Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950

L ’azione del movimento contadino dopo la liberazione riprende in maniera ampia e articolata: entrano in lotta i mezzadri, entrano in lotta i braccianti e sala­ riati fissi delle due zone della pianura irrigua (est Ticino e Lomeilina), ai quali si aggiungono in quegli anni oltre 55.000 mondine, e si sviluppa a partire dal 1948 un esteso movimento per l’occupazione delle terre demaniali situate lungo il Po. Erano notevoli, nella provincia, l’importanza e il peso del proletariato agricolo e i suoi legami con l’organizzazione sindacale erano molto stretti: in base ai dati sindacali riguardanti il 1947, la provincia di ha 65.151 iscritti alla Federbrac- cianti, è superata solo da Ferrara (110.828 iscritti) e da Bari e precede province come Bologna, Rovigo, ecc 1. Anche in provincia di Pavia, però, nonostante la grande ampiezza delle lotte negli anni che vanno dal 1945 al 1950, il movimento contadino non riesce a incidere in maniera decisiva sul fronte avversario. Analizzare le ragioni di ciò significa ten­ tare di mettere in luce i rapporti di forza reali in quegli anni e il loro mutare, e riflettere criticamente sull’impostazione generale del movimento sindacale e delle forze politiche di sinistra. La debole incisività del movimento contadino nella prima fase è utilizzata pienamente dal fronte agrario pavese. Quest’ultimo, dopo la libe­ razione, è inizialmente disorientato e incerto, in posizione prevalentemente difen­ siva, anche a causa dei legami strettissimi avuti in precedenza col fascismo, l’as­ senza di tempestive misure generali tali da indebolirlo seriamente — sul terreno della riforma agraria, della tassazione, della epurazione — contribuisce però a fargli riprendere fiducia e iniziativa. È un’iniziativa che può contare, in provincia di Pavia, su una stretta unione fra affittuari e proprietari, e che è volta a dividere i piccoli proprietari dai mezzadri e dai salariati e braccianti, oltre che a difendere con durezza i rapporti di proprietà, i rapporti di potere nell’azienda capitalistica e anche i rapporti di conduzione più arretrati come la mezzadria (classica e impro­ pria). Più in generale, il fronte agrario rinsalda i suoi legami con il potere sta­ tale, con l’ordinamento degli enti in agricoltura; lavora a riconquistare, anche grazie a questo legame, quegli strumenti di controllo sul mercato del lavoro nelle campagne che la ripresa del movimento di classe aveva cominciato a sottrargli.

1 Cfr. la tabella contenuta neH’Archivio nazionale della Federbraccianti, a Roma (d’ora in poi citato con la sigla: ANF), nella busta « Segreteria 1949 »; sempre in ANF, in una delle buste contrassegnate « Materiale storico », vi sono i dati sull’orientamento politico di 37.715 iscritti, in base al voto che precede il Congresso nazionale di Ferrara della Federbraccianti (gennaio 1948): corrente comunista 29.000 voti; corrente socialista 7.000 voti, corrente demo- cristiana: 1.300 voti; corrente repubblicana: 115 voti; indipendenti: 300 voti. 56 Guido Crainz

Molti studi recenti hanno individuato una caratteristica di quegli anni, su cui aprire la riflessione, nel divario fra l’intensità delle lotte del movimento contadino e i risultati che esso riesce a raggiungere2. Nella storia del movimento contadino pavese troviamo non semplicemente una conferma di quel divario, ma elementi che rendono ancora più drastico il giudizio su esso e sulla sua ampiezza. Da quel divario derivarono conseguenze profonde: alla prima, grave sconfitta del prole­ tariato agricolo pavese, nell’autunno del 1950, venuta dopo grandi lotte, segue in­ fatti una ristrutturazione capitalistica nelle campagne che muta profondamente la composizione di classe dell’intera provincia, facendo emergere un assetto sociale che nega radicalmente le istanze di rinnovamento espresse dal movimento con­ tadino. Essa si può affermare a partire dalla lenta erosione di quel tessuto sociale decisivo costituito dal proletariato agricolo, costretto a cercare altrove una diversa e spesso ancor più subalterna collocazione sul mercato del lavoro: tutto ciò non sarebbe stato possibile senza una preventiva sconfitta e un pesante indebolimento dell’or­ ganizzazione di classe, tale da ridurre drasticamente la forza contrattuale e poli­ tica dei circa centomila braccianti e salariati fissi pavesi. Analoga riflessione può essere fatta per la questione mezzadrile. È già stato osser­ vato 3 che sul piano nazionale restano sempre più sullo sfondo, nell’impostazione sindacale della lotta dei mezzadri, alcune questioni qualificanti riguardanti la na­ tura stessa del rapporto di mezzadria: anche questo ha in sostanza l’effetto di far ripiegare e isolare lotte che pure erano state ampie, aspre e portatrici poten­ zialmente di contenuti profondamente alternativi all’assetto tradizionale in agri­ coltura. A questi elementi se ne aggiunsero altri particolari della provincia di Pavia, sui quali ritorneremo, che accentuarono il carattere molto parziale dei risultati rag­ giunti, con precise conseguenze sullo sviluppo economico complessivo e sulle modificazioni della composizione di classe nella provincia. Una recente pubbli­ cazione curata dalla Camera del lavoro di Pavia, dopo aver ricordato che i mez­ zadri erano « nel 1945 una componente di tutto rispetto: 4.500 solo nell’Oltrepò », mentre ora sono una categoria composta da « meno di 250 nuclei familiari », con­ stata che « sono pochi i mezzadri che sono riusciti a trasformarsi in coltivatori diretti o affittuari, molti sono diventati piuttosto dei braccianti stagionali » 4. In generale, dunque, l’analisi dello sviluppo del movimento nelle campagne pavesi e delle sue caratteristiche rimanda ad alcune questioni centrali riguardanti il rap­ porto fra movimento contadino e ricostruzione, le scelte delle forze capitalistiche, e la strategia delle sinistre in quegli anni. È utile farvi cenno qui, rilevando di volta in volta come alcuni temi fossero avvertiti, in maniera diversa, già allora ed entrassero nel dibattito politico e sindacale. Cercheremo poi di analizzare, a par­ tire da questi nodi problematici, lo svilupparsi del movimento nelle campagne pavesi e le sue caratteristiche, nella convinzione che siano oggi necessarie soprat­ tutto ricerche locali, attente alla dinamica del movimento di classe.

2 Cfr. ad es. paolo pezzino, Riforma agraria e lotte contadine nel periodo della ricostruzione, in «Italia Contemporanea», 1976, n. 122, p. 66 e sgg.; Anna ro ssi doria, Appunti sulla politica agraria del movimento operaio nel secondo dopoguerra in Italia, 1944-48, in « Italia Contem­ poranea », 1976, n. 123, p. 73 e sgg.; Manlio talamo - clara de marco, Lotte agrarie nel mezzogiorno 1943-44, Milano, 1976 (su questo punto si sofferma anche l’introduzione di Enrico Pugliese). 3 Cfr. p. pezzino, Riforma agraria e lotte contadine, cit., p. 71 e sgg. * Cfr. Ottanta anni della Camera del lavoro di Pavia, Varese, 1973, p. 28. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 57

Movimento contadino e ricostruzione: alcune osservazioni

Al VII congresso del PCI pavese, in un tentativo di andare alla radice dei pro­ blemi, imposto dallo stesso esito dello sciopero bracciantile del 1950, il segre­ tario della Federbraccianti, Balestrerò, dovette riconoscere che per la riforma agraria non si era andati oltre la propaganda sui progetti di legge della sinistra. Siamo nel 1951, cioè dopo la legge-stralcio, e Balestrerò aggiunge: «per la ri­ forma fondiaria non abbiamo ancora fatto un profondo studio delle condizioni economiche della provincia, limitandoci al solo problema delle terre demaniali, che non ci hanno dato quei risultati previsti». Grieco, presente al congresso, polemizza contro chi « ha pensato che la riforma fondiaria nel nord non esistesse » 5. In queste affermazioni, all’interno di un dibattito che avviene all’indomani di una grave sconfitta e in una provincia in cui il proletariato agricolo è fra i più forti e maggiormente legati all’organizzazione sindacale, viene sottolineata quella separa­ zione che di fatto si determinò, all’interno dell’impostazione delle sinistre e del sindacato di classe, fra la lotta per la terra al sud e la lotta per il miglioramento dei contratti al nord: una separazione su cui tornerà a riflettere ancora il movimento sindacale e la sinistra, e che è stata sottolineata da alcuni studi recenti su quegli a n n i6. i| ■ Non si trattò, in realtà, di una semplice separazione. Da un lato, al sud e nel Lazio, la parola d’ordine della « terra ai contadini » non venne lanciata subito, nel 1944 — nonostante fosse già molto netto l’orientamento delle lotte dei contadini senza terra —, ma verrà lanciata nel 1947, quando già i rapporti fra le classi e il quadro politico erano profondamente mutati7. Più in generale, nell’impostazione delle sinistre la riforma agraria era inizialmente rimandata alla Costituente: in questo modo fu separata di fatto, ad esempio, dalla lotta per l’applicazione del de­ creto Gullo sulle terre incolte e malcoltivate. Ciò aprì oggettivamente un varco all’iniziativa della Democrazia cristiana che, ottenendo nel febbraio 1946 di pri­ vare la Costituente del potere legislativo8, ottenne in realtà di non affrontare que­ ste e altre rilevanti questioni prima di aver potuto lavorare efficacemente alla ri­ costituzione di un consistente blocco moderato.

5 II resoconto degli Interventi in « La voce di », organo del Partito comunista, il 10 gennaio 1951. Una commissione apposita è dedicata a questa analisi, e diverse voci vi si riferiscono anche nel dibattito assembleare. Oltre che a questo settimanale si farà via via rife­ rimento ai diversi settimanali del PCI pavese (inizialmente « La voce pavese », che esce come organo interno della Federazione provinciale del PCI; poi, dal luglio 1946 « Il Corriere della provincia », sostituito a sua volta — nel settembre 1947 — da « Avanguardia democratica »); 11 settimanale socialista « La plebe »; « la voce del campi », organo dell’Associazione agricol­ tori di Pavia; « Il coltivatore pavese », organo della Federazione provinciale coltivatori diretti; « Il popolo della » settimanale della DC di Mortara; « L’araldo lomellino », organo diocesano di Azione cattolica di Vigevano; « Il casteggiano », inizialmente « settimanale apo­ litico », poi — man mano che ci si avvicina al 1948 — fiancheggiatore sempre più aperto della DC; « La voce della Lomellina », formalmente indipendente ma su posizioni moderate. Si farà riferimento infine al quotidiano locale, « La provincia pavese ». 6 Cfr. GIANFRANCO bertolo, Roberto curti, libertario guerrini, Aspetti della questione agraria e delle lotte contadine nel secondo dopoguerra in Italia: 1944-1948, in « Italia Contemporanea », 1974, n. 117, pp. 30 e sgg. Sono qui citate alcune riflessioni di Sereni contenute in due scritti del 1955 e del 1956, che insistono su questi aspetti. 7 Cfr. le osservazioni di a. rossi doria, Appunti sulla politica agraria, cit., p. 73 e sgg.; per quel che riguarda gli orientamenti delle lotte al sud, cfr. m . talamo - c. de marco, Lotte agrarie, cit. 8 Cfr. Antonio gambino, Storia del dopoguerra dalla liberazione al potere DC, Bari, 1975, pp. 128-139. 58 Guido Crainz

D ’altro lato, la preoccupazione delle sinistre per la stabilità dei governi di coalizione e l’ipotesi di poter separare l’impresa capitalistica dalla grande proprietà assenteista portarono non solo a considerare la questione della terra come una questione ri­ guardante fondamentalmente il latifondo meridionale, ma anche, perlomeno sino alla fine del 1947, ad una impostazione sostanzialmente moderata delle piattafor­ me contrattuali dei braccianti e dei salariati. Quest’impostazione lasciava sullo sfondo non solo i grandi temi legati alla riforma agraria, ma anche quelli riguardan­ ti i rapporti di potere nell’azienda capitalistica, e portava inoltre al contenimento degli stessi obiettivi economici. Basti pensare, per quel che riguarda Pavia, che il patto-monda del 1946 e quello del 1947 provocarono anche delusione per i limi­ tati risultati raggiunti, e che dopo il contratto nazionale dei tagliariso del settembre 1947 — contratto firmato assieme all’accordo seguito al grande sciopero « dei 12 giorni » della Valle Padana — in Lomellina bisogna scioperare ancora perché l’accordo è inferiore alle condizioni preesistenti e gli agrari non riconoscono le « condizioni di miglior favore » 9. Basti pensare cioè che la disponibilità alla lotta del proletariato agricolo pavese, e in generale della Valle Padana, potè piena­ mente dispiegarsi e assumere obiettivi di grande respiro relativamente tardi, in particolare a partire dalla battaglia ampia e dura sul collocamento e dai grandi scioperi del 1948 e 1949: in una fase, cioè, in cui i rapporti di forza sono quasi irreversibilmente mutati. Vi è, in questo, un elemento almeno parziale di differenziazione fra le lotte con­ dotte nelle zone in cui prevale l’azienda capitalistica e quelle condotte nelle zone in cui prevale il latifondo. In queste ultime infatti — nel Lazio ad esempio — alle correzioni apportate dalla sinistra e dal PCI in particolare alla propria tattica nel- l’estate-autunno 1946, a seguito dei pesanti condizionamenti imposti dalle forze conservatrici presenti nel governo (e della delusione per i risultati del 2 giugno 10), corrisponde un forte impegno dell’organizzazione sindacale nelle lotte per le terre incolte e una intransigenza via via maggiore nella conduzione di esse, mentre una spinta contemporanea alla lotta non è ugualmente avvertibile al nord. Non si tratta di una differenza casuale o determinata da elementi contingenti: è pos­ sibile anzi collegarla alle linee generali in cui si riassumeva la politica del « nuovo corso » proposta dalle sinistre. La formulazione di essa da parte del PCI è precisata da due editoriali di « Rina­ scita», nei numeri di agosto e settembre del 1946. L ’editoriale di agosto, La politica di Corbino, dopo aver affermato che un com­ promesso era stato in ultima istanza necessario nel fronte antifascista, affermava che esso « apriva una grande ipoteca, garantita dalla possibile intelligenza dei conservatori. Disgraziatamente si deve riconoscere che mai ipoteca fu peggio ga­ rantita». L ’editoriale di settembre, Nuovo corso, citando espressamente le for­ mulazioni del Comitato centrale del Partito comunista, indicava — sia pure in forma generica — nell’unità contro le forze della speculazione e contro le « forme degenerative dell’egoismo capitalistico » l’obiettivo politico perseguito dal partito. In sostanza riproponeva una ipotesi in cui alla discriminante anticapitalistica era preferita la discriminante contro le forze del parassitismo e della speculazione. Questa impostazione aveva come diretta conseguenza una presa di posizione più

9 Su questo vi è anche una polemica fra il padronato e l’organizzazione sindacale: cfr. « La voce dei campi », 20 ottobre 1947; « Avanguardia democratica », 24 ottobre 1947; per una giu­ dizio sul carattere moderato delle rivendicazioni di braccianti e salariati in questa fase cfr. em anuele tortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana nel secondo dopoguerra, 1945-1950, in « Movimento operaio e socialista », 1967, n. 3, p. 262. 10 Cfr. A. gambino, Storia del dopoguerra, cit., pp. 243 e sgg. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 59 netta contro le posizioni politicamente più conservatrici ed espressione di ten­ denze e interessi economici arretrati, ma — poiché non entrava nel merito dei progetti dei diversi settori del capitalismo — non metteva ancora in discussione la possibilità di un’alleanza graduale, sotto il segno del produttivismo, con consistenti settori capitalistici. Non è quindi contraddittorio, in ultima istanza, che contempo­ raneamente a questo tipo di rettifica si firmi la tregua salariale, né che — per quel che riguarda il settore agricolo a un impegno più deciso nella lotta contro il lati­ fondo corrispondano scelte meno nette nelle zone in cui prevale l’assetto capitali­ stico n. Nella seconda metà del 1947 l’impostazione sindacale inizia a mutare anche in queste zone, con un diffuso senso autocritico rispetto al ritardo con cui alcune questioni di fondo venivano affrontate, collegate all’autocritica più generale delle sinistre dopo l’espulsione dal governo. Lo sviluppo maggiore delle lotte del proletariato agricolo del nord a partire dalla fine del 1947 è in parte collegabile alla pressione esercitata dalle sinistre per ricostruire un governo di coalizione, ma in larga misura aveva ragioni autonome. 11 peggioramento delle condizioni economiche aveva infatti contribuito a far cre­ scere nel proletariato agricolo l’esigenza di un’azione più efficace nei confronti dello schieramento avversario. Fra la fine del 1947 e la metà del 1948 questa spinta viene talora ad assumere — e lo rilevano alcuni dirigenti sindacali — anche il carattere di pressione nei confronti dell’organizzazione di classe: un elemento, quest’ultimo, che — almeno nella pianura padana — negli anni precedenti era del tutto marginale rispetto allo stringersi compatto del proletariato agricolo attorno alla propria organizzazione 11 I2. Le questioni della trasformazione agraria vengono affrontate dal sindacato più direttamente in questa seconda fase. Ormai è successo al primo un nuovo periodo, e il proletariato, che non ha potuto prima imporre alcuni punti fermi a suo van­ taggio, e anzi ha dovuto subire fin daU’inizio un’opera di logoramento da parte degli agrari, deve fare ora i conti con un’opposizione sempre più netta. Le intimi- dazioni e le rappresaglie verso gli organizzatori sindacali e politici costituiscono l’altra faccia dell’« epurazione mancata»: sono due aspetti di una questione par­ ticolarmente sentita in una provincia come quella pavese, in cui il rapporto fra fascismo e agrari era stato particolarmente stretto e anche per questo sarà utile soffermarsi su questo problema. Entrambi gli aspetti vanno inseriti in un quadro più ampio, e cioè in quell’affermarsi della « continuità dello stato » che da un lato vede settori decisivi dell’apparato statale lavorare, fin dal periodo dei governi di coalizione, per il consolidamento di posizioni esplicitamente conservatrici, o comunque segnate da un aperto anticomunismo, e per contrastare le misure più avanzate che le sinistre al governo proponevano13; dall’altro vede il rinsaldarsi

