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Leggi, Scrivi E Condividi Le Tue 10 Righe Dai Libri leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it 6 ISBN: 978-88-7615-584-0 I edizione: giugno 2011 © 2011 Alberto Castelvecchi Editore Srl Via Isonzo, 34 00198 Roma Tel. 06.8412007 - fax 06.85865742 www.rxcastelvecchieditore.com www.castelvecchieditore.com [email protected] Cover design: Sandokan Studio Cover layout: Laura Oliva Carlo Ruta NARCOECONOMY Business e mafie che non conoscono crisi A Roberto Morrione, maestro di giornalismo, che non è più con noi Premessa La recessione dell’ultimo decennio, che ha colto di sorpresa la finanza internazionale, ha prodotto shock geopolitici profondi. Diverse economie hanno perso punti di vantaggio. Alcuni Stati dell’Unione europea sono finiti sull’orlo della bancarotta e altri rischiano di arrivarci. È andato giù il paradiso di Dubai. Sulla sponda Sud del Mediterraneo, travolti da popolazioni che ri- vendicano mezzi per sfamarsi e democrazia, sono crollati regimi corrotti che apparivano invulnerabili mentre l’onda della rivolta si è estesa fino in Medio Oriente. In tutti i continenti sono in au- mento la disoccupazione e le povertà. Su questo sfondo di in- certezze le uniche economie che reggono sono quelle legate alla droga, che secondo diverse fonti di ricerca coprono quasi i due terzi dell’intero business criminale. Si tratta di un giro d’affari abnorme, stimato in circa 500 miliardi dollari, pari al fatturato complessivo delle prime sette case automobilistiche mondiali o, per rendere meglio l’idea, a quasi un terzo del Prodotto interno lordo dell’intero continente africano. Come interagisce allora un simile exploit con il deficit di liquidità e i conti in rosso delle economie ufficiali? E queste ultime, nel relazionarsi con gli im- 6 Carlo Ruta peri criminali, in che misura possono trarne guadagni in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando? I governi occidentali, fedeli perlopiù al paradigma proibizio- nista, hanno rassicurato per decenni le opinioni pubbliche sui benefici che sarebbero derivati dalle loro politiche di contrasto. E con queste garanzie di successo gli Stati Uniti, nei cui confini si estende il primo mercato mondiale per consumi di cocaina, hanno mantenuto la guida dell’azione repressiva. Un canovaccio che tutte le amministrazioni di Washington che si sono succe- dute hanno confermato: dalle operazioni in Perù e in Bolivia de- gli anni Sessanta al Plan Colombia, dall’invasione militare di Pa- nama alla ispirazione della War on Drugs in Messico, scatenata da Felipe Calderón nel 2006 e ancora in corso. In tutti questi de- cenni non si è mai voluto mettere in discussione l’assioma proi- bizionista. Anche l’Onu, a partire da Kofi Annan, ha fatto la sua parte con budget di miliardi di dollari versati ai governi dei Pae- si produttori di oppio, cannabis e coca per sradicare le colture disseminate nei vari territori. Tutto questo non è però servito a disarticolare gli imperi della droga, né a ridurre le tossicodipen- denze, che in numerose regioni hanno registrato invece un trend in espansione. In definitiva, i fatti non hanno offerto alcun ri- scontro al paradigma e numerose sedi ufficiali sono costrette a riconoscere oggi il fallimento. Quali sono allora le logiche che impediscono un reale cambiamento? Un Eldorado nella tempesta La forza del contante e i nuovi paradisi Gli sconvolgimenti geopolitici degli ultimi decenni hanno messo le ali all’impresa criminale, avendo fornito opportunità e nuove prospettive agli affari illegali. Alcuni scenari che si sono aperti dopo il 1989 ne danno uno spaccato, a partire dalla Rus- sia, dove la forbice delle ricchezze ha assunto dimensioni iper- boliche, pure al cospetto di Paesi di tradizione liberale. Nei de- cenni dell’economia pianificata l’eroina, che dilagava in Occi- dente, era un fenomeno lontano. Dopo il crollo del sistema so- vietico tante cose sono però cambiate: l’Organizatsya, la mafia locale, ha scoperto il narcotraffico, lungo la rotta della Mezzalu- na d’Oro, che congiunge l’Afghanistan e i Paesi circostanti al- l’Europa, passando per il Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Ka- zakistan. Ha puntato inoltre sul traffico di armi, contando sulla dissoluzione degli apparati militari, sulla posizione di cerniera del Paese tra Oriente e Occidente, e, ancora, sulla domanda in- cessante giunta dai numerosi teatri di guerra: Congo, Eritrea, Angola, Liberia, Somalia, e così via. Uomini di affari legati ai clan hanno dettato regole, fatto accordi con parti di Stato, fino 8 Carlo Ruta al capolinea del Cremlino. Hanno preso d’assalto le economie di base, l’industria metallurgica, il petrolio, il gas, il grande merca- to immobiliare, tutto da ridefinire dopo decenni di edilizia pia- nificata dalle burocrazie sovietiche. E non è tutto. Dalle loro se- di di Mosca e San Pietroburgo, questi avventurieri si sono river- sati lungo i continenti, mettendo radici negli Stati Uniti, nell’O- riente asiatico, in Israele, nell’Europa occidentale. Hanno ali- mentato trame speculative, fatto incetta di territori, animato