Le Lotte Nelle Campagne Pavesi: 1945-1950

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Le Lotte Nelle Campagne Pavesi: 1945-1950 Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 L ’azione del movimento contadino pavese dopo la liberazione riprende in maniera ampia e articolata: entrano in lotta i mezzadri, entrano in lotta i braccianti e sala­ riati fissi delle due zone della pianura irrigua (est Ticino e Lomeilina), ai quali si aggiungono in quegli anni oltre 55.000 mondine, e si sviluppa a partire dal 1948 un esteso movimento per l’occupazione delle terre demaniali situate lungo il Po. Erano notevoli, nella provincia, l’importanza e il peso del proletariato agricolo e i suoi legami con l’organizzazione sindacale erano molto stretti: in base ai dati sindacali riguardanti il 1947, la provincia di Pavia ha 65.151 iscritti alla Federbrac- cianti, è superata solo da Ferrara (110.828 iscritti) e da Bari e precede province come Bologna, Rovigo, ecc 1. Anche in provincia di Pavia, però, nonostante la grande ampiezza delle lotte negli anni che vanno dal 1945 al 1950, il movimento contadino non riesce a incidere in maniera decisiva sul fronte avversario. Analizzare le ragioni di ciò significa ten­ tare di mettere in luce i rapporti di forza reali in quegli anni e il loro mutare, e riflettere criticamente sull’impostazione generale del movimento sindacale e delle forze politiche di sinistra. La debole incisività del movimento contadino nella prima fase è utilizzata pienamente dal fronte agrario pavese. Quest’ultimo, dopo la libe­ razione, è inizialmente disorientato e incerto, in posizione prevalentemente difen­ siva, anche a causa dei legami strettissimi avuti in precedenza col fascismo, l’as­ senza di tempestive misure generali tali da indebolirlo seriamente — sul terreno della riforma agraria, della tassazione, della epurazione — contribuisce però a fargli riprendere fiducia e iniziativa. È un’iniziativa che può contare, in provincia di Pavia, su una stretta unione fra affittuari e proprietari, e che è volta a dividere i piccoli proprietari dai mezzadri e dai salariati e braccianti, oltre che a difendere con durezza i rapporti di proprietà, i rapporti di potere nell’azienda capitalistica e anche i rapporti di conduzione più arretrati come la mezzadria (classica e impro­ pria). Più in generale, il fronte agrario rinsalda i suoi legami con il potere sta­ tale, con l’ordinamento degli enti in agricoltura; lavora a riconquistare, anche grazie a questo legame, quegli strumenti di controllo sul mercato del lavoro nelle campagne che la ripresa del movimento di classe aveva cominciato a sottrargli. 1 Cfr. la tabella contenuta neH’Archivio nazionale della Federbraccianti, a Roma (d’ora in poi citato con la sigla: ANF), nella busta « Segreteria 1949 »; sempre in ANF, in una delle buste contrassegnate « Materiale storico », vi sono i dati sull’orientamento politico di 37.715 iscritti, in base al voto che precede il Congresso nazionale di Ferrara della Federbraccianti (gennaio 1948): corrente comunista 29.000 voti; corrente socialista 7.000 voti, corrente demo- cristiana: 1.300 voti; corrente repubblicana: 115 voti; indipendenti: 300 voti. 56 Guido Crainz Molti studi recenti hanno individuato una caratteristica di quegli anni, su cui aprire la riflessione, nel divario fra l’intensità delle lotte del movimento contadino e i risultati che esso riesce a raggiungere2. Nella storia del movimento contadino pavese troviamo non semplicemente una conferma di quel divario, ma elementi che rendono ancora più drastico il giudizio su esso e sulla sua ampiezza. Da quel divario derivarono conseguenze profonde: alla prima, grave sconfitta del prole­ tariato agricolo pavese, nell’autunno del 1950, venuta dopo grandi lotte, segue in­ fatti una ristrutturazione capitalistica nelle campagne che muta profondamente la composizione di classe dell’intera provincia, facendo emergere un assetto sociale che nega radicalmente le istanze di rinnovamento espresse dal movimento con­ tadino. Essa si può affermare a partire dalla lenta erosione di quel tessuto sociale decisivo costituito dal proletariato agricolo, costretto a cercare altrove una diversa e spesso ancor più subalterna collocazione sul mercato del lavoro: tutto ciò non sarebbe stato possibile senza una preventiva sconfitta e un pesante indebolimento dell’or­ ganizzazione di classe, tale da ridurre drasticamente la forza contrattuale e poli­ tica dei circa centomila braccianti e salariati fissi pavesi. Analoga riflessione può essere fatta per la questione mezzadrile. È già stato osser­ vato 3 che sul piano nazionale restano sempre più sullo sfondo, nell’impostazione sindacale della lotta dei mezzadri, alcune questioni qualificanti riguardanti la na­ tura stessa del rapporto di mezzadria: anche questo ha in sostanza l’effetto di far ripiegare e isolare lotte che pure erano state ampie, aspre