11 Per alcune osservazioni su questo tema, cfr. Vittorio foa. La ricostruzione capitalistica nel secondo dopoguerra, in « Rivista di storia contemporanea », 1973, n. 4. Cfr. anche l’Introdu­ zione dello stesso foa a Fabio lev i, Paride rugafiori, sai.vatore vento, il triangolo indu­ striale fra ricostruzione e lotta di classe, 1945-1948, Milano, 1974, pp. VII-XXV. 12 Cfr. e . tortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana, cit., p. 264. Si riferisce a una riunione particolarmente significativa del comitato di coordinamento Alta Italia dell organizzazione sin­ dacale, tenuta il 24 aprile 1948. In essa si segnalano azioni spontanee del proletariato agricolo in varie parti delle provincie di Milano, Pavia, Cremona, Brescia e si sottolinea che spesso « le forme di lotta sono andate più in là di quanto era stato stabilito »; e soprattutto si af­ ferma che — di fronte alla gravità dei problemi — la pressione del proletariato agricolo sulla stessa organizzazione sindacale è fortemente cresciuta. 13 È ancora in larga parte da studiare l’agire concreto del prefetti e dell’Arma dei carabinieri dopo la liberazione. Per citare solo un esempio, relativo all’occupazione delle terre incolte, le 60 Guido Crainz

attorno al partito di maggioranza — anche se in maniera non lineare e non scon­ tata fin dall’inizio 14 — dei diversi settori del fronte padronale, in un processo in cui essi tendevano a prendere in mano quelle leve decisive del potere necessarie per prevalere sul movimento popolare. Questo processo comprende, nelle campagne, la capacità del padronato e delle forze conservatrici di salvaguardare la natura — ad essi sempre favorevole — del­ l’ordinamento istituzionale in agricoltura, fondato su un complesso di enti e strutture su cui l’azione della sinistra non incise, o non potè incidere (ad esem­ pio, anche la parola d’ordine della « democratizzazione dei consorzi agrari » rimase generica e non sostenuta da un’adeguata iniziativa)15. A ciò si aggiunga la capa­ cità di queste stesse forze di utilizzare appieno settori particolari degli organi statali per vanificare le richieste contadine (come si vedrà, è esemplare la vicenda delle occupazioni delle terre demaniali in provincia di Pavia). In questo quadro generale, riguardante i rapporti fra le classi e fra i partiti po­ litici, si inserisce l’agire concreto del fronte agrario e governativo, dopo l’estromis­ sione delle sinistre dal governo, volto a togliere al movimento sindacale un ele­ mento decisivo come il controllo sul collocamento (il modo stesso con cui il go­ verno emise e applicò il decreto sull’imponibile, già nel settembre 1947, poneva ipoteche su questo puntoI6). Dovremo tornare spesso alla riflessione su questo argomento: sia perché, come è stato scritto, « il valore di spartiacque » della sconfitta del movimento sindacale a proposito del collocamento « non è stato fi­ nora sottolineato a sufficienza » 17, sia perché anche a partire da alcuni dati emer­ genti dalla situazione pavese è possibile cogliere alcuni elementi di quella batta­ glia utili per una riconsiderazione non schematica del rapporto fra spontaneità, organizzazioni di categoria e organizzazione confederale in quegli anni. Un ultimo aspetto è quindi da rilevare: se, come abbiamo visto, la separazione fra riforme e ricostruzione pesa fortemente nell’impostazione del movimento sinda-

relazione mensili inviate nel 1945 dal prefetto di Roma (in maniera più accentuata quando di­ venta prefetto Bassano) al ministero deH’Interno (in Archivio centrale di stato (ACS), ministero degli Interni, Gabinetto 1944-46, f. 2446) e alcuni rapporti al ministero dell’Interno o alla presidenza del Consiglio del Comando generale dei Carabinieri non solo contengono nume­ rose affermazioni volte a legittimare e a richiedere interventi repressivi contro il movimen­ to contadino (alcune delle quali di estrema gravità, come l’accenno al ripristino del confino contro i contadini più attivi nell’occupazione delle terre, contenuto nella relazione del pre­ fetto di Roma sul mese di agosto); non solo tendono a sminuire costantemente il valore delle richieste contadine, fino alla negazione della loro legittimità (dato che, secondo il rap­ porto alla presidenza del Consiglio del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri-Ufficio Ser- vizio/Situazione. Collegamenti 23 dicembre 1944, « nel Lazio [...] come è noto esiste il lati­ fondo per una minima estensione », in ACS, Presidenza del Consiglio, 3 gennaio - 21502. Affermazioni analoghe vi sono nella relazione al ministero degli Interni del prefetto di Roma sull’ottobre 1945, in ACS, cit.); ma contengono anche espliciti attacchi ai provvedimenti e all’azione generale del ministro dell’Agricoltura e Foreste in carica, il comunista Gullo: i suoi provvedimenti — secondo quanto scrive il prefetto di Roma nella relazione sull’agosto 1945 — « hanno come sempre carattere demagogico e di proselitismo politico »; lo stesso prefetto, nella relazione sul mese di ottobre, si diffonde in una vera e propria requisitoria contro i due decreti del 19 ottobre 1944 (sulla colonia parziaria e sull’assegnazione delle terre incolte e malcoltivate). 11 Su questo punto, cfr. m assim o legnani, Restaurazione padronale e lotta politica in Italia 1945-1948: ipotesi di lavoro e dibattito storiografico, in « Rivista di Storia contemporanea », fase. I, gennaio 1974. 15 Cfr. E. tortoreto, Lotte agrarie nella Valle padana, cit., pp. 237-238. 16 Questo aspetto era colto dai dirigenti sindacali già allora: si veda l’intervento di Luciano Romagnoli al I congresso nazionale della Federbraccianti (Ferrarar 25/28 gennaio 1948), in L. romagnoli, Scritti e discorsi, Roma, 1968, p. 41. 17 Cfr. a. rossi doria, Appunti sulla politica agraria, cit., p. 75. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 61

cale nei primi anni, la riflessione autocritica delle sinistre non può limitarsi a questo, ma deve estendersi anche al periodo che va dal 1947 al 1950 18. Se la sconfitta sul collocamento (1949) la conseguente difficoltà anche solo a con­ trollare l’applicazione dell’imponibile tolgono alcuni elementi di forza decisivi al pro­ letariato agricolo, indebolendolo gravemente sul terreno dell’occupazione e incri­ nandone la compattezza politica e sindacale, bisogna aggiungere che il periodo 1947- 1950 si conclude, per quel che riguarda la riforma fondiaria, con la legge-stralcio: si conclude cioè con una misura legislativa che nega le richieste sostanziali dei con­ tadini senza terra. Essa è tutta volta a indurre divisioni profonde nel movimento, e ad aprire per questa via la strada alla espulsione di larga parte del proletariato agricolo dalle campagne e a quel tipo di sviluppo capitalistico che caratterizzerà gli anni successivi. Certamente, le forze conservatrici e borghesi riescono a segnare questi punti deci­ sivi a loro vantaggio anche grazie ai mutati rapporti fra le classi e nel quadro po­ litico, a livello interno e internazionale ma non è sufficiente fermarsi a questo. Pesò, probabilmente, nel movimento, quell’incertezza di fondo che caratterizza l’azione dei partiti operai nel momento in cui fallisce l’ipotesi di una stabile alleanza fra i tre partiti di massa: è un’incertezza cui non è estranea, perlomeno in una prima fase, l’ipotesi che l’estromissione delle sinistre dal governo non sia destinata a durare per un lungo periodo. Pesò in misura di gran lunga maggiore l’inadeguatezza di un’ipo­ tesi che puntava a isolare e sconfiggere la proprietà assenteista grazie a un’alleanza con gli imprenditori capitalisti. Quest’ipotesi, sottesa anche dai due progetti di rifor­ ma elaborati dalla Costituente della terra, è la causa vera di quel carattere « propa­ gandistico», rilevato criticamente dagli stessi dirigenti sindacali, che viene ad avere nella Valle Padana, ad esempio, la lotta per la riforma: in realtà, solo incidendo pro­ fondamente sull’azienda capitalistica (con tutto ciò che ne conseguiva, come ipotesi politica) si sarebbero potute dare solide radici a una lotta per la riforma di ampio respiro e in grado di unire profondamente obiettivi e programmi del proletariato agricolo del nord e del sud. Si può aggiungere che, già prima della legge-stralcio, vi erano stati segni non secondari della debolezza dell’ipotesi adottata allora: fra gli altri, il fallimento totale dell’esperienza dei consigli di cascina, dal momento che l’impresa capitalistica rifiutò quasi ovunque di farne parte. È quindi l’ipotesi elaborata allora dalle sinistre sullo svilupparsi dello scontro con l’avversario e sulle possibili alleanze politiche e sociali che si rivela inadeguata, fonte di incertezze e di errori tattici: a ciò rimanda continuamente l’analisi dello svilupparsi delle lotte in provincia di Pavia, così come molte analisi recenti su altre zone determinate I9. È un’inadeguatezza che sembra essere colta già allora, sia pure in forma non com­ piuta, nel dibattito dei quadri dirigenti sindacali. Troviamo traccia di questa con­ sapevolezza anche in un momento importante del movimento sindacale pavese, il II congresso della Costituente della terra che si tiene nel novembre 1948: in un momento, cioè, successivo alla delusione del 18 aprile e anche ai grandi moti seguiti all’attentato a Togliatti, e quando ormai il governo è apertamente chiama­ to negli interventi « il governo nero ». Di fronte all’esposizione delle linee di ri­ forma agraria proposte, il capozona di una località importante come Mede,

18 Per una riflessione autocritica su questo punto, compiuta da un dirigente comunista, cfr. ad es. gerardo chiaromonte, Agricoltura, sviluppo economico, democrazia. La politica agraria e contadina dei comunisti (1965-72), Bari, 1973, n. 58. 19 Cfr. ad es. Mario alcaro - Amelia paparazzo, Lotte contadine in Calabria '1943-1950), Roma, 1976. 62 Guido Crainz

Morosini, interviene criticamente, rilevando: « Non è stato ancora detto come e con quali mezzi si arriva alla risoluzione della riforma agraria [...] Per arrivare alla meta ci sono dei fortilizi da espugnare. Quali sono i mezzi che dobbiamo adope­ rare per arrivare alla conquista della riforma agraria? È a questo interrogativo che io chiedo una risposta » 20. Essendo ormai caduta l’ipotesi di una prossima avanzata elettorale delle sinistre, ed essendo sempre meno convincente l’ipotesi di una funzione progressiva dell’im­ presa capitalistica, per rispondere a quella domanda sarebbe stato necessario rive­ dere molti punti dell’impostazione degli anni precedenti. Sarebbe stato anche neces­ sario dirimere in maniera convincente e corretta la questione originata in Italia dal rapporto fra sviluppo capitalistico e sottosviluppo, fra interessi capitalistici e « re­ sidui feudali ». Se è possibile avanzare un giudizio è su questi temi che la riflessio­ ne della sinistra si rivela più fortemente inadeguata.

Caratteristiche economiche e storiche della provincia di Pavia

Alcune osservazioni sono ora necessarie sulle particolarità della zona che esami­ niamo. Anzitutto va fatta una prima distinzione fra la zona « lomellina » (a ovest del Ticino, a nord del Po) e « pavese » o « dell’est Ticino » (a est del Ticino, a nord del Po) da un lato, e l’Oltrepò (a sud del Po) dall’altro. Nelle prime due zone, poste nella pianura irrigua, prevale la proprietà con gran­ de reddito, a prevalente conduzione in affitto, con un numero elevato di brac­ cianti e salariati fissi. Nell’Oltrepò vi è: a) una zona di pianura asciutta, in cui le proprietà sotto i 10 ettari occupano poco meno della metà della superficie cen­ sita, con prevalenza di coltivatori diretti, piccoli aifìttuari, e anche con un certo nu­ mero di salariati fissi e braccianti (sia pure di gran lunga meno rilevante, rispetto alla pianura irrigua); b) una zona di collina, con produzione soprattutto vitivinicola, con prevalenza della piccolissima, piccola e media proprietà (quella sotto i 10 ettari occupa i 7/10 della superficie, quella sotto i 2 ettari 1/3), con nuclei di mez­ zadri relativamente consistenti; c) una di montagna, molto povera, con prevalenza di piccolissimi e piccoli proprietari coltivatori diretti, accanto a braccianti co­ stretti a cercare lavoro stagionale nella pianura irrigua (per il ricatto materiale che pesa su di essi, questi settori del proletariato agricolo saranno in molti casi i primi a cedere, di fronte all’attacco padronale più duro, quello degli anni 1949-50). Anche nella pianura irrigua vi sono notevoli differenze, sia per quel che riguarda il tipo di coltura sia in relazione alla concentrazione della proprietà21. Inoltre, la

20 Cfr. gli Atti dattiloscritti del II convegno provinciale della Costituente della terra, Pavia 21 novembre 1948. Questo documento, così come molti altri cui si farà riferimento, è con­ servato da Roberto Vicini, segretario provinciale della Federbraccianti pavese fino al 1949, il cui contributo è stato prezioso per questo lavoro. Al materiale conservato da Roberto Vicini si farà riferimento con la sigla ARV (Archivio Roberto Vicini). 21 Nella Lomellina la risaia interessata, secondo i dati dell’INEA, da 1/5 alla metà della superficie censita. Per quel che riguarda la concentrazione della proprietà: nella Lomel­ lina occidentale le proprietà sotto i IO ha coprono solo 1/5 della superficie censita, nel Lungo Po lomellino poco meno di 1/4, in Lomellina orientale più di 1/3, mentre nel basso pavese vitato quasi la metà della superficie. Per il quadro completo da cui sono tratti questi dati, cfr. La distribuzione della proprietà fondiaria in Italia, a cura dell’INEA e diviso per regioni, Roma, 1947. Nell’analisi dell’INEA la zona della pianura irrigua è divisa in un numero elevato di sotto-zone. Nella zona a nord del Po e a ovest del Ticino vengono distinte: Lomellina orientale, Lomellina occidentale, Lungo Po lomellino, zona di Ferrera e , c una zona detta « basso pavese a nord del Po e a ovest del Ticino ». Nella zonata nord del Po c a est del Ticino, alto pavese, basso pavese alla sinistra del Ticino, e basso pavese vitato. Per Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 63 forza e l’intransigenza maggiore del proletariato agricolo lomellino, così come il tipo di offensiva degli agrari, rimandano al modo e al tempo in cui avvenne la pe­ netrazione capitalistica in questa zona. Essa, più recente e tumultuosa che nella pianura irrigua a est del Ticino, aveva infranto in maniera rapida i rapporti di classe precedenti, in stretto rapporto con. la costruzione del canale Cavour e del diramatore Quintino Sella22. Questo processo, che aveva portato a una forte con­ centrazione della proprietà e a una crescita notevole del bracciantato (che corri­ spondeva a un forte immiserimento relativo di migliaia di persone) aveva visto anche un rapporto molto stretto (sia pure con qualche contraddizione) fra proprie­ tari e fittabili. Alla fine della prima guerra mondiale questa contrapposizione mag­ giore fra le classi era già emersa in tutta la sua ampiezza. Da un lato, essa por­ tava a metodi di lotta radicali del bracciantato lomellino e a una sua forte ostilità verso quella piccola proprietà che intanto aveva potuto costituirsi o sopravvivere in quanto era in qualche modo riuscita a legarsi ai grandi proprietari e fittabili, in un rapporto di relativa subalternità ad esso e comunque di crescente contrappo­ sizione al proletariato agricolo (donde anche la natura apertamente conservatrice e anti-socialista del Partito popolare in questa zona). D’altro lato, essa aveva por­ tato a un legame strettissimo fra agrari e fascismo, per la volontà degli agrari di vanificare le conquiste sindacali del 1919-20 (collocamento di classe, imponibile di manodopera, tariffe orarie più elevate) e di difendere quei rapporti fra le classi così tumultuosamente imposti. L ’offensiva fascista è in Lomellina partico­ larm ente feroceagli incendi delle sedi sindacali e politiche si affiancano — numerosissime — le spedizioni per imporre ai lavoratori l’annullamento dei patti precedentemente conquistati, e l’avvento pieno del fascismo porta a una decurta­ zione netta del salario agricolo e della paga delle mondine. In questa storia, vanno cercate le caratteristiche di quel « massimalismo » dei braccianti lomellini di cui talora si è parlato, ma che in realtà coincide con la memoria collettiva di una vicenda in cui le forze intermedie, politiche ed econo­ miche, sono quasi assenti, o subalterne all’avversario di classe. Allo stesso modo, questa storia dava a migliaia di donne e di uomini la consapevolezza che, prima del fascismo, l’organizzazione di classe era stata elemento di forza e di coesione insostituibile, e che la sua distruzione feroce da parte di fascisti e agrari aveva avuto conseguenze rapide e disastrose per l’intero proletariato agricolo: anche per

ulteriori eiementi cfr. il documento sindacale: Impostazione del lavoro per la Costituente della Terra, in ARV. 22 Cfr. Michela fig u r e lli, Il movimento contadino nel pavese dal 1894 al 1904, in AA.VV., Braccianti e contadini nella Valle Padana, Roma, 1975, pp. 203-222, 228-230. Nella Lomellina il terreno irriguo passa — dal 1845 al 1872 — da 47.663 ha a 82.478 ha, allargando enorme­ mente la coltivazione della risaia a vicenda. A questo processo è collegata sia la concentrazione della proprietà, che avviene in maniera rapida (antecedentemente la grande proprietà era pre­ sente solo nella zona occidentale della Lomellina, ove l’irrigazione era già in atto), sia il rove­ sciamento del rapporto numerico fra salariati e braccianti: dal 1881 al 1901 i salariati passano da 35.259 a 12.513; i braccianti da 20.940 a 35.108. Al contrario, nota M. Figurelli, « i rapporti di classe nel circondario di Pavia derivavano la loro maggiore tranquillità da un passato più lontano e da una trasformazione più graduale ». 23 All’inizio del 1921 si stabilì un patto esplicito fra agrari, che si tassarono da L. 2 a L. 4 per pertica milanese per sostenere le bande armate fasciste, che utilizzavano per rompere i vecchi patti, ecc. Il 7 marzo 1922 il prefetto di Pavia scriveva al ministero degli Interni: « L ’As­ sociazione agraria lomellina, composta di molti elementi moderati, perdette nell’estate scorsa ogni importanza e finì col sciogliersi a causa dell’affermarsi in quel circondario della fazione fascista, la quale prese presto il sopravvento [...] L’Associazione, ripeto, si sciolse e gli agricoltori si diedero in mano ai fasci di combattimento, fornendoli di mezzi larghissimi [...] Da ciò gli assalti alle case del popolo e alle coperative [...] » (in ACS). È il fascismo lomellino che esprime una figura come Cesare Forni, che sarà designato a comandare le squadre del triangolo industriale per la marcia su Roma. 64 Guido Crainz questo, dopo la liberazione, salariati e braccianti si stringono con grande compat­ tezza attorno all’organizzazione sindacale, e la dialettica fra masse o sindacato tenderà ad emergere, come s’è detto, relativamente tardi, esprimendosi inoltre quasi esclusivamente come tensione interna all’organizzazione, come spinta mag­ giore alla lotta che coinvolge quadri intermedi e anche dirigenti sindacali. Alla liberazione, alla caduta di un regime che era stato baluardo ed espressione degli agrari, i bisogni economici immediati si uniscono a quest’insieme di ragioni sto­ riche nel determinare i comportamenti del proletariato agricolo; di converso, quel ti­ po di fronte agrario che s’era formato in Lomellina cerca, dopo una prima fase di scompaginamento e di incertezza, di instaurare un controllo sulle mase subal­ terne simile a quello reso possibile dal fascismo. Per questo, diventa immediata­ mente improbabile, nei fatti, un’alleanza fra proletariato agricolo e imprenditori capitalisti, e si preannuncia subito uno scontro fra classi, aspro. Si può aggiun­ gere che durante la Resistenza, mentre le condizioni geografiche della Lomellina avevano permesso solo limitatamente la lotta armata, le mondine erano scese in campo nella primavera 1944 (dopo gli scioperi del 1927 e quelli fra il 1930 e il 1932 24), spesso con collegamenti diretti con azioni partigiane volte a dirottare altrove le forze nazifasciste. Sono scioperi fatti cascina per cascina — o anche paese per paese — di cui i rapporti della GNR ci danno un quadro parziale, ancora tutto da precisare25.