pa- radisi già esistenti o in ascesa tumultuosa, come quello di Dubai, finendo per crearne di propri, come quello di Goa, in India, do- ve hanno tratto a sé, con guadagni d’oro, gran parte del territo- rio, combinando ad arte le suggestioni della mondanità e il cash, la forza del contante. È solo uno spaccato appunto, rappresentativo però di un pe- riodo complesso ed euforico che ha visto ridisegnate in ogni parte del globo le mappe delle fortune. Non è un caso che nella lista stilata da Forbes, degli uomini più ricchi al mondo, insieme a personaggi discussi come Oleg Vladimirovic Deripaska, acco- stato alla mafia moscovita dei fratelli Cernye, e Rinat Akhmetov, accusato dal governo di Kiev di riciclaggio e scambi con la ma- fia ucraina, siano entrate persone come il messicano Joaquín Guzmán Loera, che dopo la morte del colombiano Pablo Esco- bar, avvenuta nel dicembre 1993 nel corso di uno scontro con il Search Bloc colombiano, ha conquistato il fiorente mercato del- la cocaina degli Stati Uniti1. In definitiva, affaristi senza passato e perfino boss criminali, in vari continenti, hanno potuto parte- cipare a pieno titolo ai processi finanziari, li hanno in parte so- spinti, hanno corroborato un metodo, imprimendo agli scambi velocità inconsuete, con l’effetto di radicalizzare il senso dell’az- zardo. Sostenuti da potenti cartelli, numerosi paradisi offshore, divenuti meta necessaria dei traffici fuorilegge, hanno potuto Narcoeconomy 9 operare quindi al massimo, fino a dare vita, in buona misura, al nuovo catechismo della finanza internazionale. L’assist dei paradisi a questi traffici è stato decisivo in tutte le parti del globo, inclusa l’Europa. Per diverse ragioni, non ultima la vicinanza ai luoghi di produzione della cocaina, nella regione caraibica le sinergie hanno assunto però significati particolari. È stato stimato che nelle sole Antille olandesi, situate ad appena 50 chilometri dal Venezuela, uno dei punti di snodo delle droghe in partenza per l’Europa, negli anni Novanta veniva riciclato circa il 30% degli utili complessivi dei business criminali, provenienti pure da Russia, Italia, Cina e Giappone. Per questo, le isole di Aruba, Bonaire e Curaçao, appena 60 chilometri quadrati di ter- ra entro cui hanno preso posto oltre 100 casinò e diverse centi- naia di sportelli bancari offshore, sono divenute, non solo di no- me, l’ABC delle finanze mafiose. E lo stesso è successo per altri paradisi della regione, come Trinadad, Tobago, le Barbados e Grenada, che, legati anch’essi all’Europa, hanno continuato a mettere a frutto le opportunità della posizione e i vantaggi della sovranità territoriale. Percorsi paralleli hanno seguito ancora le isole Cayman, da cui si sono dipanate storie complesse, come quella, finita in una colossale bancarotta, della Bank of Credit and Commerce International, capostipite del sistema bancario islamico2. Uno studio del «Financial Times» documenta che in questo paradiso delle Antille, che vanta origini secolari, solo nel 1997 si sono insediate 42mila società, mentre i depositi comples- sivi di denaro superavano i 500 miliardi di dollari. Nelle Cayman come altrove, nel mar dei Caraibi come in altre regioni del globo, oceaniche e continentali, le cose sono andate però evolvendosi. Tra le scelte adottate dagli Stati Uniti all’in- domani dell’11 settembre 2001 c’è stato il Patriot Act, teso a col- pire le risorse finanziarie delle reti islamiche, impedendone il ri- 10 Carlo Ruta paro nelle casseforti offshore. In linea con le risoluzioni militari di quei frangenti, l’atto è stato presentato come una crociata. I paradisi tradizionali hanno fatto però buon viso, accettando la firma di accordi bilaterali con gli Usa e con altri Paesi. In via uf- ficiale la black list, compilata di anno in anno dall’Ocse a parti- re dal 2002, è quindi scomparsa. E negli ultimi due anni pure quella grigia è andata svuotandosi. Ma quali sono gli esiti effet- tivi? La rete internazionale del Tax Justice Network, diretta da John Christensen, argomenta oggi, cifre alla mano, che più del- la metà dell’intero commercio mondiale continua a passare dal- la giurisdizione dei Paesi offshore e che almeno 70 di essi sono in grado di garantire gli standard di segretezza, sui circa 200 che restano attivi nel mondo. Elaborando dati ricavati in parte dalle stesse rilevazioni Ocse, i ricercatori del Tjn hanno presentato inoltre una top ten di questi Paesi, che vede al primo posto gli Usa con lo Stato del Delaware; poi, a scendere, il Lussemburgo, la Svizzera, le Cayman, il Regno Unito con la City londinese, l’Ir- landa, le Bermude, Singapore, il Belgio e Hong Kong3. Il paradosso è evidente e, soprattutto, non peregrino perché riconosciuto pure in sedi ufficiali. Non è un caso che Jean-Clau- de Juncker, Presidente dell’Eurogruppo, il 31 marzo 2009 abbia messo il dito sulla piaga, affermando che «il G-20 è un organi- smo senza alcuna credibilità se sulla cosiddetta lista nera dei pa- radisi fiscali non ci saranno anche il Delaware, il Wyoming e il Nevada, oltre che le isole remote degli Stati Uniti»4.
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