’impulso politico proveniente dal- l’esterno, di matrice liberale, come nel 1820-21, nel 1848-49 o nel 1859-60. Ma vi trovò terreno fertile anche l’impulso di se- gno opposto, filoborbonico, come la reazione che si accompa- gnò all’occupazione dei Napoleonidi: «Il fuoco della ribellione [che] ardeva in tutta la provincia», mirante a riportare sul trono il re spodestato, era acceso anche a Monte Sant’Angelo e farà sentire la sua forza devastatrice nell’occupazione dei briganti del 3 maggio 1814, che culminerà nell’incendio dell’archivio comunale e nel massacro di alcuni cittadini influenti. Nel periodo preso in esame, che va dal Decennio francese alla caduta della Monarchia borbonica restaurata, ma, come vedremo, anche in quelli successivi, gli avvenimenti esterni suscitarono vasta eco in paese, anche se solo in una piccola 9 minoranza, gli strati culturalmente e politicamente più sensibi- li della popolazione – ma era così anche altrove –, mostrando come il nostro comune non era un’isola staccata dal mondo, ma, al contrario, era una realtà viva e pulsante, in linea con quello che avveniva nel resto della provincia. Eccettuato qualche fugace momento di insolita agitazione e il grande brigantaggio postunitario, l’unico fenomeno che vide coinvolta veramente la vasta massa del popolo, e per il quale possiamo parlare di partecipazione di massa, nella vera acce- zione del termine, è quello dell’occupazione delle terre dema- niali, specie a partire dalla «rivoltura» del 1848. Il Decennio francese (1806-15) va ricordato per la sua opera nell’ammodernamento dell’amministrazione e dell’apparato statale, ma soprattutto per la liquidazione della feudalità e dei demani. L’analisi di quest’ultima, ancorché sommaria, consen- te di inquadrare storicamente la nostra indagine. Decretate dalle leggi 2 agosto e 1° settembre 1806, le rifor- me consistevano nell’abolizione dell’ordinamento feudale e nella creazione di uno stato governato dal centro, con eguali istituzioni e leggi. In particolare, le leggi eversive della feuda- lità decretarono la «divisione in massa», fra baroni e comuni, del demanio feudale e il successivo riparto fra i cittadini della parte toccata ai secondi. Venivano poste, così, le basi per la nascita della proprietà fondiaria privata, individuale, libera, alie- nabile. Prima di allora, la forma di proprietà terriera dominante era stata il possesso condominiale della terra, diviso fra usu- fruttuario (barone, comune, ente ecclesiastico) e usuario (la popolazione residente)1. Allo stesso obiettivo, la restituzione alla libera circolazione della terra, mirava anche la soppressione degli enti ecclesiastici. Le riforme del Decennio, liberando le forze economiche dalle pastoie giuridiche e politiche feudali, determinarono una rivo- 1 Per questi argomenti si rimanda al libro di M. TRANASI, Dalla Proprie- tà Comune alla Proprietà Privata - Monte Sant’Angelo 1806-1860, Leone Editrice, Foggia, 1994. 10 luzione nei rapporti della proprietà terriera e del lavoro, impri- mendo una spinta progressiva al Regno. Con la caduta di Napoleone i Borboni tornarono sul trono di Napoli, che assumerà il nome di Regno delle Due Sicilie. Ma non si trattò di una restaurazione in pristinum, cosa impossibi- le. Le disposizioni concernenti quelle che potremmo chiamare le conquiste borghesi del Decennio furono mantenute. Con la legge 11 dicembre 1816 i Borboni tacitamente conservarono l’abolizione della feudalità, con quella organica del 12 dicem- bre successivo ribadirono che i demani comunali dovessero essere divisi tra i cittadini mediante la prestazione d’un annuo canone a favore dei comuni. Ma gli elementi di continuità con l’ancien régime erano così forti, che, alla fine, finirono per avere la meglio, vanificando, in gran parte, lo scopo delle leggi napo- leoniche. Nel caso di Monte Sant’Angelo, per esempio, nei decenni preunitari non si porrà mai mano alla quotizzazione, cioè alla distribuzione delle terre ai contadini, né allo sciogli- mento della promiscuità, né si avranno soppressioni di enti ec- clesiastici – al contrario fu ristabilito qualche convento. Si ve- rificherà, invece, un restringimento delle aree di uso collettivo e dei diritti di uso civico, a tutto vantaggio della grande pro- prietà dei «galantuomini». E se si allargherà anche la fetta di proprietà particellare, ciò avverrà per le vie illegali, con l’occu- pazione abusiva delle terre civiche da parte degli strati popola- ri, e non per volontà delle istituzioni. Le leggi sui demani non valsero perciò a modificare sensibilmente la situazione esisten- te nelle nostre campagne: dal punto di vista dei rapporti sociali le cose qui non cambiarono granché. Se sul piano dell’economia ci si stava incamminando, con l’ascesa della borghesia, verso uno svecchiamento delle tradi- zionali strutture economiche e sociali del Regno, niente lascia- va intravedere che la stessa cosa si sarebbe avuta sul piano po- litico. La restaurazione borbonica, impersonata da re Ferdinando I, significò un ritorno all’assolutismo regio, ben noto alle po- polazioni meridionali. Ad opporvisi fu proprio la borghesia ter- 11 riera ed intellettuale e lo fece in nome di una costituzione e di un parlamento elettivo, che potevano assicurarle una posizione di diritto pari a quella di fatto che già deteneva. Il caposaldo della libertà, del progresso e del cambiamento, veniva conside- rato l’inviolabilità della proprietà privata. Questa era la vera pierre de touche della vita economica e della società in epoca borbonica. La Capitanata fu, come ebbe a scrivere il Colletta, «la più celere e la più concorde», fra le province del Regno, ad aderire alla Carboneria. A farne parte erano gli strati superiori della popolazione: proprietari, funzionari pubblici, professionisti, preti, commercianti e artigiani. E questo perché la Carboneria era una setta segreta esclusiva, della quale potevano far parte solo i cittadini «migliori per beni di fortuna, per natali cospi- cui, per vigor della persona» (il passo virgolettato è di G. Pepe). Gli strati popolari non ebbero alcuna parte, non solo perché non potevano, ma anche perché non erano interessati a riforme politiche quali la costituzione o il parlamento. Se non è certo, è molto verosimile che il contadiname di quel tempo non sapesse neanche cosa fossero.
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