Le prime lotte e i primi problemi dopo la liberazione

Come abbiamo detto, pesa particolarmente sullo svilupparsi delle lotte del prole­ tariato agricolo quel carattere moderato dell’impostazione sindacale che fu più netto finché durarono i governi con la partecipazione del PCI e del PSI26: esso da un lato si scontrava con tendenze realmente presenti nel movimento, e recepite dagli stessi dirigenti sindacali, dall’altro permetteva al fronte avversario di non pagare fino in fondo i legami, per certi versi decisivi, col passato regime, ma di prendere anche l’iniziativa. I braccianti pavesi scendono in lotta subito dopo la liberazione27 e la situazione è tale da porre subito di fronte ad essi problemi di prospettiva28. Ne è una conferma il fatto che la lotta non si ferma dopo i primi accordi; né si limita a questioni salariali. In alcuni comuni, come Zerbolò, ove il movimento è più forte, il problema del­ l’imponibile di manodopera è immediatamente posto dai braccianti nel periodo del taglio del riso del 1945, e gli agricoltori stessi si rendono presto conto che il pro­ blema non può essere eluso. È in questa situazione che il prefetto Borlandi fissa (il 26 novembre 1945) l’imponi­ bile di mano d’opera, la cui applicazione e precisazione è lasciata alle

24 Cfr. Riservato a Mussolini. Notiziari giornalieri delia Guardia nazionale repubblicana, novembre 1943 - giugno 1944, introduzione di natale verdina, Milano 1974; cfr. anche arturo barioli, ambrogio casati, marisa c a ssin elli, Storia della Resistenza in Provincia di Pavia, Pavia, 1961, p. 16 e sgg. 25 Gli scioperi hanno come obiettivo generalmente un supplemento di viveri (spesso 1 kg. di riso al di fuori della tessera annonaria), e talvolta si prolungano per imporre la liberazione di alcune mondine arrestate, come a : cfr. Riservato a Mussolini, cit., p. 358 e sgg. 26 Cfr. E. tortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana, cit., pp. 261-262. 27 e . tortoreto, ibid., p. 261 ricorda che nelle aziende sussisteva un « obiettivo aumento con­ giunturale di reddito », che permetteva quindi aumenti salariali senza grossi problemi. 23 Si veda su « La voce pavese », un articolo del 20 ottobre 1945 con le proposte dei con­ tadini di (ai confini col milanese): collettivizzazione della terra, proprietà della casa per allontanare il rischio di sfratti, attingere ai profitti di guerra per ricostruire il paese, ecc. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 65

ti organizzazioni agrarie». Esse si incontrano il 13 dicembre 194529. Siamo an­ cora in una fase di alti utili per le aziende, e si tenga anche presente che Borlandi è prefetto del CLN, che verrà sostituto nel marzo 1946; gli agrari, del resto, accettano 1’imponibile come male minore. « Possiamo anche accettare, basta che l’estate prossima non si scioperi! »: questa è la filosofia esplicita che compare sull’organo degli agricoltori30. Del resto, la tensione sociale nella seconda metà del ’45 si estende alle fabbriche31 e — con un crescendo nei primi mesi del ’46 — porta alle agitazioni dei reduci e disoccupati32: questi elementi si intrecciano con l’acuirsi dello scontro nelle cam­ pagne, fino agli scioperi del proletariato agricolo nel 1946 e alla scesa in lotta dei mezzadri, nello stesso anno (la questione mezzadrile era stata affrontata nel 1945 dall’organizzazione sindacale senza ricorrere alla lotta, e con nessun risultato). Contemporaneamente affiora un dato nuovo, il quale provoca momenti di ten­ sione che hanno difficoltà a trovare uno sbocco vincente e offensivo per il movi­ mento, e portano i primi elementi di incertezza in una prospettiva che — all’indo­ mani della liberazione — sembrava sicuramente più lineare: si tratta della ripresa

29 Per l’imponibile vi è ovviamente distinzione fra le zone della pianura irrigua e le altre. Nelle prime, l’imponibile è di un uomo ogni 60 pertiche milanesi (per i terreni di 3a categoria è di un uomo ogni 150 p.m.). Nell’Oltrepò, nelle aziende con conduzione a vigneto intensivo o specializzato l’imponibile è di un uomo ogni 35 p.m. in inverno e ogni 25 p.m. negli altri mesi, ove si tratti di aziende di pianura; di un uomo ogni 30 p.m. d’inverno, ogni 20 p.m. negli altri mesi ove si tratti di aziende di collina. Nelle altre zone di collina è di un uomo ogni 80 p.m. (d’inverno), e 70 p.m. (negli altri mesi). In base alle precisazioni intercorse fra le parti in gennaio, agli effetti dell’imponibile viene compreso come lavoratore anche il capofamiglia o chi per esso nei fondi inferiori alle 250 p.m.; in quelli fino a 500 p.m. il capofamiglia sarà considerato dirigente; da 500 a 750 p.m. due membri della famiglia (e tutti, oltre le 750 p.m.) saranno considerati dirigenti. Sono esclusi dal calcolo dell’imponibile i fabbri, falegnami, guar­ die campestri, fattori e casari, e dalla superficie del fondo si detraggono sempre gli incolti boschivi e un 6% è considerato zona improduttiva; cfr. « La voce dei campi », 25 gennaio 1946; « L ’araldo lomellino », 22 febbraio 1946. 30 Cfr. walter casotti, Considerazioni sull’imponibile, in « La voce dei campi » 8 febbraio 1946. 31 Cfr. in « La voce pavese » del 24 novembre 1945 il comunicato della Commissione sinda­ cale della Necchi, da cui trapela l’insoddisfazione degli operai rispetto a un accordo firmato: « risulta che alcuni elementi, fra i quali qualche compagno, fanno opera di disgregazione del­ l’unità sindacale, criticano ingiustamente l’operato della Camera del lavoro, prestandosi alle manovre di elementi che pescano nel torbido [...] ». Una parte dell’insoddisfazione riguarda il problema della settimana di 40 ore, e su questo la commissione sindacale della Necchi afferma che « la camera del lavoro non ha fatto che attenersi allo spirito dell’accordo di Roma, il quale realmente impone un sacrificio alle masse, ma ha risolto in parte il problema dell’occupazione ». Del resto, un senso di insoddisfazione rispetto al moderatismo delle sinistre emerge anche al V congresso del PCI. Sullo stesso numero della « Voce pavese » è riportato il discorso con­ clusivo di Grieco al congresso provinciale pavese: « Mi pare che fra i compagni vi sia la preoc­ cupazione che il nostro partito [...] si sia allontanato o minacci di allontanarsi dai principi su cui è basata la nostra organizzazione [...]. Questa preoccupazione non è posta in modo così netto, ma si risente da osservazioni critiche e da certe posizioni sostenute nel dibattito ». 32 Già il 20 ottobre 1945 la « Voce pavese » sottolinea la difficoltà di presenza del PCI fra i reduci; nel gennaio 1946 (« L ’araldo lomellino », 31 gennaio 1946) a Vigevano un centinaio di reduci irrompe nella Camera del lavoro, poi all’Ufficio del lavoro, e infine entra in Muni­ cipio imponendo agli impiegati la sospensione del lavoro, con la richiesta di lavoro per disoc­ cupati e reduci. « La voce pavese » del 10 febbraio 1946 denuncia come provocatorio un an­ nuncio comparso sul quotidiano locale, « La provincia pavese ». a firma « La commissione », che invitava i disoccupati a recarsi alla Camera del lavoro, e informa comunque che un diri­ gente sindacale si è recato in Prefettura coi convenuti, ottenendo una- sottoscrizione popolare, in attesa di opere pubbliche. Alla fine del gennaio 1946 la disoccupazione ufficiale in provincia è, se­ condo « La voce pavese » (9 aprile 1946) di 16.709 persone. Manifestazioni di disoccupati vi sa­ ranno a più riprese nel luglio 1946, a Pavia, indette dalla Camera del lavoro (« La voce pavese », 11 luglio); a , il 12 luglio (cfr. « La plebe », 19 luglio e « La voce pavese », 12 luglio). 66 Guido Crainz dell’iniziativa da parte degli agrari e delle vicende connesse alla mancata epura­ zione (una mancata epurazione che contribuisce a garantire al fronte agrario, nel giro di pochi mesi, quell’appoggio via via meno incerto dei pubblici poteri cui esso era abituato fin dagli inizi della sua storia). Negli ultimi mesi del ’45 e nei primi mesi del ’46 i giornali comunisti denunciano una serie di abusi, ancora isolati, di proprietari e fittabili: dal fittabile di Cura Carpignana che impone al bracciante di strappare il manifesto del PCI che ha appena affisso, agli agrari di Torreberetti che aggrediscono un oratore del PCI, o a quelli di Torre d’Arese che obbligano i loro salariati a iscriversi alla DC. In molti casi, gli agrari non rispettano gli accordi sindacali: non vengono corrisposti gli straordinari, vengono inclusi nel calcolo dell’imponibile i fabbri, fattori, falegnami, non si pagano le tariffe regolari. Così è a Torre d’Arese, alla Cascina Maggiore, a , a . Così è, in Lomellina, a , San Giorgio — ove vi è uno sciopero contro gli agrari che non danno il grano pattuito ai salariati — Vigevano (in diverse cascine), e a Robbio, ove il 3 luglio 1946 i braccianti e i salariati scendono in sciopero generale per il rispetto degli accordi sulle paghe giornaliere per mietitura e trebbiatura e sull’indennità di carovita. Ad Alagna, sempre in Lomellina, gli agricoltori non accettano la divisione a quarto del granoturco (un quarto al contadino, tre quarti all’agrario) in atto prima del fascismo e da esso portata a un quinto, ed è necessario lo sciopero per imporla33. Infine, dopo i primi mesi, le discriminazioni contro braccianti e salariati di sini­ stra si intensificano: a Vigevano vi è anche l’aggressione da parte di fittabili a due sindacalisti34, ed è molto lungo l’elenco di lavoratori agricoli licenziati perché iscritti al PCI, o perché hanno scioperato, o perché sospettati di aver denunciato gli agrari come borsaneristi35, mentre sta progressivamente crescendo l’uso politico delle disdette36. Già ai primi di maggio del 1946 il padronato agrario si rifiuta inizialmente di rin­ novare gli accordi del novembre 1945, provocando subito scioperi in alcune zone (per l’applicazione della contingenza in agricoltura, per miglioramenti salariali e normativi, per il pagamento totale ai salariati dei generi in natura, ecc.) L ’irrigidi­ mento degli agrari durante la trattativa porta a scioperi nelle zone di Zerbolò, , Mortara e Vigevano, estesi anche ai mungitori, con un con­ trollo anti-crumiraggio da parte dei lavoratori, con reazioni in alcuni casi violente da parte degli agrari37: gli agrari di Zerbolò, ove è più forte la pressione di massa, cedono, ma ciò non basta a far cedere tutto il fronte, e si giunge così a uno scio­ pero generale a luglio, che porta a un accordo. Se l’esame delle richieste dei lavoratori conferma il carattere moderato dell’orizzonte rivendicativo, altra con­ ferma viene dall’accordo per il patto monda, che provoca delusione e anche scio­

35 Cfr. « La voce pavese » del 20 gennaio; del 3 febbraio, del 24 febbraio, del 17 e del 31 marzo 1946; « L a voce di Vigevano» dell’ 11 luglio e del 19 ottobre 1946; « L ’araldo lo- mellino », del 4 ottobre 1946; « La plebe » del 3 luglio e del 23 ottobre 1946. In questa fase gli scioperi contro i soprusi degli agrari vincono in breve tempo: è il caso di Robbio, di San Giorgio, di Alagna (ove l’accordo prevede anche il pagamento della giornata di sciopero). Altri sei agrari che non rispettano i patti, soprattutto nella consegna di generi alimentari, sono de­ nunciati dalla «Voce di Vigevano» dell’ 11 gennaio 1947. 34 Cfr. in « L ’araldo lomeliino », 4 ottobre 1946. 35 L ’elenco in « La voce di Vigevano », 19 ottobre 1946. 36 Una protesta contro l’uso discriminatorio delle disdette in « La plebe » 23 agosto 1946. 37 « L ’Unità » del 28 giugno, edizione dell’Italia settentrionale, denuncia un agricoltore di Zerbolò per aver sparato, e un altro per aver minacciato con la pistola lavoratori in sciopero. « La provincia pavese » del 6 luglio ospita la replica del primo, che ammette di aver imbrac­ ciato un fucile ma non di aver sparato. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 67 peri in alcune zone per ottenere tariffe maggiori38. Anche gli altri accordi fatti (per la corresponsione del Premio della repubblica, e per il pagamento di alcune festività39) non mutano questo quadro. Ancora verso la fine dell’anno sono segna­ late iniziative degli agrari e risposte di salariati e braccianti40. Sempre verso la fine dell’anno, si ha un irrigidimento generale di posizioni del­ l’organo degli agricoltori pavesi, il quale può anche riportare con molta evidenza una circolare a tutti i prefetti del sottosegretario alTInterno Corsi che invita i pre­ fetti, in caso di sciopero di salariati, a « evitare energicamente che scioperanti costringano i predetti lavoratori a scioperare » (si riferisce in particolare ai mun­ gitori)41. L ’organo degli agricoltori avrebbe in realtà potuto vantare successi mag­ giori: fra giugno e agosto, a seguito di una richiesta degli agrari della confinante provincia di Vercelli, appoggiata dal prefetto della stessa zona, il ministero della Guerra e la stessa presidenza del Consiglio autorizzano l’impiego di militari per sostituire i mungitori in sciopero (gli agrari si erano impegnati a retribuire in ma­ niera particolare i militari impegnati): un segno, fra gli altri, di quel rapporto fra organizzazione padronale, settori dello stato, e forze conservatrici che agiva al­ l’interno stesso dei governi di coalizione 42. Queste avvisaglie di mutamento di una situazione non sono certo senza scosse, e del resto l’intervento più apertamente repressivo della forza pubblica non si è ancora manifestato in pieno nelle campagne pavesi (i primi arresti di contadini per ragioni sindacali avverranno nel 1948): una fase però si è in qualche modo conclusa, tanto più che, come abbiamo detto, nello stesso periodo un’altra batta­ glia si è combattuta, con echi di massa non indifferenti, sul terreno della mancata epurazione e su quello della reazione popolare all’amnistia. Di essa è utile far cenno. La battaglia inizia subito dopo la liberazione, con il funzionamento perlo­ meno sospetto della questura di Pavia nella seconda metà del 1945. Una commis­ sione d’inchiesta è nominata dal prefetto nel novembre. Le sue conclusioni ufficiali, (pubblicate sulla « Provincia pavese » il 10 febbraio 1946) affermano che « l’ufficio politico [...] ha agito con superficialità e leggerezza [...] tante volte così mador­ nali da rasentare i confini della malafede ». Dagli atti completi, mai resi pubblici nonostante le richieste fatte allora da vari giornali della sinistra, emerge non solo un marcato trattamento di favore verso ex gerarchi fascisti, ma anche uno spac­ cato — limitato ma significativo — di determinati ambienti della borghesia pa­ vese, e al tempo stesso del ruolo svolto a loro favore dagli Alleati43. Questa situazione di disagio si estende rapidamente; il ricomparire di ex fascisti e la loro scarcerazione si accompagna a operazioni intimidatorie contro la sini- 31

31 « L’araldo della Lomellina », dandone notizia, critica la lunghezza delle trattative per l’ac­ cordo, e conclude: «Conoscerlo ora significa doverlo accettare quasi per forza [...]. Nel Vercellese e in Lomellina vi sono stati dei tentativi di sciopero. Ma ormai sono tentativi inutili [...] ». 39 Riportato in « Il popolo della Lomellina ». 40 Ad es. si ha uno sciopero nell’Azienda agricola Ferrari, a (frazione Cassinino) contro « il datore di lavoro che non aveva voluto cedere in affitto una casa per uso abitazione a un salariato non della sua azienda », secondo la comunicazione del prefetto di Pavia al mini­ stero degli Interni, in ACS, Ministero degli Interni, Gabinetto, 1944-1946, f. 28283. 41 Cfr. « La voce dei campi », 30 ottobre 1946. “ Lo scambio di lettere fra il prefetto di Vercelli, il ministero della Guerra e la presidenza del consiglio in ACS, Presidenza del Consiglio 1944-1947, f. 1.6.4./75990. 43 Cfr. gli allegati alla « Commissione d’inchiesta sul funzionamento della locale questura nel periodo successivo al 25 aprile 1945, nominata dal prefetto di Pavia », depositati presso l’Istituto di storia del movimento di liberazione in Italia, deputazione pavese, in particolare gli allegati che si riferiscono ai fascicoli di A4A n. 0280-0332 e n. 015226. 68 Guido Crainz

stra che il PCI denuncia44 È un quadro che si compone già molto prima dell’am­ nistia, e che essa drammatizza ulteriormente, con un’estrema tensione di massa e alcuni momenti più clamorosi per l’impunità di cui godono alcuni responsabili non secondari del fascismo locale: l’ex segretario e fondatore del fascio di Brani, liberato nel gennaio 1946, è immediatamente assalito dalla folla4S, mentre a un processo contro un fascista responsabile di efferati crimini, tenuto nel luglio a , la folla assale i giudici e il pubblico ministero, l’onorevole democristiano Sampietro, responsabile d’aver chiesto una pena troppo mite46. Al di là di un giudizio sulla mancata epurazione o sull’amnistia, è certo che la risposta popolare si trova priva di strumenti capaci di incidere a fondo, priva di una effettiva dire­ zione, pur sviluppandosi impetuosamente. Vi sono scioperi nelle fabbriche47; con­ tro la riassunzione di impiegati pubblici fascisti vi è uno sciopero di due giorni a Mede, una manifestazione di 2000 persone a Vigevano, che si ferma di fronte a tutti gli uffici pubblici che hanno riassunto fascisti dal ruolo non secondario; un’altra grossa manifestazione si ha a Brani, mentre a Robbio (in un paese cioè in cui nello stesso periodo vi è uno sciopero generale di contadini e una manifesta­ zione di disoccupati) nel luglio vi sono addirittura tre manifestazioni successive contro la riassunzione di impiegati comunali fascisti48. L ’estensione della prote­ sta ottiene in alcuni casi successi parziali, ma certo non tali da mutare il quadro generale, soprattutto non tali da colpire i capisaldi della reazione che si sta orga­ nizzando. Il 15 luglio, di fronte al crescere di tensione sul tema dell’amnistia, la segreteria provinciale del Partito socialista indice un’assemblea provinciale straor­ dinaria, proponendo l’invio di una mozione alla direzione del partito recante una « formale protesta » per le scelte compiute in questa occasione dai ministri socia­ listi, e al tempo stesso impegnando gli amministratori comunali socialisti a non rias­ sumere nessun impiegato epurato (in quest’occasione il ministero dell’Interno si rivolge direttamente alla segreteria generale del Partito socialista perché inter­ venga contro questa seconda decisione della federazione pavese, — e chiede anche notizie di « eventuali provvedimenti » 49). Se questa iniziativa della federazione socialista non riesce ad andare al di là di un valore di «testimonianza», né a colpire i centri reali della conservazione, aveva giocato invece fortemente a favore del consolidamento, della « continuità » degli