e portatrici poten­ zialmente di contenuti profondamente alternativi all’assetto tradizionale in agri­ coltura. A questi elementi se ne aggiunsero altri particolari della provincia di Pavia, sui quali ritorneremo, che accentuarono il carattere molto parziale dei risultati rag­ giunti, con precise conseguenze sullo sviluppo economico complessivo e sulle modificazioni della composizione di classe nella provincia. Una recente pubbli­ cazione curata dalla Camera del lavoro di Pavia, dopo aver ricordato che i mez­ zadri erano « nel 1945 una componente di tutto rispetto: 4.500 solo nell’Oltrepò », mentre ora sono una categoria composta da « meno di 250 nuclei familiari », con­ stata che « sono pochi i mezzadri che sono riusciti a trasformarsi in coltivatori diretti o affittuari, molti sono diventati piuttosto dei braccianti stagionali » 4. In generale, dunque, l’analisi dello sviluppo del movimento nelle campagne pavesi e delle sue caratteristiche rimanda ad alcune questioni centrali riguardanti il rap­ porto fra movimento contadino e ricostruzione, le scelte delle forze capitalistiche, e la strategia delle sinistre in quegli anni. È utile farvi cenno qui, rilevando di volta in volta come alcuni temi fossero avvertiti, in maniera diversa, già allora ed entrassero nel dibattito politico e sindacale. Cercheremo poi di analizzare, a par­ tire da questi nodi problematici, lo svilupparsi del movimento nelle campagne pavesi e le sue caratteristiche, nella convinzione che siano oggi necessarie soprat­ tutto ricerche locali, attente alla dinamica del movimento di classe. 2 Cfr. ad es. paolo pezzino, Riforma agraria e lotte contadine nel periodo della ricostruzione, in «Italia Contemporanea», 1976, n. 122, p. 66 e sgg.; Anna ro ssi doria, Appunti sulla politica agraria del movimento operaio nel secondo dopoguerra in Italia, 1944-48, in « Italia Contem­ poranea », 1976, n. 123, p. 73 e sgg.; Manlio talamo - clara de marco, Lotte agrarie nel mezzogiorno 1943-44, Milano, 1976 (su questo punto si sofferma anche l’introduzione di Enrico Pugliese). 3 Cfr. p. pezzino, Riforma agraria e lotte contadine, cit., p. 71 e sgg. * Cfr. Ottanta anni della Camera del lavoro di Pavia, Varese, 1973, p. 28. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 57 Movimento contadino e ricostruzione: alcune osservazioni Al VII congresso del PCI pavese, in un tentativo di andare alla radice dei pro­ blemi, imposto dallo stesso esito dello sciopero bracciantile del 1950, il segre­ tario della Federbraccianti, Balestrerò, dovette riconoscere che per la riforma agraria non si era andati oltre la propaganda sui progetti di legge della sinistra. Siamo nel 1951, cioè dopo la legge-stralcio, e Balestrerò aggiunge: «per la ri­ forma fondiaria non abbiamo ancora fatto un profondo studio delle condizioni economiche della provincia, limitandoci al solo problema delle terre demaniali, che non ci hanno dato quei risultati previsti». Grieco, presente al congresso, polemizza contro chi « ha pensato che la riforma fondiaria nel nord non esistesse » 5. In queste affermazioni, all’interno di un dibattito che avviene all’indomani di una grave sconfitta e in una provincia in cui il proletariato agricolo è fra i più forti e maggiormente legati all’organizzazione sindacale, viene sottolineata quella separa­ zione che di fatto si determinò, all’interno dell’impostazione delle sinistre e del sindacato di classe, fra la lotta per la terra al sud e la lotta per il miglioramento dei contratti al nord: una separazione su cui tornerà a riflettere ancora il movimento sindacale e la sinistra, e che è stata sottolineata da alcuni studi recenti su quegli a n n i6. i| ■ Non si trattò, in realtà, di una semplice separazione. Da un lato, al sud e nel Lazio, la parola d’ordine della « terra ai contadini » non venne lanciata subito, nel 1944 — nonostante fosse già molto netto l’orientamento delle lotte dei contadini senza terra —, ma verrà lanciata nel 1947, quando già i rapporti fra le classi e il quadro politico erano profondamente mutati7. Più in generale, nell’impostazione delle sinistre la riforma agraria era inizialmente rimandata alla Costituente: in questo modo fu separata di fatto, ad esempio, dalla lotta per l’applicazione del de­ creto Gullo sulle terre incolte e malcoltivate. Ciò aprì oggettivamente un varco all’iniziativa della Democrazia cristiana che, ottenendo nel febbraio 1946 di pri­ vare la Costituente del potere legislativo8, ottenne in realtà di non affrontare que­ ste e altre rilevanti questioni prima di aver potuto lavorare efficacemente alla ri­ costituzione di un consistente blocco moderato. 5 II resoconto degli Interventi in « La voce di Vigevano », organo del Partito comunista, il 10 gennaio 1951. Una commissione apposita è dedicata a questa analisi, e diverse voci vi si riferiscono anche nel dibattito assembleare.
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