La Strana Guerra Della Regia Marina
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1 LA STRANA GUERRA DELLA REGIA MARINA di Emilio Bonaiti Ci vogliono tre anni alla Marina per costruire una nave. Ce ne vogliono trecento per ricostruire una reputazione. Andrew Cunningham Gli uomini combattono, non le navi. Nelson La dottrina strategica - I capi - Le navi da battaglia - Le azioni navali - La guerra dei convogli - I sommergibili - I mezzi d’assalto - La cooperazione aeronavale – Malta - La portaerei - La fine. In questo lavoro si farà completa astrazione da luoghi comuni come sfortuna, valore, coraggio, ardimento, fede, abnegazione o eroismo, perché queste virtù furono appannaggio di tutti i marinai, i vivi e i morti, gli sconfitti e i vincitori che combatterono, con alterne fortune, i lunghi, sanguinosi anni della seconda Guerra Mondiale. Il lettore di storia che scrive, scorrendo la memorialistica e la storiografia postbelliche molto spesso assolutorie e strappalacrime, molto spesso con il celato obiettivo di nascondere crude verità, si è chiesto perché in questo amatissimo Paese non è stato iniziato e portato avanti un sia pure doloroso processo alle cause della vergognosa sconfitta patita nel 1943. Si è chiesto perché, con attenuazioni, negazioni e rimozioni si è fatta cadere soltanto sul capo del governo dell’epoca, massimo ma non unico colpevole, che Benedetto Croce avrebbe chiamato “una testa di turco”, tutta e per intera la responsabilità della più grande tragedia dell’Italia contemporanea. Cavagnari, Iachino, Riccardi, l’elenco sarebbe lungo, non furono chiamati a rispondere delle loro azioni in un paese nel quale il generale Ramorino nel 1849 fu il primo e unico generale condannato a morte e fucilato. Il peccato originario del Paese è stato di non avere fatto i conti con le cause e gli autori della sconfitta del 1943. °°° Quando nel giugno 1940 il duce del fascismo, capo del governo, ministro degli Interni, degli Esteri, della Guerra, della Marina, dell’Aeronautica, delle Colonie, delle Corporazioni e dei Lavori Pubblici ruppe gli indugi e scese in campo, la situazione militare in Europa era risolta a favore della Germania che aveva sbaragliato, dopo quello polacco, norvegese, danese, belga e olandese, l’esercito francese e l’esercito britannico. Sulla sua decisione va ricordato che lo storico marxista E. J. Hobsbawn nel suo Il secolo breve scriveva: “[…] concluse erroneamente ma non del tutto irragionevolmente che i Tedeschi avevano vinto”. Di certo l’Italia entrò in guerra, come già era avvenuto nella prima Guerra Mondiale, con la convinzione di un conflitto breve. Se infatti la guerra fosse finita nel giugno 1940, Mussolini l’avrebbe vinta senza combattere, applicando uno dei principi di Sun Tzu: “Il miglior generale è colui che vince il nemico senza spargere sangue e senza spreco di risorse”. Il Capo delle forze armate per delega di Vittorio Emanuele Terzo, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia, aveva dichiarato solennemente al Senato il 30 marzo 1938: “In Italia, come 2 fu in Africa, [la guerra] sarà guidata agli ordini del Re da uno solo, da chi vi parla, se ancora una volta questo grave compito gli sarà destinato dal destino”. La Regia Marina tra le tre Forze Armate era sicuramente quella meglio preparata al “supremo cimento” e quella i cui risultati furono i più scadenti. I programmi delle nuove costruzioni erano quasi completi, ma va ricordato che, come scrive de Gaulle: “Al capo militare le armi che dovrà maneggiare non sembrano mai né troppo affilate né troppo solide”. Si evidenziò la mancanza di una visione strategica, di un’organizzazione interforze, di mezzi tecnici, radar ed ecogoniometri, di spirito d’iniziativa, con in più un’assoluta impreparazione alla guerra dei convogli. L’Aeronautica, battuta in partenza per la sua inferiorità tecnologica, diede tutto quello che aveva. L’Esercito, dopo i disastri iniziali, lottò ferocemente in Africa, sia pure supportato dall’AfrikaKorps, combattendo fino alla resa. Per la struttura gerarchica creatasi, il Capo di Stato Maggiore aveva anche la carica di Sottosegretario alla Marina. Cavagnari ricoprì tale carica dal 7 novembre 1933 all’11 dicembre 1940, sostituito da Riccardi fino al 25 luglio 1943 e da De Courten fino al 3 gennaio 1945. Il primo giugno 1940 nasceva Supermarina (Supremo Comando della Marina), vertice della gerarchia navale. Con il compito primario di promuovere e dirigere a livello strategico le operazioni belliche, aveva ai suoi ordini l’intero apparato della Marina. Fu definita “Il cervello che guidava la flotta”. In pratica Supermarina intervenne continuamente e pesantemente sulla condotta del comandante in mare, che, in teoria, decide da solo e autonomamente in base alla situazione cui si trova di fronte. Di fatto, invece, l'Ufficiale in comando era ridotto