44 « La voce pavese » denuncia l’opera dei carabinieri, che a chiedono nelle case l’appartenenza ai partiti dei giovani chiamati alla leva, nel gennaio 1946, e protesta contro l’ar­ resto del segretario della sezione del PCI di , durante una perquisizione volta a tro­ vare armi. Il PCI denuncia anche l’esistenza di circolari segrete « a carattere fascista e piutto­ sto ambiguo » redatte da ufficiali dell’esercito. Cfr. « La voce pavese » del 24 novembre 1945 e del 20 gennaio 1946. 45 Cfr. « La provincia pavese », 15 gennaio 1946. 4,1 Forti reazioni vi sono anche per la scarcerazione dell’ex podestà di Groppello Cairoli e per quella dell’ex provveditore agli studi. A luglio, « La provincia pavese » pubblica un elenco lunghissimo di amnistiati, accusati anche di colpe gravi. 47 L ’Arsenale sciopera nel dicembre 1945, la Schmidt di sciopera e improvvisa un corteo contro la riassunzione di due fascisti in , ecc. cfr. « La provincia pavese », 23 dicembre 1945. 48 Cfr. « La voce pavese » del 20 gennaio e del 3 marzo 1946; « L a provincia pavese » del 16 marzo 1946; « La plebe » del 25 luglio 1946; il « Corriere della provincia » del 22 agosto 1946. A ciò si aggiungano le azioni dirette: un ex squadrista viene ucciso a mitragliate a (cfr. « L ’araldo lomellino » 22 marzo 1946); a , il 2 giugno, due partigiani si recano alla caserma dei carabinieri con le armi, contro l’intervento del maresciallo del CC durante lo svolgimento delle elezioni (« Il casteggiano », 18 giugno 1946). Per quel che riguarda la protesta contro l’amnistia, « La plebe » pubblica, da giugno a settembre, molte lettere di sezioni socialiste. 49 In ACS, ministero degli Interni, Gabinetto 1944-46, f. 27525. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 69 organi dello stato la sostituzione (marzo 1945) del prefetto reggente Borlandi con il prefetto di carriera Mocci — contro il cui ruolo dovrà protestare spesso la si­ nistra 50. È in questo quadro che si inserisce, nell’agosto 1946, in Oltrepò il ritorno di un gruppo di partigiani in montagna, in una situazione in cui — come abbiamo visto — vasti strati sociali sono progressivamente entrati in campo. La dinamica degli av­ venimenti, e la piattaforma stessa dei partigiani (che riprende temi e obiettivi pre­ senti in alcune piattaforme sindacali, o che sono stati al centro di cortei contro la reintegrazione di personalità già epurate) fanno pensare più a una forma di « sciope­ ro », o di lotta sociale, che a un organizzato ritorno alle armi. È forse per questo che l’eco della iniziativa va molto al di là della sua limitata rilevanza numerica, e costringe sulla difensiva anche la stampa non certo di sinistra: è un sintomo della capacità di aggregazione sociale di alcuni temi51. Il carattere dell’iniziativa, l’eco che essa trova e al tempo stesso l’isolamento politico (al di là della « comprensione della giustezza dei motivi ») in cui è lasciata dalle forze di sinistra, ne fanno in qual­ che modo il simbolo di una prima sconfìtta, dell’epilogo di una fase. Questo tipo di epilogo peserà fortemente nello sviluppo successivo della lotta di classe nelle fabbriche, ma ancor più — in una situazione come quella pavese di allora — nelle campagne, fino al ribaltarsi di quei rapporti di forza che in qualche modo erano parsi realizzabili agli occhi di ampi settori di massa che per essi si erano mossi, fino cioè all’autentico muro repressivo che il proletariato agricolo si troverà di fronte agli scioperi del 1949 e del 1950 e negli anni successivi.

La lotta dei mezzadri

Sempre nel 1946, tra la fine di agosto e settembre, inizia l’agitazione dei mezzadri dell’Oltrepò sulla quota di riparto delle uve, che avrà continuazione negli anni suc­ cessivi. Sulla lotta dei mezzadri pesano i limiti dell’impostazione nazionale della vertenza cui abbiamo già fatto riferimento, e anche altri elementi: la zona in cui è più esteso il rapporto di mezzadria (quella collinare dell’Oltrepò) è duella in cui è maggiormente assente il proletariato agricolo; non vi sono grandi aziende concedenti, e la forma mezzadrile è legata alla piccola proprietà (con una diffi­ coltà maggiore di organizzazione della lotta); infine, sono presenti massicciamen­ te forme come la «terzeria», che impongono un duro sforzo anche solo per supe­ rare le forme più arretrate del rapporto mezzadrile stesso. Infatti in provincia di Pavia, prima del 1939, esistevano due tipi di contratti collettivi sulla mezzadria: uno prevedeva la ripartizione del prodotto al 50 per cento, l’altro assegnava solo 1/3 ai mezzadri. Nel luglio 1939 le organizzazioni provinciali dei proprietari e dei mezzadri stipulavano un nuovo capitolato di mezzadria (con il riparto al 50 per cento) che avrebbe dovuto sostituire i precedenti, ma esso non venne apnlicato e nel 1945 per una parte consistente dei mezzadri dell’Oltrepò vige ancora il riparto a 1/3 sulle uve. L ’iniziativa sindacale, dopo un tentativo di trattative senza lotta nel 194552 si sviluppa inizialmente sia nei settori della mezzadria classica che in

50 « La plebe », il 23 aprile 1948, ricorda le proteste contro i metodi « di puro stile fascista » del Mocci, e ne documenta l’operato anti-sindacale nella sede raggiunta dopo Pavia, Pisa. 51 È il caso de « II casteggiano »: cfr. il numero del 3 settembre 1946. La piattaforma dei partigiani è riportata da « La plebe », il 30 agosto 1946. 52 II 14 giugno 1946, in una lettera alla segreteria della Federazione nazionale lavoratori della terra, (in ANF, busta « Segreteria 1946-1948 »), R. Vicini scrive: « nella nostra provincia la vertenza mezzadrile era stata trattata fin dall’anno scorso, ponendo le medesime rivendicazioni, senonché non riuscendo a raggiungere un accordo con la Associazione degli agricoltori, la 70 Guido Crainz quelli in cui ancora vige la «terzeria». Fra il maggio c il giugno 1946 si tengono assemblee nei centri principali dell’Oltrepò (, , ), coinvolgendo i rappresentanti di 40 comuni53. La lotta riguarda poi sostanzialmente i mezzadri che hanno ancora il riparto a 1/3 per le uve; si sviluppa a partire dall’agosto 1946 e si intensifica verso la metà di settembre, con forme di lotta di zona (ad es., i mezzadri di Santa Maria della Versa richiedono il riparto al 50 per cento, oltre a corresponsioni particolari per l’annata precedente e lasciano sulle viti la parte dell’uva spettante ai proprietari54). Il 17 settembre i mezzadri entrano in sciopero generale, radunandosi a Pavia e percorrendola in corteo. Il prefetto interviene, con un decreto del 18 settembre. In esso « [...] constatato che lo sciopero già in atto minaccia di compromettere il buon esito del raccolto dell’uva e l’ordine pubblico », e data l’impossibilità di trovare un accordo immediato fra le parti, ordina la divisione al 50 per cento: la parte del prodotto in contestazione (1/6) sarà valutata, e l’ammontare in lire de­ positato su un conto comune intestato sia al colono che al concedente, fino a soluzione della vertenza. Nell’anno seguente, anno in cui l’organizzazione sindacale costruisce le organizzazioni rappresentative di zona, la vertenza mezzadrile ripren­ derà, non uscendo però dagli ambiti sostanzialmente economici indicati: nel giu­ gno 1947 la CGIL polemizza con la delegazione degli agrari, affermando che la trattativa potrebbe essere conclusa con una quota di riparto fra il 40 e il 45 per cento per il mezzadro5S; di fronte alPirrigidimento dei concedenti, le commissioni rappresentative di Santa Maria della Versa e Stradella decidono l’agitazione di zona, trattenendo il 50 per cento, lasciando un altro 10 per cento in attesa di accordo, e ribadendo l’esigenza di un nuovo contratto di mezzadria56. L ’Associa­ zione agricoltori reagisce pesantemente, rifiutando sia accordi di zona che provin­ ciali57: ad agosto viene stipulato un accordo per la mezzadria impropria, per le annate 1945 e 1946, con l’impegno della Federterra a far cessare le agitazioni e a considerare la quota di integrazione (il riparto è fissato al 39 per cento per il mezzadro) come transazione per le controversie precedenti e non come modifica di patti colonici58. L ’accordo è troppo modesto rispetto alle aspirazioni mezza­ drili. Ad esempio, esso non dice nulla sulla quota di riparto per il 1947: evi­ dentemente i concedenti tendevano a riportarla a 1/3. L’autunno del ’47 è quindi contrassegnato da numerose vertenze, in molte zone, volte ad aumen­ tare la quota di riparto e a imporre la divisione sul posto. Ad appoggio dei mez­ zadri funzionano le commissioni comunali di mezzadri, aiutate — nei comuni con giunte di sinistra — dagli assessori comunali, che autorizzano il mezzadro a trat­ tenere il 50 per cento dell’uva in attesa di un accordo soddisfacente a livello pro­ vinciale, rilasciando una ricevuta al concedente59. Si giunge in questo modo a una

vertenza è passata alla magistratura, che però non ci ha dato nessun risultato ». Al VII con­ gresso provinciale del PCI (gennaio 1951), lo stesso Vicini si sofferma sui limiti della condu­ zione della lotta fra i mezzadri, affermando: « Il problema della mezzadria o terzeria può es­ sere risolto solo attraverso la lotta, come nel 1946 si era iniziato a fare, e non attraverso la magistratura, che si è dimostrata incapace ». in « La voce di Vigevano » 10 gennaio 1951. 54 Cfr. il rapporto di Vicini, 14 giugno 1946, in ANF, cit. che contiene anche la piattaforma avanzata. 5* Cfr. il rapporto del sottotenente dei CC Vittorio Beltrame al ministero degli Interni, in ACS, ministero degli Interni, Gabinetto 1944-1946, f. 25317; cfr. anche « Il corriere della provincia », 12 settembre 1946. 55 Cfr. « Il corriere della provincia », 19 giugno 1947. 56 Ibid., 27 giugno 1947. 57 Cfr. « La voce del campi », 30 giugno 1947. 5! Cfr. « La voce dei campi », 31 agosto 1947; « Il corriere della provincia », 29 agosto 1947. 59 II testo delia ricevuta in « La voce dei campi », 20 ottobre 1947. Secondo l’organo degli Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 71

serie di accordi che portano il riparto a una quota che va dal 40 al 45 per cento 60. Dunque, i concedenti non cedono neppure sul superamento reale del riparto a un terzo, e anzi ricorrono alla magistratura e ai carabinieri per il sequestro dell’uva trattenuta dai coloni, e contro la divisione sul posto61. Nell’anno successivo, ormai dopo il 18 aprile, i concedenti respingono fermamente una richiesta di trattativa dell’organizzazione mezzadrile, e l’organo degli agricoltori definisce tale richiesta « l’estrinsecazione del piano K in agricoltura » 62: ciò avveniva in una situazione in cui restava in larga parte inapplicato il lodo De Gasperi. Questa situazione, così come ha visto i mezzadri sostanzialmente isolati in questa prima fase, li esclude poi da un coinvolgimento attivo nelle grandi battaglie degli anni succes­ sivi, lasciandoli in una posizione difensiva che sarà fra le cause dell’indebolimento progressivo della categoria.

La questione degli ammassi

Prima di esaminare dettagliatamente lo svilupparsi delle lotte di braccianti e sala­ riati fra il 1947 e il 1950, è utile riferirsi qui alla questione degli ammassi e della borsa nera, presente nello scontro di classe nelle campagne fra il ’46 e il ’47 e importante per la dislocazione stessa degli strati sociali. Vale almeno la pena di sottolineare il carattere di problema irrisolto che la questione viene ad assumere, rilevando che l’esito stesso della battaglia su questi aspetti, e le tendenze d’opinione che determina, contribuiscono a isolare la sinistra e i settori del proletariato agri­ colo, e non portano a un indebolimento reale delle forze della speculazione63. Nel­ l’assenza di strumenti reali per colpire la grossa speculazione, si hanno alcuni grossi proprietari o fittabili denunciati, ma è più rilevante lo scontento che — per i limiti con cui viene condotta — questa battaglia crea in settori della pic­ cola proprietà, non tutti pregiudizialmente favorevoli a un blocco con la grande proprietà, ma sui quali può agire, utilizzando questa situazione, la Coltivatori di­ retti M. La campagna di recupero cereali ha grosse difficoltà: nell’Oltrepò, nel settembre ’46, dei 123.000 quintali di grano da consegnare ne sono effettivamente consegnati 78.195. Vi sono certo alcuni sequestri che colpiscono grossi agrari65, e la sinistra può facilmente ricordare il ruolo ricoperto durante il fascismo da alcuni agrari

agricoltori (31 luglio 1947) uno dei maggiori centri dell’agitazione del 1947 è stata la zona di Santa Maria della Versa. 63 Secondo gli agricoltori queste forme di lotta avrebbero portato ad accordi con il riparto fra il 43% e il 50% per i mezzadri (cfr. « La voce dei campi », 20 agosto 1947). 6t « Avanguardia democratica » denuncia episodi di questo tipo a Montù Beccaria e Zene- vredo (26 settembre 1947); cfr. anche: 80 anni della Camera del lavoro di Pavia, cit., p. 28. Per la polemica fra le due parti, cfr. anche 1 fatti smentiscono gli agrari, in « Avanguardia democratica », 31 ottobre 1947. 62 Cfr. « La voce dei campi », 31 luglio 1948. 63 Del resto ciò rimanda alla politica del governo e, in ultima istanza, alla non attuazione delle misure più generali volte a colpire la speculazione. 63 Sulla disponibilità ad organizzarsi sindacalmente, subito dopo la liberazione, a testimonianza di una situazione non pregiudizialmente definita, cfr. 80 anni della Camera del lavoro di Pavia, cit., p. 30. Vi sono anche momenti di lotta diretta; ad esempio a , in Oltrepò, contro l’abburattamento troppo basso e per avere riso in cambio del frumento consegnato all’ammasso, 200 contadini inscenano « una violenta manifestazione di protesta » (cfr. « La provincia pavese », 4 ottobre 1946). 65 Cfr. « La provincia pavese », 7 settembre 1946; « La plebe », 13 giugno 1947; « La voce di Vigevano », 23 novembre 1946 e 20 luglio 1947. 72 Guido Crainz

\ ry borsaneristi66, o polemizzare contro il sindaco e il vicesindaco democristiani di colti in flagrante67, ma in complesso quest’azione, e lo stesso sti­ molo alle squadre di vigilanza annonarie, o raffiancarsi delle commissioni di fab­ brica alle guardie di finanza, come a Mortara, da un lato riescono a incidere solo in misura insignificante sull’insieme dei profitti realizzati per questa via dal capi­ talismo agrario, d’altro lato non riescono ad essere un punto di riferimento po­ sitivo per decine e decine di piccoli e piccolissimi proprietari, che si vedono so­ prattutto colpiti dal controllo fiscale di una forza pubblica che non ha né stru­ menti né interessi per andare oltre6S. La posizione a difesa dei piccoli proprietari, che pure è sostenuta anche dalla sinistra, è gestita molto più spregiudicatamente dalla Coltivatori diretti di Bonomi69. Se gli agrari non hanno dubbi — e nel dicem­ bre 1946 prendono posizione, in una volta sola, « contro gli ammassi e contro i consigli di cascina » —, la Coltivatori diretti si farà carico prima della battaglia contro gli ammassi per i piccoli proprietari, poi di quella per l’amnistia ai piccoli evasori. La proposta di amnistia, presentata nel gennaio ’47 dal presidente della Coltivatori diretti di Pavia, on. Ferrari, assieme a Bonomi, sarà prontamente ap­ provata, e fortemente pubblicizzata dalla DC nella campagna elettorale del 1948 70. In un altro episodio, sicuramente minore, compare lo stesso problema, e cioè l’uso spregiudicato, da parte dell’organizzazione bonomiana, di alcune situazioni parti­ colari (che a loro volta rimandano, in ultima istanza, alla mancata capacità della sinistra di incidere a fondo sulla grossa proprietà, superando le barriere frapposte dalla DC ed operando una generale redistribuzione del reddito), per contrapporre non gli interessi dei piccoli proprietari contadini a quelli della grande proprietà e dell’impresa capitalistica, bensì gli interessi particolari dei piccoli contadini ai bisogni sociali generali. È il caso della tassa sull’uva, stabilita a vantaggio dei co­ muni viticoli (per la sistemazione del bilanco e per la fornitura a buon mercato di uva alle mense operaie, ecc.) dal maggior alleato Philips e dal prefetto del CLN Borlandi. Essa verrà abolita dal nuovo prefetto, e si ha uno scontro che vede da una parte le forze di sinistra, decise a mantenerla, dall’altra parte la Coltivatori diretti che la vuole abolire, in una difesa corporativa della categoria che però riesce a trovare un appiglio nella oggettiva povertà di essa (mentre a livello go­ vernativo non passano misure volte a colpire la speculazione e i grossi profitti, co­ me il cambio della moneta e l’imposta progressiva, e mentre anche a livello pavese la commissione per l’avocazione dei profitti di regime è apertamente inefficace71). In una situazione di strati sociali in movimento, qual è quella del ’46, anche episodi come questo giocano il loro peso nella dislocazione di quegli strati all’interno dello scontro di classe.

