Archivio Camuccini Di Cantalupo Comunita' E Curia Baronale Inventario
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ARCHIVIO DI STATO DI RIETI ARCHIVIO CAMUCCINI DI CANTALUPO COMUNITA’ E CURIA BARONALE INVENTARIO a cura di Marilena Giovannelli Il condizionamento della documentazione è stato realizzato nell’ambito del progetto locale 2010 da Giuseppina Bigioni, Giuseppina Marella, Orlandino Santarelli. Alcuni dei volumi, registri e carte sciolte sono stati restaurati da Angelina Aniballi. L’Archivio In seguito all’acquisto da parte del Ministero dei beni culturali e ambientali, l’Archivio Camuccini di Cantalupo fu consegnato all’Archivio di Stato di Rieti il 15 settembre 1989, dove attualmente è conservato. Esso è costituito da 293 buste, che contengono 1262 unità archivistiche tra le quali si trovano fascicoli di carte sciolte, filze, pacchetti, libretti, quinterni, volumi e registri. La documentazione, ad eccezione di poche carte degli ultimi anni del secolo XV, risale in massima parte ai secc. XVI-XVIII, con una ventina di buste del secc. XIX. La denominazione del fondo non chiarisce la sua articolata vicenda e non dà conto della stratificazione documentaria conseguente, anzi potrebbe indurre qualche ambiguità riguardo alla sua formazione originaria. In primo luogo occorre dire che non si tratta né dell’archivio di un comune né di una famiglia nel senso proprio del termine, potendo individuare al suo interno diversi nuclei documentali, che possiamo sintetizzare come segue: - CARTE DELLA COMUNITA’, serie di lettere, libri dei consigli, libri di lettere e patenti, entrate e uscite, esazioni, sale e grascia. - CURIA GIURISDIZIONALE del “domino” per circa tre secoli. - CARTEGGIO dei personaggi appartenenti alle famiglie che negli ultimi decenni hanno goduto la proprietà del feudo e degli altri immobili, ma sono estranei al nucleo originario del fondo. La documentazione di carattere economico e diverse lettere dei secc. XV-XVIII sono state prodotte dagli ufficiali della comunità di Cantalupo, che si muovevano nell’interesse degli uomini del castello, ma nell’ambito di quella rete di relazioni caratterizzata dalla subordinazione “al domino, al padrone, al principe” del castello stesso. Una figura proveniente dai ranghi delle famiglie più cospicue che, in età moderna, si sono avvicendate nel governo di questo territorio, si tratta dei Sabelli, dei Cesi, dei Vaini,dei Lante della Rovere. L’attività giurisdizionale del principe, esplicata tramite un ufficiale da lui stesso eletto nella curia, ha dato luogo alle carte che costituiscono il corpo centrale del fondo. Gli sviluppi storici ulteriori ci allontanano da questo quadro. Dopo il declino degli antichi regimi europei e dello stato papale, quando ormai la feudalità era stata sconfitta e non aveva più funzioni attive nell’amministrazione locale, avvenuta l’unificazione italiana, Giovan Battista Camuccini acquistò il Palazzo Cesi e le proprietà residue. Questi eventi chiudono il ciclo storico di questo archivio, che assumerà pertanto la denominazione “Archivio Camuccini di Cantalupo”, serbando nella sua struttura più recondita una realtà un po’ più complicata. La sezione relativa al pittore neoclassico 1 consiste di sei buste che non hanno nulla in comune con l’originaria sedimentazione e la struttura descritta nel presente inventario, ad eccezione delle carte sull’acquisizione dei possedimenti e del feudo. Cantalupo, il castello Per completare il quadro richiamiamo alla memoria alcune brevi notizie sulla storia di Cantalupo. Questa località appartiene alla provincia di Rieti dal 1927, anno in cui fu creata dall’unione di due aree territoriali differenti: i mandamenti appartenenti all’Umbria provenienti dall’ex- Stato Pontificio, il circondario di Cittaducale distaccato dall’Abruzzo, nel Regno di Napoli. Il territorio di Cantalupo aveva risentito della colonizzazione romana, cosparso di ville rustiche e residenziali, durante l’alto medioevo ebbe probabilmente insediamenti vichiani, e per sfuggire alle distruzioni barbariche, seguì la sorte di altri luoghi della Sabina, fu incastellato nel punto più alto del suo territorio (secc. VIII-IX). Le prime notizie sull’esistenza di un “Castrum Cantalupi” si trovano nel Regesto Farfense intorno all'anno 1037. I conti di Cuneo furono i primi "consorti" 1 Le carte riguardanti il pittore Vincenzo Camuccini (1771-1844) sono riunite in sei buste, il cui inventario analitico è stato compilato da I. Ceccopieri, L’Archivio Camuccini inventario , in “Miscellanea della SRSP”, MXXXII, Roma 1990. 