a un esecutore di ordini cui era affidata solo la parte tattica dell’azione. Al contrario, nella flotta britannica lo spirito offensivo dei comandanti in mare era una costante, e ad esempio l'ammiraglio comandante della flotta nel Mediterraneo dirigeva le operazioni “sul posto”, muovendosi con larga autonomia da Londra. Il capo di Supermarina era in pratica il Sottocapo di Stato Maggiore, nella cui carica si susseguirono gli ammiragli Somigli, Campioni e Sansonetti. Secondo un antico costume i “cambi della guardia” si susseguirono anche nella Regia Aeronautica ove, nella conduzione dell’Arma, si alternarono Francesco Pricolo sino al novembre 1941, Rino Corso Fougier fino al luglio 1942 e Renato Sandalli fino all’8 Settembre. Il generale Giuseppe Santoro fu più fortunato: rimase Sottocapo di Stato Maggiore per tutta la durata del conflitto. Nel Piano di Guerra del 31 marzo 1939, premesso che: “L’Italia non può rimanere assente, che la guerra sarà parallela a quella della Germania, che non è in grado di affrontare una guerra lunga e che bisogna fare in modo che il suo intervento determini la decisione”, il primo guerriero d’Italia disponeva: “Su terra difensiva assoluta (Alpi, Libia, Egeo) salvo operazioni secondarie dall’isolata Africa Orientale; progetti balcanici solo in caso di crollo interno jugoslavo; in cielo l’Aeronautica si sarebbe adeguata all’Esercito e alla Marina, sul mare offensiva su tutta la linea in Mediterraneo e fuori”. Sull’offensiva navale Mussolini non aveva dubbi. Era confortato infatti dalle parole dell’ammiraglio Cavagnari, che in un discorso tenuto il 15 marzo 1938, a guerra lontana, aveva proclamato che la Marina era in grado di affrontare le più grandi marine del mondo. Il primo marinaio torna sull’argomento davanti alla Camera il 10 maggio 1939-XVII e testualmente afferma: “Le esercitazioni di tiro e di lancio vengono, al presente, compiute con accorgimenti e modalità che riproducono il più esattamente possibile la realtà di guerra nelle sue multiformi varietà e difficoltà, nelle sue repentine variabilità, in tutte, insomma, le immaginabili situazioni in cui possono verificarsi gli scontri in mare con un nemico agguerrito”, sollevando: vivacissimi, prolungati, reiterati applausi nell’uditorio. Il 29 maggio dello stesso anno, davanti al Senato, aggiunge: “Definisco soddisfacente la situazione attuale della Marina, e, poiché è mio costume far cauto uso degli aggettivi e promettere meno di quel che posso mantenere, il Senato può affidarsi al significato rigorosamente esatto di 3 questa mia definizione. Navi e armi non temono il confronto con le similari di qualunque altra Potenza navale”. Nel Promemoria consegnato a Mussolini il 14 aprile 1940, il tono è molto diverso. L'Ammiraglio Cavagnari chiede che vanga interpretata e precisata la direttiva “Offensiva su tutta la linea”. Parla di: “Due ingenti complessi” riferendosi alle forze francesi e inglesi, aggiunge le forze turche e jugoslave; discute di situazione geografica: “a noi avversa”; auspica la: “conquista della Grecia”; sostiene: “Anche la guerra dei sommergibili potrebbe avere, in Mediterraneo, scarsi risultati”; lamenta la deficienza delle basi: “nel numero e nell’attrezzamento e nel naviglio silurante”; la scarsità dell’aviazione da ricognizione marittima, e come vaticinio finale, conclude: “Alla pace l’Italia potrebbe giungere non soltanto senza pegni territoriali, ma anche senza flotta e forse senza aeronautica”. In questo si sbagliava, poiché la Squadra Navale giunse alla fine della guerra nel pieno della sua efficienza. Il 9 aprile Badoglio, in una riunione dei Capi di Stato Maggiore, gli era venuto incontro: “Circa l’azione a fondo della Marina, io dico che bisogna interpretarla nel senso di non gettarsi a testa bassa contro la flotta inglese e francese, ma di assumere una dislocazione, soprattutto con i sommergibili, atta a intralciare il traffico degli avversari”. In data 29 maggio 1940 era emessa la prima direttiva Di.Na.0 (zero) divisa in tre parti: Ipotesi di guerra Alfa Uno, Apprezzamento della situazione, Concetti generali di azione da parte nostra nel Mediterraneo, senza nessun riferimento alla guerra nell’oceano Atlantico e in Africa Orientale. Nella prima la direttiva valutava il “contegno” delle potenze minori nel Mediterraneo. Nella seconda la dislocazione delle forze inglesi e francesi che avrebbero attaccato gli: “Elementi mobili del dispositivo del Canale di Sicilia e il Possedimento dell’Egeo, bombardato Tobruch, le nostre basi, i centri costieri liguri e carboniferi sardi, Tripoli, città costiere della Sicilia e ricercato il combattimento contro nostre forze in condizioni favorevoli”. Nella terza parte “Concetti generali di azione da parte nostra in Mediterraneo” si parlava di: “atteggiamento offensivo e controffensivo nello scacchiere centrale, difensivo