“ Cfr. articolo Borsaneristi in frak, ne « Il corriere della provincia », 10 gennaio 1947; uno di essi è l’ex segretario fascista di Bereguardo. 67 Cfr. « La plebe », 13 settembre 1946. 68 Un esame delle denuncie e delle condanne può dare un quadro molto più articolato di questa realtà: cfr. ad esempio « La provincia pavese », del 7 settembre 1946, in cui — su 239 denuncie per sottrazione di cereali all’ammasso — troviamo quantitativi di 147 q.li, o di 70, accanto a quantitativi piccolissimi, accanto a denuncie a barrocciai sorpresi nel trasporto ecc. 68 Cfr. « La voce pavese », 14 aprile 1946. 70 Cfr. « Il casteggiano », del 14 gennaio 1948 e del 24 marzo 1948. 71 A metà del 1947 la Commissione per l’avocazione dei profitti di regime aveva fatto 206 accertamenti, per un importo di 652 milioni: di essi, ne aveva concordati 20, per un importo di 10 milioni, e in corso di concordato altri 77, per circa 80 milioni: cfr. « La plebe », 27 giugno 1947. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 73

1947-48. Scioperi ed accordi sindacali

Sul periodo che va dall’inizio del ’47 allo sciopero « dei 12 giorni », fino alla vigilia della battaglia vera e propria per il collocamento è forse necessario esprimere un giudizio almeno parzialmente contraddittorio. Da un lato, questo periodo è segnato da una crescita delle lotte nelle campagne pavesi accompagnata anche dallo sforzo dell’organizzazione sindacale di porre sul tappeto alcune questioni più generali (dall’imponibile, alla giusta causa, ai con­ sigli di cascina, alla riforma agraria). D’altro lato, alla fine di questo periodo non è l’organizzazione sindacale, ma l’organizzazione padronale che è riuscita a porre le ipoteche maggiori sullo svilupparsi successivo dello scontro di classe. È necessario far riferimento ad alcuni nodi essenziali: la soluzione contraddittoria della questione dell’imponibile (tale da lasciar aperta la strada al progressivo svuo­ tamento di questa conquista); l’esito pressoché nullo delle ipotesi di forme di con­ trollo sulle aziende capitalistiche, come i consigli di cascina; la difficoltà del mo­ vimento sindacale di legare una lotta pure ampia ed estesa come quella dell’occu­ pazione delle terre demaniali alla lotta generale per la riforma agraria; la difficol­ tà stessa di contrastare la prima, grande offensiva frontale del governo contro il movimento contadino, cioè quella volta a imporre il collocamento di stato (mentre l’azione repressiva degli agrari cresceva con forza, e con un sostegno sempre mag­ giore degli organi dello stato). Per certi versi, ognuna di queste questioni rimanda al mutamento dei rapporti di forza dopo l’espulsione delle sinistre dal governo, ma ognuna di esse rimanda, al tem­ po stesso, al modo in cui la sinistra affrontò quel mutamento, al modo in cui operò per rovesciarlo. Rimanda cioè sia a scelte tattiche di iniziativa sindacale e politica sia alle ipotesi di trasformazione della società italiana cui quelle scelte tattiche erano collegate. A ciò si aggiunga l’esistenza di giudizi non sempre omogenei nel sindacato sul significato di determinate lotte e quindi sul modo di condurle. Per quel che ci riguarda, vi è poi un peso diverso, in ognuna delle questioni indicate, della « specificità pavese » rispetto all’impostazione nazionale del sindacato. Per tutte queste ragioni — che rendono difficile una univocità di giudizio — cer­ cheremo di affrontare separatamente le principali questioni che si pongono in que­ st’arco di tempo, che giunge fino alla sconfitta sul collocamento e precede quegli scioperi del 1949/50, al termine dei quali, nonostante un’ampiezza e asprezza della lotta senza paragoni con gli anni precedenti, il proletariato agricolo pavese subì una grave sconfitta. All’inizio del ’47 i consigli di lega lomellini di Vigevano, , Gam- bolò, Cassolnovo, , Domo, Zerbolò, Alagna, San Biagio e Groppello Cairoli discutono e fanno propria una piattaforma che riguarda l’orario, il nu­ mero di vacche per mungitore, la messa a carico del datore di lavoro, o almeno delle due parti, dell’andata e ritorno dal lavoro, la gratifica natalizia per gli avven­ tizi, ecc72. L ’impostazione della piattaforma non sembra uscire da quell’orizzonte di obiettivi «contingenti», anche se essenziali, che è indicato da molti73 come ca­ ratteristica, ancora in questa fase, del movimento sindacale tuttavia: cominciano a emergere alcuni elementi nuovi. Dopo la rottura delle trattative (7 febbraio), mentre si organizzano i comitati di agitazione zona per zona e mentre la « giornata na-

12 Cfr. « L ’araldo lomellino », 16 gennaio 1947; « L a voce di Vigevano», 18 gennaio 1947. 73 Cfr. ad es. Renzo Stefan elli, Lotte agrarie e modello di sviluppo, 1947-1967, Bari 1975, p. 27. 74 Guido Crainz zionale del contadino » del 21 febbraio è l’occasione per un’iniziativa di massa de­ centrata nei diversi paesi74 75, nel dibattito e nella propaganda sindacale entrano una serie di altri problemi, fino alla elaborazione di una piattaforma per i giovani con­ tadini73 e fino allo stesso imponibile di manodopera femminile. Un primo accordo viene fatto ai primi di aprile: 17 vacche per mungitore, compenso annuo forfet­ tario per l’andata e ritorno dal lavoro di 110 ore di paga (circa 20 minuti al giorno, cioè), orario di 8 ore, 7 nei mesi invernali con detrazione di salario e non recupero dell’ora in meno. Non è ancora un accordo soddisfacente, nota il « Corriere della provincia » il 14 maggio, in polemica con gli agrari, osservando che alcune richie­ ste non accolte erano già in vigore prima del fascismo. Intanto, nelle fabbriche della provincia di Pavia la tensione crescente esplode in diversa misura nel mese di aprile, con agitazioni spontanee sia su obiettivi di reparto e di fabbrica che sulla questione del carovita: la CGIL è costretta a pesanti richiami ai propri qua­ dri in questo mese, e vi è uno sciopero generale a Vigevano, il 15 aprile, che porta a una gratifica pasquale di lire 4000 per le categorie industriali. Il « Corriere della provincia » commenta: « Il pronto intervento della Camera del lavoro è valso ad incanalare lo sciopero e a farlo concludere nell’interesse dei lavoratori » 76 77. Nelle campagne, quella tensione porta a giudicare insoddisfacenti una serie di accordi (ad esempio, subito dopo il patto-monda traspaiono nel ’47 cenni autocri­ tici sui giornali della sinistrav ) e trova un punto di riferimento nello « sciopero dei 12 giorni » del settembre, di tutta la Valle Padana. In esso, l’obiettivo di un patto interregionale che unifichi e migliori i vari patti provinciali si accompagna alla questione della contingenza, degli assegni familiari, dell’orario e soprattutto dell’imponibile. Nel bilancio positivo dello sciopero vanno messi non solo i risul­ tati strappati su contingenza, orario e assegni familiari, ma l’ampiezza stessa e il significato politico delle lotte che, dopo l’espulsione delle sinistre dal governo segnano una diversità rispetto al periodo precedente, contribuiscono a dare fiducia ai la­ voratori e pongono le basi di un possibile sviluppo del movimento. Anche in pro­ vincia di Pavia l’adesione allo sciopero è massiccia, ed è sufficiente a respingere le provocazioni degli agrari (alcuni casi sono segnalati a Mirabello, in una cascina presso Pavia, ecc.78). Per la provincia di Pavia non è invece una vittoria il con­ tratto dei tagliariso firmato nella stessa sede di trattative: esso in realtà viene addi­ rittura a togliere qualcosa alle condizioni già ottenute in Lomellina, ed è neces­ sario scioperare alcuni giorni per imporre agli agrari il rispetto delle condizioni di

74 Per gli obiettivi della giornata del contadino (proroga contratti agrari, assegni familiari, conversione in legge del lodo De Gasperi e applicazione della legge Gullo sulla mezzadria im­ propria, revisione dei canoni di affitto, assegnazione delle terre malcoltivate per le semine prima­ verili) e per le loro motivazioni, cfr. la circolare della Commissione agraria del PCI a tutte le Federazioni, in ARV. 75 Cfr. « La plebe » del 22 febbraio 1947; sempre su « La plebe », 18 aprile 1947, compare un articolo sull’imponibile di manodopera femminile con riferimento alle conquiste di prima del fascismo. 76 Cfr. « Corriere della provincia », 18 aprile 1947. Significativo il comunicato approvato il 25 aprile 1947 dalla commissione esecutiva della Camera del lavoro: « [...] presa in esame la situazione attuale, caratterizzata da agitazioni incontrollate, che minano la unità e disciplina sindacale, denuncia le manovre che elementi provocatori vanno effettuando in diversi centri della provincia, sfruttando lo stato di disagio e di miseria in cui si trova tutto il popolo [...] riafferma la sua solidarietà verso i partigiani, reduci e disoccupati, il cui avviamento al lavoro è sempre oggetto del suo più vivo e pressante interessamento. Richiama organizzazioni e atti­ visti sindacali, le Commissioni interne, e tutti i lavoratori [...] a una effettiva disciplina sin­ dacale, evitando agitazioni e dimostrazioni che, sfruttate da elementi reazionari e nostalgici, tornano di danno alla risorta democrazia italiana ». Cfr. « La plebe », 25 aprile 1947 e « Il corriere della provincia », 26 aprile 1947. 77 Cfr. « La plebe », 18 luglio 1947. 71 Cfr. «Avanguardia democratica», 11 settembre 1947. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 75 miglior favore precedenti (accettate spontaneamente solo a , Sartirana e Zem e). È necessario soffermarsi sul modo in cui trovò soluzione la questione dell’impo­ nibile. Essa fu avocata a se dal governo che fece riferimento al decreto n. 929, del 16 settembre 1947 sulla massiccia occupazione in agricoltura. Fu certo una vitto­ ria aver imposto al governo di affrontare la questione ma il modo in cui esso lo fece e in cui curò l’applicazione del decreto pose forti ipoteche volte a delimitare fortemente il significato della conquista. Il decreto infatti legava l’attuazione del­ l’imponibile alla promulgazione di decreti prefettizi (i quali avevano oltretutto bi­ sogno dell’autorizzazione della Commissione centrale per la massima occupazione); prevedeva l’applicazione dell’imponibile attraverso commissioni comunali — nei comuni ove i disoccupati superavano il numero di 50 — in cui i rappresentanti dei lavoratori erano destinati a essere minoranza; permetteva infine agli agrari la chia­ mata nominativa e soprattutto prevedeva l’estensione dell’imponibile ai coltivatori diretti (elemento su cui fortemente pesò la volontà padronale di isolare i brac­ cianti da questi strati sociali). A ciò vanno collegati i « guai e danni enormi » che il decreto provocò in alcune regioni rispetto al collocamento, e anche il mancato rispetto da parte del governo degli impegni riguardanti i lavori di miglioria fon­ diaria, come ebbe a dire Luciano Romagnoli al I congresso nazionale della Feder- braccianti, a Ferrara, appena quattro mesi dopo79. Il modo, insomma, in cui il governo emise il decreto e il tipo di applicazione che ne fu fatta sono il segno dei mutati rapporti di forza sul terreno politico, ma va aggiunto che il movimento sindacale sembra non avere immediata consapevolezza della gravità delle ipoteche poste (lo stesso Romagnoli, nell’intervento già citato, giudica il decreto « nel complesso positivo », nonostante soffra di « parecchi difetti »); in particolare, almeno in un primo periodo, sembra sottovalutare la volontà politica che emer­ geva da alcune clausole del decreto e dalle contemporanee scelte governative (si tenga presente che il governo iniziava allora l’offensiva contro il collocamento di classe: è del novembre un’iniziativa volta a togliere il collocamento alle leghe in Puglia e Calabria). È nei documenti di poco posteriori della Federbraccianti che il giudizio diventa via via più netto80. Questa nettezza di giudizio (e le conseguenze che ne sarebbero dovute derivare sul piano della lotta) sembra però meno presente nel periodo immediata­ mente seguente al decreto, nonostante vi siano già segni precisi della volontà di parte padronale e governativa di imporre ulteriori sconfitte al movimento popolare, di rendere stabile l’isolamento della sinistra e di fondare su questo quadro lo svilup­ po economico italiano (30.000 disdette arrivano nell’autunno 1947 ai salariati fissi della Valle Padana e hanno un significato preciso). Se Romagnoli indica già nel gennaio 1948 alcuni obiettivi per la prosecuzione della lotta (insistendo ¡n maniera particolare sulla necessità di evitare la divisione fra braccianti e coltivatori diretti, e inserendo tutta la tematica dell’obbligo delle migliorie fondiarie all’interno di un’ipotesi volta a isolare la grande proprietà dagli imprenditori capitalisti, a ciò

79 Cfr. l . romagnoli, Scritti e discorsi, cit., p. 41 e sgg. 80 Si veda, ad esempio, Osservazioni sul decreto 16 settembre 1947, in ANF, busta « Colloca­ mento 1948 ». In esso, che è di poco successivo all’intervento di Romagnoli, si afferma con molta più decisione: « Fanfani, che era stato costretto dalle lotte dei braccianti e salariati a emettere questo decreto, anche quando per paternalismo voluto ha dovuto in determinanti articoli am­ mettere certi obblighi per la proprietà, è andato immediatamente alla ricerca di altri, che svuo­ tassero questi del contenuto ». In un altro documento (ivi conservato) viene espresso un giudi­ zio molto drastico sulla mancata o parzialissima applicazione del decreto, soprattutto nel mezzo­ giorno, nelle annate agrarie 1947-48 e 1948-49. 76 Guido Crainz

non fa seguito una iniziativa di lotta su questo tema tale da poter essere con­ siderata tempestiva, adeguata e capace di incidere81. In provincia di Pavia, dopo gli scioperi del settembre 1947, vi sono alcuni scioperi di cascina contro agrari che non retribuiscono secondo i patti, e queste forme di lotta continueranno nei mesi successivi (ad es. nel giugno ’48, a Gambolò, i contadi­ ni istituiscono una pretura popolare sul posto per imporre il pagamento del dovuto82). Nel febbraio iniziano le occupazioni di terre demaniali lungo il Po, ma nei primi mesi del ’48 non vi sono scioperi consistenti, nonostante quell’acuirsi di tensione che viene registrato con preoccupazione dai dirigenti sindacali dell’Italia settentrio­ nale («questa situazione — si afferma in una già citata riunione del comitato di coordinamento dell’Alta Italia — non può durare, altrimenti i lavoratori sfuggi­ ranno al controllo dell’organizzazione per agire per proprio conto » 83). È in questo quadro che, dopo il 18 aprile 1948, diverse provincie della Valle Padana entrano in sciopero, dando vita a lotte aspre e dure (su esse è interessante l’analisi svolta da Romagnoli al Comitato direttivo della Federbraccianti dell’1-2 luglio 1948 84). L ’accordo fra le diverse province prevedeva che Veneto e Lombardia si muovessero insieme, ma è Rovigo a scendere in lotta, senza coordinarsi con l’organizzazione nazionale, seguono Pavia, Udine, Mantova. Ciò fa sì, fra l’altro, che neppure gli obiettivi siano concordati, e si uniscano talvolta richieste di semplici rinnovi (in genere accettati, alla fine, dagli agrari) a richieste più qualificate — come la giusta causa, o l’imponibile di mano d’opera femminile —• che vengono quasi sempre accantonate in sede di trattative. La piattaforma pavese contiene l’obiettivo della regolamentazione di disdette e licenziamenti per giusta causa, quello dell’imponibile femminile (una ogni 120 pertiche milanesi nella zona della pianura irrigua), la questione della paga nel periodo della monda, le 16 vacche per mungitore, il patto degli avventizi, e altro. Nelle trattative vengono accantonati anche qui imponibile femminile e giusta cau­ sa. Il commento sindacale non è entusiastico, si limita a sottolineare un accordo particolare sul problema delle disdette (che rimarrà però sulla carta) e alcuni mi­ glioramenti economici e normativi. In Oltrepò i salariati continuano gli scioperi, perché gli agrari non riconoscono la parità di trattamento per quel che riguarda la contingenza85. Il 21 agosto, infine, salariati e braccianti partecipano allo scio­ pero nazionale contro il progetto governativo sul collocamento.

81 La volontà di non andare a un inasprimento dello scontro può esser collegata in certi pe­ riodi, ad esempio prima delle elezioni del 18 aprile alla volontà di non creare situazioni che si riteneva potessero ritorcersi contro la sinistra. Al di là del giudizio su questa valutazione, essa può però riguardare un periodo relativamente limitato, e non è sufficiente a dare risposta a un problema più complesso (cfr. e . tortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana, cit., p. 259 e sgg.; p. 264). 82 Cfr. « La voce di Vigevano » 28 giugno 1948. Per altri scioperi e per la denuncia di altre inadempienze degli agrari: cfr. « Avanguardia democratica », 3 ottobre 1947, 2 e 9 gennaio 1948. Nel 1947 è alto anche il numero di vertenze individuali trattate dalla Federterra: solo per la zona di Mortara, 185 vertenze vengono definite in prima istanza (con un recupero di L. 1.222.794 per i lavoratori), altre 50 sono definite presso l’Ufficio del lavoro (per L. 134.210), 27 sono passate alla magistratura. 83 In essa, un sindacalista pavese nota che i problemi sono di tale gravità da provocare subito azioni locali; il dirigente sindacale milanese Pianezza afferma di aver risposto agli agrari — che si lamentavano per forme di lotta troppo dure — dicendo che « in questo modo i lavoratori intendevano far pressione su entrambe le organizzazioni » (in E. tortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana, cit., pp. 264-265). 81 Cfr. L.ROMAGNOLI, Scritti e discorsi, pp. 58-67. 85 L ’accordo in « La voce dei campi », 30 giugno 1948. Per le disdette, la commissione mista prevista dall’accordo (per evitarle al massimo o comunque trovare lavoro presso altre aziende ai salariati disdettati) sarà sabotata dagli agrari: cfr. « La voce di Vigevano », 1 dicembre 1948. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 77

Crescono inoltre, nella seconda metà del 1948, i tentativi degli agrari di licenziare lavoratori impegnati nel sindacato o nei consigli di cascina: vi è una lotta vitto­ riosa condotta contro un tentativo di questo tipo a Sartirana (cui si fa riferimento nello stesso convegno della Costituente provinciale della terra, nel novembre ’48), ma scioperi contro licenziamenti analoghi vi sono anche a e Fer­ rera Erbognone86. Nel novembre si registrano forme di « non collaborazione » nelle cascine per imporre il ritiro delle disdette 87. A dicembre, vi è uno sciopero duris­ simo, di 27 giorni, a Zerbolò, contro il licenziamento di un membro del consiglio di cascina88, e il 24 gennaio 1949, a , inizia una lotta contro il licenzia­ mento di un capolega, che coinvolge circa 800 salariati e braccianti e dura — in varie forme — per circa due mesi, nonostante l’intervento dei carabinieri e una serrata degli agrari89. La resistenza degli agricoltori, a Zerbolò e Ottobiano, rientra quasi sicuramente in una azione concordata, volta a logorare la forza dei lavoratori, a giudicare anche dalla gestione successiva che ne farà l’organo degli agricoltori: anche questi sono segni del clima politico che sta mutando.