2 ad insediarsi nella primitiva rocca, cui seguì il "Palatium" dei Conti di S. Eustachio nei secc. XIII-XIV. Il castello di Cantalupo passò quindi ai Savelli, che dominarono fino ai primi decenni del sec. XVI. Seguirono i Cesi di Acquasparta e di Rignano che nel sec. XVI e XVII lo trasformano in un palazzo residenziale denominato Palazzo Cesi. Dopo l’acquisto di Guido Vaini, marchese di Vacone, il castello e il feudo passarono per questioni dinastiche ai Lante della Rovere, che vi restarono sino al 1804. In seguito ad intricate vicende enfiteutiche ed economiche, la proprietà del palazzo, il vasto patrimonio terriero e i diversi possedimenti immobiliari passarono nelle mani di diversi personaggi, si cita ad esempio l’acquisizione del Patriziato Sabino, poi dei Simonetti, quindi della famiglia francese De Podenas. Nel 1862 Giovanni Battista Camuccini, figlio del pittore neoclassico Vincenzo, acquistò il patrimonio dell'ex feudo e trasformò il "Palazzo" in un museo. La storia amministrativa e istituzionale della comunità di Cantalupo fu segnata dal legame di tipo feudale istituito tra i diversi “signori” e il potere papale, che nonostante gli episodi di attrito rimase in vita fino al secolo XIX. E’ evidente che il processo di centralizzazione dello Stato pontificio avvenuto nel corso dei secoli XVII-XVIII, ebbe ripercussioni differenti e si manifestò con modalità diverse rispetto a quelle comunità che avevano avuto un’esperienza più o meno breve di autonomia cittadina. Cantalupo divenne una comunità indirettamente soggetta alla Camera apostolica, alla caduta del sistema feudale, passò al Governo pontificio (1816). Nel 1861 entrò a far parte del Regno d'Italia, aggregato alla provincia di Perugia, poi a quella di Roma, infine nel 1927 venne incluso nella nuova provincia di Rieti. La struttura istituzionale di una comunità feudale Lo statuto, conservato in copia ottocentesca, fu pubblicato nella seconda metà del secolo XV (1466). La raccolta normativa doveva regolare i rapporti tra il comune, gli uomini di Cantalupo e il “domino”, Ostilio Savello. Rapporti che si svolgevano all’interno di un accordo più ampio istituito tra il pontefice e i ceti nobiliari di questo territorio, ai quali venivano elargite concessioni e attività di governo, senza dimenticare l’influenza esercitata dalle peripezie della corte pontificia e dal processo di riaffermazione dell’autorità statale attuatosi nei secoli centrali dell’età moderna. I priori di Cantalupo e il consiglio, che era composto da un uomo per ogni focolare, si facevano carico dell’ordinaria amministrazione, coadiuvati dai massari e dal camerario grosso. Quest’ultimo era responsabile dei proventi e redditi della comunità, doveva stare alla porta e riceve “de mane” le dative e le collette autorizzate dal consiglio. La registrazione di tutti i cespiti era demandata ad un notaio. Talvolta l’ufficiale poteva essere affiancato da camerari-depositari ai quali venivano affidati introiti particolari o esazioni distinte. Uno dei compiti principali della magistratura era la ripartizione le “coltarole” relative alle spese per i servizi necessari alla comunità, come il notaio-cancelliere, il medico denominato variamente cerusico, barbiere, chirurgo. Inoltre il maestro e il predicatore. Non di meno si occupava del carico derivante dalle imposizioni destinate alla Reverenda camera apostolica, i cosidetti pesi camerali. L’organizzazione dell’ammasso del grano e altre grasce o la distribuzione del sale, era demandata ai massari e agli appaltatori, ma la supervisione delle imposizioni e degli aumenti di prezzo erano saldamente nelle mani del camerario, il quale insieme ai priori regolava i rapporti sia con i Monti (frumentario e di pietà) che con altri soggetti erogatori di prestiti, tra questi personaggi era preponderante il domino del castello. L’operazione, utilizzata anche per miglioramenti nel settore agrario, come l’acquisto di bovi aratori, dava luogo ai così detti censi, che impegnavano la comunità anche per lunghi periodi, e per la loro estinzione di utilizzavano beni appartenenti alla comunità. 3 Spesso le intitolazione dei libretti erano soggette a lievi differenze, che non mutano il contenuto del documento, ma è utile riportare alcuni esempi: Libro del monte, nota del grano e denari del monte Libro del grano del monte della grasciaria Libro del monte del grano Libro dell'abbondanza della terra di Cantalupo Dispensa del grano della grasciaria fatto dai grascieri dell'imprestanza del 1755, da riscuotersi l'anno 1756 esatto e non esatto secondo il solito Libro della spelta dovuta all'eccellentissimo padrone maturata per la paga Libro della spelta per le paghe Libro di esigenza del barbiere e del chirurgo Coltarola della provisione da darsi al padre predicatore per la quadragesima Libro delle entrate e uscite della comunità che perverranno nelle mani del camerario grosso Libro e coltarola del medico Libro grosso delle entrate della comunità Libro del camerario grosso Libro infernale dei debitori della comunità cavati da più libri finiti di riscotere, coi fitti e le stime dei danni dati e fide Libro o coltarola di Francesco de ser Ludovico