La costituente della terra a Pavia; i consigli di Cascina; l’occupazione delle terre demaniali

Dopo il primo congresso provinciale, tenuto alla fine del 1947, l’iniziativa della Costituente della terra si sviluppa in provincia di Pavia sostanzialmente su due terreni: i consigli di cascina e l’occupazione delle terre demaniali. Sul primo punto, al II convegno provinciale, tenuto il 21 novembre 1948, è già possibile fare un bilancio. L ’esperienza dei consigli di cascina rinvia all’ipotesi di una possibile collaborazione col capitalismo agrario (o di una sua limitazione gra­ duale) finalizzata ad uno sviluppo della produzione. Nel marzo 1948, il dirigente sindacale milanese Pianezza, nell’introduzione al I convegno dei consigli di cascina del milanese, tenuto a Lodi, aveva indicato nella collaborazione fra fittabili e lavo­ ratori, e nel sacrificio di entrambi, lo spirito dei consigli di cascina: « noi attra­ verso i consigli di cascina vogliamo proprio eliminare queste lotte, che danneg­ giano la produzione e rinfocolano gli attriti fra fittabili e lavoratori [...] ». Alcuni capilega avevano indicato come scopo dei consigli di cascina: « indirizzare i lavoratori a un sempre migliore rendimento », « mantenere la disciplina nelle cascine », ecc.90

“ Cfr. « Avanguardia democratica », 20 maggio e 5 agosto 1948. Altri scioperi di cascina, con­ tro agrari che non rispettano i patti e gli accordi sull’imponibile, si hanno a Zerbolò, , alla Cascina del Conte (lo sciopero dura 7 giorni, si ottiene il pagamento del salario nei giorni di sciopero); al Cascinone Galiini (5 giorni); a dicembre, a , un agrario, ex segretario poli­ tico del fascio, che non voleva pagare una festività e aveva cercato di licenziare 10 uomini e 3 donne per imporre le sue condizioni, è costretto a cedere (« Avanguardia democratica », 26 di­ cembre 1948); uno sciopero contro un agrario fascista si ha anche a Zinasco (ibid.). 87 Cfr. « La voce di Vigevano », 10 e 17 novembre 1948. Si annuncia fra l’altro che un certo numero di disdette è stato ritirato, a seguito della lotta, e si illustrano le forme della non colla­ borazione, incitando alla resistenza anche contro sgomberi polizieschi. Il titolo è Ogni cascina una fortezza. 88 Cfr. « Avanguardia democratica », 1 e 22 dicembre 1948; « la voce di Vigevano », 8 dicem­ bre 1948 (parla degli scioperi di solidarietà a Villanova d’Ardenghi e di quello degli abbattitori di piante della zona). Attorno alla sciopero di Zerbolò, e poi di Ottobiano, si creano forme di solidarietà ampia, dalla autotassazione di 3 ore alla settimana da parte di braccianti di altre zone, agli scioperi improvvisi di solidarietà nei paesi vicini. Lo scontro è molto aspro, e vede anche forme di lotta molto dure. Per un giudizio successivo degli agrari, cfr. « La voce dei Campi », 20 maggio 1949. 89 Cfr. « Avanguardia democratica », 7 e 16 febbraio 1949, « La voce dei Campi », 20 febbraio e 10 aprile 1949. 90 Cfr. E. toetoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana, cit., p. 254. 78 Guido Crainz

Vi era in queste parole non semplicemente una vsione che prescindeva dalla realtà dello scontro di classe nelle campagne, ma l’impostazione generale delle sinistre rispetto alla ricostruzione, l’illusione di dividere i fittabili dal fronte dei proprietari (e il suo esito) rivela più ancora che la storia stessa dei consigli di gestione nelle fabbriche, la debolezza dell’ipotesi di alleanze nazionali che la reggeva. Al I congresso della Federbraccianti Romagnoli, nel presentare i consigli di cascina, aveva insistito sull’interesse oggettivo dei fittabili ad allearsi in questa azione con i lavoratori, contro la rendita fondiaria, anche se nel suo intervento affiorano ac­ centi diversi: « Se essi [gli agricoltori] non riescono a entrare in questo ordine di idee [...] possono anch’essi scomparire», concludeva infatti Romagnoli91. Alla fine del ’48 la sinistra registra non solo che gli agricoltori sicuramente « non riescono a entrare in questo ordine di idee », ma che gli strumenti per un’imposta­ zione offensiva, tale da colpire anche l’impresa capitalistica nelle campagne, non sono messi a punto. Ciò vale anche per Pavia: alla fine del ’48, dei circa 225 con­ sigli di cascina costituiti92 solo in uno, ad , è entrato il fittabile; in un altro caso, all’azienda Freddo di Zerbolò, il consiglio di cascina è riuscito a imporre all’agrario l’acquisto di una quota rilevante di concime. In qualche altro caso, dove è maggiore la concentrazione bracciantile, i braccianti intendono il controllo dell’azienda in termini di potere e non di collaborazione (costringono l’agrario a consegnare i registri, ecc.), ma l’azione non ha seguito (questi epi­ sodi non sono presenti nel dibattito al convegno). È impressione generale, quindi, e lo afferma Caroli un avventizio di Zeme, nel suo intervento al II convegno della Costituente della terra che « i consigli di cascina sono stati costituiti, ma pratica- mente figurano solamente sulla carta». Un secondo punto è presente in maniera centrale nelle relazioni introduttive del II convegno della Costituente della terra, ed è quello della riforma agraria, ma ha certo ragione Morosini, capozona di Mede (nell’intervento citato all’inizio di que­ sto lavoro) nel rilevare una grossa indeterminatezza per quel che riguarda il modo di imporre la riforma agraria a quello che è ormai definito «il governo nero», il « governo degli agrari ». Nella sua relazione, Vicini (segretario della Federbraccianti e del Comitato pro­ vinciale della terra) aveva collegato il problema stesso delle terre demaniali a una profonda riforma fondiaria: solo una trasformazione generale dell’agricoltura, infatti, avrebbe permesso alle stesse cooperative bracciantili sorte per l’occupa­ zione delle terre demaniali di sopravvivere e svilupparsi. « Nella provincia — afferma Vicini — abbiamo 891 aziende agrarie che superano i 50 ha, con una superficie complessiva di ha 97.804; applicando la riforma agraria con la limitazione a 50 ha avremo una disponibilità di 53.304 ettari, che in parte verrebbe coltivata direttamente da braccianti agricoli, in parte andrebbe a integrare quelle pic­ cole aziende cui ha accennato prima » (e cioè le 18.716 aziende fino a 1/2 ettaro, le

91 Cfr. l’intervento di Romagnoli al I congresso della Federbraccianti, in L. romagnoli, Scritti e discorsi, cit., pp. 52-53. 92 Una tabella, forse non del tutto completa con elenco di 225 consigli di cascina in ARV. Secondo tali dati i consigli di cascina sono concentrati nelle diverse cascine dei comuni di: Fo­ rnello, Gravellona, , , Zeme, Candia, San Giorgio, , Confienza, Ro- sasco, Sant’Angelo, , Valle Lomellina, Ottobiano, Sartirana, Pieve del Cairo (in Lo- mellina); Carbonara Ticino, Zinasco (nel basso pavese a ovest del Ticino); , , Rognano, , Corteolona, Zerbo , Torre dei Negri, Santa Cristina, Landriano, (pavese a est del Ticino). Gli Atti del Convegno cui facciamo riefrimento sono in ARV. Sul consiglio di Cascina di Albaredo Arnaboldi, oltre agli Atti del Convegno cfr. « Avan­ guardia democratica » del 9 dicembre 1947 e del 31 marzo 1948. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 79

7.210 che hanno in conduzione circa 1 ettaro, le 12.509 che hanno da 1 a 3 ettari). « E ciò — continuava Vicini — oltre alla superficie già segnalata riferentesi alle 40.000 pertiche milanesi di terre demaniali e ai 170 Km di argini che abbiamo nel­ la provincia » (ponendo la limitazione a 100 ha. la superficie disponibile sarebbe, in provincia di Pavia, di 24.495 ha, e l’esproprio riguarderebbe 347 proprietà)93. In realtà, la riforma agraria rimane argomento di propaganda generale, e si svilup­ pa solo la lotta per l’occupazione delle terre demaniali da parte dei braccianti e dei contadini poveri, guidata dai comitati comunali per la terra dei 41 comuni interessati. Essa ha diversi significati di rilievo, e ciò spiega il suo seguito larga­ mente di massa. In primo luogo risponde sia al problema della disoccupazione brac­ ciantile che a una situazione di disagio materiale enorme, che già aveva avuto ma­ nifestazioni precedenti con le spontanee incursioni per far legna o erba sulle terre demaniali affidate in concessione ad alcuni agrari, o in alcune zone con la richiesta di legna a basso prezzo presso gli agrari (che ha portato a scioperi anche di 4 o 5 giorni). È una situazione reale, diffusa ben oltre le zone delle terre demaniali: a Ottobiano, in Lomellina, di fronte alla rigidità degli agrari, che assumono spe­ ciali guardie campestri per impedire ai contadini di prendere anche solo qualche bracciata di erbe e ortiche per le bestie, si giunge perfino a uno sciopero generale di alcuni giorni — sconfessato dal PCI e dal PSI — per imporre l’allontanamento delle guardie94. In secondo luogo, l’occupazione delle terre demaniali intendeva raccogliere un’am­ pia unità popolare — che in moltissimi casi si realizza — ponendo il problema di una produzione diversa (Al posto dei pioppi grano per il popolo, dice un titolo del « Corriere della provincia »), e colpendo interessi parassitari in agricoltura (un primo passo per andare oltre, e colpire ad esempio le grandi proprietà degli enti, ecc.). Queste terre infatti, come afferma uno scritto sindacale posteriore « in base ad una legge fascista del 1936 e successiva modifica (nel ’37) sono state date in concessione ai più grandi agrari della nostra provincia (e qui non è errato aggiun­ gere anche per meriti fascisti) », in cambio di un affitto simbolico e dell’impegno a sviluppare la pioppicoltura. Quasi tutti i concessionari sono inadempienti su que­ sto punto, avendo preferito non assumere mano d’opera, e limitandosi a un arricchimento basato sulla spoliazione, sulla speculazione tramite le riserve di caccia, ecc.95. L’occupazione delle terre demaniali ha quindi come obiettivo la concessione dello sfalcio degli argini direttamente alle cooperative di braccianti, e il passaggio della concessione delle terre demaniali dagli agrari inadempienti alle cooperative stesse. Nel febbraio 1948 le occupazioni iniziano a (con i bambini della scuola in testa al corteo), Mezzana Rabattone, Zinasco, e , con un carattere largamente popolare; continuano poi a , Ghiaie di , Bastida (La riforma agraria l contadini se la devono fare da soli, intitola «Avanguardia democratica»), a Tra vacò e in altri comuni. Si costituiscono le cooperative di braccianti (numero minimo: 25 mem­

93 La relazione di Vicini è negli atti del Convegno, in ARV. I dati forniti dall’INEA (L a di­ stribuzione della proprietà fondiaria, cit. sono parzialmente diversi per quel che riguarda le grandi proprietà: ne sono censite 864 oltre i 50 ha — di cui 134 di enti — per una superficie complessiva di ha. 108.651, di cui 19.004 di enti; quelle oltre i 100 ha sono, per LINEA, 370 (67 di enti). L ’INEA inoltre censisce 65.976 proprietà sotto i 0,50 ha., 33.026 fra 0,50 e 2 ha. (per una superficie di ha. 26.437) e 239 proprietà fra 2 e 5 ha. (per una superficie di ha. 26.437). 94 Cfr. « La voce dei campi », 17 gennaio 1947. 95 II documento è in ARV. 80 Guido Crainz

bri96), e si procede a verificare le inadempienze dei concessionari, in alcuni casi clamorose, come a Mezzana Rabattone, dove una ispezione ufficiale — fatta alla presenza di numerosi contadini — porta alla luce anche la complicità fra i pub­ blici poteri e il concessionario (Gli affamatori del popolo smascherati, titola « Avanguardia democratica » 97). L ’organo degli agricoltori reagisce invitando i concessionari a resistere e a ricorrere alla forza pubblica. I braccianti procedono allo scalvo dei boschi cedui a Zinasco; a Mezzana Rabat­ tone impongono la sospensione dell’abbattimento di un pioppeto, ordinato da un concessionario inadempiente, e la partecipazione di massa cresce: a Bombar­ done, presso Zinasco, contro l’intervento della forza pubblica su un terreno dato in concessione alla baronessa Weill-Weiss, si radunano immediatamente 1500 lavoratori dai comuni vicini (in questo caso, agli altri motivi che spiegano una larga partecipazione di massa si può forse aggiungere la precedente storia del movimento contadino in quella zona: nel 1919-20 la cooperativa socialista «Pavia e Uniti » era riuscita a ottenere in affitto, con la lotta, alcune terre della baro­ nessa Weill-Weiss, e vi sarà una continuazione dello scontro per l’azione della proprietaria e dei fasci di combattimento, guidati dal loro massimo esponente, Forni, volta a togliere la conduzione alla cooperativa98). Alcune iniziali vittorie sono ottenute: nel 1948 un telegramma di Pella autorizza la concessione dello sfalcio in blocco alle cooperative. In campo nazionale era stato anche ottenuto lo stanziamento di un fondo per le cooperative che avreb­ bero avuto concessioni: in questa prima fase, alle cooperative pavesi va un sus­ sidio di lire 100.000 ognuna. Nel maggio ’48, però, erano anche iniziati gli echi del «dopo 18 aprile»: vi sono gli arresti di otto contadini a Mezzana Rabattone. Anche il segretario della Federbraccianti sarà incriminato, e viene arrestato per aver dato notizia e com­ mento dei fatti, il direttore di « Avanguardia democratica » 99 L ’iniziativa degli agrari si articola su diversi piani, a partire dalla seconda metà del ’48. Si costituisce, per iniziativa dell’Associazione agricoltori, il « gruppo pro­ vinciale rivieraschi di Pavia», che comprende proprietari e affittuari frontisti, concessionari, ecc. per contrapporsi alle iniziative dei braccianti, grossi ostacoli saranno sempre più frapposti alla concessione delle terre da parte dell’Intendenza di Finanza (nonostante la commissione provinciale dia parere favorevole per la concessione alle cooperative di alcune zone, data la totale inadempienza dei con­ cessionari precedenti). Un’altra azione decisiva è la revoca da parte dell’inten­ denza della concessione in blocco dello sfalcio degli argini alle cooperative, con l’imposizione che ogni cooperativa concorra per il suo tronco: inizia così uno stillicidio che porterà, nel 1953, alla revoca pressoché completa. Verso la fine del 1949, la lotta riprende a Travacò, Zinasco, Pieve Albignola, Mezzana Ra­ battone, San Cipriano, Ghiaie e Monticelli, mentre vengono date alcune piccole concessioni. L a direzione generale del Demanio, di fronte alla ripresa della lotta, *58

58 Lo schema per la costituzione delle cooperative, così come il loro elenco completo, in ARV. Esse sono, alla fine del 1948, 22 e salgono poi a 27. All’ampio materiale conservato in ARV, oltre che ai giornali locali, si farà riferimento per le notizie sulle lotte e sui loro sviluppi. 97 Cfr. « Avanguardia democratica », 7 aprile 1948. 91 Cfr. in ACS il rapporto del prefetto di Pavia al ministero degli Interni, Direzione Generale PS, Pavia 23 gennaio 1922, n. 85. 99 È in questo clima che, nell’agosto, alla conferenza di organizzazione del PCI vi sono cri­ tiche al partito in alcuni interventi, per lo « scarso aiuto » dato a queste lotte, o la sottolineatura dell’importanza della lotta « extraparlamentare »: cfr. « Avanguardia democratica », 5 agosto 1948. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 81 invita l’Intendenza di Finanza a indire licitazioni private fra le cooperative in­ teressate. Fra il ’49 e il ’50 il sindacato denuncia l’azione dell’Intendenza, che sospende le licitazioni per permettere ai vecchi concessionari di unirsi in coope­ rative. A Corteolona, una sospensione nella concessione dello sfalcio delle erbe avviene « al solo scopo di consentire alla cooperativa agricola fra coltivatori di Zerbo di trasformarsi in cooperativa braccianti»; altri abusi analoghi vengono denunciati a Mezzana Bigli, mentre a Corana una concessione viene data, anzi­ ché alla cooperativa, al vecchio concessionario — che per tre anni non aveva passato alcun canone di affitto. A San Cipriano Po un sopralluogo mostra l’ina­ dempienza del concessionario, e vengono date garanzie di assegnazione alla coo­ perativa, ma una lunga dilazione permette al concessionario di asportare tutto il prodotto del ceduo; infine, a Portalbera, 51 ettari di terreno golenale demaniale vengono dapprima concessi alla coperativa bracciantile, e dopo pochissimo tempo restituiti ai proprietari frontisti che li avevano precedentemente in concessione (nonostante l’Intendenza avesse già chiesto e ricevuto la quota d’affitto dalla cooperativa). È specialmente nel periodo che va dalla fine del ’49 a tutto il ’50 (ed è interes­ sante notarlo fin d’ora) che le forze della conservazione agraria agiscono nella provincia in stretto rapporto fra loro e con determinati settori dello stato — dopo aver sconfitto i braccianti sul collocamento e mentre, a partire dell’inizio del 1949, l’intervento della forza pubblica negli scioperi agricoli diventa sempre più massiccio. Se, sul piano nazionale, questo è il periodo in cui le divergenze nel blocco dominante a proposito della riforma agraria raggiungono una certa ampiezza, esse non sono di natura tale da aprire spazi maggiori all’iniziativa del movimento contadino, né da incrinare l’appoggio quasi sistematico che le prefetture, i comandi dell’Arma dei Carabinieri, e così via, davano ai grandi pro­ prietari e affittuari. Quest’appoggio, anzi, si accentua nettamente, quasi a con­ ferma che il dibattito in corso fra i diversi settori conservatori e borghesi aveva in ogni modo la necessità di escludere qualsiasi possibilità delle sinistre e del movimento sindacale di intervenire efficacemente in esso, modificando seriamente l’asse della discussione e dei contrasti che erano in corso fra quelle forze. Nel gennaio 1950, il prefetto di Pavia vieta di affiggere un manifesto del Comi­ tato della terra, che denuncia le inadempienze degli organi pubblici; vi sono però anche nuove occupazioni a Mezzana Bigli, Balossa Bigli, Casone Burruni. A Beigioioso nel 1950 vi sono concessioni a due cooperative (di cui una «bianca»), che vengono loro ritolte dopo poco tempo a vantaggio delle ditte Dozzio e Saffa (fra le maggiori della provincia), anche se a carico di queste ditte vi è un pre­ ciso rapporto all’Intendenza di Finanza di un consulente tecnico. In sostanza, si hanno concessioni di terre per circa 2536 pertiche milanesi su 40.000 10°, concessioni che subiscono molte riduzioni col tempo, in una vicenda ana­ loga a quella dello sfalcio delle erbe. Nel 1956, nel momento in cui si cercherà di ri­ lanciare l’azione, sarà questo il quadro: delle 27 cooperative che erano state co­ stituite hanno lo sfalcio delle erbe o qualche piccola concessione quelle di Alba- redo Arnaboldi, Casanova Lovati, San Cipriano Po, Po, ; le altre sono sciolte o in via di scioglimento. 100

100 786 pertiche milanesi a Portalbera; 614 p.m. alle due cooperative di Belgioso; 710 p.m. a S. Cipriano: 310 p.m. a Monticelli. Delle concessioni per lo sfalcio resistono più a lungo quelle di Albaredo Arnaboldi, Mezzanino Po, Casanova Lovati, , Mezzana Rabattone, . 82 Guido Crainz

La questione del collocamento

Il valore decisivo della sconfitta sindacale sul collocamento è stato giustamente sollolineato da più parti, ed è stato anche avviato un iniziale dibattito sulle ra­ gioni di tale fallimento. Lo svolgersi di questa battaglia in provincia di Pavia pre­ senta aspetti in qualche modo contraddittori: da un lato l’asprezza e il seguito di massa della lotta in alcune zone (nonostante alcuni ritardi non secondari nel­ l’impostazione) preannunciano i grandi scioperi che cominceranno di lì a poco; d’altro lato, l’esito porta a un notevole arretramento rispetto a situazioni prece­ denti, in cui quasi ovunque l’Ufficio del lavoro riconosceva il collocatore del sin­ dacato 1M. È forse questa situazione di maggior forza a portare ad alcuni ritardi nella lotta in provincia di Pavia, a portare cioè a una iniziale sottovalutazione fino ai primi mesi del ’49, dei reali effetti che il disegno governativo avrebbe avuto, se approvato, nel cancellare rapidamente la situazione preesistente e nel- l’incrinare pesantemente la compattezza stessa del movimento (e ciò nonostante tale disegno di legge sia giudicato fin dall’inizio « di stile tipicamente fascista » I02). È utile soffermarsi su alcuni punti generali della questione, perché essa era, in larga misura, una questione direttamente di potere: il « collocamento di classe » non solo impediva le discriminazioni degli agrari, ma era strumento fondamen­ tale per il controllo sull’imponibile, e per la stessa estensione di esso: contro il collocamento di classe, significativamente, si erano accaniti gli agrari nel 1920-21. Alla liberazione, scioltosi l’ordinamento corporativo fascista, il collocamento vie­ ne preso in mano in molte zone dall’organizzazione sindacale, mentre un’ordinan­ za del Comando militare alleato istituisce invece gli Uffici del lavoro, affidando ad essi anche questa funzione. L’importanza della gestione sindacale del collocamento fa sì che questo punto venga inserito addirittura nello Statuto della Federterra, al I congresso di essa (a Bologna, nell’ottobre 1946), mentre i delegati reagiscono con durezza all’inter­ vento del ministro del Lavoro D’Aragona che propone di affidarlo agli Uffici del lavoro. Fin dall’inizio è nettissima l’azione degli agrari, delle forze più conserva­ trici e della Democrazia cristiana in particolare, volta a togliere il collocamento al sindacato: una circolare del ministro del Lavoro ai prefetti di Puglia e Lu­ cania, nel novembre ’47, va in questa direzione, mentre il 15 aprile 1948 il ministro del Lavoro, Fanfani, inserisce nel decreto legge n. 381, sul «riordina­ mento dei ruoli centrali e periferici del ministero del Lavoro e della Previdenza sociale » un comma che sancisce il principio del collocamento come funzione statale. Dopo il 18 aprile, lo stesso ministro del Lavoro presenta in parlamento, in un insieme di leggi che riguardano la disoccupazione, una legge che avoca allo stato il collocamento in forma definitiva (e che contiene anche una serie di aspetti particolari ulteriormente gravi, come il numero ampio di categorie per cui è ammessa la chiamata nominativa, ecc.). Contemporaneamente, il go­ verno, i prefetti, gli Uffici del lavoro, intensificano l’azione contro il collocamento di classe: in molte zone — prima ancora che la legge passi — vengono istituiti gli uffici di collocamento statale e messi in contrapposizione a quelli sindacali

,0' Il verbale della riunione del Consiglio generale delle leghe della provincia di Pavia del 14 agosto è in ANF, busta « Collocamento 1947/48 ». Cfr. anche la lettera con cui il segretario della Federbraccianti pavese accompagna (¡1 30 marzo 1949) i dati sulla elezione dei collocatori (sempre in ANF, busta « Imponibile-Collocamento 1949 »). 102 Cfr. la relazione di Carlo Lombardi alla riunione del Consiglio generale delle leghe di Pa­ via e provincia del 14 agosto 1948, cit. Al ritardo con cui nella provincia viene impostata la lotta sul collocamento si fa riferimento anche nel dibattito al II convegno della Costituente della terra delia provincia: cfr. l’intervento del senatore comunista Farina. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 83 preesistenti. Il 21 agosto 1948 vi è lo sciopero nazionale di braccianti e salariati e un altro sciopero di 48 ore è attuato nelle campagne ferraresi. Il sindacato brac­ ciantile si impegna seriamente nella battaglia, sostenendo le forme più avanzate di lotta e proponendo — in dicembre — di far eleggere il collocatore da tutti i lavoratori, distinguendolo cioè dal capolega, ma al tempo stesso contrapponen­ dolo al collocatore di stato: è un’indicazione sicuramente avanzata, strettamente legata allo scontro nelle campagne, ma è anche in qualche modo in contraddi­ zione con l’impostazione generale delle sinistre, in quegli anni, rispetto agli ordinamenti statali usciti dalla lotta di liberazione. Contemporaneamente, il grup­ po dirigente nazionale della Federbraccianti si impegna a rettificare il lavoro di quelle Federazioni in cui la mobilitazione è minore, e a cercare anche di coinvol­ gere nella battaglia l’intera CGIL, a partire dalle categorie più direttamente in­ teressate, in primo luogo gli edili, poi le categorie che avevano precedentemente condizioni particolari, ecc.103. Un coinvolgimento sostanziale dell’insieme del movimento sindacale in realtà non avverrà: lo stesso Romagnoli interverrà criticamente su questo punto dopo l’accordo, in un articolo per la « Guida dell’operaio agricolo » del maggio-giugno 1949. Eppure non sfuggiva ai dirigenti sindacali la posta in gioco: Di Vittorio, al Consiglio nazionale della CGIL del 2-5 ottobre 1948, collegò questa legge al « tentativo di istituire in Italia un regime di polizia ». Il movimento bracciantile si trova quindi in larga misura solo a sostenere lo scontro, ma la posta in gioco porta a una grande estensione della lotta: reiezio­ ne diretta dei collocatori da parte dei braccianti viene fatta sfidando l’intervento poliziesco, gli arresti dei collocatori eletti, e così via, in una contrapposizione aperta agli uffici di collocamento statale che entrano in funzione in questo periodo per iniziativa del governo e degli agrari. In diverse zone, vi sono addirittura ca­ riche poliziesche e arresti nei campi di braccianti che si fanno avviare al lavoro solo dal collocatore di classe. Nella Valle Padana, sono circa 615 i collocatori eletti. Ai primi di gennaio un convegno sul collocamento riunisce a Mortara 1200 capilega e attivisti della Lomellina, del Novarese e del Vercellese; la lotta si estende anche al mezzogiorno, e vi sono anche iniziative quali raccolte di firme, ecc. (50.000 firme sono raccolte, ad esempio, nella sola provincia di Bari). A Pavia, la lotta si sviluppa fra febbraio e marzo; i collocatori di classe vengono eletti, con un’alta percentuale di votanti, in molti paesi. Un primo elenco sinda­ cale porta i dati delle elezioni avvenute a Breme Lomellina, Groppello Cairoli, Zerbolò, Landriano, Sant’Alessio, , Cozzo, Candía Lomellina, , Pieve Albignola, , Zeme Lomellina, Pieve del Cairo, Vigevano, Gravel- lona, Borgo San Siro, Cassolnovo, Tromello, Gambolò, Santa Cristina, Sant’An­ gelo Lomellina, Mede, , , Rognano, Bereguardo, Mon­ tecalvo Versiggia, , , , Mezzana Rabattone I04.

103 Nell’ottobre del 1948, la segreteria della Federterra, riferendosi al fatto che sia il 21 agosto, sia in occasione dello sciopero di 48 ore in provincia di Ferrara, sono stati solo i braccianti a scendere in lotta, invita a una riunione alcune federazioni di categoria (edili, poligrafici e cartai, vetrai e ceramisti, ecc.), affermando che è « necessario che l’azione non venga riversata solo su una categoria [...] siamo convinti che vi renderete conto della necessità di non restare inattivi di fronte alla gravità della situazione » Della fine del 1948 è una circolare riservata della segre­ teria della Federbraccianti alle Federazioni provinciali che va nel senso di sottolineare le espe­ rienze più avanzate di lotta, invitando alla loro generalizzazione, e di denunciare la situazione di fatto che il governo cerca di imporre (sostituendo i collocatori sindacali in molte zone). En­ trambi i documenti in ANF. 104 L ’elenco, con il numero dei votanti e il numero degli iscritti alla Federbraccianti in ogni paese è accompagnato dalla lettera del segretario della Federbraccianti pavese a Romagnoli, in data 30 marzo 1949: in ANF, busta « Imponibile-Collocamento 1949 ». 84 Guido Crainz

Il comportamento degli agrari, degli Uffici del lavoro e della forza pubblica non è omogeneo ovunque: nella relazione del segretario pavese Vicini a Romagnoli del 30 marzo 1949 si afferma che « malgrado l’Ufficio del lavoro non voglia sentir parlare di elezioni, abbiamo diversi collocatori riconfermati dall’Ufficio del la­ voro stesso, e che sono stati eletti». In altre zone, invece ove vi sono resistenze degli agrari e i collocatori indicati dal sindacato o eletti sono sostituiti, lo scon­ tro è allora molto duro: a (uno dei paesi non compresi nel primo elenco citato) l’elezione avviene nonostante l’intervento dei carabinieri, ma lo scontro maggiore si ha a Robbio e San Giorgio Lomellina. A Robbio sono le mondine a entrare in lotta, a non riconoscere il collocatore comunale di no­ mina governativa e a invadere il comune, tenendo un comizio dal balcone. I carabinieri caricano, arrestando dodici donne: vi è immediatamente lo sciopero generale dei braccianti, che porta alla loro liberazione. A San Giorgio Lomel­ lina ancora le donne rifiutano di riconoscere il collocatore governativo: i cara­ binieri allontanano le donne dalla piazza, e viene praticato un autentico copri­ fuoco. Al mattino, mentre gli uomini sono al lavoro vengono arrestate quattro donne, liberate anche qui a seguito di un’improvvisa manifestazione (a luglio vi sarà il processo contro 21 mondine e due braccianti). Grandi manifestazioni vi sono a Vigevano, Sannazzaro, Mede, Pavia, Stradella, Corteolona, Garlasco. Do­ po l’approvazione della legge vi sarà poi l’arresto, per « abuso di potere », del col­ locatore eletto a Langosco, e si susseguiranno le manifestazioni per la sua libe­ razione 105. È in questo crescere di tensione in tutta Italia (e mentre attivi e convegni sindacali decidono l’intensificazione ulteriore della lotta) che la CGIL firma il compromes­ so col governo, fra il 9 e il 10 aprile. Va rilevato come questo sia il momento in cui gli scioperi in agricoltura diventano più incisivi. Firmare l’accordo in quel momento voleva anche dire separare di fatto la questione del collocamento dai grandi scioperi per il contratto nazionale che erano allora in preparazione, e che avverranno fra maggio e giugno. Ad una lettura posteriore sembra profondamente sbagliato il tentativo della direzione sindacale di presentare i miglioramenti ottenuti come una grande vit­ toria. In realtà, era riconfermato interamente il disegno di legge governativo; era stata ottenuta solo la possibilità che l’Ufficio del lavoro nominasse dei coadiu­ tori frazionali e anche la possibilità (non l’obbligatorietà) che il collocatore sta­ tale fosse affiancato da una commissione consultiva, composta di sette lavoratori e tre agrari. Al di là dei poteri di tale commissione, la possibilità di istituirla pre­ vedeva un funzionamento macchinosissimo (tale da impedire quasi ovunque la pratica), imponeva il benestare del ministero del Lavoro, del prefetto, e della commissione provinciale del lavoro (del resto una analoga soluzione di compro­ messo era stata avanzata dal governo fin dall’inizio, e su di essa i dirigenti della Federbraccianti, in particolare Romagnoli, avevano espresso allora — ad esem­ pio nel luglio 1948 — un parere radicalmente negativo). Pur ammettendo che in alcune zone del nord si trattava di un passo indietro, la direzione sindacale — presentando il compromesso — sottolineava il carattere di miglioramento che esso aveva al sud, ove in molte zone il collocamento era in mano degli

105 Cfr. « L a plebe» del 31 marzo e del 7 aprile 1949; «Avanguardia democratica» del 30 marzo, del 6 e 27 aprile 1949; « La voce di Vigevano » del 6 e del 27 aprile 1949. Nello stesso periodo, cariche poliziesche si hanno alla SAITI e alla SNIA. Il clima è molto teso: il PCI denuncia come provocatorio il tentativo di ricostruire fra partigiani e lavoratori squadre ar­ mate, negando la propria responsabilità in queste iniziative (« La voce di Vigevano », 20 aprile 1949). Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 85 agrari, e avveniva direttamente «sulla piazza». Ora, a parte il fatto che anche in alcune zone del sud i braccianti erano riusciti a imporre il collo­ catore di classe, il ragionamento sindacale non sembra del tutto valido, dati i le­ gami esistenti fra gli agrari del sud, gli organi dello stato, i poteri locali: quello che gli agrari prima facevano illegalmente, ora avrebbero continuato a farlo legalmente, con la nomina di loro agenti a collocatori. Le ragioni di quello che appare come un indubbio cedimento della CGIL sono forse sottintese da un passo della dichiarazione di Di Vittorio, che contiene anche una critica ad alcune forme di lotte che la Federbraccianti aveva indicato come esemplari: a quelle forme di lotta, specialmente che contrapponevano il collo­ catore eletto al collocatore statale. Afferma infatti Di Vittorio che se non firmavamo questo accordo, ai nostri lavoratori non restava che condurre una lotta frontale non soltanto contro gli agrari, contro i lavoratori crumiri protetti dalla poli­ zia, ma anche contro lo stato. Cioè quello che è stato fatto a San Giovanni Persiceto, a Lagosanto, a Castel d’Argile, a Castel Bolognese, a Meldola. Questa è una lotta che ha molti inconvenienti, e il più grave è quello di dividere i lavoratori, prestandosi al gioco degli agrari: quello di creare gruppi di lavoratori che entrano in conflitto fra di loro. Per quel che riguarda la prima parte di questo giudizio, esso non riesce in ogni modo a spiegare perché il peso della lotta sia stato lasciato ai soli braccianti, né perché il compromesso sia stato firmato proprio nel momento in cui era più impor­ tante, tutt’al contrario, tenere aperta la questione. Più in generale, l’intera dichia­ razione di Di Vittorio — come altre dichiarazioni di dirigenti sindacali — ri­ manda all’incertezza generale, ai problemi irrisolti nella linea delle sinistre in questa fase: la paura di una « frattura fra lavoratori e stato » e del carattere « illegale » di una lotta che pure stava coinvolgendo centinaia di migliaia di la­ voratori porta a un accordo che crea :— esso sì — le condizioni di quella divi­ sione fra i lavoratori che Di Vittorio giustamente paventava (per questa divisione gli agrari possono contare ora anche sul sindacato scissionista). Prevale forse an­ che la tesi che non ci si possa opporre al « diritto-dovere dello stato », come è stato detto, di gestire il collocamento nell’interesse generale di tutti i lavoratori (cioè una tesi opposta a quella che era stata l’asse della conduzione della lotta da parte della Federbraccianti, ma coerente con il giudizio delle sinistre sullo stato uscito dalla lotta di liberazione). Quello che è certo è che in questo modo gli agrari si trovarono in mano uno strumento decisivo per incrinare il fronte bracciantile e sottrarre l’imponibile al controllo dei lavoratori. L’undici maggio 1949 la «Voce di Vigevano», organo del PCI, ricalcando le dichiarazioni di Di Vittorio, affermava che con il compromesso firmato si era riusciti a strappare « lo strumento per ottenere la assoluta impar­ zialità nel collocamento », ma già nel febbraio dell’anno seguente la Camera del lavoro pavese doveva denunciare che rufficio del lavoro « ha sostituito tutti i collocatori che si battono per il rispetto dei diritti dei lavoratori con elementi al servizio degli agrari», che non vi sono le commissioni comunali, che l’imponi­ bile non viene rispettato e che sia le organizzazioni scissionistiche sia gli agrari si servono « del collocamento come arma di rottura della classe lavoratrice » (sem­ pre su « La voce di Vigevano », 1 febbraio 1950). È ciò che sta succedendo, del resto, in tutta Italia 106.

1M Cfr. R. Stefan elli, Lotte agrarie e modello di sviluppo, cit., p. 83 e sgg. 86 Guido Crainz

Dagli scioperi del 1949 allo << sciopero della sconfitta »

La sconfitta sul collocamento, se provoca un’impostazione difensiva nello scio­ pero nazionale del maggio-giugno 1949, è una ragione in più — per braccianti e salariati — per scendere in campo con forza. È difficile attribuire le forme radicali di lotta con cui il proletariato, soprattutto lomellino, affronta lo scontro a un suo generico «massimalismo», piuttosto che alla coscienza — attinta dalla propria storia e dalla consapevolezza della posta in gioco — che non è possibile una soluzione di mediazione, che una resa dei conti importante fra i due schieramenti non può tardare, e che la sconfitta avrebbe con­ seguenze disastrose i07. Braccianti e salariati scendono in lotta per il patto nazionale 108, per accordi miglio­ rativi presentati in sede provinciale, per la riforma degli istituti previdenziali, la giusta causa e l’obbligo di migliorie fondiarie. L’inizio della lotta, fissato per il 16 maggio, è rimandato al 18. Nel corso degli scioperi entreranno in lotta le mondine e i mezzadri. I mungitori non vengono chiamati invece a partecipare alla lotta, per una lunga parte di essa: la minaccia di un loro intervento contri­ buirà a determinare l’accordo del 22 giugno. La non partecipazione dei mungitori alla lotta fu criticato da molte organizzazioni bracciantili, anche perché di fatto rischiava di creare una frattura fra i braccianti e questo strato di lavoratori. Lo stesso Romagnoli, nella R e la z io n e tenuta al II congresso nazionale della Feder- braccianti (Mantova, 6-9 novembre 1949, nella parte in cui si sofferma sugli errori compiuti in questo sciopero afferma che « un altro difetto, di cui siamo essen­ zialmente responsabili noi della direzione nazionale, è stato quello di assicurare agli agrari, in maniera un po’ troppo facile, i loro prodotti fondamentali [...] La nostra preoccupazione iniziale, giustificata, di non compromettere il patrimonio fondamentale dell’agricoltura, cioè il bestiame, il grano, ecc. si è trasformata in ragione di sicurezza e di tracotanza per gli agrari ». Lo sciopero ha carattere differenziato, cioè non colpisce i coltivatori diretti. Già una settimana prima dello sciopero in provincia di Pavia, come in altre province, i lavoratori si astengono dai lavori di fienagione e di sfalcio, e già si profilano due elementi: l’intervento massiccio delle forze dell’ordine a difesa degli agrari e l’afflusso di crumiri, che diventerà sempre più consistente. Vi sono scontri a Zerbolò, con l’arresto di un bracciante e lo sciopero generale per imporne la liberazione; vi sono intimidazioni degli agrari ovunque; viene arrestato alla cascina Bellaria il capolega della Federbraccianti di Pavia, che vi era an­ dato per far opera di persuasione presso i crumiri; nove lavoratori sono fermati a Bornasco, tre a Garlasco (vengono liberati da decine di donne e braccianti). Con l’inizio dello sciopero vero e proprio lo scontro si acuisce. La misura della sua ampiezza emerge dai dati complessivi dello sciopero, così come sono riassunti dal segretario provinciale della Federbraccianti Balestrerò (che ha da poco sostituito

107 A conferma della forte disponibilità alla lotta in quei primi mesi del 1949 si veda una cir­ colare della commissione lavoro di massa del PCI (in ARV), ove si nota che « in diversi casi, in alcune zone si sono proclamati scioperi senza aver preso accordi con gli organismi provin­ ciali », e si esamina la possibilità di nuove forme di lotta. A quest’ultimo punto è legata anche una riflessione dell’intero movimento sindacale pavese — che si esprime con vari interventi sui giornali della sinistra — a partire dallo sciopero dei 27 giorni di Zerbolò e da alcune lotte di fabbrica: il problema diventa sempre più di trovare forme di lotta più incisive, che riescano a pie­ gare più rapidamente la controparte. 103 Per un esame più puntuale della piattaforma si leggano i saggi già citati di E. tortoreto, Lotte agrarie nella Valle Padana, cit., e di A. bozza, Le lotte nelle campagne bolognesi, cit. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 87

Vicini) in un rapporto alla organizzazione nazionale inviato il 31 agosto 1949

Lavoratori che hanno partecipato alla lotta: uomini 31.000, donne 19.540. Scioperanti effettivi (lavoratori che avrebbero dovuto andare a lavorare e che si sono astenuti) n. 43.432. Giornate di lavoro perdute in complesso: n. 1.774.000. Importo delle giornate perdute in totale: L. 1.406.144.000. Danni subiti dagli agrari (per la fienagione, mietitura, ecc.): L. 6.300.000.000. Soprusi della polizia: lavoratori bastonati e percossi 5000; feriti 20; fermati 800; de­ nunciati 400; braccianti attualmente in prigione: 44, con processo in corso. Biciclette (di braccianti) distrutte 11, danneggiate 110 [...] Assistenza fatta ai braccianti e fami­ liari: L. 1.327.000, in maggioranza spese per gli arrestati e i familiari [...] Fondi rac­ colti durante la lotta: L. 1.750.840 [...] Reclutamento dei braccianti dall’inizio al ter­ mine della lotta: 10.000 [...] Leghe esistenti in provincia 198. (In base agli altri dati che giungono alla Federbraccianti nazionale, il numero delle giornate perse per sciopero dai lavoratori pavesi e il danno inflitto agli agrari sono altissimi, sia in termini relativi che assoluti)109. L ’organizzazione sindacale denuncia che molti crumiri vengono fatti affluire dal bresciano, dal bergamasco, ecc. (in un comunicato fatto a fine sciopero il segre­ tario provinciale della Confederterra, Lombardi, valuta a 2.000 il numero dei crumiri importati da altre zone, e anche i Sindacati liberi denunciano l’illegale arruolamento da parte degli agrari di manodopera da altre province). A Vige­ vano, i carabinieri — guidati da un agrario — irrompono addirittura nella Ca­ mera del lavoro, per prelevare otto crumiri che erano stati convinti a tornar­ sene a casa; a Mortara centocinquanta crumiri vengono scaricati da alcuni ca­ mion nel cortile in cui, annota «La plebe», hanno sede l’Associazione agricol­ tori e la DC. In molte situazioni sono le donne soprattutto a dirigersi verso i crumiri, resi­ stendo alle cariche della forza pubblica: a Carbonara, Zerbolò, Mede, Bereguar- do, Valle Lomellina, Oottobiano (in alcuni casi i braccianti pagano ai crumiri le spese per il ritorno). A Mede un agrario costringe alcuni piccoli proprietari a lavorare per lui, minacciando di toglier loro l’acqua per l’irrigazione, e spara poi contro i lavoratori. Gli agrari o i loro uomini sparano a Lomello e in altre zone. Fermi e arresti di lavoratori si hanno a , , Pieve Albi- gnola, San Giorgio Lomellina, San Biagio, , Castelnovetto (dove viene arrestato anche il sindaco). Cariche della forza pubblica sono segna­ late a Sairano, Ottobiano, Carbonara Ticino, Valle Lomellina, Alagna, Vige­ vano, Lomello, Casorate, Mezzana Bigli1I0 111. In molte zone della provincia, come a Celpenchio, i mungitori entrano in sciopero, spesso per protestare contro l’in­ tervento dei carabinieri. Dopo lo sciopero delle mondine (i lavori di monda riprendono il 7 giugno: viene confermato il contratto dell’anno precedente, lasciando cadere questioni im­ portanti fra cui il collocamentom), entrano in sciopero il 9 giugno i lavoratori della stalla (tranne i mungitori, che faranno una mungitura al giorno), mentre si estendono le manifestazioni nei centri principali, come Pavia e Vigevano,

109 II rapporto delle diverse organizzazioni provinciali — fatto in base a un unico questionario — e una tabella riassuntiva in ANF. 110 I giornali socialisti e comunisti documentato in maniera molto ampia le fasi della lotta: ci limiteremo qui ad alcuni accenni, per illustrarne la portata. Il comportamento della fòrza pub­ blica è illustrato da un dettagliato intervento in senato, nel luglio del senatore comunista Farina. 111 L’organizzazione sindacale afferma che l’Associazione agricoltori accetta di trattare l’accordo per la monda solo dopo la defezione di diversi agrari risieri che chiedono di trattare individualmen­ te il contratto: a Beigioioso, Bereguardo, Mirandolo, Groppello, Domo, Pieve del Cairo, Sannaz- zaro, San Martino, Siccomario. 88 Guido Crainz coinvolgendo anche i lavoratori dell’industria e la popolazione. 11 15 giugno vi è lo sciopero nazionale nelle campagne, con manifestazioni in moltissimi centri del Pavese, con nuovi arresti e cariche di carabinieri a Mezzana Bigli, Marci- gnago, Casorate Primo. Alla mezzanotte del 22 giugno cessa lo sciopero, essen­ dosi raggiunto l’accordo in seguito all’intervento — richiesto dalla CGIL — dei presidenti della Camera e del Senato, e soprattutto in seguito alla minaccia di sciopero dei mungitori. L ’accordo comprende sette punti, molti dei quali in realtà rimandano a impegni governativi: sarà adempiuto quello riguardante le disdette, molto meno gli altri (ad es. quello sull’obbligo di migliorie fondiarie), mentre il contratto nazionale sarà rimandato a lungo dall’organizzazione degli agrari, quello dei braccianti sarà firmato nel maggio 1950 e quello dei salariati nel luglio dello stesso anno. Si concludeva così, con risultati relativamente modesti — le stesse disposizioni sul­ le disdette saranno ripetutamente violate dagli agrari — uno sciopero che i la­ voratori avevano affrontato con estrema combattività, e pagato con il sangue in diverse zone italiane. Al fronte padronale, e più ancora a una politica agraria del governo che poteva passare solo con una sconfitta pesante del movimento nelle campagne, non era però sufficiente aver contenuto le richieste contadine 112 113, e di questo vi era con­ sapevolezza anche nell’organizzazione sindacale (la parola d’ordine della I confe­ renza nazionale della Federbraccianti, tenuta nel luglio 1949, fu appunto: « La lotta continua», e si sottolineò la necessità di vigilare per il rispetto degli ac­ cordi). Ai licenziamenti politici, che vengono segnalati dai giornali di sinistra, si aggiun­ gono in provincia di Pavia le richieste degli agricoltori volte a ridurre le con­ quiste dei lavoratori (a novembre, il patto provinciale salariati porta al conteg­ gio di una festività in meno e a una leggera modifica della contingenza: gli agrari avevano chiesto il 15 per cento in meno). Inoltre, per imporre il rispetto dell’imponibile precedentemente conquistato, braccianti e salariati attuano la non-collaborazione nei giorni uno e due dicembre (anche in risposta all’eccidio di Torre Maggiore), mentre i salariati dell’Oltrepò la attuano già da una setti­ mana perché venga loro riconosciuto lo stesso accordo valido per la Lomellina e per il Pavese. Viene rilanciato anche, come abbiamo visto, il movimento del­ l’occupazione delle terre demaniali. In diverse zone la non collaborazione dura diversi giorni, per imporre agli agrari il rispetto dei patti firmati1B. L’imponibile viene confermato nella stessa misura prevista dal precedente patto avventizi, ma le inadempienze degli agrari si susseguono: particolarmente dura è la loro azione nel Pavese, ove salariati e braccianti hanno condotto con estremo coraggio lo sciopero del 1949, nonostante il forte afflusso di crumiri114. Partico­ larmente lungo è l’elenco degli abusi padronali: dai licenziamenti politici, al­ l’imposizione di lavorare solo tre giorni, pena il licenziamento, alla violazione

112 Si leggano questi brani dell’Associazione agricoltori di Pavia, in « La voce dei campi », 25 giugno 1950: « I comunisti della Federterra, per fini che non esitiamo a definire criminali, hanno imposto lo sciopero generale. Ai pazzi criminali offriamo noi un posto a pagamento in un manicomio; ai criminali, soprattutto a quelli coscienti di esserlo, lo stato deve assicurare, è suo preciso dovere, un posto nelle patrie galere ». 113 Cfr. « La voce di Vigevano », del 14 e del 28 dicembre 1949. Si riferisce a San Giorgio, Vaile Lomellina, Sartirana, Gariasco, Sannazzaro, Ferrara, Zeme, . 114 Per l’est-Ticino cfr. le annotazioni fatte, al termine dello sciopero del maggio-giugno 1949, in « La plebe », 30 giugno 1949. Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 89 frequentissima delle leggi sul collocamento e dell’imponibile *15. L ’organizzazione sindacale denuncia che le disdette, nonostante la legge del 15 agosto 1949, fatta dopo lo sciopero, sono ben 1.600, e deve affrontare anche questo terreno: in generale, essa avverte le difficoltà sia di una risposta condotta azienda per azienda, sia della battaglia su quel terreno difensivo cui il quadro politico e l’azione degli agrari la costringono. Dopo lo sciopero di marzo di operai, braccianti e salariati, in seguito all’eccidio di Lentella, nel maggio 1950 inizia la lotta per il rispetto dei patti da parte degli agrari, per il rimborso delle trattenute arbitrariamente operate da essi, per l’imponibile femminile, per il rinnovo del contratto dei salariati e il riconoscimento della paga maggiore durante il periodo di monda. La lotta inizia con la non collaborazione, la sospensione dei lavori di fienagione, e in alcune zone della Lomellina, si fa lo « sciopero alla rovescia » soprattutto delle donne, per imporre l’imponibile femminile con obiettivi concreti: un collet­ tore di bonifica, una strada, ecc. Questa volta la dissociazione dei Sindacati liberi viene subito (22 maggio); alle forme di lotta già citate la CGIL aggiunge la proclamazione di alcuni scioperi di 24, poi di 48 e di 72 ore. Vi sono scontri in diverse zone e si registrano atti di ritorsione contro quei coltvatori diretti che si prestano a sostituire gli scioperanti nelle grandi aziende (tagli di pioppeti, di frumento, ecc.). Ai primi di giugno c’è l’accordo, che prevede alcuni aumenti salariali per gli avventizi, l’impegno degli agrari a rimborsare le trattenute erronee, l’accettazione dell’imponibile per le vedove unico sostegno, ma dopo lo sciopero crescono le intimidazioni degli agrari, affiancati in molti casi dall’azione del pre­ fetto e delle forze dell’ordine: il sindaco e il vicesindaco di Langosco — che aderiscono al locale comitato di agitazione — sono sospesi con l’accusa di aver incendiato cascinali e allagato diverse campagne durante lo sciopero; viene so­ speso dal prefetto anche il sindaco di Vigevano, per « motivi di ordine pubblico », a seguito di un suo comizio contro la politica governativa (a luglio il prefetto vieterà perfino la raccolta delle firme per la pace, per ragioni di « ordine pub­ blico, che in questo momento va rigidamente tutelato »). Scioperi di cascina vi sono, da parte delle mondine, per imporre in cascina le sette ore, non ottenute nel contratto provinciale, ma in generale l’azione degli agrari comincia a lasciare il segno, in una situazione in cui da mesi anche gli operai della provincia sono impegnati in durissime lotte «di difesa», contro i licenzia­ menti, e spesso con duri interventi delle forze dell’ordine ll6. A ciò si aggiungono alcuni errori dei dirigenti sindacali provinciali nella prepa­ razione dello sciopero d’autunno, errori che verranno autocriticati o denunciati in seguito: la sottovalutazione deH’afilusso dei crumiri, una preparazione caren­ te per molti aspetti (in pochissimi comuni si faranno i comitati di agitazione prima dello sciopero), ecc. n7: ciò contribuisce a spiegare ulteriormente l’andamento e l’esito dello sciopero d’autunno, lo «sciopero della sconfitta», nel quale oltre­ tutto la provincia di Pavia si troverà a un certo punto sola a reggere l’urto, dopo gli accordi separati firmati in altre province, a cominciare da Vercelli. Sono però

1,5 Un elenco lungo e circostanziato in « La voce di Vigevano », 25 gennaio 1950. 116 Cfr, ad es. Incontro con le mondine della Cascina Cantalupa, in « La voce di Vigevano », 7 giugno 1949, per i licenziamenti, ibid., 9 agosto. 117 Oltre che al dibattito che vi sarà al VII congresso provinciale del PCI (in « La voce di Vi­ gevano », 10 gennaio 1951) è possibile far riferimento, per la situazione interna al sindacato an­ che dopo lo sciopero dell’autunno, a un rapporto indirizzato alla segreteria nazionale della Federbracclanti da un dirigente sindacale — Zorzetto — inviato a Pavia per una riunione con la segreteria della Federbraccianti e per un esame della situazione, il 23 luglio 1951, in ANF, busta « Pavia, 1928... ». 90 Guido Crainz gli elementi generali che abbiamo già indicato a pesare in maniera decisiva: l’aver perso alcuni punti di forza, Tesser stati costretti sulla difensiva, dopo una lotta durata cinque anni, che non è riuscita a incidere profondamente sul fronte avver­ sario. Si crea così quel disorientamento del proletariato agricolo e — per l’azione diretta degli agrari — quella divisione al suo interno che non era stata mai re­ gistrata in questi anni e che avviene prima nel Pavese e poi nella Lomellina. Questa nuova realtà spiega sia la determinazione con cui uno strato consistente di salariati e braccianti resiste fino all’ultimo giorno, nonostante l’abbandono pro­ gressivo della lotta di una parte non piccolissima del proletariato agricolo e nono­ stante le enormi difficoltà che ogni giorno la continuazione della lotta poneva, sia la situazione di rottura che permane dopo lo sciopero, non più solo o prevalen­ temente verso crumiri di altre zone, ma all’interno degli stessi paesi e delle stesse cascine, e che per un certo periodo dopo il 1950 impedirà azioni sindacali a li­ vello provinciale, costringendo la Federbraccianti ad azioni solamente parziali. La piattaforma dello sciopero dell’autunno 1950 (che riguarda anche le province di Milano, Vercelli, Novara) comprende la regolamentazione delle disdette, l’ap­ plicazione dell’imponibile differenziato (che esentasse cioè i coltivatori diretti) il ripristino dell’assistenza farmaceutica ai familiari e il trattamento di quiescenza. Lo sciopero inizia il 20 settembre. La posizione degli agrari è chiara: non si cede, si utilizzano largamente i Sindacati liberi (che firmano l’accordo il 21 set­ tembre e si impegnano nello spingere i lavoratori a non scioperare U8), si va allo scontro frontale con il proletariato agricolo che resiste, mirando a imporre alla CGIL l’accordo già firmato con i Sindacati liberi. È ormai puramente una que­ stione di rapporti di forza; lo scontro si radicalizza immediatamente e la stessa tattica dello sciopero differenziato perde di incisività, in una situazione in cui diversi coltivatori diretti sono indotti a prestare il loro lavoro agli agrari. En­ trano in sciopero anche i mungitori per alcuni giorni; sono numerosi gli interven­ ti della forza pubblica: a Sartirana, Palestra, San Giorgio, ripetutamente a , Pieve Albignola, Mede, Ferrera Erbognone, che è praticamente in stato d’assedio per alcuni giorni. Vi sono arresti a , Sannazzaro, Zeme, Zinasco, , Cergnano, . Il prefetto di Pavia, Flores, praticamente proclama lo stato d’emergenzam ; le forze di polizia vanno di cascina in cascina, anche di notte. Le organizzazioni sindacali denunciano come provocatorii gli incendi di cascinali, che vengono fatti in molte zone: sono in realtà quasi sempre il disperato tentativo di una parte consistente e coraggiosa, ma ormai isolata e sconfitta, della classe di non cedere di fronte a uno schieramento di forze impari. Anche nell’ultimo giorno di scio­ pero vi sono violente cariche della forza pubblica a Garlasco, Valle Lomellina, Cozzo in queste due zone vengono arrestati anche i sindaci, mentre numerosi capilega o capisettore sono nel numero degli arrestati. La posta in gioco è chiara a tutti: il 9 ottobre sono gli operai, anch’essi impegnati in lotte durissime, a scioperare e dirigersi in diversi cortei verso le campagne, in solidarietà con il proletariato agricolo: anche contro di essi interviene la forza pubblica (ven- 118*

118 Per l’accordo firmato dai Sindacati liberi, cfr. « Il coltivatore pavese », ottobre 1950. Cfr. 80 anni della Camera del lavoro di Pavia, op. cit., p. 32. Si veda anche l’intervento del sen. Farina (PCI) in Parlamento, che denuncia oltre un centinaio di arresti, centinaia di fe­ riti e contusi, e manifestazioni di fascismo agrario collaterale, il « La voce di Vigevano », 24 gennaio 1951. Del resto, l’Associazione agricoltori aveva chiesto in una circolare una autotas­ sazione dei soci in proporzione al numero di pertiche coltivate per « fronteggiare le spese ine­ renti alle agitazioni ». Le lotte nelle campagne pavesi: 1945-1950 91 gono fermati operai della Vigorelli e della SNIA che si dirigono verso la zona di Belgioso, nell’Est-Ticino). Alla fine, sono braccianti e salariati a cedere: le modifiche che la CGIL riesce ad apportare all’accordo già firmato dalla Liberbraccianti non mutano nella so­ stanza il risultato e le conseguenze politicheI20 121. L ’azione repressiva degli agrari può scatenarsi ora con estrema energia, potendo utilizzare per la prima volta, come si è detto, non solo la spaccatura che si è determinata fra proletariato agri­ colo e altri strati, ma quella interna allo stesso proletariato agricolo. È su questa sconfitta, che lascia segni profondi, che potrà agire quella trasfor­ mazione capitalistica nelle campagne, pagata largamente dal proletariato agri­ colo, destinata a mutare la stessa composizione di classe in queste zone, e a inci­ dere molto a lungo sullo sviluppo stesso della lotta fra le classi nella provincia. La sconfitta pavese del 1950 segna in maniera particolarmente accentuata un aspetto generale, e cioè il fatto che il movimento contadino è ormai costretto sulla difensiva. Allo stesso modo, la ristrutturazione capitalistica avrà alcune carat­ teristiche particolari nelle campagne pavesi, ma ha dimensione generale, in tutta la Valle Padana. È dello stesso periodo, inoltre, l’approvazione della legge- stralcio, che pone fine a ogni ipotesi di reale riforma agraria, ed ha profonde conseguenze, soprattutto nel Mezzogiorno. Iniziano gli anni delle grandi emigra­ zioni verso il nord, mentre nelle fabbriche il padronato sta ormai imponendo quel rigido controllo sulla forza lavoro che contrassegnerà tutti gli anni cinquanta. Di fronte al determinarsi di questa situazione il movimento contadino riconobbe, come si è detto, di aver condotto una lotta inefficace al nord per quel che riguar­ dava la riforma agraria. Riconobbe anche (alla fine del 1949) che attorno alle lotte condotte da salariati e braccianti del nord non si era sviluppato un movi­ mento di uguali dimensioni al sud: Romagnoli, in una coraggiosa autocritica fatta introducendo il II congresso nazionale della Federbraccianti (novembre 1949) attribuì le maggiori responsabilità di ciò alla direzione sindacale u l. Furono errori e ritardi semplicemente organizzativi, o la conseguenza di quell’ipo­ tesi generale del movimento sindacale che abbiamo sommariamente indicato al­ l’inizio di questo lavoro? Su questo interrogativo è in corso il dibattito. Ritenere più convincente, anche se ancora parziale, la seconda risposta non significa voler cercare « occasioni man­ cate » in ogni fase della storia d’Italia. Significa soprattutto rifiutarsi di vedere, in una sconfitta di quell’ampiezza, solo cause « oggettive » o esterne al movi­ mento di classe, e cercare quindi di compiere quell’analisi del movimento e delle sue caratteristiche che è stata per lungo tempo tralasciata proprio riguardo al movimento contadino in quegli anni e al suo rapporto con la ricostruzione ca­ pitalistica. GUIDO CRAINZ

120 Per le differenze fra i due accordi, si veda l’articolo di osvaldo negarville, in « La voce di Vigevano », 1 novembre 1950, che tende a sottolineare le parti migliorative ottenute dalla CGIL; cfr. anche « Il coltivatore pavese », 1 novembre 1950. 121 Cfr. l . romagnoli, Scritti e discorsi, cit., p. 85 e sgg.